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PUBBLICO IMPIEGO - DANNO DA MOBBING – RIGETTO DEQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE - DANNO BIOLOGICO – CONFIGURABILITA’ REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Napoli sezione lavoro riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Sigg. Magistrati dott. UGO VITIELLO Presidente dott. FAUSTO CASTALDO Consigliere rel. dott. UMBERTO BERRINO Consigliere ha pronunciato in grado di appello in funzione di Giudice del Lavoro all'udienza del 11 Gennaio 2005 la seguente S E N T E N Z A nella causa civile iscritta al numero 426 dell'anno 2003 del Ruolo Lavoro TRA COMUNE DI SAN BARTOLOMEO IN GALDO in persona del Sindaco legale rapp.te pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. prof. Antonio Palma e dall'avv. Camillo Cancellario presso il primo elett.te domiciliato in Napoli via Carlo Poerio 98 appellante appellato E FOLLO VERA rappresentata e difesa dagli avv.ti Donatella Parente ed Angelica Parente con cui elett.te domicilia in Napoli presso l'avv. Alessandro De Angelis via Luca Giordano 56 appellata appellante incidentale 1

PUBBLICO IMPIEGO - DANNO DA MOBBING - unitel.it da mobbing-rigetto.pdf · umiliazioni, insulti, abusi di potere o ingiuste sanzioni disciplinari che induce in colui contro il quale

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PUBBLICO IMPIEGO - DANNO DA MOBBING – RIGETTO

DEQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE - DANNO BIOLOGICO –

CONFIGURABILITA’

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli sezione lavoro riunita in Camera di Consiglio nelle

persone dei Sigg. Magistrati

dott. UGO VITIELLO Presidente

dott. FAUSTO CASTALDO Consigliere rel.

dott. UMBERTO BERRINO Consigliere

ha pronunciato in grado di appello in funzione di Giudice del Lavoro all'udienza del 11

Gennaio 2005 la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile iscritta al numero 426 dell'anno 2003 del Ruolo Lavoro

TRA

COMUNE DI SAN BARTOLOMEO IN GALDO in persona del Sindaco legale rapp.te

pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. prof. Antonio Palma e dall'avv. Camillo

Cancellario presso il primo elett.te domiciliato in Napoli via Carlo Poerio 98

appellante appellato

E

FOLLO VERA rappresentata e difesa dagli avv.ti Donatella Parente ed Angelica

Parente con cui elett.te domicilia in Napoli presso l'avv. Alessandro De Angelis via

Luca Giordano 56

appellata appellante incidentale

1

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Con ricorso depositato in data 20 settembre 2000 Follo Vera esponeva:

– di essere dipendente dal maggio 1980 dell'Amministrazione Comunale di San

Bartolomeo in Galdo quale Istruttore Contabile C2 ex VI q.f. e di aver svolto

inizialmente le mansioni del livello di appartenenza quale impiegata di concetto presso

l'ufficio Anagrafe del Comune;

– di essere stata assegnata, dalla fine del 1981, all'Ufficio Ragioneria svolgendo con

professionalità le mansioni di elevata competenza che descriveva, collaborando con il

responsabile del servizio e sottoscrivendo anche gli ordinativi di pagamento ed i pareri

di regolarità contabile in sostituzione del responsabile del servizio.

Lamentava che dalla primavera del 1999 , in occasione della campagna elettorale nella

quale ella aveva sostenuto senza successo, con il proprio consorte, una coalizione

politica sconfitta alle elezioni , erano iniziati nei suoi confronti dei preoccupanti episodi

che avevano determinato un pregiudizio professionale e psicofisico per la ricorrente. In

particolare sottolineava che in data 21 maggio 1999 il sindaco p.t. aveva

inopinatamente sporto denunzia nei confronti della Follo per essersi la stessa

allontanata dal posto di lavoro senza giustificazioni. Aggiungeva che peraltro già nel

marzo del 1999 ella era stata accusata ingiustamente di comportamenti irrispettosi nei

confronti del Sindaco.

La ricorrente evidenziava che la strategia persecutoria , così iniziata, si era

ulteriormente manifestata con l'assegnazione della Follo all'Ufficio Anagrafe dove,

dall'agosto del 1999, la ricorrente aveva svolto mansioni fino a quel momento espletate

da un impiegato appartenente alla inferiore IV qualifica funzionale. Pur essendole stato

richiesto, a conferma della professionalità posseduta, di collaborare, nel settembre

dello stesso anno 1999, con l'Ufficio ragioneria per la compilazione dei modelli di

dichiarazione dei redditi, la ricorrente con successiva disposizione del 1 marzo 2000

era stata in modo vessatorio sottoposta al controllo della responsabile dell'ufficio

anagrafe, anche essa appartenente alla medesima sesta q.f., alla quale era stato

assegnato il compito di controllare la corrispondenza e l'assegnazione delle pratiche.

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La ricorrente proseguiva elencando ulteriori episodi capaci di connotare il disegno

persecutorio messo a punto dall'Amministrazione comunale, quale quello concernente

la liquidazione a tutti gli altri dipendenti , tranne che alla Follo, delle ore di lavoro

straordinario ovvero l'altro relativo alla esclusione della medesima Follo da una

progressione economica , riconosciuta invece agli altri dipendenti, sul presupposto

della attribuzione alla ricorrente di un insufficiente punteggio di 67/70.

La Follo evidenziava ancora di essere stata ingiustamente indicata come responsabile

di disfunzioni verificatesi nel conto consuntivo 1998 e di essere stata oggetto di critiche

e censure anche in articoli giornalistici apparsi su quotidiani locali. La ricorrente

lamentava ancora ulteriori episodi, quali il diniego all'autorizzazione ad anticipare il

rientro pomeridiano per il giorno 6 marzo 2000, peraltro concessa a tutti i dipendenti

per il successivo giorno 7 marzo ovvero ancora il ritardato inserimento nello stato di

famiglia di due minori da lei adottati. Infine la Follo sottolineava che il giorno 6

settembre 2000 le era stato comunicata la revoca delle funzioni di ufficiale di anagrafe

e stato civile.

