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Quinta Parete V erona è cultura e società mensile on-line www.quintaparete.it Anno II - n. 2 - Febbraio 2011 Direttore responsabile Federico Martinelli Arte L’Ottocento a Rovigo Animali Il miglior amico siberiano Enogastronomia Un fuori porta nel vicentino A Palazzo Roverella di Rovigo, i grandi dell’Ottocento italiano per una mostra di valore Dopo il “viaggio” in Siberia di Alice Perini, conosciamo meglio il samoiedo, cane nordico per eccellenza Un viaggio affascinante per i Colli Berici e il vicentino. Tra campi, torrenti e sapori di una terra da esplorare a pagina 5 a pagina 20 a pagina 22 di Federico Martinelli [email protected] Per colpa di un’intervista su un mensile per adulti Morgan ha visto svanire la possibili- tà di partecipare al Festival di Sanremo. Succedeva lo scorso anno, a seguito delle dichiara- zioni del cantante di aver fatto uso di droghe. La pressione me- diatica si era estesa a ogni orga- no di stampa e persino su Topo- lino e su Pimpa tutti gli italiani, bimbi compresi, erano venuti al corrente della scarsa condot- ta morale di Marco Castoldi. L’inquisizione (santa?), impose il veto di far partecipare il can- tante alla manifestazione cano- ra e lo fece estromettere dalla Rai. Successe anche a Bigazzi, per aver comunicato una ricetta per cucinare il gatto e ad Aldo Busi per certe “provocazioni” in diretta dall’Isola dei Famosi. Troppo per la Rai, troppo per una televisione, quella italiana, che invece è retta e moralmente venerabile. Su un’emittente pri- vata invece qualche giorno fa, l’occhio vigile di un fratello-te- lecamera immortalava e faceva udire chiaramente una richie- sta particolarmente scabrosa e televisivamente violenta, in cambio di tre biscotti. Morali- tà? Dov’è la cultura, l’eleganza e il rispetto per l’essere umano in trasmissioni dove ci si scan- na letteralmente per conquista- re un ragazzino-tronista seduto su un trono di squallore e ver- gogna? Dove si può parlare di “uomini e donne” in trasmis- sioni dove l’audience è misurata grazie agli insulti, alle risse e alla piattezza grammaticale di chi vi partecipa? In fin dei con- ti Morgan non aveva arrecato alcun danno. Quale ragazzino Dal futurismo di Marinetti alla classicità di Shakespeare Un febbraio a tutto Impiria Il Teatro Impiria diretto da An- drea Castelletti colleziona ora- mai repliche in tutta Italia con i suoi spettacoli, sempre originali e apprezzati da pubblico e cri- tica. Una traiettoria quella del gruppo veronese che sta facendo molto ben parlare gli addetti ai lavori. Moltissimi i premi messi insieme in soli quatto anni di at- tività ai vari Festival e Concorsi teatrali nazionali. Ci limitia- mo qui a segnalare quelli vinti nell’ultimo mese con “Ultima Chiamata”, miglior spettacolo e miglior regia al Premio Nave Teatro (BS), e con “Il ponte sugli oceani. Amori”, miglior spettacolo al Premio Mellano di Fossano (Cn) e miglior alle- stimento al Premio Lauro Rossi di Macerata, uno dei festival più blasonati di Italia. Nel mese di febbraio Verona ha l’occasione di vedere ben quat- tro delle migliori produzioni targate Impiria. Sabato 12 ore 21, con replica domenica 13 ore 16.30, andrà in scena “Sognavamo di vive- Editoriale Ne hanno viste di cose, questi occhi Segue a pag. 2 re nell’assoluto”, lo spettacolo che ha incantato tutte le platee raccontando la vera storia di un gruppo di giovani artisti di provincia, che negli anni Trenta del Novecento cercarono nuo- ve frontiere nella pittura, nella musica, nella scultura e nella letteratura, aderendo con entu- siasmo al movimento futurista. Sognarono di cambiare il mon- do attraverso l’arte. Il dramma ruota intorno alla figura di un pittore, Albino Siviero ribat- tezzato Verossì da Marinetti, che condivise l’ideale futurista e morì tragicamente, ucciso da un tedesco in ritirata il 26 aprile 1945, il giorno dopo la libera- zione. Lo spettacolo, scritto da Raffello Canteri per la regia di Andrea Castelletti è un’o- pera di forti passioni collocate storicamente nell’ambito di un tempo sconvolto dal fascismo e culminante nella tragedia della seconda guerra mondiale, che finisce per travolgere i sogni e la vita degli stessi protagonisti. In Stefano Campostrini graphic designer fotografo 320 6461502 [email protected] Segue a pag. 2

Quinta Parete - veronae.itveronae.it/wp-content/uploads/2015/02/2011-02.pdf · Enogastronomia Un fuori porta nel vicentino A Palazzo Roverella ... Un viaggio affascinante per i Colli

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Q u i n t a P a r e t eVeronaècultura e societàmensile on-linewww.quintaparete.it

Anno II - n. 2 - Febbraio 2011 Direttore responsabile Federico Martinelli

Arte

L’Ottocento a RovigoAnimali

Il miglior amico siberianoEnogastronomia

Un fuori porta nel vicentinoA Palazzo Roverella di Rovigo, i grandi dell’Ottocento italiano per una mostra di valore

Dopo il “viaggio” in Siberia di Alice Perini, conosciamo meglio il samoiedo, cane nordico per eccellenza

Un viaggio affascinante per i Colli Berici e il vicentino.Tra campi, torrenti e sapori di una terra da esplorare

a pagina 5 a pagina 20 a pagina 22

di Federico Martinelli [email protected] colpa di un’intervista su un mensile per adulti Morgan ha visto svanire la possibili-tà di partecipare al Festival di Sanremo. Succedeva lo scorso anno, a seguito delle dichiara-zioni del cantante di aver fatto uso di droghe. La pressione me-diatica si era estesa a ogni orga-no di stampa e persino su Topo-lino e su Pimpa tutti gli italiani, bimbi compresi, erano venuti al corrente della scarsa condot-ta morale di Marco Castoldi. L’inquisizione (santa?), impose il veto di far partecipare il can-tante alla manifestazione cano-ra e lo fece estromettere dalla Rai. Successe anche a Bigazzi, per aver comunicato una ricetta per cucinare il gatto e ad Aldo Busi per certe “provocazioni” in diretta dall’Isola dei Famosi. Troppo per la Rai, troppo per una televisione, quella italiana, che invece è retta e moralmente venerabile. Su un’emittente pri-vata invece qualche giorno fa, l’occhio vigile di un fratello-te-lecamera immortalava e faceva udire chiaramente una richie-sta particolarmente scabrosa e televisivamente violenta, in cambio di tre biscotti. Morali-tà? Dov’è la cultura, l’eleganza e il rispetto per l’essere umano in trasmissioni dove ci si scan-na letteralmente per conquista-re un ragazzino-tronista seduto su un trono di squallore e ver-gogna? Dove si può parlare di “uomini e donne” in trasmis-sioni dove l’audience è misurata grazie agli insulti, alle risse e alla piattezza grammaticale di chi vi partecipa? In fin dei con-ti Morgan non aveva arrecato alcun danno. Quale ragazzino

Dal futurismo di Marinetti alla classicità di Shakespeare

Un febbraio a tutto Impiria

Il Teatro Impiria diretto da An-drea Castelletti colleziona ora-mai repliche in tutta Italia con i suoi spettacoli, sempre originali e apprezzati da pubblico e cri-tica. Una traiettoria quella del gruppo veronese che sta facendo molto ben parlare gli addetti ai lavori. Moltissimi i premi messi insieme in soli quatto anni di at-tività ai vari Festival e Concorsi teatrali nazionali. Ci limitia-mo qui a segnalare quelli vinti nell’ultimo mese con “Ultima Chiamata”, miglior spettacolo

e miglior regia al Premio Nave Teatro (BS), e con “Il ponte sugli oceani. Amori”, miglior spettacolo al Premio Mellano di Fossano (Cn) e miglior alle-stimento al Premio Lauro Rossi di Macerata, uno dei festival più blasonati di Italia.Nel mese di febbraio Verona ha l’occasione di vedere ben quat-tro delle migliori produzioni targate Impiria. Sabato 12 ore 21, con replica domenica 13 ore 16.30, andrà in scena “Sognavamo di vive-

Editoriale Ne hanno viste di cose, questi occhi

Segue a pag. 2

re nell’assoluto”, lo spettacolo che ha incantato tutte le platee raccontando la vera storia di un gruppo di giovani artisti di provincia, che negli anni Trenta del Novecento cercarono nuo-ve frontiere nella pittura, nella musica, nella scultura e nella letteratura, aderendo con entu-siasmo al movimento futurista. Sognarono di cambiare il mon-do attraverso l’arte. Il dramma ruota intorno alla figura di un pittore, Albino Siviero ribat-tezzato Verossì da Marinetti, che condivise l’ideale futurista e morì tragicamente, ucciso da un tedesco in ritirata il 26 aprile 1945, il giorno dopo la libera-zione. Lo spettacolo, scritto da Raffello Canteri per la regia di Andrea Castelletti è un’o-pera di forti passioni collocate storicamente nell’ambito di un tempo sconvolto dal fascismo e culminante nella tragedia della seconda guerra mondiale, che finisce per travolgere i sogni e la vita degli stessi protagonisti. In

Stefano Campostrini

graphic designerfotografo

320 [email protected]

Segue a pag. 2

-la cui mente è facilmente pla-giabile- legge a casa tranquilla-mente quel mensile che aveva pubblicato le dichiarazioni? Sono contrario a qualsiasi tipo di droga, persino il fumo, ma non dimentico lo squallore di quei mesi di polemica. Morgan nel frattempo, con un pezzo in-teressante e finalmente nuovo, ha perso la possibilità di par-tecipare la scorsa edizione che quest’anno sarà presentata, tra gli altri, da Belen Rodriguez, coinvolta alcuni mesi fa nello scandalo di droga e tangenti delle discoteche milanesi Hol-lywood e The Club, che furono anche sequestrate. Ma lei forse può permettersi tutto questo. Tutti infatti sanno che ha ta-lento, è moooooooooolto brava. ( fed.mar.)

Febbraio 20112 Teatro

Segue dalla prima

Segue dalla prima

Così parlò Eatwood

E così il mio vicino di casa ha avuto il suo primo colloquio di lavoro. Addetto stampa di un partito di centrodestra. Una cosa insopportabile per lui, dato che aveva solo t-shirt e magliette di colore rosso. E non per caso. Era una questio-ne politica, per davvero. E lui, in piena crisi economica si era visto costretto a presentarsi al colloquio. Una seccatura enorme ma era stufo di vivere in un appartamento piccolo e voleva allargarsi. Allargato fi-sicamente lo era già ma no, lui voleva uno spazio più grande in cui vivere e in cui esporre le sue fotografie, peraltro orri-bili agli occhi di tutti, persino dei genitori e degli amici più stretti. E così ha stirato la sua unica camicia, se l’è infilata, è andato al colloquio ed è stato assunto. Quanto rimarrà?

Via Spighetta 15 37020 Torbe di Negrar, VRTel/fax: +39 045 750 21 88

www.casalespighetta.it

... dove la cucina tradizionale italianaviene rivisitata con un sapore d'Oriente ...

Edito daQuinta Parete

Via Vasco de Gama 1337024 Arbizzano di Negrar, Verona

Direttore responsabileFederico Martinelli

Coordinamento redazionaleErika Prandi

Hanno collaboratoDaniele AdamiPaolo Antonelli

Francesco BadaliniStefano Campostrini

Enrico CanellaFrancesco FontanaFederico Martinelli

Ernesto PavanAlice PeriniErika Prandi

Silvano TommasoliGiordana Vullo

Realizzazione graficaStefano Campostrini

Autorizzazione del Tribunale di Veronadel 26 novembre 2008

Registro stampa n° 1821

scena l’attore Sergio Bonometti e la ballerina Marisol Tremato-re, accompagnati dal trio musi-cale di Giovanni Ferro. L’allesti-mento torna a Verona dopo aver partecipato a Festival nazionali della stagione scorsa vincendo diversi premi come miglior spet-tacolo, miglior regia e miglior attore.Sempre domenica 13, ma alle ore 21, presso il Teatro Cam-ploy, nell’ambito della manife-stazione “Verona in Love” an-drà in scena “Giulietta, Romeo e i motivi dell’amore”, un origi-nale adattamento di Castelletti del “Romeo e Giulietta” di Sha-kespeare. L’allestimento, che ha debuttato per l’Estate Teatrale Veronese nel 2009, si è fatto particolarmente apprezzare per la bravura degli interpreti e per l’originalità della costruzione scenica, realizzata di soli sca-toloni in continuo movimento. Per questo lo spettacolo è stato selezionato per l’apertura del Festival d’Arte Drammatica di Pesaro dello scorso anno nonché per i Festival Internazionali di Teatro di St.Anton in Austria

e Lugoj in Romania, mentre in settembre volerà in Canada per il Festival di Mont-Laurier. In scena due soli attori, Romeo (Alberto Castelletti) e Giulietta (Pamela Occhipinti).La storia parte dalla fine: sono morti. Le loro anime non san-no chi sono, cosa sia successo, non sanno nemmeno di essere morti. Lentamente però inco-minciano a ricordare, a spraz-zi, e con qualche incertezza si riconoscono, ricostruiscono gli ultimi accadimenti, raccontano l’uno all’altro ed a sé stessi cosa è successo, sino a scoprire la tragi-ca verità della loro morte. Tutte la parole sono di Shakespeare, mentre le musiche sono quelle dei grandi compositori che si sono ispirati ai due amanti ve-ronesi: Rota, Bellini, Gounod, Tchaikovsky, Berlioz, Prokofiev. Dopo questa replica per Verona in Love, in marzo lo spettacolo è chiamato a Roma per quattro giorni di recite.Al Teatro S.Teresa invece, feb-braio si aprirà con “Il ponte su-gli oceani. Amori”, sabato 5 con inizio ore 21.15, lo spettacolo di Raffaello Canteri che vede in

scena Guido Ruzzenenti accom-pagnato dall’Acoustic Duo. La saga di una famiglia di emigran-ti veneti attraverso le vicissitu-dini di quattro generazioni. Un viaggio avventuroso e poetico, comico e commovente, da una parte all’altra del mondo, dal-la fine dell’800 ai nostri giorni: Brasile, Argentina, Stati Uniti, Australia, Lorena, sino all’attua-le comunità del web.Sabato 26, sempre alle 21.15 al Teatro S.Teresa, sarà la volta di “Biciclette”, un divertente rac-conto-commedia musicale tratta dal romanzo “Umberto Dei” di Michele Marziani di cui Andrea Castelletti ha curato adattamen-to e regia. Una bellissima storia che ha il sapore di una favola contemporanea, poetica e reale.

Febbraio 2011 3Arte

Via Spighetta 1537020 Torbe di Negrar, Verona

Tel/fax: +39 045 750 21 88www.casalespighetta.it

Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte

nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia & Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed

effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri.

Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene

romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può godere di un meraviglioso panorama.

Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande amore per la tradizione e l’arte moderma.

... dove la cucina tradizionale italianaviene rivisitata con un sapore d'Oriente ...

R I STORANTE

Casale Spighetta

Una scenografia spoglia ed es-senziale, formata da tre immagi-ni dei protagonisti della vicenda. Tre sgabelli per i tre attori che sono anche gli autori dello spet-tacolo. E poi le loro voci che si al-ternano per raccontare la storia.

