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Il ventesimo numero di Publius giunge in stampa in una fase di transizione per l’Europa: il dibattito sul futuro dell’Europa non è mai stato così acceso nelle cancellerie europee e nei principali centri del potere. Purtroppo la co municazione liquida e di sarticolata propinata dai mass media e dalla cosid detta rete non aiuta a co struire un dibattito serio e genuino sull’unico vero scoglio politico su cui si gioca la nostra speranza di uscire dalla crisi: come trasferire poteri legittimi e democratici per creare l’unione ?iscale e di bilan cio (almeno tra i paesi del l’Eurozona)? L’opinione pubblica ritie ne che sia un problema “astratto” e “lontano” ri spetto le soluzioni da tro vare contro la crisi eco nomica e i problemi di si curezza interna (Charlie Hebdo docet) ed esterna (crisi libica, siriana, ISIS, ucraina e da ultimo yeme nita). Invece l’unione ?iscale e di bilancio è la base indi spensabile per sciogliere il nodo gordiano del rappor to tra austeritàresponsa bilità ?iscalecrescitasoli darietà e trasformarlo in un circolo virtuoso: sola mente creando istituzioni comuni (non solo regole) si può governare la crisi economica, sociale e poli tica. In questi ultimi mesi sono stati fatti signi?icativi passi avanti verso un’Europa più integrata; ma occorre anche ribadire che sono ancora solo dei palliativi alla crisi, e non la cura. Il Piano d’investimenti di Juncker è un ottimo segna le per l’economia ma la sua struttura (del tipo project ?inancing, e non investimenti infrastruttu rali nelle aree depresse dell’economia) e la sua capacità di azione (pochi miliardi di euro in garan zie e prestiti) sono insuf?i cienti alle necessità del l’economia europea. A marzo, inoltre, è entrato in azione il famoso bazooka di Draghi, il Quantitative Easing (QE), che rappre senta l’ultimo tentativo dell’unica istituzione eu pag.1 Editoriale Publius pag.2 Il piano Juncker e la crescita in Europa Giovanni Salpietro pag.3 Perchè il QE della BCE è debole senza l’Unione =iscale Francesco Pericu pag.5 L’Analytical Note di Juncker e il problema della riforma istituzionale dell’Eurozona Nelson Belloni pag.6 Tsipras Varoufakis: tra promesse non mantenibili e vie di fuga Francesco Violi e Giacomo Ganzu pag.7 Obama, l’Europa, la russia e il terrorismo Maria Vittoria Lochi Indice Publius Per un’Alternativa Europea Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 20 - Aprile/Giugno 2015 distribuzione gratuita Giornale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani >> pag.2

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Publius - per un'alternativa europea. Numero 19, aprile - giugno 2015. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia.

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Il   ventesimo   numero   di  Publius   giunge   in   stampa  in   una   fase   di   transizione  per   l’Europa:   il   dibattito  sul  futuro  dell’Europa  non  è   mai   stato   così   acceso  nelle  cancellerie  europee  e  nei   principali   centri   del  potere.   Purtroppo   la   co-­‐municazione   liquida   e   di-­‐sarticolata   propinata   dai  mass  media   e   dalla   cosid-­‐detta   rete   non   aiuta   a   co-­‐struire  un  dibattito  serio  e  genuino   sull’unico   vero  scoglio   politico   su   cui   si  gioca  la  nostra  speranza  di  uscire   dalla   crisi:   come  trasferire  poteri  legittimi  e  democratici   per   creare  l’unione   ?iscale   e   di  bilan-­‐cio  (almeno  tra  i  paesi  del-­‐l’Eurozona)?    L’opinione   pubblica   ritie-­‐ne   che   sia   un   problema  

“astratto”   e   “lontano”   ri-­‐spetto   le   soluzioni  da   tro-­‐vare   contro   la   crisi   eco-­‐nomica   e   i  problemi  di  si-­‐curezza   interna   (Charlie  Hebdo   docet)   ed   esterna  (crisi   libica,   siriana,   ISIS,  ucraina   e  da  ultimo  yeme-­‐nita).  Invece   l’unione  ?iscale  e  di  bilancio   è   la   base   indi-­‐spensabile  per  sciogliere  il  nodo  gordiano  del  rappor-­‐to   tra   austerità-­‐responsa-­‐bilità   ?iscale-­‐crescita-­‐soli-­‐darietà   e   trasformarlo   in  un   circolo   virtuoso:   sola-­‐mente   creando   istituzioni  comuni   (non   solo   regole)  si   può   governare   la   crisi  economica,   sociale   e   poli-­‐tica.  In  questi   ultimi  mesi  sono  stati  fatti  signi?icativi  passi  avanti   verso   un’Europa  

più   integrata;   ma   occorre  anche   ribadire   che   sono  ancora   solo   dei   palliativi  alla   crisi,   e   non   la   cura.   Il  Piano   d’investimenti   di  Juncker  è  un  ottimo  segna-­‐le   per   l’economia   ma   la  sua   struttura   (del   tipo  project   ?inancing,   e   non  investimenti   infrastruttu-­‐rali   nelle   aree   depresse  dell’economia)   e   la   sua  capacità   di   azione   (pochi  miliardi   di   euro   in   garan-­‐zie  e  prestiti)   sono  insuf?i-­‐cienti   alle   necessità   del-­‐l’economia   europea.   A  marzo,  inoltre,  è  entrato  in  azione   il   famoso   bazooka  di   Draghi,   il   Quantitative  Easing   (QE),   che   rappre-­‐senta   l’ultimo   tentativo  dell’unica   istituzione   eu-­‐

pag.1  Editoriale Publius

pag.2  Il  piano  Juncker  e  la  crescita  in  Europa

Giovanni Salpietro

pag.3  Perchè  il  QE  della  BCE  è  debole  senza  l’Unione  =iscale

Francesco Pericu

pag.5 L’Analytical  Note  di  Juncker  e  il  problema  della  riforma  istituzionale  dell’Eurozona

Nelson Belloni

pag.6 Tsipras-­‐Varoufakis:  tra  promesse  non  mantenibili  e  vie  di  fuga  

Francesco Violi e Giacomo Ganzu

pag.7 Obama,  l’Europa,  la  russia  e  il  terrorismo

Maria Vittoria Lochi

Indice

PubliusPer un’Alternativa Europea

Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 20 - Aprile/Giugno 2015

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

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Lo  scorso  26  novembre   il  nuovo  Pre-­‐sidente   della   Commissione   europea  Jean-­‐Claude   Juncker   ha   presentato  un  piano  di   investimenti   per  il  rilan-­‐cio  della  crescita   in  Europa.  L’obietti-­‐vo   è   quello   di   mettere   in   campo   ri-­‐sorse  per  un   totale  di  315  miliardi  di  euro,   senza   la   creazione   di   debito,  per   stimolare   la   crescita   puntando  

l’attenzione   su   investimenti   in   tra-­‐sporti,   energia,   ricerca   e   formazione.  Questi   fondi   verrebbero   impiegati  per   ?inanziare  a   livello  europeo  i  più  validi   progetti   di   sviluppo   tra   quelli  che  gli  Stati  si   sono   impegnati  a   pre-­‐sentare;   attualmente   sono   quasi  2000  i  progetti  presentati  alla  BEI  (la  Banca   europea   per   gli   investimenti,  

