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Publius Per un’Alternativa Europea Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 14 - Marzo/Aprile 2013 distribuzione gratuita Giornale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani La situazione politica ita liana dopo le elezioni è particolarmente critica, sarà dif7icile arrivare ad un accordo tra le forze politi che che esprima un gover no stabile. Una parte degli elettori ha scelto un voto di protesta contro una classe politica da cui non si sente più rappresentata. Mentre un'altra parte ha ceduto al richiamo di idea li populisti e nazionalisti che rappresentano una fuga dalla realtà in quanto non sono soluzione all'at tuale situazione di crisi europea. Conseguenza di queste scelte è l'ingover nabilità che può determi nare una svolta autorita ria, come nel 1922, e, come allora, contagiare il resto dell'Europa, e portare alla disgregazione dell'UE. Se dovesse prevalere l’ingo vernabilità oppure se si dovesse formare un go verno senza precisi impe gni europei, quando verrà il momento di ricorrere all'aiuto della BCE e del fondo salva Stati per far fronte agli attacchi della speculazione internaziona le, chi potrebbe mostrarsi solidale e comprensivo con gli italiani? E a quel punto, in nome di che cosa i cittadini do vrebbero resistere alle si rene del populismo e del nazionalismo? Così sareb be affossata la prospettiva della trasformazione del l'unione economica e mo netaria in una unione ban caria, 7iscale, economica e politica. Queste sono le responsabilità di fronte alle quali si trovano gli ita liani. Tutto dipende ormai dall'esito del tentativo di dar vita ad un governo che, oltre ad introdurre le ri forme istituzionali minime indispensabili al Paese, dovrebbe impegnarsi apertamente a rispettare gli obblighi assunti in sede europea senza mettere in pericolo la costruzione dell'unità europea e con tribuendo a completare l’unione monetaria con l’unione economica e poli tica. Se ciò accadrà, sarà possibile mettere anche la Francia e la Germania di fronte alla responsabilità di varare un piano per lo sviluppo sostenibile e l'oc cupazione 7inanziato da risorse proprie provenien ti da una tassa sulle tran sazioni 7inanziarie e una tassa sulle emissioni di CO2 destinate ad alimen tare un bilancio autonomo dell'eurozona. Solo imboc cando questa strada sarà possibile coniugare la cre scita al rigore, al quale so no state 7inora contrappo ste ricette nazionali e po puliste destinate al falli mento. Publius Indice pag.1 Editoriale Publius pag.2 Un budget per l’eurozona Giulia Spiaggi pag.4 Cameron e il nuovo ruolo del Regno Unito Maria Vittoria Lochi Luisa Trumellini pag.5 Il rapporto Gallois e i limiti della politica industriale francese Nelson Belloni pag.7 Mali, un con>litto che ha origini lontane Giacomo Ganzu

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Publius - per un'alternativa europea. Numero 14, Marzo - Aprile 2013. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia.

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PubliusPer un’Alternativa Europea

Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 14 - Marzo/Aprile 2013

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

La   situazione   politica   ita-­‐liana   dopo   le   elezioni   è  particolarmente   critica,  sarà  dif7icile  arrivare  ad  un  accordo  tra   le   forze   politi-­‐che  che  esprima   un  gover-­‐no  stabile.  Una   parte   degli  elettori   ha   scelto   un   voto  di   protesta   contro   una  classe  politica  da  cui  non  si  sente   più   rappresentata.  Mentre   un'altra   parte   ha  ceduto  al  richiamo  di   idea-­‐li   populisti   e   nazionalisti  che   rappresentano   una  fuga  dalla   realtà   in  quanto  non   sono   soluzione   all'at-­‐tuale   situazione   di   crisi  europea.   Conseguenza   di  queste   scelte   è   l'ingover-­‐nabilità   che   può   determi-­‐nare   una   svolta   autorita-­‐ria,  come  nel  1922,  e,  come  allora,   contagiare   il   resto  dell'Europa,   e   portare   alla  disgregazione   dell'UE.   Se  dovesse   prevalere   l’ingo-­‐vernabilità   oppure   se   si  dovesse   formare   un   go-­‐verno   senza   precisi   impe-­‐

gni   europei,   quando  verrà  il   momento   di   ricorrere  all'aiuto   della   BCE   e   del  fondo   salva   Stati   per   far  fronte   agli   attacchi   della  speculazione  internaziona-­‐le,   chi   potrebbe   mostrarsi  solidale   e   comprensivo  con  gli  italiani?  E  a  quel  punto,   in  nome  di  che   cosa   i   cittadini   do-­‐vrebbero   resistere   alle   si-­‐rene   del   populismo   e   del  nazionalismo?   Così   sareb-­‐be   affossata   la   prospettiva  della   trasformazione   del-­‐l'unione   economica   e   mo-­‐netaria   in  una   unione  ban-­‐caria,   7iscale,   economica   e  politica.   Queste   sono   le  responsabilità   di   fronte  alle  quali  si  trovano  gli  ita-­‐liani.   Tutto  dipende   ormai  dall'esito   del   tentativo   di  dar  vita  ad  un  governo  che,  oltre   ad   introdurre   le   ri-­‐forme   istituzionali  minime  indispensabili   al   Paese,  dovrebbe   impegnars i  apertamente   a   rispettare  

gli  obblighi  assunti  in  sede  europea   senza   mettere   in  pericolo   la   costruzione  dell'unità   europea   e   con-­‐tribuendo   a   completare  l’unione   monetaria   con  l’unione   economica   e   poli-­‐tica.   Se   ciò   accadrà,   sarà  possibile  mettere   anche   la  Francia   e   la   Germania   di  fronte   alla   responsabilità  di   varare   un   piano   per   lo  sviluppo  sostenibile  e   l'oc-­‐cupazione     7inanziato   da  risorse   proprie   provenien-­‐ti   da   una   tassa   sulle   tran-­‐sazioni   7inanziarie   e   una  tassa   sulle   emissioni   di  CO2   destinate   ad   alimen-­‐tare  un  bilancio  autonomo  dell'eurozona.   Solo  imboc-­‐cando   questa   strada   sarà  possibile   coniugare   la   cre-­‐scita   al  rigore,  al  quale   so-­‐no   state   7inora   contrappo-­‐ste   ricette   nazionali   e   po-­‐puliste   destinate   al   falli-­‐mento.