Una storia da molti già sentita, visto che la vicenda della presun-ta amicizia tra il ciclista Costan-te Girardengo e il bandito Sante Pollastri ha colpito la fantasia di cantanti, autori di fiction e di ro-manzi. Ma il modo in cui ce l’ha proposta il Gruppo Regionale Ales-sandrino domenica 16 gennaio al Teatro San Massimo, è diverso da tanti altri. I giovani autori\attori, Massimo Poggio, Gual-tiero Burzi e Davide Iacopini, tutti con importanti esperienze teatrali e televisive alle spalle, hanno puntato a mettere in luce le vicende delle vite parallele dei due protagonisti piuttosto che enfatizzare un’amicizia che in realtà non c’è mai stata. I due personaggi, entrambi figli della Novi Ligure a cavallo tra i due secoli passati, si sono sicuramen-te conosciuti di fama, hanno certamente conosciuto l’uno le gesta dell’altro, ma un legame di vera amicizia non c’è mai stato. Culmine della rappresentazione

è il primo, e forse unico, incon-tro tra i due diversi campioni, una sera del 1925, al velodro-mo d’Inverno di Parigi, quando Sante Pollastri chiede a Costan-te Girardengo di intercedere per far assolvere un compagno di scorribande, ingiustamente in-carcerato. Ma nessuno ancora sa che l’incontro tra i due grandi personaggi rappresenterà invo-lontariamente l’inizio del decli-no per entrambi. Quella sera al Vel d’Hiver è uno spettacolo agile e snello, quasi come uno scalatore che con grazia affron-ta una salita. Racconta in modo leggero e poetico una storia d’al-tri tempi, “di prima del motore”, come cantava De Gregori nel presentarci in musica la stessa vicenda. Ha il grande merito di riportarci indietro nel tempo, quando la vita era meno frene-tica e la bicicletta era un mezzo di trasporto per tutti, anche per i banditi, oltre a essere il mezzo con cui i campioni, e i campio-

di Elmer Karugatis

Il ciclista e il bandito: leggendari campioniLa storia di Girardengo e Pollastri inaugura la rassegna “Professione Autore”

Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve

nissimi, facevano sognare le folle. Anche lo stile minimalista delle scenografie e la scelta della lettura senza tante artificiosità contribuiscono a farci rivivere le atmosfere pacate dell’inizio del ‘900. Lo spettacolo è andato in scena all’interno della rassegna “Professione Attore”: 4 appun-tamenti con il teatro professio-nistico al Teatro San Massimo, la domenica pomeriggio alle 18e30. I prossimi appuntamenti con la rassegna saranno dome-nica 6 febbraio con lo spettacolo grottesco “BBBTrombedelsi-gnorepuntocom”, il 27 febbraio con “Checov in tre atti”, una rilettura in chiave vaudeville di tre atti unici di Checov da parte dell’Associazione Culturale Tam Tam Teatro,e infine il 20 marzo con “Cyrano e il suo invaden-te naso”, una presentazione in forma clownesca delle ben note vicende del personaggio di Ro-stand presentato dalla compa-gnia La Piccionaia – I Carrara.

Febbraio 20114 Teatro

appleproducts.tkApple Products è un gruppo di persone che condividono la passione per i prodotti Apple.

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Febbraio 2011 5Arte

Ho pensato più volte all’Otto-cento francese visitando la mo-stra Ottocento elegante. Arte nel segno di Fortuny 1860-1890. Si, perché la maggior parte di noi ha in mente i nomi

dei grandi artisti d’oltralpe ma troppo spesso dimentica quelli di Giovanni Boldini, Giusep-pe de Nittis, Attilio Simonetti, Gerolamo Induno, Domenico Morelli, Mosè Bianchi, Giaco-

mo Favretto, Antonio Mancini e numerosi altri che farebbero tre-mare le vene e i polsi ai “colleghi dell’Eliseo”. Eleganza, folclore, tra-dizioni, scene di vita quotidiana, balli, feste, incontri familiari, car-nevali e il caratteristico Oriente, sono protago-nisti assoluti dell’esposi-zione, garbatamente cu-rata da Dario Matteoni e Francesca Cagianelli. Sono proprio il garbo e la cura ad accogliere lo spettatore nelle sale del palazzo: dall’emozione iniziale, non appena si entra nella prima sala ad ammirare la prima opera, fino a quando non si contempla l’ulti-ma, sempre accompa-gnati da un piacevole sottofondo musicale. La mostra incentra il suo interesse nel trentennio 1860-1890, trenten-nio di speranza vitalità animato dai moti per

l’unificazione del Regno d’Ita-lia. E di unificazione parlano le opere, tutte a raccontare, met-tendoli in evidenza, gli aspetti positivi di un secolo d’oro per l’arte italiana. Rivivono i colo-ri, in tutta la loro vivacità ed eleganza, rivive lo splendore dei grandi artisti che sapevano raccontare tanto le scene di vita borghese quanto le vicende di cronaca sociale e vita religiosa. Rivivono i ritratti, Boldini stu-pefacente, eccezio-nale. Soffermatevi ad ammirare il 30x50 Incontro nel parco di Ver-sailles, proveniente da una collezione privata di Milano. C’è in quest’opera tutta la sintesi de-gli eleganti parchi della nobiltà dell’e-poca. Stupefacente -per le dimensioni ridotte- è la riu-scita tecnica del cielo, della vegeta-zione -con le sue minuscole foglie- e dell’acqua della fontana in cui si specchia la recin-zione in colonnine di marmo, che de-limita il parco. E

il miracolo Boldini lo compie grazie alla sua precisione da miniaturista che ci permette di ammirare i fregi della carroz-za. Una precisione magistrale anche nel delineare, in pochi centimetri, figure dagli abiti eleganti, tutti rigorosamente curati e adorni di pizzi e de-cori. Ma c’è un mago: Antonio Mancini e, di fronte a tanta ca-pacità, nessuna parola può dire altro. Visitatela.

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

di Federico Martinelli

Ottocento a 360°, protagonista a RovigoInaugurata una mostra di prestigio a Palazzo Roverella

Antonio Mancini, A circus boy

Giovanni Boldini, Gossip (part.)

Edoardo Tofano, Donna con ventaglio

A Sant’Anastasia tra bicchieri, poesia e musica

Incontro di gran rilievo, questo martedì 8 febbraio al ristorante degli Alighieri, in piazza Sant’Anastasia, dove sbarcano, insieme alla fisarmonica di Igino Maggiotto e alle poesie immancabili di Berto Barbarani e Cevese, i vini della premiata cantina Monte del Frà, un’azienda familiare veronese, nata nel 1958, e ancora gestita dalla famiglia Bonomo, con papà Claudio (in produzione) e zio Eligio (nel commerciale), e con i figli al lavoro, Massimo in produzione con il padre, Marica sempre in giro il mondo e Silvia responsabile marketing, vere ambasciatrici del vino veronese. Nel corso della serata, abbinati di volta in volta a un piatto diverso, saranno presentati lo Spumante rosè 2010, il premiatissimo Cà del magro 2009, un “custozino” nel paradiso dei “tre bicchieri” del Gambero Rosso, il potente valpolicella superiore 2008, l’Ama-rone, principe dei vini, per finire il viaggio con il recioto, un vino di cui un tempo si parlava di più e che oggi deve essere rilanciato proprio in nome dell’enologia veronese. L’appuntamento al degli Alighieri è alle ore 21, e a presentare i vini sarà proprio Silvia Bo-nomo, ultima esponente di una grande generazione di viticoltori. Info 045 591 116

Febbraio 20116 Arte

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

di Erika Prandi

È stata inaugurata il 4 febbra-io la personale di Sissi, artista bolognese diplomata all’Acca-demia di Belle Arti. La mostra, presentata alla FaMa Gallery di corso Cavour, è intitolata Abitanti. Nello spazio espositi-vo sono presenti vestiti che l’ar-tista ha indossato negli ultimi 12 anni di vita e che ha realiz-zato con materiali di recupero come, ad esempio, stracci. Essi sono stati sistemati sopra co-struzioni in bamboo, ed altri materiali quali la ceramica e il ferro, che rispondono ad una precisa volontà di dare ai suoi “abitanti” delle case o degli ambienti in cui sistemarsi. Le installazioni sono, inoltre, ac-compagnate da 350 schede con-tenenti le foto dei capi e alcuni dettagli riguardanti il materiale e l’occasione in cui sono stati indossati.Partiamo dalla tua identi-tà: Sissi. Vero nome?Sissi è il nome d’arte che mi è stato dato quando ero in Ac-cademia. Il nome di battesimo

non l’ho più usato, non è ne-cessario. Nel 1999 dopo una performance intitolata Daniela ha perso il treno ho iniziato ad essere chiamata Sissi e da quel momento ci sono stati degli eventi psicologici che mi hanno portato a credere che tutti mi vedessero con quel nome.Da cosa deriva l’idea di utilizzare i tuoi vestiti per creare installazioni?A maggio 2010 ho fatto una personale a Milano alla Fon-dazione Pomodoro chiamata Addosso e durante questa mostra io, Angela Vettese e Milovan Ferronato abbiamo pensato di mostrare un aspetto di me che fino a quel momento non era ancora emerso ma che viveva sotto terra come un bulbo. Per molto tempo ho bilanciato la performance e l’installazione vivendo le due cose insieme. La performance aveva continuato a vivere anche nel privato, cosa che non avevo mai manifestato, attraverso l’atto del vestirsi. Ve-stirmi per me era come metter-

mi delle idee addosso: un mate-riale che mi interessava prima di usarlo lo indossavo. C’è an-che un archivio che comprende quello che in 12 anni mi sono messa addosso, cioè che ho vis-suto e sperimentato. È come se avessi vissuto una seconda per-formance nella vita.Il vestito può essere consi-derato un oggetto che ne-cessita di una cura parti-colare sia nei materiali che nel colore?Io non lo considererei un ogget-to. Per me c’è un grosso inter-rogativo tra chi è più corpo tra me e l’abito perché è una parte di me che continua a cambia-re. Sono un essere in crescita e l’abito testimonia, come una traccia, una presenza in conti-nuo cambiamento. Infatti tutti gli abiti sono raggruppati in 15 famiglie che chiamo mordenti, circolari, ennesti e altri. Queste famiglie hanno creato la psico-logia della mia crescita. Attra-verso gli abiti ho identificato dei gruppi, li ho raggruppati e li ho catalogati, quindi è come se avessi identificato delle mie identità che ho vissuto nel tem-po. La catalogazione è come se fosse un archivio psichico dei miei cambiamenti.La forma delle installazio-ni hanno un si-gnificato?Quando ho pen-sato che dovevo dare un posto alle mie pelli ho crea-to questa prima idea di casa per creare poi un’idea di popolo perché gli abitanti vivo-no i miei vestiti. Allora ho realiz-zato questa idea visionaria di cor-po che vive i miei abiti. Può essere una roccia, una grotta, un an-fratto, un rifugio. Qualsiasi posto che contiene per-ché io sono stata contenuta da loro

Gli abiti di una Sissi alternativaAppuntamento alla FaMa Gallery per “Abitanti”, incontro con artista e direttrice

e adesso che non sono più su di me hanno bisogno di qualcuno che li contenga. Da qui l’idea di abitazione, di abitanti, perché c’è questo rapporto con il cor-po. Il bamboo poi mi permette di disegnare perché è come se fosse un tratteggio. Uso anche altri materiali come la cera-mica, il ferro, la stoffa. Tutti i materiali entrano nel mio la-voro, escono nella mia vita, c’è un’unica circolarità. La foto che mi ritrae in camera vuole far capire come il mio mondo mi veste e mi rappresenta. La mia identità è data dallo spazio che mi sono creata. Mi vesto del luogo. Il mio micromondo veste e contiene.Hai un artista preferi-to, un modello da cui sei partita come ad esempio Duchamp con i suoi ready made?Io non considero le cose fuori da me come degli oggetti ma come degli altri corpi, altri esse-ri viventi, altre potenzialità per-ché attraverso loro posso creare delle visioni, delle amplificazio-ni. È come se creassi delle con-nessioni con i materiali dai qua-li posso avere delle suggestioni, degli innamoramenti. Le stoffe che mi metto mi stimolano del-le fantasie.

Febbraio 2011 7Arte

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

Che mercato hanno queste opere?Comprano i collezionisti, i musei. Ci vuole del tempo ma c’è un mondo che vive attorno a queste opere: è il mondo dei collezionisti, degli appassionati, degli studiosi.

Dal punto di vista del gallerista, invece, come comportarsi da-vanti a nuovi artisti emergen-ti, alle nuove tendenze e come fare per avvicinare il pubblico all’arte contemporanea? Ne ab-biamo parlato con la direttrice della FaMa Gallery, Masha Facchini.L’obiettivo di FaMa Galle-ry?Trattare sostanzialmente arte contemporanea. Siamo una galleria di ricerca sia italiana che internazionale.Proponete esclusivamente artisti già affermati o an-che coloro che stanno cer-cando un proprio mercato?

Entrambi. Lavoriamo sia con artisti già affermati come Marc Quinn, Mat Collishaw, Patricia Picci-nini che con giovani artisti che vogliamo lanciare nel panorama internazionale. Trattiamo tutti i linguag-gi dell’arte contempora-nea dalla scultura alle più tradizionali ma anche le nuove tendenze come le installazioni, i video e le performance.Ci sono ancora artisti che propongono un linguaggio più figura-tivo?L’arte contemporanea è soprat-tutto concettuale ma è rimasta anche l’arte del fare come la pit-tura. Questa non è solo estetica ma contiene un concetto molto forte legato alla nostra società. Gli artisti vogliono parlare di tematiche attuali.Com’è l’andamento del mercato?

Il mercato internazionale è più pronto a queste nuove tenden-ze perché in America e in nord Europa c’è più apertura verso il nuovo mentre in Italia siamo più legati alle tradizioni.In questi giorni ci sarà Ve-rona in love. Pensi che avrà un’incidenza positiva per la galleria o è una manife-stazione che non incide sul mercato?L’arte contemporanea è ap-prezzata da una nicchia molto ristretta. Tuttavia sono sempre apprezzati degli eventi in città perché comportano un ricam-bio di persone e quindi sempre nuovi utenti con cui confron-tarsi. Per questo motivo abbia-mo voluto rendere la galleria molto aperta con le vetrine ampie che danno sulla strada per fare in modo che anche chi non conosce il linguaggio dell’arte contemporanea ven-ga incuriosito e possa entrare per la prima volta per cercare gli strumenti per capire. Noi vogliamo lavorare con la città perché è fondamentale per cre-are questi presupposti.A tal proposito avete dei progetti?Abbiamo fondato, con le altre gallerie veronesi, l’associazione

Contemporanea con l’intento di diffondere sul territorio i lin-guaggi dell’arte contempora-nea non solo attraverso mostre ma anche attraverso dibattiti e incontri in modo tale che le persone possano entrare nel meccanismo e capire.È l’artista che si propone o siete voi che cercate?

Siamo noi che facciamo una grande ricerca e viaggiamo molto. Cerchiamo di essere sempre aggiornati su quello che succede e di lavorare con gli ar-tisti che più ci interessano.Un consiglio per i giovani artisti che vogliono inizia-re a farsi conoscere?Consiglio di fare tanta ricerca, di capire cosa succede nel mon-do dell’arte. Poi bisogna viag-giare, farsi conoscere da cura-tori e da critici in modo tale da essere inseriti anche nelle mo-stre istituzionali.Prossima mostra?Ad aprile e sarà una collettiva di artisti inglesi curata da Ja-mes Putnam. Sono artisti che abbiamo scoperto nella zona di Londra. Sono tutti giovani tranne una coppia già afferma-ta: Tim Nobel e Susan Webster che lavorano con dei giochi illu-sionistici di ombre.Quanto tempo prima si inizia a progettare una mo-stra?Mesi o addirittura anni. Vo-gliamo fare progetti innovativi con opere che sono già state esposte quindi anche l’artista si deve preparare per fare un pro-getto nuovo e questo comporta tempo.

Errata Corrige

Nel numero precedente è stata erroneamente attribuita l’im-magine di un’opera in prima pagina all’artista veronese Dario Ballini. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.