Alla stregua delle circostanze descritte, la Follo sosteneva dunque di essere stata

oggetto di una vera persecuzione culminata nella dequalificazione professionale che

aveva determinato gravi danni anche dal punto di vista medico, attestati da

certificazioni e relazioni rilasciate da specialisti in materia. La ricorrente chiedeva

pertanto che venisse dichiarata la illegittimità della dequalificazione professionale ,

ordinata la cessazione della medesima con condanna dell'Amministrazione comunale

al pagamento dela somma ritenuta equa per il risarcimento

1) del danno subito al bene della professionalità e per la perdita di chances;

2) del danno alla salute;

3) del danno morale cagionato dalle sofferenze fisiche e psichiche;

4) del danno biologico causato dalle rappresaglie subite, ivi compreso il danno alla

vita di relazione;

5) del danno esistenziale ed alla serenità personale anche in ambito familiare oltre

che lavorativo;

6) del danno all'immagine professionale ;

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7)dei danni patrimoniali subiti;

Il Comune nel costituirsi contestava la fondatezza delle prospettazioni svolte dalla

ricorrente , evidenziando che il contrasto trovava invece ragione nelle gravi

inadempienze di cui la Follo si era resa responsabile sia con comportamenti

irriguardosi nei confronti del Sindaco sia con la negligente esecuzione dei compiti

affidati. I ripetuti ritardi sommati dalla Follo e le sue assenze, riscontrate dai cartellini

orari, costituivano pertanto il vero antecedente logico rispetto all'episodio del 21 maggio

1999 determinato dall' ingiustificato allontanamento della dipendente dal luogo di

lavoro. La convenuta Amministrazione negava quindi che nella fattispecie fosse

configurabile un intento persecutorio essendo i vari episodi di pretesa discriminazione

descritti dalla ricorrente , spiegabili con la maggiore meritevolezza degli altri dipendenti

preferiti alla Follo. Quanto alla lamentata dequalificazione professionale, il Comune

eccepiva che le mansioni assegnate alla ricorrente nell'ambito dell' Ufficio Anagrafe

rientravano esattamente nella qualifica funzionale posseduta, senza che alcuna

variazione si fosse determinata nel livello retributivo raggiunto.

L'amministrazione quindi chiedeva il rigetto delle domande con vittoria delle spese.

All'esito della istruttoria testimoniale e disposta una Consulenza tecnica il Giudice del

lavoro del Tribunale di Benevento accoglieva parzialmente la domanda , con sentenza

in data 16 gennaio 2003 condannando il Comune al pagamento della somma

complessiva di euro 32.000,00 oltre interessi dalla domanda.

Spiegava appello il Comune con ricorso in data 27 febbraio 2003 nel quale, meglio

ricostruite le vicende e chiariti i singoli episodi in contestazione , negava che in danno

della ricorrente fosse stata posta in essere la condotta vessatoria sfociata nella

pretesa dequalificazione. L'appellante sottolineava l'equivalenza delle mansioni

assegnate alla ricorrente rispetto a quelle già svolte nell'ambito del profilo professionale

di appartenenza e sosteneva che nell'ambito del rapporto di pubblico impiego il

principio di equivalenza delle mansioni era disciplinato in modo peculiare rispetto a

quello vigente nell'ambito del rapporto privato.

L'appellante sottolineava in proprio favore i risvolti disciplinari determinati dai

comportamenti della Follo e negava che l'assegnazione della ricorrente all'Ufficio

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anagrafe avesse connotati punitivi o dequalificanti. L'appellante richiamava i profili e la

declaratoria contrattuale dell'area di appartenenza negando l'esistenza di una

dequalificazione professionale e sosteneva che la sentenza era stata influenzata

dall'erronea lettura delle risultanze testimoniali, peraltro falsate dall'interesse, anche

politico, degli inattendibili testi escussi.

L'appellante, con ulteriore motivo, evidenziava che le patologie lamentate dalla

dipendente erano collocabili in epoca ben remota rispetto agli episodi lamentati e che

pertanto la consulenza tecnica di ufficio, acriticamente recepita dal primo Giudice, non

aveva adeguatamente valutato l'anamnesi personale della Follo, quale risultante dalla

certificazione medica prodotta ratione temporis. Concludendo quindi anche per la

irragionevole quantificazione degli indimostrati danni liquidati dal primo Giudice,

l'appellante chiedeva la riforma della impugnata sentenza ed il rigetto delle avverse

domande.

Ricostituitosi il contraddittorio la appellata eccepiva la infondatezza delle avverse

censure e spiegava appello incidentale nei confronti della sentenza nella parte in cui

era stata ingiustamente ridotta la misura del risarcimento del danno psicofisico,

applicando una percentuale di riduzione del 37 per cento sull'inesatto presupposto

della temporaneità della invalidità contratta in conseguenza delle vessazioni poste in

essere dal Comune. L'appellata, nell'evidenziare la persistenza delle menomazioni e

dei danni e nel sottolineare che per i fatti oggetto della denunzia e del successivo

procedimento penale era stato disposto il pieno proscioglimento della Follo dalle

imputazioni ascritte, spiegava quindi appello incidentale anche per le ulteriori voci di

danno già oggetto delle prospettazioni di primo grado e non accolte dal primo Giudice.

La Follo concludeva quindi perchè il Comune di San Bartolomeo in Galdo venisse

condannato al pagamento della somma complessiva di euro 184.317,67 di cui

19.317,67 euro quale ulteriore differenza rispetto al danno psico fisico non riconosciuto

dal primo Giudice; euro 70 mila quale risarcimento del danno psicofisico e biologico

successivo al 7.5.2001, data in cui la Follo era stata reintegrata nel ruolo di appartenza;

euro 30 mila per danno patrimoniale e professionale ; euro 35.000,00 per danno

esistenziale, sociale, familiare, danno alla vita di relazione ed edonistico nonchè per la

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lesione della dignità dell'immagine professionale, della reputazione, dell'onore e del

decoro; euro 30 mila per il danno morale per i reati commessi oltre interessi e

rivalutazione monetaria.