Publius

Indice

pag.1  EditorialePublius

pag.2  Un  budget  per  l’eurozona

Giulia Spiaggi

pag.4  Cameron  e  il  nuovo  ruolo  del  Regno  Unito

Maria Vittoria LochiLuisa Trumellini

pag.5  Il  rapporto  Gallois  e  i  limiti  della  politica  industriale  francese

Nelson Belloni

pag.7  Mali,  un  con>litto  che  ha  origini  lontane

Giacomo Ganzu

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Il   deludente   esito   del   dibattito   sulle  prospettive   di   7inanziamento   del-­‐l’Unione  europea  2014-­‐2020  che  si  è  concluso   nell'ultimo   Consiglio   euro-­‐peo   ha   evidenziato   come   il   procedi-­‐mento   intergovernativo   a   ventisette  che   caratterizza   l'attuale   sistema   di  formazione,   gestione   e   impiego   del  bilancio   europeo   non   è   adeguato   a  promuovere   la  crescita,  lo  sviluppo  e  l’occupazione   per   fondare   il   rilancio  economico   dell'Europa.   L'alternativa  è   rappresentata  dal  piano  per  la  così  detta   unione   economica   e   politica  presentato   nel   blueprint   della   Com-­‐missione   europea   e   nel   documento  redatto   dai   quattro   presidenti   di  Consiglio,   Commissione,   Parlamento  e   Banca   Centrale   che   prevede   la  creazione   di   “un   bilancio   autonomo  per  l'eurozona  dotato  di  una  capacità  7iscale   per  aiutare  i   paesi  membri  ad  assorbire  gli  shock”.  La   proposta   è   stata   oggetto   di   auto-­‐revoli   ri7lessioni,   tra   cui   quelle   con-­‐tenute   in   alcuni   documenti   editi   dal  centro  studi  Bruegel,  in  particolare  A  Budget   for   Europe’s  Monetary   Union,  di   Guntram   Wolf   (n.   2012/22,   di-­‐cembre   2012).   La   ri7lessione   prende  avvio  dalla  storia  della  creazione  del-­‐l'euro  ed  evidenzia  come   le  proposte  iniziali  di  accompagnarlo  ad  una  vera  unione  economica  non  si  sono  realiz-­‐zate,   mentre   le   regole   stabilite   dal  

Trattato   di   Maastricht   sono   state  pensate   per  governare   una   situazio-­‐ne   di   relativa   stabilità,   ma   si   sono  rivelate  drammaticamente  inadegua-­‐te  per  gestire   le  crisi.   La  creazione  di  un   bilancio   dell'eurozona   aiuterebbe  a   restituire   7iducia   e   credibilità   sui  mercati   alla   moneta   unica   e   ai   paesi  che   la   utilizzano.   Il   suo   principale  scopo  dovrebbe   essere   la   politica   di  s tab i l i zzaz ione   per  scongiurare   il  rischio  di  shock   asimmetrici   nella  zona   euro.   L’esperienza  dimostra   infatti  che   “re-­‐gional  governments  in  a  monetary   union   cannot  provide   a   7iscal   respon-­‐se   to   large   and   deep   balance-­‐sheet  recessions   because   of   the   unwil-­‐lingness   of   investors   to   7inance   ex-­‐ternal  debt.  National   7iscal  policy  be-­‐comes   ineffective.   Monetary   policy,  by  de7inition,   does   not  address  deep  recessions   that   are   purely   regional”  (p.5).   Ma   anche   in   casi   di   crisi   che  investono   l’intera   area   monetaria   la  funzione  di  un  budget  di  natura  fede-­‐rale   è   indispensabile   per   invertire   il  trend   recessivo.   Le   politiche   7iscali  regionali   sono   infatti   poco   ef7icienti,  perché   i   singoli   paesi   aspettano   di  usufruire   dell’intervento   dei   partner  e  rimandano  o  minimizzano  le  politi-­‐che   di   stimolo;   solo   un   intervento   a  

livello   centrale   può   sbloccare   la   si-­‐tuazione.  Un’ipotesi  che   invece   non   viene   pre-­‐sa   in   considerazione   è   quella   della  possibilità   di  usare   il   bilancio  per  7i-­‐nanziare  un  grande   piano  di   rilancio  dello   sviluppo  socialmente   ed   ecolo-­‐gicamente  sostenibile.  La  proposta  di  un  piano  per  la   crescita  è   stata   avan-­‐zata   dalla   Francia,  mentre   nello  sce-­‐

nario   prospettato   dal  Bruegel   la   gestione   dei  beni   pubblici   tra   cui   la  salvaguardia   dell'am-­‐biente   e   il  mantenimento  della   sicurezza   sociale  dovrebbe   restare   ancora  al   livello   dell'Unione   a  

ventisette.Per  quanto  riguarda  il  7inanziamento  del   bilancio,   le   risorse   dovrebbero  essere   reperite   o   con   l'imposizione  7iscale   diretta   sui  cittadini,   che  si  po-­‐trebbe   realizzare   istituendo   una   tas-­‐sa  europea,  oppure  con  erogazioni  da  parte   dei   bilanci   nazionali.   Chiara-­‐mente   la   prima   ipotesi   è   preferibile  in    quanto  il  7inanziamento  al  budget  non   sarebbe   più   basato   sul   metodo  intergovernativo   con   tutte   le   conse-­‐guenze   negative   che   ne   derivano.  Una   possibilità   potrebbe   essere   la  tassa  sulle  transazioni  7inanziarie  che  favorirebbe   la   regolamentazione   dei  mercati  e  che  già  undici  dei  paesi  eu-­‐ro  hanno  adottato  mantenendo   però  la  gestione  al  livello  nazionale.  Oppu-­‐re  la  tassa  sulle  emissioni  di  anidride  carbonica,   una   misura   che   aiutereb-­‐be   la   conversione   della   produzione  verso  modelli   ecologicamente   soste-­‐nibili.  Nello   studio  del   Bruegel   lo   scenario  ideale   in   cui   istituire   il   bilancio   ad  hoc  dovrebbe   essere  allargato  a   quei  paesi  dell'Unione  che  hanno  già  adot-­‐tato  le  misure  necessarie  per  entrare  nell'euro   stabilendo   un   cambio   7isso  tra   la   loro  moneta  e  l'euro.  In  seguito  si  presenterà   la   necessità   di  ridiscu-­‐tere   i  rapporti  economici   e   commer-­‐ciali   all'interno   del  mercato   comune  con  i  paesi  al  di  fuori  di  quest'area.  Il  tentativo  di  stabilire  dei  criteri  per  valutare   quando  un   paese   ha   diritto  di   ricevere   l'aiuto   dal   bilancio   dà  luogo   a   diverse   ipotesi.   Uno   dei   me-­‐todi  possibili  è   quello  di   considerare  le   variazioni   del   PIL   che   però   non   è  più  ritenuto  un  parametro  esauriente  

