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davide-negri
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- Editoriale, Publius - La questione dell'immigrazione: Europa ed euroscettici a confronto, Paolo Filippi - Il No all'indipendenza scozzese: l'inizio di una rivoluzione britannica?, Francesco Violi - Le conseguenze della crisi ucraina sulle strategie economiche della Russia, Giovanni Salpietro - Le fatiche del gigante americano, Romina Savioni
PubliusPer un’Alternativa Europea
Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 19 - Ottobre/Novembre 2014
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
Le regioni che circondano l’Europa stanno sprofon-‐dando nel caos e le popo-‐lazioni sono sottoposte ad una sofferenza indicibile. I teatri di guerra intorno a noi continuano a moltipli-‐carsi: guerra civile in Li-‐bia, instabilità nella peni-‐sola del Sinai e in tutta l’area del Medio oriente, terza guerra di Gaza, guer-‐ra civile in Siria e ascesa dell’ISIS, nuova guerra in Iraq, e da ultimo la guerra “ibrida” in Ucraina. Di fronte a tanta violenza l’Europa è impotente. Non perché manchi la volontà dei nostri governi, ma perché manca il potere in grado di intervenire e di reggere lo sforzo enor-‐
me necessario per riporta-‐re la stabilità nelle aree dilaniate dai conJlitti.Basti pensare che la politi-‐ca estera europea, così come è strutturata secon-‐do il Trattato di Lisbona, è una pura illusione: Mister PESC, o Alto rappresen-‐tante per la politica estera europea, è solo una voce senza una mente e senza un corpo. Un aneddoto descrive meglio la situa-‐zione: quando Putin si ri-‐volge telefonicamente agli Stati Uniti chiama alla Ca-‐sa Bianca il presidente Obama, invece quando si rivolge all’Europa il suo interlocutore è la Cancel-‐liera Merkel, ossia la per-‐sona che rappresenta il
più forte e autorevole go-‐verno nazionale. E se la politica estera tace (perché inesistente), l’as-‐senza di politiche dell’im-‐migrazione, umanitarie e di accoglienza, è ancor più deplorevole. Con migliaia di persone bisognose d’aiuto, l’Unione europea non ha gli strumenti per intervenire perché anche in questo campo ciascun paese membro agisce di propria iniziativa, lascian-‐do così gli Stati ai conJini dell’Europa a sopportare la maggior parte del peso di questa marea umana in cerca di speranza. Insom-‐ma, si continua solamente a subire la catastrofe che
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Chi fermerà il massacro?
pag.1 Editoriale Publius
pag.2 La questione dell’immigrazione: Europa ed euroscettici a confronto
Paolo Filippi
pag.4 Il No all’indipendenza scozzese: l’inizio di una rivoluzione britannica?
Francesco Violi
pag.6 Le conseguenze della crisi ucraina sulle strategie economiche della Russia
Giovanni Salpietro
pag.8 Le fatiche del gigante americano
Romina Savioni
Indice
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Nonostante i risultati delle ultime elezioni europee abbiano dato la maggioranza dei seggi alle forze eu-‐ropeiste, abbiamo assistito in molti Stati ad un incremento dei consensi dei partiti euroscettici e nazionalisti. Nel Parlamento europeo detengono circa il 30% dei seggi, anche se non sono da considerare come un corpo unico poiché tra un partito e l'altro ci sono delle divergenze. Un tema mol-‐to importante sembra però accomu-‐narli: l'immigrazione. Noi italiani siamo abituati a pensare al problema dell’immigrazione come ad un problema solo dei paesi medi-‐terranei. In realtà la maggior parte delle ondate migratorie che giungono in Europa provengono dall’Est Euro-‐pa (i paesi con più richieste di asilo sono Ger-‐mania e Svezia) e coinvolge tutti i paesi europei. L a c amp a g n a elettorale di que-‐sti partiti è stata condotta calcan-‐do molto la mano su come l'Unione europea gestisce il problema del-‐l ' immigrazione clandestina e in particolare sui pericoli che que-‐s to f enomeno
comporta. Esiste, secondo loro, un rischio per la sicurezza pubblica, do-‐vuto all'aumento della criminalità causata sia dagli immi-‐grati stessi (rapine, omi-‐cidi, violenze sessuali, terrorismo), sia dalle or-‐ganizzazioni malavitose che sfruttano i clandesti-‐ni che, non essendo rego-‐lari, non possono entrare nel mondo del lavoro e quindi Jiniscono nella rete di queste organizza-‐zioni (spaccio, prostituzione, ecc). I partiti euroscettici più nazionalisti vedono nella Jigura dell'immigrato un invasore che mina la stabilità et-‐nica e culturale del paese in cui emi-‐
gra, creando un pericolo per l'identi-‐tà nazionale. Esiste poi un pericolo di natura socio-‐economica legato alla