All'odierna udienza la causa veniva discussa e decisa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La vicenda trae origine da un comportamento vessatorio, che sarebbe stato attuato

dalla Amministrazione Comunale di San Bartolomeo in Galdo nei confronti della

dipendente e posto in essere quale atteggiamento ritorsivo nei confronti della Follo

ritenuta colpevole di aver sostenuto, insieme al proprio consorte, attivamente ma senza

successo, una coalizione politica avversaria di quella risultata vittoriosa alle elezioni

della primavera del 1999. La cronologia degli eventi, quale descritta nel ricorso

introduttivo, collega a tali elezioni l'inizio degli episodi e dei primi problemi, peraltro

manifestatisi, anche ad opera di ignoti, già nel corso della campagna elettorale ( cfr.

ricorso introduttivo pagg. 4/6). Tali indicazioni temporali consentono di radicare la

giurisdizione innanzi al Giudice ordinario adito, in quanto i singoli atti di gestione del

rapporto, indipendentemente da una loro concreta correlazione con un disegno di

persecuzione reiterata, furono posti in essere tutti in epoca successiva al 30 giugno

1998. Nell'indicare nel senso esposto i criteri per accertare il riparto temporale fra

giurisdizione ordinaria ed amministrativa ( in relazione all'art 45 comma 17 dlgs 80/98

ed ora art. 69 settimo comma dlgs 165/2001 ) la Suprema Corte a sezioni unite ha

avuto altresì modo di sancire che il termine "mobbing" può essere generalmente

generalmente riferito ad "ogni ipotesi di pratiche vessatorie poste in essere da uno o

più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo

ambiente di lavoro" ( Cfr. Cass. Sezioni Unite 4 maggio 2004 n. 8438 in motivazione).

Nella formulazione attuale il termine mobbing ( ritenuto equivalente all'altro termine

"bullying") si riferisce a qualunque condotta impropria che si manifesti con

comportamenti, parole, gesti, scritti capaci di arrecare offesa alla personalità, alla

dignità o alla integrità fisica o psichica di una persona , di metterne in pericolo l'impiego

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o di degradare il clima lavorativo, mediante una pratica persistente di danni, offese,

umiliazioni, insulti, abusi di potere o ingiuste sanzioni disciplinari che induce in colui

contro il quale la prassi è indirizzata sentimenti di rabbia, umiliazione, vulnerabilità,

sfiducia. Il mobbing ricomprende dunque anche la pratica dei continui, umilianti e

ingiustificati spostamenti da un ufficio all'altro , le molestie sessuali, l'assegnazione di

compiti dequalificanti ovvero troppo difficili da espletare, il degrado dell'ambiente di

lavoro tale da umiliare il lavoratore, la privazione di benefici già in godimento, la forzata

inattività cui sia costretto il dipendente, l'affiancamento di soggetti al fine di controllare o

svilire l'attività della vittima ( cfr. nel panorama giurisprudenziale in materia Cass. 18

ottobre 1999 n. 11727; Cass. 18 aprile 1996 n. 3686; Cass. 9.1.1987 n. 67; Cass. 11.

gennaio 1995 n. 276; in particolare vedi Cass. 16.12.1992 n. 13299 per un caso di

dequalificazione professionale a seguito di lottizzazione politica).

Pare opportuno rilevare che il riferimento ad una pratica persecutoria continuata implica

che la condotta da mobbing sia qualificata proprio dalla continuazione e ripetizione

maliziosa dei comportamenti , non essendo sufficiente a tal fine che si verifichino

episodi isolati e non ricollegabili ad una strategia unitaria, potendo gli stessi ,

individualmente considerati, non assumere caratteri di univocità ( per una ipotesi di

atteggiamento persecutorio consistente nella ripetuta richiesta di visite di controllo

medico, ignorando i risultati degli accertamenti cfr. Cass. 19.1.1999 n. 475)

La casistica sui danni da demansionamento professionale, che può costituire uno dei

criteri guida per l'accertamento della sussistenza di episodi di mobbing, deve peraltro

essere esaminata, nella fattispecie sottoposta alla Corte, tenendo in debito conto che,

come sottolineato dal Comune appellante, la disciplina delle mansioni è peculiarmente

dettata nell'ambito del rapporto di pubblico impiego dall'art. 56 dlgs 29/93 sost. art. 25

dlgs 80/98 e modif. art. 15 dlgs 387/98 ed infine dall'art. 52 165/2001. Ne consegue che

devono applicarsi con prudenza gli orientamenti giuriprudenziali in tema di violazione

dell'art. 2103 c.c.

Deve , infine , considerarsi che solo dalla indagine complessiva sui comportamenti

sospetti, tenuto conto delle allegazioni svolte al riguardo dalla presunta vittima del

mobbing è possibile, tenendo conto dei rispettivi oneri probatori, pervenire

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all'accertamento dell'esistenza del comportamento persecutorio, non potendosi

sostenere che ogni comportamento datoriale , anche se capace di denotare rigore sul

piano disciplinare, possa automaticamente assurgere a riprova del fumus

persecutionis. Non diversamente deve affermarsi che non ogni dequalificazione sul

piano professionale, anche se idonea a comportare danni di ordine non patrimoniale,

dimostri , sempre e comunque, l'esistenza di una strategia vessatoria. Su tali premesse

devono essere pertanto riesaminati i comportamenti lamentati dalla ricorrente ed

oggetto delle censure spiegate dal Comune appellante.

Giova precisare , preliminarmente, che il quadro istruttorio risulta completo in quanto i

testi escussi sono stati indicati sia dalla ricorrente che dal Comune ( che ha chiesto

prova contraria con i medesimi testi e sugli stessi capi articolati dalla Follo in primo

grado) e che la istruttoria testimoniale è stata chiusa su richiesta della Follo, senza che

il Comune provvedesse a citare ulteriori testi tra quelli indicati dalla ricorrente,

incorrendo quindi nella decadenza eccepita in questo grado dalla appellata.

