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Lezioni interdisciplinari per le classi quinte del LES | Italo M. Scrocchia * QUADERNI LES LICEO POERIO A.S. 2012/2013

Quaderni LES Liceo Poerio · 2016-04-28 · IL MODELLO DI CRESCITA DI HARROD-DOMAR ... IL PROGRESSO TECNOLOGICO ... Un modello generale della popolazione: il modello di Lotka

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Lezioni interdisciplinari per le classi quinte del LES | Italo M. Scrocchia

* QUADERNI LES LICEO POERIO A.S. 2012/2013

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PREMESSA ..................................................................................................................................................... 3

RIPARTIZIONE PER ETÀ DELLA POPOLAZIONE ............................................................................... 6

IL MODELLO DI CRESCITA DI HARROD-DOMAR............................................................................ 73

STRUTTURA ............................................................................................................................................... 73

THE RAZOR’S EDGE (IL FILO DEL RASOIO) ..................................................................................... 75

IL MODELLO SOLOW-SWAN .................................................................................................................. 77

LA STRUTTURA DI BASE ........................................................................................................................ 77

L’EQUAZIONE DINAMICA FONDAMENTALE PER LO STOCK DI CAPITALE ............................ 79

FIGURA1.2 ................................................................................................................................................... 81

LA REGOLA D’ORO DELL’ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE E L’INEFFICIENZA DINAMICA

........................................................................................................................................................................ 82

RITARDO, RINCORSA E CONVERGENZA Β ASSOLUTA E CONDIZIONATA .............................. 86

IL PROGRESSO TECNOLOGICO ............................................................................................................. 87

IMPOSTAZIONE DEL MODELLO ........................................................................................................... 91

LE FAMIGLIE .............................................................................................................................................. 91

LE CONDIZIONI DEL PRIMO ORDINE ................................................................................................. 94

LE IMPRESE ................................................................................................................................................ 98

L’EQUILIBRIO ............................................................................................................................................ 99

LA CRESCITA UNIFORME ..................................................................................................................... 101

DINAMICHE DI TRANSIZIONE ............................................................................................................ 103

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Premessa

Questo lavoro nasce dalla collaborazione di un’équipe di studenti ma soprattutto amici del Corso di

Laurea Specialistica in Statistica per le Decisioni Socioeconomiche e Finanziarie (S.D.S.E.F.)

dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” i quali, attraverso un fitto dialogo ed un continuo

scambio di idee, hanno contribuito a rendere concreto un progetto fortemente voluto dal Prof. Italo

M. Scrocchia. Di tale gruppo si ritiene necessario evidenziare il contributo degli allora solo studenti

ed oggi giovani italiani nel mondo Paolo Bolsi, Nicola Dileo e Dario Sciancalepore1.

Scopo del presente lavoro è quello di fornire un bagaglio minimo di strumenti quantitativi2 per

l’analisi dei fenomeni della crescita che consenta agli studenti delle classi quinte del liceo

economico sociale di cogliere le idee di base di un fenomeno,quale quello economico, così

complesso ed in continua evoluzione.

Non sembri strano aver, tra le altre cose, forniti alcuni rudimenti di analisi demografica della

crescita e dello sviluppo delle popolazioni. I fenomeni della crescita e dello sviluppo socio-

economico, nonché le relative politiche governative che ne tentano il controllo, non possono essere

slegati dai fenomeni demografici ad essi connessi; e questo per almeno due ordini di ragioni:

1) la dinamica delle risorse è intimamente legata allo sviluppo della popolazione in quanto essa è

causa ed effetto delle stesse; basti pensare che la maggior parte delle analisi di crescita e di

sviluppo parte dalla dichiarazione della cosiddetta “funzione della produzione” che coinvolge

sia il fattore capitale che il fattore lavoro legato a sua volta alle vicende dell’andamento della

popolazione;

2) una corretta programmazione delle risorse economiche ed ambientali non può prescindere da

previsioni di tipo demografico; basti pensare, ad esempio, agli effetti che una non corretta e

disattenta programmazione delle risorse può avere sulla sostenibilità nel tempo di un sistema

pensionistico e previdenziale.

Il materiale esposto presenta un livello abbastanza elementare di matematica, che si può dare per

acquisito già con studi di liceo, per chi ha già studiato gli elementi di analisi matematica. In

particolare si fa un uso limitato ed elementare del calcolo differenziale ed integrale, dando per

scontato un corretto uso dell’algebra dei logaritmi.

Infine si vuole ricordare che, pur non essendo la matematica in sé lo scopo ultimo dell’economista,

essa rappresenti, un utile strumento di supporto3 che è bene che lo studente impari a “maneggiare”

correttamente nelle elaborazioni dei modelli economici al fine di potenziare l’analisi e la

comprensione delle situazioni concrete che si presentano e si presenteranno nel corso della sua

futura vita professionale (di economista, di sociologo, di dottore commercialista o di consulente di

Marketing) e anche, diciamolo pure, “per levare dalla strada” una disciplina che soffre della

presenza ad ogni angolo di esperti o sedicenti tali che, senza il rigore della logica e della coerenza,

che solo con la matematica si raggiunge, vendono per buone teorie4 che di tale hanno solo il nome.

1 In rigoroso ordine alfabetico.

2 Un po’ in ordine sparso per la verità, non avendo esse la presunzione di costituire un manuale, almeno al momento.

3 «Toolkit» per utilizzare la terminologia anglosassone.

4 Sarebbe meglio dire congetture.

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ELEMENTI DI DINAMICA DELLA POPOLAZIONE NEL CONTINUO

Le popolazioni: Relazioni generali

Supponiamo che il variare nel tempo dell’ammontare della popolazione P venga rappresentato

mediante la funzione tP che gode delle proprietà matematiche della continuità, derivabilità e

integrabilità; per ipotesi, lo stesso vale per il suo tasso di incremento r , rappresentabile mediante la

funzione tr .

L’incremento istantaneo tr si ricava per mezzo del seguente passaggio al limite:

tP

t

tPttPlimt

0

da cui divedendo per tP si ottiene l’incremento relativo tr :

trtPlnDtP

tP

tPt

tPttPlimt

0

Dove l’espressione tPlnD indica la derivata del logaritmo naturale o neperiano della

popolazione, o più semplicemente, la derivata logaritmica della funzione demografica tP .

Tale espressione è evidentemente interpretabile come una semplice equazione differenziale del

primo ordine del tipo a variabili separabili.

Integrando ambedue i membri dell’espressione trtPlnD si ottiene:

dttrdttPlnD

Da cui con semplici passaggi matematici si ricava:

dttrc eetPcdttrtPln

Ponendo:

dttrtF

Si può scrivere:

tFc eetP

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Considerando, poi, il rapporto tra la popolazione nel generico istante t e nell’istante iniziale di

analisi 0t si ha:

00 Fc

tFc

eeP

eetP

Da cui è facile concludere che:

dr

t

ePtP

00

Ipotizzando, infine, un tasso di incremento costante nel tempo rtr si ritrova la nota formula

dell’incremento continuo:

rtePtP 0

Che descrive l’equazione dell’andamento della popolazione nel tempo.

Tassi generici di natalità e di mortalità

Immaginando che quanto già detto per la popolazione P valga anche per le nascite N e i decessi

D della stessa, in quanto fenomeni da essa derivanti, si possono definire le seguenti funzioni

istantanee:

tN

t

tt,tNlimt

0

tD

t

tt,tDlimt

0

che esprimono le nascite e i decessi in un intervallo infinitesimale ovvero in un preciso istante, da

cui è possibile definire il quoziente istantaneo di natalità e quello di mortalità:

tP

tNtn

tP

tDtm

Se la popolazione considerata è supposta chiusa ai fenomeni migratori, la variazione del suo

ammontare tra i generici istanti t e tt risulta completamente determinata dalle nascite N e

dai decessi D prodotti nello stesso intervallo di tempo secondo l’equazione di flusso:

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ttDttNtPttP

Da cui, spostando il termine tP al membro sinistro e considerando ancora una volta il limite del

rapporto incrementale relativo delle grandezze prese in esame, si ha:

tPt

tt,tDtt,tNlim

tPt

tPttPlim

tt

00

Da cui segue:

tmtntrtP

tP

Cioè il tasso di incremento istantaneo di una popolazione chiusa è dato dalla differenza tra i tassi

istantanei di natalità e mortalità.

Ripartizione per età della popolazione

L’analisi della popolazione e delle sue dinamiche si effettua considerando in maniera congiunta i

valori demografici in maniera sia longitudinale che trasversale. Nel discreto tra la popolazione

totale vivente nel generico istante temporale t ed i diversi segmenti infinitesimi della stessa in età

1x,x vale la relazione:

0

1

x

t x,xPtP

Nel continuo si definisce la densità della popolazione all’età x nell’istante t come:

t,xP

x

xx,x;tPlimx

0

Sicché la popolazione in età esatta x all’istante t sarà dxt,xP mentre la popolazione totale

ammonterà a:

dxt,xPtP

0

la struttura per età sarà, invece, data da:

dxt,xP

t,xP

tP

t,xPt,xc

0

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sicché la frequenza delle persone nell’intervallo infinitesimo dxx,x sarà semplicemente pari a

dxt,xc , con ovviamente 1

0

dxt,xc

.

Funzioni di Mortalità

Nel campo della mortalità le più importanti funzioni5 atte a descrivere l’andamento secondo l’età

dei principali parametri della tavola di mortalità sono:

xd o funzione dei decessi;

xq o funzione della probabilità di morte;

xl o funzione di sopravvivenza tramite cui è possibile ricavare xL 6.

I decessi xd in un intervallo infinitesimo di età dxx,x , all’età precisa x si possono

esprimere come:

xldx

xdl

x

xxlxl

x

xx,xdlimxdx

0

Da cui si deduce che la funzione dei decessi rappresenta la derivata della funzione di sopravvivenza

con segno invertito7.

Le probabilità di morte xq sono:

xllnDxl

xl

xlx

xxlxllimxqx

0

Integrando ambo i membri rispetto alla variabile x si ha:

dxxqdxxllnD

Da cui con semplici passaggi matematici si ricava:

dxxqc eexlcdxxqxlln

5 Continue, derivabili ed integrabili.

6 Funzione degli anni vissuti ovvero dei viventi in età x .

7 Da cui si deduce che i punti di flesso della funzione di sopravvivenza sono i punti di minimo/massimo della funzione

dei decessi.

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da cui segue, con semplici considerazioni algebriche del tutto similari a quelle fatte in precedenza:

x

dq

elxl 00

Quanto alla funzione degli anni vissuti xx L che misura l’area compresa tra la curva xl e le

rette perpendicolari all’asse delle ascisse di equazione xa ed xxa si potrà scrivere8:

xxldlL

xx

x

xx

Introduciamo, ora, il concetto di forza della mortalità9 x , valore limite del tasso di mortalità

x

xx

L

dm , quando tende a zero l’intervallo di riferimento:

xllnDxl

xl

dl

xxlxllimx

xx

x

x

0

In pratica, la forza di mortalità x si confonde nel continuo con la probabilità istantanea di

morte xq . Effettuando il medesimo processo di integrazione si ricava facilmente:

x

d

elxl 00

La speranza di vita all’età x assumerà la forma:

xl

dl

xe x

8 Utilizzando il teorema della media integrale di Cauchy.

9 Anche detto intensità di mortalità, in analogia con la terminologia della Matematica Finanziaria classica.

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Un modello generale della popolazione: il modello di Lotka

Per lo studio della dinamica delle popolazioni sono stati elaborati dagli studiosi del settore diversi

modelli di natura matematica che permettono, partendo dai dati disponibili di una popolazione

concreta e formulando ipotesi su alcuni suoi fondamentali comportamenti demografici, di giungere

a “proiezioni” circa il suo ammontare, la sua struttura e i suoi indicatori demografici.

Tra i vari contributi tesi in tal senso, assume notevole importanza sia sul piano teorico sia su quello

pratico ”il modello della popolazione stabile” elaborato agli inizi del secolo scorso da Alfred J.

Lotka, che dette dignità scientifica e rigore metodologico ad intuizioni sull’argomento ormai note

da tempo. Tale modello si rivela estremamente utile sia sul piano empirico che su quello teorico.

Sul piano empirico in quanto ciò permette di risalire sulla base di poche informazioni ad una stima

completa della popolazione in esame. Sul piano teorico, poi, il modello stabile aiuta a rendersi conto

del fatto che i comportamenti demografici modellano de facto l’intera popolazione.

In estrema sintesi il modello di popolazione stabile ci dice che, partendo da una popolazione

concreta, osservata in un dato momento e caratterizzata da una determinata struttura, da specifici

comportamenti demografici ed assenza di movimenti migratori (condizioni iniziali), applicando ad

essa da quel momento in poi tassi di mortalità e di fecondità invarianti nel tempo, trascorso un

intervallo di tempo di circa 60-80 anni, essa si “stabilizzerà” ossia assumerà una struttura stabile

limite corrispondente ed un tasso di incremento costante che le fanno “dimenticare” la sua struttura

originaria (ergodicità forte).

La velocità di convergenza verso lo stato stabile è caratterizzata da oscillazioni che dipendono dalle

irregolarità iniziali della struttura della popolazione ossia dalle diverse composizioni per età della

stessa, oscillazioni che si smorzano con il tempo in quanto questo è solo un effetto transitorio che

svanisce progressivamente dopo meno di un secolo, una volta che gran parte delle generazioni

costituenti la popolazione iniziale sono state sostituite, vale a dire dopo che si instaura il cosiddetto

regime permanente. In questo stadio finale limite la popolazione si definisce stabile ed è

caratterizzata nel modello iniziale proposto dal Lotka da:

1) presenza di un solo sesso (dominanza femminile10

relativamente alla fecondità);

2) tassi di fecondità e mortalità invarianti;

3) chiusura ai movimenti migratori;

4) tassi costanti di natalità, mortalità e incremento;

5) struttura per età invariante nel tempo.

L’importanza del modello stabile risiede principalmente nel fatto che esso da contezza di come i

comportamenti demografici (sintetizzabili essenzialmente in mortalità e fecondità) di una

determinata popolazione ne definiscano sia i flussi, ossia la sua dinamica, sia la sua struttura,

ovvero le sue caratteristiche di fondo; inoltre, esso costituisce un utile riferimento di base da cui

10

E’ relativamente agevole calcolare una popolazione stabile maschile coerente con la popolazione stabile femminile di

riferimento utilizzando due diverse tavole di mortalità (maschile e femminile) ma un’unica legge di fecondità (quella

femminile), secondo il metodo della dominanza femminile. Se, invece, si calcolano separatamente le due popolazioni

stabili si otterranno due differenti tassi intrinseci e due popolazioni totalmente incompatibili. Ciò perché in una

popolazione stabile la composizione per sesso è costante mentre nelle popolazioni concrete tutta una serie di fattori

perturbatori fa sì che questo rapporto sia variabile.

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partire per procedere verso analisi più approfondite su ipotesi diverse che costituiscono di fatto il

campo di studio e di applicazione degli studi demografici.

Seguendo le definizioni date dal Lotka, si definisce malthusiana una popolazione esponenziale

chiusa in cui la struttura per età ed il regime di mortalità restano costanti nel tempo:

xct,xc

xpt,xp

Dove xp rappresenta la probabilità istantanea di sopravvivenza di un soggetto di età x che nel

modello di popolazione malthusiana diventa indipendentemente dalla variabile tempo t .

Naturalmente, poiché vale la seguente relazione di complementarietà:

t,xpt,xq 1

È ovvio che sarà anche:

xqt,xq

Prima di procedere con l’analisi del modello, è necessario introdurre il concetto di fecondità. Si

definisce tasso di fecondità specifico per età x e si indica con xf il rapporto tra xN ,

numero di nati da donne di età x , e xPf popolazione media femminile in età x :

xP

xNxf

f

Il tasso di fecondità totale TFT è dato dalla somma di tutti i tassi specifici per età (da 15 a 49 anni

considerando il periodo canonico di età feconda femminile) cioè:

49

15

xfTFT

esso è interpretabile come una media aritmetica ponderata dei nati da donne in età x con pesi pari

al reciproco della popolazione femminile media sempre di età x .

Il tasso lordo di riproduzione R è riferito alle figlie per madre (cioè si considerano solo le nate

femmine) e si ottiene semplicemente applicando al TFT il coefficiente di femminilità alla nascita

k (circa 0,488); in simboli:

49

15

xfkTFTkR

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Infine, si definisce tasso netto di riproduzione 0R , rettifica del tasso lordo R che tiene conto del

coefficiente di sopravvivenza xp delle madri (e quindi dell’effetto della mortalità); in simboli:

49

15

0 xpxfkR

Ponendo xxfk si ha:

49

15

0 xpxR

La popolazione malthusiana ha, come detto, una crescita di tipo esponenziale che come già

sottolineato in precedenza ha la forma:

rtePtP 0

Da cui si desume una crescita esponenziale anche per il numero delle nascite; essendo, infatti,

costante il coefficiente di natalità in ogni istante t :

ntnttP

tN

P

N

0

0

Si ha:

rtrtrt eNePP

NePntPntN 00

0

00

Ricordando che la struttura per età della popolazione è data da tP

t,xPt,xc , e considerato

che il segmento di popolazione in età x nell’istante t , t,xP , è dato dal prodotto dei nati xt

anni prima sopravvissuti fino all’istante t , i.e. xpxtN , si ha che la struttura per età è

nel caso specifico:

xpen

eP

xpePn

tP

xpxtPn

tP

xpxtNxc x

rt

xtr

0

0

Poiché è:

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1

0

dxxc

ne deriva che:

1

0

dxxpen x

In altri termini la struttura per età xc dipende dal tasso di natalità e dalle condizioni di

sopravvivenza. Il tasso di natalità si può, pertanto, esprimere come:

01

0

c

dxxpe

n

x

Interpretabile come reciproco della media aritmetica ponderata delle probabilità di sopravvivenza

pesate con fattori di decadimento di tipo esponenziale.

E’, a questo punto, possibile ricavare l’equazione fondamentale della popolazione di Lotka. Il

numero dei nati al tempo t è dato da:

dxt,xft,xpxtNdxt,xft,xPtN

Ovvero:

dxt,xft,xpePnenP xtrrt

00

Estraendo la costante moltiplicativa rispetto alla variabile di integrazione x e semplificando si

ottiene:

dxt,xft,xpe rx

1

e considerato che i tassi di fecondità e di sopravvivenza sono costanti nel tempo si ottiene:

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dxxfxpe rx

1

Che assicura la stabilità della popolazione, nel senso che garantisce, come già detto in precedenza, il

fatto che la sua struttura, ossia la sua composizione per classi di età, resta invariante nel tempo.

L’equazione fondamentale contiene il parametro r11

che deve soddisfare la condizione posta

dall’equazione. Note le funzioni12

xp e xf è possibile, benché non semplice, ricavare

esplicitamente il tasso r. Per questo motivo sono state messe a punto diverse tecniche risolutive,

più o meno approssimate.

Soluzioni approssimate dell’equazione di Lotka

In virtù del teorema di Cauchy della media integrale è possibile affermare che, poiché le funzioni

sinora considerate sono dotate di precise proprietà matematiche di regolarità, esiste un valore

,ax (intervallo di fertilità femminile) tale che:

1 dxxfxpedxxfxpe rarx

ed essendo l’espressione:

dxxfxp

l’equivalente nel continuo tasso netto di riproduzione 0R si ha:

a

RlnrRlnelnRe rara 0

00 01

Questa approssimazione si basa sulla relazione esistente in una popolazione stabile tra le

generazioni dei nati nell’anno t (id est, le figlie) e la generazione da cui questi nati “provengono”,

approssimativamente nata nell’anno at (id est, le madri). Nella popolazione stabile si ha:

a

Rlnr

eN

eN

atN

tNR

atr

rt0

00

0

Per la ricerca di soluzioni dotate di un maggior grado di approssimazione, è necessario considerare

l’equazione fondamentale come funzione di r :

11

Tasso di incremento intrinseco della popolazione stabile. 12

Distribuzioni.

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dxxfxperI rx

In questa espressione compare il prodotto tra distribuzioni xfxp i cui termini sono tutti,

ovviamente, positivi e compresi tra zero ed uno, sicché lo stesso vale per la loro produttoria. Inoltre

si ha che:

10 I

rIlimelim

r

rx

r

00

rIlimelim

r

rx

r

R

rdxxfxpex

r

rI rx 0

R

rdxxfxpex

r

rI rx 02

2

2

Da cui emerge chiaramente lo stretto andamento monotòno decrescente della funzione rI ;

questa curva interseca l’asse delle ordinate nel punto:

00 RdxxfxpI

Da tutto ciò risulta che una volta fissati xp ed xf si ha:

10 0 Rr

10 0 Rr

esiste un solo valore di r tale che l’equazione di Lotka sia soddisfatta.

Per risolvere l’equazione di Lotka si può ricorrere allo sviluppo in serie di Taylor della funzione

dispari rxe in un intorno del punto ax 0 (età media alla maternità). Si ha:

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11

dxxfxpeedxxfxpee axrraraaxr

Da cui segue:

ra

i

iii

edxxfxp!i

axr

0

1

Dove i singoli termini della successione sono interpretabili come momenti di origine a ; poiché la

serie ha una convergenza piuttosto lenta è necessario prendere in considerazione anche termini di

ordine superiore al primo; escludendo, per ovvie ragioni di complessità algebrica13

, i termini di

ordine superiore al secondo, si ha:

raedxx!

axraxr

2

122

Dove per comodità si è posto xpxfx .

Essendo ax una distanza dalla media la componente integrale ad esso collegata si annulla

sicché, in definitiva, si ottiene:

raedxxaxr

dxx

2

22

Da cui segue:

rara eR

rRedxx

R

axR

rR

20

2

00

2

0

2

022

Riordinando i termini si può scrivere:

raerR

2

2

02

1

Considerando il logaritmi neperiani di ambo i membri:

13

Emergerebbe un numero di radici eccessivo.

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rarlnRln

2

2

02

1

Utilizzando un ben noto limite notevole, si può operare la seguente approssimazione:

2

22

2

2210 rrlnr

Da cui segue che l’originaria relazione può essere ben approssimata da una semplice equazione

lineare di secondo grado:

02

02

2

Rlnarr

Le cui radici sono:

2

022

21

2

Rlnaar

Si considera plausibile e demograficamente significativa la sola radice:

2

022 2

Rlnaar

Ultimo, ma non certo per importanza, è il metodo iterativo ideato da Coale, che si basa su una

procedura risolutiva molto semplice che in un numero finito ed abbastanza limitato di passi, anche

detto aggiustamento di Coale, consente di determinare con altissima precisione il tasso r . Lo

studioso suggerì di procedere per approssimazioni successive partendo da una stima14

0r di r da

correggere progressivamente in base alle seguenti considerazioni:

rIrrrIrIrI 000 1

In cui:

dxxerI rx

14

Sostanzialmente un punto di innesco.

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raIdxxe

dxxe

dxxxe

dxxxerI rx

rx

rx

rx

Poiché 1rI se ne deduce arI , da cui segue:

a

rIrrrrarI

11 0

000

Ponendo ErI 10 , in quanto termine di errore o di distanza dalla vera soluzione ed

ipotizzando (cfr. Livi Bacci et al.) 30a , valore molto vicino a quello effettivo nelle moderne

popolazioni reali, si può scrivere:

a

rErr nnn

11

Inerzia della popolazione o potenziale di crescita

Il processo di stabilizzazione che si verifica mantenendo costanti nel tempo le condizioni di

mortalità e fecondità riguarda sostanzialmente il ritmo di crescita della popolazione e la sua

struttura per età e non già il suo livello che, invece, continua a modificarsi al ritmo, dapprima

variabile, e poi costante r .

Ci si può, allora, domandare che cosa succede all’ammontare della popolazione nel corso di un

processo di stabilizzazione; la questione è, in realtà, estremamente complessa ma è possibile

semplificare i termini del problema chiedendosi che cosa succede se il tasso di mortalità diventa

costante e la fecondità diventa costante ed assume il suo livello cosiddetto di rimpiazzo, i.e. un

livello tale da garantire semplicemente la sostituzione intergenerazionale, in cui 10 R .

La fecondità di rimpiazzo è quella che assume ad ogni età il valore

0R

xfxf

per ogni x

appartenente all’intervallo di fertilità.

Gli studi del Keyfitz si sono concentrati nell’analisi di una popolazione stabile crescente in cui si

forza la distribuzione di fecondità ad livello di mero rimpiazzo. Egli dimostra che in tal caso si

ottiene una popolazione stazionaria15

su un nuovo equilibrio; ma questa popolazione stazionaria

potrebbe, nel frattempo, essersi molto accresciuta rispetto alla situazione precedente, nonostante il

fatto che la fecondità sia stata impostata in modo tale da garantire solo il rimpiazzo generazionale.

Questo fenomeno è noto in Demografia col nome di inerzia della popolazione o population

momentum, in ossequio alla nomenclatura anglosassone.

15

Caso particolare di popolazione stabile in ci il tasso di incremento r è nullo.

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18

I risvolti politici di questa consapevolezza sono stati rilevanti nei confronti di politiche della

popolazione di paesi ad alta fecondità e potrebbero e dovrebbero esserlo per motivi opposti anche

nei paesi a bassa fecondità.

Sul piano puramente scientifico, le argomentazioni del Keyfitz soffrono di alcune limitazioni

essenzialmente dovute all’utilizzo di ipotesi semplificatrici:

a. la dimostrazione è valida solo ed esclusivamente per popolazioni inizialmente stabili;

b. la fecondità viene ridotta in misura equiproporzionale per tutte le età (ipotesi poco plausibile per

le popolazioni reali);

c. l’espressione del momento della popolazione è molto complessa e poco chiara.

Keyfitz stesso rimedia in seguito alle limitazioni di cui al punto a. sviluppando una metodologia di

calcolo dell’inerzia applicabile anche a popolazioni non ancora stabili.

Egli mostra, per mezzo dell’equazione integrale di Lotka, che, imponendo dei tassi di fecondità

specifici di rimpiazzo xf ad una popolazione chiusa P con struttura xP , le nascite della

popolazione stabile che si ottengono ammontano a:

A

dxdyyfp

ypxP

N xS

0

Ponendo:

A

dyyfyp

x x

La relazione diventa:

0

dxxxp

xPNS .

L’ammontare della popolazione stazionaria assume, pertanto, l’espressione:

0

00 dxxxp

xPeNeP SS

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19

L’inerzia della popolazione M è data dal rapporto tra la popolazione stazionaria corrispondente

SP e la popolazione chiusa analizzanda P :

0

0 dxxxp

e

P

xP

P

PM S .

Poiché è:

xcP

xP

xc

dxxL

l

l

xL

T

l

l

xL

e

xpS

0

0

00

0

00

Si ha:

0

dxxxc

xcM

S

Si avrà, ovviamente, 1M se la popolazione stazionaria finale sarà maggiore della popolazione

iniziale, viceversa se 1M .

Volendo, ancora, meglio analizzare la funzione x è possibile dire che:

1. Il numeratore dyyfyp

x

è interpretabile come fecondità cumulata residua netta nel

regime stazionario e rappresenta le nascite residue che avverranno in tutta la vita fertile residua

dall’età x in poi nel regime di fecondità di rimpiazzo;

2. Il denominatore A è la somma non ponderata delle nascite complessivamente attese ed è pari

all’età media alla maternità nella popolazione stazionaria di rimpiazzo.

L’inerzia è, pertanto, una funzione abbastanza semplice delle differenze di struttura per età tra la

popolazione iniziale e la popolazione stazionaria finale, dove la struttura per età è funzione della

sola mortalità. Essa mostra, inoltre, che se xc è alto nelle età in cui anche x è alto, i.e. sotto

i venticinque anni, allora sarà 1M e la popolazione stazionaria finale sarà maggiore della

popolazione di partenza. Ovviamente se ,xxcxc S 0 allora sarà 1M .

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20

Uso del modello stabile per analizzare gli effetti dei cambiamenti di fecondità e

di mortalità sulla struttura per età e su altri parametri demografici

La lezione più importante che si apprende dal modello della popolazione stabile è che se i

comportamenti demografici restano costanti per un periodo abbastanza lungo di tempo16

allora

anche la struttura per età della popolazione sarà o diverrà costante. Ciò equivale a dire che quello

che davvero provoca l’invecchiamento o il ringiovanimento della struttura per età della popolazione

sono le variazioni di fecondità e mortalità della popolazione e non il livello della stessa.

Il modello della popolazione stabile si è rivelato uno strumento molto utile per lo studio degli effetti

di lungo termine delle variazioni della fecondità e della mortalità sulla struttura per età, nonché sui

tassi generici di fecondità e mortalità.

Effetti delle variazioni di fecondità

Se la distribuzione della fertilità xf cresce allora:

1 dxxfxpe rx

A meno che, a sua volta, r stesso non vari17

. Per riequilibrare questa equazione di bilancio

demografico r deve crescere, di modo che rxe decresca per ogni età x . In effetti questo è ciò

che avviene, poiché nel lungo periodo se la fecondità cresce (coeteris paribus la mortalità) il tasso

intrinseco di incremento della popolazione aumenta. A sua volta anche il tasso di natalità cresce:

dxxpe

n

rx

0

1

Quanto alla struttura per età xc si osserva che, analogamente a quanto avviene per la popolazione

totale P , l’incremento è pari alla seguente derivata logaritmica:

dxxpelnxrxpln

rr

xcln rx

0

16

Almeno settant’anni. 17

xp è costante per ipotesi.

