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M a n u a l i d i s c i e n z e p s i c o s o c i a l i psicologia della decisione biologia evoluzione cultura a cura di Mauro Maldonato SP16 Estratto della pubblicazione

psicologia della decisione...termine (Neuroeconomia I) il campo di studio delle modalità con cui il tessuto neurale è costruito, di quelle attraverso cui Estratto della pubblicazione

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psicologiadella decisionebiologia evoluzione cultura

a cura diMauro Maldonato

SP16

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ellissi

Manuali discienze psicosocialiManuali discienze psicosociali

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Copyright © 2008 Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Serie - settembre 2008

Copertina: Gianfranco de Angelis

Il catalogo è consultabile sul sito Internet: www.ellissi.it

Stampa: Arti Grafiche Italo CerniaVia Capri, 67 - Casoria (NA)

Tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale

© è un marchio della ESSELIBRI S.p.A.ellissi

ellissi

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Introduzione 5

Intr

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ione

La crescita vertiginosa delle evidenze sperimentali nell’ambitodelle neuroscienze sta cambiando radicalmente la nostra tradi-zionale rappresentazione del cervello, della mente e del lorofunzionamento. L’introduzione delle nuove metodiche non in-vasive di brain imaging — che permettono di stabilire connes-sioni funzionali tra attività mentali e specifiche strutture anato-miche — sta infatti ampliando fortemente l’orizzonte della ri-cerca sulla fisiologia della vita di relazione, sui diversi quadripsicopatologici, come pure sulla sfera psicologica della deci-sione umana. Particolarmente in questo ambito, l’incrementodei dati a nostra disposizione ci aiuta non solo a riformulare inprofondità le teorie sul giudizio normativo e sulla teoria delladecisione — superando, così, le tradizionali opposizioni men-te-cervello, natura-ambiente, ragione-emozione, struttura-fun-zione e così via – ma anche a connettere in una prospettivatrans-epistemica la behavioral economics e i nuovi paradigmineuroeconomici e neuroetici.I saggi contenuti in questo volume sono parte di una riflessionecritica sull’influenza teorica e sperimentale delle scienze bio-mediche, filosofiche, economiche e psicologiche nello studiodei processi decisionali. In ognuno di essi è possibile cogliere,da un lato, un certo grado di insoddisfazione per il dibattitoattuale, ancora troppo affidato ai diversi tentativi di ‘correzio-ne’ dei paradigmi normativi (con le loro architetture algoritmi-che), lasciando invece incompiuta la ricerca sulla natura imper-fetta della ragione — l’unica a metterci in condizione di venirea capo di quei comportamenti umani che sarebbero altrimenti

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etichettati come irrazionali, inadeguati o incoerenti; dall’altro, l’esigenza di unquadro teorico, soprattutto nelle scienze economiche, che assuma al propriointerno i margini di errore (sempre presenti nelle scelte umane) sottraendosicosì al richiamo di una razionalità formale perfetta. Alla luce di queste conside-razioni il rapporto con la psicologia cognitiva diviene decisivo. Lo dimostra lanascita del programma di ricerca noto come behavioral economics che, muo-vendo da approcci sperimentali rigorosi, affronta i motivi della ricorrente irra-zionalità che lascia emergere una rappresentazione del comportamento uma-no molto diversa dal paradigma neoclassico.Alla luce di queste considerazioni, l’esigenza di una ricerca transdisciplinare neesce notevolmente rafforzata. Oltrepassando ampiamente i domini tradizionalidelle diverse aree di ricerca (filosofia, biologia, psicologia ed economia), le neu-roscienze cognitive si candidano a far da ponte tra queste discipline. Natural-mente, affrontare e spiegare i processi decisionali in un’ottica transdisciplinarerichiede tempi di elaborazione non brevi. Nondimeno le evidenze neurobiologi-che, l’incremento dei dati sperimentali che si accumulano ogni giorno in ogniangolo del pianeta rendono, per moltissimi aspetti, più precisa e penetrantel’analisi del comportamento umano.A lanciare una sfida a lungo termine è la neuroeconomia, programma di ricer-ca nato in ambito anglosassone, i cui risultati — al di là degli ovvi problemimetodologici ed epistemologici ancora irrisolti — stanno influenzando signifi-cativamente il dibattito sulla natura dell’azione consapevole, della coscienza,del libero arbitrio e così via. Mediante lo studio dell’attivazione di aree cerebraliin volontari sottoposti a task sperimentali differenti, psicologi, neuroscienziatied economisti stanno avanzando ipotesi perspicue non solo sulle basi neuralidelle scelte morali e delle decisioni economiche, ma, anche su una enormequantità di domande irrisolte che premono alle porte della scienza.In realtà, per tutta la metà dell’Ottocento e per buona parte del Novecento, traeconomia e psicologia vi è stata una distanza siderale. Ad accrescerla, contribu-irono, intorno alla metà del secolo scorso, le ricerche del matematico von Neu-mann e dell’economista Morgenstern, i quali formularono una teoria della de-cisione ispirata ad una razionalità perfetta, formalizzabile e tendente alla massi-mizzazione dell’utilità attesa. Tale teoria, resa attraente da un’elegante vesteassiomatica, segnò non solo una divaricazione ancora più netta tra le due disci-pline, ma favorì addirittura la nascita di due paradigmi distinti: uno normativo

