89
nella pubblica amministrazione direzione di Renato Ruffini anno XXXI - bimestrale 2 - 2018 M A R Z O APRILE Formazione online: ogni mese una videolezione La costituzione del fondo per le risorse decentrate nel nuovo CCNL Welfare aziendale: ultimi sviluppi e possibili applicazioni nel settore pubblico I rapporti tra l’accesso documentale e l’accesso civico generalizzato CCNL Sanità: il nuovo modello di relazioni sindacali Spedizione in a.p. 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 DCI Umbria ISSN 1723-9877

RAPPORTO DI LAVORO E GESTIONE DEL PERSONALE Umane... · acquista tutto il carattere e la dignità di ... nel medioevo. Il lavoro come lo conosciamo oggi nasce ... tra pubblico e privato,

Embed Size (px)

Citation preview

nella pubblica amministrazione

direzione di Renato Ruffinianno XXXI - bimestrale

2 - 2018M A R Z O A P R I L E

Formazione online: ogni mese una videolezione

La costituzione del fondo per le risorse decentrate nel nuovo CCNL

∙ Welfare aziendale: ultimi sviluppie possibili applicazioninel settore pubblico

∙ I rapporti tra l’accesso documentalee l’accesso civico generalizzato

∙ CCNL Sanità: il nuovo modellodi relazioni sindacali

Sped

izio

ne in

a.p

. 45%

art.

2 c

omm

a 20

/b le

gge

662/

96 D

CI U

mbr

ia IS

SN 1

723-

9877

Visita la pagina www.maggiolieditore.it o contatta il nostro Servizio Clienti per conoscere la libreria più vicina.

Tel 0541 628242 - Fax 0541 622595 I Posta: Maggioli Spa presso c.p.o. Rimini - 47921 - (RN) I [email protected]

RAPPORTO DI LAVORO E GESTIONE DEL PERSONALEnelle regioni e negli enti locali

Aggiornato al D.Lgs. nn. 74 e 75 del 2017, in attuazione della legge delega n. 124/2015.

Aggiornato alle recenti novità che riguardano le Regioni e gli Enti locali, l’opera pone particolare attenzione alla modifica della disci-plina della valutazione e della performance e alla riforma del testo unico del pubblico impiego, così come operate dai D.lgs. nn. 74 e 75 del 2017, in attuazione della legge delega n. 124/2015.

L’opera affronta la tematica dei vincoli di spesa per le assunzioni, sia a tempo indeterminato che con forme di lavoro flessibile, il te-ma di diritti della persona sul lavoro e delle tre “dimensioni del benessere, del Codice di comportamento e dalle nuove dispo-sizioni sui procedimenti disciplinari. Inoltre, viene illustrata l’organizzazione delle Regioni e degli Enti locali, orientata alla va-lorizzazione della dirigenza e alla misurazione degli obiettivi. Viene poi presa in esame la questione strategica della gestione as-sociata dei servizi, sempre orientata alla ricerca di standard soddisfacenti di funzionalità e trasparenza nella pubblica amministrazio-ne. Di particolare interesse, infine, la tematica del rimborso delle spese legali a dipendenti ed amministratori, anche alla luce del nuovo codice di giustizia contabile introdotto dal D.lgs. n. 174 del 2016.

Marco Mordenti, Direttore e Segretario Generale dei Comuni di Massa Lombarda e Bagnara di Romagna RA Pasquale Monea, Segretario Generale Città di Portici.Massimo Cristallo, Funzionario, Responsabile della posizione organizzativa “Personale”, presso l’A.T.E.R. di Matera.

Dicembre 2017 - Codice: 88.916.2638.7 - F.to 17x24 - Pag. 652 - € 75,00

Prefazione a cura di Angelo Rughetti: "Manuale, con un taglio fortemente operativo ma con uno sguardo d’insieme ai molteplici aspetti che connotano la disciplina del lavoro nelle regioni e negli enti locali"

Editoriale

2

RISORSE UMANE • 2/2018

Lavoro, evoluzione tecnologica e pubblica amministrazionedi Renato Ruffini

Che cosa è il lavoro?I vecchi aziendalisti dicevano che “il lavoro è di persona”. Questa sgrammaticata locu-zione è fondamentale poiché, osservando che lavoro e individuo (persona) non sono separabili, ci ricorda due cose fondamentali. La prima è che il lavoro rispetto ai diversi fattori produttivi è “quell’atto che necessariamente li riannoda e che nell’ordine terreno acquista tutto il carattere e la dignità di atto creativo: poiché se non crea la materia, da esso però dipende l’esistenza dei beni” (Lampertico 1876, p.6). La seconda osservazione, tanto ovvia quanto importante, è che il lavoro non può essere ben compreso se ridotto ad analisi solo di tipo economico. Il lavoro (in una visone allargata che comprende l’arte, gli uffici religiosi e il lavoro gratuito sia domestico che volontaristico) è infatti, assieme al gioco, l’unica attività in cui si esplica lo spirito umano. A differenza del gio-co però il lavoro si attua con coerente e seria coscienza del suo valore umano, del suo ruolo di trasformazione del mondo e del sacrificio che impone. Il lavoro, con questa consapevolezza, dota le persone di responsabilità e quindi ha in sé un portato etico e morale molto profondo.Il lavoro, è inoltre solitamente connesso con le esigenze di vita materiali di individui e collettività, in questo senso è un’attività tanto individuale quanto collettiva; lo si fa per se stessi cercando di creare utilità per gli altri. Esso è in questo senso alla base della modalità di organizzazione di una società e le modalità di organizzazione e riconosci-mento del lavoro sono collegate con il livello di democrazia di una società, non solo intesa nei suoi aspetti di rappresentatività delle componenti sociali ma anche sul livello di rispetto della dignità dei singoli individui. Il lavoro è al tempo stesso una pena e una gioia. Ciò dipende certamente dalla sogget-tività, come testimoniava Primo Levi parlando del muratore che odiando i tedeschi

editoriale

Editoriale

3

RISORSE UMANE • 2/2018

e per rispetto della sua dignità faceva un lavoro ben fatto anche se prigioniero ad Auschwitz. Tuttavia è indubbio che l’organizzazione sociale, con le sue regole scritte e non scritte, può fare cadere la bilancia verso l’uno o l’altro degli aspetti. Il tempo dedicato al lavoro, al quale, come dice il nostro codice civile “il lavoratore si obbliga”, può essere vissuto anche come costrizione. Partendo da questa osservazione il lavoro può dare gioia se si svolge nella libertà secondo i dettami della compiuta personalità di chi lo svolge e consente a tale personalità di crescere in relazione al mondo, dà pena invece se non si svolge nella libertà e rispetto a cui la personalità di chi lo svolge resta estranea, bloccandone anche lo sviluppo individuale e relazionale.Il lavoro libero diventa così opus operatum e “ciò che lo rende pregevole non è tanto la cosa in sé quanto il complesso di intenzioni che vi si incarnano, tutte le nostre capacità che vi si rivelano, i nostri sentimenti, i nostri pensieri che si appalesano” (Battaglia 1951).Anche questo aspetto chiarisce bene come il lavoro sia alla base di un efficace e corretto esercizio dei diritti sociali e politici nei rapporti reciproci tra Stato e cittadini, e dà senso all’idea fondativa della nostra costituzione quando asserisce che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.Dunque il lavoro è qualunque attività impegni l’essere umano seriamente e consapevol-mente, al fine di fare qualcosa per gli altri e contestualmente soddisfare i propri bisogni di carattere, materiale, sociale e sprituale. Qualsiasi sia tale attività, dallo scrivere poesie al costruire muri, dal commerciare al tutelare la sicurezza pubblica, da eseguire uffici religiosi a fare il volontario in paesi lontani. Quest’ampia visione del lavoro, peraltro di carattere soggettivistico e immanente, ci chiarisce che il lavoro è connaturato all’uomo, esso non sparirà mai, non ci sarà mai una società senza lavoro, ma al contrario, le società si sono declinate e si declineranno in relazione a come organizzano il lavoro. In questo senso i greci e i romani antichi avevano una concezione del lavoro molto diversa dalla nostra, così come era diversa la concezione del lavoro nel medioevo.Il lavoro come lo conosciamo oggi nasce con la rivoluzione industriale, in una società come quella occidentale che grazie alle innovazioni tecnologiche sviluppa all’interno di organizzazioni burocratiche un’incredibile capacità organizzativa incrementando sempre di più l’efficienza produttiva e la ricchezza dei singoli e delle nazioni. L’in-cipit del libro di Adam Smith laddove parla della fabbrica di spilli è il manifesto di questo fenomenale processo. Come dice Foucalut, Smith fondò l’economia moderna introducendo, in un campo di riflessione cui era ancora ignoto, il concetto di lavoro, poiché riferisce direttamente il concetto di ricchezza a quello di lavoro. Con questa idea di lavoro, come fonte di ricchezza, nasce anche l’idea di lavoratore “salariato”, di colui che si obbliga ad erogare una prestazione all’organizzazione in cambio di denaro.

La gabbia del lavoro pubblico Questa evoluzione del concetto di lavoro ha inevitabilmente influenzato anche il settore pubblico negli stadi moderni. Se prima della rivoluzione industriale il settore pubblico era di ridotte dimensioni e costituito da soggetti con ruoli più che altro politici. Di fatto l’élite politica e l’élite burocratica erano costituite dallo stesso ceto

Editoriale

4

RISORSE UMANE • 2/2018

e spesso dagli stessi uomini che si sostituivano tra i diversi incarichi. Dall’inizio del ‘900, con gli stati moderni e sempre di più con lo sviluppo del welfare state, anche nel settore pubblico il lavoro era svolto da lavoratori salariati alle dipendenze dello Stato, sempre più simili a quelli del settore privato. Con il tempo anche la regolazione del lavoro si è sempre di più uniformata tra pubblico e privato, mantenendo differenze minime dovute un po’ a oggettive esigenze connesse ai processi economici sviluppati, un po’ ai processi negoziali relativi alle transazioni di lavoro.Che vi sia convergenza sempre maggiore tra lavoro pubblico e lavoro privato non è solo un dato di fatto ma costituisce anche una naturale evoluzione dei sistemi sociali e tutela elementi di equità.Tale convergenza tuttavia non deve portare a un’omologazione o ad una totale uni-formità tra lavoro pubblico e lavoro privato in quanto, anche se il lavoro si manifesta operativamente allo stesso modo, il contesto con cui è svolto è molto diverso dal punto di vista istituzionale e produttivo. Nel settore pubblico la struttura degli incentivi è più blanda rispetto al settore privato a causa della mancata concentrazione dei diritti di proprietà (Ruffini 2010), così come il profilo dei risultati istituzionali è molto più complesso da valutare rispetto ad un’impresa per la quale, alla fine, ciò che conta è avere dei buoni prodotti o servizi da vendere ed ottenere, di conseguenza, buoni margini per distribuire ricchezza alla proprietà.L’ontologica lassità organizzativa delle istituzioni pubbliche le rende più complesse da governare ed inevitabilmente il lavoro delle persone assume un ruolo ancora più importante rispetto al settore privato perché, alla fine, e sulla base delle capacità e della volontà delle persone che si difende il buon funzionamento del sistema. Non la si combatte, infatti, con procedure, regole o incentivi, come nelle imprese che hanno ben maggiori capacità di controllo interno, ma con la creazione di un corpo coeso di lavoratori.In questo quadro lo sviluppo della legislazione degli ultimi anni ha avuto varie torsioni che rendono sempre più difficile lavorare nella pubblica amministrazione.Oggi alla pubblica amministrazione, a causa della incapacità o dell’impossibilità da parte della politica di fare delle scelte con un minimo di respiro, si chiede tutto ed il contrario di tutto.Da un lato il principio di efficienza e una visione (inevitabilmente) restrittiva della spesa pubblica pongono spesso limiti molto stretti alla capacità della p.a. di erogare servizi. In pratica si risparmia sul personale (organici, formazione, retribuzione, ecc.) e si vuole che lavori di più e meglio. A questo aspetto poi si aggiunge il fatto che le procedure, soprattutto laddove vi siano interessi economici forti (esempio negli appalti di beni e servizi), sono sempre più articolate e restrittive e spesso sembrano basate su un’idea di sfiducia nel confronti della p.a.Complessivamente nelle sue modalità di funzionamento l’amministrazione pubblica è ormai da decenni sottomessa alla dimensione economica, quando questa in realtà dovrebbe essere solo un necessario vincolo è non un fine che di fatto sostituisce il fine del benessere dei cittadini.Allo stesso tempo alla pubblica amministrazione i cittadini chiedono comunque

Editoriale

5

RISORSE UMANE • 2/2018

servizi, indipendentemente dai vincoli di bilancio. Ma è falsa la vecchia idea del new public management che riteneva che con più efficienza si potessero soddisfare le richieste di servizio dei cittadini, questo per il semplice motivo che la pubblica amministrazione consuma e non produce ricchezza e il livello di pressione fiscale è ormai giunto a livelli non più espandibili. Quando si distribuisce ricchezza occorre fare scelte.Tra modelli economicisti e nostalgia del welfare i modelli di organizzazione del lavoro nella pubblica amministrazione sono rimasti ingabbiati nella logica noven-centesca, quella dei luoghi di lavoro strutturati e fissi, con gerarchie, procedure, tempi definiti di lavoro, ecc.Ma oggi questi modelli sono quasi spariti, come sono quasi spariti gli operai, e il mondo e le imprese si stanno trasformando. In particolare non sono tanto le fabbriche a cambiare, per fare un’auto occorre montare sempre circa 2500 pezzi (se consideriamo anche le viti), quello che cambia è chi fa il montaggio, nonché la logica complessiva del sistema produttivo (lean production) e tutti i servizi che ci stanno attorno per aumentarne il valore. Ciò che è profondamente cambiato è il fatto che una volta la produttività aumentava sviluppando la migliore divisione del lavoro, dagli anni ’80, grazie ai computer e ai loro sviluppi fino ad Internet, la produttività aumenta con l’integrazione del lavoro, fino a fare sì che siano i clienti gli sviluppatori o gli erogatori dei servizi (si pensi alla sharing economy, a Uber o a Google). In pratica stanno cambiando i modi e le forme della produzione e la relativa struttura dei costi. Ciò implica una maggiore difficoltà del governo dei processi produttivi nel mercato e una diversa organizzazione interna del lavoro, chiedendo ai lavoratori impegni e contributi diversi rispetto al passato. E soprattutto diverse forme di controllo. Anche i tempi e i luoghi di lavoro si dilatano e si confondono con i tempi e i luoghi di vita. Oggi il tempo è dilatato sulle 24/7, così come i luoghi di produzione. Si lavora da soli in ogni possibile luogo mentre le sedi aziendali modificano radicalmente la loro architettura e il loro design, centrandolo sempre di più sulle persone e sempre meno sull’atto lavorativo. Ma il lavoro pubblico è in buona parte rimasto ancorato alla vecchia fabbrica, sotto gli aspetti culturali e regolativi, questo lo rende un mondo a parte e impoverisce il lavoro che è svolto al suo interno.

Quali lavori nel futuro e quali azioni per le imprese e per la p.a.?I fenomeni sopra segnalati sono evidenti ormai da alcuni anni e il dibattito sul futuro del lavoro è ora molto intenso. Uno dei temi di questo dibattito è l’individuazione delle tipologie di lavoro che spariranno e quelle che si creeranno, nella consapevolezza che i ragazzi che cominciano in questi anni il loro percorso di formazione si troveranno nel futuro a fare lavori oggi almeno in certa misura sconosciuti e che richiederanno competenze e attitudini diverse da quelle normalmente sviluppate nelle scuole e nelle università di oggi. In questo dibattito deve necessariamente entrare anche il lavoro pubblico altrimenti resterà una specie di fossile vivente nella nostra società.