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21

x

dxxpe

dxxpex

xr

xcln

rx

rx

PA

0

0

Dove PA indica l’età media della popolazione stabile. Questa espressione evidenzia il fatto che

quando la fecondità cresce, la nuova popolazione stabile, emergente alla fine del processo di

aggiustamento, vedrà un incremento di xc se PAx , i.e. nelle classi giovanili, mentre

registrerà un decremento nelle classi senili in cui, viceversa, PAx : l’effetto complessivo è

quello che la popolazione ringiovanisce.

Per quanto concerne il tasso di mortalità d si può scrivere:

dxxxpendxxxcd rx

00

La derivata logaritmica è pari a:

dxxxpeln

rr

nln

r

dln rx

0

Poiché si ha che:

PP AA

0

00

r

cln

r

nlncn

DA

dxxxpe

dxxxpex

rx

rx

0

0 (età media al decesso)

Da cui segue che:

DP AA

r

dln

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22

Ciò significa che quando la mortalità cresce, a lungo andare il tasso di mortalità diminuisce se l’età

media alla morte è maggiore dell’età media della popolazione; questo è quanto avviene nelle

popolazioni moderne, ma l’inverso può essersi verificato per popolazioni remote ad alta mortalità e

con età media alla morte molto bassa.

Effetti delle variazioni di mortalità

Le conseguenze dei cambiamenti nella mortalità sono molto più difficili da individuare e, in

generale, molto più complesse da analizzare; inoltre, non si riesce ad esprimerle in forma compatta,

in quanto dipendono dall’età in cui tali cambiamenti avvengono.

Conseguenze generali

Se cala il tasso specifico di mortalità ad una o più età x , coeteris paribus la fecondità, allora

crescerà la sopravvivenza per tutte le età sopra x . In tal caso nell’equazione fondamentale si ha:

1 dxxfxpe rx

Ciò implica ancora una volta l’incremento del tasso r ; un declino della mortalità deve accrescere il

ritmo di incremento della popolazione. Se, però, il declino della mortalità avviene dopo l’età (ex

post periodo riproduttivo) non si registrerà nessun effetto sul flusso annuale di nascite e, perciò,

nemmeno su r . In tal caso, la nuova popolazione stabile alla fine del processo sarà maggiore di

quella di partenza, ma continuerà a svilupparsi allo stesso tasso r con cui cresceva in precedenza.

Conseguenze su r

Tenendo conto che T

Rlnr 0 ed accettando l’ipotesi semplificatrice che tutti i bambini

vengano generati all’età TA 0 , poiché è:

RApdxxfApR 000

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23

Si ha:

00

0

0

0

0 0

0

A

RlnA,

A

Rlndxx

A

RlnAplnr

A

Gli effetti sono separabili in quanto additivi nei logaritmi; il primo termine 00 A, rappresenta

un tasso di mortalità medio nell’arco di età 00 A, . Se ne conclude che quando la mortalità

declina l’incremento di r eguaglierà il declino del tasso di mortalità medio tra 0 ed 0A .

Conseguenze sulla struttura per età

Sono più complesse da esaminare ed in generale sono minori di quelle prodotte dalle variazioni di

fecondità. Un caso molto interessante e normalmente analizzato è quello degli effetti sulla struttura

per età di una diminuzione neutrale della mortalità con fecondità costante.

Un cambiamento è detto neutrale se è uguale in valore assoluto a tutte le età; un simile

cambiamento non produce variazioni di struttura. Si ha, infatti:

xkxxkxx 11

Poiché è:

dxx

exp

dxkxexp

1

Ne consegue che:

kxexpxp 1

Un declino neutrale di mortalità18

di ammontare xk si tradurrebbe in un incremento di pari

livello di r ; nella versione ex-ante ed ex-post dell’equazione di Lotka si avrebbe:

dxxfxpedxxfxpexrrx

111

18

Ancora una voltà è possibile stabilire un parallelo tra Demografia e Matematica Finanziaria classica in cui un tale

fenomeno è definito shift o shock additivo.

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24

Ovvero:

dxxfexpedxxfxpe kxxrrx

11

Che sono entrambi uguali ad uno e, perciò, uguali tra loro se e solo se:

krrkrr 11

Ovvero:

dxxfxpeedxxfexpe kxxkrkxxr

1

Da cui segue:

xc

dxxpee

xpee

dxxpe

xpexc

kxxkr

kxxkr

xr

xr

1

11

1

1

q.e.d.

Ciò dimostra come una variazione neutrale della funzione x non ha nessun effetto sulla

struttura per età della popolazione.

Analogamente si dimostra che non ci sono effetti sul tasso di natalità poiché il prodotto

xfxp resta lo stesso x .

Per quanto riguarda, invece, il tasso generico di mortalità m è semplice osservare che si ridurrà di

un ammontare esattamente uguale a k ; si ha, infatti:

krnmkrmnrmn 11 q.e.d.

Le variazioni neutrali di mortalità costituiscono lo standard con cui vengono comparate le

variazioni non neutrali effettivamente determinatesi. Alcune caratteristiche generali sono le

seguenti:

ciò che effettivamente è il declino in valore assoluto e non relativo

declini di mortalità uniformi ma più accentuati in età giovanili tendono a ringiovanire la

popolazione, come un incremento della fecondità

declini di mortalità uniformi ma più accentuati in età tardo adulte (oltre i cinquanta anni)

tendono a far invecchiare la popolazione

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25

Un esempio concreto di analisi della popolazione

A seguire è proposto un esempio di report statistico-demografico di analisi proiettiva di una

popolazione reale (Regione Piemonte) effettuato da Nicola Dileo sulla base di un foglio elettronico

Excel costruito da Dario Sciancalepore.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI

FACOLTÀ DI ECONOMIA C.d.L. MAGISTRALE IN S.D.S.E.F.

________________________________________________________________________________

ESERCITAZIONE SCRITTA DI MODELLI DEMOGRAFICI

APPLICAZIONE DI MODELLI DEMOGRAFICI

PER ESAMINARE LA CONVERGENZA VERSO

LA STABILITA’ DI POPOLAZIONI REALI

CASE STUDY: REGIONE PIEMONTE

“…Salve, Piemonte! A te con melodia

mesta da lungi risonante, come

gli epici canti del tuo popol bravo,

scendono i fiumi.

Scendon pieni, rapidi, gagliardi,

come i tuoi cento battaglioni, e a valle

cercan le deste a ragionar di gloria

ville e cittadi…” Giosuè Carducci (Piemonte)

STUDENTE Nicola Dileo

____________________________________________________________________

ANNO ACCADEMICO 2010 – 2011

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26

Tesina Modelli demografici (a.a. 2009-2010)

Sviluppo della tesina

Scegliere una regione e sviluppare i seguenti punti:

A. Simulazione della convergenza verso la stabilità:

Avendo a disposizione

1) le probabilità prospettive di sopravvivenza femminile (tavola di mortalità femminile 2006 – Istat)

e i tassi specifici di fecondità per classi di età (1964 e 2006)

2) la popolazione femminile al 31/12/1871 ed al 2008

si applichino i dati riguardanti la sopravvivenza e la fecondità (cfr. punto 1) iterativamente e in

modo invariante alla popolazione femminile regionale del 1871 e nel 2008 (cfr. punto 2) e si

identifichino i tratti più rilevanti che emergono, in termini di struttura per età, indicatori di natalità e

mortalità, ammontare della popolazione

a) dal confronto tra le due simulazioni ottenute con il profilo di fecondità dell’Italia nel 1964

b) dal confronto tra le due simulazioni ottenute con il profilo di fecondità dell’Italia nel 2006

c) dal confronto tra la popolazione effettiva nel 2008 e quella ottenuta proiettando la popolazione

del 1871 con mortalità 2006 e fecondità del 2006.

B. Popolazione stabile femminile regionale

Conoscendo le condizioni di mortalità del 2006 e il tasso intrinseco di incremento r stimato con il

metodo di Coale (condizioni di fecondità del 2006), si calcoli la struttura per classi di età della

popolazione stabile femminile (Procedura Livi Bacci). Questa struttura presenta modifiche di rilievo

rispetto

a) alla struttura per classi di età che si otterrebbe adottando l’ipotesi di stazionarietà (2006)?

b) alla struttura per classi di età della popolazione del 2008? Quali sono i motivi delle eventuali

divergenze?

C. Inerzia della popolazione

Mantenendo invariate le condizioni di mortalità del 2006 e forzando al rimpiazzo la fecondità del

2006, calcolare l’inerzia della popolazione regionale (metodo Preston)

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27

INTRODUZIONE

I mutamenti che si producono nella popolazione costituiscono indicatori importanti

per leggere fenomeni e processi che agiscono in un territorio, in quanto riflettono

dinamiche specifiche e tendenze complessive nonché rappresentano il prodotto del

contemporaneo agire di tutta una serie di fattori che descrivono la complessità del

sistema sociale. In chiave retrospettiva, per esempio, è possibile ritrovare le diverse

linee di sviluppo che sintetizzano la storia di quel territorio dalle quali possono

emergere i criteri di interpretazione del presente. L’aumentata disponibilità di dati

rispetto al recente passato e soprattutto la loro maggiore accessibilità si evidenzia

specificatamente in ambito demografico. L’ISTAT stesso, ma le fonti in questo

settore risultano tutt’altro che deficitarie, aggiorna periodicamente una mole

considerevole di informazioni statistiche che permettono di seguire costantemente

l’evolversi dei movimenti anagrafici e della struttura demografica di una popolazione

e di operare confronti sempre più mirati per ambiti territoriali lungo la dinamica

storica, in considerazione di scale temporali non più condizionate, come in passato,

dalle rilevazioni censuarie. In ottica politico-economica, poi, tali dati consentono di

effettuare previsioni e proiezioni di fondamentale utilità nella pianificazione di

interventi pubblici legati all’evoluzione demografica secondo i vari scenari ipotizzati.

Le analisi di previsione/proiezione demografica permettono di mostrare la possibile

evoluzione della popolazione a partire dai comportamenti che la caratterizzano. Le

ipotesi che sottostanno a queste analisi riguardano principalmente i fenomeni della

fecondità, della mortalità e della migratorietà, dimensioni che giocano un ruolo

fondamentale nel determinare la numerosità della popolazione, nonché la sua

composizione per età. E’ bene, però, precisare che quando si commentano e si

interpretano i risultati di una previsione demografica bisogna evitare due opposti

atteggiamenti. Il primo consiste nell’affezionarsi all’idea che la previsione offra una

nitida anteprima, quasi un extispicio, di un futuro necessariamente destinato a

realizzarsi, fin nei suoi più minuti particolari. Si cade così nella tentazione di usare i

risultati per finalità accuratamente descrittive (“nel 2037 gli abitanti di Carmagnola

saranno 25.028…”) riempiendo fogli di una prosa sostanzialmente inutile, quando

non dannosa; la probabilità di anticipare il futuro a livelli così elevati di precisione è,

infatti, nulla. All’opposto vi è l’atteggiamento disincantato di chi considera ogni

previsione demografica un esercizio puramente meccanico, incapace anche solo di

sfiorare un futuro per definizione ignoto e non prevedibile. Queste due posizioni

antitetiche hanno in comune il difetto di considerare costante – molto alto per la

prima, molto basso per la seconda – il grado di plausibilità di tutti gli elementi che

compongono l’impianto previsivo. In altre parole, non distinguono all’interno

dell’esercizio di previsione tra ciò che è praticamente certo, ciò che è altamente

probabile, e ciò che invece è solo possibile. Ex ante di una previsione demografica

non è possibile che valutare la coerenza e la verosimiglianza delle ipotesi; ex post se

ne possono valutare anche i risultati, sebbene sia estremamente difficile sintetizzare

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28

in uno o pochi valori un giudizio di goodness of fit, in quanto una previsione

demografica non si esaurisce in un dato unico, ma in una molteplicità di dati che sono

affetti da errori potenzialmente diversi per ammontare e direzione.

Più specificatamente, il seguente esercizio applicativo si propone di mostrare

empiricamente, senza la benché minima pretesa teoretica, la proprietà (matematica)

di ergodicità forte che, in ambito demografico, preconizza la tendenza asintotica di

una qualsivoglia popolazione unisessuale alla convergenza verso una precisa struttura

limite, nota in letteratura come stabile, in seguito, appunto, alla stabilizzazione, da un

certo momento in poi, dei comportamenti demografici di fecondità e di

sopravvivenza, elementi logicamente prioritari rispetto a tutti gli altri in ipotesi di

chiusura ai movimenti migratori. E’ bene sottolineare, e non per eccesso di

capziosità, il fatto che la mera tendenza asintotica non sia un sofisma, in quanto lo

stesso Lotka afferma che una popolazione non diventa stabile ma tende a diventare

stabile, id est non lo diventa mai.

Nella fattispecie sarà analizzata, secondo uno standard metodologico

(internazionalmente riconosciuto) noto come cohort components model, nella sua

versione classica, l’evoluzione della popolazione femminile della Regione Piemonte

di due momenti storici molto lontani tra loro nel tempo: quella del 1871 (nella

primissima fase post unitaria del paese) e quella, contemporanea, del 2007. Basandosi

sulla funzione di sopravvivenza ex tavola di mortalità femminile piemontese del 2006

e sulla base di due diverse ipotesi di fecondità (1964 e 2006), sarà evidenziato come

queste due popolazioni, se sottoposte alle stesse leggi di fecondità e mortalità,

convergano alla medesima distribuzione stabile in termini relativi, cassando, per così

dire, la loro struttura originaria; ben diverso sarà, invece, l’effetto sulla crescita

numerica dei due collettivi esaminati, in virtù del diverso potenziale o valore

riproduttivo delle due popolazioni stesse.

L’importanza del modello stabile sta nel fatto che esso aiuta a rendersi conto che gli

atteggiamenti demografici effettivamente modellano l’intera popolazione, sia nei suoi

flussi (dinamica), che nella sua struttura.

Nelle pagine seguenti saranno illustrate e discusse le diverse ipotesi adottate per

queste proiezioni della popolazione femminile piemontese. In seguito se ne

valuteranno i risultati cercando, per l’appunto, di separare gli aspetti inerziali e, per

certi versi, inevitabili dell’evoluzione demografica in itinere, dalle prospettive di

probabile sviluppo e ancora dalle semplici congetture sui possibili andamenti futuri.

Il lavoro si sviluppa seguendo un ideale percorso che si articola in quattro parti:

1. Parte A: simulazione della convergenza verso la stabilità;

2. Parte B: popolazione stabile femminile regionale;

3. Parte C: inerzia della popolazione;

4. Parte D: conclusioni

a cui segue una breve quanto essenziale appendice matematica.

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29

PARTE A SIMULAZIONE DELLA CONVERGENZA VERSO LA STABILITÀ

A1 IPOTESI DI LAVORO

L’obiettivo «teleologico» di questo semplice esercizio di simulazione è quello di

condurre, mediante proiezione facilitata dall’utilizzo di un foglio di calcolo, la

popolazione femminile piemontese (in ossequio allo schema a dominanza

femminile) alla convergenza verso un preciso steady state, funzione di specifici tassi

di fecondità e di mortalità, nell’ipotesi che la suddetta popolazione sia chiusa ai flussi

migratori, per poi illustrarne e chiosarne i risultati. Tutto ciò sarà concretamente

realizzato applicando un preciso sistema di equazioni, iterativamente e in modo

invariante, alla popolazione regionale del 1871 e del 2007, sulla base dei dati

riguardanti la sopravvivenza e la fecondità assegnati.

Tassi specifici di fecondità per classi di età

0

20

40

60

80

100

120

140

160

15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49

Classi di età

5fx

5fx 1964 5fx 2006

Tabella 1 & Figura 1 Tassi di Fecondità specifici per classi di età 1964 e 2006 Regione Piemonte

Nella fattispecie saranno utilizzate le leggi di fecondità rispettivamente del 1964 e del

2006, coeteris paribus la legge di mortalità del 2006. Si può notare come, con

riferimento alla fecondità del 1964, la popolazione femminile abbia un TFT pari a

2,23 (di poco superiore al threshold level di circa 2,1) mentre, con riferimento alla

fecondità del 2006, lo stesso TFT sia pari solo a 1,31. In altre parole, se si considera

la fecondità del 1964, si impone che le donne piemontesi abbiano mediamente poco

più di due figli, con un tasso netto di riproduzione femminile R0 pari a 1,07; se,

invece, si considera la fecondità del 2006, si impone che le stesse abbiano in media

poco più di un figlio, con un valore di R0 pari a 0,63. Questo significa che nel primo

Classi di età Fecondità ‰

1964 2006

(x,x+4)

15-19 25,6 5,2

20-24 130,2 33,0

25-29 147,8 70,8

30-34 91,4 90,5

35-39 40,2 51,9

40-44 9,4 10,3

45-49 0,6 0,5

TOTALE 445,20 262,20

TFT 2,23 1,31

R 1,08 0,64

R' 2,21 1,30

R0 1,07 0,63

T 27,73 30,99

ρ 2,46 -14,81

Asimmetria 0,485497 0,468462

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30

caso la generazione delle figlie risulterà più numerosa di quella delle madri, sicché

sarà garantito il ricambio intergenerazionale con una certa espansione della

popolazione, al contrario di quanto accadrà nel secondo caso, nel quale la

popolazione è soggetta a diminuire progressivamente nel corso del tempo. Si vuole

ricordare come un TFT inferiore a 1,3 figli in media per donna, è considerato con

estrema preoccupazione dai demografi che valutano questo indice come la soglia

critica della cd. lowest-low fertility (bassissima fertilità), al disotto della quale la

popolazione di un paese rischia il suo dimezzamento entro 45 anni, per cui è

necessario un attento monitoraggio delle variabili demografiche, per cercare di porre

in essere quei necessari aggiustamenti che riconducano gradualmente la situazione

verso un sentiero di minima sostenibilità.

Le due distribuzioni di fecondità sono, inoltre, caratterizzate da una diversa classe

modale; ciò è corroborato dal fatto che l’età media al parto è di meno di 28 anni nel

primo caso, mentre ammonta a 31 anni nel secondo, sfondando il valore soglia dei

trenta anni. Il confronto tra i due valori del coefficiente di asimmetria delle

distribuzioni di frequenza conferma, ancora una volta, il lento ma inesorabile

scivolamento in avanti dell’età media al parto delle donne piemontesi.

E’, poi, interessante notare come TFT e R' (così come R ed R0) siano praticamente

identici, ad evidenza del fatto che la mortalità delle madri in età feconda sia,

fortunatamente, un fenomeno oramai pressoché insignificante. Ad ulteriore conferma

di ciò, i due grafici in Fig.2 danno una visione geometrica di come le probabilità di

sopravvivenza 5Px siano praticamente pari ad un valore unitario in tutta la stagione

feconda della vita delle donne; in particolare il secondo grafico mostra in dettaglio la

funzione biometrica 5Lx/(5∙l0) nella macrofascia di età che va da 15 a 49 anni: la

misura dell’area sottesa alla curva indica che gli anni-donna di vita riproduttiva

mediamente vissuti sono pari ad un valore empirico di 34,61 contro un valore teorico

massimo possibile di 35 (con una quota di effettivo pari al 98,89%).

Figura 2 Funzione biometrica 5Px e dettaglio della funzione biometrica 5Lx/(5∙l0) nella macrofascia di età

riproduttiva

Infine, l’ultima riga della Tab.1 indica una stima di massima del tasso intrinseco di

variazione della popolazione o tasso di Lotka ρ, dal quale già emerge con forza come

5Px

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

0-4

5-9

10-1

4

15-1

9

20-2

4

25-2

9

30-3

4

35-3

9

40-4

4

45-4

9

50-5

4

55-5

9

60-6

4

65-6

9

70-7

4

75-7

9

80-8

4

85-8

9

90-9

4

95-9

9

100-

104

105-

109

110-

114

115-

119

5Lx/(5*l0)

0,970

0,975

0,980

0,985

0,990

0,995

1,000

15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49

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31

0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 180000

0-4

5-9

10-14

15-19

20-24

25-29

30-34

35-39

40-44

45-49

50-54

55-59

60-64

65-69

70-74

75-79

80-84

85-89

90-94

95+

Popolazione 1871Maschi

Femmine

questi due così differenti atteggiamenti demografici siano forieri di sentieri temporali

profondamente diversi per quanto riguarda la dinamica della popolazione.

A2 BREVE CONFRONTO TRA LA POPOLAZIONE FEMMINILE

PIEMONTESE NEL 1871 E NEL 2007

Classi

Quinquennali Popolazione Femm. 1871

Distribuzione% 1871

Popolazione Femm. 2007

Distribuzione% 2007

Classi di Età 1871 2007

0-4 166902 11,52% 92331 4,07% 0-4 11,52% 4,07%

5-9 159133 10,98% 90032 3,97% 5-14 21,31% 7,81%

10-14 149731 10,33% 87135 3,84% 15-39 40,06% 28,05%

15-19 139708 9,64% 89041 3,93% 40-64 22,88% 34,45%

20-24 127946 8,83% 96116 4,24% 65-79 3,83% 17,64%

25-29 116122 8,01% 119032 5,25% 80+ 0,40% 7,98%

30-34 105016 7,25% 156185 6,89% 100% 100%

35-39 91689 6,33% 175516 7,74%

40-44 89689 6,19% 179955 7,94% IV 12,89% 215,49%

45-49 74718 5,16% 161109 7,11% A/B 36,75% 628,99%

50-54 71028 4,90% 149444 6,59% ID 58,89% 60,01%

55-59 49340 3,40% 150902 6,66% IDG 52,16% 19,02%

60-64 46848 3,23% 139531 6,15% IDA 6,72% 40,99%

65-69 27657 1,91% 145364 6,41% IS 57,13% 122,81%

70-74 19466 1,34% 132406 5,84% IR 33,53% 156,70%

75-79 8430 0,58% 122173 5,39%

80-84 4250 0,29% 94986 4,19%

85-89 1191 0,08% 54309 2,40%

90-94 292 0,02% 23046 1,02%

95+ 51 0,00% 8466 0,37%

TOTALE 1449207 100% 2267079 100%

Tabella 2 Struttura Popolazione Regione Piemonte 1871 e 2007 completa di alcuni Indicatori caratteristici

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32

Popolazione 1871

0-4

5-14

15-39

40-64

65-79+80

Popolazione 2007

0-4 5-14

15-39

40-64

65-79+80

Figura 3 Piramide dell’età della popolazione Regione Piemonte 1871 e 2007

La Tabella sinottica 2 mostra la distribuzione di frequenza per classi quinquennali,

nonché per macroclassi omogenee, della popolazione regionale femminile

piemontese del 1871 e del 2007 in valori assoluti e percentuali. La Figura 3 mostra,

inoltre, la cosiddetta piramide dell’età della popolazione, un grafico dal quale si

riescono a ricavare intuitivamente alcune fondamentali caratteristiche morfologiche e

quantitativo-distributive della popolazione oggetto di analisi.

Quello che emerge immediatamente, anche senza una particolare expertise, è la

marcata differenza tra la popolazione regionale del 1871 e quella del 2007 sotto

qualsiasi aspetto strutturale, sia assoluto che relativo. La popolazione femminile del

1871 è il 49,98% del totale ed assume il tipico aspetto piramidale, con una netta

prevalenza delle unità in età giovanile ed un bassissimo numero di unità in età

avanzata; la stessa piramide delle età nella popolazione femminile del 2007 (51,51%

del totale) assume un aspetto a «botte» dovuto essenzialmente alla bassa natalità e

alla maggior speranza di vita. L’età media della popolazione 1871 è di meno di 28

anni (l’età mediana è addirittura poco più di 24 anni) mentre l’età media della

popolazione del 2007 è di più di 46 anni (con l’età mediana che sfiora i 49 anni). Il

progressivo slittamento del baricentro demografico verso una popolazione sempre più

anziana è avvalorato anche in questo caso dall’indice di skewness che passa da un

valore positivo di 0,18 per la distribuzione 1871, che indica chiaramente la

prevalenza delle classi giovanili, ad un valore negativo di – 0,70 che sta, invece, ad

indicare una certa predominanza delle classi senili. Quanto detto è confermato dai

due ortogrammi a seguire (cfr. Fig.4) che evidenziano una ripartizione della

popolazione regionale assai diversa nei due secoli successivi.

Figura 4 Struttura per età della popolazione Regione Piemonte 1871 e 2007

Ciò trova, infine, riscontro anche nei più importanti demoindicatori:

l’indice di vecchiaia (rapp. tra pop. di 65+ anni su 0-14 anni) è passato dal 12,89%

al 215,49%, mentre l’ancora più specifico ratio dato dal numero di anziani per

ogni bambino (rapp. tra pop. di 65+ anni e 0-4 anni) è passato dal 36,75% al

628,99%; questo significa che in poco più di un secolo si è passati da circa 5

giovani per ogni anziano a 6 anziani per ogni bambino!

nella stessa direzione si muovono le considerazioni relative all’indice generale di

dipendenza demografica (rapp. tra pop. di 0-14 e 65+ anni su 15-64 anni); il

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33

Verifica Ergodicità Forte (Fec.1964 Mort.2006)

0,00% 1,00% 2,00% 3,00% 4,00% 5,00% 6,00% 7,00%

0-4

10-14

20-24

30-34

40-44

50-54

60-64

70-74

80-84

90-94

Cla

ssi d

i età

Struttura Percentuale

Popolazione 2007

Popolazione 1871

maggior peso acquistato dalle componenti anziane di popolazione si ripercuote

anche sulla portata delle singole quote, giovanile ed anziana, di popolazione in età

passiva: mentre l’indice di carico sociale dei giovani (0-14 su 15-64 anni) si è più

che dimezzato, quello di carico degli anziani (65+ anni su 15-64) ha registrato una

notevole crescita

la fascia di popolazione in età attiva evidenzia nel corso degli anni un progressivo

invecchiamento; l’indice di struttura (rapp. tra pop. di 40-64 anni e 15-39) è

praticamente raddoppiato, superando la soglia psicologica del 100%.

i valori riferiti al turnover della forza lavoro mostrano anch’essi segnali di

criticità: il valore dell’indice di ricambio (rapp. tra pop. di 60-64 anni e 15-19) è

passato dal 33% al 156% evidenziando un’inversione di tendenza secondo cui nel

1871 per ogni individuo prossimo al ritiro erano in procinto di entrare nel sistema

economico ben tre individui, mentre nel 2007 avviene esattamente il contrario.

Questi antefatti rappresentano una necessaria premessa al percorso seguito da questo

lavoro: sarà, infatti, empiricamente dimostrato, seppur in maniera non rigorosa, come

queste due popolazioni così differenti, se sottoposte a leggi di fecondità e mortalità

identiche, convergono allo stesso sentiero di crescita stabile.

A3 CONFRONTO TRA LE DUE SIMULAZIONI OTTENUTE CON IL

PROFILO DI FECONDITÀ DEL PIEMONTE DEL 1964

L’applicazione iterativa ed invariantiva nel tempo del profilo di fecondità del 1964

alla popolazione femminile regionale piemontese del 1871 e del 2007, in ipotesi di

costanza della legge di sopravvivenza, porta, come era stato già anticipato, ad

un’identica struttura stabile per i due collettivi (stesso impatto di lungo periodo).

Figura 5 Struttura percentuale per età della popolazione stabile Regione Piemonte 1871 e 2007

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34

Popolazione 1871 Proiettata (Fec.1964)

0-45-14

15-3940-64

65-79+80

Popolazione 2007 Proiettata (Fec.1964)

0-45-14

15-3940-64

65-79+80

Quanto detto trova conferma sia nella Fig.5 dove l’istogramma, che pone a confronto

le due distribuzioni percentuali per classi quinquennali di età, evidenzia due strutture

assolutamente sovrapponibili, sia nei due piecharts (visibilmente indiscernibili) di

Fig.6 in cui la popolazione è stata aggregata in macroclassi omogenee.

Figura 6 Struttura per età della popolazione stabile Regione Piemonte 1871 e 2007 (macroclassi omogenee)

Parimenti interessante risulta l’analisi del processo stesso di convergenza nella sua

(più o meno lunga) fase di transizione verso il regime permanente, i.e. l’equilibrio

di lungo periodo, in assenza di perturbazioni esogene e/o endogene. La Tab.3 e la

Fig.7 (sezione sinistra) mostrano chiaramente che, già dopo un centinaio di anni, la

struttura della popolazione si è assestata al suo livello stabile limite. La Fig.7,

relativamente alla popolazione del 1871, mostra palesemente che le strutture

percentuali della popolazione in questione, dal 1971 in poi, sono praticamente

indistinguibili. Il vettore normalizzato di equilibrio C, che descrive quantitativamente

la struttura di questo steady state (cfr. Tab.3), rappresenta algebricamente

l’autovettore destro associato all’autovalore principale λ1 della cd. matrice di crescita

di Leslie G, la quale fissa le condizioni dinamiche del moto secondo cui la

popolazione deve evolvere.