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in economia, che pone in forma assiomatica il percorso che dagli input infor-mazionali giunge alla scelta del decisore; l’altro descrittivo in psicologia, chevalorizza i comportamenti ‘reali’ dei decisori facendo appello all’osservazione enon già ad enunciati a priori.Pochi anni più tardi, ad aprire alla dimensione ‘cognitiva’ dei processi di deci-sion making furono studiosi come Friedrich von Hayek ed Herbert Simon,pensatori la cui importanza è ancora solo parzialmente riconosciuta. Ancorchéprovenienti da scuole di pensiero diverse — ma con la caratteristica comune diessere entrambi scienziati eclettici con interessi in ambito psicologico, econo-mico, informatico e matematico — Hayek e Simon analizzarono rigorosamen-te la rational choice in economia, studiando i vincoli cognitivo-computazionalidegli individui e i relativi limiti informativi, temporali, mnestici ed euristici.Non credo di allontanarmi dal vero sostenendo che il razionalismo evoluzioni-stico di Hayek e la razionalità limitata di Simon costituiscono i pilastri di unarazionalità che prende congedo da un’economia matematica per approdare auna visione del comportamento umano più articolata e profonda. Nella loroelaborazione la razionalità si libera dei caratteri assoluti, ottimizzanti e autorita-ri, per divenire limitata e fallibilista. La conoscenza razionale, che intrattienesolidarietà profonde con il razionalismo critico di Karl Popper, si costituiscecome la vera alternativa all’empirismo logico della prima metà del Novecento.In questa vera e propria rivoluzione copernicana a svolgere un ruolo cruciale èora la parzialità e provvisorietà delle conoscenze individuali, in cui sensorialità erazionalità assumono caratteri assolutamente aperti. La piena auto-compren-sione e auto-spiegazione della mente appare al più un mito. Inoltre, le scelteche ordinariamente massimizzano l’utilità attesa sono eventualmente da inten-dere nel senso simoniano di soddisfazione, non già in quello di ottimizzazione.Del resto, ai limiti cognitivi e ambientali si devono aggiungere quelli psicologiciindividuali, senza escludere la possibilità, affatto paradossale, che l’inconsciosia un decisore più efficace della razionalità consapevole. Nell’ordine sensorialehayekiano, la mente può elaborare un numero smisurato di conoscenze di na-tura diversa, di cui i processi consapevoli rappresentano una minima parte esulle quali la mente cognitiva può esercitare controlli parziali. In questo senso,sarebbe di estrema importanza riflettere sulla plausibilità di un ‘inconscio cogni-tivo’ (molto più vasto della coscienza consapevole) che regolerebbe le decisionie le azioni umane di ogni individuo.

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In questo volume, la genealogia della crisi del razionalismo macroeconomico— con l’affermarsi, a partire degli anni Settanta, del paradigma heuristics andbiases approach, del framing effect, della prospect theory e altro ancora: cioèdi tutti quegli aspetti che hanno confutato sperimentalmente le regole dell’eco-nomia classica — è analizzata nel saggio di Dell’Orco e Maldonato, in cui l’ana-lisi delle diverse teorie e delle più recenti ricerche sperimentali è svolta alla lucedi nuovi ambiti di ricerca interdisciplinari come la neuroeconomia e la neuroe-tica.Nel loro saggio, Manuti e Mininni analizzano le dinamiche decisionali in ambitoorganizzativo-manageriale. Gli autori evidenziano come scelte coordinate ecooperative consentano ad individui e gruppi la gestione della complessità edell’ambiguità presente nei contesti organizzativi. Il processo di decision-making— strettamente connesso al paradigma del sense-making — assume un’impor-tanza cruciale per la negoziazione dei significati, l’attribuzione del senso allesituazioni incombenti, la gestione delle risorse umane, la condivisione deglieventi per assumere decisioni orientate al perseguimento di obiettivi istituzio-nali. La razionalità limitata dell’uomo si realizza nella presenza stessa di diversiattori, ciascuno con obiettivi, pratiche comunicative e strategie cognitive diffe-renti che spesso deviano le decisioni dai canoni normativi della razionalità.Dal canto suo, Recchia Luciani indaga la relazione tra processi decisionali eneuroscienze, mostrando come, a molti livelli evolutivi e su scale temporalidifferenti, i processi decisionali, anche involontari, presentino un elevato gradodi complessità e di adattabilità, che permettono a un organismo di rispondereadeguatamente alle diverse condizioni ambientali. Gli strumenti emergenti del-l’investigazione neuroscientifica hanno chiarito aspetti peculiari della comples-sa architettura neurale che sottende le nostre scelte riconoscendo legittimitàscientifica anche a quelle emozioni tradizionalmente considerate emblema delnon razionale, ostacolo all’agire intelligente.Nel saggio di Oliverio il dibattito sulla razionalità della decisione-azione indivi-duale è posto in relazione al comportamento normativo dell’homo oeconomi-cus descritto attraverso rigorosi modelli logico-matematici. Tale paradigma èstato esteso dall’ambito economico a quello più generale delle scienze sociali epolitiche, costituendo uno strumento di analisi anche delle scelte collettive e diinterazione strategica. In tal senso, la ‘teoria dei giochi’, campo di applicazionedi vastissime proporzioni, ha assunto un ruolo decisivo nella comprensione

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delle decisioni individuali in situazioni di interazione tra diversi soggetti. Nellasua evoluzione — dai lavori pionieristici di von Neumann e Morgenstern agliequilibri di Nash, fino al più recente approccio di tipo ‘evolutivo’ — è possibileindividuare il passaggio dall’ipotesi di una razionalità ottimizzante a quella piùrealistica di una razionalità limitata e fortemente adattiva.Lo studio di Quinto pone al centro della sua riflessione il tema della decisionealla luce della crisi gnoseologica ed epistemologica che negli ultimi trenta anniha caratterizzato in maniera pervasiva ogni campo del sapere: filosofico, politi-co, sociale, psicologico. Passando in rassegna le opere di alcuni tra i più auto-revoli pensatori del tardo Novecento — Foucault, Morin, Lyotard, Deleuze,Guattari, Lévy — il saggio ricostruisce una genealogia delle ambivalenze strut-turali insite nella società contemporanea (decisione/potere, organicismo/oli-smo, decisione/senso) di cui le scelte individuali, in quanto criterio esplicativodell’agire sociale, ne rappresentano il filo conduttore.

