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IN COPERTINA 6 - SISTEMI&IMPRESA N.6 - AGOSTO/SETTEMBRE 2010 Intervista a Carlo Petti U scire dal perimetro della gestione documentale e ragionare in ottica di reingegnerizzazione dei processi collaborativi. Un approccio un po’ ‘visionary’ – così come gli americani intendono il termine – per un’azienda che quando è nata, nel 1995, aveva un nome che già la proiettava nel futuro: DocFlow. Allora il workflow, la gestione dei flussi documentali così come la intendiamo oggi, era ancora lontano. Ma il mercato si è andato affermando nella direzione esatta che il fondatore e Presidente dell’azienda Carlo Petti, che intervistiamo in queste pagine, aveva disegnato. Mi piacerebbe se raccontasse cos’è l’azienda, oggi, ai nostri lettori… DocFlow, più che un’azienda, è un nucleo di innovazione il cui focus è l’ottimizzazione dei processi collaborativi. Siamo 50 professionisti totalmente dedicati a questa atti- vità e questo fa di noi uno dei più significativi competence center su scala nazionale e, probabilmente, su scala euro- pea. L’innovazione di cui siamo portatori è anche il frutto del confronto con i nostri clienti, la maggior parte dei qua- li medie e grandi aziende, con una forte propensione alla sperimentazione e all’innovazione. Innovare in tempo di crisi non è facile... La crisi che ci ha travolto, una crisi prima finanziaria e poi economica, ha avuto come primo impatto una pesante ri- duzione di tutti i budget destinati all’innovazione. Nel nostro Paese non siamo molto bravi a ridurre i costi fissi mentre i costi variabili vengono tranciati di netto. E tra questi rientrano le spese dedicate all’innovazione. Quindi? Quindi succede che nella maggior parte delle imprese i budget informatici vengono impegnati per la gestione delle attività correnti. Ci si occupa della gestione e si trala- scia lo sviluppo. Oltretutto, non va trascurato il fatto che la crisi finanziaria, che poi è diventata crisi economica, si è innestata in una lunga fase di crisi del settore informa- tico la cui origine è probabilmente da ricercare negli in- vestimenti in tecnologie troppo spesso non finalizzati ai risultati. Una situazione drammatica dal punto di vista finanziario ma ancor più grave per la percezione generata negli utenti e nelle direzioni aziendali che hanno progres- sivamente sviluppato una disaffezione per l’informatica, considerata sempre più spesso un costo da tagliare. Quando il lavoro collaborativo diventa motore di innovazione di Chiara Lupi

Quando il lavoro collaborativo diventa motore di innovazione

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Intervista a Carlo Petti pubblicata su SISTEMI&IMPRESA Uscire dal perimetro della gestione documentale e ragionare in ottica di reingegnerizzazione dei processi collaborativi. Un approccio un po’ ‘visionary’ – così come gli americani intendono il termine – per un’azienda che quando è nata, nel 1995, aveva un nome che già la proiettava nel futuro: DocFlow. Allora il workflow, la gestione dei flussi documentali così come la intendiamo oggi, era ancora lontano. Ma il mercato si è andato affermando nella direzione esatta che il fondatore e Presidente dell’azienda Carlo Petti, che intervistiamo in queste pagine, aveva disegnato.

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di Dario Colombo

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6 - SiStemi&impreSa N.6 - agoSto/Settembre 2010

intervista a Carlo petti

Uscire dal perimetro della gestione documentale e ragionare in ottica di reingegnerizzazione dei processi collaborativi. Un approccio un po’

‘visionary’ – così come gli americani intendono il termine

– per un’azienda che quando è nata, nel 1995, aveva un nome che già la proiettava nel futuro: DocFlow. Allora il workflow, la gestione dei flussi documentali così come la intendiamo oggi, era ancora lontano. Ma il mercato si è andato affermando nella direzione esatta che il fondatore e Presidente dell’azienda Carlo Petti, che intervistiamo in queste pagine, aveva disegnato.

Mi piacerebbe se raccontasse cos’è l’azienda, oggi, ai nostri lettori…DocFlow, più che un’azienda, è un nucleo di innovazione il cui focus è l’ottimizzazione dei processi collaborativi. Siamo 50 professionisti totalmente dedicati a questa atti-vità e questo fa di noi uno dei più significativi competence center su scala nazionale e, probabilmente, su scala euro-pea. L’innovazione di cui siamo portatori è anche il frutto del confronto con i nostri clienti, la maggior parte dei qua-li medie e grandi aziende, con una forte propensione alla sperimentazione e all’innovazione.

Innovare in tempo di crisi non è facile...La crisi che ci ha travolto, una crisi prima finanziaria e poi economica, ha avuto come primo impatto una pesante ri-duzione di tutti i budget destinati all’innovazione.Nel nostro Paese non siamo molto bravi a ridurre i costi fissi mentre i costi variabili vengono tranciati di netto. E tra questi rientrano le spese dedicate all’innovazione.