(x,x+4) 1871 1921 1971 2021 2071

0-4 11,52% 6,88% 6,56% 6,56% 6,56%

5-9 10,98% 6,71% 6,46% 6,48% 6,48%

10-14 10,33% 6,46% 6,37% 6,40% 6,40%

15-19 9,64% 6,30% 6,32% 6,32% 6,31%

20-24 8,83% 6,38% 6,26% 6,23% 6,22%

25-29 8,01% 6,57% 6,17% 6,14% 6,14%

30-34 7,25% 6,51% 6,03% 6,05% 6,06%

35-39 6,33% 6,14% 5,91% 5,97% 5,97%

40-44 6,19% 5,67% 5,84% 5,89% 5,88%

45-49 5,16% 5,17% 5,82% 5,79% 5,77%

50-54 4,90% 6,54% 5,75% 5,65% 5,65%

55-59 3,40% 6,15% 5,54% 5,49% 5,50%

60-64 3,23% 5,67% 5,22% 5,31% 5,32%

65-69 1,91% 5,13% 4,94% 5,10% 5,10%

70-74 1,34% 4,47% 4,76% 4,81% 4,78%

75-79 0,58% 3,69% 4,46% 4,31% 4,29%

80-84 0,29% 2,77% 3,67% 3,50% 3,51%

85-89 0,08% 1,70% 2,43% 2,41% 2,43%

90-94 0,02% 0,82% 1,11% 1,18% 1,19%

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35

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 1871 in base ai

tassi di fecondità del 1964 ed ai tassi di mortalità del 2006

0%

2%

4%

6%

8%

10%

12%

14%

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Str

utt

ura

Po

po

lazio

ne

1871

1921

1971

2021

2071

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 1871 in base ai

tassi di fecondità del 1964 ed ai tassi di mortalità del 2006

0

50000

100000

150000

200000

250000

300000

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Liv

ello

Po

po

lazio

ne

Pop.1871

Proiez.1921

Proiez.1971

Proiez.2021

Proiez.2071

95+ 0,00% 0,25% 0,39% 0,44% 0,44%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 3 Struttura Popolazione Femminile Regione Piemonte 1871 durante la transizione verso il sentiero

stabile

Figura 7 Struttura Popolazione Femminile Piemonte 1871 durante la transizione verso il sentiero stabile in livelli

ed in percentuale

La Tab.4 e la Fig.8 propongono la stessa analisi, ma stavolta per la dinamica della

popolazione del 2007; ebbene, così come ci si aspettava, anche in questo caso, dopo

una fase di transizione della durata di circa un centinaio di anni, la struttura si

stabilizza convergendo verso la stessa distribuzione di equilibrio di lungo periodo a

cui converge la popolazione del 1871, nonostante queste due popolazioni

presentassero ex ante un profilo nettamente differente sotto qualsivoglia aspetto. Il

processo di smoothing di questo secondo collettivo appare sicuramente più

frastagliato del precedente. Ciò è dovuto essenzialmente alla differente struttura di

partenza che, diversamente dal caso 1871, non è affatto piramidale, anzi presenta

vistose irregolarità che si riflettono – producendo un’eco – sull’andamento

oscillatorio delle nascite durante il periodo di convergenza. Tuttavia, queste

irregolarità sono progressivamente smorzate e già dopo un secolo sono praticamente

inavvertibili. (x,x+4) 2007 2057 2107 2157 2207

0-4 4,07% 6,03% 6,56% 6,57% 6,56%

5-9 3,97% 5,95% 6,50% 6,48% 6,48% 10-14 3,84% 6,07% 6,44% 6,39% 6,39%

15-19 3,93% 6,19% 6,33% 6,30% 6,31%

20-24 4,24% 6,05% 6,19% 6,22% 6,23%

25-29 5,25% 5,61% 6,09% 6,14% 6,14%

30-34 6,89% 5,28% 6,05% 6,07% 6,06%

35-39 7,74% 5,34% 6,05% 5,98% 5,97%

40-44 7,94% 5,76% 5,97% 5,87% 5,87%

45-49 7,11% 6,62% 5,77% 5,75% 5,77%

50-54 6,59% 4,89% 5,53% 5,64% 5,66%

55-59 6,66% 4,71% 5,38% 5,52% 5,51%

60-64 6,15% 4,46% 5,37% 5,35% 5,32%

65-69 6,41% 4,42% 5,32% 5,10% 5,09%

70-74 5,84% 4,54% 4,95% 4,75% 4,78%

75-79 5,39% 5,12% 4,17% 4,25% 4,29%

80-84 4,19% 5,57% 3,26% 3,51% 3,52%

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36

85-89 2,40% 4,40% 2,32% 2,46% 2,44%

90-94 1,02% 2,23% 1,24% 1,20% 1,18%

95+ 0,37% 0,74% 0,51% 0,43% 0,43%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 4 Struttura Popolazione Femminile Regione Piemonte 2007 durante la transizione verso il sentiero

stabile

Figura 8 Struttura Popolazione Femminile Regione Piemonte 2007 durante la transizione verso il sentiero stabile

in livelli ed in percentuale

Convergenza allo steady state n

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

0 15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 180 195 210

Tasso di Natalità Pop.1871

Tasso di Natalità

Pop.2007"

Figura 9 Dinamica del tasso di natalità n

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 2007 in base ai

tassi di fecondità del 1964 ed ai tassi di mortalità del 2006

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

180000

200000

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Liv

ello

Po

po

lazio

ne

Pop.2007

Proiez.2057

Proiez.2107

Proiez.2157

Proiez.2207

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 2007 in base ai

tassi di fecondità del 1964 ed ai tassi di mortalità del 2006

0%

1%

2%

3%

4%

5%

6%

7%

8%

9%

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di EtàS

tru

ttu

ra P

op

ola

zio

ne

2007

2057

2157

2157

2207

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37

Convergenza allo steady state m

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

0 15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 180 195 210

Tasso di Mortalità

Pop.1871

Tasso di Mortalità

Pop.2007

Figura 10 Dinamica del tasso di mortalità m

Convergenza allo steady state r

-10

-5

0

5

10

15

20

0 15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 180 195 210

Tasso di Incremento

Pop.1871

Tasso di Incremento

Pop.2007

Figura 11 Dinamica del tasso di incremento intrinseco r

Le Figg.9-10-11, invece, riportano rispettivamente la dinamica dei tassi di natalità n,

di mortalità m e di incremento r delle due popolazioni. Dopo una fase transiente che,

anche per questi tre ratio, si può stimare in circa un secolo, i valori si assestano al loro

regime di equilibrio permanente che è pari al 13,25‰ per n ed al 10,79‰ per m, con

un saldo naturale r positivo e pari a 2,46‰ che vede, però, una dinamica di

convergenza strettamente decrescente per quanto concerne il tasso r relativo alla

popolazione del 1871, mentre presenta una dinamica meno regolare, prima fluttuante

e poi crescente per lo stesso tasso r relativo alla popolazione del 2007 per la quale,

evidentemente, i tassi di fecondità del 1964 rappresentano, per così dire, un’iniezione

di pura energia. Analizzando le strutture asintotiche per macroclassi è possibile

analizzare qual è il livello di equilibrio dei principali indicatori di analisi della

popolazione:

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38

Classi Età Struttura Stabile

0-4 6,56% IV 111,80%

5-14 12,87% A/B 331,07%

15-39 30,70% ID 69,97%

40-64 28,13% IDG 33,04%

65-79 14,16% IDA 36,94%

80+ 7,57% IS 91,62%

TOTALE 100% IR 84,30%

Tabella 5 Struttura stabile Popolazione Femminile Regione Piemonte (per macroclassi omogenee) completa di

alcuni indicatori demografici caratteristici

Chiaramente le conclusioni comparative saranno opposte, a seconda della

popolazione reale presa come paradigma. In senso assoluto è, però, possibile

affermare che nello steady state l’indice di vecchiaia si attesta circa al 110%, i.e. ci

sarà poco più di un anziano per ogni giovane. L’indice di dipendenza generale si

stabilizza su un valore di circa il 70%, evidenziando un carico sociale, sebbene in

peggioramento, tutto sommato accettabile se si considera che circa la metà di questo

carico è costituita da individui di fascia giovanile. Infine, l’indice di struttura indica

che la fascia adulta è abbastanza equamente divisa tra le due macroclassi 15-39 e

40-64 con una leggera prevalenza della prima sulla seconda, mentre l’indice di

ricambio evidenzia un turnover positivo a favore di chi si appresta ad entrare nella

fase adulta della propria vita rispetto a chi si accinge ad entrare nella cd. terza età.

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

180000

200000

0-4

5-9

10-1

4

15-1

9

20-2

4

25-2

9

30-3

4

35-3

9

40-4

4

45-4

9

50-5

4

55-5

9

60-6

4

65-6

9

70-7

4

75-7

9

80-8

4

85-8

9

90-9

495

+

Classi di età

Str

utt

ura

in

Liv

elli

Proiezione Popolazione 1871

Proiezione Popolazione 2007

Figura 12 Ammontare per età della popolazione stabile Regione Piemonte 1871 e 2007 in base ai due scenari

Last but not least, i grafici riportati nelle

Figg.7-8 (sezioni di destra) e 12

evidenziano come, nonostante le due

Proiezione Nascite Femminili (Livelli) & Trend

R2 = 0,9759

R2 = 0,9462

0

50000

100000

150000

200000

250000

300000Proiez. Nate

Femmine 1871

Proiez. Nate

Femmine 2007

Espo. (Proiez. Nate

Femmine 1871)

Espo. (Proiez. Nate

Femmine 2007)

Page 39: Quaderni LES Liceo Poerio · 2016-04-28 · IL MODELLO DI CRESCITA DI HARROD-DOMAR ... IL PROGRESSO TECNOLOGICO ... Un modello generale della popolazione: il modello di Lotka

39

popolazioni convergano verso la stessa struttura stabile, i livelli della popolazione

nelle varie classi di età sono, senz’ombra di dubbio, molto diversi; la popolazione del

1871, dopo un secolo ammonta a poco meno di tre milioni di unità mentre quella del

2007, in proiezione, a poco meno di due milioni. Ciò perché esse avevano all’origine

un diverso potenziale o valore riproduttivo, i.e. una diversa quota di individui ancora

destinati a passare attraverso il periodo riproduttivo ed a generare, quindi, nuovi figli.

Figura 13 Andamento temporale Nascite Femminili

popolazione Regione Piemonte 1871 e 2007 (fec.1964)

Quanto affermato trova riscontro anche

nella Fig.13, la quale evidenzia sì un

trend crescente per le nascite femminili

di entrambi i collettivi, ma con valori

assoluti nettamente diversi e con una

forbice che si allarga via via nel tempo.

A4 CONFRONTO TRA LE DUE SIMULAZIONI OTTENUTE CON IL

PROFILO DI FECONDITÀ DEL PIEMONTE DEL 2006

L’applicazione iterativa ed invariantiva nel tempo del profilo di fecondità regionale

del 2006 ai due collettivi in esame porta ad una struttura stabile estremamente diversa

da quella raggiunta in precedenza. Il motivo è essenzialmente dovuto al fatto che la

distribuzione di fecondità del 2006, il vero motore della crescita della popolazione, si

rivela nettamente meno produttiva.

(x,x+4) 1971 2107 Struttura Stabile

Classi Età

Struttura Stabile

0-4 26906 18879 3,05% 0-4 3,05% IV 375,43%

5-9 29855 20277 3,28% 5-14 6,81% A/B 1214,36%

10-14 32425 21536 3,53% 15-39 22,06% ID 88,15%

15-19 33978 22827 3,80% 40-64 31,09% IDG 18,54%

20-24 34835 24493 4,09% 65-79 21,89% IDA 69,61%

25-29 36482 26757 4,39% 80+ 15,11% IS 140,91%

30-34 40378 29404 4,71% TOTALE 100% IR 182,92%

35-39 46247 31865 5,06%

40-44 51803 33651 5,43%

45-49 54681 34926 5,84%

50-54 54138 36502 6,24%

55-59 52076 39287 6,62%

60-64 54388 43271 6,95%

65-69 64493 46775 7,23%

70-74 74247 47444 7,40%

75-79 73338 44086 7,26%

80-84 60024 37132 6,52%

85-89 39440 27627 4,93%

90-94 17874 15538 2,61%

95+ 7165 7028 1,05%

TOTALE 884772 609305 100%

Proiezione Nascite Femminili (Livelli)

0

50000

100000

150000

200000

250000

300000

Proiez. Nate Femmine

1871

Proiez. Nate Femmine

2007

Verifica Ergodicità Forte (Fec.2006 Mort.2006)

0% 1% 2% 3% 4% 5% 6% 7% 8%

0-4

10-14

20-24

30-34

40-44

50-54

60-64

70-74

80-84

90-94

Cla

ss

i d

i e

Struttura Percentuale

Popolazione 2007

Popolazione 1871

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40

Tabella 6 Proiezione dopo un secolo e struttura stabile Popolazione Femminile Regione Piemonte 1871 e 2007

(per classi quinquennali e per macroclassi omogenee) completa di alcuni indicatori demografici caratteristici

Il quadro generale che emerge da questa seconda proiezione è a dir poco inquietante,

a voler usare un eufemismo; metaforicamente parlando, verrebbe da pensare all’opera

«L’urlo», il capolavoro del celebre artista espressionista norvegese Edvard Munch.

Come si evince dalla Fig.14, le popolazioni sottoposte in regime di costanza a questa

legge di fecondità, subiscono, durante tutta la fase di transizione, un inesorabile

processo di senescenza che in un primo momento le porta ad assumere una struttura a

piramide rovesciata (in cui le classi anziane sono nettamente prevalenti rispetto a

quelle giovanili) e che le conduce, in un secondo momento e senza soluzione di

continuità, ad un progressivo ed inequivocabile declino che le porterà nel giro di

qualche secolo ad una quasi certa estinzione, in assenza di auspicabili movimenti

migratori in grado di riequilibrare, almeno parzialmente, la situazione.

Figura 14 Struttura Popolazione Femminile Regione Piemonte 1871 e 2007 durante la transizione verso il

sentiero stabile in livelli ed in percentuale

Ciò è confermato, come mostrano le Figg.15-16-17, dal valore asintotico degli

indicatori di natalità, di mortalità e dal loro saldo naturale r, che assume, dopo un

crollo verticale nella fase di transizione interrotto solo da qualche lieve rimbalzo, un

valore asintotico di -14,81‰, in quanto una popolazione fondamentalmente composta

da capitale umano per così dire «sterile», che non è più in grado di riprodursi e

quindi, in un certo qual modo, di rigenerarsi e rinnovarsi, è inesorabilmente destinata

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 1871 in base ai

tassi di fecondità del 2006 ed ai tassi di mortalità del 2006

0%

2%

4%

6%

8%

10%

12%

14%

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Str

utt

ura

Po

po

lazio

ne

1871

1921

1971

2021

2071

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 1871 in base ai

tassi di fecondità del 2006 ed ai tassi di mortalità del 2006

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

180000

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Liv

ello

Po

po

lazio

ne

Pop.1871

Proiez.1921

Proiez.1971

Proiez.2021

Proiez.2071

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 2007 in base ai

tassi di fecondità del 2006 ed ai tassi di mortalità del 2006

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

180000

200000

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Liv

ello

Po

po

lazio

ne

Pop.2007

Proiez.2057

Proiez.2107

Proiez.2157

Proiez.2207

Simulazione proiettiva della struttura per età della popolazione del 2007 in base ai

tassi di fecondità del 2006 ed ai tassi di mortalità del 2006

0%

1%

2%

3%

4%

5%

6%

7%

8%

9%

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Str

utt

ura

Po

po

lazio

ne

2007

2057

2157

2157

2207

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41

alla scomparsa, per quanto i progressi medico-sanitari possano consentire di

prolungare ancora per qualche anno in più lo stadio della naturale decadenza

biologica e funzionale della vita degli individui.

Convergenza allo steady state n

0

2

4

6

8

10

12

0 100 200

Tasso di Natalità

Pop.1871

Tasso di Natalità

Pop.2007

Figura 15 Dinamica del tasso di natalità n

Convergenza allo steady state m

0

5

10

15

20

25

0 15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 180 195 210

Tasso di Mortalità

Pop.1871

Tasso di Mortalità

Pop.2007

Figura 16 Dinamica del tasso di mortalità m

Convergenza allo steady state r

-20

-15

-10

-5

0

5

10

0 100 200

Tasso di Incremento

Pop.1871

Tasso di Incremento

Pop.2007

Figura 17 Dinamica del tasso di incremento intrinseco r

Ad ulteriore riprova di quanto sostenuto, la Fig.18 riporta l’andamento temporale

delle nascite femminili; il lapalissiano declino è confermato dal piuttosto

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42

Popolazione 1871 Proiettata (Fec.2006)

0-4 5-14

15-39

40-64

65-79

+80

Popolazione 2007 Proiettata (Fec.2006)

0-4 5-14

15-39

40-64

65-79

+80

preoccupante andamento di fondo delle due serie storiche in questione, le quali

evidenziano una progressiva convergenza verso una rapida dinamica di decadimento

esponenziale di fondo, con una GOF pressoché perfetta (R2 99,92%), segno evidente

che nella fase post-aggiustamento è la così bassa natalità l’effettiva determinante

della traiettoria temporale d’inviluppo di questa popolazione.

Figura 18 Andamento temporale Nascite Femminili popolazione Regione Piemonte 1871 e 2007 (fec.2006) e trend

temporale Nascite Femminile 2007 Volendo, ancora, analizzare i principali indicatori demografici di composizione (cfr.

Fig.19) e di flusso, il rapporto anziani su bambini la dice lunga sulla pericolosità della

situazione che si verrebbe a creare, ma anche gli altri indici dipingono un quadro a

tinte fosche: l’indice di dipendenza, nel momento in cui viene disaggregato nelle sue

componenti, mette in luce come il carico sociale è dovuto prevalentemente agli

anziani, mentre l’indice di struttura evidenzia un turnover in netto peggioramento.

Figura 19 Struttura per età della popolazione stabile Regione Piemonte 1871 e 2007 (macroclassi omogenee)

Proiezione Nascite Femminili (Livelli)

0

20000

40000

60000

80000

100000

Proiez. Nate Femmine

1871

Proiez. Nate Femmine

2007

Proiezione Nascite Femminili (Livelli)

R2 = 0,99920

20000

40000

60000

80000

100000

Proiez. Nate Femmine

2007

Espo. (Proiez. Nate

Femmine 2007)

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43

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

0-4

5-9

10-1

4

15-1

9

20-2

4

25-2

9

30-3

4

35-3

9

40-4

4

45-4

9

50-5

4

55-5

9

60-6

4

65-6

9

70-7

4

75-7

9

80-8

4

85-8

9

90-9

495

+

Classi di età

Str

utt

ura

in

Liv

elli

Proiezione Popolazione 1871

Proiezione Popolazione 2007

Figura 20 Ammontare per età della popolazione stabile Regione Piemonte 1871 e 2007 in base ai due scenari

Infine, la Fig.20 ribadisce un concetto già espresso nel precedente paragrafo: il

processo di stabilizzazione che si verifica mantenendo costanti le condizioni di

mortalità e fecondità riguarda il ritmo di crescita della popolazione nonché la sua

struttura per età, non certo il suo ammontare che continua a modificarsi nel tempo.

Ebbene, nel momento in cui la popolazione viene analizzata in valori assoluti,

anziché relativi, si capisce bene come il peggior potenziale della popolazione del

2007 si vada a riverberare, nei vari istanti di tempo presi in considerazione, sul suo

ammontare totale in proiezione, che risulta nettamente inferiore rispetto a quello della

popolazione del 1871.

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44

A5 CONFRONTO TRA LA POPOLAZIONE EFFETTIVA NEL 2008 E

QUELLA OTTENUTA PROIETTANDO LA POPOLAZIONE DEL 1871 CON

MORTALITÀ 2006 E FECONDITÀ DEL 2006

Popolazione Femminile

(x,x+4) Effettiva2007 Distr.% Teor'07(Fec06) Distr.% E/T(Fec06) T(Fec06)/E

0-4 92331 4,07% 15679 3,02% 5,89 0,17

5-9 90032 3,97% 17106 3,29% 5,26 0,19

10-14 87135 3,84% 18634 3,58% 4,68 0,21

15-19 89041 3,93% 20014 3,85% 4,45 0,22

20-24 96116 4,24% 21151 4,07% 4,54 0,22

25-29 119032 5,25% 22286 4,29% 5,34 0,19

30-34 156185 6,89% 23865 4,59% 6,54 0,15

35-39 175516 7,74% 26171 5,03% 6,71 0,15

40-44 179955 7,94% 28926 5,56% 6,22 0,16

45-49 161109 7,11% 31394 6,04% 5,13 0,19

50-54 149444 6,59% 32865 6,32% 4,55 0,22

55-59 150902 6,66% 33400 6,42% 4,52 0,22

60-64 139531 6,15% 34134 6,56% 4,09 0,24

65-69 145364 6,41% 36282 6,98% 4,01 0,25

70-74 132406 5,84% 39325 7,56% 3,37 0,30

75-79 122173 5,39% 40312 7,75% 3,03 0,33

80-84 94986 4,19% 35838 6,89% 2,65 0,38

85-89 54309 2,40% 25410 4,89% 2,14 0,47

90-94 23046 1,02% 12280 2,36% 1,88 0,53

95+ 8466 0,37% 4955 0,95% 1,71 0,59

TOTALE 2267079 100,00% 520025 100,00%

PopEffettiva/PopTeorica 4,36

PopTeorica/PopEffettiva 0,23

Tabella 7 Proiezione al 31/12/2007 e struttura stabile Popolazione Femminile Regione Piemonte 1871 e

Popolazione Femminile Residente Regione Piemonte al 31/12/2007 (per classi quinquennali)

L’ultimo paragrafo della prima parte di questo survey statistico-demografico cerca di

rispondere (nella logica del what if?) a due specifiche domande: “Come siamo?” e

“Come avremmo potuto essere?”.

Le conclusioni non possono che ribadire, sic et simpliciter, quanto già sostenuto nei

paragrafi precedenti, e sono sostanzialmente da addebitare allo sterile profilo di

fecondità del 2006. L’applicazione della summentovata struttura di fecondità alla

popolazione femminile allobroga del 1871 avrebbe condotto ad un sentiero

assolutamente peggiore di quello che, invece, fortunatamente si è venuto

concretamente a delineare.

La popolazione teorica piemontese sarebbe stata appena un quarto di quella che,

invece, si rileva censuariamente. I buchi più consistenti si sarebbero registrati nelle

fasce di età 0-10 e 30-45 (più dell’80% in meno) ma questa sarebbe stata solo la

punta dell’iceberg: in realtà tutte le fasce di età sarebbero state gravemente

penalizzate. Esaminando, poi, la struttura percentuale delle popolazioni a confronto,

verrebbe da dire: «se Atene piange, Sparta non ride»; si vede bene, infatti, come, alla

reale struttura a botte, si sarebbe sostituita una struttura a piramide rovesciata, in cui

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45

Confronto tra Popolazione Effettiva 2007 e Popolazione Teorica

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

140000

160000

180000

200000

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Liv

ello

Po

po

lazi

on

e

PopEffettiva2007

PopTeor07(Fec06)

Confronto tra Popolazione Effettiva 2007 e Popolazione Teorica

0,00%

1,00%

2,00%

3,00%

4,00%

5,00%

6,00%

7,00%

8,00%

9,00%

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Classi di Età

Dis

trib

uzio

ne P

opol

azio

ne

PopEffettiva2007

PopTeor07(Fec06)

Conf r ont o t r a P opol az i one E f f et t i va 2007 e T eor i ca

- 16 0 0 0 0

- 14 0 0 0 0

- 12 0 0 0 0

- 10 0 0 0 0

- 8 0 0 0 0

- 6 0 0 0 0

- 4 0 0 0 0

- 2 0 0 0 0

0

Conf r ont o t r a P opol az i one E f f et t i va 2007 e T eor i ca

- 3 , 0 0 %

- 2 , 0 0 %

- 1, 0 0 %

0 , 0 0 %

1, 0 0 %

2 , 0 0 %

3 , 0 0 %

il peso relativo degli anziani sulla popolazione sarebbe stato nettamente superiore,

quello delle fasce giovanili leggermente inferiore, mentre il peso di quella che si

potrebbe definire la seconda fascia dell’età adulta sarebbe stato all’incirca lo stesso;

per quanto concerne, invece, la prima fascia dell’età adulta il profilo reale è

sicuramente migliore di quello teorico, soprattutto se si pensa che quella è la cd.

stagione riproduttiva della vita delle donne.

Figura 21 Confronto tra proiezione al 31/12/2007 struttura Stabile Popolazione Femminile Regione Piemonte

1871 e Popolazione Femminile Residente Regione Piemonte al 31/12/2007 (per classi quinquennali) in termini

assoluti, relativi e differenziali

In conclusione, sebbene la situazione attuale non è sicuramente “il migliore dei

mondi possibili”, volendo parafrasare la celebre diatriba illuminista tra il Leibniz

filosofo ed il Voltaire, si può tranquillamente affermare che esistono scenari

decisamente peggiori. Fortunatamente le popolazioni reali non rappresentano dei

compartimenti stagni che evolvono solo per inerzia, ma godono durante il loro

percorso di tutta una serie di aggiustamenti endogeni ed esogeni, a volte involontari

ed a volte programmati in base a specifiche volontà politiche, che possono modificare

in maniera sostanziale traiettorie ottenute sviluppando ipotesi sostanzialmente

deterministiche.

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46

PARTE B

POPOLAZIONE STABILE FEMMINILE REGIONALE

B1 BREVE CONFRONTO TRA STRUTTURA STABILE E STAZIONARIA

DELLA POPOLAZIONE FEMMINILE PIEMONTESE

Per poter effettuare un rigoroso confronto tra la popolazione stabile e la popolazione

stazionaria femminile piemontese, occorre innanzitutto procedere al calcolo

dell’esatto tasso intrinseco di incremento r, in modo che l’equazione fondamentale

della popolazione stabile di Lotka I(r) – di cui r è l’unica radice reale (che

asintoticamente prevale sulle altre radici complesse, che causano le oscillazioni

durante la fase di transizione) – eguagli il valore 1, senza che sia affetta da nessun

margine sperimentale di errore. La perturbazione che si manifesta in r è dovuta

sostanzialmente al fatto che, essendo molto difficile calcolare con precisione il valore

della distanza generazionale o tempo di generazione T, esso viene approssimato,

anche abbastanza bene a dire la verità, dall’età media delle madri al parto a. Per

eliminare questa impercettibile distorsione, in passato era sufficiente applicare (un

paio di volte al massimo, vista l’ottima velocità di convergenza dell’algoritmo) un

procedimento iterativo dovuto ad A.J. Coale, ma nell’epoca della computer science è

sufficiente disporre di un foglio elettronico in cui operare a mano qualche tentativo

ragionato di «equalizzazione» dell’errore. Fondamentalmente, anziché dividere il

margine di errore E per 30 (proxy dell’età media al parto), si divide lo stesso scarto

per un numero a’ vicino a 30, che nel caso in questione è risultato essere 31,50474;

l’utilizzo di questo valore, che in pratica non è altro che T, consente una precisione al

miliardesimo in un’unica iterazione. Il valore E/a’ sommato algebricamente alla

radice d’innesco dell’algoritmo r1, fornisce il tasso r desiderato. Il tasso r che

eguaglia (pressoché esattamente) all’unità l’equazione di Lotka è negativo e pari a

-0,01481 (contro un valore approssimato r1 superiore di appena un millesimo, che

determinava un E di circa il 3,43‰), sicché λ1 è pari a circa 0,985. I comportamenti

demografici della popolazione analizzata, pertanto, corrispondono a quelli di una

popolazione stabile con un tasso di incremento fortemente negativo.

Confronto tra struttura Stabile e Stazionaria

0,00%

1,00%

2,00%

3,00%

4,00%

5,00%

6,00%

7,00%

8,00%

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Stazionaria

Stabile

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Figura 22 Confronto tra struttura Stabile ex fecondità 2006 e struttura Stazionaria ex tavola di mortalità 2006

Per quanto riguarda le determinanti di r, vale a dire il tasso di natalità n ed il tasso di

mortalità m, esse ammontano per le donne rispettivamente a 0,00588 e 0,02069,

anch’essi non molto lontani dai valori precedentemente stimati.

Alcuni Valori Riassuntivi Della Popolazione Stabile

Donne Uomini Totale

Nascite 1 1,06 2,06

Tasso di Incremento (‰) -14,81 -14,81 -14,81

Tasso di Natalità (‰) 5,88 6,58 6,22

Tasso di Mortalità (‰) 20,69 21,39 21,03

Tabella 8 Alcuni valori riassuntivi della popolazione stabile

Dal confronto tra queste due strutture emerge inequivocabilmente come la struttura

stazionaria (caratterizzata da r nullo, frutto di un n=m pari a 0,01195 reciproco di e0)

assuma una forma pressoché piatta ed uniforme, cd. rettangolare (cfr. Santini), fino

all’età di sessanta anni circa, per poi registrare una progressiva diminuzione del peso

delle classi sempre più anziane. Ciò è essenzialmente additabile al fatto che la

probabilità di vita di una moderna popolazione occidentale come quella piemontese è

altissima fino all’età di sessanta anni (a fortiori per le donne); oltre una certa soglia

d’età, che si è sì spostata gradualmente in avanti nel tempo, il progressivo

deterioramento fisiologico e funzionale diventa, però, un accadimento ineluttabile.