crisi che stiamo attraver-‐sando: nella visione di questi partiti l'immigrato ruba il lavoro ai cittadini e troppe volte beneJicia delle misure di welfare adottate dallo Stato nei suoi confronti. Il cittadino ha la sensazione che i soldi spesi per il recupero e il soccorso degli immi-‐
grati siano soldi spesi male poiché si incoraggia l'immigrazione e si va ad aumentare la disponibilità di mano-‐dopera a basso costo.L'incremento del consenso raccolto
da queste tesi è legato all'aggra-‐varsi della crisi economica. I cit-‐tadini, impauriti dalle condizioni precarie in cui vivono, sfogano la propria rabbia i n d i v i d u a ndo nello straniero, e quindi in ciò che non conoscono, la causa di tutti i l o r o ma l i . E ' chiaro come la diminuzione dei posti di lavoro sia dovuta sem-‐
La questione dell’immigrazione: Europa ed euroscettici a confronto
avviene alle periferie d’Europa senza possibilità d’intervento.Intanto l’economia europea sta ine-‐sorabilmente scivolando da crescita anemica a stagnazione, con il rischio della deJlazione e delle sue conse-‐guenze anche a livello globale: e ciò perché nessun paese europeo, anche il più forte come la Germania, ha la forza sufJiciente per affrontare le sJi-‐de del XXI secolo, sia in politica este-‐ra, sia a livello sociale ed economico. Tutti questi problemi possono essere risolti solamente creando un nuovo
potere in Europa: un potere genui-‐namente sovranazionale, a partire dal potere Jiscale a livello dei paesi euro, per creare subito un bilancio federale dell’eurozona. Questa è la base indispensabile per Jinanziare piani di sviluppo e dell’occupazione nei settori strategici, per Jinanziare in futuro una difesa comune europea al posto di tanti eserciti nazionali, e quindi per tornare ad avere un ruolo in politica estera.Ma per realizzare questo obiettivo è necessario costruire la Jiducia tra i paesi europei che si è andata per-‐
dendo nel tempo. E proprio in questo delicato punto che l’Italia può (e de-‐ve) essere determinante. In primo luogo perché è la seconda economia manifatturiera dell’area euro. In se-‐condo luogo perché proprio la crisi del nostro paese (e il nostro enorme debito) sono un buco nero per il re-‐sto dell’eurozona. Per questo motivo l’attuale governo deve attuare serie riforme strutturali interne con il pre-‐ciso scopo di ricreare quel clima di Jiducia e di chiedere di fare l’Europa insieme.
Publius
da pag. 1
I pericoli descritti dai partiti euro-
scettici e nazionali-sti sono legati ad un ottica ancora incentrata sullo
stato nazionale e la sua sicurezza
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plicemente alla situazione di crisi mentre la criminalità è purtroppo sempre esistita, soprattutto dove ci sono situazioni di disagio sociale (in cui rientrano anche gli immigrati); mentre le stesse misure adottate per cercare di arginare il fenomeno, co-‐me il reato di clandestinità, ottengo-‐no spesso l’effetto contrario, obbli-‐gando l’immigrato a evitare di cerca-‐re un lavoro in regola per non essere scoperto.Il punto, però, che è importante evi-‐denziare, nel cercare di capire la questione dell’immigrazione, è che i pericoli paventati dai partiti euro-‐scettici e nazionalisti sono legati ad un’ottica ancora incentrata sullo sta-‐to nazionale, che identiJica la sicu-‐rezza con la chiusura rispetto al-‐l’esterno. Senza ricordare, però, che nella storia il nazionalismo esacerba-‐to ha portato a conJlitti anche di enti-‐tà mondiale. La paura che gli immi-‐grati possano distruggere una nazio-‐ne è infondata. Da sempre il mesco-‐larsi di diverse popolazioni ha giova-‐to alle civiltà, arricchendole di nuove conoscenze e favorendo il progresso; mentre l'atteggiamento di chiusura verso il mondo ha fatto nascere l'odio tra le nazioni e la guerra. I partiti na-‐zionalisti propongono come soluzio-‐ne all'immigrazione clandestina il respingimento alle frontiere. Oltre ad essere una misura impraticabile, da-‐to che per poterli respingere si do-‐vrebbe prima intercettarli, e questo non sempre è fattibile, è anche una misura inapplicabile, perché viola i diritti dell'uomo. Molti immigrati ar-‐rivano in Europa e chiedono diritto di asilo perché nei loro paesi di ori-‐gine sono perseguitati a causa della loro religione, razza o idea politica; in questo caso il paese a cui è stato chiesto asilo deve ospitare la persona sul proprio territorio e, accertatosi che l'immigrato è in reale pericolo, deve concedere lo status di rifugiato e quindi ospitarlo e proteggerlo. L'idea di Europa è basata sulla soli-‐darietà e sulla multietnicità oltre che sulla “non violenza”. Il modo in cui l'UE agisce deve sempre rispettare i valori sui quali è stata fondata e per-‐ciò non può voltare le spalle a chi le chiede aiuto e ritornare alle idee na-‐zionaliste. E' perciò ovvio che la stra-‐tegia da portare avanti sia quella di accogliere nel proprio territorio chi