In conclusione, una scienza della decisione esige non solo metodiche sofisti-cate, ma anche accurate strategie epistemologiche per il proprio sviluppo. Glienormi sforzi che le neuroscienze e le scienze cognitive portano avanti sonosolo il primo passo per la costruzione di un corpo di conoscenze ben integrate.Per ora, nonostante questa fortunata stagione di studi, siamo ancora ad unafase iniziale. Questa ricerca è un tentativo di gettar luce su un così affascinantee cruciale problema.

MAURO MALDONATO

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Neuroscienze cognitive e processi decisionali 11

Neuroscienze cognitive e processidecisionali

di Angelo Recchia Luciani

Non ripeto a chi, dato un angolo [di un argomento]non è capace di trarne la prova degli altri tre.

CONFUCIO

Decisioni e ricompense

Gli esperimenti di Frank Keil, Susan Gelman e Henry Wellmanhanno dimostrato l’esistenza di idee essenzialiste sugli esseriviventi anche nei bambini in età prescolare; l’intera folk biolo-gy è basata sull’intuizione trainante secondo cui alla base dellaqualità di essere animato è una fonte interna e rinnovabile dienergia (cit. in Pinker, 2000, p. 348). Montague (2007) in unrecente articolo pone tale intuizione a fondamento dell’interoapproccio della neuroeconomia, dato che «gli organismi mobi-li vanno a batteria»: per essi l’orologio non si ferma mai, cosìcome il consumo di energia, l’investimento di ogni piccolaporzione del quale rappresenta pertanto una scelta «economi-ca». Questo stesso autore definisce come prima accezione deltermine (Neuroeconomia I) il campo di studio delle modalitàcon cui il tessuto neurale è costruito, di quelle attraverso cui

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esso si sostenta nel tempo, e di quelle mediante le quali processa le informazio-ni con una elevatissima efficienza, del tutto sconosciuta alle macchine compu-tazionali (che peraltro possono contare su risorse energetiche virtualmente in-finite), innanzitutto in relazione all’assenza del fondamentale vincolo di tutti gliorganismi viventi (Levy et al., 1998; Laughlin et al., 1998, 2001, 2004; At-twell et al., 2001).Una prima obiezione può essere posta all’idea che il trattamento dell’informazionesia la connotazione tipica dei tessuti neurali. La Scuola di Santiago (dalla città chedette i natali a Maturana e Varela) predicava la coincidenza di vita e cognizione: achi ancora pensi a questa come a un’astrazione, si potrà mostrare il funzionamentodel ‘sistema di ricerca’ di Escherichia Coli, che, ricordiamolo, è un organismounicellulare, un procariote privo di nucleo ma anche di plastidi, mitocondri, oflagelli evoluti (Alberts et al., 1989). Qualcosa insomma di molto lontano dal livellodi organizzazione di un organismo pluricellulare, provvisto o meno di sistema ner-voso. Questi bacilli sono caratterizzati da metabolismo aerobio facoltativo: possonofermentare il lattosio, un disaccaride. Ed esibiscono comportamenti sofisticati. Sonolunghi 1-2 μm, e la loro intera superficie è ricoperta di flagelli peritrichi, la cuidirezione di rotazione può essere controllata, in modo da far ‘nuotare’ il batterio inuna direzione specifica (lungo gradienti, verso elevate concentrazioni di nutrienticome zuccheri o dipeptidi, o lontano da elementi nocivi, quando i flagelli si muovo-no all’unisono in senso antiorario), o, a ‘meta raggiunta’, in modo da produrremovimenti ‘inefficienti’, tali da produrre solo piccoli spostamenti (i flagelli si muovo-no, in senso orario, l’uno indipendentemente dall’altro). Il ‘sistema di ricerca’ fun-ziona attraverso il coordinamento dell’azione di parecchi motori flagellari: i com-plessi proteici — piccole turbine che funzionano a idrogeno — ‘inseriti’ tra mem-brana plasmatica e membrana esterna, che producono il movimento del flagello.Motori e flagelli in questo sistema sono attuatori; e sono guidati da molecole-segna-le interne al citosol, prodotte in relazione ad una variabile attività enzimatica dispeciali proteine allosteriche, anche queste incastonate nella membrana plasmati-ca principale. Queste proteine sono un elemento chiave, ‘sensibile’ in relazione allasua doppia polarità e funzione. L’«esterno» della membrana vede infatti espostauna superficie ‘legante’ aminoacidi, zuccheri o peptidi; quando questi sono legati,muta l’attività del polo ‘interno’ catalitico, e dunque la concentrazione delle mole-cole ‘segnale’. Molte altre componenti intervengono nel processo, in realtà assaipiù complesso: vi sono talora elementi interposti tra recettore esterno e attività

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enzimatica interna; i diversi nutrienti o le sostanze nocive e i loro gradienti vedonoi loro segnali ‘integrarsi’ nel definire il moto del procariote; meccanismi molecolariinterni di ‘lavaggio’ limitano gli effetti nel tempo. In sintesi, a molti livelli di sofistica-zione evolutiva ‘sotto’ qualunque modello ‘neurale’, la complessità dei processicomportamentali e decisionali è già impressionante. La vita è cognizione: e lo è inrelazione al deciso prevalere, sin dai suoi esordi, dei processi di trasferimento etrasformazione dell’informazione, rispetto ai corrispondenti fenomeni inerentimateria ed energia. La sopravvivenza di una macchina computazionale artificialenon dipende né dalla allocazione delle risorse energetiche né dalla efficienza deisuoi algoritmi; non essendo poi essa configurata per replicarsi, questi fattori nep-pure teoricamente hanno la possibilità di un’influenza sull’inesistente successo ri-produttivo.La diffusione dei processi cognitivi e decisionali sembra in prima istanza ulte-riormente rafforzare il postulato generale certamente condivisibile per cui iprocessi vitali, e tra questi innanzitutto quelli destinati all’elaborazione dell’in-formazione, debbano invariabilmente riflettere un paradigma di efficienzamassimale. Se ne ricava un’ardita ipotesi esplicativa, quella secondo cui «misu-razioni del calore all’interno di piccoli volumi di tessuto cerebrale» possonoilluminarci non solo sul coinvolgimento di una determinata area cerebrale nelprocessamento dell’informazione (l’ipotesi in base alla quale conferiamo signi-ficatività agli studi effettuati con le tecniche di analisi metabolica: PET, fMRI),ma addirittura direttamente sul possibile carico computazionale, che in taleipotetico scenario di «massima efficienza» vedrebbe una diretta proporzionalitàtra la dinamica della richiesta metabolica nel volume del tessuto neurale, e lacomputazione di cui questo sarebbe responsabile.A limitare la possibilità di analisi degli eventi secondo questo paradigma sareb-be solo la variabilità delle scale temporali e spaziali, che costringerebbe all’usodi tecniche diverse: quando per esempio studiamo velocissimi e piccolissimi(nell’ampiezza della differenza di potenziale) fenomeni elettrici, altri eventi ine-renti le stesse vie costringeranno all’uso di altri paradigmi sperimentali. Nellatrattazione che segue dei sistemi dopaminergici del reinforcement learning letecniche proposte studiano soltanto le variazioni transitorie della frequenza discarica neuronale nel range temporale 50-250 millisecondi.Una premessa: possiamo distinguere tre diverse funzioni di una ricompensa.La prima è il piacere e le relative emozioni positive, una dimensione affettiva

