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indice PREMESSA_3 PRIMA DELL’ARCHITETTURA_7 LA CITTA’ DELLE MACCHINE_11 I VAGABONDI DELLE CITTA’ FUTURISTE_15 DEAMBULAZIONI FERROVIARIE_23 CONCLUSIONI_33 BIBLIOGRAFIA_37

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indice

PREMESSA_3

PRIMA DELL’ARCHITETTURA_7

LA CITTA’ DELLE MACCHINE_11

I VAGABONDI DELLE CITTA’ FUTURISTE_15

DEAMBULAZIONI FERROVIARIE_23

CONCLUSIONI_33

BIBLIOGRAFIA_37

Premessa_3

Premessa

Questa indagine personale cerca di descrivere gli effetti che un viaggio può avere sulla percezione del paesaggio . Successivamente ne cerca di dare una rappresentazione grafica strettamente personale legata alle sensazioni e impressioni che esso genera.Non vuole essere ne un postulato ne una presa di posizione, ma è pura ricerca sperimentale di un metodo di espressione di un fenomeno vissuto .Tuttora resta un capitolo di studio da portare avanti nel percorso di crescita umana più che professionale.Prima di affrontare le mie intuizioni, per aiutarmi ho svolto una breve indagine sulla percezione del viaggio nella storia dell’arte partendo dagli al-bori della civiltà, ripercorrendo il mito alla base delle due grandi categorie di società, inoltran-domi nelle visioni dei dadaisti per arrivare poi alla visione più completa definita dai Land Walkers.

Premessa_5

Il VIaggIo é esperIenza

VIaggIare nello spazIo , esplorare Il terrItorIo scoprIre lo sconoscIuto non è solo un attIVItà puramente fIsIca,dentro dI sè porta sIgnIfIcatI molto pIù complessI e psIco-emotIVI. Il VIaggIare è espIazIone dI colpa , InIzIazIone , accrescImento culturale ed esperIenza.analIzzando la radIce Indoeuropea della parola “esperIenza” sI scopre che Il VIaggIo Va Interpretato pIù come un “tentare” mettere alla proVa, rIschIare, da quI nasce la concezIone del VIaggIare come cImento, come passaggIo attraVerso una forma dI azIone che mIsura le dImensIonI e la natura Vere della persona o dell’oggetto che la Intraprende.Il VIaggIare non può quIndI lImItarsI a essere una azIone dI moVImento nello spazIo ma deVe essere Interpretata come una esperIenza che mette alla proVa Il carattere del VIaggIatore accrescendolo e forgIandolo attraVerso la scoperta dello spazIo e delle sItuazIonI che lo stesso paesaggIo crea nel VIandante.

perdersI è la soluzIone

perdersI sIgnIfIca che Il soggetto non controlla pIù lo spazIo attorno a sè ma è lo spazIo a domInare. sono momentI dI VIta In cuI ImparIamo ad apprendere dallo spazIo che cI cIrconda, è Il momento In cuI cI sI confronta con mondI dIVersI e sIamo costrettI a dare un Valore e nuoVe e contInue InterpretazIonI del mondo cIrcostante per creare puntI dI rIferImento utIlI a noI stessI.per quanto sembra stupIdo dIrlo è un attIVItà rIgenerante a lIVello mentale, l’unIco modo per andare oltre e crescere.ad esempIo nelle culture prImItIVe se non cI sI perde non sI dIVenta uomInI, per questo I gIoVanI VenIVano mandatI da solI nella foresta o nel deserto per poter dIVentare maturI.

Prima_dell’architettura_7

PRIMA DELL’ARCHITETTURA.

Prima di considerare il mio tempo e la storia che ha portato a considerare il viaggio nel paesaggio è necessario ricordarci degli albori della nostra civiltà, quando non esistevano mezzi di trasporto o città, quando tutto era legato al proprio corpo e la dimensione del mondo era descrivibile a vista d’occhi.

Prima_dell’architettura_8 Prima_dell’architettura_9

Questa piccola prefazione serve a capire la divisione fondamentale che sta alla base del nostro modo di relazionarci con lo spazio che ci circonda.

Dal tempo delle leggende.

