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    We regret: memoria pubblica e politiche della riconciliazione Anna Lisa Tota Il discorso pubblico sul passato prende certamente le mosse teoriche da Halbwachs - cos come tutta la sociologia della memoria nel suo complesso - ma si arricchito via via di molteplici contributi. In particolare questo saggio, partendo dalle teorie del cultural trauma (Alexander et al., 2005) affronta la questione delle politiche del we regret non soltanto come nuova forma delle relazioni internazionali, ma anche come specifica politica narrativa del passato, che contribuisce letteralmente a dare forma allo spazio pubblico. La riconciliazione in tal senso il corrispettivo sul piano istituzionale di ci che il perdono rappresenta sul piano delle relazioni interpersonali: laddove gli individui perdonano, le societ civili e gli stati si riconciliano. Ma quali sono le conseguenze politiche della riconciliazione? E quanto sono generalizzabili le definizioni del tempo e del passato cui le politiche della riconciliazione sembrano rimandare? 1. Lo spazio del passato Qual lo spazio del passato nella contemporaneit? In che misura e a quali condizioni auspicabile una politica attiva delloblio? Dimenticare e perdonare sono sinonimi? Nel contesto delle democrazie occidentali assistiamo a tendenze che tra loro potrebbero sembrare del tutto antitetiche, ma che in realt sono complementari: da una parte, il discorso pubblico sul passato e sulle dimensioni etiche della memoria assume uno spazio ed una rilevanza del tutto inedite. Di conseguenza si moltiplicano le forme artistiche e culturali volte a dare forma al passato stesso - dal cinema alla letteratura, dal teatro alle arti visuali assistiamo ad una vera e propria esplosione di arte pubblica, che si occupa di articolare e dare forma ai conflitti, alle issues pi controverse nel discorso pubblico nazionale e globale, ma anche a quei passati che non si sono ancora cristallizzati in forme narrative legittime. In particolare, a questa vera e propria esplosione di arte pubblica corrisponde un incremento significativo del consumo culturale di passato, sia nelle sue forme mediali, sia in quelle artistico-culturali. Dallaltra parte invece, nella contemporaneit continua a prevalere una dimensione temporale centrata e determinata prevalentemente dal futuro. Ogni volta che questo orientamento al futuro prende forma nel discorso pubblico, si riafferma anche una specifica concezione del passato: esso diventa una dimensione temporale scomoda, piena di recriminazioni e conflitti, qualcosa da cui affrancarsi il prima possibile. Questa concezione del passato pu prevalere anche nel discorso politico, dove il mutamento della societ viene presentato talora come antitetico allassunzione di piena responsabilit verso ci che stato. Tuttavia la tendenza prevalente sembra andare in direzione opposta. In questo strano binomio si affermano sempre di pi le politiche del we regret come modo privilegiato di articolazione delle relazioni internazionali. Ci non certamente un caso. Le politiche della riconciliazione sono la ricetta contemporanea per perdonare senza dimenticare, per salvaguardare quella dimensione etica della memoria, di cui parla Avishai Margalit (2007), senza dover rimanere imbrigliati nelle logiche e nelle controversie del passato. We regret quella formula magica, a cui pochi capi di stato ormai possono resistere: riappacifica e tacita le vittime che, vedendo riconosciuto il danno subito, non possono pi avanzare pretese. Larte pubblica da una parte e le politiche della riconciliazione dallaltra, sembrano essere le armi moderne delle democrazie occidentali, armi spuntate comunque che, lungi dal realizzare ci che promettono, contribuiscono tuttavia a dare forma ed articolare nel discorso pubblico nazionale e globale concetti quali ingiustizia, verit, perdono, risarcimento, vendetta e anche democrazia.

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    Non si pu occuparsi di passato senza studiare le dinamiche del potere. Il passato, soprattutto nel momento in cui si inscrive nel discorso pubblico di una nazione, assume forme culturali che sono essenzialmente politiche e che, come tali, vanno analizzate. In tal senso, il concetto di geopolitica appare come un utile strumento: esso relativamente recente e si riferisce essenzialmente ad una differente modalit di guardare al territorio, come ad uno spazio dove le partizioni e i confini, lungi dallessere neutrali, riflettono processi politici complessi, equilibri di potere e negoziazioni. Le geopolitiche del passato riflettono quindi quei delicati equilibri territoriali che danno voce alla memoria o alloblio. In che senso il passato si radica o rimane dislocato nel territorio? C alla fine una dimensione, in cui il tempo pu stabilmente inscriversi nello spazio? Pierre Nora (1984) ha messo a tema per primo in modo compiuto il concetto di luoghi della memoria, David Lowenthal (1985) ha scritto un volume famoso dal titolo The Past is a Foreign Country. Tuttavia qui si sostiene qualcosa di almeno parzialmente diverso. Esistono procedure istituzionali con cui si da forma, si modella e si articola il passato. Sono quei codici culturali e artistici analizzati da Wagner-Pacifici e Schwartz (1991), sono pratiche sociali e generi commemorativi, sono discorsi e gesti, con cui le istituzioni prendono parte alla definizione di ci che stato. La vera questione in questo caso non riguarda tanto la differenza tra storia e memoria. La memoria pubblica, infatti, centra poco con la storia: , come gi diceva perfettamente Halbwachs, il modo in cui il presente guarda al passato. Ci sempre vero per la memoria, ma nel caso della memoria pubblica questa