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definita «liking». Vi è poi un aspetto motivazionale, il «wanting», cioè quantosiamo disposti a spendere per ottenerla (Berridge – Robinson, 2003). Final-mente, essa agisce come rinforzo, aumentando frequenza e intensità dei com-portamenti finalizzati alla sua acquisizione (come nel condizionamento classicoe in quello operante; Pavlov, 1927). Qui faremo riferimento a quelle forme diapprendimento che consentono l’ottenimento del maggior numero di beneficicol minor numero di costi.Attraverso lo studio dei circuiti che utilizzano dopamina come neurotrasmetti-tore, e l’uso di tecniche di localizzazione recettoriale, sono state identificatealmeno otto vie dopaminergiche nel cervello, tre delle quali rivestono particola-re importanza, e hanno tutte origine mesencefalica: sono la via mesolimbica,la mesocorticale e la nigrostriatale. La via associata alle funzioni di rinforzodella ricompensa è la mesolimbica, che prende origine dall’area tegmentaleventrale, raggiungendo più strutture del sistema limbico, compreso il nucleoaccumbens. Questa via può essere studiata con l’impianto di elettrodi: questipotranno mostrare una modulazione nell’attività, attraverso variazioni nel ti-ming e nell’ampiezza delle scariche o nella lunghezza delle pause tra queste.Tale metodologia di studio esclude però la possibilità di analisi di eventi come lelente fluttuazioni nei livelli base di dopamina (analizzabili in altri contesti contecniche micro-dialitiche).Lo studio diretto delle variazioni transitorie nella frequenza di scarica dei neuro-ni dopaminergici ha permesso di dimostrarne la correlazione con un meccani-smo di errore di predizione della ricompensa (Reward Prediction Error, RP):con tecniche simili al condizionamento classico è possibile addestrare un ani-male a riconoscere un indizio che prelude ad una determinata ricompensa,ricompensa che segue ad una distanza di tempo determinata. Ove la distanzatemporale risulti rispettata, l’ottenimento della ricompensa non produce altera-zioni transitorie nella frequenza di scarica nei neuroni dopaminergici, frequen-za che aumenta bruscamente nel caso di ricompense inattese, e al contrariodiminuisce altrettanto velocemente quando all’indizio non faccia seguito, neltempo previsto, la ricompensa attesa. Il Reward Prediction Error mostra ca-ratteristiche formali assolutamente analoghe al segnale di apprendimento del-l’algoritmo di variazione temporale (Temporal Difference, TD) usato nella ‘com-puter science’. Il segnale di ottenimento o meno di una ricompensa attesa in untempo stabilito (in base all’esperienza acquisita durante la fase iniziale dell’espe-

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rimento, di addestramento) viene, in tale contesto, utilizzato sia per una miglio-re predizione delle ricompense future, che nella scelta di azioni che conducanoa ricompense. Su tale base metodologico-epistemologica viene costruito il suc-cessivo setting sperimentale, in cui esperimenti di fMRI in soggetti umani mo-strano l’attivazione (evidente grazie all’effetto BOLD) di determinate aree cere-brali relativamente ad un Reward Prediction Error. Stavolta, in effetti, su diuna scala temporale del tutto differente: gli eventi osservati dipendono dall’atti-vazione locale del microcircolo cerebrale, attivazione che ha luogo (quando haluogo) con un ritardo di circa 4 secondi.

Cervelli guidati dal bisogno, sensibili alla rilevanza

In realtà, un tale modello risulta ben difficilmente sostenibile ove si considerinoaltri fattori. Innanzitutto, un incremento nel consumo di glucosio (studiabile conla PET) o di ossigeno (studiabile con la PET o la fMRI), in altre parole una sortadi aumento del consumo energetico locale, non riflette affatto una costante einequivocabile diretta proporzionalità rispetto al coinvolgimento di un’area ce-rebrale, né, tanto meno, la presunta «capacità computazionale» di una qualchefunzione cerebrale o mentale.La fMRI è basata addirittura su un effetto paradosso che comporta l’incremen-to locale di emoglobina ossigenata non sfruttata dai processi ossidativi, contanti saluti al postulato della massima efficienza. In molti casi inoltre aree «mute»in fMRI mostrano di essere assolutamente attive nel corso di una determinatafunzione cerebrale o mentale quando si utilizzino metodologie di studio diffe-renti. Ad esempio, si può registrare l’attività elettrica del tessuto cerebrale: suscalpo, su corteccia o addirittura con microelettrodi neuronali; stimolarla o bloc-carla temporaneamente, come fanno le diverse tecniche di stimolazione ma-gnetica transcranica o, direttamente sulla corteccia, le tecniche di stimolazioneelettrica che temporaneamente interferiscono con l’attività locale di un’areatissutale. Queste ultime ancora oggi sono considerate il «golden standard» quandoad una generica diagnosi, o alla dimostrazione di un coinvolgimento locale,non debba seguire soltanto la pubblicazione dei risultati, ma un intervento chi-rurgico demolitivo destinato quasi invariabilmente a cambiare drasticamente lavita di un paziente.

