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Publius - per un'alternativa europea. Numero 12, Ottobre-Novembre 2012. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia.
PubliusPer un’Alternativa Europea
Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 12 - Ottobre/Novembre 2012
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
Settembre è stato un mese denso di avvenimenti per l’Europa, dalle decisioni as-‐sunte dalla BCE di interveni-‐re sul mercato secondario delle obbligazioni in misura illimitata proseguendo con la sentenza della Corte costitu-‐zionale tedesca che ha reso credibile il passo compiuto dalla BCE. Ora la politica deve rendere operative l’unione bancaria, ?iscale, economica e politica dell’eurozona, tro-‐vando il modo per conciliare questa nuova entità in $ieri con il mantenimento dell’edi-‐?icio comunitario. Su questa base alcuni governi su inizia-‐
tiva tedesca hanno annuncia-‐to di voler studiare proposte sui cambiamenti istituzionali necessari per costruire l’unione politica dell’eurozo-‐na e dei paesi che intendono farne parte. Il Presidente del Consiglio europeo, a nome anche dei Presidenti della Commissione, della BCE e dell’Eurogruppo, ha reso pubblico lo stato dell’elabo-‐razione delle questioni che stanno esaminando in vista di questa realizzazione. Ma dif-‐?icilmente un patto costitu-‐zionale destinato a far nasce-‐re una nuova comunità poli-‐tica vedrà la luce senza un
profondo dibattito politico e il coinvolgimento dei cittadi-‐ni. Se infatti il completamen-‐to dell'Unione economica e monetaria e l'unione politica che l'af?iancherà saranno realizzati senza costruire un potere europeo democratico ed ef?icace gli europei conti-‐nueranno a non avere gli strumenti per fronteggiare la crisi. Il tempo per fare la Fe-‐derazione europea è breve, e dipende dal tempo che la cri-‐si impiegherà a deteriorare la situazione sociale al punto che sfuggirà di mano.
Publius
Indice
pag.1 EditorialePublius
pag.2 In Europa la crisi e il mondo reagisce
Nelson Belloni
pag.4 Cattivi esempi Stefano Spoltore e
Giulia Spiaggi
pag.5 Il mondo e l’impasse siriano
Giovanni Salpietro
pag.7 La svolta di Maroni per un neo-‐europeismo o un neo-‐euroscetticismo?
Francesco Cafarelli e Giacomo Ganzu
Herman Van Rompouy,Mario Draghi, Jean Claude Juncker, Josè Manuel Barroso
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Le dimensioni e la durata della crisi del-‐l'eurozona continuano a preoccupare i leader di tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti e nei paesi BRICS; persi-‐no la Cina teme fortemente gli effetti del-‐la prolungata recessione in Europa, e Wen Jiabao, recentemente, si è più volte espresso a questo proposito. Da parte sua, il Fondo monetario internazionale ritiene che, se in Europa non si uscirà dalla crisi in tempi ragionevoli, si tornerà ad una condizione simile a quella degli anni Trenta.Come effetto della crisi la Cina registra, quest'anno, un notevole calo della pro-‐pria produzione, che gli analisti econo-‐mici stanno cercando di esaminare in dettaglio per dare una precisa dimensio-‐ne al fenomeno e tentare di prevenirne gli effetti. Anche il Brasile nel 2012 non crescerà quanto l'anno scorso, proprio perché l'esportazione di materie prime
in Europa, mercato essenziale per il pae-‐se sudamericano, è diminuita sia in ter-‐mini di quantità sia in termini di prezzo, a causa della contrazione della produ-‐zione industriale europea. Inoltre il Bra-‐sile soffre per il calo della produzione cinese (manifatturiera e non), dato che ormai la Cina è diventata il suo primo partner commerciale, avendo superato la quota degli Stati Uniti. Anche l'India non cresce in base al trend degli scorsi anni, ed è proprio in India, a New Delhi, che si è tenuto, a marzo, l'ul-‐timo summit BRICS che ha confermato la volontà di questi pae-‐si di rafforzare la co-‐operazione reciproca, sia in termini econo-‐mici che politici. I BRICS si sono espres-‐si anche a favore del fatto di far crescere la domanda interna e di aumentare la quota di commercio all’interno del loro gruppo, ini-‐
ziando ad utilizzare, a questo scopo, le pro-‐prie valute; vista la crisi che investe i paesi occidental i , l’obiettivo è dunque quello di rendersi più autonomi nei con-‐fronti del mondo oc-‐cidentale e, a questo proposito, è stata di-‐scussa anche l'istitu-‐zione di una banca di investimenti, divenu-‐ta nota tra gli analisti con il nome di “Brics bank”, per promuove-‐re gli investimenti nei mercati emergenti e nei paesi in via di sviluppo. Dilma Rous-‐seff e Hu Jintao si sono pronunciati a fa-‐vore di questo progetto, per contrastare la World Bank e l'Asian Developement bank e per favorire gli in-‐vestimenti nei paesi in via di sviluppo sganciandosi dal mercato europeo e dal-‐la sua crisi nel medio-‐lungo periodo. Obiettivo di ter-‐mine più breve è invece quello di rafforzare il mer-‐cato tra BRICS per le medesime ragioni. I cinque leader si sono espressi anche in opposizione alle posizioni americane in Siria e in Iran ed hanno discusso in meri-‐to all'imminente ritirata di americani ed europei dall'Afghanistan.Nonostante la crisi abbia rallentato la crescita dei BRICS, il peso che questi paesi hanno ormai acquisito nella politi-‐ca internazionale non è infatti destinato a calare: questi paesi infatti continuano a rappresentare il 30% del PIL globale. In particolare la Cina si colloca al secondo