caratteristica decisamente amplificata. La memoria pubblica si affranca, anche se soltanto parzialmente, dalla ricostruzione diacronica del passato. Sta dentro ai criteri di plausibilit, a quei paletti che le verit processuali o fattuali hanno per lei confezionato. E quel pezzo del passato, di cui per qualche ragione continuiamo ad interessarci oggi. Da questo punto di vista, la memoria pubblica riguarda le modalit con cui il passato continua ad essere merce di scambio per regolare il presente. La memoria pubblica coincide con quel passato che ci interessa, che una piccola parte del passato narrato dal linguaggio storico. E il discorso pubblico sul passato. Al di l delle definizioni teoriche del concetto, che pur sono importanti, quel che conta sono le caratteristiche di questa memoria un po speciale, che la rendono pi difficile e al contempo pi interessante da analizzare. La memoria pubblica quella parte della memoria sociale che pi di ogni altra gioca a scacchi con il potere. Le memorie egemoniche e le contro-memorie, messe a tema da Foucault, qui trovano il loro terreno di incontro e di scontro privilegiato. Luso pubblico della storia e del passato stato analizzato estesamente da Habermas (1986) soprattutto in relazione alla recente storia tedesca. Potremmo dire che con il concetto di memoria pubblica si sottolinea prevalentemente questa dimensione, cio quella delluso pubblico della memoria. Sembra banale, ma non lo affatto. Quando il discorso pubblico si occupa del passato e quindi costruisce memoria pubblica, piega il passato quello piccolo frammento di ci che fu e che ci continua ad interessare alle ragioni del presente e lo fa spudoratamente. Per questo il concetto introdotto da Schudson (1989; 1993) in relazione alla competizione fra le diverse versioni conflittuali del passato come unica garanzia di una certa plausibilit del passato stesso che alla fine ne deriva, continua ad essere cos centrale. Se non ci fosse questa struttura di plausibilit entro cui la memoria pubblica si deve necessariamente plasmare, il discorso pubblico sul passato si presterebbe ancora di pi ad ogni forma di strumentalizzazione politica. Le arene in cui si costruisce il passato come ad esempio la piazza della stazione di Bologna, ogni 2 agosto durante la cerimonia commemorativa sono incandescenti, perch l si combattono di anno in anno, di commemorazione in commemorazione, le battaglie per luso politico di ci che stato. Soltanto comprendendo appieno questa dimensione meramente pubblica della memoria, possiamo capire perch ogni anno a Bologna su quella piazza, su quella arena politica si riversano issues politiche e civili che con la strage non centrano affatto (dalla pi recente protesta sulla riforma delle pensioni a quella contro la legge Cirami di qualche anno fa). In uno spazio e un tempo delicati ed altamente visibili - come la piazza di Bologna ogni 2 agosto in cui la democrazia ricostruisce e rilegittima se stessa grazie alla statura morale dei suoi martiri e delle vittime che non ha saputo difendere, chiunque dalla piazza o il politico di turno tenta di piegare le ragioni di quel passato agli interessi di una o dellaltra parte politica. Ed in proprio in

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    queste tensioni dinamiche che la memoria pubblica si dispiega. E proprio per comprendere meglio quello che succede in quella piazza che il concetto di memoria pubblica ci serve. In tanti anni in cui ho studiato Bologna e la rilevanza istituzionale di quella piazza nel contesto del discorso pubblico italiano (Tota 2002; 2003; 2005), mi sono sempre chiesta che cosa la rendesse tanto speciale, quale fosse il valore aggiunto specifico di quel luogo l in quel momento l: la risposta che mi sono data tremenda e drammatica ad un tempo. Quello spazio e quel luogo hanno tanto valore, perch sono il simbolo di 85 vittime morte innocenti. Valgono tanto perch devono il loro valore politico e civile a tutti questi novelli martiri della contemporaneit italiana: i cittadini uccisi dalla mafia e dalla camorra e quelli uccisi dalle bombe dei terroristi. Il valore di quel luogo e di quel tempo costruito sulla morte e niente nella cultura occidentale vale pi della vita. Ecco perch il discorso pubblico su quel passato l in quello spazio e in quel tempo particolarmente prezioso, ed ecco perch riuscire a dire proprio l qualcosa che pieghi quel passato alle ragioni e agli interessi di una parte assume una tale rilevanza politica e istituzionale. E in parte vero che studiando la memoria pubblica viene voglia di un po di storia. Non che nella storia non siano attive le dinamiche del potere, ma nella memoria pubblica le guerre sul passato sono pi cruente, gli usi e le strumentalizzazioni di ci che fu possono avvenire in modo pi spudorato. Esiste quindi una rilevanza politica dei luoghi che tanto pi centrale quanto pi quei luoghi sono capaci di produrre, trasformare o modificare identit pubbliche e nazionali. I luoghi poi portano con s tutto lapparato culturale e mediale relativo alla loro rappresentazione. In tal senso un contributo fondamentale si deve ad esempio a Barbie Zelizer (1998), che analizza il ruolo dei fotografi e dei reporter nel rendere testimonianza durante lapertura dei campi di concentramento: a quelle fotografie, che circolarono in tutto il mondo, si deve un importante contributo nella costruzione del consenso morale attorno ad un evento - come la Shoah - che da poco era nominata e classificata nel discorso pubblico. Di fatto tutte le guerre si combattono nella contemporaneit anche nella rappresentazione politica dei luoghi di guerra operata dai media. Come spesso accade, se i luoghi della memoria pubblica sono politicamente rilevanti, quelli delloblio lo