Un budget per l’eurozona

Un bilancio dell'euro-zona aiuterebbe a restituire fiducia e

credibilità sui mercati alla moneta unica

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per  valutare  la  situazione  economica.  Un'altro   sistema   potrebbe   essere  quello   di   osservare   l'evoluzione   del  mercato   interno;   un   altro  fare   riferi-­‐mento  al  livello  dello  spread  per  cal-­‐colare  l'entità  del  7inanziamento  a  cui  il   paese   ha   diritto.   Naturalmente   il  paese  destinatario  del  7inanziamento  deve  essere   anche  vincolato  alla   rea-­‐lizzazione   di   opportune   riforme   per  rilanciare   lo  sviluppo  e   la  produttivi-­‐tà,  in  modo  da  arginare  le  preoccupa-­‐zioni   dei   paesi   più   stabili   dell'area  che  temono  la  possibilità  che  un  pae-­‐se  più  debole  diventi  dipendente  dai  7inanziamenti   dei   partner.   Per   lo  stesso    motivo  il  periodo  di   tempo  durante   il   qua-­‐le   erogare   il   7inanzia-­‐mento   deve   essere   cali-­‐brato   in   modo   da   non  essere   troppo   breve   al  punto   da   non   lasciare   il  tempo   di   applicare   le  necessarie   riforme;   né   troppo  lungo,  tanto  da  disincentivare  il  governo  del  paese  a   cercare  di  sforzarsi  di  uscire  dalla  situazione  corrente.  Rispetto  a   questi   studi   che   vogliono  dimostrare,   prima   ancora   di   entrare  nei   dettagli   tecnici   delle   ipotesi   di  realizzazione,   la   necessità   di   un   bi-­‐lancio   comune   per   la   sopravvivenza  dell’area   euro,   alcuni   economisti   ri-­‐tengono   invece   che   l'istituzione   di  tale   bilancio   non   sia   indispensabile  per  risolvere  la  crisi.  Ad  esempio  Da-­‐niel   Gros,   in   una   nota   datata   7   di-­‐cembre  2012,  The  False  Promise   of   a  Eurozone   Budget,   sostiene,   rifacen-­‐dosi   all’esperienza   americana,   che  solo  una   piccola   percentuale   dell’in-­‐tervento   a   sostegno   della   ripresa   di  uno   Stato   della   federazione   viene  operata  dal  trasferimento  di  fondi  dal  

budget  federale;  e  che   quindi   si   rive-­‐lano   più  ef7icaci  misure   come   quelle  atte   a   realizzare   l’unione   bancaria,  che  serve  anche  ad  impedire  il  blocco  del  mercato  dei  capitali,  che   di   per   sé   ha   una  funzione   decisiva   nel-­‐l’assorbimento   degli  shock.   Quello   che   Gros  non   sembra   tenere   in  considerazione   è   sia   il   ruolo   di   un  bilancio   federale   per   permettere   il  corretto  funzionamento  dei  meccani-­‐smi  di   stabilizzazione   che   il  mercato  mette   in  atto  solo  in  contesti  protetti  dalla  garanzia  (in  ultima  istanza  poli-­‐

tica)   che   deriva   da   un  bilancio   unico   ef7icace;  sia   il   fatto   che   nessuna  unione   monetaria   è   so-­‐p r a v v i s s u t a   s e n z a  un'unica   politica   econo-­‐mica  e   7iscale.  Per  questo  la   sola   istituzione   del   bi-­‐

lancio  non  è  di  per  sé   suf7iciente,  ma  si   deve   anche   com-­‐ pletare   l'unio-­‐ne   bancaria   in  modo  che   a   livello  europeo   c i   s ia  un'istituzione   che  controlli   l'operato  delle   banche   e   in  caso   di   necessità  sovrintenda  al  loro  ri7inanziamento.  Considerando   poi  la   disparità   esi-­‐stente  tra   i  merca-­‐ti   del   lavoro   dei  paesi  europei   sono  urgenti   delle   ri-­‐forme   che   li   armo-­‐nizzino  per  ridurre  la   disoccupazione  e   aumentare   la  

competitività.   Rimane   in7ine   aperta  la   questione  di  chi   e   come  debba   es-­‐sere  gestito  il  bilancio.  Anche   in  que-­‐sto   caso   vengono   avanzate,   a   livello  di   ri7lessione   teorica,  diverse   ipotesi.  La   prima   prevede   delle   pratiche   au-­‐tomatiche   con   delle   regole   decise   a  priori;   questo  metodo,   anche   se   ga-­‐rantisce  una  certa  rapidità  delle  deci-­‐sioni,  manca  però  di  discrezionalità  e  di   7lessibilità.   Una   seconda   ipotesi  prevede   di   af7idare   le   decisioni   ai  rappresentanti   dei   governi   sotto   il  controllo  della  Commissione  in  modo  che   ogni   situazione   venga   valutata  singolarmente.  Però  questa  soluzione  si   basa   sulla   necessità   dell'accordo  tra  i  governi,  ed  è    un  metodo  che  si  è  spesso  rivelato  lento  e  inadeguato.  Il   nodo   principale   che   non   viene   af-­‐frontato   da   questi   studi   è   dunque  quello   della   legittimità   democratica,  indispensabile   nella   misura   in   cui   si  devono   decidere   criteri   di   gestione  del  bilancio  legittimi  ed  ef7icaci  quin-­‐

di   applicare   le   riforme  che  da   queste  decisioni  derivano.   La   stessa   im-­‐posizione   7iscale   neces-­‐saria   per   dotare   il   bi-­‐lancio   di   risorse   pro-­‐

prie   richiede   una   rappresentanza  veramente   democratica.   Questo   si  può   realizzare   solo   a   partire   dalla  differenziazione   delle   responsabilità  e  funzioni  di  controllo  in  seno  al  Par-­‐lamento   europeo   tra   parlamentari  eletti  nell’eurozona  e  fuori  di  essa,  su  questioni   di   bilancio,   7iscali   ed   eco-­‐nomiche   riferibili   all’area   euro.   E   in  prospettiva   con   la   convocazione   di  una   Convenzione   costituente   per  re-­‐digere  una  costituzione  che   istituisca  un  governo  per  l'eurozona.