Il nostro modo di concepire lo spazio si divide in due grandi categorie:Quella dell’uomo sedentario e quella dell’uomo Nomade, i primi discendenti da Caino i secondi da Abele.La stirpe di Caino incarna il ramo evolutivo dell’uomo agricoltore che insediadosi in un luogo privilegiato si dedica all’agricoltura, creando le prime forme di accampamenti stabile da cui nasceranno le città. Questa stirpe è quella degli Architetti , forgiatori del paesaggio domatori della natura costruttori dell’artificio.Questa generazione viene definita quella dell’Homo Faber, che lavora e assoggetta la natura per costruire materialmente un universo artificiale.I figli di Abele, i pastori e quindi nomadi interpretano un altro ruolo, molto piu passivo e sottomesso alla natura dedicando la loro esistenza a continui spostamenti da luogo a luogo senza considerare la possibilità di deformare il paesaggio a loro immagine e volontà, questa stirpe può essere identificata come l’Homo Ludens, che gioca e costruisce un effimero sistema di relazioni tra natura e vita.Abele non dovendo passare tutta la vita ad arare la terra è libero nel tempo per potersi dedicare alla speculazione intellettuale, all’esplorazione della terra, all’avventura e quindi al gioco. Il gioco della creazione di un universo di simboli riferimenti ed interpretazioni della natura. Grazie all’attività del camminare attraverso il territorio che nasce l’architettura del paesaggio.Percorrendo la leggenda, dopo il fratricidio, Caino viene condannato al vagabondaggio, trasformando la condizione privilegiata del nomadismo in una punizione divina, l’erranza senza patria.Sarà poi Caino l’architetto che dentro di sè incorpora sia la mentalità dell’agricoltore che del nomade a creare le prime città, luogo vero di incontro tra agricoltori e pastori che non potevano vivere l’una senza l’altra , dando vita alla relazione Percorsi-Città, conformando di fatto il paesaggio a una rete di connessioni da villaggio a villaggio nel territorio.Tralasciando lo studio della città sedentaria, che potremmo riassumere come uno spazio pieno, denso, solido e definito mi concentrerò sullo spazio nomade che si presenta più come un vuoto disabitato e infinito dove l’unica traccia umana sarà la scia dei percorsi attraverso lo spazio.La “città nomade” è perciò il percorso stesso, la linea sinuosa disegnata dal susseguirsi di passaggi all’interno del vuoto, una successione di punti in movimento, dove l’importante non sarà ne l’inizio del sentiero ne la sua fine ma sarà lo spazio intermedio, lo spazio dell’andare, l’essenza stessa del nomadismo, il luogo in cui si celebra quotidianamente l’esperienza dell’eterna erranza, il Vagabondaggio.

E‘ il percorso come il luogo simbolico dove si svolge la vita della comunità, o come direbbero in Gi-appone quello che conta è il viaggio non la meta, non sarà quindi da considerarsi come una scia di un passato lasciato come traccia sul terreno ma come il presente che occupa di volta in volta quei segmenti in cui avviene lo spostamento, creando relazioni emozioni e differenti letture nel divenire del percor-so.Si può cosi capire come il mondo per i nomadi verrà concepito come una mappa in continuo divenire, uno spazio liquido in continuo mutamento dove frammenti pieni dello spazio dello stare galleg-giano nel vuoto dell’andare, dove i percorsi saranno segnati fino a che non verranno cancellati dal tempo per essere ricostruiti da nuovi disegnando il vuoto del territorio.I nomadi svilupparono cosi una grande sensibil-ità all’osservazione e alla mappatura del grande vuoto dove ogni difformità ed evento è un luogo utile per l’orientamento disegnando cosi una map-patura mentale definita da punti ( luoghi particolari ) linee ( percorsi ) e superfici ( territori omogenei ) in continua evoluzione nel tempo.

La città delle macchine_11

“Avevamo vegliato tutta la notte... discutendo davanti ai confini estremi della logica e annerendo molta carta di frenetiche scritture.Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nella pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città. Sussultammo a un trat-to, all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i vil-laggi in festa che il Po straripato squassa e sradica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottio di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udim-mo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.”

Marinetti. dal Manifesto futurista ( Le Figuerò Parigi 1909 )

LA CITTA’ DELLE MACCHINE

La città delle macchine_12 La città delle macchine_13

Esaltazione futurista

Ripercorrendo a grandi passi l’evoluzione della nostra società ci si accorge come lo sviluppo dei mezzi di trasporto ha determinato l’immagine delle nostre città e del paesaggio.Si pensi allora all’importanza storica dell’invenzione dell’automobile, della ferrovia e degli aereoplani. Portavano dentro di sè il futuro delle più grandi rivoluzioni e segnavano senza ritorno nuovi ritmi e stili di vita, non era piu pensa-bile l’interpretazione del mondo in piccole porzioni, di fatto esse sancivano una nuova visione del mondo, più era potente il mezzo più questo condizionava il modo di pensare, fare architettura e vivere lo spazio.E‘ importante capire che le mie parole non sono affatto critiche ma solamente una presa di coscienza di fronte a un fattore di enorme importanza per capire come viene percepito il nostro paesaggio, che è dominato da questi elementi. All’inizio del novecento il tema del moto era quindi diventato uno dei principali oggetti della ricerca delle avanguardie e di fatto segnava un fonda-mentale passo avanti nell’interpretazione del paesaggio e delle città. Secondo i futuristi la città era diventata una macchina tecnologica dai ritmi frenetici ed effervescenti, dove le macchine e i mezzi di trasporto avevano cam-biato radicalmente il concetto di vita, le luci i rumori e i ritmi imponevano perciò un nuovo modo di interpretazione e rappresentazione.La città futurista divenne il luogo privilegiato della modernità,dove si incarna il futuro , la velocità e il movimento, creando così un paesaggio urbano dominato da luci tramvai e rumori che ne moltiplicano e confondono i punti di visione an-nullando l’idea di staticità del paesaggio che aveva dominato nell’antichità.