Il primo e più significativo episodio lamentato dalla Follo è costituito dalla denunzia

presentata dal Sindaco in seguito alla quale la ricorrente fu sottoposta a procedimento

penale per essersi ingiustificatamente allontanata, in data 21 maggio 1999 , dal posto

di lavoro . La Follo al riguardo ha però fornito versioni abbastanza contraddittorie, che

non favoriscono certo la tesi di un comportamento persecutorio e vessatorio

dell'Amministrazione Comunale. Ancora nelle more del giudizio, la ricorrente

sosteneva che la denunzia sarebbe stata presentata dal Sindaco omettendo di

precisare che la Follo era stata comandata, pochi minuti prima, dallo stesso Sindaco di

recarsi presso la Banca popolare di Novara per la consegna di alcuni mandati di

pagamento . Il Sindaco avrebbe fatto poi "irruzione" accertando in tal modo un'assenza

assolutamente giustificata in quanto determinata dalla sua stessa disposizione

impartita alla Follo ( cfr. in tal senso le note della Follo 11 febbraio 2002 pag. 3). In

realtà la stessa ricorrente , ascoltata in data 21 luglio 1999 in sede di sommarie

informazioni dai CC della Compagnia di San Bartolomeo in Galdo , senza minimamente

accennare all' ordine che le sarebbe stato (maliziosamente) impartito dal Sindaco, si

limitò ad affermare di essersi dovuta assentare per ragioni di lavoro e di non aver

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informato nessuno della sua assenza in quanto vi era un accordo tacito per il quale ella

poteva recarsi in Tesoreria senza nessuna autorizzazione specifica. Dalle lettura degli

atti del fascicolo penale , prodotti dalla Follo, emerge altresì che il Sindaco

Marcasciano, pressato dalla esigenza di risolvere un problema d'ufficio, ebbe

effettivamente a domandare con insistenza notizie sulla assenza della Follo alla

dipendente De Sciscio, senza peraltro ricevere chiarimenti in proposito ( cfr. sommarie

informazioni rese da De Sciscio Anna in data 24 maggio 1999). Sussistevano dunque i

presupposti per considerare , almeno apparentemente, priva di giustificazione

l'assenza della dipendente, sicchè non può certo ritenersi malizioso o persecutorio il

comportamento del Sindaco, che , secondo le inverosimili tesi della ricorrente, avrebbe

addirittura determinato l'allontanamento della dipendente allo scopo poi di contestarlo

in sede disciplinare o penale. Si consideri che dalla lettura della relazione psichiatrica

del 23 maggio 2000 a firma del dr. Marasco si evince che , in sede anamnestica, la

stessa ricorrente ebbe a fornire una ulteriore e contrastante versione dell'episodio,

tanto che il sanitario ipotizzava che la denunzia penale " assume valenza strumentale

giacchè l'assenza dal lavoro era motivata dai permessi ottenuti per legge per

l'assistenza ai due bambini adottati" ( cfr. relazione Marasco pag. 2). Si noti ancora che

il funzionario della Banca Popolare sig. Palma Nazareno, che la Follo sosteneva di aver

incontrato per ragioni di lavoro nell'istituto di credito nella mattina del 21 maggio 1999,

interrogato a sua volta in sede di sommarie informazioni, non ebbe a confermare tale

circostanza, dichiarando di non ricordare di aver incontrato in Banca la Follo ( cfr.

verbale soomarie informazioni Palma Nazareno del 30 luglio 1999 dei C.C.). A

prescindere dal rilievo che le risultanze penali non giocano rilievo nel giudizio civile se

non a seguito di ulteriore delibazione in tale sede, deve notarsi ancora che

il proscioglimento della Follo in sede penale ( cfr. sentenza 3/4 -12/5/2003 Trib.

Benevento in atti Follo) risulta determinato dal fatto che, in sede dibattimentale venne

accertato che ella si allontanava per ragioni d'ufficio ma senza bisogno di particolari

permessi. Venne ritenuta rilevante altresì la ulteriore circostanza che, solo all'udienza

del 3 aprile 2003, era stata esibita una quietanza relativa ad una bolletta Enel del

Comune pagata proprio in data 21.5.1999 argomentando altresì sulla credibilità della

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giustificazione , addotta dalla Follo per spiegare il protrarsi della propria assenza, di

una propria improvvisa esigenza di recarsi presso la sua abitazione per assumere un

farmaco ( Aulin). Non può pertanto apoditticamente sostenersi che il comportamento

datoriale, volto a denunziare l'assenza dal lavoro della Follo, sia stato

ingiustificatamente vessatorio ovvero che addirittura possano configurarsi gli estremi

della calunnia, in quanto le circostanze che caratterizzarono l'episodio in questione

portano ad escludere una tale ipotesi. La complessità delle indagini svolte e le iniziali

risultanze delle stesse, che determinarono il rinvio a giudizio della donna, dimostra che

non può discutersi di un comportamento palesemente vessatorio.

Nè può ritenersi che gli altri episodi di mobbing segnalati dalla ricorrente abbiano

trovato un univoco riscontro dalla istruttoria testimoniale svolta: non può in tal senso

utilizzarsi la deposizione del teste Ricciardi Giovanni nella parte in cui riferisce, con

valutazioni assolutamente personali e come tali non ammissibili, "che il Sindaco è

caratterialmente portato ad essere poco educato nei confronti di dipendenti e dei

cittadini" per giungere ad affermare che egli avrebbe "sostanzialmente vessato la

Follo". Nè può ritenersi che il preteso comportamento vessatorio avrebbe determinato

un "isolamento" della Follo solo perchè la stanza dell'impiegata non sarebbe più stata ,

all'improvviso, punto di ritrovo per il caffè mattutino (cfr. teste Ricciardi). La deposizione

resa dal teste Ricciardi, comunque, è da valutare con prudenza tenendo conto che lo

stesso , consigliere comunale di opposizione, ha addirittura retrodatato all'anno 1997 il

manifestarsi degli atteggiamenti "non ortodossi" del Sindaco nei confronti della Follo

laddove , come prima esposto, la stessa ricorrente ricollega alla primavera del 1999

l'inizio del deteriorarsi dei rapporti con il primo Cittadino.