Giulia  Spiaggi

Il nodo principale è quello della

legittimità democratica

Sono urgenti delle riforme per ridurre la disoccupazione e aumentare la com-

petitività

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Mentre   la   crisi   economica   si   appro-­‐fondisce   nell’eurozona,   il   vero   pro-­‐blema   che   l’Europa   deve   affrontare,  al  più  presto,  è  quello  di  separare  isti-­‐tuzionalmente  il   quadro  del  mercato  unico  a  venitsette  –  con   la   sua   logica  inevitabilmente   intergovernativa,  appena   sfumata   dal   cosiddetto   me-­‐todo   comunitario   –   dal   quadro   del-­‐l’Unione  monetaria,   in  cui  deve  poter  iniziare  a  funzionare  la  logica  federa-­‐le   di   un  potere   sovranazionale   auto-­‐nomo,  di  un  bilancio  adeguato  dotato  di  risorse  proprie  per  promuovere   la  crescita   e   lo  sviluppo,  di   una   riparti-­‐zione   dei   poteri   e   delle   competenze  che   corrisponda   al   trasferimento   di  sovranità  dagli  Stati  all’Europa.Le  condizioni  per  avviare  questa  bat-­‐taglia  ci   sono  ormai   tutte,  da   tempo.  L’ultimo   elemento   di   chiarezza   l’ha  fornito  addirittura   la  Gran   Bretagna.  Cameron   ha   preso  atto  uf7icialmente  della   necessità   di   separare   i   due  quadri.   Nel   suo   attesissimo   discorso  sull’Europa,   tenuto   il   23   gennaio,   il  premier  britannico  Cameron   ha   usa-­‐to   parole   chiarissime,   e   proposto   la  sua   ricetta.   “Those   of   us   outside   the  euro   recognise   that   those   in   it   are  likely  to  need  to  make  some  big  insti-­‐tutional  changes.  By  the   same   token,  the  members  of   the  eurozone  should  accept  that  we,   and   indeed  all  mem-­‐ber  states,  will  have  changes  that  we  need  to  safeguard  our  interests....  We  understand   and   respect   the   right   of  others  to  maintain  their  commitment  to  this  goal  (to  "lay  the  foundations  of  an  ever   closer   union  among  the   peo-­‐ples   of   Europe",   as   European   treaty  commits   the   member   states,   n.d.r.).  But   for   Britain   –   and  perhaps  for  others  –   it   is  not  the  objective.And   we   would   be   much  more   comfortable   if   the  treaty  speci7ically  said   so,  freeing  those  who  want  to  go   further,   faster,   to   do  so,   without   being   held  back  by  the  others....”.  Londra   sa   che   sarebbe  controproducente   ferma-­‐re   la   stabilizzazione   del-­‐l’Unione  monetaria,  la  quale  dipende  da   un   “grande   cambiamento   istitu-­‐zionale”.   E   ha   interesse   a   rimanere  nel   mercato   unico   (“At   the   core   of  

the  European  Union  must  be,  as  it  is  now,   the   single   market.   Britain   is   at  the   heart  of   that   single   market,   and  must  remain  so....  “).  La  soluzione  che  propone   è   un   nuovo   trat-­‐tato   che   prenda   atto  delle  diverse   esigenze.   Certo,  Cameron  chiede  anche  che  in   questo   nuovo   contesto  la   Gran   Bretagna   negozi  una   partecipazione   à   la  carte   alla   nuova   Unione,  sollecita   più   7lessibilità  nelle   regole,   una   parziale  rinazionalizzazione   delle  competenze,   maggiore  controllo   dei   parlamenti  nazionali.   Tutte   proposte  

da   molti   giudicate   inac-­‐cettabili   e   irrealistiche,  che   altri   trasformano  nell’ipotesi   di   un’uscita  degli   inglesi   dall’UE   e  nella   stipulazione   di   un  nuovo  patto  come  “asso-­‐ciate   member”,   tipo   la  Svizzera   e   la   Norvegia.  Ma   tutto   ciò   è   seconda-­‐rio:   il   problema   è   sfrut-­‐tare   questa   oggettiva  impasse   della   Gran   Bre-­‐

tagna,  che  non  può  fermare  il  proces-­‐so   di   integrazione   dell’eurozona   –  perché   sa   che   ne   va   della   sopravvi-­‐venza  dell’euro  e,  quindi,  dello  stesso  

mercato  unico  –  per  completare  dav-­‐vero   l’Unione   monetaria:   a   partire  dall’impegno  per  avviare,  subito,  una  battaglia   per   un   budget   aggiuntivo  

dell’eurozona   fondato  su   risorse   proprie   (in  primis  la  TTF  che  nasce  in   seno   all’eurozona);  per   proseguire   con  l’apertura  di  un  proces-­‐so   costituente   per   7is-­‐sare  gli  equilibri  di  una  nuova   Unione   con   di-­‐versi   gradi   di   integra-­‐zione.Queste   dovrebbero   es-­‐sere   le   battaglie   del  Parlamento   europeo:   i  

proclami   sulla   Federazione   europea  senza   riferimento   al   quadro   in   cui  questa   è   realizzabile   ormai  non  ser-­‐vono  più;   e   la   difesa   del  metodo  co-­‐munitario   o   il   sostegno   al   rafforza-­‐mento   dell’Unione   presto   a   ventotto  sono   addirittura   controproducenti.  Quello   che   il   Parlamento   europeo  deve   avere   la   capacità   di   fare   è   di  diventare   avanguardia   di   una   lotta  costituente   per  trasformare   l’Unione  monetaria  in  un’unione  politica  fede-­‐rale  e  per  rifondare  l’Unione  europea  su  questa  base.

Maria  Vittoria  LochiLuisa  Trumellini

Cameron e il nuovo ruolo del Regno Unito

Il problema è sfrut-tare questa oggetti-

va impasse della Gran Bretagna, che non può fermare il processo di integra-zione dell’eurozona, per completare dav-vero l’Unione mone-

taria.