Questa città nel 1900 era solo un idea di futuro, mentre ad oggi è un immagine quasi perfetta delle nostre metropoli caotiche e iper-stimolanti dove il metro di giudizio non è più quella dell’uomo a piedi ma quello delle nuove macchine e tecnologie, tanto da rendere questi luoghi alienanti e difficili da apprezzare nella vita quotidiana. I futuristi che a mio avviso capirono perfettamente la deriva che stavamo pren-dendo basandosi su una meticolosa lettura dei nuovi spazi urbani e delle attività generate non capirono però gli effetti che avrebbe creato la città su di noi suoi abitanti, non affrontarono mai l’atto dell’esplorazione fisica come azione fonda-mentale e principale per i suoi cittadini,essi furono più dei rappresentatori della città del futuro dimenticandosi di viverla ed esplorarla a causa della loro grande esaltazione nei mezzi tecnologici.

" Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari; ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade im-mense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari. Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumul-tuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca. La casa di cemento, di vetro, di ferro..... deve essere sull'orlo di un abisso tumultuante: la strada si spro-fonderà nella terra per parecchi piani, che accoglier-anno il traffico metropolitano e saranno congiunti, per i transiti necessari, da passerelle meccaniche e da velocissimi tapis roulants".

Sant’ Elia La città Nuova.

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I VAGABONDI DELLE CITTA’ FUTURISTE

Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare. Chè i nomi delle strade devono suonare all’orecchio dell’errabondo come lo scricchiolio di rami secchi e le viuzze interne gli devono rispecchiare nitidamente come le gole montane

Walter Bnejamin, Berliner Kindheit um neunzehndert,

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Durante i primi giorni sentiremo tutte le nostre “fret-tolosità” calmarsi poco a poco, lo spostarsi a piedi in-fatti risintonizza il nostro corpo, e di conseguenza la mente, ai ritmi della Natura. L’abbandono delle prat-iche più velenose della nostra vita urbana, la guida dell’auto nel traffico come lo stare seduti davanti al computer per otto ore al giorno, l’abuso del cellulare, farà sentire presto il suo effetto. Nei primi tre giorni sentiremo qualche disagio ed un senso di spaesa-mento, dovuto alla potente azione del camminare, che ci depura dalle tossine fisiche e psichiche.

Luigi Lazzarini

Visite dadaiste

Fu grazie a Dada che si passo dalla rappresentazione del moto alla costruzione di un azione estetica, da compiersi nella realtà della vita quotidiana,dove il moto era visto come la pratica di esplorazione nello spazio reale.Dada e il suo gruppo iniziano una serie di visite a piedi della città di Parigi dimenticandosi dei proclami futuristi invocando a una città banale, trovando già nel presente ogni sorta di universo possibile, i dadaisti esplorano i luoghi più insulsi della città os-servando con nuovi occhi il paesaggio urbano nella ricerca di un unione tra vita e arte, tra sublime e quotidiano. L’importanza di questo gruppo non furono le visite stesse, ma l’azione del visitare ed esplorare i paesaggi già noti o addirittu-ra paesaggi che non avevano alcun motivo di esistenza, dove l’esplorazione della città divenne una continua scoperta di realtà da svelare , possibile ovunque anche nel cuore degli itinerari tu-ristici della capitale francese.

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Psicogeografia

Questa investigazione era dominata dal caso e dall’inconscio, un viaggio tra realtà e sconosciuto,era la ricerca di un nuovo uso della vita che per la pri-ma volta metteva in primo piano la parte occulta dell’esperienze umane.

Fu grazie a Lettristi che si fece un passo avanti in questa ricerca riportando su un piano più reale e og-gettivo l’esplorazione degli spazi, interpretando lo spazio urbano come un terreno passionale e ogget-tivo, non solo dominato dalla parte inconscia.La derivè lettrista era un operazione costruita, che accetta il caso come per i predecessori, ma non si fonda su di esso, la deriva era un azione fugace, un istante immediato da vivere nel momento presente senza porsi il problema della sua rappresentazione e della sua conservazione nel tempo. Secondo questo gruppo l’erranza costruita avrebbe prodotto nuovi territori da esplorare, nuovi spazi da abitare e nuove rotte da percorrere, con lo scopo di creare una nuo-va visione cosciente della nostra civiltà che com-prendesse inconscio e vita reale.