La struttura stabile limite che viene a determinarsi col profilo di fecondità del 2006 è,

invece, caratterizzata, come già abbondantemente messo in risalto, da una forma a

piramide rovesciata con classi di età crescenti che assumono un peso via via

maggiore, almeno fino agli ottanta anni di età; successivamente, è, ancora una volta,

la legge di mortalità a modellare in maniera sempre più prevalente la distribuzione.

Differenziali tra struttura Stabile e Stazionaria

-4,00%

-3,00%

-2,00%

-1,00%

0,00%

1,00%

2,00%

3,00%

0-4

5-9

10-1

4

15-1

9

20-2

4

25-2

9

30-3

4

35-3

9

40-4

4

45-4

9

50-5

4

55-5

9

60-6

4

65-6

9

70-7

4

75-7

9

80-8

4

85-8

9

90-9

4

95+

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48

Figura 23 Differenziali tra struttura Stabile ex fecondità 2006 e struttura Stazionaria ex tavola di mortalità 2006 Un serio confronto tra queste due distribuzioni non può prescindere da un’analisi dei

differenziali tra le classi di età della popolazione. Dalla Fig.23 emerge un chiaro

gioco di simmetria attorno alla classe 45-49 che porta a concludere che, in termini

relativi, quanto è sottratto alla classi giovanili ed adulte (-16% circa) è, per così dire,

restituito nelle classi senili. E’ evidente come le forbici si allargano man mano che ci

si allontana da questo fulcro. La figura, inoltre, evidenzia come una buona fetta del

deficit si vada a collocare nelle classi di età fertili, a grave detrimento dell’evoluzione

futura del collettivo in questione.

Si può tranquillamente concludere che la popolazione stazionaria è qualitativamente

migliore, in quanto presenta un profilo strutturale molto più equilibrato di quello della

popolazione stabile associata ad un tasso r pari a -14,81‰. E’, infine, doveroso

rimarcare come tassi di crescita inferiori o superiori allo zero non siano, in pratica,

sostenibili nel lungo termine e pertanto essi vanno considerati come manifestazioni di

breve periodo, latori di qualche forma di squilibrio a fronte del quale le società

devono necessariamente adattarsi.

B2 BREVE CONFRONTO TRA STRUTTURA STABILE E STRUTTURA

REALE DELLA POPOLAZIONE FEMMINILE PIEMONTESE

In questo secondo confronto si intende, invece, approfondire quanto sarebbe stato

diverso il futuro che avrebbe atteso il Piemonte, se i comportamenti demografici della

popolazione del 1871 fossero stati quelli imposti di default, anziché quelli

effettivamente venutisi a determinare nel corso del tempo.

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Figura 24 Dinamica temporale di r nella popolazione piemontese al netto ed al lordo dei movimenti migratori

Occorre, innanzitutto, sottolineare (cfr. Fig.24) come il reale tasso di incremento

naturale della popolazione piemontese non è affatto così deficitario come quello che,

invece, è intrinseco nelle condizioni di fecondità e mortalità imposte. Benché il dato

reale sia anch’esso negativo (-2,4‰), la situazione contingente è decisamente

migliore di quella prospettata, anche e soprattutto in virtù dei saldi migratori

registrati. E’, infatti, evidente come l’incremento totale, nettamente positivo, segue

nella realtà i picchi ed i minimi del movimento migratorio e non certo quelli del tasso

di incremento naturale, che dagli anni ottanta in poi sembra essere abbastanza stabile

e privo di una vera componente tendenziale di fondo.

Confronto tra struttura Stabile e Reale

0,00%

1,00%

2,00%

3,00%

4,00%

5,00%

6,00%

7,00%

8,00%

9,00%

0-4

5-9

10-1

4

15-1

9

20-2

4

25-2

9

30-3

4

35-3

9

40-4

4

45-4

9

50-5

4

55-5

9

60-6

4

65-6

9

70-7

4

75-7

9

80-8

4

85-8

9

90-9

4

95+

Reale

Stabile

Figura 25 Confronto tra struttura Stabile ex fecondità 2006 e struttura Reale popolazione 2007

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50

Differenziali tra struttura Stabile e Reale

-3,00%

-2,00%

-1,00%

0,00%

1,00%

2,00%

3,00%

0-4

5-9

10-1

4

15-1

9

20-2

4

25-2

9

30-3

4

35-3

9

40-4

4

45-4

9

50-5

4

55-5

9

60-6

4

65-6

9

70-7

4

75-7

9

80-8

4

85-8

9

90-9

4

95+

Figura 26 Confronto tra struttura Stabile ex fecondità 2006 e struttura Reale popolazione 2007

Anche in questo caso, sebbene in misura meno marcata, è evidente come i deficit

strutturali della distribuzione stabile siano collocabili nelle fasce di età giovanili e

soprattutto nella stagione feconda della donna, mentre i differenziali positivi siano

tutti collocabili nelle fasce di età oltre i sessanta anni. Più precisamente si registra una

quota di popolazione giovanile del 12% circa in meno, di cui un buon 80% si va a

collocare nelle classi fertili di età.

Questo non può che significare che la situazione reale è, per fortuna, migliore della

situazione a cui avrebbe portato la struttura stabile presa come termine di paragone.

E’, poi, evidente come la struttura reale sia ben lungi da quella stabile di riferimento,

anche grazie al fatto che la popolazione piemontese gode, nonostante tutto, di una

propizia struttura per età, dovuta al baby boom degli anni sessanta ed agli intensi

movimenti migratori di cui ha beneficiato nello stesso periodo. Non va, però,

dimenticato che questa è sì una situazione (tutto sommato) favorevole ma transitoria

che va, pertanto, costantemente tenuta sotto controllo.

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PARTE C

INERZIA DELLA POPOLAZIONE

C1 BREVE INTRODUZIONE

La crescita (così come la decrescita) della popolazione presenta una certa forza

d’inerzia. Se anche una popolazione passa da una fecondità elevata (bassa) ad una

fecondità di rimpiazzo, appena necessaria a compensare le morti, essa continuerà a

crescere (decrescere) per un certo periodo. E’, forse, questo uno degli aspetti a prima

vista più enigmatici e meno decifrabili della crescita demografica: la sua tendenza a

continuare anche dopo una consistente diminuzione dei tassi di natalità. La crescita

demografica, ha un’attitudine endogena a proseguire per decenni dopo la caduta dei

tassi di natalità. Per spiegare questo fenomeno è sufficiente pensare a cosa succede

quando si preme il freno di un veicolo in movimento: esso non si fermerà di colpo,

ma solo dopo qualche istante, per effetto dell’inerzia fisica.

Ci sono due ragioni fondamentali che spiegano, nella realtà, questa (apparentemente

nascosta) inerzia:

1. i tassi di natalità non possono essere aggiustati ex abrupto, dalla sera alla mattina,

quindi potranno essere necessari anche molti anni prima che essi si stabilizzino,

ragion per cui il tasso di fertilità potrebbe aver bisogno di molto tempo prima che

possa giungere ai livelli auspicati;

2. la struttura per fascia di età della popolazione: i paesi che presentano

inizialmente alti tassi di natalità avranno, ovviamente, un’elevata percentuale di

bambini e adolescenti che nei decenni successivi, quando raggiungeranno l’età

adulta ed entreranno in età riproduttiva, anche se procreeranno pochi figli a testa,

produrranno, in ogni caso, un incremento in valore assoluto della popolazione.

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52

A tutto ciò consegue, anche se questi nuovi genitori avranno una quantità di figli

appena sufficiente a rimpiazzare se stessi, un temporaneo aumento della popolazione

che si chiama, appunto, inerzia o momento della popolazione, prima del definitivo

assestamento. I risvolti politici di questa consapevolezza sono enormemente rilevanti

sia per quanto concerne le politiche della popolazione nei confronti di paesi ad alta

fecondità che, per motivi opposti, nei confronti di paesi a bassa fecondità.

Secondo alcuni demografi di fama mondiale (cfr. Hogendorn), questa fase di

stabilizzazione della popolazione si aggira tra i 50 e i 75 anni dopo il punto in cui il

tasso di fertilità di un paese è appena sufficiente (nel senso di una madre che genera

una figlia) a rimpiazzare la popolazione presente. Occorre, poi, porre l’accento sul

fatto che ogni ritardo non previsto nella riduzione della natalità, si rifletterà nell’anno

in cui si raggiungerà il livello di rimpiazzo della crescita della popolazione. Ciò

comporta una notevole differenza nella dimensione prevista della popolazione; per

dare un’idea dell’ordine di grandezza della questione, differenze di qualche lustro nel

livello di rimpiazzo stimato potrebbero comportare un aumento della popolazione, a

livello planetario, anche di qualche miliardo di individui!

C2 CALCOLO DELL’INERZIA DELLA POPOLAZIONE REGIONALE

(METODO PRESTON)

Normalmente le variabili di controllo (steering variables) del sistema di equazioni di

evoluzione che vengono utilizzate nelle simulazioni di laboratorio per indurre allo

stationary state l’impianto demografico sotto esame sono due:

a. i tassi di fecondità specifici

b. i quozienti di mortalità specifici

è chiaro, quindi, che lo stesso obiettivo può essere raggiunto in vari modi, forzando

uno solo di questi vital rates, oppure agendo su un’opportuna combinazione lineare

convessa delle due variabili.

Si preferisce, però, nella pratica lavorare sui tassi di fecondità in quanto presentano

un’elasticità maggiore, sicché la loro sollecitazione sensibilizza maggiormente la

dinamica evolutiva del fenomeno; ciò consente di raggiungere l’obiettivo più

velocemente (cfr. Koons e Grand). Inoltre, un’analisi coeteris paribus permette di

focalizzare l’attenzione sugli effetti variazionali della singola variabile, sebbene la

realtà sia innegabilmente molto più complessa e variegata, governata dall’interazione

di più elementi che si manifestano simultaneamente. Ancora, le conseguenze dei

cambiamenti di mortalità sono più criptiche, meno semplici da individuare rispetto a

quelle delle variazioni della fecondità e non si riesce ad esprimerle in forma

compatta, in quanto dipendono dall’età in cui avvengono. Infine, è doveroso

segnalare come i quozienti di mortalità specifici, in realtà, rappresentino, per così

dire, una «fake» steering variable, in quanto non è possibile in natura diminuire ad

libitum la mortalità degli individui (almeno nel breve periodo) ma solo, semmai,

aumentarla.

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53

Per quanto concerne, nello specifico, il calcolo dell’inerzia della popolazione

regionale piemontese residente al 31/12/2007, la situazione è molto diversa rispetto a

quella descritta nella breve introduzione descrittiva all’argomento.

Dal calcolo del population momentum in base al procedimento individuato dal

Keyfitz per popolazioni non ancora stabili (basato sull’integrale di Lotka), emerge

una situazione piuttosto preoccupante. Si stima un valore di M pari a circa 0,76, id est

nettamente inferiore all’unità. Questo significa che, pur vincolando la fecondità al

livello di rimpiazzo, la popolazione, in ipotesi di chiusura ai fenomeni migratori,

continuerebbe a diminuire ancora per un certo periodo, prima di convergere

definitivamente all’equilibrio stazionario (λ1=1). Il dato regionale piemontese è

abbastanza al di sotto di quello già basso dell’Italia che, con dati omogenei (riferiti

agli stessi anni), si attesta attorno allo 0,85 in tendenziale diminuzione; una decina

d’anni prima era stato stimato attorno ad un valore pari a 0,91 (cfr. Preston).

5w(x)

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

0-4 5-9 10-14 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49

Figura 27 Fecondità cumulata residua netta in regime stazionario 5ω(x) in Piemonte

c(x)/cs(x) ratio

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

0-4

10-1

4

20-2

4

30-3

4

40-4

4

50-5

4

60-6

4

70-7

4

80-8

4

90-9

4

Figura 28 c(x)/cs(x) ratio

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54

Come ben evidenziano le Figg. 27 e 28, il motivo di tutto ciò è dovuto essenzialmente

a due concause che interagiscono sinergicamente e determinano questa situazione di

scarsa performance demografica:

1. il valore di A*, l’età media alla maternità nella popolazione stazionaria

equivalente, è abbastanza alto, pari a 31 anni, sicché tutti i valori della serie che

misura le nascite attese che avverranno durante la residua stagione feconda della

vita nel regime di rimpiazzo, i.e. 5ωx, ne risultano inevitabilmente penalizzati

(essendone A* il denominatore)

2. il rapporto tra la struttura effettiva della popolazione c(x) e la struttura

dell’equivalente popolazione stazionaria di riferimento cs(x) è stabilmente basso

fino alla classe di età 25-29, proprio nelle classi di età in cui 5ωx è, invece,

sensibilmente più alto. Tale ratio mantiene, nelle classi di età fino a 20-24 un

valore di appena 0,6 massimo 0,7 ad indicare la netta carenza di popolazione, per

così dire, utile alla causa (cfr. Tab.8, colonna 3).

fe0 83,712 x,x+4 5ωx

fcx/

fcx

s 5∙5ωx∙(

fcx/

fcx

s)

me0 78,206 0-4 0,032264 0,683996 0,110343831

fNs 1696716 5-9 0,032264 0,667464 0,107676899

mNs 1664373 10-14 0,032264 0,646404 0,104279338

fN2007 2267079 15-19 0,031943 0,661213 0,105606339

mN2007 2134187 20-24 0,029586 0,714765 0,105736102

M = 0,76 25-29 0,023189 0,886330 0,102764156

30-34 0,013260 1,164809 0,077227005

35-39 0,004507 1,311569 0,029556863

0-44 0,000691 1,349555 0,004662062

45-49 0,000091 1,214722 0,000554310

M = 0,75

Tabella 9 Valore di M e delle funzioni ω(x) e c(x)/cs(x) ratio in Piemonte

Il calcolo dell’inerzia come funzione delle differenze ponderate di struttura per età tra

popolazione iniziale e stazionaria finale (dove la struttura per età dipende solo dalla

mortalità) porta, invece, ad un valore di M pari a 0,75 non molto lontano da quello

indicato in precedenza. La lieve discrasia è certamente addebitabile al fatto che con

questo secondo metodo di calcolo è stata considerata la sola popolazione femminile

piemontese. In summa, essendo il valore di M dato dal rapporto tra l’ammontare della

popolazione stazionaria (limite) di arrivo e la popolazione (pre-perturbazione) di

partenza, ed essendo la sua misura centrata attorno al valore unitario, una possibile

interpretazione di questo indicatore è che, in base alla stima, la popolazione si

dovrebbe ridurre ancora di un ammontare pari ad un 25% circa, prima di assestarsi al

suo livello stazionario. Questo dimostra come i mutamenti demografici siano

caratterizzati, appunto, da una certa inerzia, i.e. subiscono gli effetti di forze che

oppongono una certa resistenza al cambiamento.

Non essendo, poi, la popolazione in osservazione caratterizzabile come stabile ma

solo come decrescente, non è possibile appurare, con quella certezza e quell’assoluto

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rigore che deve necessariamente contraddistinguere il metodo scientifico, se in questa

fase inerziale si verifica quel ringiovanimento della struttura per età previsto dal

Preston, in quanto analizzare questi effetti in circostanze generali risulta più

complesso. Il mero calcolo empirico, tuttavia, mostra che l’età media delle donne

piemontesi scenderebbe dai 46 anni e mezzo circa attuali ad un valore

approssimativamente stimato in circa 43 anni non apportando evidenze contro

l’ipotesi ventilata (entrambi i dati sono affetti da una leggera distorsione negativa in

quanto per la classe di età terminale è stato considerato come valore centrale 97,5).

Sembra che la popolazione piemontese abbia preso davvero sul serio il motto radicale

sessantottino dell’associazione Zero Population Growth «Rather than stop at one, we

must stop at once», un gioco di parole praticamente intraducibile dall’inglese, dove

“at one” sta per “a uno”, mentre “at once” significa “subito”.

PARTE D CONCLUSIONI

Una fredda e distaccata analisi «ragionieristica» del collettivo regionale piemontese

porterebbe ad una inequivocabile quanto spietata redde rationem; è questa una

popolazione (in ipotesi di chiusura ai fenomeni migratori) inesorabilmente destinata

ad un declino qualitativo e quantitativo, in assenza di adeguate politiche sociali attive

che ne favoriscano:

1. il ringiovanimento della sua struttura;

2. un’inversione del tasso di decremento.

Per quanto il progresso medico-scientifico abbia enormemente migliorato la

condizione della qualità della vita e contribuito al considerevole allungamento

dell’età della popolazione, non bisogna sottovalutare il fatto che l’estremo

prolungamento della vita assuma caratteri problematici per le società contemporanee.

L’invecchiamento della popolazione, infatti, fa riferimento al peso demografico degli

anziani sul totale della popolazione. La vita più lunga comporta conseguenze

importanti per la collettività: in primo luogo in termini di soluzioni per affrontare il

carico economico della popolazione che invecchia.

Lo slittamento della soglia di età pensionabile, su cui molti Paesi stanno discutendo,

può, ad esempio, essere una soluzione che potrebbe generare altri problemi: il

prolungamento della vita lavorativa per molti ultrasessantenni, magari in modalità

part-time, potrebbe avere come conseguenza il fatto che i più giovani faranno ancora

più fatica ad inserirsi nel già asfittico mercato del lavoro e dovranno accontentarsi di

lavorare meno ore alla settimana, con sicuro abbassamento del reddito. Tutto ciò

condurrebbe ad una spirale perversa in cui giovani tenderebbero ad allungare

ulteriormente la cd. transizione allo stato adulto.

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Questa conclusione, però, deve essere accompagnata dalla considerazione che una

regione economicamente florida come il Piemonte vedrà, quasi certamente, il suo

capitale umano rimpinguato e ringiovanito da afflussi migratori, così come è già

avvenuto storicamente durante il secolo scorso in virtù delle migrazioni interne dalle

regioni dell’Italia meridionale ed insulare. L’osservazione del reale andamento della

popolazione sembra confermare l’ipotesi secondo la quale i flussi con l’estero sono la

componente principale che determina l’aumento della popolazione e ne rallenta il

declino e la tendenza all’invecchiamento.

La componente migratoria, nonostante sia quella più aleatoria, influisce in modo

determinante sul trend della popolazione, soprattutto a fronte di un persistente saldo

naturale negativo. Chiaramente questi fenomeni vanno attentamente monitorati e

sapientemente governati, altrimenti portano con sé una congerie di problemi di natura

igienico sanitaria, socioculturale (integrazione), ecc… ma opportune politiche

possono certamente facilitare il corso degli eventi. Il compito della classe politica

piemontese sarà senz’altro arduo ma non certo impossibile.

BREVE APPENDICE MATEMATICA

Per non appesantire troppo il lavoro, si è ritenuto preferibile separare in un’apposita

sezione accessoria una breve elencazione delle principali relazioni che legano le

variabili demografiche, grazie alle quali è stato possibile ricavare i risultati

precedentemente esposti.

Lo standard cohort components, nella sua versione classica, è un modus computandi

che si basa su un preciso sistema di equazioni dinamiche (valide in ipotesi di

popolazione chiusa) di cui la principale è la seguente:

xh

txh

htxh PNN (1a)

conL

LP

xh

hxh

h x , probabilità prospettiva di sopravvivenza, anche nota come

coefficiente proiettivo di sopravvivenza grazie al quale è possibile «scontare» la

mortalità della popolazione. Per non indurre il lettore in confusione si è indicato:

con N la popolazione (in ossequio alla nomenclatura anglosassone)

con P le probabilità di sopravvivenza

con x l’estremo inferiore della classe di età

con t l’istante di tempo iniziale

con h il periodo di tempo sotto osservazione

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57

Normalmente h=1 oppure h=5 (come nel caso in questione) per cui le relazioni

precedenti possono essere riscritte come:

x

tx

tx PNN 55

55

(1b)

conL

LP

x

x

x5

55

5

.

Questa equazione consente di traslare nel tempo la popolazione in base alla struttura

di mortalità fissata ma lascia scoperte le due classi estreme: la prima, che concerne le

nascite (le sopravviventi) del quinquennio e che necessita, per la sua determinazione,

di una distribuzione di fertilità e l’ultima, nella quale confluiscono le sopravviventi

della penultima più le restanti in vita dell’attuale ultima classe.

Per quanto riguarda l’ultima classe (aperta), essa sarà data dalla somma ponderata di

due componenti: le sopravviventi provenienti dalla classe precedente (90-94) da

sommare alle sopravviventi della stessa classe presa in considerazione (95+), pesate

per le rispettive probabilità prospettive. Algebricamente:

955955905905

5955 PNPNN ttt (2)

dove

955

1005

955

1005

955T

T

L

LP

.

Per quanto riguarda il computo delle sopravviventi tra le nate nel quinquennio la

formula base è la seguente:

05

5,5

505 PBN

ttft (3)

dove

0

05

055 l

LP

; con

5,5

ttf B si sono indicate le nascite in blocco dell’intero

periodo quinquennale.

Il calcolo di 5,

5ttf B è più laborioso, quindi conviene procedere per gradi:

A. per prima cosa è necessario determinare la popolazione media (aritmetica)

femminile o donne-anno, per ogni classe quinquennale di età in cui la donna è

fertile, secondo la formula:

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58

2

5555,

5

tx

txtt

x

NNN (4)

B. poi si deve «capitalizzare» questa popolazione media per i tassi di fecondità

specifica (tenendo conto del fatto che vengono applicati a classi quinquennali) in

modo da ottenere le nascite totali nel lustro:

Btt

5

5,

45

155

x

x

ttx fN 5

5,5

(5)

C. infine bisogna moltiplicare le nascite totali per la costante biologica 0,485 in

quanto la popolazione di interesse è solo quella femminile:

BBtttt

f55

5,5,

485,0

(6)

Per quanto riguarda il tasso di crescita della popolazione e le sue determinanti si è

proceduto secondo:

1000

5

lnln 5

tt NN

r

10005

5,

5,

5

N

Bn tt

ttf

rnm

A questo punto, emerge chiaramente come la logica propria dello schema

previsionale per componenti è quella di far derivare i contingenti di popolazione alle

varie date ed alle varie età dai loro antecedenti cronologici, nel caso di una generica

classe di età, e biologici, nel caso delle nascite.

Quando si procede per raggruppamenti quinquennali il calcolo risulta enormemente

abbreviato ed alleggerito ma anche meno corretto. Ciò perché, implicitamente, si

assume che la distribuzione di frequenza per età della popolazione reale all’interno di

ciascun gruppo sia proporzionale alla distribuzione degli anni vissuti Lx5 nella

popolazione stazionaria della tavola di mortalità. Tanto più questa ne devia, tanto

meno sarà preciso il procedimento; d’altra parte, quanto più è bassa la mortalità, tanto

meno si avvertono gli effetti di tale distorsione.

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59

Per quanto riguarda, poi, la determinazione rigorosa del tasso di incremento

intrinseco della popolazione r si è proceduto ad una sua stima iniziale tramite la

nota approssimazione:

a

Rr

0ln (7)

Dove R0 è il tasso netto di riproduzione femminile:

45

15 550485,0

x xx fLR

ed a è l’età media al parto delle donne:

4515 55

4515 555,2

x xx

x xx

fL

fLxa

Poiché l’applicazione all’equazione fondamentale della popolazione stabile di questo

tasso approssimato crea un errore, che fa sì che la sommatoria diverga dal valore

unitario di qualche millesimale, è necessario un procedimento di aggiustamento. Il

sistema più utilizzato è un algoritmo conosciuto come metodo di Coale, che consiste

sostanzialmente nel determinare un’approssimazione sempre migliore di r sommando

algebricamente all’approssimazione precedente lo scarto dell’equazione di Lotka

dall’unità E diviso per il valore 30 (proxy dell’età media al parto):

30

1

Err nn

(8)

Chiaramente quando STOPrr nn 1 , dove dipende dal livello di

precisione desiderato (normalmente ε = ± 5‰).

Infine, per ciò che concerne il calcolo dell’inerzia della popolazione M il

procedimento seguito è stato il seguente (N.B. in questo contesto è stato necessario

evidenziare esplicitamente il riferimento al sesso degli elementi della popolazione):

A. Riproporzionamento dei tassi specifici di fecondità mediante il fattore di scala R0

sì da forzare la fecondità al rimpiazzo:

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60

R

fx

x0

5

5

485,0 (9)

B. Determinazione di A* età media al parto nella popolazione stabile equivalente

secondo la formula:

xxf

x LxA 5

45

15 55,2 (10)

C. Determinazione dei pesix5

secondo la formula:

A

LL

xyyy

f

x

xf

x

45

5 555

5

5

2

(11)

per le prime tre classi di età (0-4, 5-9 e 10-14) è 5ωx≡*1 A

D. Determinazione delle nascite femminili e maschili nella popolazione stabile

equivalente:

45

0

5

5

55 xS

L

NB

f

x

f

xx

f (12a)

BBfm

SS

05,1 (12b)

E. Determinazione della popolazione stabile equivalente:

eBN fffSS 0 (13a)

eBN mmmSS 0 (13b)

NNN mfSSS (13c)

F. Determinazione dell’inerzia della popolazione complessiva (maschi e femmine)

del 31/12/2007:

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61

N

NM

S

2008 (14)

Bibliografia e Webliografia essenziale:

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Condizione Femminile In Piemonte” 2007 Fonte: IRES

ANDRIOLO M. MURTAS E. MAZZOCCOLI A. “Donne - Terzo Rapporto Sulla

Condizione Femminile In Piemonte” 2008 Fonte: IRES

ANGELI L. CASTROVILLI A. SEMINARA C. “Corso Taranto: 30 anni di vita,

speranze progetti”, 1998 Cenni sull'evoluzione economico-demografica di Torino

(1861-1960)

ALLASINO E. “Il Piemonte e Le Migrazioni” 2009

FOGLIATO G. “La Condizione Demografica degli Anziani Over 64 Anni in

Piemonte suddivisa nelle ASL” Ricerca 19/10/2009

GRUPPO POLIS “Atlante Socio-Economico del Verbano Cusio Ossola” 1999

ISTAT “Bilancio demografico regionale Anno 2007”

ISTAT “Indicatori demografici Anno 2007”

ISTAT “Previsioni demografiche 1 gennaio 2007-1 gennaio 2051”

KOONS D.N. HOLMES R.R. GRAND J.B. “Population inertia and its sensitivity to

changes in vital rates and population structure” 2007

KOONS D.N. “Transient Population Dynamics And Population Momentum In

Vertebrates” Ph.D. Dissertation Abstract 2005

LIVI BACCI M. “Introduzione alla Demografia” 1999

MARINARO L. “Bollettino Epidemiologico ASL CN2” 2007

MOLINA S. “ Un commento alle nuove previsioni della popolazione piemontese”

2007 Fonte: Banca dati demografica evolutiva (BDDE) Regione Piemonte

PRESSAT R. “Elements de Démographie Matematique” 1995

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62

PRESTON S.H. et al. “Demography, Measuring and Modeling Population Processes”

2006

PRESTON S.H. GUILLOT M. “Population dynamics in an age of declining fertility”

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SANTINI A. “Analisi Demografica” 1992

STELLA F. “Quaderno Strutturale Territoriale - Principali Indicatori

Macroeconomici Delle Regioni Italiane al 2007” M.S.E.

TURSI E. “La Popolazione Piemontese: Previsioni Demografiche E Dati Osservati A

Confronto” 2010 Fonte: DEMOS – Osservatorio demografico territoriale del

Piemonte

URSO A. “Generalizzazione dell’equazione logistica” 2007

ZIMELLI A. e JAHIER F. “La popolazione del Piemonte nel 2008”

Sitografia:

Approfondite informazioni statistiche e demografiche sono inoltre disponibili nei siti:

http://www.regione.piemonte.it/stat/index.htm

http://www.regione.piemonte.it/stat/bdde/index.htm

http://demo.istat.it

http://www.istat.it

http://www.ires.piemonte.it/rapportocondizionefemminile

http://www.dors.it/made

http://dawinci.istat.it

http://www.wikipedia.org

http://www.prb.org

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Le equazioni di Lotka-Volterra

Le equazioni di Lotka-Volterra

19, note anche come equazioni preda-predatore, costituiscono

un sistema di equazioni differenziali non lineari del primo ordine. Tali equazioni forniscono

un modello matematico in grado di descrivere la dinamica di un ecosistema in cui interagiscono due

specie animali: una delle due come predatore, l'altra come la sua preda. I predatori e le prede

possono influenzarsi reciprocamente nella loro evoluzione. Le caratteristiche che fanno aumentare

l'abilità dei predatori a trovare e catturare le prede saranno selezionate all'interno dei predatori,

mentre le caratteristiche che fanno aumentare la capacità delle prede di evitare di essere mangiate

saranno selezionate all'interno delle prede. I fini di queste caratteristiche non sono compatibili ed è

l'interazione tra queste pressioni selettive che influenza la dinamica delle popolazioni delle prede e

dei predatori.