We would be much more comfortable if the treaty specifical-

ly said so, freeing those who want to

go further, faster, to do so, without being held back by the ot-

hers

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Il rapporto Gallois e i limiti della politica industriale francese

Il  5   novembre   è   stato  pubblicato   in  Francia   il   rapporto  stilato  dal   Com-­‐missario   generale   agli   investimenti  Louis  Gallois,  che  era  stato  incarica-­‐to  dal  governo  di  analizzare   lo  stato  di   salute   dell’industria   del   suo  pae-­‐se.   Sulla   base   di   questo   rapporto,  intitolato  Patto  per   la   competitività  dell’industria  francese,   il  governo  ha  poi  adottato  una  serie  di  misure  per  cercare  di  rilanciare   il   settore   indu-­‐striale.  Il  rapporto  è   utile  sia  perché  fornisce   un’analisi   completa   della  condizione  in  cui  versa  un  paese  eu-­‐ropeo   importante   come   la   Francia,  sia  perché  mostra   i   limiti  delle  poli-­‐tiche  economiche  e  degli  obiettivi  di  uno   Stato   nazionale   che,   in   quanto  tale,   risponde   esclusivamente   al  proprio   elettorato.   Innanzitutto,  l’eco  che  questo  rapporto  ha  suscita-­‐to  in  Francia,  e   il  fatto  stesso  che  sia  stato   commissionato,   sono   un   ulte-­‐riore   prova   del   fatto   che,   rispetto  alla   logica   dominante   prima   della  crisi,   il   futuro  dello  sviluppo  econo-­‐mico  non  è  più  pensato  in  termini  di  ampliamento  del   settore  dei  servizi,  in   particolare   di   quelli   7inanziari,  considerati  7ino  a  poco   tempo  fa  as-­‐solutamente   prioritari,   ma   si   cerca  di   perseguire   un   rafforzamento   del  settore   industriale.  Si  torna   a   capire  che   la   produzione   manifatturiera  comporta  anche  una  serie  di  ricadu-­‐te   importantissime   per   il   sistema-­‐paese,  a  partire  dall’accesso  alle  tec-­‐nologie   più  avanzate   e   so7isticate,   e  che   (come   dimostrano   la   Cina   e   la  Germania)   è   strategico  sviluppare   la   propensio-­‐ne  alle  esportazioni  e  alla  creazione   di   alto   valore  aggiunto.  Il  rapporto  par-­‐te   da   un’analisi   dei   dati  macroeconomici   che  fanno   stimare   a   Gallois  che   la   Francia   si   trovi   in   condizioni  prossime  ad  una  soglia  critica,  supe-­‐rata  la  quale  diventerebbe   reale  una  minaccia   di   destrutturazione   del-­‐l’apparato   industriale.   La   Francia   è  infatti   passata   da   un   rapporto   tra  PIL  industriale  e  PIL  globale  di  18%  nel   2000   a   poco   più   del   12,5%   nel  2011   e   si   colloca   al   15°   posto   nel-­‐l’eurozona.   I  paesi   europei  migliori,  sotto  questo  pro7ilo,   sono   la   Germa-­‐nia   (26,2%),   la   Svezia   (21,2%)   e  

l’Italia   (18,6%).   Complessivamente  la   Francia   ha   perso   due   milioni   di  posti   di   lavoro   nel   ramo   industriale  che   nel   2000   rappresentava   il   26%  degli   impieghi  mentre   oggi   rappre-­‐senta   il   12,6%,   cioè   la  metà.  Queste  cifre   mostrano   che   c’è,   anche,   un  problema  di  mentalità  che  si  è  venu-­‐ta   a   creare:   uno   dei   luoghi   comuni  che   occorre   sfatare   è   che   il   lavoro  

nel   settore   industriale  oggi  sia  meno  redditizio  rispetto   a   quello   nel  settore   dei   servizi.   Il  governo  si   trova  quindi  con   il   problema   di   do-­‐ver   cercare   di   incenti-­‐

vare   il   numero   degli   ingegneri,   dei  tecnici,   degli   operai,   dei   ricercatori,  ecc.   La  Francia   è   passata   dall’essere  un  paese   esportatore  nel  2000,  seb-­‐bene  con  una  eccedenza  lieve  rispet-­‐to   alle   importazioni,   all’essere   di-­‐ventata   un   paese   importatore   con  un   consistente   de7icit  di   70  miliardi  nella   bilancia  dei  pagamenti.  L’euro-­‐zona  è  il  maggior  mercato  di  sbocco  per  i   francesi,  ma,  nonostante  ciò,   la  Francia   rappresenta   solo   il   9%  (12%   nel   2000)   delle   esportazioni  

interne   all’eurozona   mentre   ad  esempio  la   Germania   rappresenta   il  22%   (20%   2000).  Quali  sono   le   ra-­‐gioni   della   perdita   di   quote   di   mer-­‐cato  così  ampie?  La   Francia   sembra  schiacciata   da   un   lato   dal   modello  tedesco,   il   cui   settore   industriale   è  posizionato   su   un   segmento   di  gamma   superiore  meno  sensibile   al  fattore  prezzo  ed  è  sostenuto  da  una  politica  economica   che  permette  un  contenimento   dei   costi   (anche   per  effetto   dei   bassi   salari   nei   servizi,  inconcepibili   in   Francia)   che   avvan-­‐taggiano  ulteriormente   le   imprese,   i  cui  margini   di   pro7itto   superiori   fa-­‐voriscono   la   crescita   degli   investi-­‐menti.   Dall’altro   lato,   dai   paesi  emergenti  che  hanno  costi  unitari  di  produzione  ancor  più   bassi  e   che  al  tempo   stesso   sono   sempre   più   in  grado  di  produrre  beni  di  valore  ag-­‐giunto   sempre  maggiore   e   con   con-­‐tenuto   tecnologico   sempre   più   ele-­‐vato.  La  reazione  dell’industria  fran-­‐cese   rispetto   a   questa   duplice   con-­‐correnza   è   stata   quella   di  cercare  di  preservare   la   competitività   dei  prezzi  a  discapito  della  sua  competi-­‐tività  globale:  i  margini  di  guadagno  