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Così, non possiamo che ribadire dubbi circa l’eventuale applicabilità ‘esclusiva’del concetto di computazione ai fini della comprensione dell’ambito generaledel trattamento dell’informazione in biologia e a quello specifico del funziona-mento dei sistemi nervosi. In entrambi i modelli, che si utilizzi un animale daesperimento o che si designi in una «macchina che impara» un obiettivo daidentificare, è lo sperimentatore che definisce i parametri delle «ricompense»,ma con un’importante differenza.Nel primo caso, quello di un cervello, i bisogni, gli obiettivi e i valori sonocontinuamente variabili (pensate ad esempio all’acqua, quando avete sete op-pure no) ma sempre in inequivocabile relazione con la sopravvivenza e il suc-cesso riproduttivo. La corteccia orbitofrontale ha un ruolo specifico di rispostacorrelata al «valore premiante» di uno stimolo piuttosto che alle sue caratteristi-che fisiche: se queste non mutano (offriamo lo stesso cibo ad un animale che sen’è saziato) è la sazietà che «spegne» l’attività corticale specifica (O’Doherty etal., 2002; Knutson et al., 2001; Gottfried et al., 2003), attività che torniamo aelicitare nella stessa regione semplicemente con il cambio del menu. La ricom-pensa è ancora la stessa, perché identico è il suo liking, ma è anche cambiata,poiché per il momento si è esaurito il suo wanting. Le ricompense devonorivestire un significato biologico: costituire comunque una informazione rile-vante per l’animale. La scelta non è arbitraria; e gli obiettivi di maggior valore(come cibo o sesso) sono così importanti che non è possibile rischiarne la per-dita, e dunque vengono programmati «off line» nel corredo genetico dell’anima-le, che non deve pertanto né impararli né rappresentarli, per averne necessità.In questo scenario appare comprensibile non solo l’estrema variabilità dellaconnotazione valoriale dello stimolo (che è costante in quanto stimolo, ma di-sponibile oppure no), ma anche la sua possibilità di funzionare in quanto taleanche (e talora soprattutto) quando è assente. Grazie a molteplici meccanismidi memoria (non solo nervosa ma per esempio anche immunologica) funzionisimili valgono anche per stimoli appresi.Nel secondo caso (istruire una macchina) l’obiettivo trova il suo significato solonella mente dello sperimentatore, in relazione ad una sua scelta originale oeventualmente ad una scelta appresa, fornitagli dalla comunità di riferimento.Indipendentemente dalla difficoltà di implementare algoritmi complessi cheemulino la variabilità sopra descritta (in assenza del riferimento costante so-pravvivenza-successo riproduttivo) torna ad avere pieno vigore la celeberrima

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obiezione configurata nell’esperimento della «stanza cinese» da John Searle. Lemacchine computazionali non operano su informazioni: operano su segnali,oggi di natura elettrica, domani forse di tipo fotonico o quantico, segnali fornitida dispositivi di input, sottoposti a elaborazione attraverso complessi sistemi diregole, e inviati a dispositivi di output. Input, sistemi di regole e output sonotutti costruiti a misura d’uomo, perché esclusivamente nella sua mente trovanosenso. L’illusione che le nuove metodiche di brain imaging possano darci ri-sposte significative non soltanto riguardo alla biologia e alla neurologia delladecisione, ma anche importanti indizi inerenti la neuroeconomia, sembra an-dare oltre il ragionevole obiettivo di un modello dell’uomo che superi quelloclassico dello smithiano homo oeconomicus. I nuovi metodi per lo studio delcervello forniscono infatti dati e misurazioni quantitative, qualcosa che pro-mette di superare lo storico handicap dell’economia classica, considerata ingrado di fornire descrizioni piuttosto che spiegazioni, priva della possibilità es-senziale di predire il futuro, piuttosto che — eventualmente — di comprendereil passato. Non si tratta tanto della indisponibilità spesso lamentata di modellimatematici per alcuni aspetti evidentemente importanti nei fenomeni econo-mici: dagli anni Settanta del Novecento non c’è stato studioso che non abbiaintravisto le promesse delle teorie matematiche del caos e delle catastrofi. Ciòche rende questi strumenti poco significativi è che la complessità stessa deisistemi e il loro andamento non li rendono suscettibili di previsioni: ed unascienza priva di possibilità predittive è scienza a metà, nella sua impossibilitàdi mutare la storia naturale degli eventi; ovvero, di incidere sulla realtà. Inquesto senso l’economia classica è meno scienza di quel poco che viene ricono-sciuto, proverbialmente, alla medicina o alla psicologia, che non sempre rie-scono a ricostruire le complesse catene causali degli eventi di cui si occupano,ma, attraverso l’osservazione sistematica degli eventi correlati, spesso permet-tono la delimitazione, rispetto a infiniti pluriversi, di quel 20% delle cause chenei sistemi complessi tende ad avere l’80% degli effetti, come ci insegnò ilgrande economista e sociologo italiano Vilfredo Pareto. Se è vero che il ‘firing’della via dopaminergica mesolimbica ‘computa’ un reward prediction error informe che vengono colte esattamente dall’algoritmo temporal difference, nel-la stessa struttura magari le stesse cellule, attraverso gli stessi mediatori, in unaltro contesto temporale, svolgono funzioni differenti. Funzioni che il modellocomputazionale non è capace di cogliere.