deve essere aiutato.Ma come agisce ad oggi l’UE per fron-‐teggiare le ondate sempre maggiori di immigrati?Dato che il problema dell’immigra-‐zione è di livello europeo sarebbe auspicabile che gli interventi siano guidati da una regia europea, ma in realtà, purtroppo, non è così. Infatti, nonostante l’UE abbia tentato più volte di prendersi carico della situa-‐zione, la ricerca e il salvataggio dei migranti sono ad oggi di competenza degli Stati nazionali. Questo è in gran arte dovuto al fatto che l’immigrazione è da sem-‐pre un tema molto caldo durante le campagne elet-‐torali; i politici nazionali non vogliono perdere il controllo di un tema che spinge molti cittadini a votare per uno piuttosto che un altro partito. Ogni volta che però avviene una strage nel Mar Me-‐diterraneo, i politici nazionali incol-‐pano l’UE di non fare nulla per aiuta-‐re gli stati impegnati nel fronteggiare le ondate di migranti. Queste accuse sono infondate visto che l’Europa è stata esclusa proprio dagli Stati stessi nella gestione di tali interventi. L’UE ha comunque istituito nel mag-‐gio del 2005 l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione interna-‐zionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea det-‐ta FRONTEX. Insediata a Varsavia, in Polonia, questa agenzia ha il compito di coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne (aeree marittime e
terrestri) degli stati dell’UE e di im-‐plementare gli accordi con i paesi conJinanti con l’UE. Non potendo ge-‐stire direttamente l’immigrazione, l’UE tramite questa agenzia tenta al-‐meno di far cooperare tra loro i vari Stati nazionali. Un esempio è la mis-‐sione Frontex Plus: per fronteggiare l’emergenza nel tratto di mare tra Libia, Tunisia, Malta e Italia, l’UE, sot-‐to richiesta dello Stato italiano, ha deciso di avviare una nuova missione
in questo tratto di mare, ma per poter rendere at-‐tuabile questo progetto ha bisogno di chiedere il con-‐senso ai vari Stati nazio-‐nali. Quindi Frontex non può agire da sola ma, di volta in volta, le missioni che vuole attuare devono
essere approvate da tutti gli Stati membri. Un ulteriore strumento messo in campo dall’UE è EUROSUR ovvero un sistema che mette in rete gli Stati membri dell’area Schengen tra di lo-‐ro e con l’agenzia Frontex, favorendo lo scambio di informazioni e quindi la conoscenza dettagliata della situa-‐zione alle frontiere esterne. Ciò au-‐menta la capacità di previsione dei Jlussi migratori e la capacità di inter-‐vento in caso di necessità. E’ ovvio che tutto ciò non può bastare a risolvere il problema dell’immigra-‐zione. Come già detto le dimensioni di questo problema sono di livello europeo mentre chi è chiamato ad
L'idea di Europa è basata sulla
solidarietà e sulla multietnicità oltre
che sulla “non violenza”
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intervenire in prima linea sono gli Sati nazionali che non hanno abba-‐stanza strumenti per essere efJicien-‐ti. Questa situazione crea quindi un malcontento generale che si traduce nelle posizioni prese dai partiti na-‐zionalisti ed euroscettici. Finché l’Europa rimarrà una confe-‐derazione di Stati, l’immigrazione non potrà mai essere gestita in modo efJiciente. Un passaggio invece ad un Europa federale garantirebbe gli
strumenti necessari alla gestione del problema. Tramite un unico bilancio europeo si troverebbero fondi per costruire una rete di intercettazione e salvataggio dei migranti più efJi-‐ciente dell’odierna Frontex, soprat-‐tutto nel Mar Mediterraneo dove av-‐vengono più morti (essendo un viag-‐gio via mare e non via terra). I costi di tutte le infrastrutture come i centri di accoglienza e i mezzi adoperati non peserebbero più sulle casse di quegli Stati che per ragioni geograJi-‐
che sono i più colpiti ma sarebbe una spesa equamente sostenuta all’inter-‐no della federazione. Inoltre, tramite una vera politica estera europea (e quindi non più con le 28 deboli e im-‐potenti politiche estere nazionali) si potrebbe iniziare un reale processo di stabilizzazione dei paesi dai quali provengono gli immigrati in modo tale da evitare che questi siano co-‐stretti a scappare.