ossia   l’altra  istituzione  europea  cui  fa  capo  il  Piano,  oltre  alla  Commissione)  per  ottenere  i  ?inanziamenti.Nonostante   le   buone   intenzioni,   il  Piano   Juncker  non   è   stato   esente   da  critiche.  Un  primo  dubbio  riguarda   la  reale   capacità   del   piano   di   raggiun-­‐gere   l’obiettivo   dei   315   miliardi   di  investimenti;   le   risorse   messe   in  campo    sono   infatti   solo  21  miliardi,  di  cui  16  provenienti  dal  bilancio  del-­‐l’UE   e   5   dalla   Banca   europea   per  gli  investimenti   (BEI).   Il   resto  del  Piano  dovrebbe   infatti   ?inanziarsi   attraver-­‐so  fondi  provenienti  dagli  investitori  privati   in  due   fasi:  nella  prima   la  BEI  userebbe   i   21   miliardi   iniziali   come  garanzia   per   emettere   obbligazioni  sul  mercato   per   un   totale   di   60  mi-­‐liardi   di   euro   con   cui   ?inanziare   i  progetti  strategici;  nella  seconda  fase  i   60   miliardi   dovrebbero   servire   da  leva   ?inanziaria   per  attirare  ulteriori  investimenti   privati   ed   arrivare   alla  cifra   di   315   miliardi   di   euro   grazie  all’   effetto  moltiplicatore.  E’  evidente  che   una   delle   principali   critiche   a  questo   procedimento   è   proprio   la  

Il piano Juncker e la crescita in Europa

ropea   “federale”   per  arginare   la   crisi  economica  creando  allo  stesso  tempo  un   elemento   di   solidarietà   interna  (acquisto   di   debito   sovrano   dei   sin-­‐goli   Paesi  membri  per   il  20%).   Ma   a  tutti  è  noto  comunque  che  una  politi-­‐ca  monetaria  senza  politica  ?iscale  ha  un   impatto   limitato.   Lo   ribadisce,   di  fatto,   anche   il   presidente   della   Com-­‐missione   europea,   Juncker,   che   ha  appena   licenziato   un   testo   in  prepa-­‐razione  della  road  map  per  il  comple-­‐tamento   dell’unione   monetaria   che  dovranno   redigere   i   quattro   presi-­‐denti:   (lo  stesso  Juncker  per  la   Com-­‐missione,   Tusk  per  il  Consiglio  euro-­‐peo,  Draghi  per  la  BCE  e  Dijsselbloem  per   l’Eurogruppo).   Si   tratta   dell’A-­‐nalytical  Note  ed  è   uno  dei   testi  uf?i-­‐ciali  delle   istituzioni  europee   in  cui  è  sottolineata   chiaramente  la  necessità  

di  una  riforma   istituzionale  a   partire  dall’Eurozona.Intanto  i   problemi   interni   ed   esterni  incalzano.   L’attacco   terroristico   con-­‐tro  Charlie  Hebdo  si  è  abbattuto  sulla  Francia,   il  paese  simbolo  della   laicità  dello   Stato.  Pochi  si   sono   accorti   che  questi   attacchi   vogliono   solamente  una  cosa:  il  ritorno  all’equazione  Sta-­‐to=identità   nazionale-­‐religiosa-­‐lin-­‐guistica   e  quindi  alimentare   una  spi-­‐rale  di  odio  e  dif?idenza  tra  i  cittadini.  Bisogna   battersi   a   tutti   livelli  per  te-­‐nere   in  campo  l’altra   equazione:   Sta-­‐to=lealtà   istituzionale   ai   valori  di  pa-­‐ce,   libertà   e   democrazia.   La   vittoria  elettorale  di  Tsipras  in  Grecia  e  le  sue  recenti   scelte   in   politica   economica  creano   un   dif?icile   clima   politico   per  affrontare   i   veri   problemi   dell’Euro-­‐zona.   Da   ultimo   gli   Stati   Uniti   dimo-­‐strano  sempre  più  una   certa   insoffe-­‐

renza   al   vuoto   di   potere   in   Europa  (per  ora   surrogato  dal   tandem  Fran-­‐cia-­‐Germania)   e   cercano   di   trovare  soluzioni  al  problema  ucraino  sacri?i-­‐cando   i  nostri  stessi   interessi   sull’al-­‐tare  della   supremazia   strategica  nel-­‐l’area.  In  questo  scenario,  i  timidi  segnali  di  ripresa   economica  non  devono  esse-­‐re   considerati   un   successo   su   cui  adagiarsi,   ma   in  primis  un’occasione  da  non  sprecare:  per  chiedere   a  gran  voce   un’Europa   diversa,   unita   e   de-­‐mocratica,   ai   nostri   governi,   perché  altrimenti   continueremo   ad   essere  irrilevanti   e   mancheremo   l’appunta-­‐mento   storico   con   le   grandi   s?ide   e  decisioni  che  ci  attendono.

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previsione   “ottimista”   sulla   capacità  del  moltiplicatore   di  arrivare   ad  una  cifra  cosi  consistente.  La  garanzia  dei  21  miliardi   rischia,   infatti,   di  scorag-­‐giare   gli   investitori,   in   quanto   può  essere  ritenuta   una   cifra   troppo  bas-­‐sa   per   coprire   eventuali   perdite   o  insuccessi   dei   progetti   ?inanziati.   Il  rischio   è,   allora,   che   per   attirare   i  fondi   privati   la   BEI   decida   di   ?inan-­‐ziare   i   progetti   che   presentano   le  maggiori   garanzie   di   successo   in  tempi  brevi,  provocando  delle  distor-­‐sioni   nei   meccanismi   di   allocazione  delle  risorse  del  Piano.  Proprio   l’allocazione   delle   risorse,  cioè   quali   progetti   premiare   (e   di  quali   paesi),   rappresenta,   infatti,   un  ulteriore  punto  di  criticità  dell’inizia-­‐tiva.  Anche   il  presidente  di  Assolom-­‐barda,  Gianfranco  Rocca,  in  occasione  di  un  incontro  con  il   Vice-­‐presidente  della   Commissione   Europea   Katai-­‐nen,  ha  espresso  nel   suo  discorso   (il  cui  testo  è  disponibile  online  sul   sito  di   Assolombarda)   le   preoccupazioni  che  riguardano  proprio  i  meccanismi  di  allocazione  delle  risorse.  La  critica  di   Rocca   è   che,   al   ?ine  di   rassicurare  gli   investitori,  si  rischia  di   procedere  concedendo   i   ?inanziamenti   a   quei  progetti   che   hanno  un   basso   pro?ilo  