Il Modello preda predatore

Nell’ipotesi che vi siano due specie:

1N popolazione delle prede

2N popolazione dei predatori

La variazione nel corso del tempo della popolazione preda è descritta dalla seguente equazione

differenziale:

211111 NNNN 20

La variazione nel corso del tempo della popolazione di 1N è dovuta a fattori di crescita naturale

rappresentati dal coefficiente 1 (natalità e mortalità) e alla loro eliminazione (predazione da parte

della specie 2N ) supposta proporzionale per ogni individuo 1N rispetto a 2N . Il prodotto 11N 21

rappresenta il numero di esemplari di 1N predati da ogni 2N e può essere interpretato come un

fattore di mortalità supplementare della stessa popolazione 1N ; esso è il responso funzionale dei

predatori o tasso di cattura delle prede in funzione della loro abbondanza.

Il termine 211 NN riflette il fatto che le perdite della popolazione predata sono proporzionali al

prodotto delle rispettive abbondanze di prede e di predatori.

19

Questa modellizzazione matematica fu proposta in modo indipendente nel 1925 dal demografo americano Alfred J.

Lotka e nel 1926 dal matematico italiano Vito Volterra.

20 Ricordiamo che N è una forma compatta per indicare la variazione istantanea, ovvero infinitesima, che un

fenomeno subisce nel corso del tempo. 21

1 può essere interpretato come efficienza nella ricerca delle prede o tasso di attacco.

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64

La variazione nel corso del tempo della popolazione predatrice è descritta, invece, dalla seguente

equazione differenziale:

212222 NNNN

La variazione negativa di stock di 2N , dovuta alla naturale eliminazione di essi (se 01 N allora

2N tende ad estinguersi al tasso esponenziale 2 ), tende ad essere compensata dalla presenza di

prede 1N . Il prodotto 12N è il numero di individui della specie 1N “incontrati” per ogni 2N ; non

è detto, infatti, che ogni incontro (o caccia) si concluda necessariamente con la morte della preda,

sicché, in generale, si avrà: 12 22; Quando il numero dei predatori 2N e delle prede 1N

cresce, i loro incontri diventano più frequenti, ma l'effettivo tasso di consumo dipenderà dal tasso di

attacco 1 .

Mettendo a sistema le due equazioni si ha:

2

1

212222

211111

NNNN

NNNN

Moltiplicando la prima equazione per il coefficiente di frequenza di incontro 2 e la seconda per il

coefficiente di attacco 1 si ha:

212122121

212111212

NNNN

NNNN

Da cui, sommando membro a membro:

32211122112 NNNN

Moltiplicando, poi, la 1 per 12 N e la 2 per 21 N si ottiene:

2

2112

2

221

2

21

21

121

1

121

1

12

N

NN

N

N

N

N

NN

N

N

N

N

N

Che sommate membro a membro danno:

22

Generalmente si ipotizza 12 c con 1c interpretabile come efficienza dei predatori nel trasformare il cibo

in prole o efficienza di conversione.

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65

422111221212

21

1

12 NN

N

N

N

N

A questo punto la 3 e la 4 hanno in comune i secondi membri quindi si può scrivere:

21122

21

1

12 NN

N

N

N

N

Essendo ii

i NlnDN

N

con 21,i , integrando ambo i membri si può scrivere:

cNlnNlnNN 21122112

Ovvero:

cNNNlnNln

21122112

Dove c è una costante arbitraria generata dal processo d’integrazione diretta. Trasformando

mediante l’operatore esponenziale la relazione precedente si ha:

cNNexpNlnNlnexp

21122112

Ovvero:

cNN

eeeNN

211212

21

da cui segue:

KeeNNNN

211212

21

Dove ceK . E’ abbastanza evidente come tale relazione si presenta come una relazione di

bilancio complessivo della natura la quale impone il prodotto dei tassi esponenziali di sviluppo delle

popolazioni e dei tassi di decadimento delle stesse dovuti ai differenti fattori biologici in gioco deve

essere costante.

Per la ricerca dei punti stazionari o di equilibrio è stato imposto al sistema originario 0iN , con

21,i , i.e. l’annullamento del vettore derivata temporale, ottenendo:

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66

2

21

1

12

2212

1211

0

0

N

N

NN

NN

Ipotizzando per i parametri valori di:

11

201 .

12

102 .

Segue che l’equilibrio stabile, come si nota dalle orbite di fase, è dato dal punto

51021 ,N,N

, sicché le prede saranno in numero doppio rispetto ai predatori.

Lo screenshot a seguire evidenzia come si presentano i comandi necessari in Maxima (software

open source scaricabile dal sito www.maxima.sourceforge.net ) per la realizzazione del diagramma

di fase delle due variabili biologiche 1N ed 2N .

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67

Il diagramma di fase è, poi, ottenuto premendo insieme i tasti shift e invio:

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Notiamo, invece, che nel punto O = (0,0) il sistema presenta un punto di sella che viene raggiunto

solo nel caso in cui la popolazione delle prede si estingue e, quindi, anche la popolazione dei

predatori segue lo stesso destino (si osservino le frecce lungo l’asse delle ordinate); il punto di sella

è per sua natura un equilibrio instabile, cioè in un suo intorno ci si allontana irreversibilmente da

esso e si viene “attratti” dalle orbite che racchiudono il punto singolare di tipo centro

51021 ,N,N

. Il centro è un punto singolare attraverso il quale non passa nessuna

caratteristica (è, cioè, un punto isolato) circondato da curve caratteristiche chiuse (evidenziate in

rosso); in questo caso le variabili hanno un movimento periodico la cui ampiezza è costante: il

modello prevede una relazione ciclica tra numero di prede e di predatori. E’ altresì interessante

notare che qualsivoglia disturbo esterno provoca semplicemente uno spostamento da una

caratteristica all’altra, ove il sistema ritorna al suo movimento periodico senza fine a meno che,

abbastanza casualmente o per precisa opera di forcing ingegneristico, lo shock faccia convergere il

sistema verso il punto stazionario.

Il PIL e la crescita

Nonostante sia oggetto di molte critiche il PIL23

rappresenta ancora oggi il principale indicatore

dello stato di “salute economica” di una nazione. E’, comunque, piuttosto intuitiva l’idea che esso

da solo non dia una esatta “fotografia” dello stato di benessere di un paese se non accompagnato ad

altri indicatori di natura più prettamente sociale e demografica. Per fare solo un esempio, chi

potrebbe sostenere che due paesi che presentano lo stesso livello di crescita del PIL, ma tassi di

mortalità infantile differenti siano posti sullo stesso piano in termini di benessere? Si procede,

quindi, nei confronti internazionali tra i vari paesi, ad integrare il PIL con l’accostamento ad esso di

una serie di indicatori di natura socio-demografica che “correggono”, appunto, la portata

unicamente quantitativa tipica del PIL. Non sfugge evidentemente, come nel riscontro empirico

delle analisi condotte, ad alti tassi di crescita del PIL si associano normalmente, per restare

nell’esempio dinanzi fatto, bassi tassi di mortalità infantile e viceversa, ciò per ovvi motivi su cui

non vale la pena soffermarsi; come, per fare un altro esempio ancora, ad alti tassi del PIL si associ

un elevata speranza di vita media alla nascita e viceversa. In definitiva si riscontra una forte

correlazione tra tassi di crescita del PIL ed alcuni notevoli indicatori di benessere socio-

demografici. Tra i vari indicatori che possono essere utilizzati quelli di più immediato impatto sono:

1) Speranza di vita

2) Tasso di mortalità infantile

3) Tasso di alfabetizzazione degli adulti

23 Prodotto interno lordo: l’ammontare di servizi e di beni valorizzati in una unità di conto monetaria ( deflazionata o meno) prodotti all’interno di un paese al lordo degli ammortamenti dei capitali impiegati di medio lungo periodo indipendentemente dalla nazionalità dei produttori.

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Ovviamente questi sono solo alcuni tra quelli più significativi e se ne potrebbero scegliere altri da

utilizzare in maniera separata o concentrati in un singolo indicatore di sintesi; tuttavia, il concetto

resta sostanzialmente lo stesso: misurare in modo più completo la situazione di “stato di sviluppo”

di un paese il cui solo indicatore PIL come detto non è sufficiente. La speranza di vita media o vita

media prospettica alla nascita è il numero di anni che mediamente un individuo di una collettività

vivrà. Nei paesi in via di sviluppo (PVS) esso presenta valori decisamente bassi ovviamente tutti

riconducibili alla mancanza di buone condizioni di vita (scarsa alimentazione, pessimi servizi

sanitari, bassi redditi, ecc..). In demografia viene spesso indicato con il simbolo (da expectation,

ovvero speranza e di chiaro etimo latino). Il tasso di mortalità infantile è il rapporto tra il numero di

individui nati vivi e morti nel corso del primo anno di vita sul totale dei nati vivi. Il tasso di

alfabetizzazione degli adulti rappresenta, invece, il numero di coloro che hanno conseguito almeno

la licenza elementare sul totale degli individui di età dai diciotto anni in poi. Tutti questi indici

possono essere, e spesso lo sono, specificati in modo più particolareggiato a seconda delle necessità

di indagine. E’ evidenza palese che ad alti livelli di reddito corrispondano in genere migliori

situazioni di alfabetizzazione degli individui, bassi tassi di mortalità infantili e speranza di vita

media più alta. In definitiva ci si aspettano significative correlazioni statistiche che misurano la”

forza” del legame tra le variabili in questione.

Il grado di correlazione tra le variabili lo misuriamo con la nota formula dell’indice di correlazione:

yx

y,xcovR

Dove:

i

ii

N

yyxxy,xcov è la covarianza le due variabili aleatorie

i

i

N

xx media aritmetica semplice della variabile x

i

i

N

yy media aritmetica semplice della variabile y

i

ix

N

xx2

è la deviazione standard della variabile x

i

iy

N

yy2

è la deviazione standard della variabile y

Dal sito EUROSTAT24

è possibile estrarre, per alcuni paesi, la lista degli indicatori di vita media e

prodotto interno lordo pro capite come evidenziato dalla seguente tabella:

24

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/national_accounts/data/database

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70

Speranza di vita PIL pro capite

Germany 79,8 30.300

Estonia 75,2 10.700

Ireland 80,3 34.900

Greece 79,9 20.100

Spain 81,5 22.800

France 81,1 29.800

Italy 83,2 25.700

Cyprus 77,8 21.600

Latvia 73,1 8.300

Lithuania 72,8 8.400

Luxembourg 80,1 79.500

Hungary 74,1 9.700

Malta 80,9 14.700

Netherlands 80,3 35.400

Austria 80,1 34.100

Poland 75,8 9.300

Portugal 79 16.200

Romania 72,9 5.800

Slovenia 79 17.300

Slovakia 75 12.100

Finland 79,4 33.500

Sweden 80,9 37.200

UK 79,7 27.400

medie 23.687 78

Che dopo varie elaborazioni porta a grafici più o meno elaborati del tipo seguente:

Correlazione tra speranza di vita e prodotto interno lordo pro capite

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71

La tabella ed il relativo grafico mostra come ci si aspettava un buon livello di correlazione dei dati

confermato dall’indice di goodness of fit R che assume un valore pari a circa 0,60.

Crescita del reddito

Una delle forme più semplici di modello di crescita del reddito nel tempo è data dalla seguente

espressione differenziale:

tYtgtY (1)

Dove indichiamo con tg il parametro (e, più in generale, la funzione) di crescita del reddito tY

nel corso del tempo.

E’ possibile riscrivere la relazione (1) come tasso di variazione relativa:

tgtY

tY

Poiché il saggio di crescita relativo del reddito corrisponde alla derivata logaritmica25

dello stesso si

può scrivere:

tgtYlnD

che integrata ci dà:

cdttgtYln

Da cui si ricava facilmente il regime di crescita esponenziale del reddito:

dttgectY

Imponendo la condizione iniziale al cosiddetto problema di Cauchy si ricava facilmente che:

dg

t

eYtY

00

25

Semielasticità.

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72

Chiaramente, imponendo un tasso di crescita costante26

gtg , l’espressione si semplifica in:

gteYtY 0 (2)

La (2) rappresenta una legge generale di crescita del reddito molto usata nelle analisi di base.

Evoluzione nel tempo del reddito pro capite

Siano:

tY reddito istantaneo al tempo t

tN popolazione istantanea al tempo t

tN

tYt reddito pro capite istantaneo al tempo t

Derivando t rispetto al tempo, utilizzando la nota regola di derivata di rapporto, si ottiene:

2tN

tNtYtNtYt

Scomponendo la frazione si può scrivere in maniera alternativa ma del tutto equivalente:

tN

tY

tN

tN

tN

tYt

Moltiplicando tutti i termini dell’equazione per tY

tNt

1 si ottiene:

tY

tN

tN

tY

tN

tN

tY

tN

tN

tY

t

t

Ovvero:

tN

tN

tY

tY

t

t

Ponendo:

26

Una media periodale.

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73

tY

tYgY

tN

tNn

tt

p

Da cui, evidentemente segue:

ngp Y (3)

Il tasso istantaneo di variazione temporale del reddito pro capite è uguale alla differenza tra i tassi di

variazione istantanei del reddito e della popolazione, in quanto la crescita pro capite non può non

tener conto della dinamica demografica ignorata, invece, quando si analizza il tout court il solo

fenomeno economico reddito.

IL MODELLO DI CRESCITA DI HARROD-DOMAR

Struttura

Tutti i modelli economici sono il “frutto” di un epoca e di un clima politico istituzionale nel quale

essi si inseriscono naturalmente. Il modello di Harrod-Domar27

nacque in un contesto storico

dominato dagli studi Keynesiani. Esso tenta di rendere dinamica l’analisi Keynesiana nel tentativo

di spiegare come nel corso del tempo si possa ottenere un sentiero di equilibrio dinamico

dell’economia.

Nel modello di crescita di Harrod-Domar il filo conduttore non è semplicemente quello della ricerca

di un andamento nel tempo partendo da una legge di variazione di una variabile bensì la ricerca del

particolare andamento temporale che prevarrà, se sarà soddisfatta una certa condizione di equilibrio

economico.

Le premesse fondamentali del modello sono le seguenti:

1) ogni cambiamento del ritmo annuale di investimento I(t) ha un doppio effetto: modifica la

domanda aggregata e, allo stesso tempo, la capacità produttiva del sistema economico;

27

In verità i modelli sono due e separati ma per ragioni didattiche sono presentati insieme e “compattati” trattando essi

lo stesso tema.

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74

2) l’effetto del cambiamento di I(t) sulla domanda opera attraverso un processo moltiplicatore,

sicché un aumento di I(t) si risolve in un aumento del reddito annuale Y(t) di un multiplo di I(t);

il moltiplicatore è k = 1/s, dove s è una data propensione marginale ( costante ) al risparmio.

Nell’ipotesi che all’infuori di I(t) non vi siano altri flussi di spesa ( parametrici ) che abbiano

influenza sul flusso del reddito, si può porre:

dY / dt = dI / dt · 1/s [1.1]

3) l’effetto dell’investimento sulla capacità produttiva è misurato dal cambiamento nella quantità

potenziale che il sistema economico è in grado di fornire; supponendo costante il rapporto

capacità-capitale, si può scrivere:

k / K = ρ

dove k indica la capacità o flusso potenziale di produzione annua e ρ il rapporto dato ( e costante )

capacità produttiva-capitale.

Da tutto ciò deriva che con una disponibilità K(t) di capitale il sistema economico è potenzialmente

capace di una produzione annua, o reddito, di k = ρK.

Si osservi che da k = ρK (ossia la funzione di produzione) discende che:

dk / dt = ρ · dK / dt = ρI [1.2]

Nel modello di Domar l’equilibrio è definito come una situazione nella quale la capacità produttiva

è completamente utilizzata; affinché ci sia equilibrio è, perciò, richiesto che la domanda aggregata

sia esattamente uguale alla produzione potenziale ottenibile in un anno e che cioè sia Y = k.

Se si parte da una situazione iniziale di equilibrio, basterà che vi sia bilanciamento tra le variazioni

della capacità produttiva e della domanda aggregata, cioè che sia:

dY / dt = dk / dt [1.3]

Per trovare l’andamento nel tempo dell’investimento I(t) che soddisfa in ogni momento questa

condizione di equilibrio bisogna sostituire, innanzitutto, le [1.1] e [1.2] nella condizione di

equilibrio [1.3]; si ottiene, così, l’equazione differenziale:

dI / dt · 1/s = ρI [1.4a]

riscrivibile come un’O.D.E. lineare del primo ordine omogenea a coefficienti costanti secondo la

formula:

dI / dt – ρsI = 0 [1.4b]

la cui soluzionestρe)(I)t(I 0

(dove )(I 0 indica il livello iniziale di investimento) rappresenta

l’andamento esponenziale di equilibrio (o richiesto) degli investimenti (un equilibrio mobile).

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Figura 1.1

Il risultato ha un significato economico alquanto inquietante: affinché si ottenga l’equilibrio nel

tempo tra la capacità produttiva e la domanda, il tasso d’investimento deve crescere esattamente al

tasso esponenziale di ρs.

E’ ovvio che, quanto più grande sarà il tasso richiesto di accrescimento degli investimenti, tanto più

grandi saranno il rapporto capacità produttiva-capitale e la propensione marginale al risparmio; ma

quale che sia il tasso, una volta conosciuti i valori di ρ e s, il richiesto accrescimento degli

investimenti risulta fissato in modo rigidissimo.

The razor’s edge (il filo del rasoio)

Viene spontaneo chiedersi che cosa succede nel momento in cui l’effettivo tasso di accrescimento

degli investimenti r differisce da quello richiesto ρs.

Domar propone la definizione di un coefficiente di utilizzo:

u = limt→∞ Y(t) / k(t) [1.5]

dove u = 1 significa piena utilizzazione della capacità produttiva, e dimostra che:

u = r / ρs [1.6]

cosicché il valore di u viene a dipendere dal rapporto tra tasso effettivo e tasso richiesto di

accrescimento degli investimenti.

In altre parole, se c’è discrepanza tra il saggio reale e quello richiesto si troverà alla fine per t→∞

un’insufficienza di capacità produttiva (i.e. u > 1) o un eccesso di questa (i.e. u < 1) a seconda che r

sia, rispettivamente, maggiore o minore di ρs.

E’ possibile dimostrare che questa conclusione, difetto o eccesso di capacità produttiva, è valida ad

ogni tempo t e non soltanto per t→∞. Un tasso di crescita r implica, infatti, che:

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rte)(I)t(I 0

e dI / dt =rte)(Ir 0 [1.7]

Perciò per le [1.1] e [1.2] si ha che:

dY / dt = 1/s · dI / dt = rte)(Is/r 0 [1.8]

dk / dt = rte)(Iρ)t(Iρ 0

[1.9]

Il rapporto tra queste due derivate:

(dY / dt) / (dk / dt) = r / ρs [1.10]

ci dice qual è, in qualsiasi tempo t, il rapporto tra i due effetti dell’investimento, quello sulla

domanda e quello sulla capacità produttiva, in conseguenza del saggio effettivo di incremento r. Se

r supera ρs, allora dY / dt > dk / dt, e l’effetto sulla domanda supererà l’effetto sulla capacità

produttiva, provocando un difetto di capacità produttiva; mutatis mutandis, se r < ρs, nascerà un

difetto di domanda aggregata e quindi un eccesso di capacità produttiva.

Il curioso di questa conclusione è che se l’investimento effettivo cresce realmente più in fretta del

richiesto ne risulterà un difetto e non eccesso di capacità produttiva ed è egualmente singolare che

se l’effettivo accrescimento dell’investimento resta indietro rispetto al ritmo richiesto si andrà in

contro ad un eccesso di capacità produttiva e non ad un difetto.

Quindi, in conseguenza di questo paradossale risultato, se si permette che gli imprenditori adattino

il saggio effettivo r, finora supposto costante, alla situazione prevalente della capacità produttiva,

essi certamente adotteranno la correzione «sbagliata». Nel caso che sia r > ρs, per esempio, il

difetto di capacità produttiva che ne risulta motiverà un saggio ancor più alto di investimento ma ciò

vorrà dire un aumento di r, invece di una sua riduzione, come richiederebbero le circostanze; di

conseguenza la divergenza tra i sentieri dei due tassi risulterà aumentata anziché ridotta: l’instabilità

è, perciò, insita ed autoaggravantesi.

La conclusione è che, date le due costanti parametriche ρ e s, l’unica via per evitare difetti o eccessi

di capacità produttiva è guidare il flusso degli investimenti lungo la linea di equilibrio (

perpetuamente in bilico ), con un saggio r* sempre uguale a ρs.

E’ evidente, quindi, come ogni deviazione da questo filo del rasoio si risolverà nel fatto che la piena

utilizzazione della capacità produttiva, prevista da Domar28

, non sarà mai soddisfatta; questa è forse

una prospettiva spiacevole, ma fortunatamente risultati più elastici si rendono possibili se alcune

ipotesi del modello vengono modificate, come si vedrà a proposito del modello di crescita di Solow.

28

Essendo il modello esogeno, esso non è idoneo a descrivere interventi dell’operatore pubblico per correggere

eventuali fallimenti del mercato; esso ha solo natura descrittiva del sistema e come vedremo occorre elaborare altri

modelli di tipo endogeno che permettono di fare un passo avanti attraverso l’introduzione di variabili di controllo

interne al modello.

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IL MODELLO SOLOW-SWAN

La struttura di base

Nel modello di Domar l’output è funzione esplicita del solo capitale secondo la formula k = ρK ( la

capacità produttiva o output potenziale è un multiplo costante dello stock di capitale ). L’assenza

dell’input lavoro nella funzione di produzione comporta l’implicazione che questo è sempre

combinato col capitale in proporzioni fisse, dimodoché sia possibile considerare esplicitamente uno

solo di questi fattori produttivi.

Il modello di crescita del professor Solow intende mostrare, tra le varie cose, che il sentiero del

«filo del rasoio» è fondamentalmente dovuto alle assunzioni adottate sulla funzione di produzione

(di tipo Leontief) e che sotto circostanze alternative il bisogno di bilanciamenti così delicati può

anche non emergere; ma il modello va ben al di là di ciò, in quanto oltre ad indagare l’esistenza di

un equilibrio ne analizza la sua stabilità.

La struttura di base fa riferimento all’equilibrio generale: il sistema economico preso in

considerazione è, infatti, costituito dalle famiglie, dalle imprese e dal mercato. Le famiglie scelgono

quale frazione del loro reddito destinare al consumo e quale al risparmio; ciascuna famiglia decide

poi quanti figli avere, se lavorare e quanto.

Le imprese, invece, acquistano gli input, come il capitale e lavoro, e li usano per produrre beni che

poi venderanno alle famiglie o alle altre imprese; sempre le imprese dispongono, inoltre, di

tecnologia – che può evolversi nel tempo – che permette loro di trasformare gli input in output.

Esistono, infine i mercati in cui le imprese e le famiglie si scambiano beni e input: sono così le

quantità domandate e offerte a determinare i prezzi relativi degli input e dei beni prodotti.

Per ragioni di semplicità, nel modello si fa riferimento ad uno scenario semplificato della realtà che

esclude mercati ed imprese ed in cui si ipotizza, invece, che gli individui (o i loro nuclei familiari)

siano al contempo produttori e consumatori, che non solo possiedano i fattori produttivi, ma che

siano anche in grado di trasformarli in beni.

La funzione di produzione aggregata assumerà la seguente forma:

Y(t) = F[ K(t), L(t), t] [1.11]

Dove Y(t) indica il flusso di beni prodotti al tempo t per date quantità di capitale e lavoro; si fa

dipendere la funzione di produzione dal tempo t cosicché possa riflettere gli effetti del progresso

tecnologico: è pacifico che lo stesso ammontare di capitale e lavoro producono un maggior prodotto

quando si è in presenza di una tecnologia più avanzata.

Per ipotesi, esiste un unico settore produttivo in cui si impiega un’unica tecnologia e si produce un

unico bene omogeneo che può essere consumato o investito per creare nuove unità di capitale.

Si assume, inoltre, che l’economia sia chiusa cosicché il prodotto sarà uguale al reddito e

l’ammontare investito sarà pari a quello risparmiato.

Sia s(·) la parte del reddito che viene risparmiata (i.e. il tasso di risparmio): considerando un arco

temporale costituito da più periodi, le famiglie, composte da individui razionali, scelgono se e

quanto risparmiare in ogni periodo, confrontando costi e benefici che derivano da ogni possibile

scelta; tale confronto tiene conto non solo dei parametri di preferenza, ma anche delle variabili che

descrivono lo stato dell’economia, quali il livello di ricchezza ed il tasso d’interesse.

Per facilitare l’analisi, Solow assume che il tasso di risparmio s(·) sia esogeno e pari ad una costante

s > 0.

Sempre per ipotesi, il capitale si deprezza ad un tasso costante pari a δ > 0; ciò vuol dire che in ogni

istante, una frazione costante dello stock di capitale si consuma e, quindi, non può più essere usata

per la produzione.

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L’incremento netto nello stock di capitale fisico in un certo istante sarà così eguale all’investimento

meno il deprezzamento del capitale stesso:

K = I – δK = s · F(K,L) – δK [1.12]

è questa l’equazione fondamentale del modello che determina la dinamica del capitale nel tempo.

La forza lavoro L varia nel tempo, poiché cresce la popolazione e cambiano i tassi di occupazione

nonché l’ammontare di tempo dedicato al lavoro da un tipico lavoratore; la crescita della

popolazione dipende, a sua volta, dai tassi di fecondità, mortalità e migrazione. In questo modello si

semplifica un tale scenario, assumendo che la popolazione cresca secondo un tasso costante ed

esogeno, pari a L' / L = n ≥ 0 e che ciascun individuo lavori con la stessa intensità; normalizzando

ad uno la popolazione lavorativa totale e l’intensità del lavoro pro capite al tempo 0, la popolazione

e la forza lavoro al tempo t sono uguali a:

L(t) = e nt

[1.13]

Se L(t) è data da questa equazione e non vi è progresso tecnologico allora l’equazione [1.12]

determina i sentieri temporali di crescita del capitale K, e del prodotto Y: essi dipendono in modo

decisivo dalle proprietà della funzione di produzione F(·); infatti, sembra che anche piccole

differenze nelle assunzioni sulla funzione di produzione aggregata siano in grado di generare teorie

radicalmente diverse.

La funzione di produzione neoclassica

Ignorando il progresso tecnologico, la funzione di produzione definita dall’equazione [1.11] assume

la seguente forma:

Y = F(K,L) [1.14]

La funzione di produzione è neoclassica se sono soddisfatte le seguenti tre proprietà:

1) per ogni K > 0 e L > 0, F(·) è tale che i prodotti marginali di ciascun fattore produttivo,

considerato singolarmente, sono positivi ma decrescenti:

∂F / ∂K > 0 ∂ 2F / ∂K < 0

[1.15a]

∂F / ∂L > 0 ∂ 2F / ∂L < 0

2) F(·) ha rendimenti di scala costanti (i.e., è omogenea di grado 1) ed è quindi in grado di

replicare esattamente la produzione di un certo fattore λ:

F(λK, λL) = λ · F(K,L) per ogni λ > 0 [1.15b]

3) F(·) soddisfa le condizioni di Uzawa-Inada, ossia i limiti dei prodotti marginali di entrambi i

fattori tendono ad infinito quando il fattore tende a zero e, viceversa, tendono a zero quando

ciascuno dei fattori tende ad infinito:

lim (FK) = lim (FL) = ∞

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K→0 L→0

[1.15c]

lim (FK) = lim (FL) = 0

K→∞ L→∞

La prima condizione segnala come ogni isoquanto nel piano K,L ha inclinazione negativa, cioè

derivata prima pari a KL FF ; per di più, l’esistenza delle derivate seconde garantisce ad ogni

isoquanto una forma «liscia», senza spigoli. Questa caratteristica matematica, in termini economici,

implica che l’isoquanto non sia, in nessun tratto, il risultato di combinazioni lineari di un numero

finito di tecnologie; si può, quindi, dire che in questo contesto si sostiene l’ipotesi forte che esistono

un’infinità di tecniche produttive diverse, ma tutte economicamente efficienti, ovvero una

sostituibilità infinita tra i fattori produttivi.

La condizione che i rendimenti di scala siano costanti, quando i fattori produttivi sono incrementati

congiuntamente e nella stessa misura, implica che il prodotto può essere riscritto come:

Y = F(K,L) = L · F(K/L,1) = L · f(k) [1.16]

avendo posto λ = 1/L > 0. Il fattore k ≡ K/L è il rapporto tra capitale e lavoro ovvero il capitale per

occupato; analogamente, y = Y/L è definibile come il prodotto pro capite; la funzione f(k) equivale a

F(k,1).

A questo punto è, allora, possibile esprimere la funzione di produzione nella seguente forma

intensiva, cioè in termini di prodotto per addetto:

y = f(k) [1.17]

Servendosi della condizione Y = L · f(k), si ricavano facilmente le due derivate parziali rispetto ad

entrambi i fattori produttivi:

∂Y / ∂K = L · f’(K/L) · 1/L = f’(k)

[1.18]

∂Y / ∂L = f(K/L) + L · f’(K/L) · -(K/L2) = f(k) – k · f’(k)

Le produttività marginali dipendono solo dal rapporto K/L e sono entrambe omogenee di grado

zero, ossia, non sono sensibili rispetto a variazioni proporzionali dei fattori.