Editoriale

6

RISORSE UMANE • 2/2018

Un punto rilevante è che l’automazione sostituisce le competenze ma non il lavoro in sé, che deve comunque essere effettuato per ottenere i risultati attesi. Si prospettano perciò innovazioni sia di prodotto sia di processo, soprattutto nei servizi (frequente-mente a produttività più bassa), che creeranno nuovi lavori, oggi non esistenti. Que-sto fenomeno non è oggi del tutto prevedibile. A questo proposito sono disponibili i risultati di alcune ricerche interessanti. Nel 2013 alcuni ricercatori dell’università di Oxford hanno analizzato ciascuna delle 702 categorie di lavoro elencate dallo U.S. Bureau of Labor Statistics, che definisce anche le relative competenze di ognuna delle categorie (www.oxfordeconomics.com/economic-impact/bureau-of-labor-statistics). Complessivamente i ricercatori hanno concluso che circa il 47% dei lavori di oggi è ad alto rischio di automazione nei prossimi anni e decenni, mentre il 19% a medio rischio. Solo un terzo dei lavoratori dovrebbe quindi considerarsi in una posizione di sufficiente stabilità nei prossimi vent’anni. Per quanto concerne i lavori che implicano manipolazione fisica, sono tecnicamente sostituibili dall’automazione per esempio: operatori di macchina (con molte sottocategorie), riparatori di orologi, giardinieri, guardiani, assemblatori, addetti centri stampa, cuochi, croupier, lucidatori, portieri di albergo, addetti alla posta, controllori, cassieri, autisti, ispettori, ecc. È invece più difficile sostituire audiologi, ortopedici e protesisti, guardie forestali, infermieri, dentisti, artisti e artigiani, truccatori, guide, ecc. Ovviamente la valutazione di sostituire o meno l’uomo con sistemi automatici dipen-de anche da valutazioni di tipo strategico e sociale, e non solo dalla mera possibilità tecnica. Per esempio, si può sostituire un dealer di black jack, ma probabilmente l’interazione sociale resta un elemento fondamentale per il successo di questo gioco.Per quanto concerne lavori finalizzati all’elaborazione di informazioni il processo di automazione sembra ancora più facile, anche se, come nel caso precedente, non sempre auspicabile. Per esempio il lavoro dei giornalisti è da tempo in trasformazione: un articolo può essere scritto da un sistema automatico con risultati che potrebbero essere non facilmente distinguibili rispetto a quelli di un giornalista, ma resta il fatto che la stampa e il giornalista restano soggetti fondamentali per la tenuta democratica di un paese e ridurne il numero impoverisce una nazione.Secondo i ricercatori di Oxford, i lavori più a rischio in questo ambito sono assi-curatori, addetti a ufficio reclami, addetti all’inserimento dati, revisori, analisti di credito, contabili, impiegati amministrativi, centralinisti, assistenti bibliotecari, analisti di budget, cartografi, correttori di bozze, ecc. I lavori ad oggi più difficili da automatizzare sono invece analisti informatici, ingegneri, artisti multimediali, dirigenti, compositori, stilisti, fotografi avvocati, scrittori e autori, sviluppatori di software, controllori di volo, ecc.Infine, i lavori di servizio che si basano su un rapporto faccia a faccia con il cliente sono quelli che probabilmente saranno meno oggetto di sostituzione, non tanto per limiti tecnologici quanto per l’esigenza di avere una connessione appunto interper-sonale con altri esseri umani, cosa ovviamente non delegabile a macchine: camerieri, psicologi, insegnanti, agenti immobiliari, poliziotti, religiosi, ecc.Secondo il World Economic Forum, le aziende attive nella ricerca di soluzioni alle

Editoriale

7

RISORSE UMANE • 2/2018

dinamiche tecnologiche del lavoro sono orientate a ripensare la funzione del perso-nale in una logica più orientata alle persone, a riprogettare i sistemi informativi, a un’incisiva attività di talent diversity management, a forme di incentivazione del life long learning, a forme di collaborazione tra imprese e tra settore pubblico e privato. Come si nota, si tratta di politiche con una forte valenza sociale, che generalmente va oltre le attuali capacità operative di molte singole imprese.

La p.a. di fronte al cambiamento tecnologico La pubblica amministrazione (e la politica) dovranno trovare il modo di adeguarsi a queste dinamiche tecnologiche. Sia come soggetto che deve cambiare sia come soggetto che deve coadiuvare il cambiamento del sistema sociale. Anche se la sfida non è affatto semplice è costretta a farlo se non vuole restare marginale e retrograda nel sistema sociale. Tutto ciò per il semplice motivo che le evoluzioni tecnologiche in corso stanno modificando profondamente il sistema sociale stesso. Come ai tempi della prima rivoluzione industriale, i processi produttivi delle imprese cre-ano esigenze di adattamento sociale molto complesse, a cui occorre dare risposte efficaci e veloci. Gli Stati sono però oggi in grado di affrontare tali problemi, sia perché problemi di questo genere non si possono affrontare solo con politiche di welfare, pur necessarie, sia perché faticano a confrontarsi in modo efficace con le grandi imprese multinazionali. In più, negli ultimi secoli gli Stati hanno cercato di favorire la creazione di lavoro con politiche a favore delle imprese, essendo queste le effettive creatrici di posti di lavoro, con politiche di sviluppo di infrastrutture tecnologiche, di incentivazione fiscale, di supporto giuridico, e così via. Oggi forse queste politiche non sono più sufficienti.La complessità dei fenomeni analizzati necessita di individuare punti di riferimento fermi, sulla base dei quali fare scelte e valutazioni. A tale fine richiamiamo un aspetto del lavoro che riteniamo fondamentale, sul quale occorre fare attenzione nell’evolu-zione futura dello stesso: l’esigenza che esso sia sviluppato secondo modalità libere e dignitose, e rispettose della soggettività umana. Come diceva Popper sono gli individui che difendono le mura delle fortezze. L’analisi che abbiamo accennato evidenzia che almeno alcuni aspetti dell’evoluzione tecnologica enfatizzano l’aspetto soggettivo del lavoro (le competenze e le attitu-dini delle persone) rispetto ai suoi aspetti oggettivi (le componenti procedurali e i mansionari). Il lavoratore nelle organizzazioni del passato era interpretabile come uno strumento al servizio della macchina; oggi gran parte dei sistemi di produzione hanno bisogno di persone con competenze sofisticate ed elevati livelli motivazio-nali. Come scegliere e trattenere le persone con questi profili di competenze? Non parrebbe che si possa intravvedere una progressiva trasformazione strutturale, e non solo individuale, da lavoro come condizione per guadagnarsi da vivere a lavoro come strumento per realizzarsi e per proseguire il proprio percorso di formazione appunto on the job?In questa prospettiva, è opportuno ricordare che il lavoro può essere al tempo stesso

libertà o costrizione. È libertà quando si svolge secondo i dettami della compiuta personalità di chi lo svolge e consente a tale personalità di crescere in relazione al mondo. È invece costrizione quando non si svolge nella libertà e la personalità di chi lo svolge ne resta estranea, e lo sviluppo individuale e relazionale viene bloccato. Il futuro del lavoro deve essere orientato alla creazione di libertà, e su questo sia le imprese sia le politiche dei governi dovrebbero orientarsi. La pubblica amministrazione del futuro (ma anche le imprese) non devono svilup-pare “capitale umano”, inteso come competenze orientate a obiettivi economici, ma persone competenti e consapevoli del loro ruolo sociale.

Riferimenti bibliograficiF. Battaglia, Filosofia del lavoro, Zuffi editore, Bologna, 1951.M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1967.A. Honnet, L’idea di socialismo, Feltrinelli, Milano, 2016.F. Lampertico, Il lavoro, F.lli Treves, Milano, 1876.E. Moretti, La nuova geografia del lavoro, Mondadori, Milano, 2013.A. Touraine, Noi, soggetti umani, Il saggiatore, Milano 2017.B. Trentin, La città del lavoro, Firenze university press, 2014.J. Kaplan, Intelligenza artificiale, Luiss editore, Roma, 2017.

IL PIACERE DI I N F O R M A R S I E LA SICUREZZA DI RIUSCIRCI

che Soddisfazione!

Le Istituzioni del Federalismo offre una serie di servizi online inclusi nell’abbonamento che ar-ricchiscono i contenuti della rivista, grazie ad uno straordinario concentrato di informazioni utili:

CON UN PLUS IN PIÙ

Servizio Clienti

Tel 0541 628242 - Fax 0541 622595 I e.mail: [email protected]

TI ASPETTANOTANTI ARTICOLI E APPROFONDIMENTI! COLLEGATI SUBITO AL SITO www.periodicimaggioli.it

La rivista è disponibile In versione cartacea + digitale

oppure solo digitale

ARCHIVIO STORICO DIGITALE

La rivista di studi giuridici e politici, approfondisce e illustra con chiarezza le tematiche fondamentali e le questioni emergenti in materia di autonomie e de-centramento amministrativo, tra cui: cooperazione e competenze regionali; governance, Regioni, Europa; istruzione, scuola e formazione; immigrazione, nuove povertà e integrazione sociale; tutela e sviluppo del territorio.

LE ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO

Contro editoriale

10

RISORSE UMANE • 2/2018

Due amiche si confidanodi Paolo Iacci

Due amiche si confidano:- Allora, è andata bene la tua serata di San Valentino?- No, per niente; è stato un vero disastro. Mio marito è arrivato a casa, in quattro minuti ha ingurgitato la cena che avevo preparato con cura durante tutto il pomeriggio, ha fatto l’amore con me in tre minuti, si è girato su un fianco e dopo due minuti dormiva già. E tu? - Oh, la mia serata è stata incredibile! Quando sono arrivata a casa mio marito mi atten-deva sulla porta e mi ha invitata ad una cena romantica. Poi dopo la cena abbiamo fatto una passeggiata di un’ora. Tornati a casa ha acceso tutte le candele che c’erano in casa ed ha iniziato con i preliminari che sono durati un’ora! Poi abbiamo fatto l’amore durante un’altra ora! Infine abbiamo discusso per un’altra oretta. È stato tutto meraviglioso!Nel medesimo tempo i due mariti discutono tra di loro:- Allora la tua serata di ieri? Tutto bene?- Sì ... fantastica ... Quando sono tornato a casa la cena era pronta. Ho mangiato, ab-biamo fatto l’amore e mi sono addormentato. E tu?- Per me è stato l’inferno! Sono tornato a casa presto per riparare l’armadio in cucina. Al momento di avviare il trapano è saltata la corrente elettrica ed è stato impossibile riatti-varla. Quando lei è tornata a casa l’ho portata a cena al ristorante altrimenti si sarebbe arrabbiata nera. La cena è stata talmente cara che non avevo più soldi per il taxi e quindi ci siamo dovuti sorbire una camminata di un’ora per rientrare a casa. A casa poi per via della mancanza di elettricità ho dovuto accendere delle dannate candele dappertutto perché non c’era ancora la corrente elettrica. Questa storia mi ha così indisposto che non riuscivo neanche a fare l’amore e il tutto è durato all’infinito... Alla fine ero così nervoso che non riuscivo a prendere sonno e durante tutto ’sto tempo lei non ha fatto che parlare, parlare, parlare ...

Le organizzazioni non sono così lontane da quello che succede nelle dinamiche di coppia. Persone diverse s’incontrano, apparentemente tutto dovrebbe essere improntato alla razionalità del business, gli sforzi dovrebbero essere concentrati verso obiettivi comuni, le regole dovrebbero essere chiare e condivise, e così via di banalità in banalità.

Contro editoriale

11

RISORSE UMANE • 2/2018

La realtà della vita organizzativa, come noto, è assai diversa. Tutti gli sforzi del ma-nagement, quando volgono lo sguardo all’interno della propria organizzazione, sono focalizzati nel cercare di capire i punti di vista dell’altro e nel consentire alle persone di lavorare minimizzando le distorsioni provocate dalle dinamiche interpersonali.Questo il motivo per cui sempre di più si richiede a chi guida le organizzazioni, non solo preparazione tecnica, ma anche vicinanza all’altro, buon senso e maturità personale, capacità di costituire un esempio per tutti. È il management delle piccole cose, che si contrappone all’epica giornalistica del manager condottiero, l’uomo che con i suoi colpi di genio riesce a imprimere alle organizzazioni svolte impossibili ai più. Non lasciamoci ingannare da questi falsi miti. Certo, i grandi condottieri esistono e ben vengano. Ma la realtà del sistema economico è fatta dalle migliaia di piccole e grandi imprese che vivono, producono e danno lavoro grazie non ai grandi condottieri, ma al lavoro serio, costante e umile di chi “ci mette la faccia”. La qualità è sempre nei dettagli. Il manager di valore si esprime sempre nella capacità di applicare tecnologie e metodiche d’avan-guardia con l’umiltà di chi ha voglia di capire l’altro e sa come valorizzare al massimo le sue competenze. A proposito del valore dei diversi punti di vista, mi viene in mente una nota di Shel Silverstein che voglio condividere con voi:

“Un giorno chiesi alla zebrasei una zebra bianca con strisce nereo sei nera con strisce bianche?La zebra guardandomi mi chiese:sei tu un uomo agitato con alcuni istanti tranquillio sei un uomo tranquillo con alcuni attimi agitati?Sei un tipo trasandato con alcuni modi ordinatio sei un tipo ordinato con alcune cose trasandate?Sei un uomo felice con alcuni attimi di tristezzao sei triste con alcuni momenti di felicità?Non chiederò mai più alla zebra delle sue strisce”. 

sommario

Direzione, amministrazione e diffusioneMaggioli Editoreè un marchio Maggioli S.p.a.Via del Carpino, 8 - 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) - Tel. 0541-628111

Coordinamento redazionaleCandida Corsi

RedazioneVia del Carpino, 8 - 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) - Tel. 0541-628111

Progetto graficoCandida Corsi

Servizio AbbonamentiTel. 0541-628779 • Fax 0541-624457e-mail: [email protected]

PubblicitàMaggioli ADV - Concessionaria di Pubblicità Via del Carpino, 8 - 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Tel. 0541-628736-628272 • Fax 0541-624887e-mail: [email protected]

FilialiMilano - Via F. Albani, 21 – 20149 MilanoTel. 02-48545811 • Fax 02-48517108

Bologna - Galleria del Pincio, 1 – 40126 BolognaTel. 051-229439-228676 • Fax 051-262036Roma - Piazza delle Muse, 8 – 00197 Roma Tel. 06.5894164Registrazione presso il Tribunale di Rimini dell’8 giugno 1987, al n. 318

Maggioli SpaAzienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2008Iscritta al registro operatori della comunicazione

StampaStabilimento Maggioli Spa – Santarcangelo di Romagna (RN)

nella pubblica amministrazione

2 - 2018M A R Z O / A P R I L E

12

Editoriale2 Lavoro, evoluzione tecnologica e pubblica

amministrazione di Renato Ruffini

Contro editoriale10 Due amiche si confidano di Paolo Iacci

Focus15 Prime riflessioni sulla costituzione del fondo

per le risorse decentrate nel contratto collettivo delle funzioni locali 2016/2018

di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Paolo CanaparoViceprefetto presso il Ministero dell’Interno

Enzo CuzzolaFormatore e consulente enti locali

Francesco CuzzolaDottore Commercialista

Amedeo Di FilippoDirigente comunale

Tiziano GrandelliEsperto in gestione e organizzazione del personale degli enti locali

Paolo IacciVice presidente AIDP – Responsabile Editoria, Direttore di RH On Line

Francesco ModafferiDirigente di ruolo del Garante per laprotezione dei dati personali

Riccardo NobileEsperto di Diritto del Lavoro nelle p.a. Docente in corsi di formazione e aggiorna-mento professionale -

Autore di libri e pubblicazioni in materia di pubblico impiego - Membro di nuclei di valutazione - Giornali-sta pubblicista

Renato RuffiniProfessore ordinario di Organizzazione aziendale Università statale di MiIano - Dipartimento studi giuridici Cesare Beccaria

Stefano SimonettiEsperto ed autore di pubblicazioni in materia di organizzazione e gestione del personale. Già negoziatore A.Ra.N.

Mirco ZamberlanEsperto in gestione e organizzazione del personale degli enti locali

Mariella UrsiniDocente di Welfare, Valutazione e Partecipazione - Facoltà di Scienze Politiche - Università degli Studi di Perugia

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

13

Condizioni di abbonamento 2018

Prezzi di abbonamento annuale alla Rivista “RU - Risorse Umane”

• RIVISTA CARTACEA: euro 282,00 (IVA inclusa);• RIVISTA DIGITALE: euro 178,00 (+IVA).

Il prezzo di una copia della rivista è di euro 32,00.Il prezzo di una copia arretrata è di euro 37,00.L’abbonamento alla Rivista dà diritto ad una serie di servizi online inclusi: archivio storico digitale, newsletter, l’esperto risponde e video corsi online. Per ulteriori informazioni www.periodicimaggioli.it

Il pagamento dell’abbonamento deve essere

effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli Spa – Periodici,Via del Carpino, 8 – 47822Santarcangelo di Romagna (RN).

La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie.

L’abbonamento decorre dal 1° gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per il primo anno.In mancanza di esplicita revoca, da comunicar-si in forma scritta entro il termine di 45 giorni successivi alla scadenza dell’abbonamento, la casa editrice, al fine di garantire la continuità del servizio, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo.

La disdetta non sarà ritenuta valida qualora l’abbonato non sia in regola con tutti i paga-menti. Il rifiuto o la restituzione dei fasci-coli della rivista non costituiscono disdetta dell’abbonamento a nessun effetto.

I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall’abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo.

Coloro che sono in regola con i pagamenti han-no diritto a richiedere entro l’anno la risoluzione gratuita di due quesiti di interesse generale.

I quesiti dovranno essere formulati per iscritto ed inviati all’indirizzo e-mail: [email protected]

Dottrina30 Welfare aziendale: ultimi sviluppi e possibili

applicazioni nel settore pubblico di Amedeo Di Filippo e Mariella Ursini

41 E-democracy fra tecnologia, tecnica e politiche: il dis-velamento di un arcano

di Riccardo Nobile

49 Il doppio binario dell’accesso agli atti amministrativi: i rapporti tra l’accesso (più in profondità) documentale e l’accesso (più esteso) civico generalizzato

di Paolo Canaparo

Privacy: noi siamo i nostri dati58 Attualità L’espansione del diritto alla protezione dei dati

europeo: come cambia l’ambito territoriale di applicazione della disciplina, secondo il Regolamento (UE) 2016/679

di Francesco Modafferi

61 Lo ha detto il giudice Corte di cassazione civile, sez I, ordinanza 14 giugno

2017, n. 19761/2017

di Francesco Modafferi

Personale SSN66 Un nuovo modello di relazioni sindacali

in sanità di Stefano Simonetti

Valutazione e anticorruzione70 Privacy e trasparenza pubblica: la convivenza

dopo l’introduzione del FOIA italiano di Paolo Canaparo

Adempimenti fiscali83 L’IVA negli enti locali, novità dichiarazione IVA

2018 e compensazione credito di Enzo Cuzzola e Francesco Cuzzola

85 Aran informa

Tutti gli articoli sono disponibili on line, sul sito www.periodicimaggioli.it, rinnovato nella grafica e arricchito nei contenuti.Vieni a scoprire tutte le novità!

www.periodicimaggioli.it

14

Note per gli Autori

Chi volesse contribuire con articoli o appro-fondimenti sui temi della organizzazione e della gestione del personale degli enti locali, può inviare i contributi a:• [email protected] oppure a• Redazione “RU” Via del Carpino, 8 – 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Tel. 0541-628111

• L’Autore dovrà indicare recapito e qualifica professionale• La dimensione standard di un contributo è di 17.000 caratteri circa (spazi inclusi)• Si privilegia l’utilizzo della posta elettronica.• Le note ed i riferimenti bibliografici devono essere riportati a fine testo• I manoscritti non pubblicati non si restituiscono

Tutti i diritti riservatiÈ vietata la riproduzione, anche parziale, del materiale pubblicato senza autorizzazione dell’Editore.Le opinioni espresse negli articoli apparten-gono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. L’autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all’Editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendica-re diritti su tali contenuti.

nella pubblica amministrazione

2 - 2018M A R Z O / A P R I L E

14

Direttore responsabileManlio Maggioli

Direttore

Renato RuffiniProfessore ordinario di organizzazione aziendale, Università statale di MIlano, dipartimento studi giuridici “Cesare Beccaria”.