di   rischio   e   dei   ritorni   di   breve   pe-­‐riodo.  Cosa  che,  però,  avrebbe  un  du-­‐plice  effetto  negativo:  in  primo  luogo  verrebbero   penalizzati   quei   progetti  altamente   innovativi   che   hanno,   pe-­‐rò,  dei  ritorni  di  pro?itto  solo  nel  lun-­‐go  periodo;  anche   le   piccole   e  medie  imprese   rischiano   di   essere   penaliz-­‐zate   perché,   a   causa   delle   loro   di-­‐mensioni,   non   sarebbero   in   grado  di  garantire   la   validità   dei   propri   pro-­‐getti.   In  secondo   luogo,   si  corre   il   ri-­‐schio  di  penalizzare  i  paesi  cosiddetti  europeriferici,   come   l’Italia.   Tra   le  variabili  che   in?luiscono  sulla   capaci-­‐tà  di  un  paese  di  attrarre  investimen-­‐ti  privati,  secondo  Rocca,  ci   sono   an-­‐che  i  tempi  della  giustizia  civile  e  del-­‐la  burocrazia.  Si  tratta  di  punti  di  de-­‐bolezza   di   cui   soffrono   i   paesi   della  periferia   europea,   che   rischiano   di  rimanere   penalizzati  e  di   veder  mes-­‐so   a   rischio   il   percorso   di   riforme  strutturali   già   avviato.   Se   entrambe  queste   eventualità   dovessero   veri?i-­‐carsi   il   risultato   sarebbe   senza   dub-­‐bio  contradditorio:  le  risorse  del  Pia-­‐no   Juncker   si   concentrerebbero   sui  progetti   di   quei   paesi   che   già   oggi  non   incontrano   problemi   di   ?inan-­‐ziamento  poiché  giudicati  sicuri  dagli  investitori  privati.  Il  rischio  concreto  è   quello   di   aumentare   le   divergenze  

economiche   e   di   non   dare   un   suf?i-­‐ciente   stimolo  all’innovazione   in   Eu-­‐ropa.Il   Piano   Juncker   è   dunque   un   punto  di  partenza  per  rilanciare   la  crescita,  ma   niente   di   più   di   questo.   Af?inché  l’Europa   esca   dalla   crisi   economica  attuale,  prosegue  Rocca,   sono  neces-­‐sari  ulteriori  passi,  ben  più   impegna-­‐tivi.   Se   gli   Stati  devono   continuare   il  proprio  percorso  di   risanamento  dei  conti   e   di   riforme   strutturali,   e   se  l’impegno  degli   in   tale   percorso   può  essere   incentivato  con  una  maggiore  ?lessibilità   sulle   regole   europee   di  bilancio,   rimane   il   fatto  che   non  è   la  dimensione   nazionale   che   può  esau-­‐rire   il   percorso   di   uscita   dalla   crisi  economica.   Per  l’Europa,  ed   in  parti-­‐colare   per   l’Eurozona,   è   necessario  avviare   un   percorso   di   approfondi-­‐mento  dell’unione  monetaria  ed  eco-­‐nomica   volta   ad   una   condivisione  delle  politiche  ?iscali  e  ad  una   cessio-­‐ne   di   sovranità.   Solo   infatti   con   una  politica  ?iscale   comune  “sarà  possibi-­‐le   per   l’Europa   recuperare   quella  crescita   economica   che   è   l’unica   ga-­‐ranzia   di   sostenibilità   futura   dei   de-­‐biti   accumulati   e   di   contenimento  delle  disuguaglianze”.

Giovanni  Salpietro

da  pag.  2

Finalmente,   il   grilletto   del  bazooka   è   stato  premuto.   Il   9  marzo  scorso,   è   partito   il   Quantitative   Ea-­‐sing   della   Banca   Centrale   Europea  (BCE).   Propriamente   denominato  Public   Sector   Purchase   Programme  (PSPP),   il   piano   era   stato   preceden-­‐temente   annunciato  da  Mario  Draghi  il   22   gennaio   scorso,  al   ?ine   di   inter-­‐venire  su  una  situazione   in  cui  gli  in-­‐dicatori,   che   ri?lettono   un   tasso   di  in?lazione   tendente   allo   zero,   conti-­‐nuano  ad  incidere  negativamente  sul-­‐l’andamento   dei   prezzi   a   medio   ter-­‐mine.   Si   tratterebbe   quindi   di   inter-­‐venire  massicciamente   al   ?ine   di   sti-­‐molare   un’economia   in   cui   i   tassi   di  

interesse  sono  praticamente  negativi,  attraverso   l’acquisto   –   sul   mercato  secondario  –  di  titoli  pubblici  e  priva-­‐ti  al  ritmo  di  60  miliardi  al  mese,  sino  a   quando   il   percorso   in?lattivo   non  torni   a   essere   in   linea   con   il   target  sancito   dai   trattati:   il   2%   nel   medio  termine.  

Essenzialmente,   sostituendo  i  titoli   con   nuova   liquidità,   vi   è   un   in-­‐centivo  per  le   banche   a   ?inanziare   le  imprese  nei  paesi   in  cui  vengono  im-­‐plementate   politiche   orientate   alla  crescita.   Un   tipo   di   intervento   che  segue   nel   tempo   quello   intrapreso  dalla   Federal   Reserve,   dalla   Bank   of  England  e  dalla  Banca  del  Giappone,  e  

che  cerca  di   invertire  –  secondo  alcu-­‐ni,   con  un  certo  ritardo  –   il  percorso  de?lattivo  in   cui  si  è   in?ilata  l’Eurozo-­‐na.   Si   tratta   di   un   percorso   partico-­‐larmente   dannoso   perché   scoraggia  gli  investimenti  delle  imprese  e  anche  le  famiglie  dall’acquistare  e  consuma-­‐re   (stante   le   aspettative   di   ulteriori  cadute  dei  prezzi,  tutti  tendono  a  rin-­‐viare   le   proprie   spese).   In   più,   in  un  contesto  di  bassa   in?lazione,   il  valore  reale   dei   debiti   pubblici   aumenta,  rendendo  più   gravosa   la   restituzione  dei   crediti.  Al  contrario,  un’in?lazione  più  alta   ha   l’effetto  di  far  calare  il  va-­‐lore   reale   dei   debiti   pubblici,   ed   è  proprio  per  questo  che   si  può  ritene-­‐

Perchè il Quantitative Easing della BCE è debole senza l’Unione fiscale

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re  una  politica  di  alleggerimento  quantitativo,   una   sorta   di   pa-­‐trimoniale   per   i   risparmiatori.  Nondimeno,   secondo   la   BCE,  l’economia   europea   trarrebbe  come   bene?ici   collaterali   una  maggiore   stabilità   dei   mercati  ?inanziari   e,   soprattutto,   raffor-­‐zando  le  misure  di  trasmissione  della   politica  monetaria   all’eco-­‐nomia  reale,  verrebbe  alimenta-­‐ta   la  domanda   interna,  allo  sco-­‐po   di   migliorare   le   prospettive  di   crescita  economica   (anche   se  l’impatto   sulla   domanda   inter-­‐na,   di   fatto,   è   incerto   a   causa  della   possibile   distribuzione  asimmetrica   della   ricchezza   che  potrebbe   favorire   l’accumula-­‐zione  dei  bene?ici  verso  “chi  ha”  rispetto   a   “chi   non   ha”.   Quindi  non   è   detto   che   possa   rilanciare   i  consumi  di  massa).  