Febbraio 20118 Arte

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

La versione di Tiziano

di Erika Prandi

Un’eroina come tante, un amore come pochiGiuditta e Oloferne: le rappresentazioni che durano nel tempo

Il corso della storia è costellato da molti eventi incredibili che hanno avuto come protagonista una donna: da Giuditta pas-sando per Cleopatra fino alle ultime, in ordine cronologico, che hanno dato una svolta alla sensibilità umana. Sono eroine a volte sconosciute, altre volte assunte alla gloria e alla fama per le loro gesta diventate epi-che. Ma cosa le ha mosse? Qual è stato il motore che le ha spinte verso quella direzione? E per-chè sono state tanto amate a tal punto da essere immortalate per sempre indipinti, raffigu-razioni, scritti? Non ci è dato saperlo ma certo è che il tema dell’amor di patria vissuto dalla donna ha sempre incuriosito e affascinato, ancor di più se con-dito da storie d’amore, intrighi, gelosie. Ma chi era Giuditta? Giuditta, secondo la narrazione biblica, era una ricca vedova della città di Betulia, in Giu-dea, che accorse in aiuto del suo popolo minacciato dal po-tere di conquista del perfido re assiro Nabucodònosor. Ella, in nome di Dio e per amore del-la sua gente, una sera penetrò nell’accampamento dell’eserci-to nemico, guidato dal sangui-nario generale Oloferne, conse-gnandosi a loro e convincendoli

della possibilità di vincere sul popolo israelita. Oloferne, col-pito dalla sua bellezza e dalla sua saggezza, se ne convinse e le permise di rimanere con loro. Dopo tre giorni fu orga-nizzato un ricco banchetto nel-la tenda del generale il quale, a fine serata, cadde addormenta-to e ubriaco. Giuditta colse il momento e, presa la scimitarra di Oloferne, lo colpì due volte al collo. Presa la testa del genera-le la consegnò alla sua ancella che la mise in una sacca e se ne ritornarono a Betulia. Il popolo esultò di gioia e all’indomani, si armarono per combattere contro i persiani che, accortisi della morte del loro capo, scap-parono impauriti e morirono sotto i colpi delle popolazioni radunatesi per sconfiggerli.Analizzando il racconto, poi diventato mito per la capaci-tà di suggestione, riusciamo a scorgere degli elementi ricon-ducibili ad un’attenta anali-si filosofica. Primo fra tutti il tema della morte associato alla figura femminile. È quanto se ne ricava dalla lettura del mito di Pandora descritto da Esio-do ne Le opere e i giorni. Il poeta greco parla di Pandora come la prima donna creata dagli dei

e portatrice di un dono: il vaso. Esso è associabi-le al ventre ma-terno che con-tiene tutti i mali, primo fra tuttila morte. Prima di allora, infatti, la “razza umana” era immortale e si generava dalla terra. La mor-te, quindi, è una conseguenza del-la presenza della “razza femmi-nile”, come sot-tolinea la prof.ssa Cavarero nel suo libro Il femminile negato. E chi, meglio di una donna, pote-va salvare il suo

popolo dall’invasione ucciden-do il generale nemico? Questa freddezza nell’agire, unita ad una spiccata dose di seduzione, è stata più volte rappresentata anche nell’arte attraverso l’oc-chio di più di una ventina di artisti,cimentatisi con questo tema. Forse il primo fra tutti è Donatello che, nel 1446, im-mortala il momento della de-capitazione in una statua ora a Palazzo Vecchio a Firenze. Se-gue il Mantegna, con una tela del 1490 della National Gallery of Art di Washington, che rap-presenta Giuditta mentre “in-

sacca” la testa del povero Olo-ferne. Sandro Botticelli, invece, nel 1472 preferisce dipingere il momento in cui le due donne fanno ritorno a casa con il ricco bottino che l’ancella tiene solle-vato sul capo come fosse un tro-feo. Non si sottrae al tema nep-pure Michelangelo che nel 1508 affresca, nella Cappella Sistina, Giuditta che, vigile, cerca di nascondere la testa in una sac-ca. Tiziano, invece, nel 1515 ne da un’interpretazione ulte-riore incentrando il tema sulla bellezza che può tutto: Giudit-ta, pensierosa, fissa davanti a se e in basso un punto lontano come se guardasse il suo popolo dall’alto della casa del generale la cui testa giace perfetta, com-posta, come se appartenesse ad un uomo immerso in un pro-fondo sonno. Inquesto caso si vede l’immagine di una donna che ha compiuto il suo destino e guarda beata verso la sua gen-te. La stessa pace interiore la si scorge anche nella Giuditta del 1581 del Veronese: la donna ha appena ucciso il suo nemico e si presta a posizionare la testa nel-la sacca che l’ancella di colore le sta porgendo. Bisogna aspettare, però, la fine del 500 inizio 600 per avere rappresentazioni più crude dell’evento. L’amor di patria, la fedeltà assoluta a Dio, l’av-venenza e la violenza sono gli aspetti che maggiormente emergono e ne fanno di queste

Non vi è nulla di più facile dell’autoconvincimento.

Ogni cosa che ogni uomo spera, pensa ancheche questa sia vera

Diane Arbus

Riconoscibile è il tratto del Botticelli

Giuditta e Oloferne visti da Caravaggio

Febbraio 2011 9Arte

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

Società13Novembre 2010eronacultura e società

V èQ u i n t a P a r e t e

Omologati in TV. Peggio, omoge-neizzati. No, non mi riferisco aiprogrammi televisivi, che sem-brano tutti “fatti con lo stampino”da almeno dieci anni, peggio an-cora dei vari telegiornali che sonoproprio tutti uguali.Sto parlando dei concorrenti delGrande Fratello, tutti conformi a unmodello standard tristissimo, quellodella volgarità estrema. Sì, la volga-rità dei gesti, delle parole, degli at-teggiamenti è il denominatorecomune che unisce, tra loro, quasitutti i reclusi della “casa”. E li uni-sce anche alla presentatrice, Alessiaa gambe sempre aperte Marcuzzi. Mapossibile che nessuno abbia maifatto notare a questa povera ra-gazza – addirittura capace la scorsaedizione di sedersi sul pavimentodello studio, sempre rigorosamentea gambe aperte, spalancandoun’ampia panoramica sulle propriabiancheria intima – che, in video,assume delle posture che fanno a

pugni con un minimo di eleganzae di buon gusto? Oddio, non è chesiano tanto più signorili gli autoridella trasmissione, che ricordano aogni piè sospinto il premio finale dialcune centinaia di migliaia euro,come fosse l’unica molla a spingerequesta variopinta umanità aesporre le proprie miserie alla vistadi qualche milione di guardoni. Equi cominciano le rogne vere, per-ché sarebbe necessaria una com-missione di psicologi, sociologi eantropologi per cercare di capireche cosa possa indurre alcuni mi-lioni di persone normali ad abbrut-tire il proprio spirito davanti alleincredibili esibizioni dei “ragazzidella casa”. Forse la solita voglia disentirsi migliori?A farci respirare, fortunatamente,c’è la Gialappa, che non ne lasciapassare una sia alla conduttrice siaai concorrenti. Di più, per farci ca-pire il livello di squallore (o di cru-deltà?) dell’ufficio casting del

programma, non ha mancato diproporre una selezione – mamma-mia! Una selezione… Chissà glialtri! – dei provini, dove quasi nes-suno dei candidati, per esempio, hasaputo dare una risposta sensata, oalmeno non insensata, alla richiestadi dichiarare il proprio “tallone diAchille”.A ben pensarci, coloro che neescono meno peggio sono proprioi reclusi del Grande Fratello. Perchéfanno pena, fino alla tenerezza. Ab-bagliati dal miraggio di diventareVip, e di guadagnare un sacco diquattrini, si prostituiscono fino a unpunto di non ritorno, rimanendomarchiati a vita da quel suffisso –“del Grande Fratello” appunto –che li accompagnerà per tutta lavita. Pochi finora hanno avuto lacapacità di affrancarsene, e di fardimenticare questa squallida ori-gine mediatica. Per tutti, Luca Ar-gentero; e pochi altri che si possonocontare sulle dita di una sola mano.Non ritengo sia indenne da questobaratro di volgarità l’editore ditanto spettacolo. Vorrei chiedergli – se mai fosse per-sona abituata a rispondere alle do-mande – se sarebbe contento di farassistere i suoi figli adolescenti, o isuoi nipoti, a una porcheria simile.Ma forse conosco la risposta, diret-tamente ispirata dal dio denaro.Mi sono sempre ribellato a ogniforma di censura, come espressionedella più proterva volontà di an-nientare, nella gente, il senso e lacapacità di critica. Ma devo dire

che, di fronte a questo osanna allavolgarità, comincio a capire quellastriscia di carta bianca, incollata, aitempi della mia adolescenza, suimanifesti e le locandine dei film edegli spettacoli più “sconvenienti”,che prescriveva «V.M. di 16 anni».Forse, adesso, sul cartellone delGrande Fratello si dovrebbe scrivere«V.M. di 99 anni»…Per continuare con il giro di volga-rità e stupidità sui media di oggi, virimando all’ultima pubblicità diMarc Jacobs. Ma tenetevi forte, eh!

Tutti vediamo la volgarità del GrandeFratello, ma nessuno ne parla

Sono in video, ergo sumdi Silvano Tommasoli [email protected]

Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire

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opere, dei capola-vori. Michelangelo Merisi, detto il Ca-ravaggio, fu l’inizia-tore di questa nuova fase nera della rap-presentazione. Nel 1599 ce ne da un bel esempio raffiguran-do, su sfondo nero come da consuetudi-ne, l’effettivo efferato omicidio svoltosi nel cuore della notte: la disgustata Giuditta sta tagliando la testa di Oloferne che, na-scosto nella penom-bra, scaccia un urlo disperato di dolore. La vecchia ancella guarda freddamente mentre con le mani serrate tiene in pu-gno la sacca che ser-virà da contenitore.

Lo sguardo dell’aguzzina, il braccio, gli schizzi di sangue, le pieghe del lenzuolo formano una diagonale perfetta che con-duce l’occhio del visitatore ver-so ciò che deve vedere. Il manto rosso, lo sguardo dell’assassina-to e la gonna di Giuditta forma-no, invece, l’altra diagonale su cui si basa la raffigurazione.Il dipinto del 1620 di Artemi-sia Gentileschi è un’altra pro-va di quanto la storia fin qui rappresentata stia diventando racconto di vendetta e, para-dossalmente di amore. Se pri-ma avevamo giovani donne ammalianti ora abbiamo sem-plicemente la percezione di avere di fronte a noi la fotografia di una donna sicura di sé mentre com-pie l’atroce delitto aiuta-ta dalla sua fida ancella. Anche in questo caso lo sfondo è nero come la notte ma le diagonali si sono riunite in un unico asse verticale che parte dalla serva, passa per la spada e finisce con le ri-ghe di sangue. La crudel-tà, l’immediatezza del-la rappresentazione, la freddezza e la convinzio-ne sono armi rese ancora più efficaci dallo sguardo di Oloferne rivolto verso lo spettatore come a chie-derne aiuto. A sopperire a questa mancanza i co-lori. I tono brillanti dei rossi, dei gialli sono in netta contrapposizione con quelli più scuri quasi ad indicarne la vita na-scosta dietro tutto ciò.Per concludere riportia-mo l’esempio di un altro

grande artista ma contempora-neo: Gustav Klimt. Nella sua Giuditta c’è la raffigurazione del lusso, della bellezza, della potenza e della forza di persua-sione della donna che si mostra in tutto il suo compiacimento. In questo caso la testa di Olo-ferne è passata in secondo piano (se ne vede solo metà) poiché il vero soggetto è la donna: vesti-ta di oro e di veli, è circondata dello stesso giallo che la adorna nei gioielli e nell’abito. Da colei che compie l’azione per conto terzi diventa l’artefice e la vera eroina del suo gesto capace ora-mai di qualsiasi cosa.

L’interpretazione nouveau di Klimt

L’opera di Artemisia Gentileschi

Intervista alla Prof.ssa Adriana Cavarero

Per capire meglio cosa si nasconde dietro a questo che è diventato un topos della letteratura e dell’arte, mi sono avvalsa della colla-borazione di una studiosa del mondo femminile nonché docente di filosofia politica all’Università di Verona, la professoressa Adriana Cavarero. Ho affrontato con lei il problema dei ruoli che la donna si è vista cucire addosso nel corso dei secoli in quanto antagonista negativa dell’uomo: “La donna ha sempre avuto due ruoli: quel-lo di madre e quello di prostituta incarnato, quest’ultimo, dalla figura della sirena. Il ruolo invece di salvatore della patria, che implica una certa dose di violenza dovuta alla ferocia della guer-ra, è sempre stato del maschio. La stessa raffigurazione simbolica ha concentrato l’attenzione su questo aspetto per indirizzarsi, poi, su alcune inversioni create apposta per incuriosire, attirare l’at-tenzione. Queste sono costituite dal femminile violento, sovrano, poi rappresentato nell’iconografia artistica attraverso, ad esempio, decapitazioni”. Lo stesso stratagemma utilizzato da Giuditta per liberare il suo popolo.

Febbraio 20116 Libri

Linea d’ombra:le grandi mostre Chiudete gli occhi e provate a immaginare la Gran Guardia o Palazzo della Ragione come spazi adibiti ininterrottamente a grandi eventi d’arte. Eventi prestigiosi e di livello come quelli che Marco Goldin, direttore di Linea d’ombra, è in grado di realizzare ogni anno, da Treviso a Brescia, da Udine a Genova fino a Rimini. Dal 1996, anno in cui è nata Linea d’ombra, l’organizzazione di Goldin ha prodotto eventi d’arte in tutta Italia, offrendo non solo l’organizzazione di mostre d’arte ma anche una serie di servizi: dalla progettazione e stampa dei cataloghi fino al trasporto delle opere, dalla gestione della loro assicurazione fino alla promozione e all’ufficio stampa, in collaborazione con lo Studio Esseci di Padova. La Nascita dell’Impressionismo, L’avventura del colore nuovo: Gauguin e Van Gogh, Turner e gli Impressionisti, Monet: la Senna e le ninfee, L’oro e l’azzurro: i colori del sud da Cezanne a Bonnard sono solo alcuni dei titoli che in questi anni hanno affiancato i grandi eventi dedicati ad artisti internazionali a esposizioni dedicate a importanti pittori italiani contemporanei come Ennio

Morlotti, Gianfranco Ferroni, Piero Guccione, Zoran Music. Dopo l’esperienza iniziale avviata a Casa dei Carraresi a Treviso, Linea d’ombra volge il suo interesse a Brescia, per portare all’interno del Museo di Santa Giulia, un’offerta culturale senza precedenti. Parallelamente ai grandi eventi d’arte, gli organizzatori hanno affiancato l’opera dei maestri della pittura dell’Ottocento e i contemporanei del Novecento Italiano, da Mafai a Gino Rossi. Parlare di numero di visitatori, a chi si occupa d’arte, date l’enorme affluenza degli eventi, costringe ad immedesimarsi nel matematico, tanto

le cifre sono da capogiro: per Monet, la Senna, le ninfee (440.564 visitatori dal 20/10/04 al 3/04/05); per Gli impressionisti e la neve. La Francia e l’Europa (301.706 visitatori dal 27 novembre 2004 al 15 maggio 2005), per Gauguin-Van Gogh 541. Ma l’avventura continua: dal dicembre 2008 con l’Azienda Speciale Villa Manin a Udine e con la Regione Friuli, Linea d’ombra ha stipulato un accordo di eventi e nuove importanti esposizioni, oltre a quelle già in essere a Rimini, Genova e San Marino.

a cura diFederico Martinelli e Stefano Campostrini

Titolo titolo titolo Cappello occhiello cappello occhiello cappello occhiello

Nella voce di un cantante si rispecchia il sole,

ogni amata, ogni amanteFranco Battiato

I Baustelle e in basso a destra Vasco Brondi, alias Le luci della centrale elettrica

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

Febbraio 2011 7Intestazione

Nella cornice di Villa Manin arriva la grande arte scandinava di MunchLo spirito del nord rivive nella splendida mostra ospitata all’interno delle sale di Villa Manin, in provincia di Udi-ne. Per la prima volta in Italia le grandi nazioni del Nord Europa come Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, ri-vivranno nelle opere di grandi artisti, da Edvard Munch a Christian Krogh. La mostra è composta da circa 120 dipin-ti dedicati in particolar modo al paesaggio ma non manca di trascurare il ritratto e la figura. L’esposizione, realizzata grazie ai prestiti dei musei europei, scandinavi ed americani è suddivisa in cinque sale: le prime quattro riservate alle scuole nazionali di quegli Stati, mentre la sezione di chiusu-ra è dedicata a Munch, con 35 opere in totale. La luminosità, il silenzio e il fragore del paesaggio nordi-co, la profondità delle notti invernali, il velluto del muschio dell’erba, il bianco dei fiori sotto il bianco delle lune estive, è quello che l’esposizione intende mostrare al pubblico italia-

no. E ci riesce benissimo. In poche parole la mostra curata da Marco Goldin ci emoziona facendoci vivere il massimo della luce e il massimo della notte.