Comitato di Redazione

Luca BisioRicercatore presso la facoltà di Economia, Università degli studi di Milano Bicocca

Luigi BottoneDocente di Economia delle amministrazioni pubbliche, Università C. Cattaneo – Liuc di Castellanza

Alberto CaporaleDirigente Area sviluppo risorse umane e processi organizzativi per il sistema camerale, Unioncamere

Riccardo GiovannettiDocente di Economia delle amministrazioni pubbliche, Università C. Cattaneo – Liuc di Castellanza

Tiziano Grandelli Esperto in gestione e or-ganizzazione del personale degli enti locali

Mattia MartiniAssegnista di ricerca in ma-nagement e risorse umane, Università degli studi di Milano Bicocca

Cinzia RennaDirigente del Servizio contabilità e gestione finanziaria della Prefettura di Rimini – U.T.G., Revisore ente locale

Mirco ZamberlanEsperto in gestione e organizzazione del personale degli enti locali

Comitato scientifico

Maria Barilà Funzione pubblica

Pietro BarreraEsperto Anci

Mauro BonarettiCapo di gabinetto del Ministero nfrastrutture

Alessandro BoscatiProfessore di diritto del lavoro Università statale di Milano

Umberto CarabelliProfessore di diritto del lavoro

Dario CavenagoProfessore di economia aziendale Milano Bicocca

Paolo IacciDirettore RH on line

Mita MarraProfessore di analisi delle politiche pubbliche e scienza dell’amministrazione Università di Salerno

Pierluigi MastrogiuseppeDirigente Aran

Gianfranco ReboraProfessore di organizzazione del lavoro Università C. Cattaneo – Liuc di Castellanza

Matteo TurriProfessore di economia aziendale Università statale di Milano

15

FocusRISORSE UMANE • 2/2018

Prime riflessioni sulla costituzione del fondo per le risorse decentrate nel Contratto collettivo delle funzioni locali 2016/2018di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Molte speranze erano riposte dagli operatori nel nuovo contratto collettivo per vedere semplificata la giungla di disposizioni e di interpretazioni che ruotano attorno alla costituzione del fondo per il salario accessorio. Purtroppo l’occasione è stata persa. La disciplina contenuta nel Ccnl, innovando alcuni istituti, non può che comportare ulteriori incertezze anche su norme che, nel tempo, avevano trovato una loro applicazione unanimemente accettata. Ripartirà, quindi, la giostra di pareri e delibere, spesso contraddittori, i quali non faranno altro che mettere in ulteriore difficoltà gli opera-tori, chiamati ad applicare, nel concreto, le diverse previsioni.Si riportano, di seguito, i primi commenti in argomento. I riferimenti devono intendersi all’ipotesi di Ccnl per le Funzioni Locali sottoscritta lo scorso 21 febbraio.

1. PremessaLa costituzione del fondo era il nodo più complicato da sciogliere in quanto, su tale aspetto, lo stratificarsi di disposizioni spesso portano gli addetti che, diligentemen-te, vogliono trovare il bandolo della matassa, a risalire, quantomeno, al 1998 e, qualora questo non fosse suffi-cientemente convincente, anche al 1993, vale a dire a 25 anni fa! È chiaro che la probabilità di errore in epoche così lontane risulta alquanto alta, soprattutto perché, al tempo, molte erano le risorse disponibili e pochi i con-

trolli effettuati. La soluzione adottata, se può apparire quanto mai semplice, in realtà presenta il fianco a non poche insidie.

2. Le singole disposizioniAnalizziamo, di seguito, le norme contenute nell’ipo-tesi di Ccnl, evidenziando, in particolare, gli aspetti di maggiore rilievo ovvero innovativi rispetto alla disciplina precedente.

FocusCCNL 2016/2018

16

RISORSE UMANE • 2/2018

2.1. Il consolidamento delle risorse stabili (art. 67, comma 1)È la prima operazione da affrontare. Dal 2018, in sostan-za, tutte le risorse stabili indicate nel fondo per l’anno 2017 sono riassunte in un unico importo. Le risorse sta-bili da considerare in questo frangente sono identificate con quelle risultanti dall’applicazione dell’art. 31, com-ma 2, del Ccnl 22 gennaio 2004. Se questa previsione non presenta particolari complessità, lascia perplessi la seconda parte della disposizione, dove viene sottolineato che tale importo deve comprendere lo specifico fondo delle progressioni economiche e il finanziamento dell’in-dennità di comparto, limitatamente alle lettere b) e c) dell’art. 33, comma 4, dello stesso contratto collettivo. Infatti è evidente che le ultime due fattispecie rappre-sentano modalità di utilizzo del fondo e non somme che implementano lo stesso. Non risulta, pertanto, chiaro quale obiettivo si ponessero le parti nel momento in cui hanno ritenuto di dover specificare tale aspetto. Ancora una volta, la commistione fra costituzione e utilizzo crea non poco disorientamento negli interpreti. Il suindicato importo deve risultare certificato dal collegio dei revisori. Questo conferma quanto più volte soste-nuto in ordine all’obbligo dei revisori di apporre il loro visto sull’atto di costituzione del fondo, comportamento spesso avversato dagli stessi revisori, i quali sostenevano che nessuna norma li obbligasse in tal senso, mentre, in sede di compilazione del conto annuale del personale, la Ragioneria Generale dello Stato chiedeva la data di tale certificazione, specificando che quest’ultima doveva essere antecedente alla sottoscrizione del contratto decentrato.Una perplessità nasce in ordine all’applicazione della di-sposizione negli enti con popolazione inferiore a 15.000 abitanti. Infatti, per tali amministrazioni, l’art. 234 del d.lgs. n. 267/2000 prevede che la revisione economi-co-finanziaria sia affidata ad un revisore unico. Viene a mancare il collegio, richiesto, invece, dalla disposizione del Ccnl.Incomprensibilmente, si specifica che solo questo am-montare deve essere stato certificato dal collegio dei revisori, mentre nulla si dice delle ulteriori voci, che si aggiungono e si tolgono, per arrivare all’importo conso-lidato. Non risulta evidente il motivo di tale diversità di

trattamento, in quanto, soprattutto per quanto riguar-da la retribuzione delle posizioni organizzative, gli enti possono essere tentati di mettere in atto manovre non del tutto limpide.La somma di cui sopra deve essere ridotta di un importo pari all’ammontare della retribuzione di posizione e di risultato destinato dalle amministrazioni ai titolari di posizione organizzativa. Di questo si dirà al paragrafo successivo.Al contrario, l’importo in questione deve essere incre-mentato delle risorse previste nell’art. 32, comma 7, sempre del Ccnl 22 gennaio 2004, vale a dire lo 0,20% del monte salari del 2001 a disposizione degli enti per gli incarichi di alta professionalità. Da sempre tali risorse sono state considerate a destinazione vincolata, vale a dire nessun utilizzo diverso era ipotizzabile ad esclusione, per l’appunto, del finanziamento delle alte professionalità. Questo ha significato che la quantificazione era tralasciata quando l’importo che ne risultava era talmente esiguo da non consentire nemmeno l’attribuzione di un incarico. Era, infatti, necessario, nel 2001, un monte salari che si aggirava attorno ai 3 milioni di euro per arrivare a finanziare la misura minima della retribuzione di posi-zione e di risultato di un’alta professionalità. Nonostante ciò, l’Aran, a ragion veduta, ha sempre consigliato di calcolare tali somme fra le voci di costituzione del fondo e poi accantonarle in caso di mancato impiego (vedasi, ad esempio, il parere RAL297). Il nuovo Ccnl prevede, ora, di consolidare anche queste risorse qualora nel 2017 non siano state utilizzate. Se appare pacifico che il nuovo disposto trovi riscontro nel caso in cui lo 0,20% del monte salari 2001 sia stato inserito (e non destinato) nel fondo dell’anno scorso, sarà tutto da vedere se la previ-sione contrattuale sia applicabile anche nell’ipotesi per la quale le somme in questione non siano state inserite in sede di costituzione dello stesso fondo. È evidente che la retribuzione di posizione e di risultato destinate alle alte professionalità nel 2017, finanziate con il predetto 0,20%, e a tale scopo utilizzate nella medesima annualità, non possono essere consolidate in quanto vengono estro-messe dal fondo al pari di tutti gli importi riguardanti i titolari di posizione organizzativa. L’operazione di consolidamento non è un’invenzione del

FocusCCNL 2016/2018

17

RISORSE UMANE • 2/2018

nuovo Ccnl, ma è una strada già percorsa nel 2004. E sono, pertanto, note le nefaste conseguenze che un simile percorso porta. Il consolidamento può essere innocuo quando gli elementi che formano oggetto di sommatoria sono, con assoluta certezza, corretti. Al contrario, qualora sussistano dubbi circa la perfetta conformità delle singole voci alle previsioni normative, di legge o di contratto ovvero siano state effettuate alcune “forzature” nella in-terpretazione delle disposizioni, è evidente che il consoli-damento fa perdere la memoria delle singole componenti. L’operatore, di fronte ad un unico importo, spesso lo accetta e gli attribuisce una solidità senza porre in dubbio la relativa modalità di calcolo. Perplessità che sorgono più frequentemente quando la costituzione del fondo è formata da una serie di numeri i quali, anche solo a naso, possono presentare valori che fanno scaturire l’esigenza di un approfondimento. Il suggerimento, pertanto, consiste nel procedere ad una revisione straordinaria del fondo prima di procedere al suo consolidamento e, in ogni caso, mantenere la memoria di come si è arrivati a quell’unico importo. In sede ispettiva, infatti, è la prima verifica che viene richiesta, a nulla rilevando se il contratto collettivo consente di quell’unico valore.

2.2. l’estromissione dal fondo delle posizioni organizzative (art. 67, comma 1) L’operazione girava nell’aria già da un po’ di anni, come se fosse la panacea di tutti i mali. Il Ccnl prevede che, anche negli enti con dirigenza, la retribuzione di posi-zione e di risultato dei titolari di posizione organizzativa sia finanziata con risorse a carico del bilancio dell’ente e non più a carico del fondo per il salario accessorio. Lo stabilisce espressamente il comma 5 dell’art. 15. Ciò in analogia con quanto già previsto dai precedenti contratti collettivi per gli enti dove risultano assenti figure con qualifica dirigenziale. In sede di consolidamento era, pertanto, scontato che il Ccnl prevedesse l’esclusione di queste risorse fra le voci da considerare. Seppur non citate espressamente, sembra potersi anno-verare, fra le posizioni organizzative a cui fa riferimento, in questa sede, il Ccnl, anche i soggetti incaricati di alta professionalità. Infatti per la regolamentazione di tali in-

carichi, nei precedenti Ccnl, è contenuto un rimando alla disciplina delle posizioni organizzative. Di conseguenza, non avrebbe senso finanziare sul bilancio le sole posizioni organizzative e lasciare sul fondo le alte professionalità, atteso che la retribuzione di posizione e di risultato, per entrambi, fa riferimento alla medesima disciplina.Un problema di rilevante portata è rappresentato dal-la somma che si deve escludere dal consolidamento. Il contratto collettivo dispone che le risorse stabili sono da considerare “al netto di quelle che gli enti hanno destinato, nel medesimo anno, a carico del Fondo, alla retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative”. Accertato che l’annualità a cui far riferimento è il 2017, cosa si intende per “risorse destinate”? Una prima ri-sposta può essere rappresentata, per la retribuzione di posizione, dal valore riconosciuto a tutte le posizioni organizzative istituite dall’amministrazione, sulla base del sistema di pesatura delle stesse, a cui si somma, quale retribuzione di risultato, il valore massimo che è possibile riconoscere al dipendente a tale titolo, secondo quanto disposto dai precedenti contratti collettivi (25% ovvero 30% della retribuzione di posizione). Una seconda tesi può individuare le risorse destinate come la quota del fondo utilizzato a favore della remunerazione dei titolari di posizione organizzativa. Risulta evidente la differenza fra le due tesi: la prima prende in considerazione tutti gli incarichi previsti, siano essi stati attribuiti o, per qualsiasi ragione, siano vacanti. La seconda tesi quantifica i soli incarichi attribuiti.Qualora si dovesse abbracciare la seconda tesi, sorgereb-bero una serie infinita di problematiche inerenti l’appli-cazione di questa previsione contrattuale in relazione alle diverse situazioni nelle quali la retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative può essere stata influenzata nel 2017. Ad esempio, come si deve tratta-re una posizione organizzativa che non risulta coperta perchè il titolare è in aspettativa, ad esempio per motivi sindacali o per mandato elettivo o parlamentare, ovvero gode del congedo di cui all’art. 42, commi 5 e seguenti, del d.lgs. 165/2001? Come considerare gli incarichi co-perti ad interim da altri titolari di posizione organizzativa? E quelli in convenzione? Come è prevedibile, l’elenco delle casistiche potrebbe essere lunghissimo.

FocusCCNL 2016/2018

18

RISORSE UMANE • 2/2018

È evidente che il problema deve trovare una soluzione nell’immediato non solo per avere contezza delle risorse a disposizione dei titolati di posizione organizzativa, ma anche per la quantificazione del fondo a disposizione del restante personale. Come sarà evidenziato di seguito, il comma 7 dell’art. 67 impone, infatti, che il limite al salario accessorio, di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017, sia calcolato considerando complessivamente il fondo e i compensi accessori delle posizioni organizzative.

2.3. L’incremento delle risorse stabili (art. 67, comma 2)Dalle operazioni sopra descritte si ottiene un unico importo di quantificazione delle risorse stabili, che viene riportato, nel medesimo ammontare, negli anni successivi.Questa somma può essere incrementata solo per una serie di ipotesi che vengono puntualmente elencate dal nuovo Ccnl. All’amministrazione è vietato ricorrere a fattispecie diverse per aumentare il fondo.

2.3.a) l’aumento fissoPer la prima volta si prospetta una nuova modalità di in-cremento del fondo di parte stabile. Opportunamente, non si ricorre più ad una percentuale da calcolarsi sul monte salari, quantità sempre oggetto di dubbi circa la sua quan-tificazione, ma il nuovo Ccnl incrementa di Euro 83,20 da calcolarsi su tutte le unità di personale che presentino i seguenti requisiti:- siano destinatarie del Ccnl;- siano in servizio alla data del 31 dicembre 2015.Ovviamente anche questa modalità presenta una serie di dubbi, in particolare in ordine alla individuazione delle “unità di personale”. Se non sussistono particolari problemi considerare i dipendenti a tempo indeterminato in servizio al 31.12.2015, stante il disposto contrattuale, si dovrebbero poter conteggiare anche i dipendenti a termine, sempre presenti alla predetta data. Al contrario, non risulta chia-ro se debbano essere annoverati i dipendenti in comando e quelli in convenzione. Parimenti resta da chiarire se le unità di personale sono da considerare per teste ovvero per uomo/annuo. In altre parole è necessario specificare quale trattamento riservare ai lavoratori in part-time. In

ogni caso, specifica la disposizione che la stessa trova appli-cazione solo a decorrere dal 31 dicembre 2018 e, quindi, sostanzialmente, dal 2019.

2.3.b) Gli incrementi differenziali nelle progressio-ni economiche Viene confermato quanto già sostenuto in prima battuta dall’Aran e poi contenuto nella dichiarazione congiunta n. 14 del Ccnl 22 gennaio 2004. In sostanza i maggiori aumenti delle posizioni economiche successive alla prima rispetto a quest’ultima sono da considerarsi oneri contrat-tuali e, come tali, a carico del bilancio dell’ente e non del fondo. Questo consente di incrementare la parte stabile per tali differenziali. Un esempio può essere utile per portare chiarezza. Si deve partire dalle posizioni economiche ac-quisite dal personale dipendente alla data di sottoscrizione del Ccnl. Se un dipendente, a tale data, è inquadrato nella categoria C, posizione economica C5, a regime, allo stesso, deve essere riconosciuto un incremento mensile di Euro 69,80. L’aumento di un dipendente di posizione economica C1 è pari ad Euro 62,00, con una differenza di Euro 7,80 (69,80 - 62,00). Per quel dipendente appartenente alla posizione economica C5, il fondo può essere incrementato di Euro 101,40 (Euro 7,80 x 13 mensilità). L’operazione va ripetuta per tutti i dipendenti ed il totale è l’importo da inserire nella parte stabile del fondo. Considerato che il riferimento deve individuarsi alla situazione alla data di sottoscrizione del Ccnl, questo importo è cristallizzato e non subisce variazione nel tempo, nemmeno a seguito di nuove progressioni economiche dei dipendenti.