Un   altro   aspetto,   che   esula  dalle   considerazioni   economiche  ?inora   enunciate,   riguarda   alcuni  elementi,   più   di   carattere   politico,  che   hanno   reso   e   tutt’ora   rendono  piuttosto  controverso  –  e  signi?icati-­‐vo  al   tempo   stesso   –     l’utilizzo   del  bazooka   così   come   la   gestione   della  politica  monetaria   da   parte   del   suo  Presidente.   Infatti,   attraverso   l’im-­‐plementazione   del   programma   di  acquisto  di  titoli  obbligazionari,  Ma-­‐rio   Draghi   ha   dato   ulteriore   prova  dell’esercizio   della   sua   leadership.  Innanzitutto  dimostrando  con  i   fatti  la   volontà   della   Banca   centrale   di  mettere   in   pratica   il   “whatever   it  takes  to  save  the  euro”,  per  dirla  con  le   parole   del   Governatore   nel   cele-­‐bre  discorso  di  Londra   del  2   agosto  2012,   quando   il   solo  effetto  annun-­‐cio  aveva   sortito  l’effetto  di  calmie-­‐rare   le  turbolenze  dei  mercati  ?inan-­‐ziari   che   ?ino   a   quel   momento   ave-­‐vano   attribuito   scarsa   credibilità  all’operato  della   Banca.   In   più,   rial-­‐lacciandosi   (attraverso   i   continui  richiami  alla  necessità  di  completare  con   l’unione   ?iscale   e  quella   politica  l’unione  monetaria)  al  progetto  poli-­‐tico   presentato   dal   Rapporto   dei  Quattro  Presidenti   del   giugno  2012  e  dal  successivo  Piano  per  un’auten-­‐tica  e   profonda  Unione  economica  e  monetaria,   ha   indicato   quale   sia   la  copertura   politica   che,   nei   fatti,   le-­‐gittima   questo   tipo   di   interventi  

monetari   non   convenzionali,   e   che  gli  permette  di  superare  l’ostilità    di  alcune   componenti   sia  del  Consiglio  europeo,   sia   del   Sistema   europeo  delle  banche  centrali.  

Il  punto,   infatti,  è   che   in  una  banca   centrale   tradizionale,   il   QE  sarebbe   ampiamente   riconosciuto  come  strumento  legittimo  di  politica  monetaria,  anche  se   non  convenzio-­‐nale.  Ma  nell’UEM  il  problema  politi-­‐co  sorge  a  monte.  Se,   generalmente,  le   banche   centrali   operano   in   un  contesto   di   simmetrica   centralizza-­‐zione  di  politiche  monetarie  e  ?iscali,  la  BCE,  al  contrario,  opera  in  un  con-­‐testo   in   cui   la   politica   monetaria   è  centralizzata   ma   a   fronte   di   tante  politiche   ?iscali  quanti  sono  gli  Stati  aderenti   all’Eurozona.   Il   vero   pro-­‐blema  sta  dunque  nel  fatto  che   l’Eu-­‐rozona   non   possiede   una   capacità  ?iscale   centralizzata   con   la   relativa  legittimazione   democratica.   Ed   è  proprio   questo   limite   che   potrebbe  rendere   il   QE   relativamente   debole,  perché   porta   con   sé   la   scarsa   quota  di   condivisione   del   rischio.   Il  Board  della   banca   ha   convenuto,   infatti,  che   il   rischio  debba   essere   ripartito  all’80%  tra   gli  Stati  membri,   nell’ot-­‐tica   del  principio  del   pro  quota.  Ri-­‐mane   quindi   una   condivisione   mi-­‐nima,  il  restante  20%,  che  rimane   in  capo   ai   bilanci   di   alcune   istituzioni  sovrannazionali   (BEI,   EFSF,   ESM,  UE).  

Al  tempo  stesso,  se   la  scarsa  misura  di  condivisione  del  rischio  da  

una   parte   limita   l’intensità   del  bazooka,   dall’altra   è   pur   sem-­‐pre   un   primo   passo   nell’affer-­‐marsi  del  principio  del  risk-­‐sha-­‐ring,   e   come   tale   può   essere  visto   come   il   preludio   del-­‐l’unione   ?iscale.   In   particolare,  può  diventare   il  grimaldello  per  l’accettabilità   politica   degli   ac-­‐cordi   contrattuali   tra   Stati  membri   e   Commissione   che  erano  previsti  nel  Blueprint  del-­‐la   Commissione   (novembre  2012)   al   ?ine   di   incentivare   e  rendere   gli   Stati  meno  sensibili  agli   shocks   di   breve   periodo   e  quindi   ai   costi   economico-­‐so-­‐ciali   dovuti   ai   cambiamenti  strutturali   delle   proprie   eco-­‐nomie   necessari   per   rendere  l’Unione   economica   e   moneta-­‐

ria  maggiormente  resiliente   alle   cri-­‐si.  Sicuramente,   l’intervento   della   BCE  non   è   una   panacea:   si   tratta   di   una  condizione  necessaria,  ma  non  suf?i-­‐ciente   per   superare   quel   percorso  de?lattivo,  con  tassi  di  disoccupazio-­‐ne   senza   precedenti,   da   cui   l’area  dell’euro  sembra  non  riuscire  a  usci-­‐re.   Esso   dovrebbe   incentivare   gli  Stati   membri   ad   attuare   le   riforme  strutturali   che  ingessano  l’economia  e   la   società   europea.   Allo   stesso  modo,   potrebbe   incentivare   tutta  una   serie   di   investimenti   in   beni  pubblici   europei   favorendo   anche  l’attuazione  del  Piano  Juncker.   Il  ve-­‐ro  nodo  politico,   però,   non   sta   cer-­‐tamente   nel  maggiore   o  minore  uti-­‐lizzo   della   politica   monetaria:   si  tratta   di   governare   la   politica   euro-­‐pea,   di   fare   in  modo   che   la   politica  ?iscale   europea   non  sia   la  sommato-­‐ria   delle   politiche   ?iscali   degli   Stati  membri   ma   diventi   una   questione  davvero  europea.  È   sotto  gli   occhi   di  tutti   quanto  bene   funzioni  una   poli-­‐tica  gestita  a   livello  federale.  Quello  che  serve  è  completare  l’unione  mo-­‐netaria,   trasformandola   in  una   vera  unione   economica   europea,   con   un  governo  che  sia   responsabile  davan-­‐ti   al   Parlamento   europeo.   Solo   in  questo  modo  gli   euroscettici   e   i   na-­‐zionalisti   dovranno   cercare   nuovi  ritornelli   e,   probabilmente,   cambia-­‐re  spin-­‐doctor.