Munch e lo spirito del NordScandinavia nel secondo Ottocento

Villa Manin Passariano di Codroipo (Udine)25 settembre 2010 - 6 marzo 2011Orario: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 18sabato e domenica dalle 9 alle 19

La grande arte francese a Rimini:Salon e Impressionisti a confronto

La mostra a Castel Sismondo propone numerose opere pro-venienti da musei e collezioni di tutto il mondo, con artisti dell’Impressionismo e del Salon parigino. Da Monet a Pis-sarro, da Sisley a Degas, da Bazille a Renoir, da Cezanne a Guillaumin, la mostra presenta tele di medie e grandi dimensioni meno note ma dall’alto valore di soggetto e di tecnica. L’esposizione si articola in tre sezioni di carattere tematico il cui filo conduttore è il confronto tra gli artisti del Salon e gli Impressionisti francesi. La prima che presenta il volto, il corpo e le figure è aperta dal Torso maschile di In-gres, primo approccio realista e sensuale al corpo umano. Nella seconda sezione, dedicata alle nature morte è posto a confronto un pittore d’accademia come Bovin con l’opera di Bazille. Ma il confronto prosegue sul tema dei fiori da, Maisiat a Renoir, da Pissarro a Gauguin. Ma certamente il trionfo di quella che venne definita la Nouvelle peinture, si celebra nella terza e ultima sezione della mostra, dedicata al paesaggio. Significativo è Il sentiero dei castagni di Sisley del 1867, o le numerose vedute dei villaggi in Normandia realiz-zate da Monet, principale protagonista della mostra. (en.ca.)

Parigi. Gli anni meravigliosiImpressionismo contro Salon

Rimini, Castel Sismondo23 ottobre 2010 - 27 marzo 2011Orario: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 19sabato e domenica dalle 9 alle 20

Titolo titolo titolo titolo titoloOcchiello occhiello cappello cappello cappello occhiello occhiello

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

Febbraio 20118 Intestazione

Luci e ombre nella prestigiosa mostradel Seicento di CaravaggioRimini celebra il quattrocentesimo anno dalla morte di Ca-ravaggio con una prestigiosa mostra dedicata all’artista e ad altri pittori del Seicento. L’esposizione presenta quindici dipinti provenienti dal Wadsworth Atheneum di Hartford, uno dei più importanti musei d’America. Tra i capolavori

del Seicento presenti spicca il dipinto di Caravaggio L’Esta-si di San Francesco, sua prima opera di carattere religioso. Il soggetto, realizzato attorno al 1594, rappresenta in modo metaforico la morte di San Francesco che rinasce spiritual-mente illuminato dalla luce di Cristo. La figura dell’angelo fanciullesco che sostiene il Santo è basata sulle rappresen-tazioni dell’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi, quelle at-torno al fuoco si rifanno invece all’annuncio della nascita di Gesù mentre la posa di San Francesco, rappresentato non inginocchiato ma riverso, richiama l’immagine di Cristo morto sostenuto dagli angeli. Del panorama italiano saran-no presenti opere di Cigoli, Morazzone, Gentileschi, Strozzi e Saraceni. Dell’ambito spagnolo si potranno apprezzare i dipinti di artisti come Zurbarán, con la celebre opera il San Serafione del 1628, e Il senso del gusto, dipinta attorno al 1614-1616, nella quale l’artista si richiama a Caravaggio soprat-tutto per l’utilizzo della tecnica del chiaroscuro. In Francia ritroviamo Le Sueur e per la Scuola fiamminga e olandese Sweerts, Van Dyck e Hals. ( fra.fon.)

Caravaggio e altri pittori del SeicentoCapolavori dal Wadsworth Atheneumdi Hardford

Rimini, Castel Sismondo23 ottobre 2010 - 27 marzo 2011Orario: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 19sabato e domenica dalle 9 alle 20

Monet, Cézanne, Renoir protagonisti nello splendore della pittura franceseCollegata alla mostra Parigi, gli anni meravigliosi, di Castel Sismondo, la mostra è composta da 30 opere di me-dio e grande formato, provenienti dai musei di Boston. Si tratta, dunque, di un’esposizione di approfondimento volu-ta perché particolarmente incentrata su quadri significativi per il momento storico in cui sono stati realizzati. Nelle sale rinnovate di Palazzo Sums, prende corso una grande espo-sizione che ospita maestri come Corot, Courbet, Monet, Cézanne, Renoir, Pissarro, Sisley, Degas e alcuni altri pitto-ri del Salon. Dalla bellissima Riva fiorita a Vétheuil di Monet fino ai cavalli di Degas, impegnati in una corsa nell’ippo-dromo parigino di Longchamp, la mostra si estende in un contrappunto di storie in grado di gettare una luce inedita sulla pittura di quegli anni a Parigi e in Francia.

Monet, Cézanne, Renoire altre storie di pittura in Francia

Palazzo Sums, Repubblica di San Marino23 ottobre 2010 - 27 marzo 2011Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 18

L’Africa delle meraviglie:un viaggio nelle forme e nei colori

La mostra, curata da Ivan Bargna e Giovanna Parodi da Passano, con la collaborazione di Marc Augé, presenta un’importante selezione di opere di arte africana tradizio-nale di grande valore estetico e culturale. Il progetto espo-sitivo riunisce nelle due sedi di Palazzo Ducale e Castello D’Albertis oltre 350 opere provenienti da prestigiose colle-zioni private italiane, in gran parte inedite. Maschere, fe-ticci e altre affascinanti sculture sono distribuite lungo gli ambienti, disegnando un avvincente percorso all’interno di meraviglie, capaci di condurre dritti al cuore delle culture dell’Africa subsahariana, dei loro costumi e modi di vita: dal Mali al Congo, dalla Liberia al Camerun. Bianco, ros-so e nero, la triade cromatica che caratterizza l’arte africa-na tradizionale, sono i colori utilizzati nell’allestimento fin dall’inizio.

L’Africa delle meraviglieGenova, Palazzo Ducale27 novembre 2010 - 1 maggio 2011

Orario: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 19sabato e domenica dalle 9 alle 20

Apertura straordinaria il 25 aprile 2011 fino alle 2

Il Mediterraneo visto con gli occhi dei grandi artisti dell’OttocentoNel corso del diciannovesimo secolo dipingere il mare, la sua vastità e l’idea dell’infinito, assume sempre più rilevan-za. Dalle visioni fortemente spirituali di Friedrich alle tem-peste di Turner, la mostra a Palazzo Ducale, attraverso 80 dipinti provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo, intende studiare l’itinerario del colore dei paesaggi del Me-diterraneo. Da Cézanne a Monet, da Renoir a Boudin, fino a Van Gogh, i paesaggi marini, i boschi e i colori tipici del nostro mare, emergono con forza, come se gli artisti voles-sero dipingere quei luoghi come fossero dei tappeti di pietre preziose. In mostra, agli artisti impressionisti seguono quelli del post-impressionismo che hanno soprattutto in Signac, Van Rijsselberghe, Cross, Valtat, la loro punta di diamante. Non mancano anche le opere dei geniali artisti Fauves, da Matisse e Derain fino a Raoul Dufy che restituiscono del Mediterraneo un’immagine completamente diversa rispetto a quella di qualche anno prima.

Mediterraneoda Courbet e Monet a Matisse

Genova, Palazzo Ducale27 novembre 2010 - 1 maggio 2011Orario: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 19sabato e domenica dalle 9 alle 20

Febbraio 201114 Libri

Il secondo volume dell’univer-so condiviso editato da George Martin è un tuffo nel genere eroico e supereroico america-no, piuttosto diverso dal pastiche che era L’origine. Scomparsi i ri-ferimenti alla storia americana, eliminata l’autocritica e dra-sticamente ridotta la riflessio-ne, quello che resta sono storie principalmente d’azione, con poco mistero, la fantascienza trasformata in technobabble (così si definisce l’uso di un gergo roboante, dal tono scientifico, ma assolutamente privo di ri-ferimenti alla realtà) e il “lato umano” drasticamente ridotto. I protagonisti sono sempre gli stessi, ora invecchiati nel corpo, ma granitici nella caratterizza-zione (con un paio di fortunate eccezioni, la più notevole del-le quali è la Grande e Potente Tartaruga). Molta autoreferen-

Addio a San Malvasio: l’ultima storiadell’inquisitore Eymerich

Dopo dieci romanzi, Evangelisti chiude il suo ciclo più famoso

L’ultimo romanzo dell’inqui-sitore Eymerich ha toni cre-puscolari, forse anche trop-po. Evangelisti calca la mano sull’anzianità del protagonista e sui suoi rimpianti riguardo il passato, la propria infanzia e il rifiuto dell’amore; il risul-tato è un Eymerich a tratti ir-riconoscibile, occasionalmente sottomesso a una malinconia che non si adatta per nulla al personaggio e molto diverso dall’individuo quasi inumano che è sempre stato. È un uomo che si guarda di continuo indie-tro, che vorrebbe avere accanto persone che non ci sono più e che riesce ad andare avanti solo grazie alla spinta dell’odio nei confronti del nemico di sempre, lo stregone Ramon de Tarrega.Con il romanzo precedente, La luce di Orione, l’autore non aveva dato il meglio di sé per quanto

riguardava la resa del protago-nista e, soprattutto, l’intreccio fra vicende ambientate in un futuro remoto e il “presente” di Eymerich; in Rex Tremendae Maiestatis il distacco fra que-sti ultimi due elementi si ac-cresce al punto che le vicende che vedono come protagonista la Lilith di Black Flag paiono superflue all’interno dell’eco-nomia generale del romanzo e la rivelazione finale che la collega a Eymerich, per quanto d’effetto e non scontata, sem-bra più che altro un espediente per chiudere due storyline in un colpo solo. La terza sottrama, quella riguardante la gioventù di Eymerich e il suo approdo all’Ordine Domenicano, col-pisce per la sua banalità: al di là dell’agghiacciante titolo “Un infanzia difficile”, essa ha valo-re solo per quella categoria di

fan che vuole sapere tutto, ma proprio tutto del protagoni-sta della serie, anche i dettagli meno interessanti. Quanto abbiamo detto finora non toglie che Rex Tremendae Maiestatis si legga d’un fiato e sia estremamente avvincen-te, nonché caratterizzato da quell’attenzione al dettaglio storico che non manca mai nelle opere di Evangelisti. No-tevole anche l’abilità dell’auto-re nel tratteggiare la situazione socio-politica della Sicilia me-dioevale, sottolineando come certe cose non cambino mai, senza scadere nel moralismo ingombrante di quegli autori che, inserendo elementi di cri-tica sociale in opere narrative, pensano che ciò non necessiti dei giusti accorgimenti per non trasformare il tutto in un gran-de pasticcio.

Come molte opere “di chiu-sura”, anche questa sa di fret-ta e lascia un po’ di amaro in bocca, facendo venire voglia di riprendere in mano i primi romanzi per riscoprire l’inqui-sitore Eymerich in tutta la sua gloria.

zialità, insomma, a discapito di quell’apertura agli altri generi letterari che era il pregio più grande di Wild Cards. Come nel primo volume, anche nelle storie che compongono Wild Cards. Invasione gli alieni sono una presenza importan-te. In questo caso, però, non sono i (relativamente) poco in-gombranti Tachisiani (che pe-raltro ritornano in forze), ma la bioarmata dello Sciame, la cui presenza minacciosa è il filo conduttore dell’intera rac-colta. Purtroppo esso fallisce nell’essere un avversario credi-bile, tanto più che, dopo essere stato protagonista di scene di “invasione” che hanno molto da invidiare a quelle di Wells o del più moderno David Ger-rold, finisce in un cassetto da cui è ripescato solo nel finale, peraltro stupefacente per la

sua incoerenza (non sveliamo nulla dicendo che, stranamen-te, una mente alveare in grado di compiere prodigi di inge-gneria genetica non si accorge di un gruppo di corpi estranei che penetrano nel suo corpo). I racconti che ruotano attor-no a questa minaccia, lungi dall’essere occasioni di appro-fondimento dei personaggi e riflessione come accadeva nel primo volume della serie, appa-iono per contrasto scialbi: viene da chiedersi quanto cominci la storia “vera”, ma di essa non vi è traccia fino all’ultima pa-gina. Le rivelazioni abbonda-no, così come le promesse di grandi evoluzioni future, ma come spesso accade quando lo scenario di una saga si amplia, il risultato potrebbe essere una delusione.Per quanto riguarda l’edizione

E per i supereroi “alternativi”vennero gli anni Ottanta

È uscito il secondo volume di Wild Cards

italiana, non abbiamo trovato grossi errori, anche se le tra-duzioni di un paio di frasi idio-matiche ci hanno fatto storcere il naso. Nulla di tremendo, co-munque.

di Ernesto Pavan

È la stampa, bellezza

George R. R. Martin (a cura di), Wild Cards. Invasione, pp. 457, € 18,00

Valerio Evangelisti, Rex Tremen-dae Maiestatis, Mondadori, pp. 493, € 18,50

di Stefano Campostrini

Appuntamenti culturali

In questi mesi al Polo Zanotto, all’interno dell’Università di Verona, denso calendario di appuntamenti con grandi per-sonalità della cultura e dello spettacolo. Nella terza edizione della rassegna Idee di Futuro, fino ad aprile, illustri perso-naggi del mondo del teatro, del cinema, della musica, dell’arte e della politica, riempiranno l’aula magna per incontrare il pubblico e dialogare, rac-contando aneddoti sulla loro esperienza di vita e discutendo dei temi caldi dell’attualità. La rassegna, organizzata dall’as-sociazione culturale Idem, è aperta a tutti, dagli appassio-nati ai curiosi. Interverranno prossimamente il regista Emir Kusturica, i giornalisti Oscar Giannino e Vittorio Emanuele Parsi, il poliedrico Renzo Arbo-re passando per il critico d’arte

Philippe Daverio e i filosofi Umberto Galimberti e Massi-mo Cacciari. Tre gli appunta-menti già svolti tra dicembre e gennaio: gli scrittori Alessan-dro Baricco e Claudio Magris e il pianista Stefano Bollani. Serate ricche di contenuti e cariche di emozioni in cui il pubblico si è trovato coinvolto

e partecipe alle dimostrazioni di capacità co-municativa dei protagonist i , sia attraverso le parole che le note. Ad ac-compagnare il tutto, in molti casi è la mu-sica, non solo per quegli ospi-ti che la prati-cano ma an-

che come sottofondo o fonte di espressione e interpretazione per i discorsi in atto. Connu-bio perfetto per gli avvenimenti organizzati, come ritrovarsi a una cena e chiaccherare con coloro che possiamo ormai considerare di famiglia. Gran-de successo e attesa pienamente soddisfatta per l’appuntamento

con Gigi Proietti in tutto il suo eclettismo d’artista versatile, in grado di appassionare chiun-que per la sua innata ironia, la sua verve monologhista e le sue doti di imitatore, diviso tra tea-tro, televisione e doppiaggio.