Quindi?Quindi succede che nella maggior parte delle imprese i budget informatici vengono impegnati per la gestione delle attività correnti. Ci si occupa della gestione e si trala-scia lo sviluppo. Oltretutto, non va trascurato il fatto che la crisi finanziaria, che poi è diventata crisi economica, si è innestata in una lunga fase di crisi del settore informa-tico la cui origine è probabilmente da ricercare negli in-vestimenti in tecnologie troppo spesso non finalizzati ai risultati. Una situazione drammatica dal punto di vista finanziario ma ancor più grave per la percezione generata negli utenti e nelle direzioni aziendali che hanno progres-sivamente sviluppato una disaffezione per l’informatica, considerata sempre più spesso un costo da tagliare.

Quando il lavoro collaborativo diventa motore di innovazione

di Chiara Lupi

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Come si è arrivati a questo?È in gran parte colpa nostra. Gli operatori dell’informa-tica hanno trascurato che era fondamentale trasmettere il concetto che l’informatica facilita l’innovazione. Se questa motivazione viene meno, o non viene percepita corretta-mente, si raggiungono le derive che tutti noi stiamo viven-do. L’informatica è diventata un costo da tagliare, ma noi operatori siamo chiamati a un esame di coscienza. Perché tagliare le spese legate all’informatica significa chiudere le porte all’innovazione.

Non sarà che alcune tecnologie non vengono consi-derate ‘core’?Ecco l’equivoco. I nostri interlocutori possono ipotizzare ad esempio che il ‘documentale’ – se parliamo delle nostre soluzioni – non serva. Ma etichettare le nostre soluzio-ni sotto il cappello di gestione documentale è riduttivo e fuorviante. Perché noi ci occupiamo in realtà della rein-gegnerizzazione dei processi collaborativi delle imprese, processi che sono rimasti in larga misura immutati da 30 anni a questa parte.

Equivoci a parte, se parliamo di innovazione, siamo sicuri che il CIO sia l’interlocutore più sensibile?Devo ammettere che, al di là di eccezioni che ci hanno portato a relazionarci con CIO illuminati, siamo spesso costretti a cercare i budget e i clienti al di fuori dell’It. Il problema risiede nel fatto che il CIO è schiacciato dal quotidiano, è completamente dedicato alla gestione delle attività correnti e questo lo porta a guardare con fastidio all’innovazione che, ai suoi occhi, porta con sé attività an-cor più complesse da gestire e per le quali non ha risorse.

Se lei fosse un CIO, cosa farebbe?Se oggi fossi un CIO ripenserei in maniera molto profon-da al futuro del mio ruolo. E mi rimboccherei le maniche per tagliare i costi correnti con la finalità di trovare risorse per fare vera innovazione. Anni fa avevo coniato l’espres-sione ‘burocrati dell’informatica’ per etichettare una cate-goria assai diffusa di manager che giocano in difesa, man-tenendo al meglio, secondo loro, quel che c’è senza fare innovazione.Oggi più che mai è importante uscire dal perimetro del ruolo. E sostituire la ‘I’ di Information con la ‘I’ di Inno-vation.

Buoni propositi. Ma nella bufera che ha travolto il nostro Paese, come se la cava DocFlow?In uno scenario in cui tutti i vendor hanno arretrato le loro

posizioni, noi siamo rimasti stabili. Una stabilità da leg-gersi come un successo. Non abbiamo sviluppato un nu-mero elevato di nuovi progetti ma realizzato molte evolu-zioni delle nostre applicazioni: un indicatore importante a conferma della strategicità che rivestono. Se i nostri clienti investono per incrementarle e farle evolvere, significa che sono veramente essenziali.

Un’evoluzione dalla tecnologia all’applicazione, po-tremmo dire… Sempre per riprendere il termine ‘visionary’, noi siamo l’azienda che nel 2000, quando la vendita di soluzioni do-cumentali era preponderante, aveva iniziato a sviluppare quelle applicazioni che poi Gartner ha definito CEVA (content enable vertical application). Già allora avevamo chiara la visione dell’evoluzione dell’architettura tecnologica: oggi infatti il documentale, il Bpm, non sono che piattaforme sulle quali poggiano le applicazioni. E tutti i grandi player stanno virando verso questo approccio, dalla tecnologia all’applicazione.

Un nuovo approccio che sarà anche il frutto di una situazione contingente particolare…In America questa situazione è stata definita ‘new normal’ nel senso che la crisi non è di stampo ondulatorio; ci tro-viamo di fronte a un ridimensionamento e sarà difficile recuperare il terreno perduto. Quale il senso della defini-zione americana? Il mondo è cambiato, ci dobbiamo con-frontare con una ‘nuova normalità’ e dobbiamo attrezzarci partendo da questa presa di coscienza.