Francesco  Pericu

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Il   12   febbraio   scorso,   Jean-­‐Claude  Juncker,   in   collaborazione   con   gli  altri  presidenti  dell’UE  (Donald  Tusk,  Jeroen  Dijsselbloem  e  Mario  Draghi),  ha   redatto   una   nota   (chiamata   sem-­‐plicemente   Analytical   Note)   per   ri-­‐lanciare   il   dibattito  sull'integrazione  dell'area   euro  e  per  iniziare  a  prepa-­‐rare   il   nuovo   rapporto   sull’UEM   dei  quattro  presidenti,   che  dovrebbe   es-­‐sere  pronto  per  giugno.  Buona   parte   del   documento   si   sof-­‐ferma   sull’analisi  della  natura   e  delle  cause   della   crisi,   e   sugli   strumenti  che   in   questi   ultimi   anni   sono   stati  creati   a   livello   di   area   euro   per   af-­‐frontarla.   Il   documento   parte   dalla  crisi   ?inanziaria   statunitense   e   ne  evidenzia   l’evoluzione,   una   volta  giunta   in  Europa.  Da   crisi   ?inanziaria  a   crisi   del   debito   ?ino   alla   crisi   eco-­‐nomica   e   sociale   vera   e   propria,  quando  il  numero  dei  disoccupati  ha  raggiunto   livelli   drammatici   e   quan-­‐do  il  PIL  pro  capite  è  crollato.  Si  regi-­‐strano   infatti   cambiamenti   radicali:  dal   2007   al   2014   la   disoccupazione  nell'area   euro  è  passata   dal  7,5%  al-­‐l’11,6%,  quella  giovanile  dal  16,6%  al  23%.  Il  PIL  pro  capite  è  sceso  di  oltre  il   5%   stabilizzandosi   solo   in   questi  ultimi  mesi,  mentre   negli  Stati  Uniti,  che   sono   uno   Stato   federale   e   che  possono   mettere   in   campo  politiche  ?iscali   ed  economiche   di   dimensione  e   impatto  continentali,  dopo  un  bru-­‐sco  crollo  nella  fase  acuta  della  crisi,  gli   indicatori   sono   tornati   ai   livelli  pre-­‐crisi   ed   hanno   ricominciato   a  crescere.   La   vera   causa   della   crisi  della   zona   euro,   e   Juncker  lo  sottoli-­‐nea,   sembra   quindi   essere   legata   in-­‐nanzitutto  alla   sua   debolezza   in   ter-­‐mini   istituzionali.   In  molti   punti   del  documento,   infatti,   si   evidenziano   le  contraddizioni   che   derivano   da   una  moneta   senza   politica   ?iscale   e  di  bi-­‐lancio.   In   questo   modo   l’area   euro,  che  giustamente   viene   de?inita   come  frutto   di   un   vero  e   proprio  progetto  politico   che   ha   dato   vita   ad   una   co-­‐munità   di   destino,  manca  degli  stru-­‐menti   necessari   per   fare   politiche   in  campo  economico.Nella   Nota   ?igurano   anche   proposte  di   breve   periodo.   In   particolare,   nel  totale   silenzio  della   stampa   e   del  di-­‐battito  politico,  si  propone  di  avviare  la   cosiddetta   integrazione   positiva,  

che   non   si   limita   ad   incidere   sulle  regole   e   sul   controllo  degli   Stati,   ma  che  offre  la  possibilità  di  rilanciare  la  crescita   e  mettere   in   atto  ammortiz-­‐zatori   sociali   di   scala   continentale.  Nei  fatti  si  parla  di  un  “triangolo  vir-­‐tuoso”   fatto   di   riforme   strutturali,  investimenti   e   responsabilità   ?iscale.  Sempre   nel   breve   periodo   si   insiste  anche   sul   rafforzamento  della  mobi-­‐lità  del  lavoro  e  del  mercato  dei  capi-­‐tali  allo  scopo  di  rendere  più  ef?icace  il  mercato  unico.  E’   responsabilità   della  Commissione,  così   come  della  Bce  e  delle  altre   isti-­‐tuzioni  europee,   tenere  sul   campo   le  proposte  di  breve  periodo,  mettendo  in   atto  le   iniziative   che   stanno    per-­‐mettendo   all'area   euro   di   sopravvi-­‐vere   alla   crisi,   pur  con  evidenti   pro-­‐blemi.   Al   tempo   stesso,   è   da   questi  stessi   attori  che   deve   venire   l’impul-­‐so  di   una   proposta   e   di   una   visione  politica  di  lungo  periodo,  mirata   alla  creazione   del   potere   e   della   legitti-­‐mazione   necessari   all'area   euro   per  rispondere   ai   bisogni   e   alle   aspira-­‐zioni  dei   cittadini.   Juncker,   nella   sua  Nota,   non   manca   di   ricordare   come  questa   visione   di   insieme   sia   essen-­‐ziale,   richiamando  a  questo  proposi-­‐to   la   necessità   di   portare   a   compi-­‐mento   le   quattro   unioni   (bancaria,  ?iscale,   economica   e   politica)   già   in-­‐dicate   nel  Rapporto  dei  quattro  pre-­‐sidenti  del  2012  e  nel  Blueprint  della  Commissione  europea.  Oltre   a   ciò,   la   Nota   identi?ica  una  se-­‐rie   di   domande   che   si   riferiscono  ai  nodi   ancora   irrisolti   dell’unione  mo-­‐netaria,   e   molte   riguardano   la   que-­‐stione   istituzionale.   Vale   la   pena  elencarle:    How  could   a  better   implementa-­‐tion  and  enforcement  of  the  economic  and   Kiscal   governance   framework   be  ensured?     Is   the  current  governan-­‐ce  framework  –  if  fully  implemented  –  sufKicient   to   make   the   euro   area  shock-­‐resilient  and   prosperous   in   the  long   run?     To  what   extent  can  the  framework   of   EMU   mainly   rely   on  strong   rules   and   to   what   extent   are  strong   common   institutions   also   re-­‐quired?    To  what  extent   is  the  pre-­‐sent   sharing   of   sovereignty   adequate  to  meet   the   economic,   Kinancial   and  Kiscal   framework   requirements  of   the  common   currency?     How   can   ac-­‐