2.3.c) La Ria e gli assegni ad personam dei cessatiAnche in questo caso la voce di costituzione non è nuova, ma viene confermata rispetto al quadro contrattuale vi-gente. Consente di incrementare il fondo di parte stabile per la retribuzione individuale di anzianità e degli assegni ad personam del personale cessato. Bisogna, però, prestare attenzione all’anno in cui la cessazione avviene. Infatti, mentre in passato si poteva incrementare il fondo di parte stabile già dall’annualità in cui il dipendente risolveva il rapporto di lavoro, relativamente alle mensilità non corri-sposte, con il nuovo Ccnl l’incremento di parte stabile può essere inserito solo dall’anno successivo, per l’intero impor-

FocusCCNL 2016/2018

19

RISORSE UMANE • 2/2018

to riferito alle 13 mensilità. I ratei relativi alle mensilità non corrisposte nell’anno di cessazione, come si dirà di seguito, rappresenterà una voce di costituzione della parte variabile del fondo. Si ricorda che, come più volte chiarito dall’Aran, questo incremento è consentito solo quando il dipendente esce dalla pubblica amministrazione per risoluzione unila-terale del rapporto di lavoro (dimissioni, raggiungimento limite di età, inabilità, ecc.), ma si può procedere in tale senso quando il dipendente cessa per mobilità volontaria.

2.3.d) le risorse riassorbite per effetto del d.lgs. 165/2001Anche in questo caso si tratta di una conferma. Con l’en-trata in vigore del decreto legislativo n. 165/2001, tutti i trattamenti economici sono attribuiti sulla base dei con-tratti collettivi nazionali di lavoro, dei contratti collettivi decentrati integrativi e dal contratto individuale di lavoro. Prevede il comma 3 dell’art. 2 del predetto decreto che “i trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”, norma di prima applicazione delle disposizioni surrichiamate e che, con tutta evidenza, una volta quantificata la voce, la stessa resta fissa nel tempo.

2.3.e) il trattamento economico del personale trasferitoIn caso di trasferimento di personale, il fondo può essere in-crementato per garantire il relativo trattamento accessorio. Lo stesso Ccnl chiarisce che, in tale fattispecie, rientrano “i processi associativi, di delega o di trasferimento di funzio-ni”. Viene alla mente il passaggio di dipendenti a seguito di creazione di consorzi e di unioni di enti locali. Non pare applicabile tale ipotesi al trasferimento di personale per mobilità volontaria: pur trattandosi di trasferimento di personale, lo stesso non è accompagnato dal trasferimento di funzioni come pare richiedere la norma contrattuale. Non vi sono dubbi, invece, sul fatto che, all’incremento in questione, deve corrispondere una riduzione, di pari importo, del fondo dell’amministrazione dalla quale i di-pendenti provengono. Anche in questo caso si tratta di un recepimento in contratto di una tesi fortemente sostenuta

dall’Aran e dagli organi di controllo, attente a che le ope-razioni di trasferimento del personale non rappresentassero un’occasione per un incremento ingiustificato, a livello di aggregato, delle risorse destinate al salario accessorio.La norma chiarisce che rientrano in tale fattispecie anche il trasferimento di dipendenti disposto per disposizione di legge, con conseguente possibilità, per l’ente ricevente, di adeguare il fondo. Ne sono un esempio i dipendenti a tempo indeterminato delle città metropolitane e delle pro-vince, in servizio presso i centri per l’impiego e dichiarati in soprannumero per effetto della l. 190/2014, per i quali è previsto il passaggio alle regioni o agenzie o enti regionali costituiti per la gestione dei servizi per l’impiego, al fine di dare piena attuazione al passaggio di competenze in materia di politiche attive del lavoro, così come disposto dall’art. 1, comma 793, della l. 205/2017.Per quanto specificato al successivo comma 3, lett. k) sempre dell’art. 67, risulta evidente che l’incremento in questione può essere inserito nel fondo di parte stabile solo l’anno successivo al quale avviene il trasferimento.Un capitolo a parte è previsto per le unioni di comuni, la cui disciplina, richiamata in questo comma, è contenuta, nel dettaglio, nell’art. 70-sexies. Per quanto riguarda la parte stabile del fondo, si prevede che, a seguito del trasferimento di personale dai comuni aderenti all’unione, quest’ultima può incrementare il proprio fondo di un importo corrispon-dente alle risorse stabili destinate al trattamento economico del personale trasferito, così come determinato nell’ultimo contratto decentrato sottoscritto presso l’ente di provenienza prima del trasferimento, di norma riferito all’anno prece-dente. Come sopra illustrato, anche in questa ipotesi viene imposto l’obbligo di riduzione, per il medesimo importo, del fondo del comune di provenienza. Interessante la possibilità di accordi diversi fra comune e unione. Con tutta eviden-za, l’accordo potrà regolamentare una diversa modalità di quantificazione delle risorse stabili con le quali incrementare il fondo dell’unione, ma, in nessun caso, potrà escludere o limitare la corrispondente riduzione del fondo per il comune di provenienza. Viene, infatti, sottolineato che, a livello di aggregato, la spesa deve risultare, alla fine del processo di trasferimento, del tutto invariata. In verità, la disposizione contrattuale vieta maggiori oneri; è, dunque, ammessa una riduzione del fondo, sempre a livello di aggregato.

FocusCCNL 2016/2018

20

RISORSE UMANE • 2/2018

2.3.f) la riduzione stabile della dirigenza nelle regioniCome già previsto nelle tornate contrattuali precedenti, la norma ha una portata limitata alle Regioni. Dispone che, in caso di contenimento degli oneri derivanti dalla riduzione stabile dei posti di organico di dirigenti, la minor spesa può essere destinata, in parte, al fondo per le risorse decentrate. Tale quantità è fissata, come limite massimo, nello 0,20% del monte salari della dirigenza. Non risulta indicato a quale annualità debba fare riferimento il predetto monte salari: si potrebbe far riferimento all’anno in cui avviene la riduzione ovvero all’anno precedente, ultima annualità in cui erano presenti tutti i posti di qualifica dirigenziale. Si evidenzia che la disposizione ha per oggetto la riduzione stabile dei posti di dotazione organica. Pur non essendo espressamente quantificato cosa si intende per stabile, si presume che la riduzione debba essere confermata per un numero di anni significativo. Inoltre, le riduzioni che possono qui rilevare sono quelle che saranno messe in atto dopo la sottoscrizione del Ccnl. Infatti, il testo della disposizione usa un verbo al futuro (“minori oneri che deriveranno dalla riduzione stabile...”).L’incremento del fondo è concesso solo per quelle regioni che, fino al 2018, non vi hanno mai provveduto ovvero, in passato, vi hanno provveduto ma l’importo per il quale oggi è possibile procedere all’incremento risulta superiore di quello già effettuato. In tal caso, il fondo potrà essere aumentato per la differenza.

2.3.g) la riduzione stabile del lavoro straordinarioPrevisione che non rappresenta una novità, ma che, rispetto al passato, viene meglio codificata. Consente l’incremento del fondo a fronte di una corrispondente e stabile ridu-zione del fondo per il lavoro straordinario. L’operazione deve, necessariamente, partire dall’ammontare massimo del fondo per il lavoro straordinario, così come determinato secondo quanto previsto dall’art. 14, comma 1, del Ccnl 14 settembre 2000, salve ulteriori decurtazioni disposte per iniziativa dell’ente stesso. Questo importo deve esse-re ridotto in misura stabile. A tale proposito, l’Aran si è pronunciata affermando che, una volta intrapresa questa strada, non si può fare marcia indietro. Si legge, infatti, nel parere RAL_1462 dell’8 agosto 2012 che “ogni decisione di

riduzione stabile delle risorse per il lavoro straordinario (pre-cedente lett. g) deve essere attentamente valutata dall’ente in quanto, attualmente, non ci sono regole che possano consentire successivamente all’ente stesso di incrementare autonomamente e in via ordinaria le risorse del lavoro straordinario per fare fronte a particolari esigenze che si dovessero presentare (sono fatti salvi i finanziamenti esterni giustificati da casi partico-lari: scadenze elettorali, calamità naturali, protezione civile)”.L’importo della riduzione del fondo per il lavoro straordi-nario deve corrispondere esattamente all’incremento del fondo per il salario accessorio; il Ccnl parla, infatti, di in-varianza delle risorse complessivamente stanziate.Da ultimo si sottolinea che la riduzione stabile del fondo per il lavoro straordinario confluisce solo l’anno successivo fra le poste che costituiscono il fondo per le risorse decentra-te. In altre parole, le risorse dell’anno oggetto di riduzione stabile dello straordinario vanno perse.

2.3.h) l’incremento della dotazione organicaÈ il corrispondente del vecchio articolo 15, comma 5, del Ccnl 1° aprile 1999, di parte stabile. La disposizione risulta del tutto analoga, prevedendo la possibilità di aumentare il fondo a seguito dell’incremento della dotazione organica al fine di far fronte al trattamento accessorio del persona-le. Il testo viene, però, attualizzato sulla base del quadro normativo vigente. In particolare:1) viene meno la correlazione fra l’attivazione di nuovi servizi o di processi di riorganizzazione finalizzati ad un accrescimento di quelli esistenti e l’incremento della do-tazione organica. In effetti, secondo quanto disposto dal nuovo testo dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. 165/2001, come sostituito dall’art. 4, comma 1, lett. b), del d.lgs. 75/2017, le amministrazioni disegnano la propria dotazio-ne organica sulla base dei fabbisogni programmati e delle linee di indirizzo emanate in materia dal Ministero per la semplificazione e per la pubblica amministrazione. Risulta del tutto evidente che si tratta di innovazione di scarsa portata, in quanto i predetti fabbisogni, se fanno conseguire un incremento della dotazione organica, dovranno essere giustificati da nuovi servizi;2) per lo stesso motivo viene meno l’attributo di stabile all’incremento della dotazione organica. Sempre per effetto dell’art. 6, comma 3, sopra richiamato, la consistenza della

FocusCCNL 2016/2018

21

RISORSE UMANE • 2/2018

dotazione organica deve essere indicata in sede di approva-zione del piano triennale dei fabbisogni di personale. Poichè tale piano risulta “a scorrimento” (e, quindi, approvato tutti gli anni per il triennio), è evidente che anche la consistenza della dotazione organica è rivista tutte le annualità, anche per una sua semplice conferma. Questo significa, però, che un aumento disposto nel 2018 può essere azzerato nel 2020 in quanto, ad esempio, la sperimentazione del nuovo servizio ha dato esito negativo, e, quindi, il nuovo fabbisogno di personale viene meno.Si ricorda, infine, che, per l’attuazione del disposto con-trattuale, l’Aran e gli ispettori, in sede di verifica, hanno, da sempre, richiesto sia l’incremento della dotazione organica che la copertura dei nuovi posti istituiti. Oggi tale tesi po-trebbe risultare rafforzata dalla finalità indicata dalla norma: si incrementa il fondo per far fronte agli oneri dei maggiori trattamenti economici del personale. Ma se tale personale non viene assunto, è evidente che non vi è nessun maggior trattamento economico a cui rispondere.Attualmente, sempre l’art. 6, comma 3, del d.lgs. 165/2001 consente di rimodulare la dotazione organica ma deve essere rispettato il principio della neutralità finanziaria, vale a dire il costo teorico della predetta dotazione organica non può incrementare dopo la rideterminazione della stessa. In questo contesto, risulta difficilmente immaginabile che un ente proceda ad un incremento dei posti della stessa dotazione. I posti istituiti, poi, devono essere anche coperti mediante assunzioni di personale e, stante i vincoli in ma-teria di capacità assunzionali e le difficoltà nel chiudere i bilanci con il rispetto dei saldi, anche questa operazione risulta abbastanza ardua. In sostanza, quindi, l’ipotesi di incremento del fondo per aumento della dotazione organica appare, nel panorama odierno, quasi impraticabile.

2.4. La costituzione delle risorse variabili (art. 67, comma 3)Anche in questo caso il Ccnl si preoccupa di elencare quali sono le voci che possono costituire la parte variabile del fondo per le risorse decentrate. Analogamente a quanto evidenziato per le risorse stabili, trattasi di elenco tassativo e nessun’altra ipotesi può essere aggiunta o “creata” dalle singole amministrazioni.

2.4.a) le sponsorizzazioni, gli accordi di collabo-razione, le convenzioni e i contributi dell’utenzaIl rinvio all’art. 43 della l. 449/1997 nonché all’art. 15, comma 1, lett. d) del Ccnl 1° aprile 1999, nel testo modi-ficato dall’art. 4, comma 4, del Ccnl 5 ottobre 2001, rende evidente che, per questa voce di costituzione del fondo di parte variabile, non sussistono novità. Si ritiene unicamente di dover evidenziare come l’applicazione della disposizio-ne richieda una preventiva regolamentazione da adottarsi da parte dell’amministrazione, con la quale si procede ad individuare esattamente le fattispecie nelle quali la norma trova applicazione nonché le modalità di determinazione delle risorse da destinarsi al fondo per il salario accessorio.

2.4.b) i piani di razionalizzazioneAnche per questa fattispecie trova conferma la previ-gente disciplina. Il riferimento è, infatti, rappresentato dall’art. 16, commi da 4 a 6, del d.l. 98/2011. La quota massima destinabile alla contrattazione è, quindi, rap-presentata dal 50% dei risparmi effettivamente realiz-zati a seguito delle misure di razionalizzazione adottate. Tali risparmi devono essere ulteriori rispetto a quelli che norme di legge impongono all’amministrazione. Si fa rilevare che, in tale contesto, viene ribadita l’ob-bligatorietà della certificazione circa il conseguimento dei predetti risparmi da parte dei competenti organi di controllo. Per gli enti locali leggasi il revisore ovve-ro il collegio dei revisori. Si ricorda che la metà della quota destinata al fondo per le risorse decentrate va a beneficio di tutti i dipendenti, mentre l’altra metà premia i lavoratori fattivamente coinvolti nel piano di razionalizzazione. La norma prevede che, a questi ultimi, il premio sia riconosciuto secondo le modalità contenute nell’art. 19 del d.lgs. 150/2009, vale a dire le fasce di merito. Ma la disposizione che regolamenta le predette fasce è stata abrogata ad opera dell’art. 13, comma 1, del d.lgs. 74/2017 e, quindi, in materia, vi è oggi un vuoto normativo. Con tutta probabilità andranno applicati gli ordinari criteri adottati dall’ente per la remunerazione della performance organizzativa e individuale. Secondo l’orientamento espresso dalla sezione delle Autonomie della Corte dei conti, deli-berazione n. 34/2016, i risparmi da piani di raziona-

FocusCCNL 2016/2018

22

RISORSE UMANE • 2/2018

lizzazione destinati al fondo sono esclusi dal tetto al salario accessorio previsto prima dall’art. 9, comma 2-bis del d.l. 78/2010, poi dall’art. 1, comma 236, della l. 208/2015, ed oggi sancito dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017 (di cui si dirà in seguito) solo quando “conseguano a specifiche iniziative volte al raggiungimen-to di puntuali obiettivi di incremento della produttività individuale del personale interno all’Amministrazione da realizzare mediante il diretto coinvolgimento delle unità lavorative in mansioni suppletive rispetto agli ordinari carichi di lavoro”. Ne consegue che risulta esclusa solo la quota che viene riconosciuta al personale direttamente coinvolto, mentre vi rientra la parte che va a favore della generalità dei dipendenti.

2.4.c) le risorse derivanti da specifiche disposi-zioni di leggeNulla di nuovo sotto il sole pure per quanto riguarda questa voce di costituzione. Si ricorda che, tra le ipo-tesi più ricorrenti, rientrano nella casistica in esame i compensi per l’avvocatura, i compensi per il recupero ICI (mentre il recupero dell’IMU non prevede remu-nerazioni particolari), i “vecchi” compensi per la pro-gettazione, nel caso in cui siano, a tutt’oggi, ancora da pagare. Alla luce della modifica introdotta con l’art. 1, comma 526, della L. 205/2017, non risulta chiaro se si devono annoverare anche i compensi per le funzioni tecniche previsti dall’art. 113 del d.lgs. 50/2016. La questione non rappresenta una mera disquisizione a livello dottrinale in quanto ha, come conseguenza, l’as-soggettamento o meno al vincolo previsto per il salario accessorio, richiamato al punto precedente.

2.4.d) la RIA nell’anno di cessazioneCome illustrato al precedente punto 2.3.c), la retribuzio-ne individuale di anzianità contribuisce alla costituzione della parte stabile del fondo dall’anno successivo a quello di cessazione, per un importo pari all’annualità completa di Ria non corrisposta. Questa, per la parte non pagata nell’anno di cessazione, confluisce, a differenza del pas-sato, nelle risorse variabili. Il Ccnl specifica che si con-siderano “le mensilità” non pagate, intendendo per tali anche le frazioni di mese superiori a 15 giorni. Parimenti

va computato il rateo di tredicesima. Tale importo va inserito, anch’esso, nel fondo relativo all’anno successivo alla cessazione. Un esempio vale a chiarire il comporta-mento da tenersi. Un dipendente cessa il 10 luglio 2018 e ha in godimento una Ria pari ad Euro 50,00 mensili. Nel fondo dell’anno 2019 (anno successivo a quello di cessazione) avremo:- nella parte stabile un importo pari ad Euro 650,00

(Euro 50,00 x 13 mensilità);- nella parte variabile un importo pari ad Euro 325,00

(Euro 50,00 x 6 mensilità – luglio si conta per intero in quanto la frazione non lavorata è superiore a 15 giorni – a cui si aggiunge il rateo di tredicesima, sempre relativo a 6 mesi).

È curioso evidenziare come questa previsione contrattuale abbia per oggetto solo la retribuzione individuale di an-zianità, mentre, nella costituzione della parte stabile del fondo (punto 2.3.c), il riferimento sia costituito sia dalla Ria che dagli assegni ad personam. Dal tenore letterale della norma sembra, quindi, che i ratei di assegni ad personam relativi ai mesi successivi dell’anno di cessazione non siano da considerare.