Febbraio 2011 15Incontri

Idee di Futuro da condividere oggi:storie a confronto tra palco e platea

Proseguono le serate organizzate da Idem all’Università di Verona

Calendario

24 febbraio:Umberto Galimberti4 marzo:Philippe Daverio24 marzo:Massimo Cacciari8 aprile:Emir Kusturica13 aprile:Oscar GianninoVittorio Emanuele Parsi28 aprile:Renzo Arbore

Quando la seduzione è la migliore delle armiLa sorpresa di Kagematsu

C’è un villaggio, nel Giappone feudale, sul quale incombe una minaccia: può trattarsi di un mostro, di banditi, di un bran-co di lupi feroci. Non ci sono uomini per affrontarla, perché da qualche tempo è scoppiata la guerra e il feudatario li ha coscritti. Tutta-via, come un dono degli dei, un giorno arriva al villaggio Kagematsu, un ronin (samurai senza pa-drone) che potrebbe essere la sua salvez-za. Riusciranno le donne a convincerlo a restare?Ciascun partecipan-te interpreta il ruolo di una di queste donne, tranne uno: questo giocatore prende la parte di Kagematsu e le rego-le impongono che sia di sesso femminile. Ella dovrà giudica-re, i tentativi di seduzione delle

donne del villaggio, decidendo se queste suscitano nel ronin Amore o semplice Pietà. Da no-tare che “seduzione” non ha, in questo gioco, implicazioni ne-cessariamente erotiche: quan-do abbiamo giocato a Kagematsu

(di Danielle Lewon, Narrattiva, € 19,90) una delle donne era un’orfana di quattordici anni che ha conquistato il ronin con la propria innocenza e vitalità, convincendolo che il villaggio

valeva la pena di essere difeso.Il gioco è diviso in scene. Cia-scuna di esse vede interagire Kagematsu e una delle donne; i giocatori devono interpretare l’approccio del proprio perso-naggio e la giocatrice di Kage-

matsu lo deve valu-tare. Quando lei lo ritiene opportuno, si tirano i dadi per de-terminare la reazio-ne esteriore di Kage-matsu all’approccio. In caso di successo, il giocatore ottiene un Segno d’Affetto (uno sguardo rubato, un sorriso, una notte di fuoco...), ma non sa se Kagematsu gli

ha assegnato Amore o Pietà e, di conseguenza, non ha idea di quanto convenga tentare di ot-tenere l’ultimo Segno, ossia la promessa da parte del ronin di affrontare la minaccia incom-

The Dresden Files Roleplaying Game (di Leonard Balsera et al., Evil Hat Productions) è il gio-co di ruolo ispirato alla serie di romanzi The Dresden Files di Jim Butcher, ancora inedita in Ita-lia. Si basa sul sistema FATE, lo stesso de Lo Spirito del Secolo, raffinato da anni di gioco e feedback da parte dei numerosi fan. Le novità rispetto al gio-co precedente sono molte: una creazione del personaggio che prevede, come Aspetto obbliga-torio, un High Concept (cioé un “riassunto” del personaggio in poche parole, come Investiga-tore Privato o Principe Caduto dei Raith) e un Trouble (ossia il modo in cui l’High Concept del personaggio gli complica la vita); un totale di sette Aspetti invece che dieci; Punti Fato più limitati, che rendono le tenta-zioni degli Aspetti molto più co-muni e appetibili; Stunt rivisti e affiancati ai Poteri, estrema-

Dal romanzo al gioco: The Dresden Files per Evil HatIl gioco di ruolo tratto dai libri di Jim Butcher

mente efficaci ma anche costo-si. Oltre a questi cambiamenti, il nuovo FATE introduce di-verse piccole modifiche le quali rendono più serrato il dialogo fra Game Master e giocatori, riducendo l’arbitrio del pri-mo e ampliando le compe-tenze dei secondi.Nonostante sia ispirato da una serie di romanzi am-bientati negli Stati Uniti, il gioco non è limitato in questo senso: attualmente stiamo giocando una storia che si svolge in una città italiana vagamente simile a Genova, con risultati ec-cellenti. In generale, il gio-co si presta perfettamente a riprodurre atmosfere di fantasy urbana con un toc-co di noir: la sua premessa fondamentale, infatti, è che tutte le leggende riguar-danti creature soprannatu-rali siano più o meno veri-

tiere, ma che la realtà spesso è peggiore di quanto raccontano le storie. Così, i vampiri non sono (soltanto) creature nobili e affascinanti, ma mostri san-guinari o raffinati divoratori di

emozioni; le fate sono crudeli e ingannatrici come nella tra-dizione letteraria più antica; i maghi possiedono poteri terri-ficanti che, non controllati da una disciplina ferrea, possono

causare disastri.I manuali del gioco sono due: Your Story (49,99 $), contenente le regole e un’in-farinatura di atmosfera e ambientazione, e Our World (39,99 $), di fatto una guida ai romanzi che descrive il mondo di Harry Dresden e i suoi comprimari. Il nostro consiglio è di acquistare so-lamente il primo: il secondo non solo non è indispen-sabile, ma potrebbe essere fonte di anticipazioni inde-siderate qualora si desideri leggere anche i romanzi di Butcher (che, peraltro, consigliamo, vista anche la semplicità del linguaggio).

bente. Quando quest’ultima è conquistata, infatti, l’Amore ot-tenuto dalle donne sarà la forza con la quale Kagematsu dovrà affrontare il nemico e determi-nerà l’esito finale della storia: la sopravvivenza o la distruzio-ne del villaggio. Precisiamo, a ogni modo, che Kagematsu non è un gioco in cui si “vince” e che anche un finale tragico può es-sere pienamente soddisfacente.L’approccio dell’autrice di Ka-gematsu è unico: in nessun altro gioco a noi noto è richiesto che uno dei partecipanti dia un giu-dizio sul comportamento degli altri e, soprattutto, in nessuno sono richieste tanta maturità onestà (basti pensare alla rea-zione che potrebbe avere chi, a gioco finito, si sia visto assegna-re un sacco di Pietà). Tuttavia, se si riescono ad accettare de-terminate convenzioni, si può godere appieno un prodotto estremamente ben realizzato.

di Ernesto Pavan

Nessun uomo è un fallito se ha degli amici

Febbraio 201116 Giochi

I Queen, il 4 febbraio del 1991, pubblicavano “Innuendo”, l’ul-timo loro disco con Freddie Mercury ancora in vita. Tra memorabili album registrati in studio e live di gran-dissimo spessore (in-dimenticabile il Live at Wembley del 1986) quella del gruppo britannico è stata una lunga cavalca-ta gloriosa, iniziata negli anni Settanta e proseguita per tutti gli anni Ottanta. Gli album presentano una ricercatezza e una varietà stilisti-ca probabilmente ineguagliata. La capacità di spazia-re dall’hard rock al rock melodico, dal jazz a divertenti pez-zi glamour e canzoni che per struttura ri-cordano molto da vi-cino opere e operet-te, fanno dei Queen forse il gruppo più versatile di sempre.La corsa della band aveva però mostrato alcuni segni di cedimento quando, dopo la pubblicazione di “The Miracle” nel 1989, il gruppo aveva deciso di non accompa-gnare l’uscita dell’album con la consueta tournee mondiale, lasciando perplessi i moltissimi fans. I motivi di questa scelta, pur non dichiarati da subito, erano legati alla salute di Fred-die Mercury, da tempo malato di Hiv e che non poteva più reggere gli eccessivi sforzi che le sue strepitose performance lo portavano a compiere. Il grup-po si concentra così in studio, raccogliendo le forze e riuscen-do poi a pubblicare “Innuen-do”, l’album che può essere

considerato una sorta di testa-mento musicale definitivo. An-ticipato dall’omonimo singolo Innuendo, il disco viene registra-to con grandi difficoltà legate alla salute del cantante. Nella biografia ufficiale dei Queen, firmata da Jacky Gunn e Jim Jenkins, si leggono le parole del chitarrista del gruppo Brian May che, parlando di Freddie, spiega: «Rifiutando fino all’ul-

timo di soccombere alla malat-tia, è riuscito a realizzare dischi e video nonostante sofferenze sempre più atroci. In nostra presenza non si è mai lamen-tato della sua sorte e ha saputo evitare che lo sconforto avesse la meglio sul suo lavoro. La sua

voce pareva miracolosamente migliorare giorno dopo giorno. È morto senza mai perdere il controllo di sé. […] Freddie, la sua musica, la sua stupefacente energia creativa; tutto questo non morirà mai».Le sonorità dell’album sono ine-vitabilmente cupe e malinconi-che. La brillantezza dei suoni, caratteristica di molti brani nei dischi precedenti, scompare

quasi completamen-te lasciando spazio a riflessioni sulla vita, sulla morte e a no-stalgici ricordi. Ol-tre al pezzo Innuendo, un complesso brano rock con intermezzo di flamenco, il disco contiene moltissime altre storie raccon-tate in musica. Don’t try so hard è un brano struggente, cantato con un filo di voce in falsetto da Freddie, Headlong, The Hitman e I can’t live with you sono pezzi in puro stile hard rock, dove si può riapprezzare la graffiante voce di Mercury. Un altro brano immensa-mente significativo è These are the days of our lives. La canzone, in modo commovente,

ricorda i giorni trascorsi, la gio-vinezza e la vita. Il finale del vi-deoclip è forse uno dei momen-ti più toccanti del rapporto tra Freddie e i suoi fans: il cantan-te, alzando il volto dimagrito e segnato dalla malattia, guarda verso la macchina da presa e,

accennando un sorriso sereno e rassegnato, dice: «I still love you». I’m going slightly mad è in-vece una canzone dettata dallo stato mentale di Freddie, ormai conscio di essere nelle fasi finali della sua vita. Quel diventare “un po’ pazzo” menzionato nel titolo trova esplicitazione nel vi-deoclip: girato in bianco e nero, presenta un’ambientazione oni-rica e surreale con i quattro del gruppo vestiti in modo strava-gante e, in particolare, Freddie con lunghissime unghie, trucco esagerato sul volto e un casco di banane in testa. The show must go on raccoglie le fila di tutto il significato dell’album.Anche se i Queen dopo la mor-te di Freddie si sono riproposti nel 2005 con il nuovo, e vali-dissimo, cantante Paul Rod-gers, producendo due album, per i vecchi fans risulta difficile chiamare “Queen” un gruppo senza Freddie Mercury. Dopo “Innuendo”, si potrebbe quindi dire che con la pubblicazione di “Made in Heaven” nel 1995, una raccolta di materiale ine-dito cantato da Freddie prima della morte, si conclude la car-riera del gruppo forse più crea-tivo e talentuoso della storia del rock.

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

Innuendo, il saluto di FreddieEsattamente vent’anni fa usciva il capolavoro dei Queen: “Innuendo”

Si può essere tutto ciò chesi vuole, basta trasformarsi

in tutto ciò che si pensadi poter essere

Freddie Mercury

“Il fanciullo merita il massimo ri-spetto” scriveva il poeta latinoDecimo Giunio Giovenale nelleSatire. Per noi uomini occidentalidel ventunesimo secolo, general-mente sensibili alle disgrazie al-trui e facilmente sopraffatti dasentimenti di compassione per ipiù sfortunati, è tutto già cosìchiaro, che quelle paroline scon-tate di Giovenale quasi ci infasti-discono. Paroline scritte quasi2000 anni fa da un uomo dellacui vita ignoriamo tutto o quasi:sembra fosse un misogino con-vinto, oltre ad avere come bersa-

glio dei suoi versi l’omosessualità.Chissà allora cosa lo avrà portatoa scrivere che il bambino ha di-ritto al più grande rispetto; frase,questa sì, pienamente condivisi-bile. Cos’è il rispetto nei confronti deipiù piccoli? C’è una quota mi-nima di rispetto, un livello suffi-ciente che, una volta raggiunto, cifa dormire sonni tranquilli? Chivi scrive non è ancora entrata afar parte della schiera “genitori”e non ha mai avuto modo di tro-varsi circondata da bambini. Maascolta, osserva, pensa. Si chiede,per esempio, dove si trova Hua-chipa, questa località dal nomecurioso, quasi da cartone ani-mato, dove i bambini (veri), percontribuire alle scarse risorse fa-miliari, si dedicano alla raccoltae selezione dei rifiuti, alla coltiva-

zione di ortaggi o alla fabbrica-zione di mattoni. È in Perù, vi-cino alla capitale, Lima. Pensa che soprattutto laggiù, daquelle parti, il mondo funzionacosì, in modo sbagliato; cosìcome le sembra che le cose nonvadano per il verso giusto in tantialtri stati, dall’India alla Thailan-dia, dal Pakistan alla Nigeria finoal Brasile. Pensa che per il momentola faccenda sia questa, ma sa chedi gente seria al mondo ce n’ètanta: persone che non solo spe-rano che il mondo cambi dire-zione e si metta finalmente “inriga”, girando per il verso giusto.Gente che lavora per questo,come accade a Huachipa. Qui, ibambini non sempre vanno ascuola, di rado fanno i compiti;non hanno il tempo per giocare.Incredibile. I bambini che nonhanno tempo per giocare! De-vono contribuire al sostenta-mento della famiglia e devonolavorare. Tra i rifiuti o circondatida mattoni non importa, visto

che sono bravi in tutte e due lemansioni: con le loro mani pic-cole, le dita sottili e le gambesvelte, girano e rigirano i mattonicon molta più facilità e agilità diquanto non farebbe un adulto. Licaricano su un camion con legge-rezza, come se avessero in manoun secchiello di sabbia. Ma all’etàdi 5 o 6 anni, si sa, il corpo si staancora formando. E quelli nonsono sforzi per bambini. Cosìcome la discarica non è un parcogiochi salubre. Ed ecco allora che in questopaese dal nome da favola c’è bi-sogno di una fatina in carne edossa che sappia trasformarequelle montagne di rifiuti in gio-cattoli, libri, matite, quaderni;che sappia costruire con queimattoni non solo le strutture perattività creative, come il disegno,la danza e il canto, ma anchedelle basi solide per questi bam-bini. Perché i bambini, lo dicevaanche Giovenale, vanno rispet-tati.

FuoriVerona10Novembre 2010

Ero un bambino, cioè uno di queimostri che gli adulti fabbricano

con i loro rimpianti.