Stava nascendo così la concezione della psicogeo-grafia, un misto tra le teorie della psicoanalisi freudi-ane e la ricerca di rappresentazione del paesaggio percepito. Si può definire come lo studio degli ef-fetti dell’ambientazione spaziale nelle emozioni e comportamenti degli individui.

Questa tecnica viene portata avanti da Guy Debord che inizio a disegnare le città come un collage di ele-menti immersi nel vuoto collegati tra loro dai percor-si delle deambulazioni, dove i quartieri diventavano elementi alla deriva nel vuoto delle amnesie urbane.

“La strada, che io credevo capace di imprimere alla mia vita svolte sorprendenti, la strada, con le sue in-quietudini, ed i suoi sguardi, era il mio vero elemento: in essa ricevevo come in nessun altro luogo il vento dell’eventualità.”

Andrè Breton, Les pas perdus 1924

Passeggiate surrealiste

Poco dopo i dadaisti, Andrè Breton Aragon, Morise e Vitrac iniziano una serie di deam-bulazioni a quattro nelle campagne francesi, durante questi viaggi i quattro surrealisti conversavano e camminavano per diversi giorni eseguendo non solo un’esplorazione fisica dello spazio ma soprattutto una “passeggiata” ai confini tra la vita cosciente e la vita di sogno.Secondo il gruppo l’importanza di queste deambulazioni diventa l’esplorazione dello spazio vuoto nella ricerca dello spaesamento totale anche descrivibile come l’abbandono all’inconscio, dove lo spostamento attraverso lo spazio sconosciuto crea un dialogo tra paesaggio e viaggiatore, dove lo spazio diventa cosa viva che genera emozioni e sensazioni, il paesaggio viene interpretato come un organismo vivente, un interlocutore con cui avere uno scambio reciproco.

I vagabondi delle città futuriste_20 I vagabondi delle città futuriste_21

Lettristi

L’Internazionale Lettrista sperimenta teorie ar-chitettoniche e comportamentali in base alle quali l’architettura influenza il comportamento di chi la abita ed essendo essa stessa l’espressione della classe dominante esercita una coercizione fisica, psichica, dei cittadini-sudditi. I diversi quartieri di questa città potrebbero corrispondere all’intera gamma di umori che ognuno di noi incontra per caso nella vita di ogni giorno”,

“La città è un elemento mutante e variata di contin-uo dagli abitanti stessi, in cui la deriva continua sarà l’attività principale, Il cambiamento di paesaggio di ora in ora sarà responsabile di uno spaesamento to-tale attraverso i luoghi, i cui nomi corrisponderanno a un susseguirsi di stati d’animo in chi li percorreUn allargamento razionale della psicanalisi a benefi-cio dell’architettura si fa ogni giorno più urgente”

Gilles Ivain

New Babylon

Negli anni cinquanta ci fu un ulteriore passo avanti, grazie alle idee di Constant, si passò rapidamente ad attribuire alla teoria della deriva una qualità architettonica tridimen-sionale, ovvero la città vista prima come una serie di isole fluttuanti nel vuoto vengono ricucite da una rete di per-corsi dei nuovi nomadi della terra.La città di Debord era rappresentata come un insieme di placche sconnesse viene trasformata in un elemento unico dove ogni placca era ricollegata attraverso una se-rie continua di città diverse in successione tra loro, dove non esisteva fine o interruzione, dove ogni frammento era parte del tutto, e proprio grazie alla successione delle differenti parti si delineava una cultura eterogenea a livello planetario. Si giunge così alla teoria di New Babylon, con l’intento di scardinare i principi sedentari dell’architettura, il mondo veniva interpretato come un unica metropoli, dove i suoi cittadini nomadi erano liberi di vagare e di esplorare sen-za limiti confini o vincoli di ogni genere.Questa teoria proclamava il nomadismo totale, un ritorno agli albori della stirpe di Abele, dove l’uomo libero dalla schiavitù del lavoro ( grande fiducia nel progresso della produzione meccanizzata che permetteva di ripensare l’impiego del tempo nella vita quotidiana ormai non più costretta agli obblighi di lavoro manuale ) poteva tornare a viaggiare e percorrere le vie del globo, questa idea ripensava la città finora sedentaria e radicata nel suolo come una città nomade sospesa nell’aria, una Torre di Babele orizzontale che sovrasta i territori per avvolgere tutta la superficie terrestre.Questa nuova visione di una città ipertecnologica e multi-culturale restituiva l’intero pianeta ai suoi abitanti facendo di ogni luogo la casa ideale , dove la vita poteva tornare ad essere un viaggio infinito attraverso un mondo in continuo mutamento..