Estratto della pubblicazione

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Economia e neurologia della decisione: la delimitazionedell’oggetto di interesse

Il cervello non è un organo né un apparato. In quanto entità morfologica(perciò anatomica) e/o funzionale (e dunque fisiologica) un organo o un appa-rato, nell’organismo, si delimita in relazione allo svolgimento di una specificafunzione. Le definizioni più semplici sono scolastiche, didascaliche (organi disenso come canali? Sensori/trasduttori? Funzioni di moto svolte da attuatori?),quelle più complesse un po’ vaghe. Il Sistema Nervoso tratta informazione: maevidentemente anche i geni, il sistema immunitario o quello endocrino. Lefunzioni svolte sono numerose: e si pongono a livelli logici diversi. Alcune (dallivello molecolare al cellulare, sino a quello delle reti di neuroni), studiate in unambito biochimico, biologico, fisiologico e neurologico; altre affrontate sul pia-no comportamentale, psicologico, mentale, e relazionale delle strutture sociali,da quelle nucleari diadiche sino ai gruppi umani di maggiore complessità. Qualè dunque il livello logico «corretto» cui situare lo studio del rapporto tra econo-mia e neurologia della decisione? Il livello degli «organi mentali», ‘meccanismi’innati, realizzati da strutture cerebrali o sociali (com’è il caso del «LanguageAcquisition System Support» di Jerome Bruner), postulati come necessari arealizzare processi dimostrabili sul piano neurologico o psicologico. L’organoo ‘dispositivo mentale’ si precisa nel ‘modulo cognitivo’ secondo la definizionedi Fodor (1988, p. 53). I moduli sono «specifici per un dominio particolare,determinati geneticamente, preprogrammati, autonomi», dalle operazioni «ob-bligate» e «rapide», «incapsulati informazionalmente» (cioè specifici per tipo diinformazione) e «associati a un’architettura neuronale fissata».Da ciò si origina il paradigma metodologico generale delle neuroscienze cogni-tive: individuare funzioni, cercare correlazioni funzionali in strutture neura-li, «provarle» attraverso il paradigma lesionale, in cui una patologia o undeficit indotto transitoriamente in modo artificiale (come nella stimolazionemagnetica transcranica) impedendo la funzionalità di una struttura, rallenta oarresta la funzione che stiamo studiando. Molto di quello che sappiamo nelnuovo ambito disciplinare oggi definito Neuroeconomia (e specificatamenteNeuroeconomia II nella descrizione che ne fa Montague) fa riferimento esatta-mente a questo: alla scoperta di funzioni psichiche che governano, talora in

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modi controintuitivi, processi decisionali. In molti casi non si tratta di scoperterecenti, per il loro risalire agli studi pionieristici di Tversky e Kahneman inIsraele negli anni Settanta: scoperte che peraltro sono state portate alla ribaltadalla possibilità che i paradigmi sperimentali della psicologia potessero esseresomministrati a volontari sani nell’ambito di esperimenti «funzionali» resi possi-bili dalle nuove neuroimmagini a scarsa invasività; e, forse, dall’assegnazione dipremi Nobel per l’Economia a psicologi (Simon nel 1978, Kahneman nel 2002,senza contare i contributi alla Psicologia di matematici come John Forbes Nash,Nobel nel 1994 per la sua teoria dei giochi, o Maurice Allais, Nobel nel 1978).Torniamo agli esperimenti fMRI con volontari sani a proposito del RewardPrediction Error. Sintetizzando il risultato degli esperimenti condotti con leregistrazioni elettriche intraneurali, possiamo dire che lo spike dopaminergicocorrela con un valore, dato dalla probabilità del premio moltiplicata per la suaentità (quantità o ampiezza). Questo rende potente l’analogia tra l’algoritmoTD (Temporal Difference) e il RP (Reward Prediction Error). In entrambi i casi,il valore del premio è definito, ma non è esplicito, bensì implicito nel sistema, epossiede un carattere estremamente variabile quando il sistema sia biologico,come accade nell’animale da esperimento o, negli esperimenti fMRI, nel volon-tario sano. Anche nel caso di un potente stimolo biologico primario, a conno-tazione esclusivamente sensoriale, privo di ogni necessità di interpretazione,questa diversità è assolutamente evidente: se lo stimolo è il cibo, il suo valorecambierà parecchio se utilizziamo un soggetto digiuno piuttosto che uno satol-lo. Esperimenti sull’aspettativa di una ricompensa hanno dimostrato che unarisposta emodinamica BOLD dello striato ventrale e nelle parti ventrali dellostriato dorsale correlano con un errore RP (Reward Prediction). Di grandissimointeresse appare il parametro che fa la differenza tra le due possibili risposte:l’errore RP produce una risposta BOLD misurabile nello striato ventrale nelcaso di una ricezione passiva dell’eventuale ricompensa. Questa risposta è sta-ta definita critic signal. Ove, al contrario, l’ottenimento della ricompensa im-plichi un ruolo attivo, un’azione specifica, l’errore RP produce una rispostaBOLD misurabile nelle parti ventrali dello striato dorsale. Questa risposta èstata definita actor signal (Knutson et al., 2000, 2001; Berns et al., 2001;McClure et al., 2003; O’Doherty et al., 2003, 2004a, 2004b; Montague etal., 2006). Ricompense o penalizzazioni economiche inducono una significati-va risposta emodinamica dello striato (Delgado et al., 2000; Elliott et al., 2003),

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ma altri lavori hanno mostrato che anche l’anticipazione di una ricompensaattiva lo striato. Se facciamo precedere la ricompensa da un segnale che lapreannuncia, la risposta emodinamica compare con l’indizio e mostra un incre-mento sino all’ottenimento della ricompensa. Nella regione del nucleo accum-bens, in particolare, è possibile registrare una risposta di picco proporzionalealla quantità di denaro ottenuta (Knutson et al., 2000, 2001).