La Francia è passata dall'essere paese

esportatore a paese importatore

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si   sono   così   abbassati   dal   30%   al  21%  nel  periodo  2000-­‐2011,  mentre  nello   stesso   periodo   in   Germania  crescevano  del  7%.  Di  conseguenza  il  tasso  di   auto7inanziamen-­‐to   è   crollato   dall’80%   al  65%,   quando   in   Europa   è  vicino   al   100%.   Gli   inve-­‐stimenti  per  aumentare   la  produttività  e   l’innovazio-­‐ne   del  processo  di  produ-­‐zione   sono   calati   drasti-­‐camente   e   le   imprese   francesi,   fatti  salvi   alcuni   settori   di   punta,   hanno  perso   terreno   rispetto   alle   migliori  industrie   europee.   Il   primo   settore  su   cui   la   Francia   deve   intervenire  per   invertire   il   trend   negativo   è  dunque   quello   della   ricerca,   dell’in-­‐novazione   e   della   formazione.   La  spesa  statale  francese  in  R&S  è  tra   le  più   alte   in  assoluto   (2,24%  del  PIL),  ma  allo  stesso  tempo  è  bassa  la  quo-­‐ta   degli   investimenti   privati   (solo  l’1,4%  del  PIL,  ossia   la  metà   rispetto  ai  paesi  scandinavi  e  alla  Germania  e  molto   inferiore   in   generale   alla   me-­‐dia  dell’eurozona).  Inoltre,  mentre  in  Germania   il   5,4%   delle   imprese   te-­‐desche   ha   bene7iciato   di   7inanzia-­‐menti  pubblici  per  la  ricerca  e  lo  svi-­‐luppo,   in  Francia  ciò  è  accaduto  solo  per   l’1,4%.   delle   aziende   Questo   si-­‐

gni7ica   che   la   spesa   statale   francese  in   R&S   è   poco  orientata   al   sostegno  del   settore   industriale,   che   così  somma   le   due   dif7icoltà,   quella   ad  

ottenere   7inanziamenti  statali  e   il  basso  tasso  di  auto7inanziamento.   Il  rapporto   prosegue   con  un   lungo  elenco   di   criti-­‐cità  del  sistema  francese,  che   include   la  mancanza  di   medie   imprese   (il   si-­‐

stema  è  polarizzato  tra   grandi  grup-­‐pi   a   vocazione   internazionale   e   im-­‐prese   troppo   piccole   per   riuscire   a  svilupparsi   e   ad   essere   competitive  sul   mercato   internazionale);   una  scarsa   capacità  di   fare   rete  da  parte  delle   imprese   e  un  cattivo  funziona-­‐mento   delle   7iliere;   una   scarsa   soli-­‐darietà   territoriale;  un’eccessiva  de-­‐localizzazione   che   ha   for-­‐temente   destrutturato  ampie   7iliere   industriali;  un  mercato  del  lavoro  che  necessita  di  essere  meglio  organizzato   per  eliminare  rigidità   che   pesano   in   ta-­‐luni   settori   mentre   in   altri   vige   una  totale   mancanza   di   protezione.   E  cerca   di   evidenziare   i   vantaggi   del  paese   su   cui   far   leva   per   cercare   di  far   ripartire   il   settore   industriale,  

che  vanno  dalle  eccellenze  nazionali,  ad  un  buon  sistema  di  infrastrutture  e  servizi  pubblici,  ad  un  basso  prezzo  dell’energia  elettrica,   ad  un’alta   qua-­‐lità   della   vita   e   ad   una   produttività  oraria   del   lavoro   ancora   tra   le   più  alte   in   Europa.   Sulla   base   di   questi  punti   di   forza,   e   con   l’obiettivo   di  andare   a   correggere   le   debolezze,   il  rapporto  indica  una   serie  molto  det-­‐tagliata   di   proposte   di   riforme   ed  interventi  che   suggerisce   al  governo  di   avviare.   Il   quadro   europeo,   in  questo   contesto,   è   citato   solo   nella  prospettiva  di  rafforzare   le   politiche  comunitarie   già   in   essere,   concepite  in   un’ottica   di   coordinamento   e   co-­‐operazione   intergovernativa.  Nessun  riferimento,   quindi,   al   dibattito   in  corso   sul   bilancio   per   l’eurozona,  sull’ipotesi   di   un   piano   di   sviluppo  

europeo,   sulle   quattro  unioni   e   sopratutto   sul-­‐l’unione   politica,   oltre   che  su  parziali   condivisioni  del  debito   o   progetti   di   part-­‐nership   euro-­‐mediterra-­‐nea.   Le   proposte   restano  

meramente  nazionali,  con  tutti  i  limi-­‐ti  che   le   caratterizzano:   ad   esempio,  sulla   questione   dell’energia,   il   rap-­‐

Le proposte re-stano meramente

nazionali

Nessun riferi-mento al dibatti-to sull'Eurozona

Scheda personaggio - Konrad AdenauerKonrad  Adenauer   (Colonia,   5  Gennaio   1876  -­‐   19  Aprile   1967,   Bad   Honnef)   fu  primo   cancelliere  federale   della   Repubblica   Federale   Tedesca.   Fu  sindaco   di   Colonia   dal   1917  7ino   all’avvento   del  regime   nazista   nel   1933   e   ri7iutò   sempre   ogni  collaborazione  con  il  NSDAP  e  con  le  autorità  na-­‐ziste.  Questo  ri7iuto  lo  costrinse  a  subire,  7ino  alla  7ine  del  regime  nel  1945,  le  continue  angherie  da  parte   delle  autorità  hitleriane.   Durante   i  primis-­‐simi   anni   del   dopoguerra,   Adenauer   si   adoperò  per  la  riunione  di  tutti  i  gruppi  politici  popolari  e  democratici   d’ispirazione   cattolica   e   luterana   in  un  solo   gruppo  politico.   Il  suo   operato   portò  alla  fondazione   della   CDU,   (Christlich   Demokratische  Union)  di  cui  Adenauer   fu  il  primo   presidente.   A  livello  di  politica  estera  la  scelta  di  Adenauer   fu  il  deciso  e  con-­‐vinto   schieramento   della   Repubblica   Federale   a   7ianco   della  NATO  nel   1949.   Successivamente,   Adenauer   si   spese   anche   a  favore   del   riarmo   della   Repubblica  Federale   in   funzione  non  imperialista   ma   invece   pro-­‐europea   ed   antistaliniana.   In   tal  senso,  egli  fu  uno  dei  principali  sostenitori  della  Conferenza  di  Messina  e  della  Comunità  Europea  di  Difesa.  Adenauer,  assieme  a  De  Gasperi  e  Schuman,  fu  uno  dei  fondatori  della  CECA  e  suc-­‐cessivamente   7irmatario   del   Trattato   di   Roma.   L’adesione   a  questi  progetti  lo  portò  allo   scontro  domestico  con  l’opposizio-­‐ne   socialdemocratica   e   principalmente   contro   i   grandi   cartelli  tedeschi,   che  vedevano   minacciati   il   proprio   ruolo.   Durante   il  suo   governo,   grazie   all’operato   del   ministro   dell’economia  

Ludwig  Erhard,  la  Germania  diede  vita  ed  applicò  il  sistema  chiamato  della  Soziale  Marktwirtschaft,  che  univa  il  libero  mercato  con  il  ruolo  regolatore  dello  stato.  A  suggello  del  suo  attivismo  in  favore  della  pace  e  della   riconciliazione  europea,   venne  7irmato  il  22  Gennaio  1963  (l’ultimo  anno  del  suo  lungo   Cancellierato)   il   trattato   dell’Eliseo,   che  sanciva   de7initivamente   la   nascita   di   un   nuovo  capitolo  nella  storia  delle  relazioni  Franco-­‐Tede-­‐sche.  Morì  nella  sua  casa  a  Bad  Honnef,  nei  pressi  di  Bonn.  La  7iglia  raccontò  che  le  sue  ultime  paro-­‐le  (pronunciate  in  dialetto  renano)  furono:  “Non  c’è  niente  di  cui  preoccuparsi”.  