sono ancora di pi. In altri termini, i luoghi che mancano allappello rappresentano i passati, il cui ricordo non mai stato messo in scena sul territorio: sono le memorie dislocate (Tota, 2002), le homeless memories. Laddove c una negazione sistematica di ogni forma di rappresentazione di un certo passato sul territorio, la probabilit che quel passato non riesca mai ad inscriversi nel discorso pubblico nazionale molto elevata. Un caso emblematico nel contesto italiano riguarda la strage del treno 904 e la mancata inscrizione dei suoi simboli nel contesto urbano della citt di Napoli (Tota, 2005b). La sistematica negazione dei simboli di questo passato ha influito profondamente sul modo in cui la memoria pubblica di questa strage si costituita negli ultimi due decenni. Pi che di memoria si tratta in questo caso di un vero e proprio oblio, imperfetto forse, ma di certo persistente. La stazione centrale di Napoli in tal senso il luogo politicamente rilevante per la neutralizzazione quotidiana di questa memoria pubblica. E singolare ad esempio che nellagosto 2007 la targa commemorativa, deposta in stazione dopo tanti anni, grazie allintervento del Sindaco della citt e alle pressioni dei Famigliari delle vittime riuniti da molti anni in associazione, sia stata rimossa fra lindifferenza generale. Alcuni addetti alle ferrovie della Stazione di Napoli, intervistati in proposito, hanno parlato di esigenze di ristrutturazione proprio di quellarea della Stazione. Di fatto questa targa stata rimossa in quel periodo senza grandi echi nella stampa locale e nazionale. Si pensi invece alla controversia incandescente che si scatena a Bologna ogni volta che, per qualche ragione, un attore politico o istituzionale cerca di manomettere o rimuovere qualche simbolo della strage (il caso dellorologio e quello della lapide commemorativa sono certamente emblematici) 1, oppure alle controversie relative alla lapide dedicata a Pinelli (Foot, 2001). Se i luoghi pubblici della memoria sono assolutamente centrali per la sua inscrizione nel discorso pubblico di una nazione, le dislocazioni continue dei simboli culturali di un certo passato nello spazio urbano rappresentano la strategia pi efficace per costruirne attivamente il suo oblio. Riprendendo la nota frase di Halbwachs, potremmo infatti dire che anche

    1 Per lanalisi di questi due casi mi permetto di rimandare a Tota (2002).

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    quando dimentichiamo non siamo mai soli. Il lavoro delloblio quotidiano almeno tanto quanto quello della memoria. 2. La memoria pubblica Il concetto di memoria pubblica stato introdotto nel dibattito sociologico da circa un decennio o poco pi, ed divenuto rapidamente una categoria analitica molto usata, per studiare appunto i processi che rendono possibile linscrizione sociale del passato nel discorso pubblico. Pur nella variet delle prospettive, la memoria pubblica stata analizzata da numerosi studiosi (Norkunas 1993; Bodnar 1993, 1996; Jedlowski 2002; Phillips 2005; Tota 2005a) che hanno tutti condiviso unattenzione specifica per la dimensione pubblica del passato (the publicness of the past). Peraltro non soltanto i sociologi se ne sono occupati. Si tratta infatti di un concetto altamente interdisciplinare, che ha contributo a creare un rinnovato interesse per lanalisi dei processi di formazione delle identit nazionali e collettive. Secondo questa prospettiva, la definizione pubblica dei passati controversi di una nazione rappresenta una chiave di lettura privilegiata per comprendere come le relazioni di potere sono articolate in quel determinato contesto nazionale e come, a sua volta, la definizione pubblica dellidentit nazionale che ne deriva (che deriva cio dallinscrizione di quel passato nel discorso pubblico nazionale secondo quelle specifiche modalit) sia il prodotto di quella stessa articolazione delle relazioni di potere. Se pensiamo allanalisi della Shoah in relazione allelaborazione pubblica dellidentit nazionale tedesca, nei decenni successivi alla scoperta dei campi di sterminio (Alexander et al. 2004), questo tipo di riflessione appare del tutto appropriata. Non si intende qui certamente sostenere che la dimensione pubblica del potere fosse esclusa o sottovalutata nei lavori precedenti sulla memoria sociale o sulle memorie collettive. Al contrario, la maggior parte degli studi generati nel paradigma della memoria collettiva hanno considerato la dimensione del potere come assolutamente centrale (ad es. Hobsbawn and Ranger 1983; Middleton and Edwards 1990; Bodnar 1993). Tuttavia il termine memoria pubblica sembra aggiungere un focus pi specifico sulla relazione con la sfera pubblica e sulla capacit del memory work di incidere ed influire profondamente sul discorso pubblico di una nazione. La caratteristica fondamentale della memoria pubblica quella di mettere laccento proprio sulla capacit che il memory work ha di relazionarsi con il potere dello stato e della societ civile. La dimensione pubblica del passato una risorsa privilegiata, per la definizione della quale competono nellarena pubblica attori sociali e istituzionali diversi. A forza di studiare la memoria pubblica, viene voglia di rifugiarsi nella storia: in una certa misura proprio cos. Non perch la storia sia meno lesito di una narrazione politica del passato (in fondo anche nel caso della storia e della storiografia ci dobbiamo confrontare con determinate politiche scientifiche), quanto piuttosto perch la storia risponde appunto a politiche disciplinari e quindi presenta livelli di coerenza, sistematicit e confutabilit che rispetto alla memoria pubblica non possiamo nemmeno sognarci. La storia ricostruisce il passato attraverso una dimensione diacronica: dal presente lo storico guarda allindietro e ricostruisce ci che accadde, la memoria pubblica invece guarda al passato come ad un ingrediente del presente, ci che del passato resta ancora qui, nel discorso pubblico attuale. E quel pezzo di passato che non vuole andarsene e con cui siamo costretti a fare i conti nel presente. In fondo una strana concezione del passato, come qualcosa che definisce materialmente il presente. La memoria pubblica guarda al passato un po come a quella zavorra, da cui il presente non pu prescindere. Non si pu parlare insomma di memoria pubblica senza tornare sulla spinosa questione delluso pubblico del passato (Gallerano, 1995), questione che questa prospettiva mette a fuoco meglio di ogni altra. Quel che conta dunque, al di l delle precisazioni terminologiche che pur sono fondamentali, comprendere che cosa ci pu far vedere in pi e meglio questo nuovo concetto rispetto ai processi della memoria. Ci pu far vedere, ad esempio, qual la correlazione tra forme della memoria pubblica dominante e forme del discorso pubblico di una nazione. Pu mettere a

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    fuoco come una certa politica di inscrizione o mancata inscrizione del passato nel discorso pubblico produca una serie di effetti a catena sia sulla definizione stessa di democrazia, sia sullattuazione effettiva dei valori democratici in un certo contesto nazionale. In definitiva come si fa ad analizzare un caso come quello delloblio della strage del treno 904, senza riferirsi pi o meno implicitamente al concetto di memoria pubblica? In quel caso ci sono le memorie individuali (dei superstiti, dei loro familiari e dei napoletani che si ostinano a ricordare), le memorie collettive (ad esempio dellAssociazione delle vittime), ma negata la dimensione pubblica di questa memoria cio la pubblica discussione di questo passato, cos come sono negati e cancellati quotidianamente tutti i simboli e le pratiche che la renderebbero possibile. Non che nessuno se ne ricorda pi in definitiva impossibile dimenticarsi di una bomba esplosa nel 1984 e di tutti i suoi morti a poco pi di ventanni di distanza. Tuttavia, chi ricorda non ha una visibilit tale da poter avviare una discussione pubblica su questo passato, non ha il potere di inscrivere questo passato nel discorso pubblico cittadino, non ha la possibilit di cristallizzarne la memoria in simboli che contribuiscano a legittimarla. Chi ricorda preferisce non ricordare, non perch vi sia una cattiva volont, ma perch ricordare questa strage a Napoli significa in qualche modo sfidare quella parte della camorra che in questa strage stata attivamente coinvolta. In altri termini, la discussione pubblica di questo passato negata dalla una parte della camorra che impone ai cittadini e alle istituzioni linvisibilit di questo passato. A parlare restano soltanto le vittime e i loro famigliari che, avendo gi i loro cari, sono disposti ad accedere a quella dimensione eroica, richiesta a chi si ostina a dire la verit (Tota 2005b). Al di l di questo esempio specifico, resta da precisare che il termine memoria pubblica viene usato nel dibattito interdisciplinare talora in riferimento a concetti parzialmente diversi (Casey, 2004) e ci non contribuisce certamente a fare chiarezza, lasciando limpressione che luso della terminologia in questo ambito sia molto meno accurato di quanto dovrebbe. Ad esempio, in Framing public memory Phillips (2004) fa riferimento esplicitamente ad una doppia accezione di questo termine: Parlare di memoria significa parlare contemporaneamente di certi gruppi di individui che ricordano insieme (the memory of publics) e parlare di quelle memorie che si formano prima e forse simultaneamente rispetto a questi gruppi (the publicness of memory) (ivi, p.10). Tuttavia, se la memoria pubblica anche la memoria dei pubblici diventa pi complicato distinguere semanticamente questo concetto da quelli di memoria collettiva nellaccezione di Halbwachs e di memoria comune (Jedlowski, 2001). Attenersi soltanto alla prima accezione avrebbe il pregio di ridurre la confusione terminologia in un settore, quello della sociologia della memoria, in cui le definizioni teoriche abbondano, senza tuttavia avere sempre un riscontro empirico efficace. Lintroduzione di un nuovo termine e di una nuova categoria concettuale dovrebbe infatti essere finalizzata a farci vedere qualcosa di una certa realt meglio e pi chiaramente di prima. Nel caso del termine memoria pubblica mi pare che ci sia documentato ampliamente. 3. Le teorie del cultural trauma La relazione tra memoria e trauma rappresenta un focus centrale negli studi sulla memoria ed stata analizzata estesamente da numerosi studiosi (Caruth 1995, 1996; Laub 1995; Felman 1995). Il modello del cultural trauma, proposto da Alexander, Eyerman, Giesen, Smelser e Sztompka (2004), analizza in particolare il rapporto tra memoria, identit e discorso pubblico, in quanto focalizza lattenzione sulle modalit attraverso cui le memorie egemoniche e le contro-memorie diventano basi costitutive per la formazione delle identit collettive e nazionali. In altri termini, il modello del trauma culturale si occupa essenzialmente di come un passato traumatico acquisisca significato nel discorso pubblico e possa divenire una risorsa semantica per la definizione delle identit collettive. Date queste premesse impensabile parlare di memoria pubblica, senza tenere conto o prendere le distanze criticamente da questo modello. Come accade che un evento cruciale segni per sempre le