I vagabondi delle città futuriste_22 I vagabondi delle città futuriste_23Lost Highway

Nel 1966 Tony Smith assieme ad alcuni studenti della Cooper Union decide di esplorare in macchina il cantiere dell’autostrada New Jersey Turnpike allora in costruzione, la scoperta fu per lui sensazionale, definendola la fine dell’arte.Percorrendo al buio della notte quella striscia di asfalto nero , si accorse che la strada portava dentro di se una serie di nuove sensazioni, dentro di se avverte una sorta di estasi ineffabile che rivela nella sua mente nuovi quesiti e visioni della natura del percorso, la strada era quindi un segno che attraversava il paesaggio o un es-perienza che lo percorreva?La strada è un oggetto su cui avviene l’attraversamento o è l’attraversamento stesso come esperienza?

A line made by walking

Contribuì Carl Andre a completare questa visione della strada, grazie alle sue opere la strada diventava una sorta di tappeto infinito, uno spazio bidimen-sionale da abitare, un suolo astratto, artificiale, dila-tato, allungato su cui non poggia nessuna scultura, ma che contemporaneamente definisce uno spazio che viene vissuto dallo spettatore. La sua arte di-venne quella degli oggetti su cui camminare che obbligano lo spettatore a muoversi lungo le opere e farsi condizionare dal percorso.Richard Long fece un ulteriore passo avanti elimi-nando dall’opera d’arte l’oggetto, la sua arte era pro-prio il camminare, l’esperienza del movimento ritor-nando all’essenza dadaista delle deambulazioni. Di grande impatto fu l’opera A Line made by walking che riportava l’atto del camminare ad essere azione e segno, disegno ed esperienza, emozione e opera d’arte. Il mondo diventa quindi un immenso territo-rio estetico su cui avventurarsi, un enorme tela su cui disegnare camminando, non un foglio bianco ma un intricato disegno di sedimenti storici e geologici su cui aggiungerne semplicemente uno nuovo, de-scrivendo il paesaggio come un almanacco di tutta la storia che lo ha forgiato nei secoli.

Niente all’infuori della strada buia scorreva attraverso un paesaggio di pianure, circondato lontano da colline e punteggiato da ciminiere, dalle fabbriche, dalle torri, dai fiumi e dalle luci colorate.Questo tragitto in mac-china è stato per me una rivelazione. La strada è una gran parte del paesaggio artificiale; ma non la si poteva però qulificare come opera d’arte.L’esperienza che avevo vissuto sulla strada, per quanto precisa fosse stata, non era riconosciuta socialmente. Tra me e me pensai: è chiaro che è la fine dell’arte. La maggiorparte dei quadri sembravano pietrificatamente pittorici dopo di questo. Era impossibile metterlo in un quadro, bisognava viverlo.

Tony Smith 1966

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PROSPETTI DAI MIEI OCCHI“In un viaggio a cavallo o in carrozza, il passeggero poteva sempre guardare dritto davanti a sé, in direzione della strada e abbracciare con lo sguardo lo spazio attraversato, in tutta la sua coerenza. Seduto nello scompartimento, il viaggiatore ferroviario deve accontentarsi di guardare ciò che scorre di lato, attraverso il finestrino, senza capire bene quello che vede, perché non può dirigerelo sguardo verso la testa del treno e distinguere quello che gli passerà davanti agli occhi qualche minuto dopo.”

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Premesse

Questa ricerca personale è nata nella mia mente durante l’ultimo anno accademico di università, quando mi sono riuscito a liberare dalla quotidianità della vita scolastica e lavorativa , permettendomi finalmente di esplorare il mondo attraverso diversi viaggi per sostenere le tappe del master Itinerante in Museogrefia e Architettura della Fondazione Adrianea.Penso che sia fondamentale se non necessario per chiunque voglia intraprendere la professione dell’architetto la conoscenza delle strade del mondo, le culture e i diversi paesaggi che le hanno condizionate nel corso della storia. Penso che questa cultura non possa essere tramandata attraverso la didattica comune tantomeno ap-presa attraverso libri e immagini, siccome ognuno di noi ha occhi diversi e la percezione delle cose viste sarà quindi diversa per ogni osservatore, diventando l’elemento di differenziazione e particolarità soggettiva tra i diversi individui che l’accademia produce. Per poter capire a fondo i ragionamenti che mi hanno portato a questo elaborato devo anticipare due con-dizioni:

La Curiosità e la Confusione.