Paolo Filippi
L'esito del referendum scozzese, con il quale il 55,3% dei votanti ha riJiu-‐tato l'indipendenza della nazione, rischia paradossalmente di aprire un vero e proprio “Vaso di Pandora” istituzionale, i cui esiti, ancora aperti, contemplano anche la possibilità di una federalizzazione del Regno Uni-‐to. La promessa di Cameron e di tut-‐to lo schieramento unionista di una maggiore devoluzione verso Holy-‐rood in caso di vittoria del No è con-‐siderata da molti commentatori e politologi come decisiva per l’esito Jinale della consultazone, sebbene non risulti essere molto gradita al resto dei sudditi di Sua Maestà. Il Galles e l'Irlanda del Nord comincia-‐no a chiedere gli stessi trattamenti riservati alla Scozia (oltre all'upgra-‐de delle loro assemblee nazionali a parlamento, come quello scozzese) mentre i più irritati da questa situa-‐zione risultano essere proprio i cit-‐tadini dell'Inghilterra. Alla stragran-‐de maggioranza dei cittadini inglesi non piace l'idea di una semplice maggiore devoluzione per gli scozze-‐si senza che questa implichi una ri-‐forma istituzionale interna. Il punto centrale è proprio la West Lothian Question (West Lothian è un collegio elettorale scozzese): l'Inghil-‐terra non ha un proprio parlamento nazionale, in quanto è Westminster che svolge quella funzione, il quale è al tempo stesso parlamento di tutto il Regno Unito. I deputati scozzesi eletti ai Comuni possono votare leggi
riguardanti l'Inghilterra, mentre i parlamentari inglesi non possono votare sulle questioni scozzesi, dal momento che non è prevista, né è prevedibile una rappresentanza in-‐glese al parlamento di Edimburgo. Ciò risulta inaccettabile a molti in-‐glesi, dal momento che i MP scozzesi possono votare su questioni che non riguardano i loro collegi elettorali. Qualora dovesse realizzarsi una maggiore devoluzione verso la Sco-‐zia in assenza di una soluzione alla West Lothian Question, è prevedibile che gli screzi tra Scozia e Inghilterra siano destinati a crescere, così come
nel caso di una maggiore devoluzio-‐ne verso Galles e Irlanda del Nord. A quel punto si avrebbe un'estensione del problema anche alle altre due nazioni.La proposta meno rivoluzionaria sa-‐rebbe quella di vietare ai parlamen-‐tari scozzesi di votare sulle questioni riguardanti l'Inghilterra al parlamen-‐to di Westminster, in cambio di una maggiore devoluzione. Lo stesso ver-‐rebbe imposto ai deputati gallesi e nord-‐irlandesi nel momento in cui dovesse aumentare la devoluzione verso le loro assemblee nazionali. Tuttavia, sebbene questa soluzione
Il No all’indipendenza scozzese: l’inizio di una rivoluzione britannica?