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    memorie e le identit di una collettivit? Le definizioni formali pi complete si devono a Smelser (2004, p. 33) e ad Alexander (2004, p. 3): mentre il primo pone laccento sul fatto che la memoria legata ad un trauma culturale deve essere legata ad un evento che, oltre ad avere natura indelebile, ha rappresentato una vera e propria minaccia per lesistenza di quella comunit oppure ne ha violato uno o pi i fondamenti culturali; il secondo sottolinea il rapporto strettissimo tra lindelebilit delle tracce dellevento traumatico nella coscienza collettiva e il mutamento irrevocabile che tale trauma provoca nelle identit future della collettivit stessa. Secondo questa prospettiva, un trauma non qualcosa che esiste naturalmente, ma al contrario costruito dalla societ. Inoltre, i traumi individuali e quelli sociali sono del tutto differenti. In particolare, Smelser sostiene che un trauma culturale differisce fondamentalmente da un trauma psicologico a causa dei meccanismi che lo causano e lo sostengono. Infatti, mentre i meccanismi associati ai traumi psicologici sono di natura intra-psichica (ad esempio, i processi di difesa, adattamento, rimozione ed elaborazione), invece i meccanismi che operano a livello culturale sono prevalentemente quelli degli attori sociali e dei gruppi di pressioni (ibid.). Ma cosa significa dunque affermare che un trauma culturale? C uno scarto tra levento e la sua rappresentazione. Questo scarto ci che si pu definire il processo del trauma. Come sottolinea Alexander, affinch un trauma possa emergere a livello culturale un nuovo master narrative deve essere imposto con successo da un gruppo sociale che letteralmente si fa carico e produce la carriera e la traiettoria sociale di questo trauma. Questo gruppo sociale deve essere in grado di progettare e costruire listanza del trauma presso una audience pi ampia. Un processo efficace di rappresentazione collettiva dellevento traumatico deve affrontare le seguenti questioni: a) deve definire la natura del danno; b) la natura delle vittime; c) la relazione tra le vittime colpite dal trauma e il pubblico pi ampio; d) deve attribuire le responsabilit. Il modello del trauma culturale si riferisce anche alle diverse arene istituzionali, in cui i significati del trauma sono prodotti e negoziati. Sono considerati sei differenti tipi di arene: quella religiosa, estetica, legale, scientifica, dei mass media e dello stato burocratico. In pratica, la teoria del cultural trauma ci offre un framework analitico dettagliato ed efficace per studiare come, dato un certo evento che presenta certe caratteristiche, si avviano quei processi che portano alla discussione pubblica dellevento stesso. Cio il modello del cultural trauma descrive come si produce quella parte della memoria pubblica di quellevento traumatico, che ha a che fare con la sua rappresentazione pubblica. In definitiva, il processo del trauma coincide proprio con la formazione della memoria pubblica di quel trauma, almeno con una parte sostanziale di essa. Infatti attraverso il processo del trauma, dicono gli autori, le memorie collettive e le identit nazionali sono influenzate. Di fatto questo vero, soprattutto nella misura in cui si inscrive quel trauma nel discorso pubblico, cio se ne costituisce la memoria pubblica. I teorici del cultural trauma e gli studiosi delle dimensioni pubbliche della memoria finiscono per occuparsi di fatto della stessa questione da due prospettive diverse e complementari. Le categorie analitiche elaborate per analizzare come funziona il processo del trauma posso essere utilmente analizzate anche per investigare come si forma la discussione pubblica di un passato traumatico. Tuttavia, questo modello pone anche alcune questioni che meritano di essere ulteriormente approfondite: in alcuni contesti nazionali pu accadere che laccesso ad unarena istituzionale sia sistematicamente negato (ad esempio, si pu verificare il caso in cui i codici estetici sono gli unici disponibili a rappresentare gli eventi traumatici). Quali saranno le conseguenze della sistematica esclusione dellarena giuridica o di quella mediale per la rappresentazione e larticolazione di un trauma culturale? Che forma pu assumere il discorso pubblico in una nazione dove queste arene sono negate? Si pensi al caso italiano, dove per decenni i tribunali e i mezzi di informazione non hanno potuto articolare, n avviare il processo dei traumi relativi alle stragi terroristiche (da piazza Fontana allItalicus, da Bologna al treno 904). Inoltre come entra la dimensione del potere nellarticolazione di questo modello? Alexander afferma che network sociali differenti avranno accessi diversi alla distribuzione delle risorse simboliche e materiali: i limiti imposti dalle arene istituzionali sono mediati dalla ineguale

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    distribuzione delle risorse materiali e dai differenti network sociali che usufruiscono di accessi differenziali ad esse (Alexander et al. 2004, p. 21). Tuttavia il vero punto critico costituito dalla generalizzabilit della teoria: una teoria a medio raggio, secondo la definizione di Alexander. Tuttavia, come chiarisce lautore stesso (2004, p. 24): Sarebbe un vero fraintendimento se le teorie del trauma fossero limitate nella loro applicabilit alla vita sociale del mondo occidentale. Lautore menziona ad esempio il caso di Nankino, la cui memoria ha oltrepassato i confini della Cina: il mancato riconoscimento pubblico di quel trauma e la sua mancata inscrizione nella sfera pubblica dipenderebbe dalla incapacit di portare avanti il processo del trauma (). In Giappone e in Cina, cos come in Rwanda, in Cambogia e in Guatemala erano certamente presenti tutte le istanze necessarie per rendere centrali questi casi di sofferenza estrema anche se distanti (). Tuttavia sia a causa della struttura sociale sia per ragioni culturali, non