countability   and   legitimacy   be   best  achieved   in  a  multilevel  setup  such  as  EMU?  Le   reazioni   all’Analytical   Note   di  Juncker,   da   parte   dei   vari   governi,  sono  abbastanza   indicative  delle   dif-­‐?icoltà  e  delle  opportunità  che  il  qua-­‐dro   esistente   offre   per     la   realizza-­‐zione   di   una   vera   unione   federale   a  partire  dall'area  euro.Le   Germania   è   l’unico   paese   che   ab-­‐bia   già   fatto   delle   proposte   circa   il  rafforzamento   istituzionale   dell'area  euro.   In   particolare,   il  Ministro  delle  ?inanze   Schaeuble   è   stato   il   primo  a  proporre  un  Ministro  del  Tesoro  per  l'Eurozona,   con   un   Parlamento   (che  può   essere   anche   lo   stesso   PE   in  composizione  ad  hoc)  ed  un  bilancio  propri.   Ma   allo  stesso  tempo   la  Ger-­‐mania   fatica   a   trovare   il   consenso  dell’opinione   pubblica   in  merito  alla  creazione  di  meccanismi  di  solidarie-­‐tà  europei,  e  per  questo  insiste  molto  sul  fatto  che  al  livello  europeo  venga  conferito  un  forte  potere  di  controllo  sulle   politiche  di  bilancio  degli  Stati,  persino  superiore  a  quello  che  esiste  in  qualsiasi  federazione.La  Francia   ha   reagito  con  disinteres-­‐se   al   documento   della   Commissione  europea,   spesso   ribaltando   la   que-­‐stione   e   mettendo   al   centro   il   tema  della   necessità   di   arrivare   ad   una  condivisione   del   debito,   ma   senza  proporre   un'evoluzione   del   quadro  istituzionale  dell'Eurozona.  Il  dibatti-­‐to  in  Francia  è   spesso  fermo  sempli-­‐cemente   ai   discorsi   propagandistici:  sogni   di   un'Europa   sociale   o   di  un'Europa   vicina   al   cittadino   comu-­‐ne,  ma   nessuna   proposta  nelle   posi-­‐zioni  del  governo  sulla  de?inizione  di  un  nuovo  assetto  per  l'area  euro,  con  cui   poter   realizzare   queste   aspira-­‐zioni.  Il   Regno   Unito   ha   ribadito   l'impor-­‐tanza   per   la   propria   economia   di  un’area   euro   stabile   e   prospera,   co-­‐me   fa   ormai  da  più  di  tre   anni.  Dun-­‐que   il  Regno  Unito  da   un   lato  rinun-­‐cia   a   partecipare   al   quadro   politico  dell'euro   e   dall'altro   sta   valutando  come   ridiscutere   la   propria   parteci-­‐pazione   all'Unione   europea   nel   suo  insieme.L'Italia   tramite   il  sottosegretario  agli  affari  esteri  Sandro  Gozi  sostiene  che  l'Europa   debba   dedicare   più   atten-­‐

L’Analytical Note di Juncker e il problema della riforma istituzionale dell’Eurozona

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zione   alle   esigenze   sociali   dei   citta-­‐dini   e   quindi   il   governo   si   trova   in  

linea  con  quanto  proposto  dalla  Nota  di   Juncker.   Il   governo   italiano,   nel  proprio  programma,  sostiene,   infatti,  

l'esigenza  di  rafforzare  il  quadro  del-­‐l'Eurozona.Altri   governi   non   appartenenti   alla  zona  euro  si  sono  mostrati  favorevoli  all'integrazione   differenziata   e   quin-­‐di  al  rafforzamento  dell'Eurozona.  In  particolare   la   Polonia   sostiene   que-­‐sta   posizione   anche   se   a   condizione  che   il   rafforzamento   non   rallenti   la  competitività   dell'UE   nel   complesso.  La  Romania  si  dice  ugualmente  favo-­‐revole   a  patto  che   l'integrazione  del-­‐l'area   euro  non   porti   a   bloccare   l'in-­‐gresso  ai  paesi  che  vorranno  entrarvi  in  futuro.In  conclusione  la   natura   e   la  profon-­‐dità   del   dibattito   che   si   sviluppa   al-­‐l’interno   delle   istituzioni   europee   e  tra   i   governi   non   è   assolutamente  rappresentato   in   modo   veritiero   a  livello   di   mezzi   di   informazione   o  degli  stessi  partiti,  che   sembrano  es-­‐sersi   persi   in   una   pericolosa,   e   sba-­‐gliata,   contrapposizione   Nord-­‐Sud,  Germania-­‐Grecia,   austerità-­‐crescita.  In  realtà,  il  vero  nodo  da  sciogliere,  e  rispetto   al   quale   non   sembrano   ri-­‐uscire   a   trovare   una   soluzione   per  mancanza  di  volontà  politica,  è   quel-­‐lo  della   creazione  di  un  potere   legit-­‐timato  a  livello  di  Eurozona  a  partire  dall'unione  ?iscale.

Nelson  Belloni

L'8   marzo,   dopo   alcuni   giorni   di  calma   apparente,   la   coalizione   di  governo  di  Alexis  Tsipras  è   tornata  a  far  parlare  di  sé.  Ci  ha  pensato  Iannis  Varoufakis   con   un'intervista   al  Corriere   della   Sera,   poi   smentita  dall'uf?icio   stampa   del   governo  greco,   nel   quale   sembrava   che  Varoufakis  chiedesse   un   referendum  su l l a   permanenza   de l   paese  nell'Eurozona,   qualora   non   fosse  s t a t o   a c c e t t a t o   i l   p i a n o   d i  risanamento  presentato   dalla   Grecia  a l l 'ECOFIN.   Nel la   ret t i ? ica   s i  speci?icava   che   in   realtà   Varoufakis  intendeva   un   referendum   sulle  misure  di  austerità,  senza  speci?icare  a l t r o ,   m a   e s c l u d e n d o  categoricamente  l'uscita  dall'euro.  Tuttavia,   subito   dopo,   ci   ha   messo  del   suo   anche   il   vulcanico   Panos  Kammenos,   Ministro   della   difesa   e  l eader   de l   Par t i to   de i   g rec i  indipendenti,  partner  di  coalizione  di  

SYRIZA,   il   quale   non   solo   ha  rincarato   la   dose,   ma   il   giorno  successivo   ha   dichiarato   che   se  l'Unione   non   avesse   accettato   la  proposta   greca,   il   paese   avrebbe  concesso   il   visto   a   chiunque,  “compresi   terroristi   e   criminali”,  innervosendo   ancora   di   più   le  trattative  negoziali   in  una   fase  molto  delicata.  In  questi  giorni  sono,  infatti,  in   fase   di   negoziazione   le   nuove  misure  di  risanamento  che  il  governo  deve   presentare   all'Eurogruppo.   Il  governo   di   Alexis   Tsipras   ha   ben  p o c o   m a r g i n e   d i   m a n o v r a .  Schiacciato   da   una   parte   dalla  promessa   di   porre   ?ine   per   sempre  all'austerity  e  dall'altra  dagli  impegni  assunti   verso   la   ormai   ex-­‐Troika;   il  tutto   condito   dalla   ingombrante  presenza   nazionalista   di   Kammenos  e  del  suo  ANEL,  partito  di  coalizione,  e   dalla   stessa   ala   sinistra   di   SYRIZA  che   già   dopo   i   primi   accordi   con  

l'Eurogruppo   aveva   già   cominciato  ad   accusare   Tsipras  di   tradimento  e  debolezza.Alexis   Tsipras   ha   poi   trascorso   le  giornate   successive   cercando   di  districarsi  tra  il  tentativo  di  riaprire  i  negoziati   e   quello   di   mantenere   le  promesse   elettorali.   I   suoi   margini,  però,   sono   molto   stretti,   e   in   fondo  non   è   dif?icile   capire   il   perché.     Sin  dal   primo   atto   che   ha   sancito   la  nascita   del   governo,   Tsipras   ha  voluto  dimostrare   la  propria  volontà  di   incentrare   tutto   il   mandato   sul  ri?iuto   dell'austerità   partendo   dalla  rinegoziazione   delle   condizioni   di  bail-­‐out.   E’  questa   la   ragione   per  cui  ha   scelto   di   formare   una   coalizione  con   il  Partito   dei   greci   indipendenti,  ANEL,   nato   da   alcuni   dissidenti   di  Nuova   democrazia   e   da   alcuni  transfughi   del   Raggruppamento  popolare   ortodosso   (LAOS)   e   alcune  correnti   del   PASOK,   tutti   in   aperta  