Tra  le  sue  frasi  più  celebri:  “Ero   fermamente   convinto   che  se  la   partenza   era  

avvenuta   in   quel   modo,   se   cioè   i   sei   Stati   partecipanti  trasferivano   volontariamente  e   senza   alcuna   riserva   una   parte  della  loro  sovranità  ad  un  organismo  superiore,  si  poteva  sperare  che  un’evoluzione  simile  si  sarebbe  compiuta  anche  in  altri  campi  e   con   con   ciò   si   sarebbe   inferto   un   colpo   mortale   al  nazionalismo”.  “Mi   opponevo   ad   un   riarmo   tedesco,   motivando   la   mia  opposizione  con   le   gravi   perdite  umane  subite  dalla   Germania  nell’ultima  guerra  mondiale  (...).  Non  era  ammissibile  sotto  alcun  punto   di   vista   che   dei   tedeschi   potessero   venire   arruolati  nelle  formazioni   straniere   come   dei   mercenari   o   dei   lanzichenecchi  (...).  In  caso  estremo  ero  disposto  ad  esaminare  una  proposta   di  partecipazione  tedesca  all’armata  di  una   Federazione  europea”.  (Adenauer,  Memorie,  cit.  p.  393)

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Il   con7litto   in   Mali,   assurto   all’atten-­‐zione  mondiale  nelle   scorse   settima-­‐ne   in   seguito  all’intervento   francese,  è   emblematico  della   crisi  che   sta   in-­‐vestendo   l’intera   regione   nord   afri-­‐cana.La   radice   primaria   è   sicuramente  locale:  la  regione,  una  delle  più  pove-­‐re  del  pianeta,  che  vive  stentatamen-­‐te  di  agricoltura   e   che   recentemente  è   stata   direttamente   colpita   dalla  diminuzione  degli  aiuti  internaziona-­‐li  allo  sviluppo,  è  da  sempre  in  preda  all’anarchia   e   alla   violenza;  sin   dalla  fondazione   dello   Stato   del   Mali   la  popolazione   tuareg   è   impegnata   in  un   aspro   confronto   con   il   governo  centrale   per   rivendicare   l’indipen-­‐denza   della   propria   regione   (i   terri-­‐tori   sahariani   del   Nord,   chiamati  Azawad).   Le   tensioni   fondamentali-­‐ste   che   scuotono   il   mondo   arabo   si  sono  inserite  su  questo  terreno  ferti-­‐le,  già  a  partire  dalla  guerra  civile  che  ha   insanguinato   l’Algeria   all’inizio  degli  anni  Novanta   e  che   si  è  conclu-­‐sa  con  la  scon7itta  del  Gruppo  islami-­‐co  armato.   I   resti   delle   forze   islami-­‐ste  si  sono  rifugiati  nel  Sahel  e  hanno  dato  vita  alla  cellula  magrebina  di  Al  Qaeda,   7inanziandosi   innanzitutto  

tramite   i   sequestri   a   scopo   di   estor-­‐sione,  in  particolare  di  stranieri.  Recentemente,   la   dissoluzione   dello  Stato   libico,   otre   ad  aver  accresciuto  l’instabilità  dell’area  e  aver  alimenta-­‐to  la   nascita   di   traf7ici   e,   conseguen-­‐temente,   di   bande   criminali   (alcune  delle   quali   si   sono   ammantate   della  bandiera   dell’Islam),   ha   aperto   le  frontiere  a   ingenti   7lussi  di   armi  e  al  rientro   in  Mali  della   legione   dei   tua-­‐reg   che   prestavano   servizio   nel-­‐l’esercito   di   Ghadda7i.   Questo   insie-­‐

me   di   fattori   ha   avuto,   tra   le   tante  conseguenze,   anche   quello  di   raffor-­‐zare   il   Movimento   nazionale   per   la  liberazione   dell’Azawad   e   quindi   di  innescare  una  guerra  civile  nel  paese  che  ha  portato  ad  un  colpo  di  Stato  in  Mali  da  parte  di  un  gruppo  di  uf7iciali  e   ha   creato   le   condizioni   af7inché   la  regione   tuareg  dichiarasse  la  propria  indipendenza.   Di   fronte   a   questo  

Mali, un conflitto che ha origini lontane

porto  tiene  a  sottolineare  che  lo  svi-­‐luppo   delle   risorse   rinnovabili   non  deve  mettere   a   repentaglio  il   basso  costo   dell’energia,   tant’è   che   gli   in-­‐vestimenti  suggeriti   in   campo  ener-­‐getico  riguardano  soprattutto  il  set-­‐tore  degli  scisti  bituminosi  e  del  gas  naturale,  che   sono   idrocarburi.  Non  ci  si  pone  quindi  il  problema  di  pre-­‐venire  un   effetto  collaterale,   il  mag-­‐giore   consumo   energetico,   legato  all’auspicato   aumento   della   produ-­‐zione   industriale,   sacri7icando   così  l’obiettivo   di   lungo   periodo   del   ri-­‐sparmio  energetico  (strategico  sotto  molti   punti   di   vista)   in   nome   della  competitività   nel   breve   periodo.   In  questo  senso  basta  fare  un  paragone  con   paesi   come   la   Cina,   l’India   e   il  Brasile   che   possono   permettersi   di  tutelare   i   propri   interessi   anche   di  lungo  periodo  investendo  largamen-­‐