sono emersi gruppi sociali che avessero le risorse, lautorit e la competenza interpretativa per diffondere autorevolmente le istanze del trauma. (ibid.). La conclusione di Alexander non sembra riferirsi ad una teoria di medio raggio: I traumi collettivi non hanno confini geografici o culturali. La teoria del cultural trauma si applica, senza pregiudizi, a tutti i casi in cui le societ hanno o non hanno costruito ed esperito eventi traumatici, e ai loro sforzi di dedurre, o non dedurre, la lezione morale che si pu dire ne sia derivata. . La proposta di generalizzare questa teoria alle societ non occidentali complessa. The inability to carry through the trauma process appare un concetto fuorviante se riferito alle societ non occidentali. La prima condizione per poter elaborare efficacemente un trauma ed inscriverlo nella sfera pubblica certamente quella di avere il potere nazionale per poterlo fare. E difficile immaginare che ci sia possibile, per esempio, in molti stati africani dove le vittime continuano ad essere vittime, dove il destino di intere popolazioni non deciso allinterno dei contesti nazionali, ma al contrario dipende dallo sfruttamento internazionale delle risorse economiche nazionali. Affinch una vittima riesca a diventare interprete attivo nel processo di costruzione della memoria pubblica del trauma, cio nella sua costruzione discorsiva allinterno della sfera pubblica, occorre in primo luogo che cessi di essere vittima, cio che quel trauma specifico sia terminato e la condizione di vittima sia cessata. Tuttavia, in alcuni contesti nazionali il livello di violenza tale che le vittime di un determinato trauma culturale continuano ad essere vittime incessantemente, in tale condizione diventa difficile immaginare che possano essere analizzate utilmente applicando il concetto di carrier group. Il fatto che la teoria funzioni poco, se applicata a questi casi, evidente: infatti il carrier group non emerge quasi mai. Forse ci significa che stiamo usando un concetto che ha scarse capacit esplicative rispetto al contesto cui applicato. Si detto che la teoria del cultural trauma affronta le stesse questioni che vengono analizzate quando si studiano i processi di formazione della memoria pubblica. Lelaborazione efficace di un trauma culturale implica la possibilit di dare vita ad una discussione pubblica su quel passato traumatico. Ma la memoria pubblica la memoria della sfera pubblica. E utile il concetto di sfera pubblica per analizzare il genocidio in Rwanda? Soltanto nella misura in cui diciamo che l la democrazia non c, la societ civile annientata, gli intellettuali sterminati. Insomma una sfera pubblica di habermasiana memoria ci aiuta poco a capire cosa successo in quel contesto. Ci vale anche per le teorie del cultural trauma che, in altri casi invece, risultano efficacissime. Alla luce di queste considerazioni una proposta ragionevole mi pare quella di far dialogare la teoria del cultural trauma con una parte del dibattito post-coloniale, in modo da evitare generalizzazioni troppo ampie che, lungi dallavvalorare questa teoria, finiscono per indebolirla. 4. La riconciliazione come politica narrativa del passato Il modello del trauma culturale porta come conseguenza politica - e non soltanto teorica - una narrazione del passato fortemente centrata sulle politiche del we regret. Infatti, il processo di deduzione della lezione morale dallevento traumatico pu essere facilmente ricollegato alla

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    necessit di riconciliarsi: quale modo migliore di trasformare il trauma in monito per le generazioni future? Lo stato che si reso responsabile del trauma chiede perdono alle sue vittime, sia in quanto diretto responsabile del trauma (esponenti di un governo precedente si sono resi colpevoli di crimini gravissimi), sia in quanto indiretto responsabile (lo stato non ha protetto i suoi cittadini come avrebbe dovuto, garantendone lincolumit fisica sul territorio nazionale). C pertanto una connessione non solo teorica, ma anche politica, tra il modo di concettualizzare il trauma - proposto dalle teorie del cultural trauma - e la funzione crescente che le politiche del we regret hanno negli stati contemporanei. Non un caso che queste teorie siano cos rilevanti nel contesto contemporaneo: la loro attualit assolutamente centrale. Come si diceva, le politiche della riconciliazione sono la bacchetta magica contemporanea che i capi di stato hanno a disposizione per costruire la loro statura morale da una parte, e la legittimit dello stato dallaltra. In democrazia uno stato opera legittimamente soltanto se in grado di documentare la sua capacit di applicare i valori democratici fondamentali. E allora come fare a ricostruire lautorevolezza di uno stato che nel passato si rivelato tuttaltro che irreprensibile? I riti religiosi della confessione, espiazione e perdono assumono una valenza istituzionale, entrano di fatto nellarena pubblica e si piegano alla ragion di stato. Gli stati confessano pubblicamente le loro colpe, i capi di stato si inginocchiano e rendono onore alle vittime - come fece Willy Brandt al ghetto di Varsavia nel 1970 e i crimini si perdonano. I traumi di una collettivit diventano traumi di una nazione: Siamo tutti colpevoli la formula magica con cui si assolvono le colpe del passato, con cui si disvela il passato per lavarne via quelle macchie, che si ostinano a persistere sul presente. Riconciliarsi con il passato, alla fine, vuol dire poterlo addomesticare ed archiviare, voltare pagina insomma, senza che le vittime si sentano tradite e umiliate una seconda volta. Di fatto la riconciliazione non altro che la versione pubblica del perdono, che attiene invece alla sfera del