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sia la “meno costosa” in termini di riforme costituzionali richieste, è tutto da stabilire se ci siano effetti-‐vamente i margini costituzionali per farlo e soprattutto se ci sia una vo-‐lontà politica effettiva, dal momento che la Scozia, come il Galles, è da anni un serbatoio di voti per il Labour.In tale prospettiva, si sta facendo strada l'idea di creare un par-‐lamento inglese, diver-‐so e separato di quello di Westminster. Il Par-‐liament of England (che non sarebbe da esclu-‐dere che potrebbe risiedere in una città diversa da Londra) avrebbe lo stesso tipo di competenze di Cardiff o di Edimburgo, mentre Westmin-‐ster in quest'ottica diventerebbe un parlamento sovrano sulle questioni tipiche di uno Stato federale: infra-‐strutture, Jiscalità federale, moneta, difesa e politica estera. Tuttavia una simile proposta rischierebbe di creare diversi problemi: primo tra tutti il fatto che il parlamento d'In-‐ghilterra sarebbe con molta proba-‐bilità un contraltare di Westminster su una vasta gamma di aree d'inter-‐vento, dal momento che sarebbe il parlamento di circa l'84% della po-‐polazione dell'intero Regno Unito. Inoltre, porrebbe le basi per un fe-‐deralismo enormemente asimmetri-‐co, dal momento che l'Inghilterra da sola avrebbe di fatto un potere di veto fortissimo. Sarebbe una situa-‐zione per certi versi molto simile al secondo impero tedesco, dove la Prussia esercitava un pote-‐re immensamente maggio-‐re rispetto agli altri Stati e esercitava un potere di veto schiacciante all'interno del Reich.Un'altra proposta prevede una forma di federalismo basata sulla regionalizza-‐zione dell'Inghilterra, che anziché avere un unico par-‐lamento inglese avrebbe tra i sette e i nove parlamenti locali. In tal modo, si avreb-‐bero delle unità federali più o meno tutte delle stesse dimensioni e con compe-‐
tenze analoghe e simmetriche. La Gran Bretagna così divisa eviterebbe dei conJlitti tra un singolo parlamen-‐to nazionale e il parlamento federale di Westminster, in quanto nessuno di questi avrebbe una massa critica
tale da poter “sJidare” Westminster o porre veti insormontabili. Questa proposta di federalismo attraver-‐so la regionalizzazio-‐ne dell'Inghilterra, Jino a qualche tempo fa non sembrava tro-‐vare molto consenso tra i cittadini inglesi. Le regioni infatti sono
sempre state delle entità più simbo-‐liche che effettive. I tradizionali “en-‐ti locali” britannici sono sempre sta-‐te le contee (Counties) e le parroc-‐chie (Parishes), mentre in un perio-‐do più recente sono stati introdotti i distretti (Districts). Le regioni sono state introdotte solo recentemente, a partire dal 1994, per scopi statisti-‐ci e per adempiere ad alcuni obbli-‐ghi legati all’appartenenza alla UE. Un tentativo di devolution regionale fu fatto circa dieci anni fa da Tony Blair, che a seguito della devolution verso le altre tre nazioni del Regno Unito si impegnò alla creazione di assemblee regionali, per avviare la devolution anche verso le regioni inglesi. Tuttavia, tale proposta ven-‐ne bocciata nel 2004 proprio dagli elettori della regione del Nord-‐Est, regione che era stata scelta dal go-‐verno Blair per la sperimentazione del nuovo assetto. Alla proposta re-‐ferendaria di creazione di un vero
parlamento regionale con poteri au-‐tonomi, il 77% circa del 49% degli aventi diritto rispose con un “No, thanks”, mortiJicando così il tentati-‐vo blairiano. Il governo Brown, as-‐sieme al governo di coalizione Lib-‐Con ha inoltre contribuito non poco a indebolire gli enti regionali, abo-‐lendo i nuclei di assemblee regionali costituiti Jino ad allora, lasciando le regioni solo ed esclusivamente come unità statistiche. Ciò nonostante è vero che le condizioni cambiano molto velocemente e oggigiorno, complice la crisi, anche tra le Jila dei più conservatori si fa strada l'idea che il Regno Unito sia troppo “Lon-‐don-‐centred” e che una qualche forma di ridistribuzione sia auspi-‐cabile, anche per dare ad altri centri locali delle possibilità in più rispetto alla capitale. Il dibattito è completamente aperto. Molti costituzionalisti sostengono che nella storia britannica non ci sia mai stato qualcosa di analogo e che quindi una simile riforma debba ne-‐cessariamente implicare l'introdu-‐zione di una costituzione scritta -‐ nella quale Jissare le competenze di ogni livello di governo -‐ e la riforma della camera dei Lords, che nello scenario di una federalizzazione di-‐venterebbe una sorta di Senato fe-‐derale, con i Lord trasformati in Civil Servants scelti dai parlamenti nazio-‐nali o regionali.Nonostante il federalismo sia un'in-‐venzione della cultura britannica, i cittadini britannici non sono mai stati storicamente dei sostenitori di questa forma di organizzazione del-‐lo Stato, non solo a livello europeo,