Quanto all'episodio del 23.3.1999 nel corso del quale la Follo avrebbe tenuto un

comportamento non molto riguardoso nei confronti del Sindaco , alla presenza della

dipendente Catullo si deve rilevare, a prescindere dalle predette generiche valutazioni

dei testi sul carattere "scortese" del Sindaco, che il tenore delle giustificazioni rese dalla

Follo, con missiva in data 1.4.1999 sembra confermare l'esistenza di un atteggiamento

(se non irriguardoso) almeno molto "confidenziale" dovuto " ai buoni ed informali

rapporti intercorrenti con la persona del Sindaco" (così testualmente le controdeduzioni

10

rese dalla Follo in atti Comune n. 10). Il che consente di confermare che fino alla

primavera del 1999 la Follo nemmeno ipotizzasse o lamentasse di essere già oggetto

di precedenti atteggiamenti persecutori, tanto da ribadire i buoni rapporti con il primo

Cittadino. In tal senso risulta inattendibile quanto riferito al riguardo dal teste Ricciardi.

Non diversamente possono leggersi le ulteriori doglianze ed allegazioni svolte dalla

Follo: del tutto generico ed apodittico appare ad esempio sostenere che

l'Amministrazione Comunale si sarebbe resa maliziosamente responsabile del ritardo

(protrattosi fino agli inizi del 2000) con cui i due bambini adottati dalla ricorrente

sarebbero stati inseriti nel suo stato di famiglia. L'affermazione (che implica l'esistenza

di illecite disposizioni volte a ritardare la pratica) non solo non ha trovato concreto

riscontro sul piano della istruttoria ma anzi appare in qualche modo contraddetta dalla

circostanza che la stessa Follo , almeno dall'agosto 1999, fu addetta proprio all'Ufficio

Anagrafe, in un ambito dunque nel quale avrebbe ben potuto verificare , prevenire o

almeno dimostrare eventuali ostruzionismi alla sua pratica. Non è irrilevante allora che ,

almeno a livello anamnestico, nella citata relazione medica del dr Marasco si annota

che le inadempienze sarebbero state attribuite , dalla Follo, (non ai vertici comunali

ma ) alla impiegata comunale addetta all'Ufficio che solo nel febbraio 2000 avrebbe

provveduto all'aggiornamento dello stato di famiglia. Evidentemente la ricorrente si è

limitata ad ipotizzare risvolti vessatori in circostanze che sono attribuibili a circostanze

casuali e comunque non univoche.

L'osservazione, come le precedenti, permette occasionalmente di ridimensionare

anche la portata delle conclusioni rassegnate dai vari sanitari nelle relazioni esibite

dalla ricorrente la quale, evidentemente, con il suo racconto, ha indotto i vari specialisti

a considerare come incontestabili gli episodi raccontati a livello anamnestico, a

prescindere cioè dalla loro veridicità (si pensi , ad esempio, alla circostanza,

certamente non vera, che la assenza del 21 maggio 1999 sarebbe stata determinata

dalla fruizione di permessi ottenuti per i bambini adottati).

La Follo ha indicato altri episodi, a conferma dell'atteggiamento persecutorio assunto

nei suoi confronti dalla Amministrazione comunale, ma anche al riguardo le

affermazioni non trovano elementi di riscontro a livello istruttorio.

11

La circostanza che altri 21 dipendenti (ma non tutti i dipendenti comunali: cfr. pianta

organica del Comune sub 4 bis in atti Follo) abbiano percepito il compenso per lavoro

straordinario nella seduta del 2.12.1999 (avendo prestato servizio in varie specifiche

occasioni, ad esempio per le lampade votive al cimitero comunale, per la vigilanza

durante le ricorrenze dei Morti, per i rendiconti dei diritti di stato civile, per il taglio del

Bosco di Montauro, per la discarica comunale ecc.: cfr in tal senso il verbale in atti) non

implica anche che la delibera denoti una volontà punitiva nei confronti dei dipendenti

esclusi , tra i quali la Follo . Non diversamente deve ritenersi per la attribuzione di un

punteggio di 67/70 (insufficiente per la acquisizione della posizione economica

successiva a quella di primo inquadramento) che nel ricorso introduttivo ci si limita a

sostenere essere "ovviamente" insufficiente. Nella delibera del 19.11.1999 veniva

assegnata , in applicazione del contratto decentrato, la posizione economica superiore

a quella di primo inquadramento, ai dipendenti con un punteggio di almeno 70/100. In

tema di perdita di chances invero spettava alla ricorrente indicare l'esistenza di

punteggi obbligati ovvero di disposizioni contrattuali capaci di confortare la tesi di una

ingiustificata attribuzione del punteggio ovvero ancora, in caso di discrezionalità

tecnica nelle valutazioni, lamentare una disparità di trattamento nei confronti di altri

soggetti sottoposti alla medesima valutazione , senza limitarsi a sostenere

apoditticamente che le risposte ricevute erano "volutamente laconiche e chiaramente

predeterminate a ridicolizzarla e schernirla" (cfr. anche memoria di secondo grado pag.

10).

Come infatti ha ritenuto la Suprema Corte, << è ormai jus receptum che nel

compimento delle operazioni selettive il datore di lavoro deve attenersi alle regole

fondamentali della correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), che si traducono

in un obbligo di imparzialità della stima comparativa (cfr. tra le tante: Cass. 15 marzo

1996 n. 2167 cit.; Cass. 20 gennaio 1992 n. 650; Cass. 26 maggio 1989 n. 2526).

Orbene, pur non essendo consentito al giudice sostituirsi nell'attività valutativa

dell'imprenditore, specificamente nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, perchè ciò

si tradurrebbe in una lesione della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41

Cost., tuttavia l'intervento giudiziario può legittimamente spiegarsi allorquando

12

l'esercizio del potere dell'imprenditore appaia affetto da manifesta inadeguatezza o

irragionevolezza (così: Cass. 15 marzo 1996 n. 2167 cit.), quando, cioè, il giudizio del

datore di lavoro più che discrezionale si manifesti come arbitrario come, ad esempio,

può accadere allorquando si evidenzi un palese salto logico tra il giudizio comparativo

e gli elementi che dovrebbero sorreggere detto giudizio >>. (Cass. 19.11.1997 n. 11522

in Giust. Civ. 1998 I 366). In tale occasione la Suprema Corte ha altresì precisato che:

<< In tema di controllo giurisdizionale sulle scelte compiute dal datore di lavoro ai fini

della promozione dei dipendenti secondo la disciplina contrattuale (o secondo quella

dettata da parte dello stesso imprenditore con atto di "autodelimitazione" dei propri

poteri), grava sul lavoratore che assuma la violazione delle relative norme

comportamentali l'onere di provare l'esistenza dell'obbligo che si lamenta inadempiuto,

mentre è il datore di lavoro onerato della dimostrazione della conformità delle

operazioni di scelta alle norme suddette nonchè al principio di correttezza (cfr. al

riguardo: Cass. 10 febbraio 1988 n. 1453; Cass. 27 maggio 1983 n. 3674; Cass. 27

maggio 1983 n. 3675). >> (ancora in motivazione Cass. 11522/97 cit.)