posto tra i paesi produttori con la quota del 18% della produzione mondiale, ri-‐spetto al 21% statunitense: si tratta di un dato comunque imponente, nonostante il
differenziale tra i due paesi quest’anno sia aumentato a favore degli USA. Non solo, ma la crisi non impe-‐disce certo alla Cina di mettere in dif?icoltà il Giappone e gli USA
nel Mar Cinese mediorientale ed orienta-‐le dove la tensione sta crescendo al pun-‐to che il governo Noda sta valutando l'ipotesi di acquistare armi dal Regno Unito per incrementare il proprio arse-‐nale militare e per cercare di compensa-‐re la crescita della marina cinese. Né il rallentamento della crescita cinese, come auspicato da molti, cambia il fatto che la Cina detiene sul proprio territorio il 23% delle terre rare mondiali, essenziali per produzioni ad alto valore aggiunto in ambito elettronico, e che è riuscita ad
a c caparrarsene i l 95%, potendo così imporre limiti alla produzione e quote alle esportazioni di questi materiali. Gli Stati Uniti, che hanno una lieve cre-‐scita intorno al 2% del PIL, insistono nel domandare alla Cina la rivalutazione del tasso di cambio del renminbi per limitare le esportazioni cinesi, ma senza successo. La
In Europa la crisi e il mondo reagisce
Il peso che questi paesi hanno ormai acquisito
nella politica internazio-nale non è destinato a
calare
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Cina continua a destinare la metà delle proprie risorse agli investimenti, sia esteri, sia interni, e questo dato rappre-‐senta il doppio della media mondiale. Il suo consumo interno è infatti fermo al 40%, mentre un valore del 60% sarebbe più corretto. Questi dati indicano dunque una bassissima distribuzione della ric-‐chezza tra la popolazione ed invece una enorme quantità di risorse destinate agli investimenti strategici nel mondo.Recentemente Angela Merkel si è recata in Cina per un incontro con Wen Jiabao per concludere importanti contratti di vendita per Airbus, Volkswagen ed altre imprese, per un totale di oltre 3,5 miliar-‐di di dollari. La Cina ha però imposto che una parte degli stabilimenti vengano costruiti in Cina, per formare e far lavo-‐rare ingegneri e tecnici specializzati ci-‐nesi: di fatto, ha così ottenuto una vendi-‐ta di know how di alta tecnologia, come dimostra l’esempio del progetto joint venture tra Airbus e industrie cinesi per costruire aerei alimentati a biogas. Si
tratta, ancora una vol-‐ta, della dimostrazio-‐ne di come le poten-‐zialità della tecnologia europea non vengano pienamente sfruttate per mancanza di inve-‐stimenti, al contrario di quanto accade in Cina, e di come questo fatto si traduca in uno stato di inferiorità da parte dell’Europa. Il secondo obiettivo della visita a Pechino della cancelliera tede-‐sca era quello di assi-‐curare alla Cina che la Germania mostrerà un “impegno assoluto” nel sa lvaguardare l'euro e mantenerlo
forte, stabile ed apprezzato dai mercati. Con questa garanzia – di carattere politi-‐co – la Merkel ha convinto il presidente cinese ad aiutare l'Europa con l'acquisto di titoli dei debiti sovrani anche dei paesi più fragili. Questo impegno della Ci-‐na, sommato ai contratti chiusi, potrebbe r idare una certa ?iducia ai mercati anche nei confronti di Italia e Spagna. Wen Jiabao ha accettato il coin-‐volgimento del suo paese nel sostegno alla zona euro per-‐ché ritiene che la Germania sia i l paese chiave per l'uscita dell’Europa dalla crisi. Un simi-‐le risultato non
avrebbe certo potuto ottenerlo la Baro-‐nessa Ashton che, al di là del nome alti-‐sonante della sua carica (Alto rappre-‐sentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica estera), non ha alcun potere di agire e dialogare con i leader delle po-‐tenze mondiali perché non ha alle spalle né un governo, né una politica estera, ma solo divisioni e rivalità reciproche tra gli Stati che dovrebbe rappresentare.Ancora una volta, quindi, si devono con-‐statare i costi della divisione dell’Europa, costi per sé stessa in termini di declino, e per il mondo, che subisce la crisi del-‐l’Unione europea, ma che intanto non si ferma e prepara strategie di crescita economica e politica. Solo trasformando l’eurozona in una federazione gli europei potrebbero superare l’impasse: sta solo a loro farlo davvero!