ma neanche al proprio in-‐terno; diverse fasce della popolazione lo vedono co-‐me una complicazione del-‐l'assetto costituzionale bri-‐tannico e come un sistema potenzialmente distruttivo. Tuttavia l'esito del referen-‐dum scozzese, per quanto positivo per l'unità del re-‐gno, è il campanello d'al-‐larme di un malessere in-‐terno molto forte che ne-‐cessita di essere affrontato e di una società che sta di-‐
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L’esito del referendum scozzese rischia di aprire un “Vaso di
Pandora” istituzionale, i cui esiti contemplano
la possibilità di una federalizzazione del
Regno Unito
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ventando più complessa e sta cam-‐biando nelle esigenze di rappresen-‐tanza e nella richiesta di centri di potere più forti e più vicini alla pro-‐pria dimensione quotidiana. In que-‐sto senso il referendum riapre la questione della ripartizione delle competenze e del potere ai diversi livelli di governo; e in questo quadro, non solo il federalismo britannico merita un'occasione per la costru-‐zione una Gran Bretagna più stabile,
ma diventa centrale anche la que-‐stione di una ripartizione complessi-‐va di competenze dal livello di go-‐verno europeo a quello locale e vice-‐versa, secondo dei criteri di scala e di razionalità sia economica, sia poli-‐tica. In modo forse imprevisto, la questione scozzese porta con sé an-‐che la necessità di ragionare sul fu-‐turo dell’assetto europeo, ed in par-‐ticolare, per il Regno Unito di chiari-‐re come vuole porsi nei confronti della creazione di un potere genui-‐
namente federale a livello dell'euro-‐zona: un passaggio ineludibile per i paesi euro per garantire la stabilità, il ritorno della Jiducia nelle istituzio-‐ni democratiche e il ritorno alla cre-‐scita economica; ed un passaggio con cui la UK dovrà fare i conti sia per deJinire i rapporti che intende svi-‐luppare con questa nuova realtà po-‐litica, sia per riorganizzarsi interna-‐mente tenendo conto del nuovo quadro europeo.
Francesco Violi
Le conseguenze della crisi ucraina sulle strategie economiche della Russia
da pag. 5
Nel novembre del 2013 il governo ucraino guidato da Viktor Janukovyč annunciò di aver riJiutato l’accordo di associazione con l’Unione europea lasciando intendere che l’Ucraina avrebbe aderito alla proposta di Vla-‐dimir Putin di entrare a far parte del-‐l’Unione eurasiatica. La scelta di Ja-‐nukovyč diede il via ad una serie di manifestazioni di piazza che porta-‐rono alla caduta del suo governo e allo scoppiare del conJlitto che vede l’Ucraina divisa tra l’attuale governo, guidato da Petro Porošenko, e i sepa-‐ratisti russofoni. Nonostante Porošenko abbia scelto di non aderire al progetto di Putin, il 29 maggio è stato Jirmato l’accordo tra Russia, Bielorussia e Kazakistan che darà vita a partire dal 2015 al-‐l’Unione eurasiatica; si trat-‐ta di un faraonico progetto di cooperazione economica che ha come scopo quello di creare un “ponte com-‐merciale” (così è stato deJi-‐nito da Putin stesso) tra Oriente e Occidente. Il valo-‐re degli scambi tra questi paesi non è da sottovaluta-‐re; l’unione doganale tra i tre paesi, in atto dal 2010, ha visto crescere del 50% gli scambi commerciali in tre anni e arrivando ad un valore di circa 66 miliardi di dollari nel 2013. Al-‐
l’Unione si uniranno presto anche l’Armenia, il Kirghizistan e il Tagiki-‐stan. I tre paesi fondatori detengono im-‐portanti risorse soprat-‐tutto dal punto di vista energetico: circa il 20 % delle riserve di gas e il 15% del petrolio si trova-‐no infatti all’interno del territorio dell’Unione eu-‐rasiatica. Saranno queste risorse a garantire uno sviluppo solido e duratu-‐ro dei paesi membri, ri-‐uscendo ad attirare in-‐genti capitali dall’estero.Oltre all’Unione eurasiatica Putin ha ottenuto un altro importante risulta-‐to: il 25 maggio è stato Jirmato a
Shangai un accordo sulla fornitura di gas tra Russia e Cina. Da circa 10 an-‐ni la compagnia russa Gazprom cer-‐cava di raggiungere un accordo col
governo di Pechino per vendere il gas, ma è stato l’inasprirsi dei rapporti tra Russia e Occidente per via della crisi ucraina ad aver accelerato le nego-‐ziazioni. L’accordo, molto vantaggioso per i cinesi, partirà dal 2018 e vale circa 400 miliardi di dol-‐lari in 30 anni. Resta an-‐cora da costruire il gas-‐dotto che collegherà la