2.4.e) i risparmi da straordinario dell’anno prece-denteSi tratta della conferma della previsione contenuta nella lettera m) dell’art. 15, comma 1, del Ccnl 1° aprile 1999. A differenza del precedente punto 2.3.g), non si tratta di una riduzione stabile ma di un mancato utilizzo dell’intero importo a disposizione per compensare il lavoro straordi-nario, dovuto ai motivi più disparati. Risulta evidente che tale ipotesi può anche non realizzarsi. È inteso che il fondo per il lavoro straordinario dell’anno successivo ritorna ad essere nel suo importo originario.Viene chiarito che i risparmi devono essere accertati a consuntivo e, pertanto, la voce in costituzione va inserita nel fondo dell’anno successivo a quello nel quali gli stessi risparmi sono realizzati.

2.4.f) i compensi per i messi notificatoriDisciplina confermata anche per i messi notificatori. Il nuovo Ccnl riprende l’art. 54 del contratto collettivo del 14 settembre 2000, il quale prevede la possibilità, per i

FocusCCNL 2016/2018

23

RISORSE UMANE • 2/2018

comuni, di destinare una parte dei rimborsi provenienti dall’amministrazione finanziaria per la notifica degli atti che quest’ultima delega al comune stesso. Tali importi vanno a beneficio della performance dei messi incaricati delle notifiche stesse.

2.4.g) i compensi a favore dei dipendenti delle case da giocoLa disposizione conferma, quale componente variabile del fondo, le risorse destinate al trattamento econo-mico accessorio dei dipendenti delle case da gioco. Andando a ritroso, una norma del tutto analoga era prevista dall’art. 46 del Ccnl 22 gennaio 2004, dall’art. 20 del Ccnl 5 ottobre 2001, dall’art. 46 del Ccnl 6 luglio 1995 e, prima ancora, dall’art. 63 del d.P.R. 268/1987, dall’art. 34 del d.P.R. 347/1983 e dall’art. 34 del d.P.R. 810/1980. In sostanza, da allora ad oggi, gli accordi prima e i contratti dopo hanno conservato il trattamento economico più favorevole riconosciu-to ai dipendenti delle case da gioco, in relazione alla

particolare professionalità che non rientrava nei servizi propri di istituto dell’ente. Il nuovo Ccnl, come i pre-cedenti, consente di inserire, fra le risorse variabili, le somme necessarie a salvaguardare questi trattamenti. Su tali risorse devono, inoltre, trovare posto anche l’indennità di funzione riconosciuta dall’art. 70-quater a favore del personale delle case da gioco che svolge funzioni di vigilanza, il cui importo è stabilito in sede di contrattazione integrativa.

2.4.h) L’incremento dell’1,20% del monte salari 1997Notevolmente semplificato il processo che consente alle amministrazioni di poter procedere all’inserimento, fra le risorse variabili, di una somma massima pari all’1,20% del monte salari 1997, in precedenza disciplinato dall’art. 15, commi da 2 a 4, del Ccnl 1° aprile 1999. Per il con-fronto, può essere utile riportare le due discipline, quella previgente e quella contenuta nel nuovo Ccnl, richiamata nella lettera sopra citata ed esplicitata nel comma 4 del medesimo art. 67.

Art. 15, commi da 2 a 4, Ccnl 1° aprile 1999 Art. 67, comma 4, ipotesi di Ccnl 21 febbraio 2018

2. In sede di contrattazione decentrata integrativa, ove nel bilancio dell’ente sussista la relativa capacità di spesa, le parti verificano l’eventualità dell’integrazione, a decorrere dal 1 aprile 1999, delle risorse economiche di cui al comma 1, sino ad un importo massimo corrispondente all’1,2 % su base annua, del monte salari dell’anno ’97, esclusa la quota relativa alla dirigenza.3. La disciplina prevista dal comma 1, lettere b), c) e dal com-ma 2, non trova applicazione nei confronti degli enti locali in situazione di dissesto o di deficit strutturale, per i quali non sia intervenuta ai sensi di legge l’approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato.4. Gli importi previsti dal comma 1, lett. b), c) e dal comma 2, possono essere resi disponibili solo a seguito del preventivo accertamento da parte dei servizi di controllo interno o dei nuclei di valutazione delle effettive disponibilità di bilancio dei singoli enti create a seguito di processi di razionalizza-zione e riorganizzazione delle attività ovvero espressamente destinate dall’ente al raggiungimento di specifici obiettivi di produttività e di qualità.

4. In sede di contrattazione integrativa, ove nel bilancio dell’ente sussista la relativa capacità di spesa, le parti verificano l’eventualità dell’integrazione, della componente variabile di cui al comma 3, sino ad un massimo corrispondente all’1,2% su base annua, del monte salari dell’anno 1997, esclusa la quota relativa alla dirigenza.

FocusCCNL 2016/2018

24

RISORSE UMANE • 2/2018

In sostanza, oltre alla cancellazione dei riferimenti tem-porali ormai superati, il nuovo Ccnl ha eliminato tutto il contenuto dei vecchi commi 3 e 4. Sostanzialmente il comma 3 del previgente art. 15 è stato trasposto nel nuovo comma 6 dell’art. 67, di cui si dirà in seguito.Ma è l’eliminazione del comma 4 l’aspetto più interessan-te. In precedenza, l’inserimento delle risorse in questione era collegato alla verifica delle effettive disponibilità di bilancio derivanti da processi di razionalizzazione e di riorganizzazione delle attività oppure legato al raggiun-gimento di obiettivi di produttività e qualità. Tale accer-tamento era effettuato dal servizio di controllo interno ovvero dal nucleo di valutazione. Nella maggior parte dei casi era quest’ultimo chiamato ad esprimersi in materia.

Tutto ciò, con la sottoscrizione definitiva del Ccnl, non è più necessario e nessun parere deve essere richiesto al nucleo di valutazione. In sostanza è sufficiente che sussi-stano le disponibilità di bilancio in quanto difficilmente la contrattazione si dichiarerà contraria all’inserimento delle risorse in questione.

2.4.i) L’incremento per il conseguimento di obiettivi dell’enteÈ il corrispondente del vecchio art. 15, comma 5, del Ccnl 1° aprile 1999, di parte variabile. La lettera i) ri-chiama il successivo comma 5, lett. b) dello stesso art. 67. Si riporta, anche in questo caso, il testo dei commi interessati, in parallelo per comodità di confronto.

Art. 15, comma 5, Ccnl 1° aprile 1999 Art. 67, comma 5, lett. b), ipotesi di Ccnl 21 febbraio 20185. In caso di attivazione di nuovi servizi o di processi di riorga-nizzazione finalizzati ad un accrescimento di quelli esistenti, ai quali sia correlato un aumento delle prestazioni del personale in servizio cui non possa farsi fronte attraverso la razionalizzazione delle strutture e/o delle risorse finanziarie disponibili o che comunque comportino un incremento stabile delle dotazioni organiche, gli enti, nell’ambito della programmazione annuale e triennale dei fabbisogni di cui all’art. 6 del d.lgs. 29/93, valutano anche l’entità delle risorse necessarie per sostenere i maggiori oneri del trattamento economico accessorio del personale da impiegare nelle nuove attività e ne individuano la relativa copertura nell’ambito delle capacità di bilancio.

b) alla componente variabile di cui al comma 3, per il consegui-mento di obiettivi dell’ente, anche di mantenimento, definiti nel piano delle performance o in altri analoghi strumenti di programmazione della gestione, al fine di sostenere i correlati oneri dei trattamenti accessori del personale; in tale ambito sono ricomprese le risorse di cui all’art. 56-quater comma 1, lett. c).

La disciplina è stata completamente rivista. Non è più necessario attivare nuovi servizi, riorganizzare, raziona-lizzare; risulta superfluo dare riscontro alle sette condi-zioni Aran. Con il nuovo Ccnl è sufficiente esplicitare obiettivi ai quali collegare il trattamento economico da riconoscere al personale. Tali obiettivi possono risultare sia dal piano delle performance sia in altri documenti programmatori: il primo che viene alla memoria è rap-presentato dal Dup.Come in precedenza, le parti che hanno sottoscritto il Ccnl non hanno indicato un limite, minimo e massimo, per le risorse che possono essere inserite nel fondo in applicazione della norma in commento. La palla passa all’amministrazione, la quale, discrezionalmente, quan-

tificherà l’importo. Con tutta evidenza, si dovrà dare una motivazione solida rispetto alla determinazione del-le somme in questione, che dovranno essere soppesate in relazione alla rilevanza degli obiettivi a cui vengono collegate. Alla luce del disposto contrattuale, gli importi che vanno ad incrementare il fondo non necessariamente devono essere utilizzate per premiare la performance, individuale o collettiva che sia. Infatti la norma parla, genericamente, di “correlati oneri dei trattamenti accessori del persona-le”. In questi rientrano anche le indennità condizioni di lavoro ovvero quelle per specifiche responsabilità o altro ancora, se sono collegati agli obiettivi indicati nella programmazione.

FocusCCNL 2016/2018

25

RISORSE UMANE • 2/2018

2.4.j) La sperimentazione di nuovi incrementiIncrementi consentiti in via sperimentale alle regioni a statuto ordinario e alle città metropolitane nel triennio 2018/2020, che si collocano oltre il tetto al trattamento accessorio. Tale aumento, di parte variabile, deve esse-re fissato in una percentuale della componente stabile; percentuale che è determinata con un d. P.C.M., previo accordo in conferenza unificata. Il termine per la sua emanazione era fissato in 90 giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. 75/2017, il cui art. 23 regolamenta la fattispe-cie, ma a tutt’oggi, del provvedimento non vi è traccia. Lo stesso atto dovrà individuare i requisiti necessari per partecipare alla sperimentazione, secondo parametri di virtuosità indicati nel predetto art. 23, al comma 4. All’esito della sperimentazione, sempre con d. P.C.M., potrà essere disposta l’applicazione in via permanente degli incrementi in questione nonché l’allargamento della platea degli enti che possono beneficiare della norma in commento.

2.4.k) Le risorse variabili nei trasferimenti di personaleCorrispondentemente all’incremento del fondo di parte stabile per trasferimento di personale, di cui al precedente punto 2.3.e), il nuovo Ccnl consente di incrementare le risorse variabili per la stessa causale, limitatamente all’anno in cui avviene il trasferimento stesso e con la corrispondente riduzione del fondo di parte variabile degli enti dai quali partono i dipendenti. Questo serve a garantire la continuità del trattamento accessorio di parte variabile ai lavoratori interessati al processo in commento ed è, pertanto, limitato ai mesi successivi al trasferimento. Il contratto collettivo si preoccupa di sottolineare che, a regime, il trattamento economico accessorio dei dipen-denti trasferiti debba trovare copertura nelle risorse di parte stabili che hanno formato oggetto di incremento del fondo (si veda il precedente punto 2.3.e). Non si comprende la motivazione per la quale viene esclusa la possibilità, per l’ente ricevente, di poter incrementare il fondo di parte variabile, percorrendo una delle strade previste dal Ccnl, per poter finanziare il trattamento eco-nomico variabile anche del personale trasferito.

Analoga regolamentazione è prevista per il trasferimento di personale dai comuni all’unione, la cui disciplina è contenuta nell’art. 70-sexies. In aggiunta, tale disposizio-ne precisa che, per la quantificazione degli importi che incrementano il fondo dell’unione e riducono il fondo del comune, si deve far riferimento alle risorse variabili destinate al trattamento accessorio nell’ultimo contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto nell’ente da cui proviene il personale, che, di norma, coincide con quello dell’anno precedente. Anche in questa ipotesi sono ammessi accordi diversi fra unione e comune, ma si ritie-ne esclusa la facoltà di limitare o annullare la riduzione del fondo nell’ente di partenza.

2.5. Le condizioni per lo stanziamento di risorse variabili (art. 67, comma 6)Il Ccnl entra per la prima volta nel merito delle condi-zioni necessarie per l’inserimento delle risorse variabili previste dall’art. 67, comma 3, lett. h) ed i), ovvero dei tanto discussi incrementi previsti dal precedente art. 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1° aprile 1999. Per poter aumentare il fondo applicando tali istituti è necessario aver rispettato:- i vincoli di bilancio;- le vigenti disposizioni in materia di vincoli della spesa di personale. La disposizione contrattuale richiama il contenuto dell’art. 40, comma 3-quinquies, secondo periodo, del d.lgs. 165/2001 il quale prevede che “le regioni, per quanto concerne le proprie amministrazioni, e gli enti lo-cali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni caso nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e di analoghi strumenti del contenimento della spesa”.In primo luogo non sembra che la norma demandi al Ccnl la regolamentazione delle condizioni per l’incremen-to delle “risorse aggiuntive”, stando alla lettera del d.lgs. 165/2001, o delle “risorse variabili” con la terminologia contrattuale. La norma rimanda alla contrattazione collet-

FocusCCNL 2016/2018

26

RISORSE UMANE • 2/2018

tiva la sola definizione del perimetro per la qualificazione e la quantificazione delle risorse aggiuntive ma non le condizioni per il loro inserimento, atteso che i “limiti dei parametri di virtuosità” devono essere fissati “dalle vigenti disposizioni” e non dal Ccnl. Superato il primo scoglio, la lettera della norma e del contratto non sembra immediatamente sovrapponibili:

Condizioni previstedall’art. 40, comma 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001

Condizioni previstedall’art. 67, comma 6, dell’ipotesi di Ccnl

Parametri di virtuosità fis-sati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni.

Nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di vincoli della spesa di per-sonale.

Nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e di analoghi strumenti del con-tenimento della spesa.

Nel rispetto dei vincoli di bilancio.

Se da una parte il rispetto delle norme in materia di “spesa di personale” è espresso in termini che sembrano del tutto equivalenti, dall’altra la disposizione fa riferimento agli “obiettivi di finanza pubblica” mentre il contratto richiama i “vincoli di bilancio” (il testo precedente la riforma Madia faceva riferimento ai “vincoli di bilancio” e al “patto di stabilità”) . Per cercare di coordinare le due previsioni si potrebbe far riferimento al rispetto dei saldi (ex patto di stablità). Tuttavia il Testo Unico richiama anche gli “analoghi strumenti del contenimento della spesa” che non sono espressamente previsti nel dettato contrattuale. Ancora una volta, con uno sforzo interpreta-tivo si potrebbe ritenere che nei “vincoli di bilancio” sono comprese anche le altre norme volte al contenimento della spesa. A questo punto sarebbe stato opportuno un rinvio alla previsione normativa in luogo di una diversa formulazione che potrebbe generare dubbi applicativi. Superando anche questo secondo aspetto rimane il nodo centrale. Il contratto non consente l’incremento del fondo correlato all’1,20% del monte salari 1997 (lett. h) e del finanziamento di specifici obiettivi (lett. i) in caso di mancato rispetto delle condizioni sopra descritte, ma nulla dispone in merito alle altre risorse variabili.

In questo modo lascia intendere che, anche in assenza dei parametri di virtuosità, possa essere ugualmente incrementato il fondo per le altre fattispecie (art. 43, l. 449/1997, piani di razionalizzazione, ICI, avvocatu-ra, condoni, ecc.). Sul punto si registrano, in passato, diversi interventi della magistratura contabile (Corte dei conti Piemonte n. 418/PAR/2013 e n. 78/2014/SRCPIE/PAR) secondo i quali il mancato rispetto del patto di stabilità e delle altre norme in materia di conte-nimento della spesa di personale, da garantire nell’anno precedente e in quello in corso, consente di incremen-tare il fondo solo per le risorse variabili non soggette al blocco (art. 9, comma 2-bis, d.l. 78/2010, art. 1, comma 236, l. 208/2015 e art. 23, comma 2, d.lgs. 75/2017). In altri termini, l’orientamento interpretavo dell’art. 40, comma 3-quinquies, del d.lgs. 165/2001 sembra decisamente più restrittivo rispetto alla previ-sione contrattuale. Ci si chiede, infine, quale valenza possa avere la pre-visione dell’art. 40-bis, comma 7, del d.lgs. 165/2001 in forza del quale la mancata pubblicazione dei docu-menti correlati alla contrattazione decentrata preclu-de “qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa”, ipotesi non richiamata nel nuovo Ccnl.Divieto assoluto di prevedere le risorse variabili di cui all’art. 67, comma 3, dell’ipotesi di contratto per gli enti strutturalmente deficitari, in pre-dissesto o in dissesto. La novità deriva dal fatto che tali enti possono, comun-que, stanziare le risorse previste dalla lettera c) ovvero i compensi disciplinati da norme di legge da corrispon-dere obbligatoriamente sulla base delle stesse disposi-zioni (ivi compreso l’Istat da classificare nella lett. c) ai sensi dell’art. 70-ter). Le norme che prevedono specifici compensi rinviano, normalmente, all’approvazione di un regolamento a livello di ente per la definizione di numerosi aspetti sia di quantificazione che procedimen-tali. Solo dopo tale approvazione, i compensi sono da corrispondere obbligatoriamente. Il rinvio esplicito all’art. 67, comma 3, non annovera le economie degli anni precedenti di fonte stabile (art. 67, commi 1 e 2) espressamente previste dall’art. 68, comma 1, ultimo periodo. Al contrario non possono essere ripor-

FocusCCNL 2016/2018

27

RISORSE UMANE • 2/2018

tate le economie del fondo straordinario previsto dalla lett. e) del citato art. 67, comma 3. Ancor più singolare il fatto che il rateo della Ria risparmiata nell’anno di ces-sazione non possa finanziare la parte variabile dell’anno successivo per tali enti ai sensi della lett. d) dello stesso articolo. In modo analogo sono preclusi i piani di razio-nalizzazione (lett. b). Di fatto questa ampia previsione assorbe l’art. 15, com-ma 3, del Ccnl 1° aprile 1999, il quale non consentiva l’inclusione nel fondo dell’1,20% del monte salari 1997 (previsto dal precedente comma 2) agli enti in dissesto o strutturalmente deficitari. Risulta, inoltre, in linea con l’art. 243-bis, comma 9, lett. a), del Tuel, che preclude l’applicazione dell’art. 15, comma 5, del Ccnl 1° aprile 1999 (oltre all’art. 26, comma 3, del Ccnl 23 dicembre 1999 per la dirigenza) per motivi diversi dall’aumento di dotazione organica.