Tsipras-Varoufakis: tra promesse non mantenibili e vie di fuga

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dissidenza   verso   le   misure   di  austerity.   La   scelta   di   ANEL   ha  portato   quindi   all'esclusione   del  PASOK   e   di   POTAMI,   partito   social-­‐liberale   di   recente   formazione,  considerato   da   tutti   il   partner   più  probabile   di   governo.   Sia   il  POTAMI  sia   PASOK   erano   infatti   favorevoli   a  continuare   lungo   la   strada   seguita  ?inora  e  concordata   con  le   istituzioni  internazionali,   senza   rinnegarla,   e  limitandosi   a   chiedere  una   dilazione  dei   tempi;   tuttavia,   sarebbero   stati  disponibili  a  sostenere  il  programma  di   governo   di   Tsipras   su   altre  tematiche.  L'alleanza   con   ANEL   ha   avuto   dei  risvolti   non   da   poco   per  SYRIZA.   Ha  signi?icato   rinunciare   a   tutta   la  p i a t t a f o rma   po l i t i c a   b a s a t a  sull'avanzamento   nei   diritti   civili   e  sociali,   alle   istanze   di   maggiore  separazione   tra   Stato   greco   e   clero  ortodosso,   e   ad   ogni   ambizione   di  r idimensionamento   del   ruolo  dell'esercito   nella   spesa   corrente  greca   e   ne l lo   s tesso   asset to  istituzionale   greco;   oltre   allo   stesso  imbarazzo  di  governare  con  un  uomo  considerato   da   tutti   vicino   agli  ambienti  dell'esercito,  euroscettico  e  atlantista   convinto,   ma   al   contempo  fortemente   antisemita,   omofobo   e  xenofobo.   Tuttavia   proprio   la  vicinanza  di  Kammenos  agli  ambienti  dell'esercito  induce   a   pensare   che   in  realtà   questa   scelta   sia   stata   dettata  

dalla   necessità   di   pagare   un   tributo  a l l ' e se rc i to ,   i n   un   momento  potenzialmente   esplosivo.   Non  dimentichiamo  infatti   che  la  Grecia  è  una   democrazia   ancora  giovane  e  da  molti   reputata   instabile.   Secondo  molti   l'esercito   ha   accettato   con  molta  riluttanza  la  vittoria  di  Tsipras.  La  scelta  di  Tsipras  non  è  stato  tanto  quella   di   evitare  un  golpe,   quanto  di  avere   una  maggiore   libertà   d'azione  su  altri   settori.   Gli  ambienti   vicini  ai  militari   sono   ancora   molto   in?luenti  nell'apparato   statale   ed   economico  greco   e   potenzialmente   potevano  porre   in   e ssere   manovre   d i  boicottaggio  o  d'intralcio.E'   dif?icile   fare   previsioni   su  quanto  potrà   durare   questa   strana   alleanza  tra   SYRIZA   e   ANEL.   L'accordo   è   un  matrimonio  d'interesse   sulla  base  di  una   piattaforma   politica.  Ma  proprio  a   causa   di   questa   piattaforma,  Tsipras   appare   completamente  isolato  in  Europa,  e  paradossalmente  i   governi   degli   altri   paesi   PIIGS  (soprattutto   Irlanda,   Portogallo   e  Spagna),  sono  i  meno  propensi  a  fare  concessioni   ad   Atene,   ancor   meno  della   Germania   e   dei   suoi   principali  alleati.   Il   problema   è   quello   della  credibilità.   Le  classi   dirigenti   di  quei  paesi   hanno   convinto   i   propri  connazionali  ad   accettare   condizioni  di   risanamento   impegnative,   e   non  possono   ora   concedere   ai   greci  dilazioni  e   privilegi   senza   perdere   il  consenso   a   favore   dei   montanti  partiti   euroscettici ,   pronti   ad  

appro?ittare  della  situazione.  Tsipras   è   consapevole   che   le   sue  promesse   sono   irrealizzabili.   Basta  vedere   il   dietrofront   già   fatto   su  molte   cose,   come   le   privatizzazioni  già   in   essere   o   l'idea   di   facilitazione  ?iscale   per   diverse   fasce   di   reddito,  storicamente   a   rischio   evasione.   Al  tempo   stesso   sa   anche   che   l’unico  possibilità   che   ha,   in   questo  quadro,  per   mantenere   il   consenso,   è   quella  di   giocare   la   carta   “del   nemico  esterno”,   che   viene   così   facile  additare  nei  tedeschi  “autoritari”.Un   accordo   con   l'Eurogruppo,  tuttavia,   è   necessario,   anche   perché  costituisce   la   conditio   sine   qua   non  af?inché   la   BCE   la   coinvolga   nel   suo  piano   di   QE.   Ed   è   necessario   anche  perché   la   Grecia,   per   quanto   le  decisioni   imposte   dalla  Troika   siano  state   al   limite   della   costituzionalità  dell'Unione.   (e   d’altronde   non  esistevano   ancora   i   meccanismi  d ' i n t e r v e n t o   o r a   i n   e s s e r e  nell'assetto   giuridico   UE),   deve  entrare  nell'ottica   che   le   politiche  di  risanamento   sono   necessarie   per  tornare  a  essere  un  paese  in  crescita  e   capace  di   attrarre   investimenti.   La  priorità   della   Grecia   è   quindi   quella  d i   d i v e n t a r e   u n ’ e c o n om i a  competitiva,   ed   è   solo   con   questo  obiettivo   ben   chiaro   in  mente   che   il  governo   greco   può   cercare   di  negoziare   l'allungamento   dei   tempi  del  rientro.

Francesco  VioliGiacomo  Ganzu

Obama, l’Europa, la Russia e il terrorismo

A   partire   dalla   ?ine   della   Guerra  fredda,   agli   inizi   degli   anni   Novanta,  il  rapporto  tra  Stati  Uniti  ed  Europa  è  diventato   molto   più   dif?icile.   Con   la  ?ine   del   con?litto   bipolare,   infatti,   la  coincidenza   di   interessi   in   politica  estera   tra   le   due   aree   ha   smesso  di  essere  un   fatto  automatico,   e   questo  ha   creato,   e   continua   a   creare,   ten-­‐sioni  che   alimentano  una  grande   s?i-­‐ducia   dell’America   nei   confronti   del  Vecchio   continente.   A   Washington  pesa   soprattutto  l’incapacità   dell’Eu-­‐ropa   di   assumersi   responsabilità   di-­‐rette,   unito   al   fatto  che   l’Unione   eu-­‐ropea   continua   a   rappresentare   un  vuoto   di   potere   politico   e   militare  

che   non   aiuta   a   gestire   la   stabilizza-­‐zione  delle  aree  limitrofe.Queste   dif?idenze   sono   state   confer-­‐mate,   dietro   la   facciata   dei   sorrisi  diplomatici,   anche  durante  un  incon-­‐tro  ai  primi  di  febbraio  tra  la  Cancel-­‐liera   Angela   Merkel   e   il   Presidente  Barack  Obama,  preoccupato  in  meri-­‐to  a   quanto  sta  accadendo  ai  con?ini  dell’Europa:   l’invasione   dell’Ucraina  da  parte   della   Russia   da  un  lato  ed  il  pericoloso   avanzamento   dello   Stato  islamico  e  le  ondate  di  terrorismo  ad  esso  collegato  dall’altro.Relativamente   al   caso  russo-­‐ucraino  (punto   scottante   dell’incontro   e   più  largamente   discusso),   il   Presidente  