Ottenere ricompense in un contesto sociale

Negli umani, una delle specie in cui la socialità gioca il maggior ruolo, la granmaggioranza delle ricompense così come delle penalizzazioni ha luogo in un con-testo sociale. Peter Wason nel 1966 introdusse un «test di selezione» per saggiarela capacità delle persone «di trovare fatti che violano una ipotesi, in particolare unaipotesi condizionale nella forma ‘Se P allora Q’ (If… then)». Venticinque anni direpliche del test hanno sostanzialmente dimostrato che il ragionamento scientificonon è molto simile al ragionamento quotidiano. Dei quattro compiti proposti, spesso(come accade nel primo) la risposta è esatta solo in un terzo dei casi. In alcuneversioni del test di selezione di Wason però — come nel secondo esercizio propo-sto — i successi raggiungono fino al 75%. Senza entrare nel dettaglio del test,diremo semplicemente che il primo problema è astratto, mentre il secondo è con-creto; il primo problema è oscuro, il secondo familiare. Già nel 1985 la psicologaevoluzionista Leda Cosmides nella sua tesi di dottorato dimostrò che non è questala differenza essenziale, poiché nel secondo caso era possibile individuare la solu-zione non in base alla logica, ma grazie ad una specifica essenziale attività, rispettoalla quale esibiamo una peculiare sensibilità: barare in riferimento ad un contrat-to sociale. Qualcosa che, evidentemente, nella specie più collaborativa del pianetaha subito una notevolissima pressione evolutiva.

Cosmides escogitò una serie di esperimenti che prevedevano quattro situazioni:• una situazione ignota, ma presentata come un contratto sociale;• una situazione altrettanto ignota, ma non presentata come un contratto

sociale;• una norma astratta;• una situazione familiare presentata in forma narrativa.

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In ciascuna situazione era possibile misurare il successo del ragionamento ipo-tetico-deduttivo attraverso l’individuazione della corretta ipotesi «Se P alloraQ». Le percentuali di successo furono rispettivamente 75%, 21%, 25%, 46%.Il rilievo essenziale consistette nel riconoscimento che ragionare in termini dicontratto sociale aiuta nell’effettuazione di una scelta logica solo casualmente:la gente non ragiona logicamente, ma cerca un equilibrio tra costi e beneficinello scambio sociale («se tu mi dai X, io ti do Y»), o rispetto allo status («ti trovinella categoria sociale X, per cui hai diritto a beneficiare di Y»). Nello specifico,le pressioni evolutive hanno sviluppato negli umani una grande sensibilità aimbroglioni e poseurs — coloro che cercano vantaggi senza pagarne i costi, oche esibiscono uno status inadeguato. Talvolta questa sensibilità sociale al bara-re corrisponde ad una corretta inferenza logica, ma spesso non è così. Gige-renzer e Hug sono andati oltre, mostrandoci che le conclusioni non solo dista-no dalla logica, ma dipendono dall’adozione di un peculiare punto di vista. Inun conflitto tra datore di lavoro e dipendente, la ‘ricerca dell’imbroglione’ dàrisultati differenti a seconda che ci si identifichi con il primo o con il secondo.Dai due punti di vista, la pensione è un costo (per il primo) oppure un beneficio(per il secondo), mentre il contrario vale per gli anni lavorati: in questo modo,«barare» significa ottenere la pensione senza lavorare (per il primo) oppurelavorare senza ottenere la pensione (per il secondo). Adottando diversi punti divista, le persone fanno valutazioni personali intorno a ragionevolezza ed equitàdi un contratto sociale e giudicano in base a questo piuttosto che rispetto aquanto effettivamente è stato contrattato, definito, negoziato, stabilito. A mag-gior ragione se non hanno alcuna informazione chiara relativamente a questiaspetti «formali». È uno scenario che richiama la classica teoria dei giochi, es-senziale modello sperimentale prima in Economia, poi in Psicologia evoluzioni-stica, oggi nell’ambito neuroeconomico.

Giochi

La teoria dei giochi trovò una importante applicazione in Psicologia evoluzioni-stica con il lavoro di Robert Axelrod. In esso, si cercò una strategia che permet-tesse di risolvere una versione ripetuta del famoso Dilemma del Prigioniero (von

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Neumann – Morgenstern, 1944). Nel gioco abbiamo due sospetti per un crimi-ne, interrogati separatamente. A ciascuno dei due viene offerta la possibilità diconfessare il crimine accusando il compagno, col vantaggio di un forte alleggeri-mento della pena. Le possibilità sono diverse: i due — senza potersi consultare— negano, ed entrambi ottengono il minimo della pena; entrambi confessano,ma così ottengono il massimo della pena. Oppure, uno dei due sceglie di collabo-rare, l’altro opta per la defezione; il primo riceve il massimo della pena, l’altro ilminimo. Se i due prigionieri potessero concordare, sceglierebbero di negare en-trambi. Senza confessioni, otterrebbero il massimo vantaggio. Ma si trovanonella ignoranza delle intenzioni altrui: e in tal caso la scelta meno rischiosa è ladefezione, perché se non è accompagnata dalla defezione dell’altro prigionierocomporta il massimo vantaggio. Axelrod (1984) lanciò due edizioni di un torneoaperto all’intera comunità scientifica per la scelta di una strategia ‘vincente’, ov-vero destinata ad affermarsi quantitativamente in termini di successo riprodutti-vo, in una popolazione di giocatori. Le strategie simulate vennero a confrontarsial calcolatore in una formula round-robin. Entrambe le edizioni furono vintedalla più semplice delle strategie proposte: «Tit-for-Tat», che in italiano potrem-mo tradurre con «pan-per-focaccia», messa a punto da Anatol Rapoport (nel1965). Tit for Tat inizia cooperando alla prima mano: poi copia sempre l’ultimamossa dell’altro giocatore. Essa si mostrò ‘vincente’, benché non in relazione alsuo divenire in un certo numero di generazioni evolutivamente stabile. Unastrategia è definita evolutivamente stabile (ESS) quando tutta la popolazione ècomposta da individui il cui genoma rappresenta tale strategia e non vi sonomutanti in grado di sopravvivere. Boyd e Lorberbaum (1987) dimostraronoche non esiste alcuna strategia «pura» che raggiunga lo status di evolutivamentestabile, rispetto al Dilemma del Prigioniero: ma questo risultato fu ottenuto daLindgren, nel 1991, grazie all’introduzione del rumore (oltre alla possibilità che lestrategie modifichino la propria memoria nel corso dell’evoluzione). Le strategiedi memoria 1 prendono in considerazione l’ultima mossa giocata dall’avversario(due possibilità, cooperazione o defezione), quelle a memoria 2 le ultime 2 (4possibilità, ovvero due alla seconda potenza) e così via. Esistono 4 strategie amemoria 1: ‘tradire sempre’, ‘cooperare sempre’, ‘copiare l’ultima mossa’ (è tit-for-tat) o ‘ribaltare l’ultima mossa’ (cooperare quando l’avversario tradisce e vice-versa). All’inizio assistiamo al trionfo di ‘tradire sempre’, che estingue ‘cooperare