2.6. Il tetto al salario accessorio (art. 67, comma 7)

2.6.a) Le previsioni contrattualiPer la prima volta si affronta una tornata contrattuale in presenza di vincoli all’incremento dei fondi per la contrattazione decentrata. La norma vigente è contenuta nell’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017 per cui il salario accessorio non può superare quello del 2016. Su questo tema è intervenuto anche l’art. 67, comma 7, dell’ipotesi di contratto ricordando che “la quantificazio-ne del Fondo delle risorse decentrate e di quelle destinate agli incarichi di posizione organizzativa di cui all’art. 15, comma 5 deve comunque avvenire, complessivamente, nel rispetto dell’art. 23, comma 2 del d. lgs. n. 75/2017”. Il contratto non fa altro che confermare la conclusione della Corte dei conti, sezione delle Autonomie, delibe-razione n. 26/2014, che si era espressa su questo tema in vigenza del precedente art. 9, comma 2-bis, del d.l. 78/2010 disponendo che “le risorse del bilancio che i Comuni di minore dimensione demografica destinano, ai sensi dell’art. 11 del Ccnl 31 marzo 1999, al finanziamen-to del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 9, comma

2-bis, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni”.Il richiamo contrattuale è motivato dal fatto che l’art. 15, comma 5, dell’ipotesi di contratto scorpora dal fon-do il finanziamento della retribuzione e di risultato dei titolari di posizione organizzativa anche per gli enti con dirigenza. L’importanza della previsione è collegata anche al contenuto dell’art. 7, comma 4, lett. u) della stessa ipotesi di contratto in forza della quale è necessario un accordo in sede decentrata quando l’aumento delle risorse per le posizioni organizzative ha effetti, in virtù dell’art. 23, comma 2, del decreto Madia, sul fondo destinato alla contrattazione decentrata. La norma va coordinata anche con l’art. 15, comma 7, secondo il quale la riduzione delle risorse destinate alle posizioni organizzative consente un ampliamento del-le facoltà di alimentazione delle risorse stabili secondo gli istituti contrattuali previsti dall’art. 67, comma 2. Tuttavia, risulta difficile comprendere quali possano es-sere tali istituti nel momento in cui, di fatto, il blocco delle assunzioni e delle dotazioni organiche rendono più teorica che pratica l’incremento di parte stabile per tali motivi. L’unico caso applicabile può essere rappresentato dagli aumenti per la Ria e gli assegni ad personam dei cessati. A prima vista sembrerebbe che le riduzioni stabili previste per le posizioni organizzative siano collegate solo ad incre-menti stabili. Tuttavia, per le interpretazioni consolidate nel corso degli anni passati in materia di vincoli sui fondi, nulla vieterebbe che una minor spesa per compensi delle posizioni organizzative possa essere bilanciata anche da un incremento di risorse variabili (chiaramente da valutare di anno in anno). Lo stesso discorso si potrebbe applicare qualora le risorse “destinate” alle posizioni organizzative debbano essere intese in senso restrittivo ovvero che si debbano considerare sia le posizioni coperte che quelle vacanti.

2.6.b) I vincoli normativiIl contratto collettivo prevede un elenco di istituti che possono incrementare il fondo con risorse stabili (art. 67, comma 2). In periodi di blocchi sull’incremento dei fondi

FocusCCNL 2016/2018

28

RISORSE UMANE • 2/2018

(o meglio del trattamento accessorio), oggi contenuto nell’art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017, ci si chiede se qualcuno di questi istituti possa considerarsi neutro. Allo stato attuale non vi sono indicazioni specifiche in merito e quindi tutti gli aumenti delle risorse stabili e variabili, stando ad una rigida interpretazione letterale, dovrebbero rientrare nel vincolo. In una visione sistematica qualche dubbio sicuramente sorge almeno per gli incrementi finanziati con le spe-cifiche risorse messe a disposizione per il rinnovo del Ccnl e previste dall’art. 67, comma 2, lettere a) e b) che fanno riferimento rispettivamente agli 83,20 euro dal 2019 e all’incremento delle progressioni. Almeno per queste risorse non avrebbe senso considerarle nel blocco: in tal caso gli enti che, nel 2016, non avessero potuto prevedere risorse variabili si vedrebbero azzerato, di fat-to, l’incremento contrattuale. Non resta che attendere chiarimenti in merito. Per il Ccnl delle Funzioni centrali è prevista la dichiarazione congiunta n. 4 che vorrebbe risolve il problema proprio con le motivazioni descrit-te. Ci si chiede quale sia il valore di una dichiarazione congiunta su una materia non rimessa dalla norma alla contrattazione collettiva. Gli aumenti previsti per la Ria e gli assegni ad perso-nam (lettere c e d) sono già stati, in passato, oggetto di analisi da parte della Corte dei conti e rientrano nel blocco dei fondi. Si tratta peraltro di norme già presenti nei precedenti contratti per i quali è difficile ipotizzare un trattamento diverso da quello tenuto in precedenza. Analogo ragionamento può essere seguito per gli incre-menti, riservati alle regioni, corrispondenti allo 0,20% delle economie derivanti dalla riduzione stabile di posti dirigenziali (lett. f). Per il personale trasferito (lett. e) il problema non si pone in quanto l’incremento delle risorse stabili dell’ente rice-vente è compensato da una corrispondente riduzione da parte dell’ente di provenienza. Ne consegue che, per l’en-te di destinazione, l’incremento non è soggetto a vincoli. In modo analogo sembrerebbe lecito poter ragionare per l’incremento del fondo a fronte di una stabile riduzione dei compensi per lavoro straordinario (lett. g) effettuato ad “invarianza complessiva di risorse”. Anche la magi-stratura contabile, in passato, aveva ritenuto che il fondo

straordinario rientrasse nel blocco in quanto si tratta di trattamento accessorio. Ne consegue che lo spostamento di risorse a parità di spesa complessiva non dovrebbe comportare problemi. Al contrario per le risorse collegate ad un incremento di dotazione organica (lett. h) sembra difficile poterle considerare neutre. Infine, le parti auspicano che gli incentivi per funzio-ni tecniche (art. 113, d.lgs. 50/2016 come modificato dall’art. 1, comma 526, della legge di bilancio 2018) possano essere considerati neutri rispetto ai vincoli sul fondo in quanto gli incentivi vanno a gravare sui capi-toli dell’opera, servizio o fornitura e non su quelli di bilancio. La questione è oggi al vaglio della sezione delle Autonomie, per cui non resta che attendere il pronun-ciamento nomofilattico.

2.7. La gestione delle irregolarità (art. 67, comma 10)L’ultimo comma dedicato alla costituzione dei fondi è riservato ad un rinvio alla normativa vigente in merito alle “risorse utilizzabili per la copertura degli oneri con-seguenti al mancato rispetto dei vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi”. In altri termini, si rinvia alla normativa vigente la gestione delle somme indebitamente erogate a fronte di errori sia in sede di costituzione che di utilizzo.Si riporta la disciplina applicabile:- art. 4 del d.l. 16/2014 (c.d. decreto Salva Roma);- art. 1, comma 226, L. 208/2015 (rinuncia alle capa-

cità assunzionali);- l’art. 40, comma 3-quinquies, 6° periodo, del d.lgs.

165/2001 (come modificato dal d.lgs. 75/2017).Di fatto si tratta di una norma che non apporta alcuna novità sostanziale in quanto il Ccnl non ha la possibilità di intervenire sulla materia.

2.8. Il riporto dei resti (art. 68, comma 1)È inserito nella parte del Ccnl che riguarda l’utilizzo, mentre, nell’articolo che disciplina la costituzione, nulla viene previsto in proposito. La disposizione stabilisce che

FocusCCNL 2016/2018

29

RISORSE UMANE • 2/2018

sono “rese disponibili” le risorse residue di cui all’art. 67, commi 1 e 2, non utilizzate in anni precedenti. Due sono le osservazioni:- in primo luogo si possono riportare solo risorse sta-

bili. Il mancato utilizzo, nell’anno di inserimento nel fondo, di risorse variabili non consente di poterle utilizzare nell’annualità successiva;

- le risorse stabili non utilizzate possono essere riportate anche per più anni. Il Ccnl parla, infatti, di “anni precedenti”, sottintendendo una pluralità di annualità e non limitandosi all’anno precedente.

Sottolinea il contratto collettivo, e non poteva essere di-versamente, che devono essere rispettate le disposizioni in materia contabile che consentono il riporto.

3. Cosa manca?Poteva essere l’occasione per chiarire alcuni aspetti molto dibattuti. Ad esempio, il Ccnl non ha regolamentato la riduzione del fondo a fronte dell’istituzione di posizioni organizzative ovvero, al contrario, all’aumento del fondo in caso di riduzione delle stesse. La materia è stata oggetto di pareri Aran (499-15B3 oggi RAL054) e di conseguenti rilievi in sede ispettiva. Parimenti, poteva essere affrontato il tema della decurta-zione del fondo a fronte della esternalizzazione di servizi, problema esploso nel 2000, con il trasferimento del per-sonale ATA alle dipendenze dell’amministrazione statale e che, ancora oggi, si trova in un limbo, soprattutto quando l’esternalizzazione è rivolta a soggetti privati.

30

Dottrina RISORSE UMANE • 2/2018

Welfare aziendale: ultimi sviluppi e possibili applicazioni nel settore pubblicoAmedeo Di Filippo e Mariella Ursini

Il welfare aziendale è un fenomeno relativamente recente che sta però cambiando profondamente la pro-duzione di benessere nella nostra società. Dopo aver analizzato il contesto, descrivendo le maggiori proble-matiche per contestualizzarne la nascita e lo sviluppo, scopo di questo intervento è segnalare alcuni studi e contrappuntare l’evoluzione normativa che ne ha favorito lo sviluppo. Questo mondo ora si apre anche alle amministrazioni pubbliche grazie ai Ccnl in via di sottoscrizione, che regolano il “welfare integrativo”.

Breve descrizione del fenomenoIl welfare aziendale (WA), termine usato abitualmente per rappresentare il fenomeno1, va inserito all’interno del welfare sussidiario orizzontale di cui il secondo welfare rappresenta la componente più rappresentativa. Il secondo welfare, a sua vol-ta, può essere rappresentato come una rete privata, composta da molteplici stakeholder, che produce benessere attraverso nuove collaborazioni e nuove relazioni sociali che portano idee, pro-dotti, servizi e modelli studiati per rispondere ai nuovi bisogni.Non esiste una definizione legale di WA ma sono gli articoli del d.P.R. n. 917/1986, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi

(1) Tradizionalmente esisteva una distinzione fra welfare contrattuale e welfare aziendale, ma la legge di stabilità 2016 ha superato l’identi-ficazione del welfare aziendale come welfare unilaterale e volontario, per cui è più opportuno distinguere tra welfare aziendale volontario (paternalistico) obbligatorio unilaterale (con regolamento unilaterale) e welfare aziendale contrattuale (quando esiste un accordo sindacale).

(Tuir), a definire le prestazioni e le modalità di erogazione. Va anche tenuta in considerazione la legge di stabilità 2016, la quale segna un passo importante nello sviluppo del feno-meno e della sua terminologia in quanto permette di superare l’identificazione del WA con le caratteristiche dell’unilateralità e della volontarietà, ribaltando tecnicamente e culturalmente la precedente impostazione2. Detta legge ha dato dunque vita ad una nuova locuzione, “welfare di produttività”, che fa riferimento alla detassazione ed esenzione dei premi di risultato descrivendo non tanto una particolare tipologia di welfare, quanto piuttosto una modalità di erogazione: prestazioni e servizi ottenuti dai lavoratori in sostituzione totale o parziale dei premi di risultato o degli utili (c.d. “welfarizzazione” del premio di produttività).

(2) La normativa precedente, infatti, escludeva dal reddito da lavoro dipendente benefit e servizi di welfare soltanto se erogati su iniziativa volontaria e unilaterale dal datore di lavoro.

DottrinaWelfare aziendale

31

RISORSE UMANE • 2/2018

Figura 1.1 - Diagramma concettuale del welfare sussidiario3

Una possibile definizione del WA, non esaustiva ma dettata dall’esperienza, potrebbe essere la seguente: un insieme di benefit e servizi forniti dall’azienda ai propri dipendenti, sulla base di un accordo con i rappresentanti sindacali oppure per una scelta unilaterale, al fine di miglio-rarne la vita privata e lavorativa, partendo dal sostegno del reddito familiare, allo studio, alla genitorialità, alla tutela della salute, fino a proposte per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale.Cosa diversa, dunque, dai fringe benefit, che sono stru-menti utili a svolgere un determinato lavoro (auto azien-dale, computer, cellulare) e assegnati ai singoli lavoratori in base a posizioni ed esigenze lavorative; come non può considerarsi WA l’insieme di integrazione in servizi e tu-tele – quali quelle di tipo sanitario – che sono offerte alle posizioni apicali delle aziende in una logica di retainment delle posizioni chiave.Nel WA il ruolo delle parti sociali risulta determinante per la diffusione di un nuovo concetto di aiuti alla fami-glia come legittima integrazione del salario, soprattutto in condizioni di crisi. L’intervento dei rappresentanti dei lavoratori legittimati dal basso, come i sindacati, conferisce validità e forza a tutto il sistema, strutturando sempre più le politiche di WA come collaborazione fra

(3) Fonte: E. Massagli, S. Spattini, Cosa intendiamo quando parliamo di welfare aziendale?, 23 gennaio 2017, in www.bollettinoadapt.it.

le parti e non come “dono” di stampo paternalistico.Di conseguenza il WA, se opportunamente governato e gestito, può risultare una soluzione efficace ed efficiente per alcune problematiche e dinamiche tipiche della nostra società e il suo sviluppo può assumere interesse per tutta la collettività e non solo per i lavoratori e le imprese.Il WA si inserisce nel Corporate Social Responsibility (CSR), concetto ampio che raccoglie un insieme di po-litiche aziendali a favore della sostenibilità ambientale e sociale.Anche se solo negli ultimi anni il WA è diventato parte integrante di molte attività produttive, di fatto non è un fenomeno nuovo. Ci sono state esperienze in Italia già alla fine dell’800 e nel periodo compreso tra le due guerre, mentre lo studioso Titmuss ha iniziato a parlare di welfare contrattuale alla fine degli anni ’50 del secolo scorso.Il fenomeno in Italia è scaturito dall’esperienza di aziende come Luxottica che, sul finire degli anni ‘90, ha im-plementato un sistema di benefit per i propri lavoratori avvalendosi della normativa fiscale che consente di esclu-dere alcuni beni e servizi dalla nozione di retribuzione imponibile. Triplo il vantaggio: per i lavoratori, che massimizzano il valore delle risorse che l’azienda mette a disposizione; per l’imprenditore che, oltre agli sgravi fiscali previsti dalla legge, in virtù di accordi stipulati con i fornitori, ha la possibilità di offrire beni e servizi ai propri dipendenti pagando un costo inferiore a quello di mercato; per l’azienda, posto che è stato dimostrato come simili iniziative si traducono in maggior produtti-vità, minore assenteismo e miglioramento della qualità produttiva.Il WA, in quanto welfare, ha peculiarità di protezione verso i rischi sociali ed assume significato quando è rivolto alla totalità dei dipendenti o ad ampie categorie con fun-zione di aiuto a chi ha meno. In quest’ottica il WA offre diverse soluzioni che aiutano a contrastare soprattutto i nuovi rischi sociali: convenzioni e voucher per prestazioni mediche, odontoiatriche e socio-sanitarie, di assistenza a minori, anziani e disabili, sostegno al reddito familiare sotto forma di polizze assicurative e rimborsi scolastici, sostegno alla genitorialità attraverso strumenti di work-life balance (figura 1.2 a p. ss.).

Vi sono due percorsi di attivazione del WA: attivazione uni-laterale e accordo sindacale collettivo di secondo livello, di tipo territoriale o aziendale. Nel primo caso è sufficiente che l’azienda scelga il pacchetto di beni e servizi da erogare ai dipendenti, verificando la coerenza e la convenienza fiscale. Nel secondo si hanno accordi siglati con le organizzazioni sindacali. La strada che si sta sviluppando è la bilateralità: gli enti bilaterali stanno diventando sempre più attori im-portanti nello sviluppo del WA, soprattutto per alcuni settori produttivi, sviluppando soluzioni su scala nazionale e locale, con un forti legami col territorio. I fondi integrativi bilaterali che si affermano su base regionale, infatti, rappresentano un’ulteriore integrazione (e in alcuni casi sostituzione) di quelli nazionali, soprattutto per alcuni settori come l’assisten-za sanitaria integrativa oppure la previdenza complementare.Complesso e variegato il panorama europeo. Un valido ten-tativo di analisi è costituito da Prowelfare,5 studio compara-

(4) Fonte: Secondo rapporto sul Secondo welfare in Italia (2015).

(5) Providing Welfare through Social Dialogue (ProWelfare) è il nome dello studio che ha mappato, nel 2013, l’offerta di Welfare Occupazionale Volontario (WOV, Voluntary Occupational Welfare) in otto paesi europei

tivo che, attraverso una mappatura del fenomeno nei diversi contesti, vuole fornire informazioni aggiornate sullo stato del welfare occupazionale negli otto Paesi europei interessati (Tabella 1.1).