Nelson Belloni
Ancora una volta si devono constatare i costi della divisione dell’Europa
Scheda personaggio - James Madison
James Madison (1751-‐1836) fu uno dei padri fonda-‐tori della costituzione americana e contribuì, insieme ad Alexander Hamilton e a John Jay, alla stesura di almeno 28 articoli dei Federalist Papers ?irmandosi Publius. Dalla parte dei federalisti sosterrà, nel 1787 a Philadelphia, la stesura della Costituzione federale e presenterà il cosiddetto “Piano della Virginia”, propo-‐sta di carattere federale che prevedeva un Parlamen-‐to bicamerale (Congresso e Camera degli Stati),un Governo eletto dal Parlamento e una Corte Fede-‐rale composta da Giudici inamovibili. Questo piano si contrappose al “Piano del New Jersey” che poneva in essere un'unica camera di rappresentanza degli stati, quindi simile ad una confederazione, concedendo inoltre agliStati il potere di revocare i governatori. Il principio che animò e fece vincere la proposta di Madison fu quello secondo cui si conte-‐
sta fortemente l'idea che un piccolo Stato con un popolo uniforme avrebbe reso sia la politica meno tirannica sia la Repubblica al sicuro dalla dittatura ribadendo invece che è l'equilibrio di poteri tra gli stati garantire la negazione da ogni tirannia di mag-‐gioranza. Nel 1809 diverrà il quarto presidente degli Stati Uniti d'America abbandonando la carica nel 1817. Tra le sue frasi più celebri: “No nation could preserve its freedom in the midst of continual warfare.”“If men were angels, no government would be necessa-‐ry.”
“The means of defense against foreign danger historically have be-‐come the instruments of tyranny at home”.
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Cattivi esempiNel corso della crisi in atto in Grecia, molti evocano l’esempio della Argentina come esperienza da seguire per indivi-‐duare la possibile via di uscita dalla si-‐tuazione di default che attanaglia la Re-‐pubblica Ellenica. Nel citare l’esempio argentino, però, si dovrebbero anche ricordare le conseguenze che ebbe il default programmato sul paese e sulla popolazione che ancora oggi ne paga le conseguenze. Si tratta infatti di un pes-‐simo esempio, anche volendosi limitare ad un bilancio economico e tralasciando i drammatici costi umani dell’operazio-‐ne.Come noto nel 2001 il governo argenti-‐no dopo un lungo periodo di crisi eco-‐nomica e ?inanziaria, ruppe la parità peso-‐dollaro (un processo di dollarizza-‐zione del paese in atto dal 1991 sotto la presidenza Menem) per tornare a tutti gli effetti alla propria valuta nazionale. Seguirono anni di instabilità ?inanziaria che portarono ad una svalutazione del-‐l’80% del peso sul dollaro: è bene ricor-‐dare questo dato a chi oggi sostiene l’idea di un abbandono indolore dell’eu-‐ro per un ritorno alle valute nazionali. Certo l’Argentina è rientrata in possesso della propria sovranità monetaria ed ha la possibilità di svalutare, cosa impossi-‐bile all’epoca della dol-‐larizzazione, ma la sua crisi interna, economica e sociale -‐ che ha creato drammatiche disparità a scapito delle fasce più deboli della popolazio-‐ne -‐ persiste a distanza di quasi dieci anni. Dal crack ?inanziario seguito al ritorno alla valuta nazionale vi fu un triennio di grande rilancio delle attività economi-‐che (+8% annuo ma si veniva da anni di Pil negativo) che ha apparentemente permesso all’Argentina di ripartire, ma i problemi ?inanziari e il suo pesante de-‐bito estero sono rimasti inalterati. Si è tornati al peso con un debito estero co-‐munque da saldare in dollari. E per aiu-‐tare il paese ad essere solvibile, il go-‐
verno del Presidente Kirchner, con una ampia maggioranza parlamentare, nel marzo di quest’anno ha esautorato della propria autonomia la Banca Centrale, imponendole di mettere a disposizione del governo le proprie riserve per paga-‐re il debito estero.In Argentina l’in?lazione reale viaggia ad un tasso del 25% e il governo ha impo-‐sto tasse del 14% sui prodotti importati. Gli unici beni che l’Argentina riesce oggi ad esportare sono soia e petrolio. Risor-‐
se proprie di cui la Gre-‐cia non dispone avendo come unica fonte di en-‐trate primarie l’industria del turismo. E a proposi-‐to del petrolio, la opera-‐zione del governo di Buenos Aires nel mese di aprile di nazionalizzare