privato. La riconciliazione sempre un atto di politica istituzionale, il perdono invece un atto che riguarda il singolo individuo e il modo in cui egli decide di fare i conti con la memoria di uningiustizia subita. Sia chi si riconcilia, sia chi perdona decide di agire nel futuro indipendentemente da ci che avvenuto nel passato. Sono entrambi atti di presa di distanza dal passato, ma attraverso unazione di assunzione piena di responsabilit. In tal senso nel discorso pubblico nessuna modalit comunicativa pi distante dalla riconciliazione delle politiche attive di oblio. La riconciliazione non implica la negazione di ci che avvenuto, ma il suo pieno riconoscimento e disvelamento. Loblio un atto di cancellazione che considera il passato alla stregua di un errore di ortografia. Ma perch le vittime di grandi ingiustizie (il genocidio, la Shoah) non solo accettano le politiche di riconciliazione, ma se ne fanno promotrici? Perch nel Sudafrica di Nelson Mandela il disvelamento pieno del passato considerato tanto importante da essere la condizione necessaria per ottenere limpunit rispetto ai crimini commessi? In Svezia dal 1 gennaio 2008 tutti i colpevoli di reati che hanno meno di 21 anni, dovranno incontrare le loro vittime prima di presentarsi in tribunale. Lesito di questi incontri di conciliazione avr una rilevanza nella decisione da parte del tribunale di procedere o meno nei confronti degli accusati. Il motto di questa iniziativa, che ha avuto una eco internazionale, : la mia vittima come amico. Il presupposto di questo tipo di politica della riconciliazione che conoscere direttamente la sofferenza causata alle vittime sia il miglior deterrente contro ogni possibile reiterazione del crimine. Il frame cognitivo ricorrente sembra essere: riconosciamo il passato in tutto il suo orrore, caliamoci nella sofferenza e nel terrore che ha provocato, affinch conoscendolo sia possibile evitarne il ritorno. Ancora una volta evidente che riconciliarsi e dimenticare sono due modalit antitetiche: la riconciliazione richiede il lucido ricordo e la commemorazione nel tempo dei crimini perpetrati, loblio richiede invece la cancellazione del passato e la sua mera negazione. C sicuramente una forma di oblio postuma che pu subentrare dopo che tutti si sono riconciliati con tutti, forse allora la lezione morale del trauma potrebbe affievolirsi e non essere pi cos necessaria. E comunque un caso limite, perch succede di rado che tutti si riconcilino con tutti. Nemmeno nel trauma culturale europeo per eccellenza i crimini nazisti - ci mai stato davvero possibile. Le questioni aperte continuano ad essere poste sul tappeto, non ultima quella dei beni

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    confiscati alle famiglie degli ebrei deportati, beni che sono stati incamerati talora dalle banche, talora da attori istituzionali che oggi sono messi sotto accusa. La cronaca recente ha riaperto il dibattito su uno dei crimini nazisti pi efferati: nel marzo 2007 il procuratore Ulrich Maass, titolare dellinchiesta sulla strage di Cefalonia aperta il 12 settembre 2001 dallUfficio Centrale di Dortmund, ha definitivamente archiviato il caso dei cinquemila soldati italiani della Divisione Acqui, uccisi dai nazisti dopo l8 settembre a Cefalonia. Negli anni Sessanta il tribunale di Dortmund dovette muoversi per lindignazione suscitata dal bellissimo romanzo di Marcello Venturi Bandiera bianca a Cefalonia, ma fu tutto archiviato. Successivamente la figlia del capitano De Negri, ucciso a Cefalonia, present una denuncia che costrinse il tribunale di Dortmund a riaprire linchiesta. Il 1 marzo 2001 lallora Presidente Carlo Azeglio Ciampi, durante la sua visita a Cefalonia, afferm che la scelta consapevole della Acqui fu il primo atto della Resistenza di unItalia libera dal fascismo.. Il 25 aprile 2007, dopo lennesima archiviazione del caso da parte del tribunale di Dortmund, il Presidente Giorgio Napolitano ha festeggiato il 62 anniversario della Liberazione anche a Cefalonia, dicendo di volersi ispirare al suo predecessore. Nel caso di Cefalonia non vi stata riconciliazione istituzionale, il trauma culturale di questo eccidio spaventoso non stato elaborato nellarena istituzionale giuridica, n in quella dello stato burocratico. Tuttavia le arene dei media e della cultura hanno fatto sentire la loro voce: un romanzo - quello di Venturi - costato allo stato tedesco molto di pi di un atto di ammissione pubblica di colpevolezza. Un gruppo di giovani studiosi tedeschi nel maggio 2007 ha invitato vicino a Monaco la figlia del capitano De Negri e la figlia del tenente colonnello Fioretti. Si celebrata una cerimonia commemorativa, durante la quale sono stati letti i nomi di tutti i cinquemila soldati della Acqui assassinati dallesercito tedesco. Ancora una volta una forma politica di riconciliazione. Qui stata la societ civile a farsi avanti: in un paese democratico, infatti, dove lo stato assente gli intellettuali e i cittadini ben informati possono far valere la loro voce e prendere cos le distanze da un passato che li umilia e da cui vogliono affrancarsi. Di fatto questo gruppo di giovani intellettuali tedeschi con la propria azione ha reso possibile per i famigliari delle vittime una qualche forma di riconoscimento del trauma subito. Ma in che senso ci avviene? La riconciliazione per le vittime superstiti e i familiari delle vittime un atto di grandissima rilevanza, in quanto avvia la rappresentazione e la discussione pubblica di quel passato. La riconciliazione ci che letteralmente rende possibile la memoria pubblica di quel passato, nella misura in cui legittima stabilmente quellargomento come oggetto specifico di un pezzo di discorso pubblico. Dallatto di riconciliazione in