Ma cos’è questo nuovo normale?Come dicevo, una presa di coscienza. Per capire è necessa-rio partire da lontano.Oggi viviamo un’era post industriale e non ci dobbiamo dimenticare che nell’era industriale la costruzione del valore era la risultante di capitale e lavoro. Era forte l’or-ganizzazione per prodotto, e questo faceva sì che la forza lavoro potesse essere indistinta. Ecco, io credo che in que-sto ‘new normal’ per costruire valore sarà indispensabile poter contare sul contributo dei singoli individui.

Cosa fare dunque se per costruire valore dobbiamo stimolare il lavoro individuale? Innanzitutto una massiccia innovazione, radicale, liberan-do risorse da dedicare allo sviluppo. Nelle imprese, oggi, i cosiddetti knowledge worker svolgono gran parte delle attività senza essere supportati dall’informatica, gestisco-no il loro lavoro con applicazioni per la gestione della po-

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sta elettronica. Chiaro sintomo della carenza di tecnologie nell’area specifica dei processi collaborativi.

Innovare dunque i processi collaborativi. Con quale obiettivo?L’obiettivo è innovare per ottimizzare le risorse. Non tanto quindi ridurre il personale – ridurre il personale per aumentare il profitto è una visione masochista, la priorità deve essere costruire il lavoro e non remunerare il capi-tale, senza lavoro non c’è capitale. Ma forse ce ne siamo dimenticati – ma liberare risorse da dedicare allo svilup-po. Attenzione però all’equivoco: innovare non vuol dire omologare, investire molto per rendere le aziende tutte uguali. Anzi, è esattamente il contrario. Abbiamo assi-stito a un fenomeno di ‘sappizzazione’ selvaggia. Ma mo-delli importati tout court vanno bene per gestire attività standardizzate. Altrimenti si corre il rischio di annullare i vantaggi competitivi insiti nel lavoro delle singole per-sone. Perdendo valore. Il risultato sarà magari un’azien-da che potrà essere gestita da chiunque, ma sarà anche un’azienda qualunque.

E voi, cosa fate?Da dieci anni sosteniamo che non bisogna imporre agli utenti un modo di lavorare ma aiutarli a lavorare meglio, supportati da una tecnologia che migliora la qualità del la-voro. Persino il CEO di SAP è arrivato a questa conclusio-ne dichiarando che è importante che le persone lavorino nel modo che è loro congeniale. Ma solo oggi Jim Hage-mann Sanbe arriva a questa conclusione. DocFlow aiuta i Knowlegde worker a lavorare meglio, a fare efficienza liberando tempo da dedicare ad attività di sviluppo. In questo senso il nostro approccio è ‘visio-nario’, perché già da molti anni abbiamo individuato un cammino metodologico che si sta rivelando giusto. Un

cammino che presuppone una grande innovazione che non significa, come dicevo, importare modelli standardiz-zati e omologare, ma supportare le persone affinché fac-ciano al meglio il loro lavoro nel modo che sanno fare.

A complicare lo scenario, oggi, c’è la velocità. Tutto cambia in modo veloce, le aziende devono anche es-sere particolarmente reattive…Per reagire con tempestività agli stimoli dei mercati le aziende devono puntare sulle proprie forze, che sono le persone. Omologare l’azienda riducendo costi e toglien-do valore non può essere una strada percorribile. Oggi le organizzazioni devono capitalizzare il loro patrimonio di conoscenze e non puntare alla competizione sul piano dei costi. E competere importando modelli altrui, come ho già detto prima, è molto poco lungimirante.

Quale la vostra risposta?Non esistono più le condizioni per fare progetti colossali in tempi indeterminati, con ritorni indefiniti. Ora lo scena-rio deve chiudersi nell’arco dell’esercizio, in questo ‘new normal’ è tutto più difficile. Con le nostre infrastrutture tecnologiche – il BPM, l’ECM e l’Enterprise Application Integration – risolviamo problemi specifici dell’utente aiu-tandolo a lavorare meglio e liberando il suo tempo. La nostra visione architetturale, sulla quale poggiano installazioni che i nostri clienti utilizzano da molti anni, è molto solida. Bene, su questa base, abbiamo sviluppato i ‘Quick Hits’, interven-ti mirati che portano risultati tangibili in tempi rapidi.