Tabella 1.1 - Principali servizi e benefit offerti6

Salute Conciliazione vita personale-lavoro

Formazione professionale

- Assicurazioni sanitarie integrative;

- integrazione del reddito durante l’assenza per malattia;

- sicurezza sui luoghi di lavoro.

- Flessibilità dell’orario di lavoro;

- Riduzione del tempo di lavoro;

- Servizi di cura per i bambini;- integrazione del reddito

durante i periodi di mater-nità paternità e congedo parentale;

- estensione dei periodi di maternità, paternità o con-gedo parentale;

- bonus e voucher.

- Formazione professionale;- possibilità di congedi

per la formazione pro-fessionale;

- integrazione del reddito in caso di congedo per la formazione professio-nale.

(Austria, Belgio, Germania, Inghilterra, Italia, Polonia, Spagna, Svezia). La ricerca, giunta alla seconda edizione (2014-2016, dove sono stati coinvolti anche i Paesi Bassi), è stata finanziata dalla Commissione Europea e coordi-nata dall’Osservatorio Sociale Europeo (OSE) insieme alla Confederazione Europea dei Sindacati.

(6) Fonte: Prowelfare Executive Summary, 2013.

Figura 1.2 - Welfare aziendale: dimensioni e confini 4

DottrinaWelfare aziendale

32

RISORSE UMANE • 2/2018

DottrinaWelfare aziendale

33

RISORSE UMANE • 2/2018

Il WA in ItaliaLo sviluppo del WA in Italia ha avuto un impulso notevole con la legge di stabilità 2016, che ha segnato una vera svolta, am-pliando il paniere delle prestazioni e rendendo particolarmente interessanti gli strumenti sia per le aziende che per i lavoratori.Il WA quindi cresce, diverse indagini lo confermano. Tra le prime, quella condotta nel 2012 dall’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali (IRES) insieme con l’Università Politecnica delle Marche, che prende in considerazione 318 aziende di grande dimensioni, con esclusione delle piccole e medie imprese7.Un’altra ricerca interessante sulla diffusione del fenomeno è “Il welfare aziendale contrattuale in Italia”, realizzata dal Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (CERGAS) e l’Università Bocconi, pubblicato nel giugno del 2014 sulla spinta conoscitiva del CNEL (Figura 1.3).

Figura 1.3 - Le principali aree di WA presenti nel campione analizzato8

La ricerca di OD&M Con-sulting, società di Gi Group, nel Rapporto welfare 2015 evidenzia che più del 50% delle aziende coinvolte nello studio ha dichiarato di avere un piano di welfare e circa la metà di queste lo ha in-

trodotto nel corso degli ultimi due anni. La ricerca evidenzia una buona diffusione del WA nelle grandi imprese (69,2%) e nelle medie (60%), mentre il ri-manente 40% dichiara di voler introdurre un piano di WA nei prossimi due anni. Le piccole imprese, invece, hanno decisamente più difficoltà.Una delle ricerche più recenti è stata realizzata da Welfare Company, società di Qui!Group, “Il futuro del welfare aziendale dopo la Legge di Stabilità 2016”. La ricerca è stata effettuata nei mesi di giu-gno e luglio 2016 su un campione di 335 direttori e manager di aziende, a cui è stato somministrato un questionario strutturato. I risultati sono inco-raggianti in quanto il 71% delle imprese coinvolte ha introdotto piani di welfare, ma si ripropone la scarsa diffusione del fenomeno tra le piccole imprese e in alcune aree geografiche.L’attenzione per il territorio e lo sviluppo dell’occupazione femminile sono i fanalini di coda con il 31% circa in entrambi i casi (Figura 1.4). Mense, orari flessibili, assistenza sanitaria e agevolazioni le misure più “gettonate” (Figura 1.5).

(7) Una delle nuove frontiere nello sviluppo del WA riguarda proprio le PMI che rappresentano circa l’80% delle realtà produttive e che, al momento, hanno maggiori difficoltà ad attivare un piano di WA.

(8) Fonte: Il welfare aziendale contrattuale in Italia, 2014.

Figura 1.4 - Le motivazioni principali che spingono le aziende ad attivare misure di WA

DottrinaWelfare aziendale

34

RISORSE UMANE • 2/2018

Figura 1.5 - Graduatoria delle prestazioni di WA più diffuse

Per il futuro, la grande maggioranza delle imprese dichiara di voler intervenire in particolar modo sui temi di con-ciliazione vita-lavoro, sostegno all’istruzione, sanità integrativa (Figura 1.6). Più della metà delle imprese valutano la possibilità di utilizzare la Rete di impresa per la gestione dei Piani.

Figura 1.6 - Le aree di WA verso cui si intende investire in futuro

Un’altra ricerca recente, “L’evoluzione del welfare aziendale in Italia”, è stata condotta nel 2016 da Doxa per Edenred Italia9. La ricerca si basa su uno schema di classificazione delle tipologie di WA che permette, secondo gli autori, non solo una migliore osservazione dell’evoluzione del fenomeno ma anche una maggiore comprensione dello stesso.

(9) F. Di Nardo (a cura di), “L’evoluzione del welfare aziendale in Italia”, Guerini, 2017.

DottrinaWelfare aziendale

35

RISORSE UMANE • 2/2018

Nella classificazione si individuano tre macro-aree del welfare:- salario sociale10;- orario e organizzazione del lavoro11;- welfare contrattuale12.“Il welfare aziendale fa crescere l’impresa” è il titolo del secondo rapporto annuale promosso da Assicurazioni Ge-nerali con la partecipazione delle maggiori confederazioni italiane (Confartigianato, Confindustria, Confagricola e Confprofessioni ), sullo stato del welfare nelle piccole e medie imprese.Welfare Index PMI realizza una mappatura sistematica della diffusione del welfare aziendale nelle 3.422 imprese coinvolte nella ricerca. La ricerca si è basata su due indagini che hanno esaminato più di cento tipi di iniziative, raggruppate in 12 aree di welfare (Figura 1.7).

Figura 1.7 - Aree di welfare esaminate nello studio Welfare Index PMI

Il Rapporto 2017 porta anche un importante novità, il Rating Welfare Index PMI. Questo può essere considerato una specie di servizio che permette alle imprese di comunicare il proprio livello di welfare nel modo più immediato e riconoscibile, facendo diventare il rating un vantaggio competitivo oltre che uno stimolo per un percorso di crescita. Tutte le imprese partecipanti all’indagine, con meno di 250 dipendenti, sono state raggruppate in cinque classi di rating, con un valore crescente da 1W a 5W. Il risultato dell’elaborazione è stato il Welfare Index PMI, uno stru-mento che permette a ogni azienda di misurare il proprio livello di welfare, complessivo per ogni area, confrontandosi

(10) Fa riferimento ai servizi e beni che sono parte integrativa e “in natura” del salario e specialmente del salario variabile. Questa macro-area è suddivisa in sei categorie omogenee: a) servizi alla persona e ai familiari; b) agevolazioni commerciali e buoni spesa; c) servizi e beni per i figli dei dipendenti; d) mobilità (servizi di car sharing e/o car pooling per favorire l’uso condiviso dell’auto tra i colleghi, navetta aziendale); e) cultura, svago e tempo libero; f) servizi all’interno del luogo di lavoro (nido aziendale, mensa aziendale o pasto in azienda, maggiordomo aziendale).

(11) Fa riferimento alla conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro e a una rimodulazione delle modalità e dell’organizzazione del lavoro, orientati al benessere dei dipendenti.

(12) Quest’area è costituita dalla previdenza integrativa (fondi pensione di categoria) e dall’integrazione sanitaria, tramite fondi nazionali specifici; sono gestite tramite la bilateralità, ovvero con enti bilaterali cogestiti da imprese e rappresentati dei lavoratori.

DottrinaWelfare aziendale

36

RISORSE UMANE • 2/2018

con la media e con le best practices del proprio settore. Delle potenzialità del WA ha da ultimo trattato il 1° Rapporto Censis-Eudaimon 2018, dal titolo “Il benessere aziendale a misura di chi lavora”13, secondo cui oltre la metà degli occupati preferisce i servizi ad un incremento dello stipendio ma solo il 17,9% dei lavoratori italiani ne ha una conoscenza precisa, il 58,5% lo conosce solo per grandi linee e il 23,6% non sa cosa sia. Tra le prestazioni più apprezzate quelle relative alla sanità e alla previdenza integrativa, cui seguono i buoni pasto e la mensa azien-dale, l’abbonamento per i trasporti pubblici, i buoni ac-quisto e le convenzioni con negozi, i nidi d’infanzia e i centri vacanze, i rimborsi per le spese scolastiche dei figli.

E nelle amministrazioni pubbliche?Articolato e in grande sviluppo il WA nelle imprese, anche grazie ai vantaggi fiscali regolati dagli artt. 51 e 100 del Tuir: il primo sottrae dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente diverse poste tra cui i contributi previ-denziali e assistenziali e quelli di assistenza sanitaria, le ero-gazioni liberali e i sussidi occasionali, le somministrazioni di vitto e mensa, le prestazioni di servizi di trasporto collettivo, le prestazioni per servizi di educazione e istruzione, assisten-za ai familiari anziani o non autosufficienti anche in forma assicurativa; il secondo rende deducibili le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dai dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.Di tutt’altro calibro il discorso per i dipendenti delle pub-bliche amministrazioni, la cui retribuzione rimane salda-mente ancorata ai due classici pilastri dello stipendio base e dei tradizionali sistemi di incentivazione. Manca il terzo, rappresentato dal WA, dove una parte della retribuzione variabile, in un sistema di flexible benefits, potrebbe essere integrata con servizi interni offerti al dipendente.Difettano, per la verità, studi sul fenomeno in ambito pubblico, anche perché (e in conseguenza del fatto che) ben scarsa è l’esperienza. Qualche ragionamento ha provato a impostare l’Aran14, rinviando ai dati forniti

(13) In: www.eudaimon.it/rapporto-censis-eudaimon/

(14) Il welfare aziendale nella pubblica amministrazione, disponibile sul sito dell’Agenzia.

dalla Ragioneria generale dello Stato con la rilevazione del conto annuale, tra i quali sono presenti le spese sostenute per il benessere del personale come contributi per spese sanitarie, protesi, sussidi, rimborsi della tassa di iscrizione ad albi professionali, delle rette asili nido, degli abbonamenti al trasporto pubblico, ecc.Evidenzia inoltre come le disposizioni contrattuali in al-cuni comparti di contrattazione già demandino la con-cessione dei benefici di natura assistenziale e sociale alla contrattazione integrativa, con oneri che di norma sono a carico del bilancio dell’amministrazione, nell’ambito di una soglia massima di spesa. Nella seguente Tavola sono riportati i dati della spesa per il benessere del personale per tutti i comparti pubblici, sia per il personale dirigente che non dirigente:

Dalla indagine rileva che le Autorità indipendenti dedi-cano ampie risorse al capitolo benessere del personale; la fascia media è rappresentata dagli enti pubblici non economici e dagli enti di ricerca; quella medio bassa è delineata da ministeri e università; la fascia bassa è per i restanti comparti, che impiegano cifre minime.In effetti, già l’art. 27 del CCNL degli enti pubblici non

Fonte: Elaborazioni Aran su dati della Ragioneria generale dello Stato - Conto annuale 2013(*) Sono indicate le spese per il benessere del personale, quali contributi per spese sanitarie, protesi, sussidi, rimborsi della tassa di iscrizione ad albi professionali, rimborso rette asili nido, rimborsi per gli abbonamenti al trasporto pubblico, ecc.(**) Dirigenti e personale non dirigente.

La spesa per il benessere del personale* nella pubblica amministrazione anno 2013

**

DottrinaWelfare aziendale

37

RISORSE UMANE • 2/2018

economici del 14.2.2001 aveva introdotto i benefici di natura assistenziale e sociale, rinviando alla contrattazione integrativa nazionale la concessione di sussidi, borse di studio, contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale, prestiti, mutui. Con oneri a carico del bilancio degli enti non oltre l’1% delle spese per il personale iscritte nel bilancio di previsione.Il breve studio ha in conclusione affermato che il fattore fondamentale, che spiega l’esistenza e la diffusione di esperienze di WA, “è dato certamente dalla previsione a livello di contrattazione nazionale, di previsioni spe-cifiche e soprattutto di risorse dedicate in materia”. Nel settore pubblico, infatti, vi è un problema di legittima-zione dell’operato degli enti in campo retributivo, che ha trovato soluzione solo in alcuni comparti, storicamente più sensibili al tema del WA, attraverso normative na-zionali, già operanti nel precedente assetto pubblicistico e successivamente trasfuse nei contratti, accompagnate da specifiche risorse finanziarie dedicate.Per il resto ci sono esperienze isolate, quale per esem-pio quella messa in campo dall’Università degli Studi di Milano, che nel 2015 ha varato un Piano di politiche di “People Care” con cui contribuisce al miglioramen-to delle condizioni di vita delle persone che operano al proprio interno15.In questa prospettiva sono state individuate specifiche azioni di welfare rivolte al personale per sostenere e in-centivare il benessere individuale, familiare e sociale dei dipendenti. Tra le misure adottate ci sono i contributi sui costi di iscrizione e frequenza da parte dei figli dei dipen-denti di asili nido, scuole e centri estivi, corsi universitari, oltre a un piano di assistenza sanitaria di Ateneo offerto in collaborazione con la società assicurativa UniSalute e che comprende un pacchetto prevenzione, prestazioni sanitarie a condizioni agevolate presso le strutture sani-tarie convenzionate con la società assicurativa, rimborso dei ticket sanitari o compartecipazione al costo per visite specialistiche e altre prestazioni del SSN.Come messo in evidenza dall’Aran, il radicamento del WA in ambito pubblico ha necessità di due presupposti: pre-

(15) http://www.unimi.it/personale/1241.htm.

visioni contrattuali specifiche e risorse dedicate. Il primo è stato impiantato nella nuova stagione di contrattazione collettiva nazionale, riapertasi dopo quasi dieci anni di stal-lo, che lancia al sfida anche alle amministrazioni pubbliche con l’ambizione di ampliare sia il contesto soggettivo di applicazione delle misure, provocando il protagonismo dei comparti storicamente meno sensibili al tema, sia di quello oggettivo, proponendo strumenti ben diversi e ulteriori rispetto alla classica previdenza integrativa16.La “copertura normativa” sta dunque prendendo piede in tutti i comparti, grazie alla sottoscrizione dei nuovi Ccnl, resa concreta dalla direttiva “madre” del 7 luglio 2017 con cui la Funzione pubblica ha emanato l’atto di indirizzo per la riapertura dei tavoli di contrattazione. Il paragrafo 2.4 è espressamente dedicato al “welfare con-trattuale”, interessante per le p.a. in relazione ai “suoi potenziali benefici sul clima lavorativo ed i positivi riflessi che essi possono avere sui risultati complessivi dell’orga-nizzazione”.La direttiva segnala esperienze di alcuni settori pubblici – gli stessi citati dall’Aran, verosimilmente – indicando borse di studio e altri sussidi per l’accesso a servizi a maggiore valenza sociale, ma anche quelle adottate nel settore privato, rinviando alla contrattazione integrativa ed escludendo le agevolazioni fiscali che hanno necessità di una copertura legislativa.La copertura dei costi, conclude l’atto di indirizzo, “do-vrà, in ogni caso, essere ricercata nell’ambito delle risorse destinate alla contrattazione nazionale ed integrativa”. Quella nazionale potrà dare impulso, anche in forma sperimentale, a sinergie tra diverse amministrazioni per lo sviluppo di pacchetti di welfare comuni.L’atto di indirizzo poi contiene indicazioni sul versante della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro (par. 2.5) e della previdenza complementare (par. 2.6), strumenti che comunque rientrano nell’ambito del WA.Indicazioni, queste, che si sono tradotte nei singoli atti di indirizzo dei vari comparti. In quello delle Funzioni locali

(16) La Dichiarazione congiunta n. 5 al Ccnl delle Regioni e Autonomie locali del 1° aprile 1999 limitava l’impegno delle parti “ad individuare una forma sperimentale di previdenza sanitaria integrativa a partire dalle Camere di commercio, tenendo conto della normativa vigente”.

DottrinaWelfare aziendale

38

RISORSE UMANE • 2/2018

del 5 ottobre 2017, il par. 2.8 ribadisce la necessità che la copertura dei costi per gli interventi sul welfare contrat-tuale e sulla previdenza complementare venga “ricercata all’interno delle risorse destinate alla contrattazione nazio-nale ed integrativa”, non pregiudicando l’operatività degli strumenti di carattere mutualistico già presenti presso gli enti del comparto. E insiste: “Il finanziamento, che non dovrà determinare aggravi di spesa per gli enti, troverà

copertura mediante quota parte delle risorse destinate alla contrattazione integrativa, nonché delle somme che ad oggi, sia pure in via residuale e proprio in attesa della costituzione di tali fondi, vengono dagli enti destinate alle medesime finalità assistenziali”.Diamo quindi uno sguardo alla declinazione che di queste direttive hanno proposto i CCNL arrivati alla sottoscrizione:

Comparto Funzioni centrali Comparto Sanità Comparto Funzioni locali

Art. 80 -Welfare integrativo

1. Le amministrazioni disciplinano, in sede di contrattazione integrativa di cui all’art. 7, comma 6, la concessione di benefici di natura assistenziale e sociale in favore dei propri dipendenti, tra i quali:a) iniziative di sostegno al reddito della famiglia (sussidi e rimborsi);b) supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli;c) contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale;d) prestiti a favore di dipendenti in difficol-tà ad accedere ai canali ordinari del credito bancario o che si trovino nella necessità di affrontare spese non differibili;e) polizze sanitarie integrative delle pre-stazioni erogate dal servizio sanitario nazionale.2. Gli oneri per la concessione dei benefici di cui al presente articolo sono sostenuti mediante utilizzo delle disponibilità già previste, per le medesime finalità, da pre-cedenti norme di legge o di contratto col-lettivo nazionale, tra cui l’art. 27, comma 2 del CCNL Enti pubblici non economici del 14/2/2001, nonché, per la parte non coperta da tali risorse, mediante utilizzo di quota parte del Fondo di cui all’art. 77 del presente contratto.