Le condizioni di Inada implicano che limk→0 [f’(k)] = ∞ e limk→∞ [f’(k)] = 0.

Le proprietà neoclassiche della funzione di produzione implicano che ciascun fattore produttivo è

essenziale per la produzione, cioè, F(0,L) = F(K,0) = f(0) = 0; sempre dalle stesse proprietà

consegue che l’l’output prodotto tende ad infinito se l’uno o l’altro fattore produttivo tende ad

infinito.

L’equazione dinamica fondamentale per lo stock di capitale

Analizzando il comportamento dinamico dell’economia descritta da una funzione di produzione

neoclassica se ne deriva il modello di crescita di Solow-Swan.

Le relazioni di base del modello, considerate tutte congiuntamente, sono:

Y = F(K,L) = L · f(k,1) = L · f(k) [1.19a]

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S = sY = sL · f(k) [1.19b]

K = I – δK [1.19c]

K = sY – δK [1.19d]

L = e nt

[1.19e]

Questo insieme di equazioni costituisce un modello completo che, per essere risolto, necessita la

condensazione delle relazioni summenzionate in una singola equazione di una variabile.

L’equazione [1.19d] implica che I = S e l’equazione [1.19e] implica che la forza lavoro sia

completamente impiegata. Osservando le relazioni, però, ci si accorge che queste non appaiono in

termini pro capite. Considerando la definizione di k = K / L si può scrivere:

K ≡ kent

[1.20]

Poiché la relazione [1.20] è un’identità le derivate di ambo i membri sono uguali; differenziando

ambo i membri rispetto al tempo si ottiene:

ntnt kneekK [1.21]

Da cui, considerando le relazioni [1.19a], [1.19d] e [1.19e] si può scrivere:

sent

· f(k) – δkent

= ntek + kne

nt [1.22]

semplificando il termine ent

e riordinando si ricava:

k = s · f(k) – (n + δ) · k [1.23]

E’ questa l’equazione differenziale fondamentale del modello di Solow-Swan; essa non è lineare e

dipende unicamente da k. Il coefficiente (n + δ) può essere considerato come l’effettivo tasso di

deprezzamento del rapporto capitale-lavoro k; se il tasso di risparmio s fosse nullo, allora k

diminuirebbe in parte per il deprezzamento di K al tasso δ ed in parte per l’incremento di L al tasso

n.

La figura 1.2 mostra come funziona l’equazione [1.23]: la curva più in alto è la funzione di

produzione f(k) e l’investimento lordo s · f(k) è proporzionale alla stessa funzione (le condizioni di

Inada implicano che la funzione sia verticale per k = 0 e diventi orizzontale per k che tende

all’infinito); l’altro termine dell’equazione è rappresentato come una retta uscente dall’origine con

inclinazione pari a (n + δ). Il consumo è pari alla differenza verticale tra f(k) e s · f(k).

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Figura1.2

La crescita uniforme

La crescita uniforme o bilanciata (steady state) corrisponde alla situazione in cui le diverse

grandezze considerate crescono armonicamente a tassi costanti: è questa una generalizzazione del

c.d. stato stazionario di massimo disordine o punto di massima entropia (stationary state) in cui tutte

le grandezze restano costanti ossia «crescono» ad un tasso nullo.

Nel modello di Solow-Swan, il punto della crescita uniforme corrisponde a k = 0 nell’equazione

dinamica fondamentale, cioè all’intersezione della curva s · f(k) con la retta (n + δ) · k nella figura

1.2; il valore corrispondente di k è indicato con k*.

Algebricamente k* soddisfa la condizione:

s · f(k*) = (n + δ) · k* [1.24]

Poiché k è costante nella crescita uniforme, anche y e c sono costanti ed assumono rispettivamente i

valori y* = f(k*) e c* = (1 – s) · f(k*).

Dunque, secondo il modello neoclassico, il non equilibrio è una perturbazione transitoria che

ostacola, ma solo temporaneamente, il raggiungimento di una struttura di equilibrio ben identificata.

Nello stato stazionario le grandezze pro capite k, y e c rimangono costanti, mentre i livelli delle

stesse variabili aggregate K, Y e C crescono al tasso di crescita della popolazione n.

Variazioni nel livello della tecnologia ( rappresentate da spostamenti della funzione di produzione

f(·) ), nel tasso di risparmio s, nel tasso di crescita della popolazione n e nel tasso di deprezzamento

del capitale δ hanno effetti sui livelli pro capite assunti dalle diverse grandezze nella crescita

uniforme. Una variazione proporzionale verso l’alto della funzione di produzione (i.e. un

miglioramento tecnologico) o un incremento del saggio di risparmio spostano la curva

dell’investimento lordo s · f(k) verso l’alto facendo aumentare k*; viceversa un incremento di n o δ

fa aumentare l’inclinazione della retta del deprezzamento effettivo (n + δ) · k e comporta una

diminuzione di k*.

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E’ importante notare che tutte le variazioni summentovate non hanno effetti sui tassi di incremento

del prodotto, del capitale e del consumo pro capite che, nella crescita uniforme, sono tutti pari a

zero.

Per questa ragione il modello, così come è stato presentato, non è in grado di spiegare le

determinanti della crescita di lungo periodo delle grandezze pro capite.

La regola d’oro dell’accumulazione del capitale e l’inefficienza dinamica

Un’interessante conclusione tratta dal modello neoclassico è la cosiddetta golden rule la quale mette

in evidenza che l’obiettivo del pianificatore oltre ad essere quello del generale equilibrio è anche e

soprattutto quello di massimizzare il consumo nel breve e nel lungo periodo.

Per una data funzione di produzione e per dati valori di n e δ, nella crescita uniforme esiste un unico

valore di k* > 0 per ogni valore del tasso di risparmio s (una corrispondenza biunivoca); indicando

tale relazione con k*(s), con dk*(s )/ds > 0, il corrispondente livello di consumo pro capite sarà c*

= (1 – s) · f[k*(s)].

E’ noto dall’equazione [1.24] che s · f(k*) = (n + δ) · k*; perciò è possibile scrivere la seguente

espressione per c*:

c*(s) = f[k*(s)] – (n + δ) · k*(s) [1.25]

Figura 1.3

La figura 1.3 mostra la relazione tra c* e s, così come definita dall’equazione [1.25]: la variabile

c*(s) è nulla quando non si risparmia per niente o si risparmia tutto il reddito ed è crescente per

bassi valori di s e decrescente per elevati valori di s. La grandezza c* raggiunge il suo massimo

quando la derivata prima è nulla, ovvero quando [f’(k*) – (n + δ)] · dk* / ds = 0; ora poiché dk* / ds

è sempre positiva la condizione di massimo implica che l’espressione tra parentesi quadre sia nulla

(i.e. la produttività marginale del capitale per addetto nel punto di ottimo deve essere uguale al tasso

esogeno di deprezzamento effettivo del capitale). Se si indica con kgold il valore di k* in

corrispondenza del massimo di c*, allora kgold è determinato da:

f’(kgold) = n + δ [1.26]

Il corrispondente tasso di risparmio può essere indicato con sgold ed il livello di consumo pro capite

ad esso associato sarà cgold = f(kgold) – (n + δ) · kgold.

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La condizione definita nell’equazione [1.26] viene chiamata regola aurea dell’accumulazione del

capitale: in termini economici tale regola è interpretata nel senso che se si prevede uno stesso livello

di consumo per tutti i membri delle generazioni presenti e future, preoccupandosi, quindi, anche di

quanto potranno consumare i nostri figli, allora il massimo livello di consumo pro capite consentito

è dato da cgold.

Figura 1.4

La figura 1.4 illustra la regola aurea: nel grafico sono indicati tre diversi livelli di propensione al

risparmio con s1 < sgold < s2; il consumo pro capite c è determinato in ciascun caso dalla distanza

verticale tra la funzione di produzione f(k) e la corrispondente curva dell’investimento lordo s · f(k).

Per ogni s, il valore di k* nella crescita uniforme è dato dall’intersezione tra la curva s · f(k) e la

retta (n + δ) · k. Il consumo pro capite nella crescita uniforme è massimo quando k* = kgold poiché

in quel punto la tangente alla funzione di produzione è parallela alla retta del deprezzamento

effettivo. Il tasso di risparmio che rende k* = kgold è quello che consente alla curva s · f(k) di

intersecare la retta (n + δ) · k in corrispondenza di kgold. Dato che s1 < sgold < s2 si può notare che k1*

< kgold < k2*.

Ci si può chiedere se esista un tasso di risparmio preferibile agli altri: in effetti, non sarà possibile

individuare un tasso di risparmio ottimale (o capire se una propensione al risparmio costante sia

desiderabile) sino a quando non sarà specificata in modo dettagliato la funzione obiettivo, ma ciò

non toglie che un tasso di risparmio che eccede quello aureo è dinamicamente inefficiente, poiché

riduce il consumo nel breve e nel lungo periodo. A tale proposito si consideri un’economia con

tasso di risparmio maggiore di quello aureo: tale situazione è rappresentata in figura 1.4 con

s2 > sgold, k2 > kgold e c2 < cgold; si ipotizzi, inoltre, di partire da una condizione di crescita uniforme e

che il tasso di risparmio si riduca, in modo permanente, al livello sgold: ciò fa sì che il consumo pro

capite c inizialmente cresce di un certo ammontare e poi inizia a ridursi monotònamente durante

tutta la fase di transizione verso il nuovo livello della crescita uniforme cgold. Dato che c2* < cgold, si

può facilmente dedurre che c eccede il suo precedente valore c2* in ogni fase dell’aggiustamento: è,

quindi, evidente che quando il tasso di risparmio eccede quello di livello aureo il consumo pro

capite potrebbe esser aumentato in ogni momento, semplicemente diminuendo il tasso di risparmio;

un’economia che risparmia troppo è detta dinamicamente inefficiente, poiché il sentiero di crescita

del consumo pro capite giace in ogni istante al di sotto di possibili migliori sentieri alternativi. A

dire il vero, questo esempio è più che altro teorico, in quanto l’evidenza empirica mostra che tutti i

paesi si trovano al di sotto del loro livello di risparmio aureo.

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Se, invece, s < sgold allora il consumo pro capite nella crescita uniforme può essere aumentato

tramite un incremento del tasso di risparmio che, sì ridurrebbe il consumo al tempo corrente e

durante una certa fase del processo di aggiustamento, ma, nel lungo periodo, lo farebbe certamente

aumentare: questo pone in essere un problema di trade-off che necessita la conoscenza di specifiche

ipotesi su come gli agenti scontano i flussi futuri di consumo.

La regola aurea verrà ripresa e sviluppata ulteriormente nel contesto della crescita ottima mediante

un’analisi funzionale che si avvale di strumenti matematici più raffinati quali il classico calcolo

delle variazioni e la più moderna teoria del controllo ottimo sviluppata dall’équipe di matematici

russi L.S. Pontryagin, V.G. Boltyanskii, R.V. Gamkrelidze ed E.R. Mishchenko (ufficialmente

«occidentalizzata» solo nel 1962, grazie alla traduzione in lingua inglese ad opera di K.W.

Trirogoff).

Dinamiche di transizione

Nel modello Solow-Swan i tassi di crescita di lungo periodo sono interamente determinati da

variabili esogene: è, così, naturale che tale modello permetta solo conclusioni negative sul

comportamento dell’economia nel lungo periodo, affermando, per esempio, che i tassi della crescita

uniforme non dipendono né dalla propensione al risparmio né dal livello della funzione di

produzione che al più produrranno effetti temporanei ma, sicuramente, destinati ad esaurirsi.

Il modello ha, comunque, interessanti implicazioni per ciò che riguarda la dinamica di transizione:

da questa si deduce che il reddito pro capite di un’economia converge al livello della crescita

uniforme ed al livello del reddito pro capite delle altre economie (c.d. convergenza β assoluta).

Nondimeno, il sistema descritto è localmente stabile in un intorno di k*; ciò può essere dimostrato

per mezzo della funzione continua e differenziabile di Liapunov 2k)δn()k(fs)k(V

dove per ogni k vicino k* valgono le seguenti proprietà, come da teorema di esistenza:

0)k(V

0*)k(V

02 k)δn()k(fsk)δn()k(fsdt)k(dV che assume valore

nullo in corrispondenza del punto di equilibrio k*.

Dividendo entrambi i membri dell’equazione [1.23] per k, si ottiene il corrispettivo tasso di crescita

del capitale pro capite:

γk k / k = s · f(k) / k – (n + δ) [1.27]

In ogni istante, il tasso di crescita di una variabile equivale al tasso di crescita della variabile pro

capite aumentato di n per cui γK = γk + n.

L’equazione [1.27] evidenzia come γk sia dato dalla differenza tra i due termini s · f(k) / k e (n + δ)

che sono rappresentati, separatamente, nel diagramma di crescita della figura 1.5a e,

congiuntamente, nella versione diagramma di fase della figura 1.5b: il primo termine è una funzione

inclinata negativamente che tende ad infinito per k che tende a zero e, all'opposto, tende a zero per k

che tende ad infinito; il secondo termine è una retta parallela all’asse delle ascisse di ordinata pari a

(n + δ). La distanza verticale tra le due curve coincide con il tasso di crescita e l’intersezione tra le

due funzioni corrisponde alla crescita uniforme.

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Dato che (n + δ) > 0 e che k)k(fs è monotònamente decrescente tra zero e infinito, la retta e

la curva si intersecano una sola volta: questo significa che il capitale pro capite nella crescita

uniforme k* esiste ed è unico.

Entrambe le figure 1.5 mostrano che il tasso di crescita alla sinistra di k* è positivo e che, quindi,

come indicano le frecce, k cresce nel tempo, ma, appena k aumenta, γk diminuisce e tende sempre

più a zero via via che k si avvicina a k*: l’economia tende asintoticamente alla crescita uniforme, in

cui k, c e y non variano.

Figura 1.5a

Figura 1.5b

La causa di simili risultati è la legge dei rendimenti decrescenti del capitale: se k è basso, il prodotto

medio del capitale f(k)/k è elevato; per ipotesi una frazione costante s del capitale viene risparmiata

ed investita dalle famiglie così anche s · f(k )/k

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è proporzionalmente elevato e superiore al tasso di deprezzamento (n + δ); un’analoga spiegazione

vale per il caso in cui l’economia dispone di un capitale eccessivo )(ke 0 > k*: in questo caso il

tasso di crescita di k è negativo e lo fa diminuire nel tempo.

Dall’analisi qualitativa sopra effettuata è possibile affermare che il sistema è, anche e soprattutto,

asintoticamente e globalmente stabile; per qualsiasi valore iniziale )(k 0 > 0 l’economia converge

verso il suo unico livello della crescita uniforme k* definibile come un attrattore con bacino di

attrazione pari all’asse positivo escluso lo zero (i.e. per ogni stato iniziale positivo per quanto

infinitesimo).

Quindi ciò che il modello in definitiva mostra è che, dato un tasso di crescita della popolazione (e

della forza lavoro) n, l’economia in se stessa, e senza il delicato bilanciamento alla Domar,

raggiunge lo stato stazionario.

Ritardo, rincorsa e convergenza β assoluta e condizionata

L’equazione [1.27] implica che la derivata di γk rispetto a k sia negativa:

∂γk / ∂k = s · [ f’(k) – f(k) / k ] / k < 0 [1.28]

quindi, valori più piccoli di k sono associati a valori più grandi di γk. Un tale risultato consente di

poter affermare, almeno ad un livello puramente teorico, che economie con capitali pro capite più

bassi tendono a crescere più velocemente in termini pro capite: in altre parole, c’è una tendenza alla

convergenza tra le diverse economie.

Questo risultato però necessita di precisazioni: affinché ciò avvenga tali economie (chiuse) devono

avere gli stessi valori per i parametri s, n e δ ed anche la stessa funzione di produzione e, quindi lo

stesso livello di tecnologia; le economie, allora, nella crescita uniforme avranno gli stessi valori k*,

y* e c*. Se si fa riferimento a due economie la cui unica differenza sia la quantità iniziale di capitale

pro capite )(k 0 , dovuta, per esempio, a disturbi passati quali guerre o shock nella funzione di

produzione, il modello dice, allora, che le economie meno avanzate avranno sicuramente tassi di

crescita più alti.

La figura 1.6 distingue due economie, una con valore iniziale basso, )(k p 0 , ed un’altra con un

valore iniziale più elevato )(kr 0 , in cui i pedici stanno, appunto, ad indicare il paese povero ed il

paese ricco: poiché ciascuna economia è caratterizzata dagli stessi parametri, le dinamiche di k sono

determinate per entrambi i paesi dalle stesse funzioni. Il tasso di crescita è indubbiamente più alto

per l’economia con valore iniziale più basso: tale risultato implica una forma di convergenza che

farà raggiungere (ma non scavalcare) le economie con rapporti capitale/lavoro più elevati.

Figura 1.6

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Se l’unico elemento discriminante tra due economie è l’ammontare iniziale di capitale pro capite,

allora l’ipotesi secondo cui i paesi poveri tendono a crescere in termini pro capite più velocemente

di quelli più ricchi è denominata convergenza assoluta: questa ipotesi non sempre è confortata

dall’evidenza empirica che si riscontra confrontando i dati rilevati da gruppi di economie diverse.

L’ipotesi della convergenza regge, invece, se si esaminano gruppi omogenei di economie come, ad

esempio, i singoli stati degli USA ciascuno considerato come un sistema produttivo «a

compartimento stagno», separato ed indipendente dagli altri.

E’ possibile adattare la teoria ai risultati empirici sulla convergenza, abbandonando l’ipotesi

secondo cui tutte le economie hanno gli stessi parametri e quindi gli stessi valori nella crescita

uniforme; se le posizioni nella crescita uniforme sono differenti, allora bisogna modificare l’analisi,

per considerare un concetto di convergenza condizionata: l’idea principale è che un’economia

cresce più velocemente quanto più è distante dal suo valore di crescita uniforme.

Il concetto di convergenza condizionata è ben illustrato in figura 1.6, nella quale si considera una

coppia di economie che differiscono per due aspetti:

1) gli stock di capitale pro capite iniziale sono diversi, con kr(0) > kp(0);

2) i tassi di risparmio sono differenti, i.e. sr ≠ sp.

La disuguaglianza tra i tassi di risparmio determina differenze dei valori del capitale pro capite nella

crescita uniforme, quindi kr* > ks*. Il grafico considera la situazione in cui sp < sr dato che questa

relazione può spiegare, verosimilmente, la maggiore dotazione di capitale iniziale per il paese ricco;

ciò è riscontrato anche dall’evidenza empirica che mostra come paesi con livelli di PIL reale pro

capite più elevato tendono ad avere tassi di risparmio più alti. Il modello neoclassico predice che

ciascuna economia converge alla crescita uniforme e che la velocità di convergenza è inversamente

correlata alla distanza di k da k*. Poiché il valore di k* dipende dalla propensione al risparmio s, se

l’economia più ricca ha un tasso di risparmio più alto allora si può tranquillamente verificare il caso

in cui γr > γp ossia un’economia povera cresce più lentamente di una ricca.

Algebricamente è possibile illustrare il concetto di convergenza condizionata ritornando alla

formula di γk nell’equazione [1.27]: una delle determinanti di γk è il tasso di risparmio s; servendosi

della condizione della crescita uniforme nell’equazione [1.24], è possibile esprimere s nel modo

seguente:

s = (n + δ) · k* / f(k*)

Se si sostituisce questa espressione nell’equazione [1.27], allora γk diventa:

γk = (n + δ) · { [f(k) / k] / [f(k*) / k*] – 1 } [1.29]

Dall’equazione [1.29] si ricava che γk = 0 quando k = k*. Per un dato k*, la formula implica che una

riduzione in k, che fa aumentare il prodotto medio del capitale f(k) / k, incrementi γk; ma un più

basso valore di k si accompagna ad un più alto γk solo se f(k)/k è elevato in relazione al valore nella

crescita uniforme, perciò un paese povero potrebbe non crescere rapidamente se il suo valore k*

nella crescita uniforme fosse basso quanto il suo valore corrente k.

Il progresso tecnologico

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E’ stata fatta, fin qui, l’assunzione di un livello di tecnologia costante nel tempo; come risultato di

questa ipotesi forte si è riscontrato che nel lungo periodo tutte le variabili pro capite sono costanti:

questa caratterizzazione del modello è chiaramente irrealistica, poiché in alcuni stati il tasso di

crescita del PIL pro capite è positivo da oltre due secoli e, in assenza di progresso tecnologico, i

rendimenti di scala decrescenti avrebbero reso impossibile il mantenimento di una crescita pro

capite positiva per così tanto tempo solo accumulando più capitale per lavoratore. Gli economisti

neoclassici degli anni Sessanta hanno riconosciuto questo limite ed hanno modificato il modello per

permettere alla tecnologia di migliorare nel tempo: tale aggiustamento ha fornito una scappatoia dai

rendimenti decrescenti, permettendo al modello di descrivere la crescita dell’economia in termini

pro capite anche nel lungo periodo.

La maggior parte degli incrementi tecnologici riflettono un’attività pianificata di Ricerca &

Sviluppo condotta da Università, imprese, poli tecnologici o laboratori governativi; poiché

l’ammontare delle risorse destinate all’attività di R&D dipende dalle condizioni economiche, anche

l’evoluzione tecnologica è soggetta a tali condizioni.

Per semplicità il modello Solow-Swan rivisitato considera una situazione in cui il progresso

tecnologico è esogeno e costante.

In un modello neoclassico di crescita economica con tasso di progresso tecnologico costante, solo

una tecnologia del tipo aumentante il lavoro (neutralità nel senso di Harrod) è compatibile con

l’esistenza della crescita uniforme. Questo implica che la funzione di produzione debba avere la

seguente forma:

Y = F[K, A(t) · L] [1.30]

dove A(t) ≥ 0 è un indice della tecnologia e )t(A ≥ 0. Il prodotto L · A(t) è anche definito lavoro

per unità di efficienza: considerando il modo in cui tecnologia e lavoro sono interrelati è possibile

concludere che essi siano perfetti sostituti.

Un caso accademico particolarmente favorevole si ha nel momento in cui la funzione di produzione

è una Cobb-Douglas: in tal caso si ottiene contemporaneamente neutralità nel senso di Harrod, nel

senso «speculare» di Solow (i.e., una tecnologia del tipo aumentante il capitale) e,

conseguentemente, nel senso di Hicks (i.e., una tecnologia aumentante entrambi i fattori produttivi).

Sulla base di questa equazione si può pensare al progresso tecnologico in due modi equivalenti:

1) dato lo stock di capitale esistente, il progresso tecnologico riduce il numero dei lavoratori

necessari per ottenere una data quantità di prodotto: un valore doppio di A(t) produce la stessa

quantità di prodotto con la metà dei lavoratori;

2) il progresso tecnologico aumenta L · A(t), l’ammontare di lavoro effettivo nell’economia: se lo

stato della tecnologia raddoppia, è come se l’economia avesse il doppio dei lavoratori.

Una volta inserito nella funzione di produzione il termine che indica lo stato della tecnologia A(t),

viene ipotizzato che esso cresca ad un tasso esogeno e costante x.

La condizione per una variazione nello stock di capitale è:

K = s · F[K, A(t) · L] – δK [1.31]

Dividendo entrambi i membri di questa equazione per L, è possibile derivare un’equazione per la

variazione di k nel tempo:

k = s · F[k, A(t)] – (n + δ) · k [1.32]

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L’unica differenza con l’equazione [1.23] è che il prodotto pro capite ora dipende dal livello della

tecnologia A(t).

Dividendo entrambi i membri dell’equazione [1.32] per k, si ottiene, come già visto

precedentemente, il tasso di crescita del capitale per addetto:

γk = s · F[k, A(t)] / k – (n + δ) [1.33]

Come nell’equazione [1.27], γk è uguale alla differenza tra due termini, dove il primo è il prodotto

tra s e il prodotto medio del capitale ed il secondo è n + δ; l’unica differenza è che, ora, per un dato

k, il prodotto medio del capitale, F[k, A(t)] / k, aumenta nel tempo a causa della crescita di A(t) al

tasso x. In termini della figura 1.5a, la curva rivolta verso il basso, s · F(·) / k, si sposta

continuamente verso destra, e, con essa anche il livello di k*.

Passando, ora, al tasso di crescita di k nella crescita uniforme, questo è, per definizione, costante

nello steady state; poiché s, n e δ sono anch’essi costanti, l’equazione [1.33] implica che il prodotto

medio del capitale sia anch’esso costante. A causa dei rendimenti di scala costanti, l’espressione del

prodotto medio è uguale a F[1, A(t)] / k ed è perciò costante solo se k ed A(t) crescono allo stesso

tasso, cioè γk* = x. Il prodotto pro capite è dato da:

y = F[k, A(t)] = k · F[1, A(t)/k] [1.34]

Poiché k e A(t) aumentano al tasso x anche il tasso di crescita uniforme di y è pari a x, inoltre, dato

che c = (1 – s) · y, anche il tasso di crescita uniforme di c è pari a x.

Per analizzare la dinamica di transizione del modello con progresso tecnologico, sarà conveniente

riscrivere il sistema in termini di variabili che rimangono costanti nella crescita uniforme; dato che

k e A(t) nella crescita uniforme si sviluppano allo stesso tasso, si può lavorare con il rapporto

)]t(AL/[K)t(A/kk , definibile come la quantità di capitale per unità di lavoro

effettivo. La quantità di prodotto per unità di lavoro effettivo, )]t(AL/[Yy , è, così, data da:

)k(f),k(Fy 1 [1.35]

Quindi si può ancora scrivere la funzione di produzione nella forma intensiva, sostituendo y e k con

y e k ; procedendo come in precedenza e tenendo conto che A(t) cresce al tasso x, si deriva

l’equazione dinamica di k ed il relativo tasso di crescita kγ :

)δnx(k/)k(fsγk [1.36]

Si può notare come l’effettivo tasso di deprezzamento del capitale include, ora, il valore

parametrico x. Poiché il tasso di crescita uniforme di k è zero, il valore di crescita uniforme per *k

soddisfa la condizione:

*k)δnx(*)k(fs [1.37]

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Figura 1.7

Le dinamiche, nella fase di aggiustamento di k , sono qualitativamente simili a quelle di k nel

precedente modello, perciò sarà possibile costruire una figura come la 1.5a in cui riportare sull’asse

orizzontale k , ed in cui la curva inclinata negativamente è ora k/)k(fs , mentre la retta

orizzontale corrisponde a (x + n + δ); questa nuova costruzione è riportata in figura 1.7: grazie a

questa figura, è possibile, ancora una volta, stimare la relazione tra il valore iniziale )(k 0 ed il

tasso di crescita kγ .

Nella crescita uniforme le variabili k , y e c sono ora costanti; ciò implica che nella crescita

uniforme le variabili pro capite k, y e c crescono al tasso esogeno del progresso tecnologico x e le

variabili assolute K, Y e C crescono al tasso, anch’esso esogeno, n + x. Va notato che, come nella

precedente analisi senza il progresso, cambiamenti nel tasso di risparmio o nei parametri hanno

effetti sui livelli di lungo periodo *k , *y e *c , ma non sui relativi tassi di crescita.

CRESCITA CON OTTIMIZZAZIONE DEL CONSUMO: IL MODELLO DI

RAMSEY

Un’evidente carenza dei modelli precedentemente analizzati è costituita dal fatto che il tasso di

risparmio è esogeno e costante; in questo contesto si assume, invece, che il consumo e, di riflesso, il

tasso di risparmio sono determinati dalle famiglie e dalle imprese che, interagendo sui mercati

competitivi, cercano di massimizzare le loro utilità ed i loro profitti: in particolare, si farà

riferimento a consumatori con orizzonte temporale infinito, che scelgono di consumare o

risparmiare, in modo da massimizzare la loro utilità intergenerazionale, sotto un vincolo di bilancio

intertemporale. Questa specificazione del comportamento del consumatore è l’elemento chiave del

modello di crescita elaborato da Ramsey nel 1928 e rivisitato e sviluppato da Cass e Koopmans

verso la metà degli anni Sessanta.

Questo modello consente di affermare che, in generale, il tasso di risparmio non è costante, ma è

una funzione dello stock di capitale pro capite, k; emergono, quindi, due differenze sostanziali

rispetto al modello di Solow-Swan: prima di tutto, si determina il livello medio del tasso di

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risparmio, e, in secondo luogo, si determina se questo aumenta o diminuisce con lo svilupparsi

dell’economia.

Il livello medio del tasso di risparmio è enormemente importante per la determinazione dei livelli

medi delle variabili nella crescita uniforme: in particolare, le condizioni di ottimizzazione nel

modello di Ramsey non permettono che si verifichi l’inefficienza data da un eccesso di risparmio,

come, invece, poteva avvenire nel modello di Solow-Swan.

La tendenza dei tassi di risparmio ad aumentare o diminuire di pari passo con la crescita economica

modifica le dinamiche di transizione, come, ad esempio, la velocità di convergenza verso la crescita

uniforme: se il tasso di risparmio cresce con k, la velocità di convergenza è inferiore a quella del

modello di Solow-Swan, e viceversa. Nel modello di Ramsey, comunque, anche se il tasso di

risparmio è crescente, sotto ragionevoli condizioni generali, la proprietà di convergenza continua ad

essere verificata: questo significa che un’economia tende ancora a crescere tanto più rapidamente in

termini pro capite, quanto maggiore è la distanza che la separa dalla sua crescita uniforme.