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sempre’ e ‘ribaltare l’ultima mossa’. Estinte queste emerge ‘copiare l’ultima mos-sa’ (tit-for-tat) ma, ad alcune migliaia di generazioni di distanza, il sistema si stabi-lizza con un misto di ‘copiare l’ultima mossa’ (tit-for-tat) e ‘ribaltare l’ultima mos-sa’, che impediscono alle altre due varianti di proliferare. In questa forma, infatti,il rumore rende ogni strategia una combinazione di due strategie pure distinte.Raggiungiamo una stasi evolutiva, il cui equilibrio viene spezzato dall’affermarsidi una strategia a memoria 2 potenzialmente vincente, anche se di comparsaassai improbabile. Le diverse strategie presentano dinamiche fortemente oscilla-torie: e il sistema nella sua totalità attraversa lunghi periodi di stasi, alternati abrevi periodi di brusco cambiamento, in una forma pressoché analoga a quantodescritto da Eldredge e Gould (1972) nella loro teoria dell’Equilibrio Punteggiato.Le strategie a memoria 2 infatti mostrano stabilità per 3-4000 generazioni esono soppiantate dalla comparsa di strategie a memoria 3. Come sintetizzò feli-cemente Dawkins (1995, p. 221), «Una strategia è buona quando non tradiscemai per prima. Tit for Tat ne è un esempio: è capace di tradire, ma lo fa solocome ritorsione»; aggiungendo poi che è «una strategia indulgente: vendica subi-to una defezione, ma in seguito ci mette una pietra sopra». Nelle relazioni inter-personali indispensabili parrebbero dunque la fiducia e la possibilità di ritorsio-ne, quest’ultima ‘compenso’ alla fiducia mal riposta. Competizione e coopera-zione sono entrambe condizioni del comportamento intelligente. La ripetizioneo iterazione di questo come di qualunque altro gioco con gli stessi giocatoriinduce la formazione naturale di reputazioni.

Competizione, cooperazione e reputazione

La fairness è stato dimostrato essere gratificante in sé: Tabibnia e Lieberman(2007) hanno dimostrato che i circuiti dopaminergici di rinforzo rispondonoalle offerte eque indipendentemente dal loro valore assoluto; gli stessi circuitisono attivi in casi di interazione sociale come il cooperare col partner (Rilling etal., 2002) o il ripagare la fiducia riposta dall’altro (McCabe et al., 2001; Delga-do et al., 2005a, 2005b). Addirittura le scimmie rifiutano di proseguire in uncompito se vedono un loro simile ottenere, per lo stesso lavoro, una ricompen-sa assai maggiore di quella assegnata loro (Brosnan – DeWall, 2003). È questoun importante elemento della relazione interpersonale, basata sulla reciproca

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capacità, piuttosto che di indagare su ipotetici pluriversi intenzionali di infinitavariabilità, di individuare le strutture cognitive ‘portanti’: quelle strutture di in-formazione che identifichiamo come ‘valori’, credenze, convinzioni non solonei termini più generali, ma in quelli specifici di ogni singolo soggetto con ilquale interagiamo. Queste strutture cognitive stabili ci informano direttamenteed ‘intuitivamente’ (e in realtà non troppo dettagliatamente) su quello che pos-sono o non possono desiderare, temere, volere o potere i nostri conspecifici.Almeno, sullo stato emotivo che attraversano, piuttosto che non sulla specificasensazione o percezione che stanno provando. In particolare, ovviamente, co-loro che conosciamo meglio. O che crediamo di conoscere: poiché gli umanihanno sviluppato la straordinaria capacità di mentire, con quello stesso emisfe-ro sinistro che gli consente il linguaggio (le espressioni facciali ad alto contenu-to emotivo, invece, hanno controllo bilaterale, come negli altri primati (Gazza-niga, 1997), e sappiamo individuarle, perché ci vogliono grandi attori per po-terle contraffare). Oltre, come ribadiamo più volte, ad avere evoluto la specificaabilità di identificare imbroglioni e millantatori di status: spesso non per unamisteriosa capacità di leggere la mente, ma, in modo apparentemente banale,di riconoscere le incongruenze emotivo-cognitive. Fingere indifferenza per l’esitod’una trattativa, ma mostrare un lievissimo tremore, un pallore sospetto o unafatale goccia di sudore non ci racconteranno direttamente la menzogna, maindividueranno infallibilmente un mentitore (attenzione ai signori uomini: inrelazione al loro investimento parentale infinitamente più oneroso, le signoresono assai più brave, in questo gioco. Il sesso ‘forte’ compete: quello ‘debole’sceglie, e di solito scommette sull’affidabilità).

La razionalità dell’Homo Oeconomicus

Il rilevamento degli imbroglioni ‘va assieme’ al pan-per-focaccia: ci si fidasino a prova contraria: sino ad un eventuale fatidico ‘solo ora comprendocon chi ho a che fare’. Come la mettiamo con l’interesse personale e larazionalità dell’economia classica? Razionalità qui ha un significato specifico:si riferisce alla congruenza nell’utilizzo di informazioni disponibili (e quelleessenziali spesso non lo sono) atte a guidare decisioni rispetto agli obiettivi

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