Siberia alla Cina orientale, tuttavia è chiaro che il mercato cinese potreb-‐be persino superare quello europeo,
che Jinora era il principale “cliente” di Mosca. Lo stesso Barroso ha inviato a Mosca una lettera in cui chiedeva rassicurazioni sulle forniture di gas verso l’UE.L’Unione eurasiatica e l’accordo con la Cina non esauriscono gli interessi commerciali della Russia. Mosca sta infatti stringen-‐do delle relazioni anche con paesi fuori dalla sua ex area di inJluenza sovie-‐tica; tra questi vi è la Nor-‐vegia con cui nel 2010 si è
Il 25 e il 29 mag-gio la Russia ha firmato accordi
con la Cina, sulla fornitura di gas, e con la Bielorussia e il Kazakistan, per dare vita dal 2015 all’Unione
eurasiatica
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trovato un accordo sulla spartizione delle risorse nel Mar di Barents cui è seguito un accordo di cooperazione economica e militare. Anche la Sviz-‐zera ha rilevanti interessi verso la Russia, dato che rappresenta già oggi uno dei principali investitori stranie-‐ri e che ha agevolato l’entrata della Russia nell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). E’ chiaro come la Russia stia cercan-‐do di svincolarsi dalla dipendenza nei rapporti commerciali con l’UE. Resta dunque da chiedersi se la poli-‐
tica delle attuali sanzioni commer-‐ciali verso la Federazione russa volu-‐te dagli Stati Uniti e dall’UE siano la giusta risposta verso una Russia che sembra puntare verso Oriente. L’UE, priva di una vera ed efJicace politica estera, non solo non è stata in grado di proporre delle soluzioni per la crisi in Ucraina, ma si è limita-‐ta all’imposizione di sanzioni eco-‐nomiche alla Russia senza pensare alle possibili conseguenze di tale scelta. Mentre la Russia infatti getta le basi per una strategia commercia-‐
le a livello globale, cercando alterna-‐tive al mercato europeo, l’Europa manca di una visione di lungo perio-‐do, soprattutto per le politiche ener-‐getiche. Le sanzioni non solo costi-‐tuiscono un danno economico per le esportazioni europee verso la Russia, ma non si inseriscono in un quadro strategico di ricerca di nuovi mercati e nuovi partner commerciali. Da non sottovalutare è il rischio che l’ina-‐sprimento dei rapporti con la Russia comprometta le forniture di gas nei prossimi anni, soprattutto ora che è stato raggiunto l ’accordo tra Gazprom e Pechino.E’ evidente che i rapporti con la Rus-‐sia entro pochi anni rappresenteran-‐no una questione importante per l’Europa; tuttavia un’Europa divisa in stati nazionali incapaci di adottare una politica estera e di difesa comu-‐ne (e troppo dipendente dagli USA in politica estera) e priva di un’alterna-‐tiva valida alla fornitura di gas russo, non sarà in grado di vincere la sJida di una globalizzazione che vede emergere nuovi attori e nuove po-‐tenze.
Giovanni Salpietro
La Russia sta cercando di svin-colarsi dalla dipendenza nei
rapporti commerciali con l’UE
Scheda personaggio - Aristide Briand
Nato a Nantes il 28 marzo 1862, Ari-‐stide Briand fu un politico e diplo-‐matico francese considerato come personaggio chiave della storia eu-‐ropea tra le due guerre mondiali. Fu uno dei principali sostenitori della nascita della Società delle Nazioni e si schierò in opposizione alle dure condizioni poste alla Germania col Trattato di Versailles. Tra i suoi suc-‐cessi diplomatici troviamo il Tratta-‐to di Locarno del ‘25 e il Patto Briand-‐Kellogg del ’28 che ripudiava la guerra come mezzo di soluzione delle contro-‐versie.
Il suo impegno per la pace venne riconosciuto con la consegna del No-‐bel nel ’26. Briand può essere consi-‐derato come precursore dell’inte-‐grazione europea; nel ’29 pronunciò un discorso alla SdN proponendo la costruzione di un’Europa federale ma tale progetto purtroppo non ri-‐cevette il sostegno delle altri gover-‐ni. Morì a Parigi, il 7 marzo 1932.
Tra le sue frasi più celebri: “Unirsi per vivere e prosperare: questa è la stretta necessità davanti la quale si
trovano ormai le nazioni d’Europa.”
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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 19 - Ottobre/Novembre 2014
publius-unipv.blogspot.comVia Villa Glori, 8 Pavia - Tel: 3409309590 - E-mail: [email protected]
Direttore responsabile: Giacomo GanzuRedazione: Nelson Belloni, Paolo Filippi, Giacomo Ganzu, Maria Vittoria Lochi, Francesco Pericu, Elena Passerella, Giovanni Salpietro, Giulio Saputo, Romina Savioni, Bianca Viscardi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.