Jean Paul Sartre

Coraggio bambini, tutti al lavoro!Tutto il mondo è paese. Ma tutti i bambini son bambini? Il caso di Huachipa

di Alice Perini [email protected]

Giro giro tondo, io giro intorno al mondo

eronacultura e società

V èQ u i n t a P a r e t e

Aiuta anche tu le popolazioni alluvionate del veronesePer un versamento a favore del Comune di Monteforte d'Alpone

FONDO CONCORDIA 

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DI MONTEFORTE  D'ALPONE (VR)

Febbraio 2011 17Musica

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

“Casa 69”: i Negramaro indagano l’IoLa band pugliese nell’ultimo album racconta l’uomo e i suoi legami

Dopo tre anni da “La Fine-stra” è arrivato il nuovo album dei Negramaro. Il titolo dell’ul-timo lavoro è “Casa 69” e al-lude al luogo fisico dove i com-ponenti del gruppo salenti-no si ritrovano da sempre per mettere assieme le idee e comporre i loro brani. Il disco, disponibile anche in formato digitale su iTunes, è immediatamente balzato in vetta alle classifiche del-le vendite in Italia, confer-mando la grande attrattiva esercitata dal gruppo pop rock sul pubblico nostrano. I Negramaro avevano rag-giunto il successo nel 2005 con l’album “Mentre tutto scorre”, lanciato dall’omo-nima canzone presentata all’edizione del Festival di Sanremo di quell’anno con la quale ottennero il premio della “Critica Radio e Tv”. Da quel momento un’escalation continua di successi. Il gruppo si ritaglia a breve un suo spazio nel mercato musicale nazio-nale e non solo, dimostrando di possedere grande talento e

un’inconfondibile cifra stili-stica. Ogni singolo pubblicato finisce per diventare un tor-mentone. Giuliano Sangiorgi, voce e principale compositore

dei brani dei Negramaro, di-venta in breve tempo uno dei cantautori più apprezzati in Italia, collaborando anche alla scrittura di brani per artisti come, tra gli altri, Malika Aya-ne, per la quale ha firmato il

brano sanremese Come foglie, e Elisa, con la stupenda Ti vorrei sollevare.Con il nuovo album il gruppo arriva forse ad una maggiore

maturità e consapevolezza ar-tistica. Il sound è il loro e in-confondibile ma, questa volta, i brani sono più impegnativi e richiedono un ascolto atten-to e ripetuto, soprattutto per apprezzare al meglio i testi. Il

primo brano Non lascio traccia è già indicativo: è dedicato infat-ti al poliedrico artista Carmelo Bene, del quale si sente la voce nel finale pronunciare: “Io che

sto parlando per questo non sono io”.Tra i vari pezzi del disco si ritrovano riflessioni che indagano e raccontano in profondità i temi dell’uo-mo, dell’individualità, del-la solitudine, ma anche dei rapporti interpersonali e del bisogno di comunicare. La copertina diventa vero e proprio manifesto dei con-tenuti: un cuore di vetro che rappresenta l’uomo, ope-ra del bassista del gruppo Ermanno Carlà, con delle vene che, come veri e pro-pri rami, sembrano cerca-re legami con gli altri, con l’esterno. È un album che

racconta intelligentemente il complesso mondo delle relazio-ni con sé stessi e con l’esteriori-tà, supportato anche da una ri-cercatezza nel suono piuttosto rara in questo triste momento per la musica italiana.

News dalla musica

È uscito l’11 gennaio “Io e te”, l’ultimo disco di Gianna Nannini, accompagnato da un tour che porterà la cantante senese in molte città italiane e all’estero a partire dal 29 aprile. Il prossimo Festival di Sanremo 2011, condotto da Gianni Morandi, prevede un mix di autori affermati e giovani emergenti come, tra gli altri, Franco Battiato, Patty Pravo, Roberto Vecchioni, Nathalie e Giusy Ferreri. Dal 25 gennaio è disponibile il nuovo lavoro di Cristina Donà “Torno a casa a piedi”, già presentato con il primo singolo estratto Miracoli. Prossimo all’uscita anche il nuovo album di Vasco Rossi, introdotto dal singolo Manifesto Futurista Della Nuova Umanità.

Ricchissima l’offerta del panorama musicale internazionale, con attesissimi album e concerti in vista. Nuovo disco anche per i Duran Duran. L’album della band inglese intitolato “All you need is now” è attualmente disponibile su iTunes e dopo febbraio 2011 sarà in vendita nei negozi di dischi. Torna a calcare le scene Ricky Martin. Il cantante portoricano dopo un lungo periodo di assenza si ripropone con il suo nuovo album, in uscita a febbraio, “Music+Soul+Sex”, anticipato dai singoli The Best Thing About Me Is You e Shine. Per i molti appassionati della musica targata anni 70/80 una lieta notizia: dopo quasi trent’anni di assenza si riunisce lo

storico gruppo svedese degli ABBA. Il quartetto parteciperà a molti eventi, riproponendo pezzi che hanno fatto ballare generazioni su generazioni. A febbraio sarà disponibile il nuovo singolo di Lady Gaga Born This Way che anticiperà il suo prossimo album. Il nuovo lavoro discografico dei REM “Collaps into now” sarà in vendita dall’8 marzo, introdotto dal singolo It happened today, in vendita su iTunes già da dicembre. La band americana capitanata da

Michael Stipe, per il nuovo disco godrà della collaborazione di grandi artisti, tra i quali Lenny Kaye, Patti Smith e Eddie Vedder.

Per la prossima estate, invece, ci aspettano molti suggestivi appuntamenti. Tornano i Bon Jovi che, dopo l’ultima data italiana del 2003, il 17 Luglio 2011 saranno allo Stadio Friuli di Udine, dove esibiranno il loro vasto repertorio musicale. A partire dal 9 maggio

anche Zucchero inizierà il suo tour che lo porterà nei più grandi palcoscenici europei, con cinque serate previste anche all’Arena di Verona, dal 2 al 7 giugno. Grande ritorno anche per i Deep Purple. La band inglese si esibirà nell’unica data italiana del 18 luglio proprio all’Arena di Verona, accompagnata da un’orchestra composta da quarantotto elementi per uno spettacolo che si prospetta unico nel suo genere.

Febbraio 201118 Musica

A patto di essere ben equipag-giati, perché il viaggio che ci prepariamo ad affrontare è un’avventura in luoghi estremi. Repubblica di Sakha (Yakutia), regione autonoma della Federa-zione Russa, collocata nella Si-beria nord-orientale. È curioso pensare come nonostante le no-tevoli dimensioni (la sua esten-sione territoriale è maggiore a tre milioni di Km2) quest’area di mondo sia così sconosciu-ta ai più. Una terra da record: se provate a sovrapporre una mappa della Yakutia ad una degli Stati Uniti, potrete ren-dervi conto di quanto sia vasta questa unità amministrativa, la più grande al mondo. Pro-grammare un viaggio in questo “angolo” di Siberia richiede molta attenzione, soprattutto se il periodo prescelto è il lun-go e gelido inverno polare, con temperature medie che si ag-girano intorno ai meno 50° C (ma se siete fortunati potreste avere un’idea di cosa significa vivere a meno 60°). Essere ben equipaggiati è essenziale e, mai come in questo caso, vitale. Vi basti sapere che nel territorio della Repubblica di Sakha sono situati i “Poli del freddo” dell’e-misfero boreale: il primato è conteso fra un villaggio di 800 persone, Ojmjakon, in cui il 26 gennaio 1926 è stata registrata la temperatura di meno 71.2° C, e Verhojansk, luogo esposto a gelidi venti artici con punte di meno 68°C. Yakutsk, a circa 450 Km dal Circolo Polare Artico, è la capi-tale della Repubblica di Sakha. Affacciata sul fiume Lena, na-vigabile solo durante la fugace estate siberiana, è raggiungibi-le in aereo da Mosca (6 ore di volo). Statue di ghiaccio sparse per questa cittadina di circa 240 mila abitanti, musei dove rintanarsi per riscaldare un po’ le ossa e, da non perdere,

il primo istituto al mondo sullo studio del permafrost, il terre-no permanentemente gelato. Qui potrete scenedere ad una profondità di 8 metri ad una temperatura costante e rela-tivamente calda rispetto all’e-sterno: meno 8° C. In questi tunnel vengono effettuati espe-rimenti sul permafrost, con-servati i semi di specie vegetali (come riserva in caso di estin-zioni di massa) e studiate nuove tecniche per assicurare mag-giore stabilità alle case, viste le grosse difficoltà dei costruttori nel porre le fondamenta su uno strato di ghiaccio. Ghiaccio che riserva sorprese incredibili: qualche anno fa è stato scoper-

to lo scheletro, perfettamente conservato, di un mammut. Il sottosuolo non è da meno: secondo un detto del luogo, qui è possibile rintracciare tutti gli elementi della tavola periodica, oro e argento compresi. Dia-manti? Non è un problema. I depositi della Yakutia, scoper-ti nel 1954, sono non solo tra i più grandi della Russia ma del mondo intero. Si calcola che il 99% della produzione di dia-manti russi arrivi proprio da questa regione. E il fiume Lena è, durante tutto il periodo in-vernale, un’ottima autostrada di ghiaccio per trasportare que-sta merce preziosa. Per incontrare la storia del No-

di Alice Perini

Houston, abbiamo un problema

Siberia, letargo di ghiaccioYakutia, un’avventura ai confini. Non solo del mondo

Se sei un uomo libero allora sei pronto per metterti

in camminoHenry David Thoreau

vecento, il consiglio è di spo-starsi verso Ust’-nera, a due ore di volo: un villaggio di quasi 8 mila abitanti dove potrete visi-tare il piccolo museo locale ric-co di reperti e documenti sui gu-lag sovietici. È in questa regione, infatti, che sono stati deportati, tra gli anni Trenta e Cinquan-ta del Novecento, milioni di prigionieri. Un altro percorso dal sapore storico è “Road of Bones”, la “strada delle ossa”. Chiamata dai russi Kolymska-ya trassa, ovvero “il tracciato della Kolyma” (Kolyma è un fiume), “Road of Bones” col-lega Yakutsk a Magadan, una città incredibilmente isolata, se si pensa che la più vicina, Ya-kutsk, è a “soli” 2 mila Km di distanza! La storia di questo tragitto inizia negli anni Tren-ta, quando vennero scoperte in questa regione miniere d’oro, uranio e altri metalli e il regi-me stalinista, con l’obiettivo di costruire un sistema stradale di collegamento verso le miniere, mise in moto una deportazione in massa di uomini che, costret-ti ai lavori forzati senza cibo o indumenti adeguati, morivano nel giro di pochissimi giorni. Sotto allo strato di ghiaccio re-sistono, addormentate, solo le loro ossa. Solitudine, silenzio, solidità: tre punti di partenza per incontra-re la vostra Siberia.Le sculture di ghiaccio di Luciano Napoliatano

Febbraio 2011 19Viaggi

Chi adotta un cane, lo fa perché ama gli animali e perché vuo-le tenere il suo quattro zampe sempre con sé. Questo dovreb-be essere il principio o, almeno, è la speranza. Invece, spesso, vediamo allegre famigliole – papà, mamma, figlioletto – re-carsi in uno di quegli orribili “negozi di cuccioli” per acqui-stare un cagnolino per il bimbo, che, per Natale, per la promo-zione scolastica, per l’occasione vattelapesca, desidera tanto un compagno di gioco peloso. Come possa finire la storia, lo sappia-mo tutti: alla prima difficoltà legata alla presenza del cuccio-lo in casa, ecco l’amico peloso sbattuto sulla strada.Non pensate anche voi che, considerando quanto amore ci dà il nostro quattro zampe ogni giorno, chiedendone, in

cambio, solo un po’ di pappa e qualche carezza, tutti dovrem-mo adottarne uno? Per tenerlo sempre con noi, ovviamente…Poi, dopo aver deciso di adot-tare un cucciolo per tenerlo sempre con noi (repetita iuvant) se proprio proprio abbiamo deciso di non portarci a casa un cagnolino abbandonato in qualche canile – cosa che sa-rebbe la migliore, in assoluto – perché vogliamo un cane di razza, ci troviamo di fronte a una difficile scelta. In primo luogo, diciamo un forte no agli orribili “negozi di cuccioli” di cui sopra. Perché ci troverem-mo davanti a un commerciante che ci consiglierà di prendere il cucciolo del quale ha interesse a sbarazzarsi, senza tenere in alcuna considerazione le carat-teristiche del “compratore” e le

necessità del cane. Meglio sce-gliere la razza consigliandoci con un amico esperto o – per-ché no? – con il veterinario che, poi, diventerà il medico curan-te del nostro cane. E poi recarci in un allevamento per scegliere il cucciolo, e parlare ancora con l’allevatore, che è sicuramente un cinofilo e un cultore della razza che abbiamo eletto come ideale per noi.Finito questo pistolotto a tutela dei miei amici cani – mica sono diventato conduttore cinofilo per niente, vi pare? – vi parlo un po’ della mia razza preferi-ta. Il samoiedo, cane “primiti-vo”, spitz, per eccellenza.Non vi parlerò di Ernest Kilburn-Scott, che portò in In-ghilterra il primo cucciolo dalla Siberia, nel 1880. E nemmeno delle leggende che accompa-gnano la storia di questa razza, come quella che, come cani, li vuole dei gran testoni. Piutto-sto, del loro spirito libero e indi-pendente, che ne fanno un cane dal carattere unico. Questo temperamento è sicuramente registrato nel DNA dei samoie-di, da quando l’omonimo popo-lo del quale sono – da sempre – fedeli compagni di lavoro e di vita, li lasciava liberi attorno alle baracche di ardesia aspet-tando che trascorresse il lungo periodo della notte polare, e riprendere, durante l’estate, la consueta attività di pastori no-madi di renne. Ho avuto mol-ti esempi d’indipendenza, nei quasi vent’anni di vita vissuta

di Silvano Tommasoli

Amici miei

Il samoiedo, cane nordico per eccellenzaImpossibile resistere al candido sorriso di questo splendido esemplare canino

in compagnia di questi animali intelligentissimi, forti e pazien-ti. In un assolato pomeriggio di settembre, Ascan e io rima-nemmo nel ring all’aperto di un concorso di bellezza tra i primi cinque esemplari scelti, tra una trentina, dal giudice (forse non espertissimo della razza), che chiese ai conduttori di far sede-re i cani in semicerchio, attorno a lui. Secondo le modalità di questi concorsi, il giudice valuta singolarmente ogni esemplare, facendolo spostare in avanti, o indietro, secondo la graduato-ria che sta idealmente compo-nendo nella sua testa. Fui molto contento quando indicò, a me e al mio splendido samoiedo, di avanzare fino al secondo posto. Ascan si sedette obbedendo al mio ordine, ma, in quella posi-zione, si trovava con il sole ne-gli occhi. Ovviamente – per lui ma, evidentemente non per il giudice, un po’ stupidotto, direi – per non essere infastidito dal sole negli occhi, si girò di fian-co, offrendo il profilo al giudice. Questi intervenne, invitandomi a far sedere il cane in modo che gli stesse in posizione frontale. Comando immediatamente eseguito da Ascan, ma man-tenuto per non più di cinque secondi, quando, giustamente disturbato dai raggi solari, il samoiedo, con molta eleganza e flemma, si rimise di fianco, in posizione tale da non esserne abbagliato. Nuovo intervento del giudice, ripetizione del co-mando e suo mantenimento per È simpatico sia in movimento sia quando riposa