Nel caso di specie, nessun concreto elemento è stato fornito dalla lavoratrice quanto ai

criteri che il datore non avrebbe rispettato ovvero circa le disposizioni contrattuali o

normative disapplicate.

Nemmeno possono utilizzarsi a sostegno delle tesi della ricorrente circa l'esistenza di

un serie continuata di vessazioni, le dichiarazioni del Sindaco riportate in vari articoli

giornalistici comparsi in quotidiani locali . Non appare invero ravvisabile una volontà

diffamatoria nella parte dello scritto in cui, nel riconoscere l'esistenza di precedenti

gravi disservizi segnalati da un impiegato ( Spallone Maria) assegnata all' Ufficio

mandati e reversali e da un verbale sottoscritto anche dal rag. Pizzi e dal Collegio dei

revisori dei conti, si ipotizzano genericamente eventuali responsabilità disciplinari ( cfr

articolo del 31.12.1999 sub 29 atti Follo nonchè deliberazione 15.12.1999 n. 125). Non

è vero dunque che nel predetto articolo giornalistico la Follo sarebbe stata indicata

come "unica responsabile del dissesto dell'Ufficio Comunale". La indicazione invece del

nominativo della dipendente, nella relazione sindacale svolta nel corso della riunione

del Consiglio Comunale in data 15.12.1999 appare collegata alla segnalazione dello

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stato caotico del settore (con smarrimento di documenti che sarebbero stati consegnati,

a dire del funzionario della Banca sig. Palma , prima menzionato, direttamente alla

medesima Follo) e dunque l'eventuale necessità di procedimenti disciplinari nell'ipotesi

di colposità o dolosità del comportamento.

Gli altri due articoli giornalistici sub 30 e 31 ( atti Follo ) si limitano invece a dare notizia

della assoluzione della dipendente in sede penale senza riportare commenti

sfavorevoli.

Anche l'ennesimo episodio lamentato dalla ricorrente, che sostiene di essere stata

privata inopinatamente delle funzioni di ufficiale di anagrafe e di stato civile in data

28.8.2000 deve essere ridimensionato: le deleghe alle funzioni di ufficiale di anagrafe

risultano attribuite alla Follo in data 26.10.1999, quelle per il ricevimento delle

dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà e per le autenticazioni di firme e documenti

nonchè per la sottoscrizione di carte di identità e certificati demografici, "per il Sindaco"

in data 19.10.1999, quelle per le funzioni di ufficiale di stato civile in data 15 marzo

2000 a conferma del fatto che anche durante il periodo di assegnazione all' Ufficio

Anagrafe la ricorrente fu destinataria di rilevanti deleghe in materia, senza che

particolari discriminazioni siano ravvisabili in tali fatti.

Le successive revoche dalle funzioni di ufficiale di anagrafe e di stato civile risultano

disposte nel maggio 2000 ma , si noti, anche nei confronti di altra dipendente ( Pacifico

Rita) appartenente alla medesima sesta qualifica funzionale . Le nuove deleghe

risultano, infine, attribuite a fine anno 2000 non solo alla Follo ma anche a molti altri

dipendenti di pari, inferiore o superiore livello, a conferma della assoluta

inconfigurabilità delle vicenda come ennesimo episodio di una particolare attenzione

vessatoria ad personam.

La Follo ha anche sottolineato che le sarebbe stato inopinatamente negato un

permesso di anticipare al giorno sei il rientro pomeridiano del giorno 7 marzo 2000 ,

con una annotazione di pugno del Sindaco che dimostrerebbe la recisa

disapprovazione , anche a livello personale, per la richiesta avanzata ( "la richiesta è

continuativa e costituisce un vizio. No!").

Non sembra invero alla Corte che il diniego , ancorchè reciso ma legittimo, possa in

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qualche modo essere negativamente connotato dalla mera circostanza che il giorno

successivo il Sindaco , con una nota indirizzata a tutti i dipendenti, abbia autorizzato gli

stessi a non effettuare il rientro pomeridiano in occasione dell'ultimo giorno di

Carnevale.

Non appare nemmeno significativo che la ricorrente sia stata destinataria di una

missiva di solidarietà da una collega dal cui testo , peraltro, non emergono elementi utili

ai fini in esame (cfr. il testo della missiva riportato nel ricorso introduttivo pag. 14).

Ritiene conclusivamente il Collegio che dall'esame dei vari episodi richiamati dalla

ricorrente non possa evincersi un significativo comportamento persecutorio da parte

dell'amministrazione Comunale tale da qualificarsi come mobbing, essendo invece

emerso, come unico fatto rilevante, che, con l'assegnazione all'Ufficio anagrafe

dall'agosto 1999, la dipendente ebbe effettivamente ad essere dequalificata. Per

quanto esposto, peraltro, tale dequalificazione, non preceduta o accompagnata da altri

fatti significativi, non può ritenersi da sola capace di connotare la strategia persecutoria

lamentata dalla ricorrente.

I testi escussi, indicati dalla ricorrente ma anche dallo stesso Comune in sede di

riprova, hanno sostanzialmente confermato il capo tre di cui al ricorso introduttivo, che

cioè la Follo venne da tale epoca assegnata allo sportello dell'Ufficio anagrafe

espletando , dalle 8.00 alle 12.00, mansioni fino a quel momento svolte da dipendente

appartenente all' inferiore quarta qualifica funzionale (cfr. teste Ricciardi Giovanni). Se

è vero che l'accertamento della dequalificazione, nell'ambito del rapporto di pubblico

impiego, deve svolgersi tenendo conto delle peculiarità di tale disciplina (con

riferimento dunque alle mansioni di assunzione ovvero a quelle equivalenti nell'ambito

della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi ovvero a quelle

corrispondenti alla qualifica superiore acquisita per effetto dello sviluppo professionale

ovvero a seguito di procedure concorsuali e selettive) è anche vero che l'assegnazione

di mansioni proprie di una qualifica inferiore non può che essere connotata come

dequalificante e come tale idonea a determinare, quanto al danno biologico lamentato,

il ristoro per l'ingiusto demansionamento.