la compagnia di estrazione Ypf control-‐lata dalla spagnola Repsol si sta ritor-‐cendo contro il paese. L’Argentina esporta petrolio che però deve reimpor-‐tare sotto forma di prodotto lavorato perché non possiede società di raf?ina-‐zione. Inoltre una nazionalizzazione di questa portata mina la credibilità del-‐l’Argentina agli occhi degli investitori internazionali, cosa già in atto per esempio nel vicino Venezuela ove le
principali fonti di esportazione (miniere e petrolio) sono state nazionalizzate da quando è al governo il Presidente Cha-‐vez. Gli unici investitori esteri in Vene-‐zuela sono oggi quasi esclusivamente cinesi.E proprio Il Venezuela offre lo spunto per evidenziare un ulteriore cattivo esempio.Lo scorso 31 luglio il Venezuela è diven-‐tato il quinto paese membro del MER-‐COSUR, aggiungendosi ai paesi fondato-‐ri (Argentina, Brasile, Paraguay e Uru-‐guay). Ogni allargamento di una comu-‐nità regionale viene sempre esaltata rimarcando lo spirito di collaborazione tra le nazioni e i popoli. Da questo punto di vista l’Europa e la sua Comunità di-‐venuta con il tempo Unione a 27, è il caso e l’esempio più citato. Peccato che vengano omesse le dif?icoltà di procede-‐re nelle unioni politiche (che pure sono sancite nei trattati) via via che i paesi membri aumentano di numero senza che le istituzioni, nel contempo, venga-‐no rafforzate. Già nei documenti uf?iciali che portarono alla ?irma dei Trattati istitutivi del MERCOSUR si citava come modello politico ed economico l’Unione Europea e sappiamo bene quali siano i problemi istituzionali e non in cui l’Eu-‐ropa si sta dibattendo.Oggi il MERCOSUR si trova in una situa-‐zione già vissuta in Europa: ha un par-‐lamento comune cui partecipano in pari numero rappresentanti dei parlamenti nazionali (nel 2014 sono previste ele-‐zioni a suffragio universale, ma il meto-‐do di rappresentatività è fonte di pole-‐miche per una grande differenza tra la popolazione del Brasile e quella dei re-‐stanti paesi) con un potere meramente consultivo; imperversano guerre di dazi tra i diversi paesi e blocchi nell’import export di alcuni prodotti metalmeccani-‐ci tra Argentina e Brasile che ricordano le “guerre” del latte o del vino tra Italia e Francia negli anni ’70. Le recenti scel-‐te dell’Argentina di imporre dazi di in-‐
L'Argentina è rientrata in possesso della sovra-
nità monetaria ma la sua crisi interna, eco-
nomia e sociale persiste a distanza di quasi 10
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Il mondo e l’impasse sirianoE’ passato oltre un anno e mezzo da quando in Siria sono iniziate le prime manifestazioni e proteste contro il re-‐gime di Bashar al-‐Assad, eppure nono-‐stante il tempo trascorso la soluzione della crisi sembra ancora lontana. No-‐nostante le defezioni, le fughe dei vertici militari e civili che decidono di passare dalla parte dell’opposizione al regime (Consiglio Nazionale Siriano) o di fuggi-‐re all’estero, non solo Assad non inten-‐de rinunciare al potere ma sembra esse-‐re disposto a difendersi con tutti i mezzi a disposizione. La dimostrazione di questa sua volontà la si ritrova nell’esta-‐te di sangue appena trascorsa. Già in precedenza il regime non si era fatto scrupoli nel colpire pesantemente le città rivoltose (Dar’a, Homs e la stessa Damasco) facendo intervenire l’esercito, ma mai come questa estate l’intervento militare era stato così forte. Ad agosto è stata lanciata una larga offensiva contro la città ribelle di Aleppo, causando mi-‐gliaia di morti e numerosi sfollati. Men-‐tre a Damasco in alcuni quartieri è in-‐tervenuta l’aviazione, causando oltre 400 morti in un solo giorno. Finora, almeno secondo l’ONU sono circa 32000 le vittime del con?litto (di cui la metà civili), mentre il Consiglio nazionale siriano parla di oltre i 50000 morti. Dati ancora più preoccupanti sono quelli
relativi agli sfollati; si calcola che siano circa 2 milioni mentre è in aumento il numero dei profughi che cercano di la-‐sciare la Siria per dirigersi prevalente-‐mente in Turchia e Giordania; ad ora sembrano ci siano tra le 150000 e le 200000 persone nei campi allestiti nei paesi con?inanti per fronteggiare l’emergenza.