Tuttavia, esiste sicuramente un legame tra i due modelli, in quanto, i metodi di soluzioni numeriche

suggeriscono che il modello di Solow-Swan con tasso di risparmio costante costituisce

un’accettabile approssimazione al processo di ottimizzazione del modello di Ramsey per

ragionevoli valori dei parametri.

L’evidenza empirica suggerisce che, durante il processo di aggiustamento verso la crescita

uniforme, il tasso di risparmio cresce con il reddito pro capite: il modello di Ramsey è coerente con

questa tendenza e consente di valutare gli effetti di questo comportamento del risparmio sulle

dinamiche di transizione.

Impostazione del modello

Le famiglie

Le famiglie operano nel sistema economico in modi diversi: offrono la forza lavoro in cambio di

salario, percepiscono gli interessi che maturano sulle attività, acquistano beni di consumo e

risparmiano per accumulare ulteriori attività.

Nel pianificare le loro scelte economiche, gli adulti tengono in considerazione sia i loro figli sia tutti

i loro futuri discendenti: è possibile esprimere questo comportamento nel modello tramite

l’assunzione che la generazione attuale massimizzi l’utilità sotto un vincolo relativo ad un orizzonte

infinito; ciò significa che, benché ciascun individuo abbia un’esistenza finita, in realtà, si sta

prendendo in considerazione una famiglia estesa con vita infinita, ma questo principio è vero solo se

i genitori sono altruisti, ovvero se conservano e trasmettono ai loro figli il patrimonio. La famiglia

con vita illimitata è costituita da individui con vita finita ma legati tra loro da trasferimenti

intergenerazionali.

Gli adulti attualmente esistenti ritengono che la dimensione della propria famiglia cresca nel tempo

al tasso esogeno e constante n, per gli effetti netti del tasso di fecondità e mortalità; per ipotesi, non

è ammesso che possano verificarsi fenomeni di migrazione. Normalizzando il numero di adulti al

tempo 0, cioè ponendolo uguale ad uno, la dimensione della famiglia al tempo t ( i.e. la popolazione

adulta ) sarà pari a L(t) = ent

.

Se C(t) è il consumo totale al tempo t, allora c(t) = C(t) / L(t) rappresenta il consumo pro capite;

ciascuna famiglia vuole massimizzare la propria utilità, U, espressa dal funzionale d’azione:

U =

0

u[c(t)] ∙ ent

∙ e-ρt

dt [1.38]

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Questa formulazione assume che l’utilità della famiglia al tempo 0 sia costituita dalla somma

ponderata di tutti i futuri flussi di utilità u(c) fino alla fine del mondo: esiste un generale consenso

tra gli economisti per questa impostazione, rispetto a quella in cui si valuta il funzionale sino ad un

tempo finito T ( punto di cut-off ), per una serie di ragioni.

La più importante, dal punto di vista deontologico, è che in questo tipo di formulazione emerge il

problema cruciale di specificare il capitale residuo alla fine del periodo di programmazione, che

influirà pesantemente sul sentiero di consumo delle generazioni che dovranno vivere nel periodo

successivo alla pianificazione.

Un altra ragione per ripudiare un orizzonte finito è data dal fatto che un programma ottimo non è

assolutamente indipendente dalla lunghezza dell’orizzonte di programmazione; quanto detto si può

dimostrare considerando due economie, una più frugale (“thrifty type”) ed una più prodiga (“non

thrifty type”), che seguono sentieri di consumo differenti, come si può osservare nel grafico di

figura 1.8:

Figura 1.8

se T è abbastanza breve il sentiero ottimo (i.e., l’area al di sotto della curva u[c(t)]) non è quello

frugale, ma le cose cambiano radicalmente considerando orizzonti temporali abbastanza lunghi,

ovvero effettuando l’analisi al limite.

Una ragione in più per avvalorare questa impostazione viene dal c.d. comportamento turnpike delle

soluzioni ottime con orizzonte limitato, in cui si osserva che il sentiero dal punto di partenza vira

asintoticamente verso il sentiero di crescita bilanciato o turnpike ray (una sorta di «tangenziale»,

nota anche come sentiero di Ramsey), per poi allontanarvisi in forza del raggiungimento della sua

destinazione terminale in modo da soddisfare la condizione finale k(t1) ≥ k1.

La funzione u(c), un indice di misura dell’utilità del consumo e quindi del benessere sociale, è

chiamata funzione della felicità: tra le sue più importanti caratteristiche si possono, senz’altro,

notare la sua indipendenza dal tempo e la sua dipendenza esclusiva dal consumo pro capite, aspetti

distintivi che fanno sì che la funzione sia separabile intertemporalmente, ipotesi essenziale per

semplificarne l’analisi.

Si assume che u(c) sia crescente in c e concava, ovvero che u’(c) > 0 e u’’(c) < 0.

L’assunzione di concavità genera una tendenza al livellamento del consumo nel tempo: le famiglie,

così, preferiscono un consumo distribuito uniformemente nel tempo ad uno in cui c è molto basso in

certi periodi e molto alto in altri.

Sempre per ipotesi, la funzione di felicità soddisfa le condizioni di Inada: u’(c) tende ad infinito se c

tende a zero e, viceversa, tende a zero per c che tende ad infinito.

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Nell’equazione [1.38], anche nota come funzionale obiettivo, il prodotto di u(c) per la dimensione

della famiglia L = ent

rappresenta l’ofelimità totale dei membri del nucleo familiare viventi al tempo

t, mentre, l’altro moltiplicatore, e-ρt

, contiene il tasso di preferenza intertemporale ρ > 0; per ipotesi

ρ > n ed U è limitata ( superiormente ) se c è costante nel tempo, i.e. :

0

)]t(c[u · e-(ρ-n)t

dt ≤ )]k(f[u max

0

∙ e-(ρ-n)t

dt = nρ

)]k(f[u max

[1.39]

dove kmax è il massimo stock di capitale per lavoratore sostenibile e per ipotesi

)k(f)t(c max0 .

Il fatto che ρ sia positivo implica che i consumatori valutano di più l’utilità disponibile oggi rispetto

a quella potenzialmente fruibile in futuro: questa non è l’impostazione originale del modello di

Ramsey nel quale questo tasso di sconto era nullo, in quanto l’economista riteneva eticamente

indifendibile, anche a prescindere da questioni di stabilità strutturale, un pianificatore sociale che

sacrifica l’utilità delle generazioni future; questa neutralità temporale si traduceva materialmente

nell’assegnazione di un peso identico al benessere delle differenti generazioni.

Questa impostazione scontava anche il problema di non poter sfruttare determinate condizioni di

impazienza-convergenza del funzionale obiettivo, in mancanza della forza dinamica (ρ – n) che

guida la funzione integranda giù verso lo zero nel tempo ad una buona velocità. La non

convergenza dell’integrale fu aggirata brillantemente da Ramsey che, reimpostando il

ragionamento, impose semplicemente alla funzione di utilità un limite superiore finito che egli

chiamò bliss, ovvero punto di beatitudine B = max u(c). Anziché massimizzare la funzione di

felicità, si doveva minimizzare una funzione di dispiacere che esprimeva la deviazione dell’utilità

dal sentiero di riferimento, i.e. dal target B: questo garantiva una convergenza asintotica

dell’integrale improprio (è questo il cosiddetto Ramseyan device).

Nonostante queste considerazioni di ordine morale, l’utilizzo di un tasso di preferenza

intertemporale positivo trova la sua giustificazione nel fatto che i governi possono così assegnare un

peso relativamente maggiore alla generazione corrente sottraendo, così, un po’ di benessere alle

generazioni future, in quanto, un’osservazione che ricorre spesso in politica è che le generazioni

future non votano.

Tornando al modello, i consumatori detengono attività sotto forma di quote di capitale o sotto forma

di prestiti; questi agenti possono prestare o ottenere prestiti, ma il consumatore rappresentativo sarà

sempre, in equilibrio, in una posizione creditoria nulla. Poiché le due modalità di detenere

ricchezza, capitale proprio e crediti, sono assunte quali riserve di valore perfettamente sostituibili,

esse devono essere remunerate con lo stesso di rendimento r(t).

Anche in questo modello si assume un’economia chiusa, per cui le attività non possono essere

negoziate all’estero.

La ricchezza netta di una famiglia in termini pro capite verrà indicata con a(t), che sarà misurato in

termini reali, ovvero in unità di beni di consumo.

Le famiglie sono concorrenziali (“taker”), in quanto, ciascuna di loro assume come dati il tasso

d’interesse, r(t), ed il saggio di salario pagato per unità di forza lavoro, w(t); l’offerta di lavoro, per

ipotesi, è rigida: ogni adulto offre un’unità di lavoro per ogni unità di tempo, senza tener conto del

tempo libero. In equilibrio, il mercato del lavoro non presenta eccessi di domanda o di offerta e le

famiglie ottengono la quantità desiderata di impiego: ciò significa che il modello non ammette

disoccupazione involontaria.

Il reddito totale pro capite ricevuto da una famiglia è la somma del reddito da lavoro, w(t), e del

reddito finanziario o da interesse, r(t) · a(t), ( che può essere positivo o negativo ).

Il vincolo di bilancio per la famiglia in termini di flussi ( i.e. l’equazione del moto ) è dato da:

nacrawa [1.40]

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L’equazione [1.40] evidenzia come le attività pro capite – la variabile di stato – aumentano insieme

al reddito pro capite w + ra, e diminuiscono all’aumentare del consumo c – la variabile di controllo

– e della popolazione secondo il termine na (considerando che per un dato A, a = A / L decresce al

tasso n, che indica la crescita della popolazione). Se ogni famiglia può prendere a prestito un

ammontare illimitato di capitale, esiste un incentivo a realizzare una sorta di catena di Sant’Antonio

che fa aumentare il consumo attuale senza poi sacrificare quello futuro, aumentando i debiti a

dismisura; per evitare questo gioco di Ponzi, si assume che il mercato del credito imponga un

vincolo all’ammontare dei presiti, e, più precisamente, imponga al valore attuale delle attività di

essere asintoticamente non negativo, ovvero:

limt→∞ 00

t

dvn)v(rexp)t(a [1.41]

Questo vincolo al mercato del credito, significa che nel lungo periodo il debito pro capite di una

famiglia deve crescere meno di r(t) – n, cosicché il livello del debito deve crescere meno di r(t):

questa relazione impedisce il verificarsi di finanziamenti a catena.

Il problema di ottimizzazione per il consumatore consiste nel massimizzare il funzionale U sotto il

vincolo di bilancio rappresentato dall’equazione [1.40], il vincolo dello stock iniziale di ricchezza

a(0), nonché dal vincolo della possibilità di prendere a prestito dato dall’equazione [1.41].

Le condizioni del primo ordine

L’Hamiltoniano di questo problema è dato da:

J = u(c) · e-(ρ-n)t

+ λ · [ w + (r – n) · a – c] [1.42]

La variabile di stato è a(t), c(t) è la variabile di controllo ed infine λ(t) rappresenta la variabile di co-

stato. Poiché il funzionale obiettivo ha la dimensione prezzoquantità e la variabile di stato ha la

dimensione della quantità, la variabile di co-stato è il valore attuale del prezzo ombra del reddito:

essa rappresenta il valore di un incremento nel reddito al tempo t, espresso in unità di utilità al

tempo 0 ( i.e. essa trasforma in valore il flusso che, per sua natura, è espresso in termini fisici ).

Quindi un problema duale di valutazione temporale non è altro che un problema di allocazione

dinamica e questo fa sì che λ(t) sia l’analogo del moltiplicatore di Lagrange nei problemi di

ottimizzazione statica.

In ossequio al principio del massimo di Pontryagin (o principio massimo del controllo ottimo) le

condizioni del primo ordine per un massimo di U sono:

c

J

= 0 λ = u’(c) · e

–(ρ–n)t [1.43]

λ)nr(λa

[1.44]

La condizione di trasversalità è data da:

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95

limt→∞[λ(t) · a(t)] = 0 [1.45]

Differenziando l’equazione [1.43] rispetto al tempo e, sostituendo λ dalla stessa equazione e λ

dall’equazione [1.44], si ricava, dopo opportune semplificazioni, la regola di base per la scelta del

consumo nel tempo:

c/c)c('u

c)c(''uρ

'u

dt/'duρr

[1.46]

E’ questa la regola di Ramsey (ricavata, originariamente, dall’equazione di Eulero-Lagrange) per

l’ottimizzazione del risparmio: questa equazione indica che le famiglie scelgono di consumare

quella quantità che permette di uguagliare il tasso di rendimento r al tasso di preferenza

intertemporale ρ sommato al tasso di diminuzione dell’utilità marginale nel consumo u’ dovuto alla

crescita del consumo pro capite.

Il tasso di interesse r, nel membro di sinistra, rappresenta il tasso di rendimento del risparmio; il

membro destro dell’equazione può essere invece considerato come il tasso di rendimento del

consumo.

Gli agenti preferiscono consumare oggi piuttosto che domani, per due ragioni: prima di tutto, il

termine ρ è dovuto al fatto che le famiglie scontano l’utilità futura a questo tasso e, in secondo

luogo, se 0c/c , allora il consumo attuale c è basso rispetto a quello venturo. Visto che gli

agenti preferiscono livellare il consumo nel tempo – dato che u’’(c) < 0 – essi vorrebbero spostare

parte del consumo futuro al presente: il secondo termine dell’equazione all’estrema destra cattura

proprio questo aspetto.

Se gli agenti ottimizzano, l’equazione [1.46] ci dice che essi hanno eguagliato i due tassi di

rendimento e perciò sono indifferenti al margine tra consumare e risparmiare, quindi, quando r = ρ

le famiglie desiderano selezionare un profilo uniforme di consumo, con un tasso di crescita

0c/c ; le famiglie sacrificherebbero parte del consumo corrente solo in ragione di un aumento

del tasso di interesse r pari proprio a c/c)c('u/c)c(''u , dove il termine in parentesi

quadra rappresenta l’elasticità dell’utilità marginale del consumo: quanto più questo valore è alto

tanto più dovrà crescere r per compensare ρ. Nella posizione di crescita uniforme, in cui r e c/c

sono costanti, questa elasticità istantanea deve essere asintoticamente costante.

L’elasticità dell’utilità marginale del consumo equivale al reciproco dell’elasticità intertemporale di

sostituzione del consumo la quale rappresenta una misura della variazione dell’inclinazione di una

curva di indifferenza in risposta ad un cambiamento nel profilo temporale del consumo.

Una forma funzionale che garantisce alla funzione di utilità un’elasticità intertemporale di

sostituzione e, ceteris paribus, un’elasticità dell’utilità marginale costante, ed indipendente da c, è la

seguente forma isoelastica o C.I.E.S.:

θ

c)c(u

θ

1

11

[1.47]

in cui l’elasticità dell’utilità marginale è pari sempre a –θ dove θ è un qualsiasi numero positivo

diverso da 1 ( nel qual caso la funzione diventa )cln()c(u ).

La forma di u(c) implica che la condizione di ottimalità dell’equazione [1.46] si semplifica nella

forma:

ρrθ/c/cγc 1 [1.48]

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96

Quanto più grande è θ tanto più rapido è il declino in u'(c) in risposta all’aumento di c e perciò le

famiglie sono meno disposte ad accettare un profilo di consumo diverso da quello uniforme nel

tempo; se, viceversa, θ tende a zero, la funzione di utilità si approssima ad una forma lineare in c: la

linearità sottintende che le famiglie sono indifferenti circa il momento nel quale possono

consumare, posto che r = ρ.

Perciò la relazione tra r e ρ determina se le famiglie scelgono un profilo di consumo pro capite che

aumenti, rimanga costante, oppure diminuisca nel tempo; una minore disponibilità alla sostituzione

intertemporale ( ovvero un valore di θ alto ) implica una minore reattività di c/c alla differenza tra

r e ρ.

La condizione di trasversalità nell’equazione [1.45] implica che il valore delle attività delle

famiglie, che equivale al prodotto tra la quantità a(t) ed il prezzo ombra λ(t), deve approssimarsi a

zero se il tempo tende ad infinito: l’intuizione è che gli agenti ottimizzatori non desiderano lasciare

un patrimonio positivo «alla fine del mondo»; l’utilità crescerebbe solamente se il patrimonio, che

sarebbe altrimenti sprecato, servisse, invece, per aumentare i consumi in un qualsiasi momento nel

tempo finito.

Il prezzo ombra, )t(λ , si modifica nel tempo secondo l’equazione [1.44], la cui soluzione integrale

è:

λ(t) = λ(0) · exp

t

dvn)v(r0

Il termine λ(0) equivale a u'[c(0)], che è positivo poiché c(0) è finito e u'(c) è, per ipotesi, positivo

fintanto che c è finito.

Se si sostituisce tale espressione di λ(t) nell’equazione [1.45], allora la condizione di trasversalità

diventa:

limt→∞ 00

t

dvn)v(rexp)t(a [1.49]

Questa equazione implica che la quantità di ricchezza per persona, a, cresce asintoticamente ad un

tasso inferiore a (r – n) o, in modo equivalente, il livello del patrimonio complessivo cresce ad un

tasso inferiore a r; questo corrobora quanto già affermato in precedenza, evidenziando come il

vincolo del mercato del credito ai prestiti (no-Ponzi-game condition) emerge naturalmente.

Il termine

t

dv)v(rexp0

che compare nell’equazione [1.49], è un fattore di attualizzazione che

converte un’unità di reddito al tempo t in un’unità equivalente di reddito al tempo zero; se r(v) fosse

uguale alla costante r, allora il fattore di attualizzazione sarebbe solamente e-rt

. Sfruttando il

teorema del valor medio, è possibile pensare ad un tasso di interesse medio tra il tempo 0 ed il

tempo t definito come:

t

dv)v(r)t/()t(r0

1 [1.50]

Il fattore di attualizzazione è pertanto pari a t)t(re.

L’equazione [1.48]determina il tasso di crescita di c; per determinare il livello di c – ovvero la

funzione del consumo – è necessario utilizzare il vincolo di bilancio in termini di flussi, cioè

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l’equazione [1.40], e, sfruttando il principio di sovrapposizione ( proprietà fondamentale delle

equazioni lineari secondo cui la risposta ad una somma di ingressi è uguale alla somma delle

risposte di ciascun ingresso, i.e. la combinazione lineare di due soluzioni dell’equazione è ancora

una soluzione ), si può derivare il vincolo di bilancio intertemporale delle famiglie valevole per ogni

tempo T ≥ 0:

dte)t(w)(adte)t(ce)T(a

Ttn)t(r

Ttn)t(rTn)T(r

00

0

Se si considera il limite per T che tende all’infinito, allora il primo addendo del membro di sinistra

si annulla in base alla condizione di trasversalità ed il vincolo di bilancio intertemporale diventa:

)(w~)(ae)t(w)(adte)t(c tn)t(rtn)t(r 000

0 0

[1.51]

Se ne deduce che il valore attuale del consumo equivale alla ricchezza, definita come la somma del

patrimonio iniziale, a(0) ed il valore attuale del reddito perpetuo da salario, definito da )(w~ 0 .

Integrando l’equazione [1.48] tra 0 e t si desume che il consumo è dato da:

tρ)t(rθ/e)(c)t(c 10 [1.52]

Sostituendo tale valore di c(t) nel vincolo di bilancio intertemporale dell’equazione [1.51] si ottiene

la funzione del consumo al tempo 0:

c(0) = μ(0) · [ a(0) + )(w~ 0 ] [1.53]

dove μ(0), la propensione al consumo della ricchezza, è determinata da:

dte)(μ/ tnθ/ρθ/θ)t(r

0

101 [1.54]

Un aumento del tasso di interesse medio )t(r , per un dato livello di ricchezza, ha due effetti

antitetici sulla propensione marginale al consumo: prima di tutto, incrementa il costo del consumo

corrente relativamente a quello futuro, determinando un effetto di sostituzione intertemporale,

poiché le persone sono incentivate a spostare il consumo dal presente al futuro e, in secondo luogo,

alti tassi d’interesse provocano un effetto di reddito che spinge ad aumentare il consumo in ogni

momento; l’effetto netto sulla propensione al consumo dipenderà da quale delle due forze prevarrà.

Se θ < 1, allora μ(0) diminuisce con )t(r poiché domina l’effetto di sostituzione; intuitivamente si

può affermare che se θ è piccolo le famiglie prestano poca attenzione a livellare il consumo nel

tempo, e l’effetto di sostituzione intertemporale è ampio. Viceversa, se θ > 1, allora μ(0) aumenta

con )t(r , poiché l’effetto di sostituzione è relativamente basso. Infine, se θ = 1, allora i due effetti

si compensano perfettamente, e μ(0) è indipendente da )t(r .

Gli effetti di )t(r su μ(0) si estendono su c(0), se si mantiene costante il valore della ricchezza

a(0) + )(w~ 0 anche se, in effetti, )(w~ 0 diminuisce insieme con )t(r per un dato sentiero di w(t)

rafforzando l’effetto di sostituzione.

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Le imprese

Le imprese producono beni, pagano il salario alla forza lavoro e retribuiscono l’input di capitale con

un prezzo di affitto. Ogni impresa ha accesso alla seguente tecnologia di produzione:

Y = F ( K, L, t)

dove t, il tempo cronologico, rappresenta l’effetto del progresso tecnico esogeno ed ovviamente la

funzione F (·) soddisfa tutte le proprietà neoclassiche precedentemente elencate.

Avendo già discusso della questione che una crescita uniforme può coesistere solo ed

esclusivamente con un progresso tecnologico aumentante il lavoro, la funzione di produzione verrà

riscritta nel modo seguente:

Y = F (K, )L [1.55]

dove )t(ALL rappresenta l’ammontare effettivo di input di lavoro, con A(t), il

livello della tecnologia, che cresce al tasso costante x ≥ 0: questo significa che

A(t) = ext, dove il livello di tecnologia iniziale è normalizzato ad A(0)= 1.

Essendo molto più comodo utilizzare variabili che siano costanti nella crescita uniforme, sarà più

opportuno riferirsi a quantità per unità effettive di lavoro:

L/Yy e L/Kk

La funzione di produzione può così essere riscritta in forma intensiva:

)k(fy [1.56]

con f(0) = 0.

I prodotti marginali dei fattori sono dati da:

)k('fK/Y [1.57a]

xte)k('fk)k(fL/Y [1.57b]

Una delle assunzioni del modello è che le imprese affittano i servizi del capitale dalle famiglie che

ne sono proprietarie: il costo del capitale per le imprese coincide con il prezzo di affitto pagato alle

famiglie, che è proporzionale a K; questo implica che, per ipotesi, i servizi del capitale possono

essere aumentati o diminuiti senza incorrere in costi di aggiustamento.

Si assume un modello di produzione ad un solo settore, dove un’unità di output può generare

un’unità di beni di consumo per le famiglie C o, alternativamente, un’unità di capitale addizionale

K, perciò si può sempre porre pari ad uno il prezzo di K in termini di C. Definendo R come il prezzo

di affitto per ogni unità di servizi del capitale ed assumendo che lo stock di questo capitale si

deprezza al tasso costante δ ≥ 0, il tasso di rendimento netto di una famiglia che possiede un’unità

di capitale sarà δR ; ricordando che le famiglie possono ricevere un tasso di interesse r sul

capitale dato a prestito ed essendo il capitale ed i prestiti due forme di riserva di valore

perfettamente sostituibili, dovrà necessariamente essere r = R – δ, cioè R = r + δ. Il flusso di ricavi

netti (i.e. il profitto) di un’impresa rappresentativa, in qualsiasi istante nel tempo, è dato da:

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Profitto = wLK)δr()L,K(F [1.58]

Il profitto è dato dal valore dei ricavi lordi delle vendite diminuito della remunerazione dei fattori

produttivi, ovvero il rendimento del capitale ed i salari dei lavoratori.

Poiché l’impresa affitta capitale e lavoro e non ha costi di aggiustamento, non si presentano

elementi di massimizzazione intertemporale nel problema di ottimizzazione che si sta affrontando:

questo significa che la massimizzazione del valore attuale del profitto si riduce ad un problema di

massimizzazione del profitto in ogni periodo, senza considerare i risultati degli altri periodi.

Considerando un’impresa che abbia una scala arbitraria di produzione, ovvero che impieghi un

livello qualsiasi di lavoro effettivo L , il suo profitto può essere definito come segue:

Profitto = xtwekδr)k(fL [1.59]

Un’impresa competitiva, che considera r e w come dati e, perciò, costanti, massimizza il profitto,

per un dato L , ponendo:

δr)k('fδr)k('fLk

ofittoPr

00 [1.60]

Questo significa che l’impresa sceglie il rapporto tra capitale e lavoro effettivo, in modo tale da

uguagliare il prodotto marginale del capitale al suo prezzo d’affitto.

Il livello di profitto che ne deriva è positivo, nullo o negativo, secondo il valore di w: se il profitto è

positivo, allora l’impresa può raggiungere un livello di profitto infinito scegliendo una scala di

produzione infinita, mentre, se il profitto è negativo, allora l’impresa sceglierà di non produrre.

Tutto questo implica che, in un equilibrio di mercato di piena occupazione, w deve essere tale per

cui il profitto sia nullo, ovvero la remunerazione complessiva dei fattori deve eguagliare il ricavo

lordo nell’equazione [1.59]: in questo caso per l’impresa è del tutto indifferente quale scala di

produzione adottare.

Affinché il profitto sia nullo, il saggio di salario deve uguagliare il prodotto marginale del lavoro

corrispondente al valore di k che soddisfa l’equazione [1.60]:

we)k('fk)k(f xt [1.61]

Sostituendo le equazioni [1.60] e [1.61] nell’equazione [1.59] è facile verificare che il livello

risultante del profitto equivale a zero per ogni valore di L . Allo stesso modo, se i prezzi dei fattori

sono uguali ai rispettivi prodotti marginali, allora il pagamento dei fattori esaurisce il prodotto totale

(questa proprietà, detta di esaustione del prodotto, valida nell’ipotesi estrema di un mercato

perfettamente concorrenziale, è un risultato che corrisponde, in matematica, al Teorema di Eulero).

L’equilibrio

Dopo aver illustrato il comportamento delle famiglie in concorrenza perfetta, dati il tasso di

interesse r ed il livello di salario w, in un secondo momento, sono state introdotte imprese

concorrenziali che si devono confrontare con questi stessi valori: a questo punto, si possono, quindi,

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combinare i comportamenti di famiglie ed imprese per analizzare la struttura di un equilibrio di

mercato concorrenziale.

La famiglia rappresentativa dovrà avere una posizione creditoria nulla: questo significa che la

ricchezza per ogni persona adulta a deve essere pari al capitale per lavoratore k. L’uguaglianza tra k

ed a deriva dal fatto che tutto lo stock di capitale deve essere posseduto da qualcuno nell’economia:

in particolare, in questo modello di economia chiusa, tutto il capitale deve essere posseduto dai

residenti.

Il vincolo di bilancio delle famiglie in termini di flussi, definito dall’equazione [1.40], determina a ;

tramite le equazioni a = k, xtkek e le condizioni per r e w date dalle equazioni [1.60] e [1.61],

si ottiene:

k)δnx(c)k(fk

[1.62]

dove xtceL/Cc e )(k 0 è dato.

L’equazione [1.62] rappresenta il vincolo delle risorse per l’intera economia: il cambiamento nello

stock di capitale equivale alla quantità prodotta diminuita del consumo e del deprezzamento; la

variazione di L/Kk tiene conto anche della crescita di L al tasso x + n.

L’equazione differenziale che definisce il moto del capitale è la relazione chiave che determina

l’evoluzione di k e, conseguentemente, di )k(fy nel tempo. Ciò che manca, comunque, è la

determinazione di c : conoscendo la relazione tra c e k o, alternativamente, avendo un’altra

equazione differenziale che determini l’evoluzione di c , si potrebbe studiare l’intera dinamica

dell’economia.

Nel modello Solow-Swan la relazione mancante era fornita dall’ipotesi di un tasso di risparmio

costante che implicava una funzione del consumo lineare, )k(f)s(c 1 .

Nel modello di Ramsey il comportamento del tasso di risparmio non è così semplice, ma è noto

dall’ottimizzazione delle famiglie che c cresce in base all’equazione [1.48]; utilizzando le

condizioni δ)k('fr e xtcec , si può scrivere:

xθρδ)k('f)θ/(xc/cc/c 1 [1.63]

Le relazioni [1.62] e [1.63] costruiscono le equazioni canoniche del problema di ottimo: è questo un

sistema di due equazioni differenziali non lineari di primo grado e autonomo; il sistema, affiancato

dalla condizione iniziale )(k 0 e dalla condizione di trasversalità, determina il sentiero temporale di

c e di k .

La nuova condizione di trasversalità in termini di k sarà:

limt→∞ 00

dvnxδ)k('fexpk

t

[1.64]

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101

Poiché k tende asintoticamente ad un valore costante nella crescita uniforme *k , come nel

modello Solow-Swan, la condizione di trasversalità richiede, perciò, che il tasso di rendimento nella

crescita uniforme δ*)k('f ecceda il tasso della crescita uniforme di K cioè (x + n).