te  nel  settore  delle  energie   rinnova-­‐bili   e   sostenibili   (basti   pensare   che  la   Cina   è   il   paese   che   investe   mag-­‐giormente   per   le   rinnovabili   al  mondo).  Più  in  generale,  il  rapporto,  nel  momento   in  cui   affronta   la   que-­‐stione   di   quale   politica   economica  favorire   tra   la  demand  side  economy  e   la   supply  side   economy,   rende   evi-­‐dente   come   il  fatto  di  usare  esclusi-­‐vamente   il   criterio   nazionale   per  valutare   i   vantaggi   e   gli   svantaggi  dei  due  modelli,  impedisca  un’anali-­‐si   razionale.   Poiché   si   considera  “importazione”   anche   ciò   che   pro-­‐viene   dagli   altri  paesi   dell’Unione   e  si  pone   la   questione   che   in  un  mer-­‐cato   unico   i   vantaggi   del   sostegno  alla   domanda   interna   ricadono   an-­‐che   sugli   altri   partner  commerciali,  la  scelta  deve  per  forza  ricadere  sul-­‐la   supply   side   economy,   e   di   conse-­‐guenza  si  suggeriscono  misure  per  il  sostegno  alle   imprese   e   all‘esporta-­‐

zione.   Le   risorse   devono   essere   re-­‐perite  con  un  mix  di   tagli  alla   spesa  pubblica   e   aumento   delle   imposte,  con  l’obiettivo  di  raccogliere   in  bre-­‐vissimo   tempo   30   miliardi   di   euro,  che   rappresentano   l’1,5%   PIL.  L’ambizione   di   un   grande   piano   di  sviluppo   si   riduce,   quindi,   ancora  una  volta,  alla  decisione  di  puntare  a  tagli  alle   imprese  e  conseguenti   au-­‐menti   della   tassazione.   Questo   è   il  modo   di   ragionare   più   o   meno   in  tutti   i   paesi   europei.   E   visti   gli   in-­‐successi   che   si  accumulano,   sempre  più   si   conferma   il   fatto   che   il   vero  confronto  non  è  tra  austerità  e  inve-­‐stimenti  per  la  crescita,  ma  tra  piani  di   sviluppo   nazionali   e   piani   euro-­‐pei,  capaci  di  avere  l’impatto  e  il  re-­‐spiro   all’altezza   dei  grandi  competi-­‐tor  del  XXI  secolo.

Nelson  Belloni

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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 14 - Marzo/Aprile 2013

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Direttore responsabile: Giacomo GanzuRedazione: Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Andrea Corona, Laura Filippi, Giacomo Ganzu, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Maria Vittoria Lochi, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Elena Passerella, Gilberto Pelosi, Giovanni Salpietro, Giulia Spiaggi, Francesco Violi, Gabriele Volpi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l

Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.

Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.

scenario   la   comunità   internazionale  si   è   ritrovata,   come   spesso   accade,  impotente.   Le   Nazioni   Unite   si   sono  decise   solo   nel   dicembre   del   2012,  su   iniziativa   francese,   a   creare,   con  una   risoluzione,  la  Missione   interna-­‐zionale   di   appoggio   al   Mali   (AFI-­‐SMA),   sotto   il   controllo  operativo   degli   Stati  africani   della   regione,  con   l’obiettivo   di   “rico-­‐s t ru i re   l a   capac i tà  d’azione   delle   forze   ar-­‐mate   maliane”   per   re-­‐cuperare   il   nord   del  paese   e   riconquistare  nel  giro  di  qualche  mese  il   controllo   del   territo-­‐rio.   Ma   l’operazione   è  fallita   clamorosamente,  anche   per   l’intervento  di  gruppi  islamisti  che  hanno  iniziato  a   conquistare   il   sud   del   paese,   co-­‐stringendo   l’esercito  maliano   a   bat-­‐tere  in  ritirata.  E’  stato  questo  preci-­‐pitare  della   situazione   che  ha  spinto  la  Francia  ad  intervenire  direttamen-­‐te   nel   con7litto.   Formalmente   l’ope-­‐razione   gode   del   supporto   delle   na-­‐

zioni   Unite,   come   pure   dei   partner  europei,   e   il   fatto  di   fermare   l’avan-­‐zata   dei   gruppi   fondamentalisti   ha  suscitato   un   forte   consenso.   Ma   è  abbastanza   evidente   che   non   potrà  trattarsi   di   un   intervento   risolutivo:  nell’area  il  caos  rimane  solo  momen-­‐

taneamente   congelato,  ma   la   situazione   di  estrema   povertà   e   la  disgregazione   delle   isti-­‐tuzioni   statuali   in   tutta  la   regione   che   va   dl  Corno   d’Africa   al   Sahel  impediscono   una   vera  stabilizzazione.   Non   c’è  da   stupirsi   che   il   fon-­‐damentalismo   islamico  attecchisca   e   riesca   a  riorganizzarsi   in   questo  contesto,   accrescendo  

ulteriormente  l’instabilità  dell’area.  E’   evidente   che   occorrerebbe   una  capacità   di   intervento   ben   più   pro-­‐fonda  ed  incisiva  per  avviare  un  per-­‐corso   di   rinascita   della   regione.   Da  parte   loro   gli   Stati   Uniti,   sin   da  quando  è  venuto  meno  il  confronto  a  tutto   campo   con   l’URSS,   non   hanno  

più   l’interesse   strategico   ad   impe-­‐gnarsi   direttamente,   né   intendono  reperire  le  risorse  per  farlo.  Sarebbe  naturalmente,   per  ragioni   storiche  e  geogra7iche,  e  per  ragioni  di  evidenti  interessi  economici  e  politici,  compi-­‐to  degli  europei  cercare  di  stabilizza-­‐re   l’area;   ma   la   mancanza   di   unità  politica  fa   sì  che  non  esista  una  poli-­‐tica   estera   e   di   sicurezza   europea,  e  ancor   di   più   implica   che   l’Europa  non   abbia   gli   strumenti   per   essere  un  punto  di  riferimento  politico.La   divisione   degli   europei   sta   co-­‐stando  molto  ai  cittadini  del  vecchio  continente   in   termini   economici   e  sociali;  ma  sta  costando  molto  anche  a  tante  aree  del  mondo  che  bene7ice-­‐rebbero  di  una  presenza  politica   eu-­‐ropea   e   del   suo  supporto,   prima   fra  tutte  l’Africa.  Speriamo  che  se  mai  gli  europei  riusciranno  a  dar  vita  ad  una  vera   federazione  per  queste   tormen-­‐tate   regioni   non   sia   ormai   troppo  tardi,  e  che  non  si  crei  una  situazione  di   caos   irreversibile   nei   prossimi  decenni.

Giacomo  Ganzu  

La divisione degli eu-ropei sta costando

molto ai cittadini del vecchio continente in termini economici e sociali; ma sta co-

stando molto anche a tante aree del mondo che beneficerebbero di una presenza poli-

tica europea.