Non saprei ancora definire quale è stato il processo vero che mi ha portato a queste conclusioni, ma sono sicuro che la leva principale di tutto questo studio è stata la curiosità di andare oltre alle semplici definizioni che avevo studiato negli ultimi tre anni, avevo la testa piena di parole che descrivevano nel minimo dettaglio l’architettura, i suoi procedimenti, i rapporti, le misure e le filosofie di progetto ma ancora non riuscivo a render-mi conto di cosa stessero parlando, in effetti a ripensarci è abbastanza difficile anche per un ragazzo fantasioso ricostruire il mondo attraverso il solo studio sui libri, sembrava come se fossi in possesso di un enorme baga-glio di conoscenze al quale mancasse la chiave di lettura nel mondo reale, più leggevo e più sembrava che quello di cui gli architetti parlavano fosse solo un idea, una concezione che in realtà non veniva rispecchiata nel paesaggio dove di fatto le cose vengono gestite da tutt’altri fattori dove gli interventi purtroppo vengono compromessi dalle realizzazioni materiali, dove economia e politica decretavano e costruivano un altro tipo di architettura da definire quasi malsana e decostruttiva per i suoi abitanti. Quello che mi serviva era ricollegarmi con il mondo reale, osservarlo e attraversalo in lungo e in largo per poter andare avanti nella costruzione del mio pensiero.Da qui nasce la confusione, per molto tempo un handicap, adesso a ripensarci la definirei come la mia fortuna, siccome mi ha reso possibile l’osservazione delle cose con un occhio puro senza pregiudizi, come quelli dei bambini che non sapendo i contesti e le motivazioni recepiscono un altra realtà dominata dai loro istinti e sensazioni.

Bisogna mettersi nella condizione per cui quel paesaggio possa svelarsi, fare ancora uo sforzo con il nostro corpo: bisogna andarci, camminarci, immerg-ersi senza preconcetti e farne un’esperienza diretta.

Francesco Careri

L’espressione “rappresentazione dello sce-nario” sostanzia il paesaggio quale esito di una interpretazione.

Marcella Aprile

Dovete evitare di essere sotto l’influenza esclusiva di un ambito, Dovete sottrarvi, prendere le distanze, raggiungere i limiti per scoprirvi le diverse possibil vie attraverso le quali evadere. Allargando il vostro punto di vista, oltrepassando i limiti che vi sono im-posti, potrete misurare la loro resistenza, saggiare la loro porosità. Saranno le vostre evasioni a determin-are i veri orizzonti di questo luogo.

Michel Corajoud

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Il mezzo

Come succede nella pittura, la scelta dello strumento incide in modo determinante sulla forma e sul risul-tato dell’opera, così la scelta del mezzo di trasporto è determinante nel disegnare ogni nostro movimento

“ E’ importante non solo dove si va, ma anche come: fa una grand differenza e talvolta è più importante della meta stessa.” “una determinata tecnica di trasporto impone, infatti, al viaggiatore particolari modi di fare, di sentire e di orientarsi. Ogni importante tecnica di trasporto forgia un approccio originale con lo spazio attraversato, ogni grande tecnica porta in sé un “paesaggio”

Andrea Bocconi

Una nuova percezione

Nel viaggio in treno l’osservatore è trasportato a una velocità che annichilisce la vista, tutto prende il volo e si disperde, il paesaggio viene così volatilizzato, trasformato in una nuova immagine liquefatta dove quello che viene percepito non sono più i primi piani ma bensì la linea dell’orizzonte e quello che di solito viene concepito come sfondo.

Il metodo di spostamento determina la percezione dell’intorno, scandendone i ritmi e la profondità dell’interazione con i luoghi attraversati diventando così un fattore fondamentale per valutare le conseguenze che genera sul nostro essere . Purtroppo gran parte delle volte si scelgono i mezzi di trasporto in base a dei fattori sbagliati, economici o economico temporali trasformando il mezzo a un trasportatore passivo, perdendo completamente la loro influenza creativa sul viaggio e quindi sul viaggiatore.L’invenzione dell’automobile della ferrovia e dell’aeroplano hanno trasformato completamente il modo di pensare e vedere il paesaggio, basti pensare agli schizzi di Rio de Janeiro di Le Corbusier e dei suoi suc-cessivi sviluppi che ha avuto nella sua concezione dell’architettura, oppure all’utilizzo della macchina che permetteva una rapida percorrenza di grandi distanze nella più completa libertà di scelta del percorso da parte del viaggiatore.Al giorno d’oggi bisogna fare i conti con un nuovo mezzo il treno ad alta velocità che amplifica ulteriormente gli effetti di queste deformazioni della percezione del paesaggio, di fatto nella storia dell’evoluzione, il pro-gresso del mezzo ha portato a una visione più unitaria del mondo e all’abbattimento delle divisioni dovute alle distanze, rimanendo sempre nel semplice campo del trasporto, senza poter permettere una vita all’interno di esso, adesso dobbiamo affrontare nuovi mezzi attrezzati di tutti i comfort e funzionalità, facendo l’esempio del Frecciarossa delle ferrovie dello stato ci si accorge come le cabine siano diventate delle abitazioni in movi-mento che ampliano di gran lunga le possibilità al proprio interno.

“Tutti gli oggetti vi passano allora davanti agli occhi ad una rapidità inaudita, case, alberi, barriere, tutto sparisce prima che lo si possa fissare.”