Con l'ulteriore precisazione che, in assenza di un quadro significativo di riferimento,

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non può farsi coincidere la dequalificazione con la lamentata attività persecutoria, per la

cui esistenza occorreva che la dequalificazione venisse preceduta od accompagnata

da rilevanti comportamenti vessatori.

La lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. deve però essere riguardata

tendenzialmente non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di

danno (e mai con strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi) ma

soprattutto come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona,

che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non

patrimoniale, comprensivo quest'ultimo del cd. danno biologico in senso stretto

(configurabile solo quando vi sia una lesione della integrità psicofisica secondo i

canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come

tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera

sofferenza psichica e del patema d'animo) nonchè dei pregiudizi, diversi ed ulteriori

purchè costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente

protetto (in tali termini Cass. 31.5.2003 n. 8827). Nella presente fattispecie dunque

possono identificarsi, tenendo conto delle censure svolte dall'appellante incidentale,

una serie di possibili profili risarcitori derivanti dalla accertata dequalificazione

professionale. Il primo, costituito dal danno biologico già esaminato dal primo Giudice

ma determinato non già dal cd. mobbing, di cui si è esclusa la sussistenza, bensì dalla

dequalificazione professionale, capace anche per le modalità intrinseche, di esporre il

soggetto ad una sofferenza psichica anche sotto il profilo della vita di relazione. Dalla

predetta dequalificazione potrebbe discendere, come sostenuto dall'appellante

incidentale, anche un ulteriore danno, derivante dal pregiudizio nella vita professionale

ed in particolare dalla perdita del patrimonio di conoscenze e di esperienza

negativamente attinto dalla dequalificazione. (cfr. Cass. 13 agosto 1991 n. 8835). Deve

però escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una

automatica dequalificazione professionale , connotandosi quest'ultima , per sua natura,

per l'abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore, con una

sottoutilizzazione delle sue capacità, con perdita di chances e di ulteriori potenzialità.

Ne consegue che, laddove, come nel caso in esame, sia pacifico che venne conservato

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il livello retributivo e che il lavoratore abbia svolto mansioni nel medesimo ufficio

Anagrafe in cui già nel passato egli era stato soddisfacentemente utilizzato, occorreva

una prova convincente dell'esistenza di un ulteriore danno risarcibile (Cass. 8.11.2003

n. 16792; Cass. 4.6.2003 n. 8904;). Pur riconoscendo l'esistenza di un orientamento

giurisprudenziale più elastico che assegna particolare rilevanza in materia alla cd.

prova presuntiva, in mancanza di specifici elementi di prova (cfr. Cass. 12.11.2002 n.

15868; Cass. 6.11.2000 n. 14443) deve rilevarsi, in senso negativo per le tesi della

ricorrente, che ella ammette di aver ricevuto, durante il periodo di dequalificazione nel

settembre 1999, l' incarico di collaborare con l'Ufficio ragioneria per la compilazione dei

modelli relativi alla dichiarazione dei redditi 1998. Inoltre dalle stesse prospettazioni

della ricorrente emerge che l'assegnazione alle mansioni di sportello, presso l'Ufficio

Anagrafe erano limitate all'orario dalle 8.00 alle 12.00 e che nel corso del periodo in

esame le vennero attribuite diverse deleghe per la firma di certificazioni dell'anagrafe e

per l'autentica di documenti. Risulta infine che, dopo il periodo di assegnazione

all'Ufficio Anagrafe, la Follo sarebbe stata assegnata all'Ufficio Legale e Terremoti

(note 11.2.2002 pag. 11 nonchè anamnesi in CTU di primo grado) senza più svolgere

le mansioni precedentemente disimpegnate presso l'Ufficio Ragioneria. Come già

detto, trattasi di assegnazione ad Ufficio cui già nel passato la ricorrente era stata

addetta.

Ne consegue che nessun ulteriore danno è attribuibile, oltre quello biologico già

accertato dal primo CTU, in relazione alla perdita di professionalità derivante dal

demansionamento avvenuto tra l'agosto del 1999 ed il maggio 2001.

Non possono nemmeno essere liquidati i cd. danni morali per la inconfigurabilità nella

fattispecie, anche in via di mera ipotesi, di illeciti di carattere penale nel comportamento

dell'amministrazione Comunale, alla stregua di quanto prima esposto.

Non risultano danni di carattere patrimoniale tenuto conto della conservazione del

livello retributivo di appartenenza e valutata la inconfigurabilità di una perdita da

chances. Non sono state invece riproposte, in sede di appello incidentale, domande in

ordine al ristoro delle spese sostenute dalla Follo.

Quanto al danno esistenziale, di cui l'appellante incidentale lamenta la mancata

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valutazione, deve osservarsi che nel riconoscere la risarcibilità di tale danno si è

affermato che lo schema adottato per il cd. danno biologico (art. 2043 c.c. e art. 32

Cost) sia riferibile , per la latitudine dei suoi enunciati, ad ogni analoga lesione dei diritti

comunque fondamentali della persona, risolvendosi in un danno esistenziale ed alla

vita di relazione (Cass. 7.6.2000 n. 7713). Peraltro , nella liquidazione dei pregiudizi

ulteriori, il giudice, in relazione alla funzione unitaria del risarcimento del danno alla

persona, che, come già prima esposto, non può tradursi in una duplicazione o

incremento generalizzato delle poste di danno, deve tenere conto di quanto già

riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo o ad altro titolo ( Cfr. Cass. 31.5.2003

n.8827).