Mentre la guerra civile infuria la comu-‐nità internazionale non sembra riuscire
a trovare il modo per poter porre ?ine alle violenze. L’ONU, sebbene abbia mandato numerosi osservatori in loco, non sembra disporre dei mezzi necessa-‐ri per un’azione risolutiva, in particola-‐re a causa dell’avversione di Russia e Cina verso qualsiasi intervento occiden-‐tale volto a far cadere il regime di Da-‐masco; lo stallo è un’evidente dimostra-‐zione della paura che questi due paesi
gresso ai beni ne è l’ultimo esempio. Non è un caso poi che l’unione degli industriali brasiliani abbia contestato l’ade-‐sione del Venezuela al MERCOSUR, così come ha fatto il governo del Paraguay che non ha partecipato alla ceri-‐monia di adesione. Il Paraguay infatti è sta-‐to temporaneamente sospeso dal giugno scorso dal MERCO-‐SUR a seguito dei problemi di politica interna dopo le dimissioni del Presiden-‐
te Lugo votate a larga maggioranza dal-‐la Camera e dal Senato di Asunciòn. Per altro il governo del Paraguay non aveva mai rati?icato la richiesta di adesione al
MERCOSUR fatta dal Venezuela nel 2006, non condividendo le politi-‐che economiche del go-‐verno di Caracas. Ciò nonostante il Venezuela è diventato membro effettivo del MERCO-‐SUR. Sarà curioso vede-‐re nei prossimi mesi ed
anni quali scelte porterà avanti il Vene-‐zuela all’interno del MERCOSUR essen-‐
do per altro fautore di una unione poli-‐tica di stampo socialista dell’intero sub continente americano.Questo evidenzia ancora una volta co-‐me se non si procede prima a rafforzare le istituzioni di una comunità regionale tra un nucleo di paesi, gli allargamenti, come ben sappiamo in Europa, compli-‐cano e ampli?icano le divergenze tra i paesi membri. Ma l’Europa che è citata come modello da seguire negli accordi che hanno istituito il MERCOSUR, non ha dato certo il miglior esempio sino ad oggi, pur non negando i pregi che hanno contraddistinto la sua recente storia.
Stefano Spoltore e Giulia Spiaggi
Nei documenti ufficiali che portarono alla firma dei Trattati istitutivi del MERCOSUR si citava co-me modello politico ed
economico l'Unione Eu-ropea
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provano di fronte all’ipotesi che la co-‐munità internazionale appoggi gli insorti contro un governo in carica. Altro grande sostenitore di Assad, per ragioni geopoli-‐tiche, è l’Iran, che non si limita solo a qualche dichiarazione in favore del re-‐gime ma interviene direttamente nel con?litto fornendo armamenti e inviando addestratori e uf?iciali in Siria (tra cui Qassem Soleiman, capo della Brigata Ge-‐rusalemme e responsabile della diffusio-‐ne dell’ideologia khomeinista fuori dal-‐l’Iran).