Luigi Napoleone Bonaparte

“Come volete che conti tutte le cose che fuggono via?” Jules Janin.“Eccoci in treno, non cè più niente da vedere. “

Martin in “L’Artiste”

Questo genera spesso l’impressione che il paesaggio venga annullato, nel quale è impossibile distinguere qualcosa di preciso.

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Tuttavia superato questo primo effetto terrificante agli occhi di molti, si crea una nuova visione che permette all’osservatore di cogliere il paesaggio come un insieme coerente, unitario e continuo.

“E’ un movimento magnifico che bisogna aver sentito per rendersene conto. Di una rapidità inaudita. I fiori lun-go la ferrovia non sono più fiori ma macchie o piuttosto righe rosse o bianche , non ci sono più punti solo righe; il grano si trasforma in lunghi capelli biondi, l’erba medica in lunghe tracce verdi; ogni tanto un’ombra,una forma uno spettro, in piedi appare e scompare come un lampo di fianco allo sportello; è un ferroviere che saluta il convoglio.”

Victor Hugo

Gli elementi non vengono più riconosciuti tramite la percezione visiva, resa impossibile dalle velocità, ma ven-gono dedotte dalla traccia che lasciano, paragonabile a una citazione deformata, una parola urlata un gesto aggressivo.Seguendo sempre gli scritti di Victor Hugo si poù capire come il paesaggio diventa una danza di elementi lungo l’orizzonte, dove gli elementi come le città in lontananza danzano e si mischiano follemente nella lon-tananza, ogni riferimento viene distrutto appena formato come veri quadri in movimento.Questa nuova visione abbatte completamente l’antico approccio all’osservazione del paesaggio fatto di riferi-menti e primi piani siccome vengono dissolti nella velocità, la velocità e la diversità delle impressioni affaticano necessariamente l’occhio e il cervello, la trasformazione incessante degli elementi esige un continuo lavoro di adattamento che porta a violenti mal di testa.

La seconda reazione porta all’elaborazione di una nuova visione, bisogna però fare astrazione del primo piano guardando oltre, osservando ciò che sta lontano, aprendo agli occhi uno spettacolo in continuo movimento che rappresenta un ampio panorama del paesaggio che si percorre.

“E non ci vengano a dire che non ci godiamo il paesaggio quando siamo trasportati da una locomotiva, il paesaggio non è ai vostri piedi, è lontano, soprattuto per quanto riguarda i volumi; e se gli oggetti in primo piano fuggono via con una rapidità che vi da le vertigini, quelli che si trovano a una giusta distanza posano con compiacenza di fronte a voi e avrete il tempo d’afferrarne l’insieme e il particolare”

nota il commentatore del viaggio inaugurale della Parigi-Rouen

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Nonostante la grande velocità se si scorge in lontananza gli elementi si può afferrare al volo anche i dettagli, in contrasto quindi con la volatilizzazione del paesaggio se ci si concentra si possono estrarre delle immagini fugaci, di elementi particolari che colpiscono il nostro occhio rafforzandone non solo la nitidezza della vi-sione ma anche l’importanza del soggetto, questa visione così precisa controbilancia la brevità della visione, creando nell’osservatore una sensazione di spaesamento e incertezza

“Sarà davvero reale quello che ho visto o è frutto della fantasia?.

Ciò che si può cogliere con lo sguardo è il richiamo di altre percezioni e altre esperienze, dove l’immagine induce la coscienza ricevente a divenire interpretante, assumendo la natura del segno.I signifcati disegnano i confini del paesaggio tra la soggettivià interpretativa e l’oggettività scientifica.

Vittorio Amadio

Il tracciato della ferrovia impone una traslazione allo sguardo del viaggiatore, tutto si svolge come se fosse una tela stampata su un nastro, un linea continua di eventi del paesaggio, non è più l’osservatore a percor-rere con lo sguardo il paesaggio ma è il paesaggio stesso a evolversi nel mentre, durante il viaggio si presenta tutto il territorio come una successione rapidissima di immagini concatenate, unite dall’armonia del cambia-mento, dalla continua evoluzione dei paesaggi. Il treno mostra puramente e semplicemente l’essenziale di un territorio.

“Il fattore tempo e il fattore movimento sono sostanziali nel progetto di paesaggio. Un paesaggio è mutevole anche perchè è vissuto dall’interno ed è letteralmente modellato dal movimento del fruitore.”

Renato Ronchi

Il panorama ferroviario crea una visione che in una traslazione meccanica continua, associa grandi variazioni e particolari sfuggenti, è un modo inedito per scoprire lo spazio, questo modo di recepire il paesaggio è un movimento, un alternanza tra il vedere e il non vedere impossibile da descrivere se non attraverso l’esperienza diretta, una nuova realtà viene svelata, dove ogni elemento palpita, persino il cielo diventa un infinito che agisce e la natura una bellezza in azione.