Obama,  pur  dichiarando  di  apprezza-­‐re   gli   sforzi   di   una   risoluzione   di-­‐plomatica   del   con?litto   (indispensa-­‐bile   per  evitare   una   guerra   sul  terri-­‐torio  europeo),   ha   voluto  sottolinea-­‐re,   al   tempo   stesso,   alla   vigilia   degli  accordi   di   Minsk,   il   rischio   di   falli-­‐mento   di   accordi   diplomatici   (Putin,  infatti,   non  ha   ritirato   le   sue   truppe  dall’   Est   dell’Ucraina,   al   contrario   è  ancora   ben   presente   nel   territorio  inviando   armi   ai   separatisti   e   con  truppe  che  provvedono  al  loro  adde-­‐stramento).   L’idea   americana   sareb-­‐be,   infatti,  quella  di  procedere  raffor-­‐zando   ulteriormente   le   già   pesanti  sanzioni   proposte   dalla   comunità  

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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 20 - Aprile/Giugno 2015

http://publiuspavia.wix.com/publiuspaviaVia Villa Glori, 8 Pavia - Tel: 3409309590 - E-mail: [email protected]

Direttore responsabile: Giacomo GanzuRedazione: Nelson Belloni, Paolo Filippi, Giacomo Ganzu, Maria Vittoria Lochi, Francesco Pericu, Elena Passerella, Giovanni Salpietro, Giulio Saputo, Romina Savioni, Bianca Viscardi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l

Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.

internazionale,   che  incidono  fortemente  sull’economia   russa,  e   di   rimanere   al  tempo  stesso  accan-­‐to   all’Ucraina   conti-­‐nuando   a   lavorare  con  il  FMI,  aiutando-­‐la   a   superare   la   dif-­‐?icile   situazione   ?i-­‐nanziaria   e   a   prose-­‐guire   sulla   via   delle  riforme   economiche  e  di   lotta  alla   corru-­‐zione.Il   ?ine   di   questa   li-­‐nea   sarebbe   quello  di   costringere   Putin  a   rientrare   nei   pro-­‐pri   con?ini   sotto   il  peso   delle   sanzioni  e   dell’impoverimen-­‐to   del   suo   paese   e  della   sua  popolazione,  non  escluden-­‐do,   in   caso   contrario,   l’isolamento  della   Russia   sia   dal   punto   di   vista  economico  che  politico  dalla  comuni-­‐tà   internazionale.   Qualora   questa  opzione   non   fosse   risolutiva,   per  gli  americani   ci   si   troverebbe   di   fronte  alla  necessità  di  valutare   l’impiego  di  uno   schieramento   di   forze   di   difesa  per   soccorrere   l’esercito   ucraino.  Anche   se   gli   Stati   Uniti,   sostengono  che,   in  questo   caso,  non   si   trattereb-­‐be   di  un   coinvolgimento  diretto,   ma  ci   si   limiterebbe   ad   equipaggiare  l’Ucraina   af?inché   possa   autonoma-­‐mente   pensare   alla   propria   difesa,  per   gli   europei   il   pericolo   di   questa  escalation  è  da  evitare  in  tutti  i  modi,  perché   temono   che   li   trascinerebbe  in  un  con?litto  con  la  Russia  che  met-­‐terebbe   a   rischio   la   pace   sul   conti-­‐nente.In  questo  quadro   rimane   comunque  fondamentale  spingere  l’Ucraina  sul-­‐la   via   delle   riforme   e   della   ripresa  economica,   come  avrebbero  promes-­‐

so   di   fare   il   Primo   ministro   Yatse-­‐nyuk  e  il  Presidente  Poroshenko  con  la   cooperazione  del  FMI  e  della   stes-­‐sa   Unione   europea,   ed   è   su   questo  terreno   che   si   veri?ica   la   maggior  convergenza  tra  USA  e  UE.Anche   nella   lotta   all’autoproclamato  Stato  islamico  e   al   terrorismo  è  sicu-­‐ramente   indispensabile   una   forte  cooperazione  tra  Europa  e  Stati  Unti  In   questo   caso,   fortunatamente,   le  posizioni  americane  ed  europee  sono  in  maggiore   sintonia.   L’Europa,  nelle  parole   di   Angela   Merkel,   condivide  con  Obama.   l’idea  che   l’ISIS  non  rap-­‐presenti  né   l’Islam  né   i  musulmani  -­‐  come   la   maggior   parte   dei   rappre-­‐sentanti   della   comunità   musulmana  dichiara   dissociandosi   da   questa  barbarica   ideologia   e   ritenendo   i  gruppi   terroristici   un’offesa   per  l’Islam   stesso.   Le   ideologie   deliranti  dello   Stato   Islamico   e   di   al-­‐Qaeda,  che   tentano   di   usare   i   principi   reli-­‐giosi  per  giusti?icare   la  loro  violenza,  fanno  solo  emergere   il  loro  disperato  

bisogno   di   essere  legittimati.S ia   Merkel   che  Obama   condivido-­‐no   quindi   l’idea  che  al’interno  delle  società   occidentali  si  debba   prevenire  la   possibilità   da  parte   del   terrori-­‐smo  di   fare   prose-­‐liti   tra   i   giovani,   e  che   questo   impli-­‐chi   una   maggiore  integrazione   e   co-­‐involgimento   delle  famiglie,   delle   co-­‐munità   e   dei   lea-­‐der   religiosi   mu-­‐sulmani.Nel   frattempo  pro-­‐segue   la   collabora-­‐zione   nell’ambito  

della   coalizione   in   Afghanistan,   che  rimane   focalizzata   sull’addestramen-­‐to  e  sull’assistenza  alle  forze  afghane,  che  a   loro  volta  costituiscono  la  base  per  condurre  le  missioni  antiterrori-­‐ste   contro   l’ISIS   e   ciò   che   rimane   di  al-­‐Qaeda.L’incontro  tra  la  cancelliera  tedesca  e  Obama,  ha  quindi  confermato,  a  di  là    della   diplomazia,   come,   ancora   una  volta,   Angela   Merkel   si   dimostri,  l’unica   autorità   europea   capace   di  dialogare   alla   pari   con  gli   Stati  Uniti  in   questioni   spinose   come  quelle   af-­‐frontate.   Ma   questo   non   fa   che   ren-­‐dere  ancora  più  evidente  il  problema  interno  all’Europa:   la   politica  estera,  di   fatto,   viene   ancora   decisa   da   sin-­‐goli   rappresentanti   nazionali,   con-­‐fermandosi  troppo  debole  per  essere  ef?icace.  A  questo  punto  viene   spon-­‐taneo   chiedersi:   quando   saremo   in  grado   di   provvedere   come   Europa  alle  questioni  di  politica  estera?

Maria  Vittoria  Lochi