La appellante incidentale ripropone, per la connotazione del danno esistenziale

sofferto, sostanzialmente le stesse vicende ed argomentazioni già esaminate : la

condotta lesiva dell'Amministrazione viene ancora una volta giudicata dannosa in

quanto capace di concretare gli estremi della diffamazione, anche a mezzo stampa,

della calunnia con conseguente sottoposizione a giudizio penale e disciplinare,

minacce di licenziamento e quant'altro. Vengono ancora una volta riproposte le

questioni inerenti il vincolo familiare, che si assume vulnerato per il ritardato

inserimento dei due piccoli adottati nello stato di famiglia e si richiamano ,

genericamente, le ripercussioni nel piccolo centro abitato e sulle abitudini di vita

stravolte (cfr. appello incidentale pag. 37). In tale ottica non ritiene la Corte che

persistano ulteriori profili non indennizzati dalla integrale liquidazione del danno

biologico, di cui il pregiudizio alla vita di relazione costituisce un aspetto che deve

essere autonomamente valutato solo ove ritenuto nel caso concreto sussistente ( cfr.

Cass. 11.12.2002 n. 15809; Cass. 24.4.2001 n. 6023; Cass. 17.11.1999 n. 12740).

La quantificazione del danno biologico , affermata (riduttivamente) dal primo Giudice in

via equitativa deve essere rivisitata, tenendo conto delle censure svolte sia

dall'appellante principale che da quello incidentale.

La Follo ha invocato una determinazione in via equitativa delle varie specie di danno

lamentate nel ricorso introduttivo: è certamente ammissibile una valutazione equitativa

globale purchè nell'ambito della stessa voce; allorchè invece il danno debba essere

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analiticamente considerato nella varie voci richieste, una liquidazione globale , specie

se riduttiva, il Giudicante deve dare analiticamente conto delle ragioni della riduzione in

relazione alle singole voci di danno ( Cass. 2.10.1997 n. 9626). Ne consegue che una

volta applicato il criterio equitativo ed affermata , per tale via, la utilizzabilità delle cd.

tabelle di quantificazione del danno biologico, ben poteva il primo Giudice pervenire a

liquidare il danno medesimo nella misura di euro 51.317.67 . In verità nessuna delle

parti ha spiegato motivi di censura specifici in ordine alla misura massima risultante

dalla applicazione delle tabelle del Tribunale di Benevento, limitandosi l'appellante

incidentale a richiedere la differenza non attribuitale per l'applicazione di un criterio

riduttivo non condivisibile.

In proposito ritiene il Collegio che le censure della Follo siano fondate in quanto, una

volta commisurato il danno alla misura massima risultante dalle menzionate tabelle,

non appare corretto,in via equitativa, applicare un riduzione del 37 per cento sull'errato

presupposto della probabile cessazione dei disturbi con la interruzione dei

comportamenti vessatori e della dequalificazione.

Invero la cessazione della dequalificazione non ha implicato il ridursi ovvero il mancato

protrarsi del cd. danno biologico che anzi, tenendo conto degli ulteriori accertamenti

medici prodotti dalla Follo, risulta persistere anche nelle more del presente grado del

giudizio (cfr. relazione ASL Roma dip. medicina legale in data 17.4.2003 nonchè referto

ASL Benevento 1 del 29.9.2004).

Ne consegue che esclusa la operatività della decurtazione immotivatamente applicata,

sia pure in via equitativa, dal primo Giudice, il danno biologico può essere liquidato

nella misura massima risultante dalla applicazione delle medesime tabelle già utilizzate

dal primo Giudice, tenuto conto della età della ricorrente. Spettano pertanto alla Follo

complessivi euro 51.317,67 con gli interessi dalla domanda, come affermato in

sentenza con statuizione non oggetto, quanto al regime degli accessori, di specifica

censura in sede di appello incidentale.

Non appare invece condivisibile l'argomentazione svolta dal Comune in ordine alla

preesistenza di uno stato patologico che, almeno a livello di predisposizione avrebbe

agevolato l'insorgere della patologia oggetto dell'accertamento svolto dal CTU. Invero

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l'esistenza di infermità pregresse non esclude l'operatività del principio che tutela il

danneggiato per i danni che egli non avrebbe comunque sofferto senza

l'inadempimento o l'illecito. Una volta dunque accertata l'operatività del nesso causale

tra comportamento imputabile del danneggiante e pregiudizio arrecato rimane esclusa

ogni possibilità di graduare in termini percentuali con riferimento alla concausa naturale

la responsabilità dell'autore della condotta colposa, essendo quest'ultimo responsabile

per l'intero dei danni cagionati (cfr. Cass. 9.4. 2003 n. 5539). Nel caso in esame non

può escludersi , sulla base dei rilievi mossi dall'appellante principale, il nesso di

causalità, nei confronti della dequalificazione verificatasi dall'agosto del 1999, quanto

al disturbo ansioso depressivo con spunti di psicotizzazione di tipo paranoide

diagnosticato dal primo CTU. Invero le infermità, la cui preesistenza è sottolineata dal

Comune alla stregua della documentazione esibita ratione temporis dalla Follo per

giustificare precedenti assenze dal lavoro, confermano solo l'esistenza di una

predisposizione per la sindrome successivamente scatenata dalla ingiusta

dequalificazione subita dalla Follo , senza quindi incidere sulla esistenza del nesso

causale.

In tali termini, dunque, la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata

liquidando alla Follo la somma complessiva di euro 51.317,67 a titolo di danno

biologico per il demansionamento e rigettando le ulteriori domande spiegate.

Tenuto conto della complessità e relativa novità delle questioni oltre che della

reciproca soccombenza, le spese del doppio grado possono compensarsi per metà

liquidando il residuo per ciascun grado come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

in parziale accoglimento dell'appello principale e di quello incidentale, condanna il

Comune di S. Bartolomeo in Galdo al pagamento in favore di FOLLO VERA della

somma complessiva di euro 51.317,67 oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Compensa per metà le spese del doppio grado condannando il Comune al pagamento

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del residuo liquidato per ciascun grado in complessivi euro 1.500,00 di cui euro 600,00

per onorari oltre IVA e CPA con attribuzione ai procuratori anticipatari dell'appellata.

Conferma per il resto la sentenza.

Così deciso in Napoli Sezione Lavoro addì 11 Gennaio 2005

Il Consigliere Estensore Il Presidente

dott. FAUSTO CASTALDO dott. UGO VITIELLO

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