Le fatiche del gigante americano"Ma se dobbiamo usarla è perché noi siamo l'America, noi siamo la nazione indispensabile. Stiamo in alto, vediamo più lontano nel fu-‐turo di quanto vedano altri paesi, vediamo il pericolo da cui siamo minacciati." Così commentava nel febbraio del 1998 Madaleine Al-‐bright parlando dell'uso della forza come mezzo necessario alla diplomazia. Ma sono stati davve-‐ro così numerosi i pericoli che minacciavano la sicurezza e l'equilibrio mondiale nel Nove-‐cento da richiedere l'intervento dell'esercito americano? Se, infat-‐ti, il XX secolo è stato sicuramente attraversato da profonde tensioni e con-‐Jlitti drammatici, dalle due guerre mon-‐diali, alla guerra fredda con l’Unione So-‐vietica, ai conJlitti in Medio Oriente, alle dittature in America Latina e alle tensio-‐ni nel Sud-‐est asiatico, d’altro lato è in-‐negabile che l'intervento americano è stato spesso dettato anche da una logica imperiale in cui si sono mescolate ragio-‐ni economiche e di consolidamento del potere. Questi interventi sono spesso stati mascherati dal nobile intento di portare la democrazia nel mondo o di contrastare il terrorismo, piuttosto che scongiurare l'uso o la creazione di armi di distruzione di massa. Ne sono un esempio le due guerre lampo in Iraq, o quella in Afghanistan, dove l’obiettivo, in realtà, era quello di ridisegnare a van-‐taggio degli USA la geograJia politica della regione.Spesso, un ulteriore fattore che ha raf-‐forzato la tendenza americana ad eserci-‐tare la propria egemonia a livello globa-‐le, è stata proprio l’assenza dell’Europa come potenza regionale responsabile, in grado di farsi carico della paciJicazione e
della stabilità delle aree contigue. Un caso eclatante è stato quello dell’inter-‐vento americano nella ex-‐Jugoslavia, deciso proprio per supplire all’impoten-‐za europea.Logorata dai costi imposti dal ruolo di “gendarme del mondo”, sJidata dalla na-‐scita di nuove potenze regionali e dal-‐l’ascesa di un colosso come la Cina, l’America sta ormai cercando di ripensa-‐re gli strumenti per esercitare in modo diverso e su scala differente la propria egemonia. Le vicende in Iraq e, in gene-‐re, nella regione mediorientale sono sta-‐te una sconJitta clamorosa per gli USA. Come commenta Sergio Romano nel li-‐bro Il declino dell'Impero americano, "quando sopravvive ai duri colpi di un nemico potente, un piccolo Stato o una banda di guerriglieri può vantare una vittoria morale. Quando distrugge il re-‐gime di una Stato ostile ma non riesce a raggiungere gli obiettivi che si era pre-‐Jisso, un grande Stato è politicamente sconJitto". E, scrive sempre Romano, “la crisi dell’impero americano è cominciata a Kabul e a Baghdad, ma diviene ancora più evidente quando i più vecchi e fedeli
alleati degli Stati Uniti – l’Arabia Saudita, Israele, la Turchia, il Giappone, alcuni paesi europei e latino-‐americani – lanciano segna-‐li di fastidio e cominciano a fare scelte politiche che danno per scontato il declino della potenza americana” Non c'è da stupirsi allora che alla domanda di Condoleeza Rice "Che cosa posso fare per lei?" in una conversazione nel 2007 con Nico-‐las Sarkozy egli rispose " Miglio-‐rare la vostra immagine nel mon-‐do. È una cosa un po' difJicile quando il paese più potente, quel-‐lo di maggiore successo – quello
che, necessariamente, è il leader della nostra parte – è uno dei paesi più impo-‐polari del mondo."In questo quadro l’assenza dell'Europa sullo scenario internazionale diventa drammatica. Escludendo esigui interven-‐ti per missioni di pace e di sostegno alle popolazioni interessate dai conJlitti, gli Stati europei, divisi e incapaci di costrui-‐re una politica estera unica ed autorevo-‐le, non sono in grado di sostenere posi-‐zioni alternative rispetto a quelle di un alleato tanto potente come gli USA.E proprio la crescente debolezza di que-‐sto grande alleato-‐padrone, e la sua in-‐capacità di farsi carico dell’instabilità delle aree che sono strategiche per gli europei, è destinato ad avere ripercus-‐sioni gravissime sul nostro continente, già indebolito e reso fragile dalla crisi economica. Per gli europei è tempo di prendere in mano il proprio destino, completando il processo di uniJicazione e dotandosi Jinalmente di una vera poli-‐tica estera: prima che sia troppo tardi.
Romina Savioni