La crescita uniforme

Siano *γk

il tasso di crescita uniforme di k e *γc il tasso di crescita uniforme di c . Nella

crescita uniforme l’equazione [1.62] comporta che:

k*γδnx)k(fck

[1.65]

Differenziando questa condizione rispetto al tempo, si verifica che nella crescita uniforme, deve

essere:

*γδnx)k('fkck

[1.66]

L’espressione in parentesi graffa è positiva per la condizione di trasversalità data dall’equazione

[1.64] perciò *γk

e *γc devono avere lo stesso segno.

Ecco ora una piccola dimostrazione che i tassi di crescita uniforme di k e c devono

necessariamente essere nulli: se 0*γk

, allora quando k tende ad infinito, )k('f tende a 0 e

l’equazione [1.63] implica, allora, che 0*γc , un risultato che contraddice la necessità che i due

tassi abbiano lo stesso segno; se 0*γk

, allora quando k tende a 0, )k('f tende ad infinito e

l’equazione [1.63] implica, allora, che 0*γc , contraddicendo nuovamente il fatto che i due

tassi debbano avere lo stesso segno. L’unica possibilità rimanente è che sia 0 *γ*γ ck. Il

risultato 0*γk

implica che anche 0*γ y . Tutto ciò sottolinea come le variabili in unità

effettive di lavoro k , c e y sono costanti nella crescita uniforme; questo implica che, sempre nella

crescita uniforme, le variabili pro capite k, c e y variano al tasso x, mentre i livelli assoluti delle

variabili K, C e Y variano al tasso (x + n). Questi risultati sono identici a quelli del modello Solow-

Swan, nel quale il tasso di risparmio era esogeno e costante. I valori della crescita uniforme di c e

k sono determinati ponendo uguali a zero le due equazioni canoniche del loro moto e ricercandone

i punti singolari.

Figura 1.9

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102

La curva continua nella figura 1.9, che corrisponde a k)δnx()k(fc , mostra le

combinazioni c,k che soddisfano 0k

; il punto di massimo della curva si verifica quando

nxδ)k('f , cioè quando il tasso d’interesse δ)k('f risulta essere esattamente uguale

al tasso di crescita del prodotto nella crescita uniforme )nx( : questa uguaglianza tra il tasso

d’interesse ed il tasso di crescita individua goldk ( è questa la regola d’oro modificata ) e determina

il massimo livello possibile per c nella crescita uniforme.

L’equazione [1.63] e la condizione c/c implicano:

xθρδ*)k('f [1.67]

Questa equazione stabilisce che il tasso d’interesse nella crescita uniforme δ*)k('f è uguale al

tasso di sconto effettivo xθρ dove il secondo termine θx cattura l’effetto dell’utilità marginale

decrescente del consumo dovuto alla crescita di c al tasso x. La retta verticale in corrispondenza di

*k in figura 1.9 corrisponde a tale condizione; gli elementi determinanti nell’individuazione di

*k sono, in primis, i rendimenti decrescenti del capitale, che rendono )k('f una funzione

monotòna e decrescente in k e, inoltre, le condizioni di Inada, le quali fanno sì che l’equazione

[1.67] sia soddisfatta per un unico valore positivo di *kk .

Il piano di fase nella figura 1.9 mostra la determinazione dei valori nella crescita uniforme *c*,k

in corrispondenza dell’intersezione tra i due luoghi 0k

e 0c . In particolare, determinato il

valore di *k tramite l’equazione [1.67], il valore di *c è determinato da:

*k)δnx(*)k(f*c [1.68]

Per quanto riguarda la condizione di trasversalità, dato che k è costante nella crescita uniforme, tale

condizione vale se il tasso di rendimento nella crescita uniforme, δ*)k('f*r , eccede il tasso

della crescita uniforme (x + n).

L’equazione [1.67] implica che la condizione di trasversalità può essere riespressa come:

xθnρ 1 [1.69]

Nel diagramma di fase il valore della crescita uniforme *k si trova a sinistra di goldk : questa

relazione si verifica sempre se la condizione di trasversalità è soddisfatta. Ciò deriva dal fatto che,

mentre il valore della crescita uniforme è determinato da xθρδ*)k('f , il valore aureo

deriva da xnδ)k('f gold ; la disuguaglianza nell’equazione [1.69] implica che

xnxθρ e, quindi, )k('f*)k('f gold . Il risultato che goldk*k deriva dal fatto che

0)k(''f .

Nel modello con ottimizzazione, non può verificarsi l’inefficienza di un risparmio in eccesso, come

poteva accadere nel modello Solow-Swan, caratterizzato da un tasso di risparmio arbitrario e

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costante: la ragione sta nel fatto che se una famiglia tipica con orizzonte temporale infinito

risparmiasse in modo eccessivo, allora si accorgerebbe di non ottimizzare – cioè di non soddisfare

la condizione di trasversalità – e si spingerebbe, quindi, verso un sentiero con un minore risparmio;

al contrario, la famiglia ottimizzante non risparmia abbastanza da raggiungere il livello di goldk :

l’impazienza di consumare, riflessa nel tasso di sconto effettivo (ρ + θx), non rende opportuno

sacrificare ulteriore consumo attuale per raggiungere il massimo di c nella crescita uniforme ( i.e.

goldc ).

I tassi di crescita uniforme non dipendono dai parametri che descrivono la funzione di produzione

f(·) o dai parametri che caratterizzano le scelte delle famiglie circa il consumo ed il risparmio: questi

parametri non hanno, dunque, effetti di lungo periodo anche se valori diversi portano a differenti

livelli di *k e *c .

Dinamiche di transizione

Il modello di Ramsey è interessante soprattutto per le sue previsioni circa il comportamento dei

tassi di crescita e delle altre variabili durante la fase di transizione da un valore iniziale )(k 0 verso

l’attrattore *k .

Il sistema presenta una stabilità di sella che non è una necessità matematica, ma, come osservato da

Samuelson, emerge, piuttosto, dalla natura economica del problema.

Va notato, in particolare, che le frecce in figura 1.9 sono tali per cui l’economia può convergere

verso la crescita uniforme, solo se il volumetto iniziale (i.e., il punto di partenza) si trova in due dei

quattro quadranti, nei quali le due curve dividono lo spazio: ciò non è una mera coincidenza, bensì

implica che esiste una precisa regola di ottimizzazione da seguire. Se l’equilibrio fosse stato un

nodo o un fuoco stabile (una situazione secondo cui «tutte le strade portano a Roma»), non ci

sarebbe stata nessuna regola imposta, caratteristica assai improbabile per un problema di

ottimizzazione; al contrario, nel caso di un nodo o un fuoco instabile, non ci sarebbe stato modo di

raggiungere il target (in questo caso il problema di ottimizzazione è privo di significato). Un

equilibrio di sella, invece, indica che il target è sì raggiungibile, ma solo sotto specifiche condizioni,

e ciò rappresenta il caso più logico nei problemi di ottimizzazione.

L’esistenza e le caratteristiche del sentiero di sella sono dimostrabili anche linearizzando o log-

linearizzando, mediante espansione in serie di Taylor, il sistema di equazioni dinamiche nell’intorno

del punto di crescita uniforme (tutto ciò è possibile grazie al fatto che il sistema è autonomo e

soddisfa le ipotesi del Teorema di Poincaré-Liapunov-Perron) e verificando che il determinante

della matrice caratteristica è negativo: questo segno del determinante implica che i due autovalori r1

e r2 hanno segni opposti e che, quindi, il sistema è localmente stabile su un sentiero di sella.

Effettuando l’espansione lineare, limitatamente ai termini del primo ordine, si ottiene:

*)cc(*)kk(κk

[1.70]

*)kk(σc

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dove )nx(*rκ , con κ > 0, e θ

*)k(f*cσ

, con σ < 0; *c non appare nella seconda

equazione perché la corrispondente derivata parziale rispetto a c vale zero nel punto di crescita

uniforme.

La corrispondente matrice Jacobiana ha determinante negativo il cui valore è:

r1 ∙ r2 ≡ | | = σ

L’equilibrio dinamico segue il sentiero di sella stabile indicato dal luogo continuo sul quale sono

riportate le frecce: supponendo, per esempio, che il rapporto iniziale tra i fattori soddisfi la

condizione *k)(k 0 e fissando il rapporto iniziale del consumo a )(c 0 , allora l’economia

segue il sentiero stabile ( yellow brick road ) verso la crescita uniforme, costituito da *c*,k .

Le altre due possibilità sono che il rapporto iniziale del consumo sia superiore o inferiore al «seme»

)(c 0 :

1) fissando un )(c)(c 00 il tasso di risparmio iniziale è troppo basso affinché l’economia

possa rimanere sul sentiero stabile e la traiettoria finirà con l’intersecare 0k

(eating up, i.e.

continua decumulazione di capitale); dopo l’intersezione, c continua ad aumentare e k

comincia a diminuire cosicché il sentiero intersecherà, in un tempo finito, l’asse verticale, in

corrispondenza di 0k ; la condizione f(0)=0 implica che 0y perciò c salta verso lo zero

in tale punto: poiché questo salto viola la condizione di primo ordine data dall’equazione [1.63]

il sentiero non è di equilibrio;

2) fissando, invece, un )(c)(c 00 il tasso di risparmio iniziale sarà troppo alto per rimanere

sul sentiero di sella stabile, ed il sentiero seguito dal sistema economico intersecherà il luogo

0c ; dopo tale intersezione, c diminuisce e k comincia a salire: l’economia converge verso il

punto in cui il luogo 0k

interseca l’asse orizzontale; in particolare gold

** kk perciò

δ)k(f scende asintoticamente sotto (x + n) violando la condizione di trasversalità: ciò è

sintomo del fatto che le famiglie stanno risparmiando in modo eccessivo e l’utilità si

incrementerebbe semplicemente aumentando il consumo, i.e. fissandolo ad un livello tale da

riportare il sistema verso l’equilibrio.

Questo risultato consente di affermare che il sentiero di sella stabile è, senza ombra di dubbio,

l’unica possibilità.

Il sentiero stabile esprime il valore di equilibrio di c in funzione di k ; questa relazione è

conosciuta in programmazione dinamica come la funzione della politica ( policy function ): essa

mette in relazione il valore ottimale della variabile di controllo, c , con la variabile di stato, k . In

questo caso la policy function è inclinata positivamente, passa attraverso l’origine degli assi ed il

punto di crescita uniforme e la sua forma esatta dipende dai valori dei parametri nel modello.

Come osservato dall’economista Mordecai Kurz l’equilibrio di sella *c*,k è fondamentalmente

instabile, nel senso che il sistema richiede continui aggiustamenti, in quanto, anche impercettibili ed

ineliminabili errori econometrici nella determinazione delle condizioni iniziali ( al di sotto della

precisione operazionistico-sperimentale che si suppone finita ) vengono amplificati e dilatati in un

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tempo finito, perciò si rendono necessari dei «salti» per riportare il sistema sul sentiero ottimo; in

altri termini, il rumore incontrollato, tipico della scala microscopica, emerge con conseguenze

visibili a livello macroscopico.

Prendendo in prestito le parole del grande, prima scienziato e successivamente scrittore, Primo Levi

si potrebbe affermare: “ …occorre diffidare del quasi uguale, del praticamente identico, del

pressappoco, dell’oppure, di tutti i surrogati e di tutti i rappezzi. Le differenze possono essere

piccole, ma portare a conseguenze radicalmente diverse, come gli aghi degli scambi; il mestiere del

chimico consiste in buona parte nel guardarsi da queste differenze, nel conoscerle da vicino, nel

prevederne gli effetti. Non solo il mestiere del chimico. ”.

La forma del sentiero stabile

Saranno, ora, presi in considerazione gli effetti del parametro θ sulla forma del sentiero stabile. Per

ipotesi, l’economia si trova inizialmente in un punto *k)(k 0 ( al di sotto del massimo

rapporto LK sostenibile ), così che i futuri valori di c saranno maggiori di )(c 0 .

Alti valori di θ indicano che le famiglie preferiscono uniformare il consumo nel tempo; esse

tenteranno di spostare, perciò, il consumo dal futuro al presente.

Figura 1.10

Come è facile osservare dalla figura 1.10, quando θ è alto, il sentiero stabile avrà un andamento

concavo, molto simile al sentiero 0k

: poiché le famiglie destinano la maggior parte del delle

risorse al consumo e molto poco all’investimento, la fase di transizione richiederà molto tempo,

sicché l’economia si avvicinerà lentamente alla crescita uniforme.

Considerando, al contrario, il caso in cui θ è basso, le famiglie non si preoccupano se vi sono grandi

oscillazioni del consumo nel tempo e sono molto più disposte a posticipare il consumo in risposta

ad un alto tasso di rendimento, specialmente quando lo stock di capitale è basso.

Il sentiero stabile, in questo caso, è più basso, più vicino all’asse orizzontale e presenta una

curvatura convessa; gli alti livelli di investimento suggeriscono che la transizione sarà relativamente

più veloce, e non appena k si avvicina a *k , le famiglie aumentano c velocemente ( questo

particolare cammino del sentiero di sella viene fuori anche quando si considera esplicitamente il

fenomeno migratorio ).

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E’ chiaro dal diagramma che una approssimazione lineare nell’intorno della crescita uniforme non

potrebbe catturare in modo accurato queste specifiche dinamiche.

Il comportamento del tasso di risparmio

Il tasso di risparmio lordo, s, è pari a )k(f/c1 ; il modello di Solow-Swan assumeva che s

fosse costante ad un livello arbitrario. Nel modello di Ramsey, con consumatori che ottimizzano

l’utilità, s può seguire un sentiero complicato che include segmenti crescenti o decrescenti, man

mano che l’economia si sviluppa e si avvicina alla sua crescita uniforme.

Intuitivamente, si può notare che il comportamento del tasso di risparmio è ambiguo, poiché

racchiude in sé effetti contrastanti che dipendono dall’effetto di sostituzione e dall’effetto di reddito.

Quando k aumenta, la diminuzione di )k(f fa abbassare il tasso di rendimento sul risparmio r: il

minor incentivo al risparmio – causato dall’effetto di sostituzione intertemporale – tende a far

diminuire il tasso di risparmio allo svilupparsi dell’economia.

Inoltre, va considerato che il reddito per lavoratore effettivo, )k(fy , in un’economia povera, è

molto al di sotto del reddito di lungo periodo o permanente di questa economia: poiché le famiglie

preferiscono livellare il consumo nel tempo, vorrebbero consumare tanto anche quando il reddito è

basso. Questo mette in evidenza come il tasso di risparmio sarebbe basso, quando k è basso. Non

appena k aumenta la differenza tra il reddito corrente e quello permanente diminuisce, quindi, il

consumo tende a diminuire in relazione al reddito, mentre il tasso di risparmio tende ad aumentare:

questa forza – data dall’effetto di reddito – tende a far aumentare il tasso di risparmio con lo

svilupparsi dell’economia. Il comportamento di transizione del tasso di risparmio dipende da quale

dei due effetti prevale e l’effetto netto è generalmente ambiguo sì da rendere il sentiero del tasso di

risparmio durante il processo di aggiustamento piuttosto tortuoso e complicato.

Confrontando l’approccio di Ramsey e quello di Solow emerge un’importante differenza: in un

modello di ottimizzazione il livello di s è dettato da parametri ben determinati e non può essere

scelto arbitrariamente; questo fa sì che non si possano generare risultati dinamicamente inefficienti

così come poteva avvenire nel modello di Solow-Swan.

OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA TEORIA NEOCLASSICA DELLA CRESCITA

La teoria neoclassica, grazie alla funzione di produzione che la caratterizza ed alle consuete ipotesi

di concorrenza perfetta, consente di determinare in modo molto semplice, oltre alle relazioni tra

fattori impiegati e prodotto ottenuto e la crescita nel tempo di tali grandezze, anche la distribuzione

del prodotto tra salari e profitti, i suoi cambiamenti nel tempo, la relazione tra cambiamenti ed

impiego dei fattori. E’, quindi, uno strumento straordinariamente potente per l’economista, che dà

molti risultati con un minimo di apparato analitico.

Nella teoria della crescita gli esempi in proposito sono assai significativi; il maggiore è certo il

modello neoclassico di crescita di Solow e Swan, che risolve il problema di possibili differenze tra

tasso di crescita garantito e tasso di crescita naturale che emerge dalla teoria di Harrod.

La contabilità della crescita, grande esempio delle possibilità di applicazione concreta della teoria

neoclassica, e la spiegazione dell’apparente sostituzione di capitale e lavoro, che sembra

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caratterizzare lo sviluppo economico moderno, sono altri esempi che hanno contribuito ad

accreditare la teoria neoclassica come la migliore; tuttavia, a questa teoria, a salvaguardia

dell’obiettività, vanno mosse alcune critiche, onde evitare dannose faziosità ed ingenue conclusioni.

Il concetto di capitale usato nella teoria neoclassica, non appena si esca dai modelli aggregati ( che

cioè, a rigore, implicano l’esistenza di un solo bene prodotto nel sistema economico ), mostra

ambiguità e difficoltà logiche molto gravi. Ma, anche volendo sorvolare su tali difficoltà, è

importante sottolineare quanto poco realistica sia l’ipotesi di base della funzione di produzione

neoclassica (e dell’intera teoria), secondo cui essa possiede derivate continue, i.e. un’infinità di

tecniche diverse (cioè con un diverso rapporto LK ) tutte economicamente efficienti: ciò contrasta

in modo stridente con l’osservazione della realtà in cui per ogni dato prodotto spesso esistono

pochissime o addirittura una sola tecnologia economicamente efficiente; spesso l’unica vera scelta

tecnologica è tra tecniche vecchie e tecniche nuove, essendo le prime ancora prese in

considerazione non perché siano veramente efficienti o alternative a quelle nuove, ma perché i costi

fissi iniziali sono già stati ammortizzati o comunque sostenuti in un passato non revocabile. In tali

casi, si può avere una sostituzione tra capitale e lavoro solo apparente, mentre ciò che avviene

realmente è la sostituzione di tecniche vecchie con altre più nuove.

Le precedenti affermazioni richiedono, però, alcune attenuazioni e qualificazioni.

Anche quando in un dato processo produttivo la tecnologia di base è unica, vi sono operazioni

produttive ausiliarie o complementari rispetto a questa tecnologia di base in cui esistono alternative

tra metodi produttivi con diversi rapporti tra impiego di mezzi produttivi (capitale) ed impiego di

lavoro come, per esempio, le operazioni di trasporto interno, pulizia, manutenzione, ecc… .

Inoltre, argomentazioni più forti per la flessibilità del rapporto capitale/lavoro possono essere

avanzate allorché ci si riferisca non ad una singola produzione, ma al sistema economico nel suo

insieme; in tal caso si deve considerare l’esistenza di molti prodotti, ciascuno con un rapporto LK

normalmente diverso. Se il rapporto salari/profitti aumenta, il costo relativo ed il prezzo relativo dei

prodotti più labour intensive (i.e., con rapporto LK più basso) cresce rispetto ai prodotti più

capital intensive: qualora vi sia sostituibilità tra i primi ed i secondi nella domanda finale del

sistema economico, il rapporto medio LK del sistema aumenta; l’esatto contrario avviene, per

analoghi motivi, se il rapporto πw (salari su profitti) diminuisce. Una tale sostituibilità può essere,

tuttavia, ancora insufficiente ad avvalorare l’uso della funzione di produzione neoclassica. Occorre,

infine e soprattutto, osservare che le riduzioni di occupazione, determinate da aumenti salariali,

spesso hanno poco a che fare con la sostituzione tra capitale e lavoro prevista dalla teoria

neoclassica. Non bisogna dimenticare, infatti, che il controllo dell’uso della manodopera – specie

nelle grandi imprese – ha un costo, spesso assai rilevante (costo dell’organizzazione gerarchica), e

può essere razionale ed efficiente, con salari bassi, limitare questi costi anche se ciò si traduce in

minore produttività del lavoro e, quindi, maggiore volume di occupati per una data produzione. In

presenza di aumenti salariali significativi, allora, è razionale per gli imprenditori e le gerarchie

aziendali aumentare il controllo sull’uso della manodopera, i ritmi di lavoro dei dipendenti,

l’eliminazione dei tempi morti e della manodopera non strettamente indispensabile.

Un’ultima critica molto importante alla teoria neoclassica della crescita sta nell’ipotesi che i fattori

produttivi siano sempre pienamente occupati: quest’ipotesi è stata condivisa anche da molti autori

appartenenti a scuole di pensiero differenti, ma ha trovato realizzazione solo in poche situazioni

storiche e per periodi di tempo ristretti; l’osservazione della realtà odierna sempre più convince che

la piena occupazione della popolazione non è l’ipotesi di lavoro più proficua per fondare la teoria

della crescita. Tuttavia, non essendo questa una redde rationem, non può essere negato che la teoria

neoclassica della crescita, nonostante alcuni difetti, realizza tre previsioni sottoponibili a precisi

test:

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A. nello stato stazionario la crescita della produzione è determinata dalla crescita della forza lavoro

e della produttività;

B. il livello di reddito pro capite è determinato dal rapporto risparmi/investimenti e dalla crescita

demografica;

C. i livelli di reddito pro capite tra i paesi dovrebbero convergere, ma la convergenza potrebbe

essere continuamente ritardata dalle differenze nella tecnologia, nel capitale umano ed in altri

fattori di crescita endogena.

MODELLI DEBITO PUBBLICO

Un semplice modello di dinamica del debito pubblico29

nel continuo

Siano definite le seguenti variabili temporali:

tY reddito in t

tD debito pubblico in t

g tasso di crescita costante del reddito

frazione di reddito corrente presa in prestito dal governo

Ovviamente, come è stato già abbondantemente sottolineato, si ha:

gtgt aeeYtY 0 (1)

Dove la costante a esprime il fatto che il reddito iniziale è una costante data.

Il livello di debito totale corrente all’istante t è la somma del debito iniziale (che corrisponde al

deficit iniziale) più la somma (l’integrale nel continuo) dei deficit fino ad allora accumulati, cioè:

t

dttYDtD

0

0

Sostituendo dalla (1) si ha:

t

gt dteaDtD

0

0

Integrale di immediata risoluzione, semplicemente pari a:

10

gteg

aDtD

29

Tratto da Domar, 1954 con alcune semplificazione ed adattamenti.

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E’ evidente che una tale relazione porterebbe a concludere che la dinamica del debito è esplosiva.

Tuttavia, in un economia che cresce, non spaventa il fatto che anche il livello di debito possa

crescere30

. Il debito pubblico non è, di per sé, un male assoluto, in quanto esso consente di

finanziare investimenti il cui costo è ingente ed il cui beneficio è esteso nel tempo. Il male è

l’eccesso di debito e la sua incontrollabilità nel tempo.

Dividendo ambo i membri per gtaetY si definisce la nuova variabile debito/PIL e si può

scrivere:

gegea

D

tY

tDe

eag

a

ea

D

tY

tDgtgt

gt

gtgt

01

0

Ovvero, più semplicemente:

g

ega

D

tY

tD gt

0

(2)

Questa equazione possiede un cosiddetto regime transitorio, individuabile dalla componente in cui è

presente il termine esponenziale gte

ga

D

0

ed un regime permanente g

, valore limite a

cui tende la relazione nel momento in cui il regime transitorio non è esplosivo. Prendendo, infatti, il

limite per t → +∞ si ha:

ggga

D

tY

tDlim

t

0

0

Analizzando il problema da un punto di vista normativo31, è possibile determinare precisi valori obiettivo per le grandezze deficit/PIL e/o tasso di crescita. Per esempio, con un tasso di crescita del PIL attorno ad un valore %,g 51 , il rispetto dei parametri di Maastricht impone

che %,90 , ben al di sotto del limite massimo del %3 , affinché il rapporto debito/PIL

di lungo periodo si stabilizzi entro il valore massimo del %60 . Allo stesso modo è facile verificare che, con un rapporto deficit/PIL pari al livello soglia del %3 , è necessario un tasso di

crescita bilanciato %,g 81 . Va da sé che il rapporto migliora se, coeteris paribus g , si sceglie un

rapporto deficit/PIL inferiore o, meglio ancora, si genera un pareggio o un avanzo di bilancio

oppure se g si rivela ex-post più alto32

.

Un semplice modello di dinamica del debito pubblico nel discreto

L’andamento del debito pubblico è rappresentabile in maniera più precisa mediante analisi discreta,

in quanto normalmente tutte le grandezze di riferimento sono prese con riferimento a periodi di

30

La variabile di interesse è il rapporto debito PIL. 31

Secondo la logica dei vincoli imposti dall’Europa. 32

In tal caso l’economia potrebbe sopportare un rapporto deficit/PIL peggiore senza problemi.

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tempo corrispondenti ad un anno solare. Ad ogni tempo t lo Stato si trova ad affrontare il problema

di (ri)finanziare il deficit corrente (disavanzo primario, i.e. al netto degli interessi33

) ed il pagamento

degli interessi sul debito contratto in precedenza.

Sia 1 ttt BBB l’ammontare di nuovi titoli da emettere, dato dalla differenza tra il livello di

debito corrente tB al tempo t, ed il livello di debito 1tB del periodo precedente 1t , da

finanziare con l’emissione di titoli di Stato (BOT, CTZ, BTP, CCT, ecc…).

Evidentemente, si ha che:

ttttt DiBBBB 11 (3)

Dove con ttt TGD si indica il deficit corrente (differenza tra spese tG ed entrate tT correnti).

In definitiva la (3) ci informa che l’emissione di nuovi titoli tB del debito pubblico serve a

finanziare il deficit corrente tD ed il pagamento degli interessi sul debito pubblico accumulato in

precedenza 1tiB . Riportando al membro destro il termine 1tB la (3) si può riscrivere come:

ttttttt DBiBDiBBB 111 1 (4)

La (4), pur esprimendo una semplice, ma già espressiva, dinamica dell’andamento del livello del

debito pubblico nel corso del tempo, non permette di valutare il livello di “gravità” della situazione.

Il livello di debito in valore assoluto non è espressivo quanto, invece, lo è il suo valore in rapporto

al prodotto interno lordo, ritenuto in buona approssimazione un indicatore attendibile del grado di

solvibilità di uno Stato34

. Procedendo quindi a dividere ogni membro dell’espressione (4) per il PIL

tY otteniamo:

t

t

t

t

t

t

Y

D

Y

Bi

Y

B 11

Ipotizzando un regime di crescita geometrica di ragione g per il reddito, i.e. 11 tt YgY si ha:

t

t

t

t

t

t

Y

D

Y

B

g

i

Y

B

1

1

1

1

Ponendo, per semplicità di lettura, g

ia

1

1 si può scrivere:

t

t

t

t

t

t

Y

D

Y

Ba

Y

B

1

1

Ovvero, prendendo le trasformate rispetto al PIL:

33

In verità il termine il disavanzo è un termine contabile che si riferisce alla cassa e costituisce la differenza tra entrate

ed uscite correnti, invece il termine deficit è la differenza tra spese ed entrate correnti al netto dei trasferimenti correnti;

qui li utilizzeremo in maniera promiscua come si sente abitualmente. 34

Alcuni autori contestano tale misura che rapporta un valore di stock ad un flusso e non tiene conto degli asset di un

Paese.

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ttt dbab 1

Il rapporto debito/PIL tb è uguale alla somma di due termini:

1. 1 tba ovvero spesa per interessi, in termini reali, corretta per la crescita della produzione

2. td rapporto tra il disavanzo primario e il PIL

La dinamica del debito pubblico dipende da diversi fattori, principalmente il livello dei deficit

primari e lo scarto tra i tassi di interesse e il tasso di crescita nominale dell’economia.

In una ideale situazione di rientro dal debito se il deficit tende a zero (pareggio di bilancio) non è

più necessario emettere nuovo debito sicché 0 tB ovvero 1 tt BB , che in termini di

trasformata in rapporto al PIL implica 1 tt bb .

Con l’ausilio grafico è possibile analizzare le tipiche situazioni che si presentano nell’affrontare le

proiezioni del debito nel lungo termine. Ponendo sull’asse delle ordinate i valori tb e sull’asse delle

ascisse i valori 1tb , si rappresentano congiuntamente le due rette di equazione:

1

1

tt

ttt

bb

dabb

Dove la seconda retta è la bisettrice del quadrante cartesiano sulla quale si realizza il pareggio di

bilancio35

.

Nel caso in cui:

ddt 0 , ossia le spese sono maggiori delle entrate ma non superano un certo limite

prefissato

gig

ia

01

1

1, ossia ig , cioè il tasso di crescita del PIL è maggiore del tasso

di interesse corrisposto sul debito pubblico

Vi è una “ideale” situazione di convergenza del rapporto debito/PIL come si evidenzia dal grafico

seguente:

35

L’ortante positivo.

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Se, invece, g è più basso del tasso d’interesse i, il debito aumenterà a causa dell’effetto “snow ball”

o palla di neve: l’ammontare del debito esplode così come il deficit complessivo (che include il

l’interesse sul debito)36

.

36

Cfr. Manifesto degli economisti sgomenti, pag. 24, Ed. Minimum fax, 2010.