Febbraio 201120 Animali

Amici miei

non più di altri cinque secondi. Questo teatrino si svolse com-plessivamente almeno cinque volte, davanti a un pubblico sempre più divertito avendone capito le ragioni e a un giudice sempre più seccato e non in gra-

do di capire il senso di quegli spostamenti. Finché, subissato da un coro di proteste da parte di un pubblico molto competen-te, il giudice ci squalificò, per disobbedienza del cane. Quan-do, alla fine del concorso, lo av-vicinai per spiegargli con quan-to poca conoscenza della razza avesse giudicato, si scusò e am-mise di essere più preparato alla valutazione degli standard estetici che a dare un giudizio del cane tenendo conto del suo carattere. Non ho più visto quel giudice all’interno di un ring di cani nordici, o primitivi.Con Axel, invece, arrivando a un raduno di nordici organiz-zato in pieno inverno in alta montagna, fummo invitati a partecipare a una gara di sled-dog (traino della slitta) di prova. Il cane era giovane, e non aveva mai visto una slitta. Io, non ave-vo mai partecipato a una prova di questo sport, che si richiama alla famosa Iditaroad, la duris-sima gara che si svolge il primo sabato di marzo di ogni anno in Alaska, tra Anchorage e Nome, lungo un percorso di 1.688 km. Per farla breve, imbraga-to il cane nei finimenti e dati a me i rudimenti dei comandi in lingua inuit, siamo partiti per una breve gara che, alla fine dei tre giri di pista, ci ha visti

terzi al traguardo. Sembrava che il mio samoiedo non aves-se fatto altro nella vita! La cosa più impressionante è stata che, malgrado i miei approssimativi comandi di girare ora a destra e ora a sinistra, Axel, appena

partito lungo la pista, ha rea-lizzato immediatamente quale fosse il percorso necessario per ritornare al campo base, gra-zie al suo straordinario senso dell’orientamento. Sarebbe più corretto dicessi “per riportarmi al campo base”!Ecco, questa è un’altra gran-de caratteristica del samoiedo: il senso di responsabilità che, pur riconoscendo al suo capo branco umano la leadership, non gli im-pedisce di assumere tem-poraneamente il controllo delle operazioni quando si tratta di ritrovare la strada di casa. È questa la circo-stanza nella quale qualcu-no, che non abbia impara-to a conoscere il samoiedo, potrebbe definirlo cocciu-to, o testone. Infatti, lui è ben consapevole di quanto sia pericoloso lasciare la strada vecchia per quella nuova – soprattutto muo-vendosi sulla banchisa – e quando lo portate fuori per una passeggiata an-che non strettamente nei din-torni di casa, pur lasciandosi docilmente condurre tenderà sempre a cercare di riportarvi su un percorso conosciuto in quanto già fatto prima, anche moltissimo tempo prima. Sol-

tanto la fiducia nel suo capo branco umano potrà indurlo a seguire una strada nuova, ma se si accorgerà che, insieme, state incrociando una via cono-sciuta, farà di tutto per farvela imboccare con fermezza e, an-che, una certa consapevolezza di quanto sta facendo.Il tempo trascorso con l’uomo ha fatto del samoiedo un cane da compagnia, soprattutto per i bambini, per i quali è un ide-ale compagno di gioco; la piega finale delle sue labbra, rivolte verso l’alto, gli è valsa il sopran-è valsa il sopran- valsa il sopran-nome di “cane che sorride”. Non avendo un forte senso del-la territorialità non può essere considerato, strettamente, un cane da guardia, ma sconsiglio a chiunque di violare quello che lui ha identificato come il “suo” territorio e di compiere gesti decifrabili come ostili nei confronti del suo umano capo branco, per il quale il samoiedo è sicuramente disposto a dare la vita. Ricordo che una notte fui svegliato da rumori di pre-sunti ladruncoli che cercavano di aprire la porta di casa, non pensando che all’interno si tro-vassero i proprietari e un samo-iedo. Fortunatamente per loro, la porta era blindata. Infatti, mentre a un metro dal battente

attendevo l’evolversi della situa-zione incerto se telefonare alla polizia, Ascan, silenziosissimo sul pavimento di marmo gra-zie alle sue “suole” di morbida e fitta pelliccia, si è frapposto tra la porta e me, con tutto il

pelo del mantello gonfio e tutti i muscoli pronti a scattare, i den-ti, decisamente da lupo, total-mente scoperti. Quella è stata l’unica occasione nella quale ho avuto la possibilità di vedere un mio samoiedo con l’espressione aggressiva, e quella sua denta-tura studiata dalla natura per permettergli di sgranocchiare, senza difficoltà, il pesce secco e congelato. Con Axel ho avuto un rapporto speciale e simbioti-co, che lo induceva a sedersi di fronte a me, per suggerirmi di andare a fare una passeggiata insieme, e rispondere alla mia richiesta di farmi un “bel sor-riso” mostrandomi tutti i suoi denti bianchissimi in un sorriso buffissimo. La sua obbedienza era tale che, sdraiato a terra, teneva un boccone di pesce (di gran lunga, il suo cibo preferi-to) tra le zampe anteriori senza nemmeno fiutarlo e limitandosi a guardarlo con passione fino a quando con un «sì, Axel!» non lo autorizzassi a mangiare. Non ha mai, e dico mai, approfitta-to di una mia distrazione per prendere il suo premio prima che io gliene dessi il consenso. Anche l’obbedienza cieca e as-soluta del samoiedo è una ca-ratteristica della razza, dovuta alla sua consapevolezza che,

sul ghiacciaio, ciascuno dei due compagni di avventura, l’uo-mo e il cane, ha dei compiti e delle responsabilità dalle quali dipendono le vite di entrambi. Ma di questo, eventualmente, parleremo un’altra volta.

Febbraio 2011 21Animali

Suscita e restituisce una smisurata tenerezza

di Enrico Canella

Serviti il pasto, cowboy

Febbraio 201122 Enogastronomia

Nella pianura oggi intensamen-te coltivata che circonda i Colli Berici e anche nelle ampie valli che si insinuano all’interno del rilievo come pure nell’aperta campagna più a sud fino ai con-fini con le province di Padova e di Verona, è un susseguirsi continuo di piccoli appezza-menti coltivati senza soluzione di continuità, delimitati unica-mente da nudi fossi e da scoline rettilinee per l’irrigazione e per la bonifica dei campi. In certe

zone però, a causa dell’indu-strializzazione e dell’intervento dell’uomo, sempre più presente, sono scomparsi, già da diversi decenni i segni di quanto l’uo-mo aveva in passato messo a dimora: siepi, alberate, filari di gelsi ai margini dei campi o di salici lungo gli argini dei

canali e viti maritate che ca-ratterizzavano la campagna veneta in passato. Gli stessi ca-nali, quando non sono troppo inquinati e non vengono inter-rati o costretti a scorrere entro grosse tubazioni in cemento, rappresentano gli ultimi am-bienti dove si concentra una maggiore varietà di fauna ac-quatica. Qui si possono ancora osservare piante igrofile, ormai rare o scomparse altrove, e for-me di vita animale, il cui ciclo

biologico è legato alla presen-za dell’acqua. Diversamente il paesaggio appare alquanto più articolato in collina. Anche in questo ambiente, tuttavia, l’uo-mo è intervenuto pesantemen-te, ricavando terrazzamenti e fazzoletti di terra per coltivare cereali, ortaggi e frutta, soprat-

tutto la vite e l’olivo. Man mano che si sale di quo-ta questi appezzamen-ti sembrano diventare delle “isolette” circon-date da una vegetazione spontanea e sempre più fitta, sempre più decisa a riappropriarsi dei terreni tenuti in ordine e lavorati dall’uomo. Se alla base dei Colli o nelle porzioni meno elevate dei versan-ti la macchia arbustia appare ancora piuttosto rada, la copertura bo-schiva prende il sopravvento verso la sommità, fino a diventare pre-valente alle quote più elevate oltre che lungo i ripidi versanti delle valli. Queste mostrano, a tratti le fasce re-golari private della copertura arborea dal taglio del bo-sco. Nel fondo, o in leggera pendenza, appaiono invece doline e vallette carsi-che a stento caratterizzate da magre e coltivazioni. Il bosco apparentemente trascurato, si mostra giovane ed esile e non conserva più la bellezza e l’e-suberanza delle vaste foreste secolari che un tempo ricopri-vano i colli. L’aspetto selvaggio della porzione più orientale viene distinto principalmente per le pareti verticali rocciose che troncano bruscamente ver-so est. Uno degli itinerari più piacevoli e ricco di elementi significativi unisce la Pianu-ra Padana ai Colli Euganei, a sud di Vicenza. In queste basse colline calcaree, dove la coltu-ra della vite ha origini antiche quanto la presenza dell’uomo e dove il clima particolarmente temperato permette anche la coltivazione dell’olivo, si sno-da un itinerario ricco di pre-senze architettoniche e artisti-che, molto interessanti per gli amanti delle ville venete, e non solo. La vasta scelta di vini che

offrono queste località, svolge un altrettanto importante ruolo per il turismo eno-gastronomi-co, anche per gli appassionati e intenditori di vini di prima qualità. Fra questi il Caber-net Riserva, lo Chardonnay, il Garganego, il Merlot, il Pinot Bianco, il Sauvignon, lo Spu-mante e molti altri tutti rigoro-samente D.O.C. Prodotti tipici di non meno importanza, sono il Grana Padano D.O.P., l’Olio Extravegine di Oliva Veneto Euganei-Berici D.O.P, il Pro-sciutto Crudo Veneto, la So-pressa Vicentina, il Provolone ValPadano. Altri prodotti tra-dizionali e caserecci altrettanto meritevoli e ottimi da provare sono la grappa, il cotechino con la lingua, il coniglio vene-to, la gallina dorata di Lonigo, il lardo del basso vicentino, il cappone in salsa dei Berici, la pancetta con l’ossocollo del bas-so vicentino, il salame fresco, il formaggio misto di pecora e, immancabilmente…pòenta e osèi.

Quando la natura incontra la tavolaUn itinerario alla riscoperta dei Colli Berici

Uva e olive, un connubio magico

Due vedute del territorio con un dettaglio dall’Eremo di San Donato

Pretendi e fai tornare sulla tavola degli italiani il Vero, Autentico latte Italiano

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a cura della redazione - fotografie di Stefano Campostrini

Serviti il pasto, cowboy

Febbraio 201124 Enogastronomia

Il buon vino è a “kilometri zero”In Valpolicella interessante iniziativa per valorizzare il lavoro dei produttori locali

Prosegue con successo il pro-getto “KiloVinoZero” che mira all’eliminazione della filiera del vino e ad una maggiore atten-zione per il territorio. L’idea nasce nell’ottobre del 2009, dopo un inverno trascor-so con i produttori di vino della zona di Marano di Valpolicella. Il 5 giugno 2010 è stato inaugu-rato il primo punto a chilometri zero, a Marano, nel bar di Piaz-za dello Sport. All'interno della vetrina del ter-ritorio di KiloMaraZero, viene proposto il vino dei produttori del territorio, allo stesso prezzo di cantina per l'asporto. Il pro-getto mira inoltre a promuo-vere territorio, cultura e co-noscenza, riducendo l’impatto

ambientale con l’abbattimento delle emissioni di anidride car-bonica e di tutti quei passaggi della filiera che risultano essere in vario modo dannosi, come le spedizioni frequenti, i relati-vi imballaggi e quant'altro.KiloVinoZero vuole, con la triangolazione produttori/lo-cale/comunicazione, accresce-re conoscenze e rintracciabilità delle cantine associate in rete. Le degustazioni autunnali e invernali hanno frequenza quindicinale e propongono mo-menti di conoscenza del vino, presentazione dell’azienda e al-tro. Questo aspetto ha favorito l'organizzazione sempre diver-sificata e varia di ogni serata: dal percorso sensoriale alla vi-

sita vigneto/cantina, dalla de-gustazione guidata alla serata abbinata alla musica. La setti-ma degustazione si terrà mer-coledì 09 febbraio dalle 20,30 in poi. L’azienda Cristoforo e Lorenzo Aldrighetti presenterà i suoi vini con una degustazio-ne guidata dal sommelier di quarto livello AIS Francesca Baranello. Possiamo definire Cristoforo, come un contadino evoluto, una persona che della propria semplicità e schiettez-za, ha fatto un modo di essere. La degustazione è un'occasione per conoscere alcuni vini, di difficile degustazione perché la produzione raggiunge quote da micro-azienda: siamo sulle 4000 bottiglie all’anno. Suc-

cessivamente, il 23 febbraio in degustazione l'Azienda Vini Gamba; il 9 marzo il produt-tore Bonazzi, si prosegue il 23 marzo con il decano del vino da agricoltura biologica della Val-policella, Luigi Aldrighetti.

Informazioni

Le iscrizioni alle degustazioni si possono fare direttamente nel sito www.kilovinozero.com, dove è riportato il form prenotazioni, oppure scriven-do a [email protected] ulteriori informazioni chiamare il 340 4915732

Christopher Johnson Mc-Candless, ragazzo statunitense di buona famiglia, l’aveva ca-pito benissimo. In una lettera inviata a Ronald Franz, signore ottantenne che ebbe la fortuna di dare un passaggio a questo viaggiatore solitario, Chris scri-ve: «C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situa-zione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformi-smo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più de-vastante di un futuro certo». È il 1992: Chris ha 24 anni, una laurea conseguita nel 1990 con il massimo dei voti in Storia e Antropologia alla Emory Univer-

sity di Atlanta, in Georgia. Fin qui, un ragazzo “ordinario”, con la testa sulle spalle. Eppu-re, Chris non ha intenzione di amalgamarsi alla massa, di smorzare la sua energia nelle monotone consuetudini mo-derne. Chris detesta le conven-zioni e le certezze tanto quanto rispetta l’avventura, il cambia-mento, il movimento. E il viag-gio diventa per questo giovane l’unico orizzonte nel quale di-segnare, giorno per giorno, la propria vita. Niente comodi-tà, niente soldi. Abbandonata

di Alice Perini

Giro giro tondo, io giro intorno al mondo

Nella natura selvaggia: vivere (e morire)Oltre ogni stereotipo, la storia di Chris McCandless

La maggioranza dell’umanità vive un’esperienza di

tranquilla disperazioneHenry David Thoreau

la sua vecchia auto, bruciati i risparmi, cancellata ogni pos-sibilità di risalire alla sua iden-tità, Chris si svincola dal peso della sicurezza per assaporare quella che per lui è la vera vita: il viaggio, l’avventura. Non una vacanza ma un vagabondag-gio: Stati Uniti, Messico, Ala-ska. Soprattutto l’Alaska, la sua ambizione, il suo bisogno, il suo appetito. È la fine di aprile del 1992 quando Chris si inoltra nelle terre selvagge. Per sedici setti-mane, 112 giorni, Alexander Supertramp (il nome scelto da Chris come segno di una nuo-va identità) vive in Alaska, la «grande avventura finale. L’a-pice della battaglia per ucci-dere l’essere falso dentro di sé e concludere vittoriosamente il pellegrinaggio spirituale. Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina per smarrirsi nelle terre estreme». Queste le parole scritte da Supertramp su un

pannello di compensato all’in-terno del bus che lo ha ospitato nel ritiro in Alaska. Nell’agosto del 1992, il “viag-giatore esteta”, come lui stesso si definisce, si spegne. Il suo corpo viene ritrovato circa venti giorni dopo la morte (av-venuta probabilmente tra il 18 e il 19 agosto) da un gruppo di cacciatori. Poco dopo la scoperta del ca-davere, lo scrittore e alpinista americano Jon Krakauer, fir-ma un pezzo su una rivista sta-tunitense in merito alle miste-

riose circostanze della morte di Chris. Ciò che è ancora più in-teressante è la valanga di com-menti negativi giunta alla reda-zione del giornale: molti lettori provavano orrore per la glorifi-cazione della figura del giova-ne operata da Krakauer. Una morte sciocca e insulsa di uno svitato, di un matto. Un giova-

ne idealista, arrogante, ignorante, sprezzante del pericolo e della natura, un idiota, un narcisista, «uno studentello vaga-mente istrionico e sopra la media». Un sognatore acerbo per il quale non si dovrebbe provare nulla, nemmeno un po’ di sim-patia. Quando sono venuta a conoscenza di questa sto-ria, ammetto di essere ri-masta molto colpita. Tro-vo poco intelligenti le eti-

chette e i giudizi appioppati a Chris, così come mi sembrano piuttosto insignificanti i tentati-vi di psicologizzare post mortem il ragazzo. Allo stesso tempo, penso sia altrettanto sterile far-gli i complimenti o applaudire al suo eroismo d’altri tempi. Mi piacerebbe poter andare oltre ogni categoria, superare classi-ficazioni e stereotipi, soprattut-to per rispetto nei confronti di questo ragazzo che, da quando ha potuto, ha sempre cercato di svincolarsi dalla costante ope-ra di incasellamento esercitata

da chi lo circondava. Umile o superbo, organizzato o impre-parato non importa. Chissà se qualcuno di quei moralizzato-ri si è semplicemente chiesto il perché l’Alaska sia l’aspirazione più forte di certe persone. Del resto, la smania di giudicare e l’ossessione di stabilire chi ha ragione e chi ha torto in questo mondo sono le maggiori occu-pazioni di tanta, troppa, gente. Chris, come tanti giovani, ha voluto superare il limite; ma, a differenza di tanti giovani, lo ha fatto consapevolmente. Era conscio di non avventurarsi nel Paese dei Balocchi ed era proprio questa l’unica cosa che Chris desiderava: pericoli, av-versità, minacce e sacrifici. La sua disperazione più grande sa-rebbe stata, probabilmente, non poter compiere quel percorso dentro la natura e dentro se stesso. «Ho avuto una vita feli-ce e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!»: sapere che queste sono le sue ultime parole mi rincuora. Se ho una ragione per rispettare Chris, la sua capacità di emanciparsi dalla disperazione del quotidia-no è senz’altro la prima di una lunga lista. Del resto, tutti de-sideriamo affrancarci dalle no-stre afflizioni. Semplicemente, ci sono persone che per liberar-si del mondo devono rifugiarsi dove il mondo non può arriva-re, con il consapevole rischio di non fare ritorno.