Ma la situazione in Siria è ormai insoste-‐nibile, e l’isolamento di Assad sul piano internazionale è sempre maggiore. Nel quadro mediorientale la debolezza del regime siriano ha riaperto i giochi della leadership regionale. In primis è la Tur-‐chia il paese maggiormente in opposi-‐zione al regime; non è un caso infatti che il CNS si sia formato in esilio proprio in Turchia e che essa sia la meta di destina-‐zione di molti dei vertici del regime che decidono di abbandonare Assad. La ten-‐sione tra i due paesi è sempre alta, alimen-‐tata anche da episodi come l’abbattimento di un aereo militare turco ad opera del-‐l’esercito lealista. An-‐che la Lega Araba ha progress ivamente condannato il regime, dapprima con le san-‐zioni economiche di novembre 2011 e in?ine con la dichiarazione del 24 luglio in cui la Lega auspica che Assad lasci il potere. L’Egitto, altro paese protagonista della primavera araba, tramite le parole del presidente Mursi prende una posi-‐
zione netta affer-‐mando che “la nostra solidarietà con la lotta del popolo si-‐riano contro un re-‐gime oppressivo che ha perso la sua legit-‐timità è un dovere etico quanto una ne-‐cessità strategica e politica”.
Sul piano internazio-‐nale, in?ine Stati Uni-‐ti, Francia e Gran
Bretagna sono ormai decisamente schie-‐rati a sostegno dei ribelli, ma a causa dei veti di Russia e Cina non riescono ad ot-‐tenere le risoluzioni ONU necessarie per poter intervenire; ed un’azione priva della legittimità delle Na-‐zioni Unite creerebbe un’ulteriore escala-‐tion della tensione internazionale visto il coinvolgimento del-‐l’Iran, che non po-‐trebbe accettare la scon?itta di perdere uno dei pochi paesi “amici”, tra l’altro in un’area strategica. E’ chiaro che qualsia-‐si forma di intervento dall’esterno, già di per sé molto complicata e delicata, non può venire dal solo Occidente, ma sareb-‐be necessario che fossero gli stessi paesi della Lega Araba ad impegnarsi in soste-‐gno del CNS, mentre il ruolo dell’Occi-‐dente dovrebbe soprattutto essere volto alla risoluzione dell’emergenza umanita-‐
ria e all’appoggio nelle principali sedi diplomatiche.
P e r c onc l ude re l’analisi sull’attuale situazione siriana e sulla drammatica escalat ion del la tensione in Medio Oriente va fatta su
un’ultima osservazione sulla grande as-‐sente sul piano delle relazioni interna-‐zionali; così come per quanto ha riguar-‐dato i paesi della primavera araba, la grande assente è stata, e lo è ancora oggi, una voce europea in grado di sostenere
con maggiore forza la voglia di rinnova-‐mento istituzionale dimostrata dai popo-‐li dell’altra sponda del Mediterraneo e di sostenerla ef?icacemente nel percorso di costruzione della democrazia. Al di là delle dichiarazioni di Lady Ashton non esiste alcuna linea d’azione comune e i vari governi nazionali, sebbene all’una-‐nimità condannino le violenze perpetua-‐te dal regime nei confronto dei civili, se-‐guono strade diverse. Attualmente Gran Bretagna e Francia hanno assunto posi-‐zioni più nette in favore dei ribelli, e proprio i cugini transalpini, sempre in prima linea quando mutano gli equilibri di potere nel sud del Mediterraneo, han-‐no recentemente dichiarato di voler ri-‐conoscere come “governo legittimo” il
CNS, mentre il resto del continente rimane più de?ilato. E’ evi-‐dente che una posi-‐zione di due soli Stati, attaccati ad un’ana-‐cronistica posizione di privilegio nel Con-‐siglio di Sicurezza ma sostanzialmente im-‐potenti sul piano poli-‐tico per contribuire
fattivamente a trovare un nuovo assetto più equilibrato e paci?ico in Medio Orien-‐te, non è un contributo concreto alla crisi in corso. All’inizio dell’anno Hillary Clin-‐ton ha più volte dichiarato espressamen-‐te che gli USA non sarebbero stati accon-‐discendenti di fronte alle violenze delle truppe fedeli ad Assad, ma non si può, e soprattutto non possiamo, pretendere che siano sempre gli Stati Uniti a farsi carico della soluzione delle crisi interna-‐zionali, ancor di più quando esse avven-‐gono alle porte d’Europa. La crisi siriana mette dunque in evidenza, ancora una volta, la debolezza dell’Europa sul piano delle relazioni internazionali, poiché in-‐capace di adottare una politica estera unica, incapace di “spalleggiare” gli USA di fronte alla volontà di Russia e Cina di mantenere lo status quo, incapace di as-‐sumersi la responsabilità di aiutare i paesi arabi ad avviarsi verso forme de-‐mocratiche in grado di garantire libertà e diritti fondamentali e forse in grado di gettare un ponte per il dialogo tra le due sponde del Mediterraneo.