Può spiegarci meglio?Intervistiamo i responsabili di funzione e individuiamo situazioni migliorabili. Ci sono processi che vedono coin-volti molti profili, anche importanti. E i nostri interventi non impattano in maniera violenta sul modello organiz-

DocFlow e Sda Bocconi danno vita a un Laboratorio per fare innovazione nell’area dei processi amministrativi

Il documento elettronico come strumento facilitatore nella gestione dell’attività amministrativa e dei flussi informativi aziendali è cresciuto, sia per le evoluzioni normative che ne hanno determinato una maggiore diffusione, sia per la comprensione da parte delle imprese dei vantaggi connessi al suo utilizzo. La diffusione dello strumento non è sempre stata accompagnata, tuttavia, da una piena comprensione delle sue potenzialità. In realtà i potenziali impatti connessi a tali strumenti sono molto più ampi; la digitalizzazione dei documenti può diventare occasione di ridisegno dei processi, in particolare dei processi ad alta intensità documentale, modificando la gestione dei flussi informativi sottostanti.Partendo da questi presupposti il progetto di ricerca si pone l’obiettivo di identificare le condizioni di massima potenzialità dei tool di digitalizzazione dei documenti, i potenziali impatti connessi all’implementazione di detti strumenti e le fasi critiche nel processo di implementazione. Un vero e proprio ambiente di sensibilizzazione finalizzato alla divulgazione di casi di eccellenza.www.docflow.com

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Da sinistra: Carlo Petti, Maurizio Savoca, Francesca Di Bella, Vincenzo Cocciolo, Giuseppe Di Dio

zativo ma aiutano le persone, in poche settimane, a mi-gliorare la qualità del lavoro. Si tratta di applicazioni che installiamo a valle di una analisi e facilitano il lavoro degli utenti, che diventano così i nostri migliori sponsor. E fi-nalmente arrivano a percepire l’It come utile e strategico. Presso un cliente del settore food abbiamo installato ben 30 applicazioni, presso altri clienti oltre 20, a testimonian-za dell’efficacia dell’approccio. Si tratta di applicazioni che ben riflettono la filosofia dell’’agire in piccolo e pensa-re in grande’. Una filosofia che ci consente di guardare con serenità al futuro.

Non sarà che fino a ora ci si è eccessivamente focaliz-zati su efficienza e compliance trascurando innova-zione e sviluppo?È vero, oggi la focalizzazione è massima su efficienza e compliance. In realtà conta la capacità di fare cose nuove e farle bene. E questo può verificarsi se si è in grado di ela-borare la conoscenza insita nel gruppo di lavoro. Questo il nostro sogno: contribuire a migliorare l’efficacia del lavo-ro destrutturato, dove il capitale è insito nella conoscenza dei knowlegde worker di cui parlavo prima.

Un fattore che vi ha aiutato in un percorso di innova-zione continua è stato il fatto di esservi sempre misu-rati con competence center di grandi aziende e avere avviato collaborazioni con il mondo universitario…È così. Il confronto con grandi aziende che hanno una maggiore propensione all’innovazione rappresenta una forza propulsiva notevole. Siamo tenuti a conoscere le tendenze e proporre continuamente innovazione. Fonda-mentale anche il rapporto con le università: in particolare lavoriamo con l’università Bicocca per lo sviluppo della tecnologia dove abbiamo avviato ricerche sul text mining,

sul riconoscimento della semantica e abbiamo dato avvio a un laboratorio in collaborazione con SDA Bocconi (vedi box) per migliorare la gestione dei processi collaborativi in ambito amministrativo.

Un laboratorio che ha anche l’obiettivo di intercetta-re le evoluzioni che può avere il vostro settore…È così. La specificità del laboratorio non è essere una pro-getto di ricerca ma un progetto per intercettare le evoluzio-ni, per cercare di dare una diversa lettura di ciò che viene spesso in modo riduttivo definita ‘gestione documentale’. Ci si è focalizzati per anni sugli aspetti normativi legati alla dematerializzazione; ora questi aspetti sono noti ed è arrivato il momento per concentrarsi su potenzialità e miglioramento che una gestione efficace di questi processi può portare con sé. È arrivato il momento di allargare lo sguardo. In questi anni l’attenzione è stata catalizzata dai processi transazionali, codificati. Ora è arrivato il momen-to di concentrarsi sui processi destrutturati o parzialmente codificati. Dove risiede la conoscenza che, se valorizzata, può dare nuovo impulso al business.

Come vede il futuro un imprenditore come lei che ha l’innovazione nel dna? Da imprenditore sono per forza ottimista. Nondimeno, la mia visione non può che essere realista. La globalizzazio-ne ha per ora portato una ridistribuzione della ricchezza con un nostro conseguente impoverimento e la crisi finan-ziaria ha fatto il resto. Il nostro sistema Italia deve far leva su ciò che noi italiani sappiamo fare. Dobbiamo investi-re sugli elementi distintivi che ci caratterizzano come la capacità di creare, progettare e innovare. E, da ottimista, sono certo saremo in grado di farlo. Anche con l’aiuto del-la tecnologia.