Febbraio 2011 25Viaggi

La silenziosa fragilità di Marco PantaniSono passati sette anni dalla morte del “pirata”. Ma il suo ricordo è sempre vivo

di Daniele Adami

Quando il gioco si fa duro

“Descrivi Marco Pantani in due parole”, mi chiede un ipo-tetico amico e appassionato di sport. “Impossibile”, gli rispon-do io, “non si può ridurre que-sto campione in due parole”. Ma subito dopo mi correggo, e gli dico: “Marco Pantani”. Il mio interlocutore fa una smor-fia e capisce. E io vado avanti nella spiegazione: “Quando si parla di persone che hanno dato così tanto al mondo dello sport, ma non solo, per ricor-darle basta solo pronunciarne il nome e il cognome. Solamente questo è sufficiente, con assolu-ta semplicità”.Permettete che prosegua in prima persona, anche se non saranno unicamente due parole quelle che usciranno dalla mia mente e che si imprimeranno su questa carta. È il 14 febbra-io 2004. Accendo il televisore e vedo un proliferare di speciali. Non colgo subito l’argomento di cui si sta parlando. L’attesa, però, è breve. La notizia è forte. Marco Pantani è stato trovato morto in un residence a Rimi-ni. La mia reazione? Sono an-dato in camera e ho indossato la bandana che egli era solito gettare a terra quando si prepa-rava a scattare su una tortuosa salita. Ho tenuto la bandana fino a sera, nella speranza, forse, che quella notizia fosse falsa. Ma non lo era. Dentro di me si è creata una sensazio-ne di vuoto, e mi sono chiesto: “Ora che lui non c’è più, cosa

ne sarà del ciclismo italiano?”. Questo interrogativo, lo devo ammettere, è sorto in un mo-mento di immenso sconforto. Era scomparso il ciclista che mi aveva portato ad ammirare questo sport. Uno sport fatto di pedali, di sudore, di fatica, di montagne intrise di storia, di atleti che hanno creato la casa della storia. E Marco Pantani ha aggiunto parecchi mattoni. Mattoni che portano i nomi delle sue vittorie.Ora qui non vogliamo parlare

di tutto quello che è scaturito dopo quel triste 14 febbraio. Ognuno è a conoscenza dei fatti. Ognuno si è fatto una sua opinione, giusta o sbagliata che sia. Chi è rimasto commosso, chi sorpreso. Molti lo hanno osannato, molti gli hanno vol-tato le spalle, ritenendolo un cattivo esempio per le giovani generazioni.Dopo l’esclusione al Giro d’Ita-lia che stava per vincere, siamo nel giugno 1999, la parola “do-pato” gli si è attaccata prepo-

tentemente addosso, come una malattia. O meglio, gliel’hanno attaccata. Quell’ematocrito ol-tre la norma, lo sappiamo, non lo ha mai digerito. Gli è rimasto fisso sulla gola, fino alla fine. La carriera di Marco Pantani, ri-cordiamolo brevemente, è stata costellata da numerosi e gravi infortuni. Alla Milano - Tori-no del 1995 un’auto lo investì, causandogli la frattura scompo-sta ed esposta di tibia e perone della gamba sinistra. Durante l’ottava tappa del Giro del 1997 un gatto gli attraversò davanti all’improvviso, facendolo ca-dere e sbattere violentemente. Lacerazione del bicipite femo-rale sinistro con versamento all’interno del muscolo. Ma l’esclusione dalla corsa rosa avvenuta a Madonna di Cam-piglio (stiamo parlando dell’epi-sodio del 1999) è stata peggio di qualsiasi infortunio muscolare. Marco Pantani si è sentito ferito nell’anima. Si è sentito tradito. Il cuore gli si è fermato, e poi si rotto. Ha cercato, in seguito, di ricomporlo, ma mai completa-mente.L’uomo, più che l’atleta, è tor-

Un pensiero

“Ma se Pantani è ancora ri-cordato e amato, è per come vinceva, non per quanto vin-ceva. Vittorie quasi tutte in so-litudine, quasi tutte senza un gesto di gioia sul traguardo, senza un sorriso per i fotografi o lo sponsor”.

Gianni Mura (Premessa al libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani di Philippe Brunel)

Febbraio 201126 Sport

Quando il gioco si fa duro

nato a vincere sulle strade del Tour de France del 2000. Ben due tappe si è portato a casa. Una sul lunare Mont Ventoux, la seconda a Courchevel. La prima a braccetto con Lance Armstrong, l’altra per distac-co. Alla sua maniera, creando un vuoto dietro alle sue esili ma potenti spalle. Davanti a quell’Armstrong che una volta disse: “Se Pantani avesse par-tecipato al Tour del 1999, lo avrebbe certamente vinto”.Pertanto, non stiamo qui a di-scutere sul genio dello scalatore di Cesenatico (anche se nacque, per la verità, a Cesena). La sua abilità nel trasformare le salite in apparenti pianure è un dato di fatto. Chissà quante volte mi è capitato di sentire, durante le telecronache: “Questo ragazzo

in montagna è il più forte di tutti. Non ho mai visto nessuno attaccare su queste pendenze come fa Pantani”. Parole pro-nunciate da ex ciclisti o esperti commentatori. Non dal primo che si incontra per strada, con tutto il rispetto possibile per questa persona.Sono passati sette anni dalla notizia che mi aveva condot-to nello sconforto. La mente spesso abbandona il presente per gettarsi in quel passato ca-ratterizzato da incredibili vitto-rie. Non posso non ricordare il freddo e la pioggia che accom-pagnarono il “pirata” durante il trionfo ottenuto a Les Deux Alpes. Quell’impresa che ven-ne sigillata con una immagine a tutta pagina su “La Gazzetta dello Sport” del 28 luglio 1998. La fotografia dell’arrivo in soli-

tario, con il corridore cosparso di acqua e sudore, con le brac-cia alzate. Con gli occhi chiusi. L’atleta che applaude se stesso. Un ciclista in cui lo sport si è identificato. Un simbolo di co-raggio, di forza, di resistenza.Ma Pantani non era solo un ciclista. Prima di tutto era un essere umano. Con i suoi pregi e i suoi difetti. Come qualsiasi persona. Il prestigio e la fama, però, possono contribuire alla creazione di due vite separate. Da un lato l’incantatore di folle lungo le strade delle grandi cor-se, dall’altro l’uomo semplice che convive con i disagi, con le gioie, con le paure. Marco, in-vece, era l’insieme di tutte que-ste cose. Non concepiva queste differenze. Questo non lo dob-biamo dimenticare. Anzi, non

possiamo, altrimenti sarebbe un insulto alla sua memoria. La fragilità dell’uomo era presente sulla sella della sua bicicletta, non solo nella normale quoti-dianità. Il calore del pubblico si trovava anche al di fuori di una tappa.Quegli occhi intrisi di fred-da malinconia videro la luce il 13 gennaio 1970. Erano le 11.45 quando mamma Tonina e papà Paolo incrociarono lo sguardo di quel bambino che 28 anni dopo sarebbe diventa-to l’ultimo corridore italiano a conseguire la magica accoppia-ta Giro - Tour a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Quel bambino che a scuola non an-dava molto d’accordo con i libri e con i compiti a casa. Preferiva seguire il nonno Sotero men-tre questi andava a pescare.

Adorava calpestare sulle orme lasciate dagli stivali del padre quando egli si alzava presto la mattina per andare a una bat-tuta di caccia. Il ciclismo non era ancora presente nei suoi pensieri. Con i coetanei gioca-va a calcio, lo sport per il quale molti ragazzini nutrivano e nu-trono svariati sogni. Il destino, però, scelse per lui un’altra stra-da. Affascinato dalle pedalate della squadra giovanile G.C. Fausto Coppi di Cesenatico, un giorno decise di afferrare la pe-sante bicicletta di mamma To-nina per seguire quello strano gruppetto di atleti, con il desi-derio di capire e vedere quanto il suo corpo potesse sostenere un simile sforzo. Il risultato fu sorprendente. Non venne mai staccato e in salita rimase nelle prime posizioni. Da quel mo-mento in poi nel cuore di Mar-co Pantani iniziò a battere la voglia di dare sempre di più. Il suo legame con la bici divenne così forte che egli se la portava in bagno e la lavava con cura nella vasca.Ma facciamo un bel salto avan-ti negli anni. Abbiamo accen-nato ad alcune sue vittorie, si

è parlato di gravi infortuni. Non parliamo della cocaina. Chi scrive non se la sente. Non parliamo nemmeno della tur-bolenta relazione con Cristi-na Jonsson. I giornali hanno gettato parecchio inchiostro a riguardo. Vogliamo lascia-re un vivo ricordo di Pantani, un ricordo che possa rimanere intatto il più a lungo possibile. Un pensiero fatto di emozioni, quelle sensazioni che scaturiva-no quando si stringeva gli scar-pini e si preparava a fare della salita il suo elemento naturale. L’ultima emozione è datata 22 maggio 2003. Fu il Monte Zon-colan ad ospitare i suoi ultimi scatti. Mi vengono i brividi se penso a quelle immagini. Molti si aspettavano qualcosa di più da lui. Lui, invece, aveva già dato tanto allo sport.Sono passati sette anni da quando ci hai lasciato, e sulle strade delle grandi tappe ap-pare ancora il tuo nome. Il tuo nome non ha perso forza. È an-cora lì caldo sull’asfalto, sugli striscioni, sulle maglie di mi-gliaia di tifosi. Assieme al tuo tenue e intenso sorriso.

La Fondazione Marco Pantani Onlus

Il corridore di Cesenatico era solito donare ingenti somme di de-naro ad associazioni ed enti per l’accoglienza di persone con di-sturbi mentali, motori ed economici, ma soprattutto per la cura dei bambini. Dopo la morte del figlio, Tonina e Paolo Pantani fondarono un’associazione il cui scopo era proseguire il cammino che Marco aveva intrapreso. Un cammino che egli affrontava in silenzio, i cui particolari non apparivano sui giornali o in televi-sione. Non voleva che la sua generosità diventasse di dominio pub-blico. La voleva tenere per sé e per le persone che aiutava. Molte volte non lo sapevano nemmeno i suoi genitori.

Febbraio 2011 27Sport

di Francesco Fontana

Visto abbastanza?

La sposa in nero: l’amore, la morte, la vendettaIl noir di Truffaut ispirato al cinema di Alfred Hitchcock

Fare un film significamigliorare la vita, sistemarla

a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia

Francois Truffaut

Julie è seduta sul letto della sua camera, sfoglia un album foto-grafico, poi getta improvvisa-mente il raccoglitore e scatta verso la finestra tentando di buttarsi di sotto, ma viene fer-mata all’ultimo dalla madre. Poi la machina da presa stacca su una valigia posata sul letto, nella quale Julie sta riponen-do con molta cura gli abiti. La donna chiude il bagaglio e prende in mano un pacchetto di soldi che dispone, in cinque mazzetti separati, sulla valigia chiusa. Il gesto, che si capirà in seguito, ha grande valore simbolico: il movimento della mano della protagonista, ripe-tuto cinque volte, è accompa-gnato da un acuto suono over, come se la donna stesse inferen-do una coltellata mortale a una vittima. Julie poi saluta la ma-dre e si dirige verso la stazione: è in partenza per un misterioso viaggio.Nella prima sequenza non ci viene quindi svelato nulla della protagonista: non conosciamo il suo progetto e il motivo del suo viaggio. Poco dopo scopriremo che Julie è una giovane vedo-va, sconvolta per l’uccisione del marito avvenuta appena dopo la celebrazione del matrimonio, proprio sulle scale della chiesa. A provocare la morte, lo stupi-

do gioco di cinque uomini che, intenti ad ammazzare la noia all’ultimo piano del palazzo di fronte alla chiesa, scherzando con un fucile di precisione, la-sciano accidentalmente partire un colpo che ferisce mortal-mente lo sposo. Lacerata dal dolore e incapace di accettare l’ingiustizia, Julie parte alla ri-cerca dei responsabili. La pro-tagonista, interpretata da una

splendida Jeanne Moreau, è una vera femme fatale che sfrut-ta tutto il suo fascino per cor-teggiare, conquistare e fredda-mente uccidere, dissolvendosi appena dopo nel nulla, i cinque responsabili della sua infelicità. Procede nel suo piano con dia-bolica creatività: trasforma di volta in volta il proprio aspetto e il comportamento, mantenen-do il pieno controllo della situa-

zione.La sposa in nero (1968) è un thril-ler carico di sfumature sull’a-more, sulla morte, sul fascino femminile e sulle debolezze ma-schili. Il desiderio di una vita insieme, cullato sin da piccoli da Julie e dal futuro marito (un flashback ci mostra i due bambi-ni che corrono felici per mano), è bruscamente interrotto da un intervento esterno e privo di senso. Proprio il progetto d’a-more incompiuto è il motore del film: Julie è consapevole di aver subito un’ingiustizia alla quale nessuno potrà porre rimedio e non riesce in alcun modo a ras-segnarsi alla perdita, legandosi di continuo al ricordo. Sulla scena del primo omicidio la donna lascia volare dal balco-ne una sciarpa, che si impiglia sulla tenda del terrazzo, e chie-de alla vittima predestinata di recuperarla dicendo: «Il fatto è che quella è un ricordo, ci tengo, più che a qualsiasi altra cosa». Poi, in uno degli omicidi successivi, si rivolge all’uomo che sta morendo soffocato in un ripostiglio: «Lei mi ha preso qualcosa che non mi potrà mai restituire». La sposa in nero è un affascinante noir, senz’altro uno dei film meglio diretti dal regi-sta francese. Il tema dell’amore e, per meglio dire, delle osses-sioni e delle nevrosi provocate dal sentimento amoroso (tema caro a Truffaut) interagisce qui con un’avvincente trama thril-ler, che omaggia elegantemente il cinema del maestro del gene-re Alfred Hitchcock.

Febbraio 201128 Cinema

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Global Service fornisce squadre specializzate e soluzioni produttive con l’obiettivo di rendere dinamiche ed efficienti le aziende che oggi devono rispondere a un mercato competitivo e in continua evoluzione, ottimizzando tempi e costi.

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L’ORGANICO È COSTITUITO DA: MAGAZZINIERI, CARRELLISTI, PERSONALE PER PREPARAZIONE ORDINI E SERVIZI DI SEGRETERIA E GESTIONE DI MAGAZZINI PER VARIE CATEGORIE MERCEOLOGICHE;

SI OCCUPA SOPRATTUTTO: DI FACCHINAGGIO, DI MOVIMENTAZIONE MERCI E INSERIMENTO DATI;

I NOSTRI SERVIZI: COMPARTO FRUTTA, GESTIONE MAGAZZINO, MOVIMENTAZIONE MERCI, CARTOTECNICA, PULIZIE CIVILI E INDUSTRIALI, PORTIERATO, VIGILANZA NON ARMATA.