Giovanni Salpietro
Già in precedenza il regime non si era fatto scrupoli nel
colpire pesantemente le città rivoltose (Dar’a, Homs e la
stessa Damasco) facendo in-tervenire l’esercito, ma mai
come questa estate l’interven-to militare era stato così forte.
La grande assente è stata, e lo è ancora oggi, una voce
europea in grado di sostene-re con maggiore forza la vo-glia di rinnovamento istitu-
zionale dimostrata dai popoli dell’altra sponda del Mediter-raneo e di sostenerla effica-cemente nel percorso di co-struzione della democrazia.
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È stato un settembre “europeista” dalle parti di Via Bellerio, ma non nel senso che tutti noi potremmo sperare. La Lega Nord, il partito per l'indipendenza della “Padania”, ha lanciato già a metà agosto la proposta di un referendum nazionale incentrato sull'Unione europea, af?inché i cittadini si esprimessero positivamente o negativamente sul processo di integra-‐zione. Sulla scia delle polemiche seguite all'iniziativa, su tutte quella col presi-‐dente del Consiglio Mario Monti, il mese scorso i vertici del Carroccio hanno lan-‐ciato una nuova proposta, anch'essa in-‐centrata sulle tematiche europee: la ri-‐de?inizione geogra?ica dell'eurozona, basata su Francia, Germania, Benelux e, udite udite, la “macroregione del Nord”.Si sta parlando, insomma, dei Sei ma “epurati” -‐ nell'ottica leghista, chiara-‐mente -‐ del Centro e del Sud dello Stiva-‐le. Ciò sarebbe giusti?icato, stando alle parole del neosegretario Maroni, dalla necessità di un'eurozona “formata da Stati caratterizzati da fondamentali ma-‐croeconomici simili”. Si tratta, eviden-‐temente, di un “cavallo di troia propa-‐gandistico” tramite il quale veicolare all'interno di una proposta fondata su un ragionamento prettamente economico -‐ anch'esso peraltro passibile di critica, come vedremo in seguito -‐ la main issue della Lega Nord presente all'art. 1 del suo statuto: la secessione del Nord Italia dal resto della penisola. Sembra di tor-‐nare ai primi anni '90, quando il vento secessionista spirava forte dall'Est, con
la guerra nella ex-‐Jugoslavia, oppure con separazioni consensuali, come quella delle nascenti Repubbliche Ceca e Slo-‐vacca (nate dallo smembramento della Cecoslovacchia), già orientate all'entrata in Europa. Ecco che, quindi, la Lega Nord cerca di rilanciarsi, come partito di lotta antisistema. Ma contemporaneamente a questa nuova linea poli-‐tico-‐comunicativa, Maroni conduce la svolta “bavare-‐se” del partito. Si tratta insomma, di ispirarsi alla CSU, partito egemone nella regione cattolica della Baviera, portando la Lega a diventare un movimento re-‐gionale dominante su una base territo-‐
riale ben de?inita, ciò a confermare l'aleatorietà del termine “Padania”, buo-‐no solamente per gli urlacci di Pontida. Il primo passo della novella “EuroLega regionale” è stato illustrato tramite il primo punto del manifesto presentato a
Torino lo scorso 29 di settembre, che propo-‐ne una “legge costitu-‐zionale” non meglio speci?icata per una “ e u r o r e g i o n e d e l
Nord” nel contesto di una “Europa delle regioni” che superi gli Stati nazionali. ''Questa Europa non ci piace”, ha detto Maroni, “gli Stati nazionali hanno esauri-‐to la loro spinta propulsiva. Dobbiamo
La svolta di Maroni per un neo-europeismo o un neo-euroscetticismo?
La Lega cerca di rilan-ciarsi come partito di
lotta antisistema
Da Il Federalista No. 55
(14 Novembre 1787, Alexander Hamilton o James Madison)
La verità è che, in tutti i casi, è necessario almeno un numero minimo ad assicurare i vantaggi di libere consultazioni e di liberi dibattiti, e per salaguardarci da troppo facili complotti aventi Kini illeciti;mentre, dall'altro lato, il numero dovrà essere, al massimo mantenuto entro certi limiti per evitare la confusione e le interferenze di una multitudine. In tutte le assemblee pletoriche, qualunque sia il loro spirito informatore, la passione non può non strappare lo scet-‐tro alla ragione. Anche se ciascun cittadino ateniese fosse stato un Socrate, ogni assemblea ateniese avrebbe sempre avuto le caratteristiche di una folla caotica.