Tutto cio che viene visto prende un’aspetto sfavillante e fantastico che cancella con un colpo d’ala iridescente la triste realtà.

Viaggiando in treno non si cammina nel paesaggio ma si scivola attraverso.

Il viaggio ferroviario diventa un viaggio paradossale, le regioni vengono attraversate rendendo visibile una successione di siti diversi uniformati nella loro evoluzione progressiva, distaccando la percezione dalla realtà.

La velocità non rende possibile vere le cose perchè scompaiono non appena sono apparse, attraverso lo scorri-mento sull’asse vengono soppressi gli attriti e le diversità dei luoghi, il viaggiatore perde quindi ogni possibilità di reagire normalmente alla visione del panorama, creando lampi fuggenti di immagini definite e delineando una marcata linea di orizzonte che normalmente viene messa in secondo piano.

Lo scorrimento ferroviario impedisce la percezione progressiva delle cose, siccome gli elementi del paesag-gio appaiono e scompaiono senza essere intraviste e poi confermate nell’avvicinamento, non si ha mai un rapporto con le cose che arriveranno o quelle lasciate siccome non è possibile orientare lo sguardo verso la direzione in cui si sta procedendo, queste apparizioni improvvise rende non solo difficile la creazione di punti di riferimenti ma di fatto influenza anche la memorizzazione delle immagini percepite e la loro effettiva se-quenza temporale creando una sorta di paesaggio amalgamato che il cervello non saprà più come ricostruire, è il ritmo che condiziona la nostra capacità di percezione.

Lo scivolamento laterale trasforma il paesaggio in un paesaggio dettato dal tempo irreale del viaggio, a dif-ferenza dell’atto del camminare dove vengono creati dei riferimenti che determinano il quadro spaziale, la rap-presentazione di questo nuovo panorama è paragonabile a delle impressioni, il paesaggio viene formato dai dati raccolti dal viaggiatore mentre il treno è in movimento in mezzo a tutto ciò che si trova lungo il percorso.

“Le montagne si susseguono come onde di un oceano infuriato, le foreste ondeggiano sotto il cielo blu , il fiume solca con le sue acque chiare i verdi prati, le prospettive si aprono attraverso i boschi e le gole, il mare sorge all’improvviso con il suo infinito e le vele bianche, per sparire rapidamente dietro le falesie tristi e alte. Nei campi i contadini spingono le bestie che fumano, lanciano al vento i semi bianchi.”

La vie en chemin de fer, Gastineau

Il paesaggio non ha senso se non esiste un uomo che lo osserva, lo contempla e concretamente lo vive.Renato Rocchi

“Effettivamente il modo di muoverci determina la percezione dello spostamento, la profondità dell’interazione con i luoghi attraversati, il tipo di esperienza vissuta, l’incremento della nostra conoscenza, l’intensità dei ricordi, le conseguenze sul nostro essere e sulla nostra crescita.”

Andrea Bocconi

Conclusioni

Questa esperienza ha aperto in me una sorta di “nuovo occhio”, ridando significato alle distanze, restituendo al viaggiare il gusto di scoperta e di avventura, cambiando il ritmo delle giornate, affinando i sensi e la curiosità, riscoprendo il valore del tempo e della fatica, riaccorgendosi dell’umanità e della bellezza dell’incontro.Attraverso la ricerca di una rappresentazione sono andato oltre al velo che separa uomo e contesto, paesaggio e abitante, capendo che ogni cosa vista viene interpretata e trasformata dagli occhi dell’osservatore, diseg-nando così infinite declinazioni della stessa immagine.La percezione del paesaggio si trasforma e cambia a seconda di chi lo osserva e di come lo si osserva, per ques-to ripongo una immensa fiducia nel potere dei nuovi mezzi di trasporto, non solo per la funzione classica dello spostamento delle persone da luogo a luogo, ma soprattutto perchè ci danno l’effettiva capacità di riscoprire il mondo in cui viviamo, rendendolo più piccolo e unitario.

L’esempio da me analizzato del treno ad alta velocità è da interpretare come uno spettacolo paesaggistico, attraverso il quale si può riscoprire e apprezzare le diversità della nostra nazione, un’esposizione continua e unitaria delle sue bellezze disposte lungo un asse come se fosse una esposizione a cielo aperto.

bibliografia

Le Corbusier, Verso una Architettura, 1923

Marc Desportes, Paesaggi in movimento, 2005

Francesco Carreri, Walkscapes, 2006

Franco Zagari, Questo è paesaggio, 2006

Kevin Lynch, L’immagine delle città, 1960

Luis Etienne Boullee, Architettura, Saggio sull’Arte

Lorenza Garau, Tesi di Laurea, Lentamente nel Mezzo

Dedicato a chi fotografa le nuvole.