poi, nessun attore istituzionale pu pi stabilmente negare linscrizione di quel trauma nel discorso pubblico nazionale ed internazionale. E proprio questo il valore aggiunto offerto dalle politiche di riconciliazione alle vittime di un crimine. Nei termini delle teorie del cultural trauma ci corrisponde allavvio di un processo di elaborazione efficace del processo di trauma da parte di un gruppo sociale (il gruppo dei giovani studiosi tedeschi nel caso delleccidio di Cefalonia) che ha lautorevolezza, la statura morale e le risorse interpretative per farlo. Ma le politiche della riconciliazione sono una ricetta valida per ogni collettivit? Questo modello di articolazione dei passati traumatici, proposto dai teorici del cultural trauma, pu essere applicato a tutti i contesti? Ho gi avanzato alcune perplessit in proposito, facendo riferimento al genocidio del Rwanda. Tuttavia il caso pi interessante ed emblematico, in cui il modello del cultural trauma e le politiche della riconciliazione che ad esso si ispirano sembrano fallire, quello della memoria collettiva degli zingari. Bradford Vivian (2004, p. 191) afferma che la relazione fra spazio, storia e comunit assume caratteristiche differenti nel contesto della memoria Gypsy. Per gli zingari, infatti, lesperienza del trascorrere del tempo drammaticamente diversa: non hanno una concezione della storia simile alla nostra, vivono in un presente permanente, definito da una concezione temporale profondamente diversa. Le condizioni della memoria sono frammentarie e disperse, c unassoluta sfiducia nella memoria degli archivi, i racconti orali sono in continuo mutamento e spesso di natura ellittica. Tutto ci impedisce allidentit e alla memoria Gypsy di raggiungere quella solida stabilit che caratterizza invece le comunit occidentali (ibid. 2004, p. 197). Le comunit Gypsy sono caratterizzate dalla mancanza di un evidente investimento nel potere

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    del passato: nemmeno gli orrori della Shoah hanno potuto produrre una consapevolezza commemorativa durevole nella comunit Gypsy. Ma quanto non c alcuna forma di tradizione commemorativa, quando dimenticare non una forma di sconfitta o rassegnazione, ma al contrario rappresenta soltanto una politica del ricorda diversa da quello a cui siamo abituati, dobbiamo allora riconsiderare totalmente la relazione tra trauma culturale, passato e identit nazionali. Anche se la concezione secondo cui dobbiamo ricordare gli orrori del passato per impedire che ritornino centrale nelle societ democratiche, non siamo autorizzati a darla per scontata quando ci riferiamo ad altre culture. Larte Gipsy del dimenticare () suggerisce una risposta politica proprio a quelle politiche democratiche della memoria che, nel lavoro di commemorazione del passato necessario, affinch esso non possa ripetersi, finiscono per riprodurre note forme di esclusione, nella misura in cui attribuiscono a certi tipi di memoria una priorit politica (ibid. 2004, p. 198). Le teorie del cultural trauma, cos come le politiche della riconciliazione, rappresentano un potentissimo framework di analisi le prime e unefficace arma politica le seconde, soltanto a condizione di considerarne i limiti di generalizzabilit. Lavvio e lelaborazione del processo di trauma implica determinate definizioni della memoria (come valore positivo di per s) e determinate concezioni del tempo (come relazione dinamica fra passato, presente e futuro). Tuttavia, le definizioni di tempo e di memoria variano sensibilmente da una societ allaltra: sono instabili, frammentarie e nomadiche. La valenza e il significato multiculturali della memoria possono mettere in scacco le politiche del we regret, che ancora una volta sono la risposta tutta occidentale alle ingiustizie e ai crimini di un mondo ormai globalizzato. Le teorie del cultural trauma rischiano cos di trasformarsi negli ennesimi occhiali, tutti occidentali, con cui pretendiamo di guardare e salvare il mondo Come si risarciscono allora gli orrori dei crimini di guerra, del terrorismo e dei genocidi? In fondo lidea stessa di risarcimento che dobbiamo mettere in questione. La cultura Gypsy ci obbliga a scontrarci con la nostra specifica Weltanschauung, mostrandoci come la memoria possa divenire tuttaltro. Luso democratico della memoria ci appare allora allimprovviso come un po provinciale, come una modalit tutta interna ai nostri paradigmi intellettuali e alle nostre politiche istituzionali. Occorre solo procedere con maggiore accortezza, rendendoci ancora una volta conto del nostro etnocentrismo scientifico, intellettuale e politico. Riferimenti bibliografici Alexander J. C., (2004), Toward a Theory of Cultural Trauma, in Alexander et all. 2004, pp. 1-30. Alexander J. C., R. Eyerman, B. Giesen, N. J. Smelser, P. Sztompka, (2004), Cultural trauma and collective identity, University of California Press, Berkeley. Bodnar J., (1993), Remaking America: Public Memory, Commemoration, and Patriotism in the Twentieth Century. Princeton, Princeton University Press, New Jersey. Bodnar, John. (1996). Public Memory in an American City: Commemoration in Cleveland. In J. R. Gillis (ed.), Commemorations. The Politics of National Identities, 74-90. Princeton, New Jersey: Princeton University Press. Caruth C., (1995), Trauma: Exploration in Memory, John Hopkins University Press, Baltimore and London. Casey E. S., (2004), Public Memory in Place and Time, in Philipps K. R. (a cura di), 2004, pp. 17-44. Felman S., (1995), Education and Crisis, or the Vicissitudes of Teachers, in C. Caruth (a cura di), Trauma: Exploration in Memory, John Hopkins University Press, Baltimore and London, pp. 13-60.

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