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istituirla costituzionalmente autoder-‐terminata, abbiamo presentato una pro-‐posta di legge costituzionale che preve-‐de questo''. Al di là dell'ambiguità di fondo che si evince dal riferimento costi-‐tuzionale europeo immediatamente fre-‐nato dall'accenno all'autodeterminazio-‐ne locale, che specialmente nella visione leghista non è mai stato conciliabile con il concetto di unità politica, è da notare quanto politicamente concreta sia la svolta “euroleghista”: nel corso del mese di ottobre la road map del segretario federale prevede tappe nelle principali capitali europee, ?inalizzate alla promo-‐zione di una “EuroLega” che si ponga criticamente nei confronti dell'UE ma che allo stesso tempo si differenzi dai partiti tradizionalmente euroscettici come quello di Marie Le Pen in Francia e di Geert Wielders in Olanda. Il tutto nel contesto del percorso politico che porte-‐rà il Carroccio, nella visione di Maroni,
ad essere il perno di una coalizione “neo-‐europeista” per le elezioni europee del 2014.Purtroppo per il Carroccio, gli anni ’90 sono passati da un pezzo. In questi 20 anni il mercato unico è cresciuto e, an-‐che se le differenze re-‐gional i permangono, l'approccio dell'Unione è stato conciliativo dal punto di vista economico, tramite l'utilizzo dei fon-‐di strutturali, e politico, tramite il Comi-‐tato delle Regioni (istituito proprio negli anni in cui Bossi urlava alla secessione), vitale per l'applicazione del principio di sussidiarietà e per la cooperazione delle regioni europee. La creazione di una “Europa delle regioni”, quindi, va contro tutto ciò che l'Europa è stata ?ino ad ora e contro ciò che intende diventare: una grande federazione che nei confronti delle autonomie locali rispetti il princi-‐
pio di sussidiarietà e promuova la cooperazione tra le regioni. Non bastasse, i “fondi di coesione eco-‐nomica e sociale”, comunemente noti come fondi strutturali desti-‐nati alle regioni, ammontano per il bilancio 2007-‐2013 ad un totale di circa 335 miliardi di euro e so-‐no destinati proprio all'appiana-‐mento delle divergenze macro-‐economiche sulle quali fa leva Maroni per proporre le soluzioni leghiste alla questione comunita-‐ria. Soluzioni che, alla luce delle incoerenze appena evidenziate, appaiono evidentemente stru-‐mentali alla politica tradizionale leghista: una politica che, come
scritto sui tutti i loro manifesti, guardi “prima al Nord” o nel caso dell'Europa, prima all'euroregione del Nord. Ciò nel contesto di un Europa divisa in tanti interessi particolaristici (ancor più di quelli nazionali!) a scapito dell'interesse
generale dei 500 mi-‐lioni di abitanti del continente, che inten-‐de il commerciante asturiano cittadino europeo tale e quale
all'industriale bavarese o lombardo, con gli stessi diritti ed opportunità politiche fattuali. La situazione attuale non è chia-‐ramente questa: chi nasce in Sicilia non gode della mobilità sociale né tantome-‐no del PIL procapite di un coetaneo viennese. Ma non sarà certo la “macro-‐regione del Nord” a risolvere tali diffe-‐renze, semmai le accentuerà, essendo la politica “regionalista” della Lega Nord ben diversa da quella “regionale” attuata dall'UE: se la prima divide, la seconda unisce e peraltro è l'unica che può salva-‐re il continente (in tutte le sue zone, Nord Italia compreso) dalla grave crisi economica e sociale che lo attanaglia in questi mesi critici. Ecco perché, se dav-‐vero la Lega Nord intende tutelare gli interessi delle regioni settentrionali d'Italia, deve cambiare linea, promuo-‐vendo il proseguo dell'integrazione eu-‐ropea in ottica federalista e non come veicolo di pulsioni separatiste.Questa non è l'ora della divisione, bensì dell'unità del Nord, del Centro e del Sud Italia per l'Europa federale.
Francesco Cafarelli e Giacomo Ganzu
Maroni "Questa Europa non ci piace, gli stati na-zionali hanno esaurito la loro spinta propulsiva"
Publius - Per un’alternativa europeaNumero 12 - Ottobre/Novembre 2012
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Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Andrea Corona, Laura Filippi, Giacomo Ganzu, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Maria Vittoria Lochi, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Elena Passerella, Gilberto Pelosi, Giovanni Salpietro, Giulia Spiaggi, Francesco Violi, Gabriele Volpi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
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