Art. 94 - Welfare integrativo

1. Le Aziende o Enti disciplinano, in sede di contrattazione integrativa di cui all’art. 8 comma 5 (Con-trattazione collettiva integrativa: tempi e procedure), la concessione di benefici di natura assistenziale e sociale in favore dei propri dipen-denti, tra i quali:a) iniziative di sostegno al reddito della famiglia (sussidi e rimborsi);b) supporto all’istruzione e promo-zione del merito dei figli;c) contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale;d) prestiti a favore di dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali or-dinari del credito bancario o che si trovino nella necessità di affrontare spese non differibili;e) polizze sanitarie integrative delle prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale.2. Gli oneri per la concessione dei benefici di cui al presente articolo sono sostenuti mediante utilizzo di quota parte del Fondo di premialità e fasce.

Art. 72 - Welfare integrativo

1. Le amministrazioni disciplinano, in sede di contrattazione integrativa di cui all’art. 7, comma 4, la concessione di benefici di natura assistenziale e sociale in favore dei propri dipendenti, tra i quali:a) iniziative di sostegno al reddito della famiglia;b) supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli;c) contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale;d) anticipazioni, sovvenzioni e prestiti a favore di dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali ordinari del credito bancario o che si trovino nella necessità di affrontare spese non differibili;e) polizze sanitarie integrative delle presta-zioni erogate dal servizio sanitario nazionale.2. Gli oneri per la concessione dei benefici di cui al presente articolo sono sostenuti nei limiti delle disponibilità già stanziate dagli enti, ai sensi delle vigenti disposizioni, anche per finalità assistenziali nell’ambito di strumenti a carattere mutualistico, anche già utilizzati dagli enti stessi.3. Nelle Camere di commercio l’erogazione delle prestazioni di cui al comma 1, lett. e) avverrà mediante successiva istituzione di - ovvero adesione a - un fondo di assistenza sanitaria integrativa del servizio sanitario nazionale. Il finanziamento a carico degli enti, che non dovrà determinare ulteriori o maggiori oneri, troverà copertura nelle risorse di cui al comma 2.

DottrinaWelfare aziendale

39

RISORSE UMANE • 2/2018

Del tutto simile il modulo di relazione sindacale – la contrattazione integrativa – e in larga parte coincidenti anche i “benefici di natura assistenziale e sociale” che vengono concessi in favore dei dipendenti, la cui elenca-zione deve essere assunta come non tassativa, avendo le Parti negoziali utilizzato al comma 1 l’inciso “tra i quali”.Cambiano le modalità di attingimento delle risorse fi-nalizzate al sostegno delle misure. Per il comparto delle Funzioni centrali, i relativi oneri sono sostenuti mediante utilizzo delle disponibilità già previste, per le medesime finalità, da precedenti norme di legge o di Ccnl, tra cui il citato art. 27, comma 2, del Ccnl degli enti pubblici non economici del 14.2.2001. Per la parte non coperta, si ricorre alla quota parte del fondo di cui all’art. 77, che regola la distribuzione delle risorse decentrate per i premi correlati alla performance organizzativa e indivi-duale, indennità di disagio, rischio, turno, reperibilità e particolari responsabilità, progressioni economiche, posizioni organizzative, altri incentivi, elenco a cui sono state espressamente inserite le misure di welfare integra-tivo. Strumenti che quindi verranno attivati nella misura in cui le parti negoziali in sede decentrata riusciranno a concordare una diversa distribuzione delle risorse, disto-gliendole da consolidati istituti di carattere retributivo.La stessa logica si ripete per il comparto Sanità, secon-do cui gli oneri per la concessione dei benefici “sono sostenuti mediante utilizzo di quota parte del Fondo di premialità e fasce”. Tutt’altra impostazione ha il Ccnl delle Funzioni locali, in base al quale gli oneri “sono sostenuti nei limiti delle disponibilità già stanziate dagli enti, ai sensi delle vigenti disposizioni, anche per finalità assistenziali nell’ambito di strumenti a carattere mutua-listico, anche già utilizzati dagli enti stessi”.Se le disponibilità già stanziate si concretizzano per re-gioni ed enti locali nei 29 euro medi pro-capite rilevati dall’Aran, il secondo pilastro del WA in ambito pubblico crolla ancor prima di essere eretto e l’art. 72 del nuovo Ccnl non può essere considerato un inizio. Semmai una provocazione, ma non nel senso migliore del termine. Negando all’un tempo la possibilità di impegnare ulte-riori risorse rispetto a quelle “già stanziate” e di giocare la partita della contrattazione integrativa – già difficilissima di per sé, dovendo distogliere risorse da istituti retributi-

vi – è evidente che il welfare contrattuale è destinato ad avere ben poco futuro.Tenendo peraltro conto dei solidi limiti che il legislatore ha posto alla spesa di personale, nel cui alveo non può non ricadere anche quella destinata a coprire gli oneri per benefici comunque concessi ai dipendenti.A meno che non si voglia limitare il welfare contrattuale alle misure già disciplinate dalla legge e dai Ccnl stessi in termini di orari di lavoro flessibile, permessi e congedi, assenze e aspettative, azioni positive, smart working17.Ha ragione da vendere chi ha sostenuto che lo sviluppo di pratiche di WA potrebbe contribuire in modo valido al rilancio delle politiche del personale pubblico, in quanto aprirebbero alla possibilità di superare la “monomania” degli incentivi di merito e il campo negoziale di secon-do livello rinnovando la contrattazione integrativa oggi centrata sulla sola distribuzione di risorse economiche18.E, aggiungiamo, potrebbe contribuire a irrobustire il welfare sussidiario in quanto tale, nel momento in cui si

(17) L’art. 18 della legge 22 maggio 2017, n. 81 lo ha tradotto in “lavoro agile”, con lo scopo di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici. Disposizioni che si applicano, “in quanto compatibili”, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti e “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. La Direttiva n. 3 del 2017, emanata ai sensi dell’art. 14 della legge n. 124/2015, impegna le amministrazioni a introdurre nuove modalità di organizzazione del lavoro basate sull’utilizzo della flessibilità lavorativa, sulla valutazione per obiettivi e la rilevazione dei bisogni del personale dipendente, anche alla luce delle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. A questo riguardo assumono rilievo le politiche di ciascuna amministrazione in merito a: valorizzazione delle risorse umane e razionalizzazione delle risorse strumentali disponibili nell’ottica di una maggiore produttività ed efficienza; responsabilizzazione del personale dirigente e non; riprogettazione dello spazio di lavoro; promozione e più ampia diffusione dell’utilizzo delle tecnologie digitali; rafforzamento dei sistemi di misurazione e valutazione delle performance; agevolazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. In quest’ultimo con-testo, le amministrazioni pubbliche, “nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, procedono a stipulare convenzioni con asili nido e scuole dell’infanzia e a organizzare, anche attraverso accordi con altre amministrazioni, servizi di supporto alla genitorialità, aperti durante i periodi di chiusura scolastica.

(18) G. Scansani, R. Ruffini Il welfare aziendale è possibile anche nel settore pubblico?, in www.secondowelfare.it.

DottrinaWelfare aziendale

40

RISORSE UMANE • 2/2018

chiede alle imprese di assumere un inedito protagonismo in tal senso, pur compensato da incentivi e facilitazioni fiscali. I nuovi Ccnl, soprattutto quello delle Funzioni locali, non pare abbiano lanciato una sfida adeguata, so-prattutto in termini di risorse, posto che il grosso degli incrementi contrattuali è destinato a coprire gli arretrati e rinfrancare i dipendenti dalla “dieta” imposta dalla spen-ding review, il fondo delle risorse decentrate resta tutto concentrato sui classici e consolidati istituti del tratta-mento accessorio, la spesa di personale rimane agganciata

a vincoli inespugnabili entro i quali ci si può muovere per favorire il turn over non certo per incrementare le risorse del fondo.Margini di manovra ne rimangono dunque pochi, il legislatore dovrà metterci del suo, magari allargando i benefici fiscali oggi destinati alle sole imprese o pensan-done di nuovi. Nel frattempo, l’impressione è che nelle prossime sessioni negoziali decentrate il welfare contrat-tuale – novello Carneade – difficilmente sarà presente negli ordini del giorno.

DottrinaE-democracy

41

RISORSE UMANE • 2/2018

E-democracy fra tecnologia, tecnica e politiche: il dis-velamento1 di un arcano di Riccardo Nobile

1. Annotazione introduttiva Talvolta capita di imbattersi in affermazioni apparen-temente seducenti: “il diritto deve appropriarsi della tec-nologia” piuttosto che “la politica, attraverso il diritto che essa crea, deve appropriarsi della tecnologia”2, soprattutto quando è sub iudice il suo rapporto con l’impiego di tecnologie informatiche applicate alla tenuta dei siste-mi democratici3. Che tali enunciati siano accattivanti è

(1) Il nome “disvelamento”, qui riprodotto nella forma “dis-velamento” ha una chiara attinenza e derivazione con la verità. Lo mostra l’ultimo: l’essere velato, sconosciuto, nascosto rimanda a “letheia” e, di conse-guenza, al verbo “lanthanein”; il togliere il velo, ossia il rendere evidente, rendere riconoscibile, può essere reso con “aletheia”, che significa proprio verità, e dunque dis-velatezza, dis-occultamento. Su tutto ciò, U. Galimberti, Il tramonto dell’occidente, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 16. Qui è tematizzato quanto espresso in M. Heidegger, La dottrina platonica dell’essere, in Segnavia, Adelphi, Milano, 1987, pp. 184 e ss. In questo lavoro non si ha certo la pretesa di mostrare verità, ma solo di esprimere un’opinione. Giudichi il lettore se accettabile o meno.

(2) Di ciò si è parlato nel convegno organizzato dalla Facoltà di scienze politiche – Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Statale di Milano il 12.2.2018. L’occasione è stata la presentazione del libro di Vilella (G.), Introduzione alla E-Democracy, Pendragon, Bologna, 2018, nel quale sono state messe in questione proprio le tematiche oggetto di questo breve paper.

(3) È ampiamente noto che l’introduzione delle tecnologie informatiche a disposizione della pubblica amministrazione ha avuto un’accelerazione davvero impressionante, né poteva non essere altrimenti. La prima vera e propria rivoluzione informatica applicata all’attività

fuor di dubbio. Che essi abbiano un senso è facilmente controvertibile4. Per rispondere all’assillante problema occorre intrapren-dere una breve digressione dai contorni apparentemen-te estranei al core della questione, e che, pur tuttavia, è autenticamente baricentrica e irrinunciabile concet-tualmente. Essa deriva dalla necessità non prorogabile di chiarire i contorni semantici del linguaggio impiegato nell’esposizione e nella trattazione della questione5: essa,

amministrativa si è avuta all’inizio degli anni ’90. In quel torno di tempo essa era limitata all’introduzione dei primi sistemi di scrittura e all’utilizzazione dei primi programmi di gestione automatizzata dei bilanci e dei sistemi di produzione documentale. Essa fu agevolata anche a livello legislativo con la previsione della deroga al principio dell’evidenza pubblica attuato con l’art. 1 della legge 11.11.1986, n. 770. Oggi la situazione è radicalmente mutata: l’ordinamento sta attuando, e con forza, la progressiva e irreversibile sostituzione di tutta la documentazione amministrativa con la documentazione informatica. Ne sono prova, il d.lgs. 7.3.2005, n. 82, di recente aggiornato con il d.lgs. 13.12.2017, n. 217.

(4) Come sarà ampiamente mostrato e dimostrato insieme, ciò deriva dalla confusione fra due veri e propri termini-chiave: “tecnologia” e “tecnica”. Ma di ciò si dirà amplius.

(5) C. Belacchi, B. Benelli, Il significato delle parole. La competenza definitoria nello sviluppo tipico e atipico, Il Mulino, Bologna, 2007. L’opera tratta della tematica in questione in differente ambito. Ciò nondimeno se ne possono trarre utili spunti di riflessione a livello metodologico generale.

DottrinaE-democracy

42

RISORSE UMANE • 2/2018

infatti, è sì concettuale, ma non vi è chi non veda come nessun concetto – e a maggior ragione, ogni famiglia di concetti, soprattutto quando imparentati, – sia au-tenticamente ricostruibile senza aver prima definito con chiarezza i termini e i confini del linguaggio di volta in volta impiegato6.

2. Linguaggio ed etimi Innanzitutto: cosa significa “tecnologia”? Senza volerci profondere in arcane analisi glottologiche che potrebbero apparire stucchevoli e odorare di muffa, “tecnologia” è termine di derivazione colta, anzi, coltissima. Esso ha la propria duplice radice in “tékne” e in “logos”, due termi-ni, anch’essi, non immediatamente facili da decifrare. Con “tékne” si fa usualmente riferimento ad almeno due evenienze: in primo luogo, la tecnica, in secondo luo-go, l’arte. Con “logos”, la faccenda si complica un po’.

(6) La centralità autenticamente baricentrica del linguaggio è sempre stata valorizzata dal pensiero occidentale. Solo due richiami: il primo è al Cratilo di Platone. Il secondo all’intera parabola filosofica di Wittgenstein. Nel Cratilo, Platone mette in questione il rapporto fra linguaggio, pensiero e realtà. Il linguaggio contiene in sé infinite saggezze. Esso nasce per imitazione, ma da essa presto si emancipa. La discussione fra Socrate, Cratilo e Ermogene è nota: i nomi nascono da convenzioni e rappresentano oggetti in termini di necessarietà? Da qui il bivio fra due teorie sul linguaggio mutuamene esclusive congiuntamente esaustive: il linguaggio nasce da convenzioni o esprime contenuti di necessarietà? Su tutto ciò, ex pluribus, F. Aronadio, I fondamenti della riflessione di Platone sul linguaggio: il Cratilo, Storia e letteratura, Roma, 2011. Ma è soprattutto in L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, 1953, trad. it. Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1980, che al linguaggio e alla sua importanza viene restituita la cifra fondamentale gli è propria in quanto tale. Il linguaggio non ha piú solo funzione di rappresentare la realtà sulla base dell’asserito isomorfismo fra pensiero-linguaggio-realtà, ma assolve a ben piú complesse funzioni. Linguaggio significante (“logos semantikos”, avrebbe detto Aristotele) non è piú solo il linguaggio apofantico (logos apophantikos), ma anche altro: in questo modo, il linguaggio dell’etica, dell’estetica, dell’arte, della religione e anche il linguaggio della politica recupera lo statuto di linguaggio pienamente significante. Questo, in termini, il pensiero espresso nel Per“ Ermene’s (Dell’espressione) libro II dell’Organon, trad. it. Dell’espressione, Laterza, Bari, 55: “ogni discorso è poi significativo, non già alla maniera di uno strumento naturale, bens“, secondo quanto si è detto, per convenzione. Dichiarativi sono, però, non già tutti i discorsi, ma quelli in cui sussiste un’enunciazione vera oppure falsa. Tale enunciazione non sussiste certo in tutti: la preghiera, ad esempio, è un discorso, ma non risulta né vera, né falsa. Prescindiamo dunque dagli altri discorsi, dal momento che l’indagine al riguardo è più pertinente alla retorica o alla poetica. Il discorso dichiarativo spetta invece alla presente considerazione”.

E infatti, “logos” mette in questione nozioni e concetti quali il discorrere, e il prodotto del discorso; lo scrivere trattati, e il prodotto della relativa azione, ossia il trattato, per l’appunto. Ma “logos” significa anche “pensiero” (sia pure in senso traslato) e “ragione”, termini dall’opacità semantica che definire ampia è dire poco. Senza impegnarsi troppo sull’esattezza degli explananda7 “tecnologia” fa riferimento al dire intorno alla tecnica, col che si ritorna daccapo. Ma “tecnologia” è sovente – e più esattamente – utilizzato per mettere in questione non tanto il mero discorso sulla tecnica, bensì l’insieme degli strumenti, spesso sofisticatissimi, di cui una data e determinata comunità dispone in un altrettanto dato e determinato momento storico8, per provocare mutamen-ti, realizzare oggetti o, più in generale, prodotti, manu-fatti, et simília, ovvero per realizzare imprese, e dunque svolgere o portare a compimento attività. Insomma, il nome “tecnologia” rimanda a un insieme di strumenti di cui una determinata comunità dispone, e dunque a mezzi: mezzi tecnici, per l’appunto. Ben diverso è il senso di “tecnica”, termine fortemente imparentato con “tecnologia”, ma che da esso deve essere accuratamente tenuto distinto. A questo proposito, non deve ingannare la comunanza delle derivazioni etimolo-giche. E infatti, come è stato acutamente fatto risaltare da Emanuele Severino (ex pluribus: Il destino della tecnica) e ripreso da Umberto Galimberti (in modo particolare, in Técne e Psiche), la tecnica non coincide affatto (o forse meglio sarebbe dire: “non coincide piú”) con gli stru-menti tecnologici, ma è divenuta, da un lato l’ambiente

(7) Di “explanans” ed “explanandum” parla e discetta ex pluribus von G.H. Wright, Explanation and Understanding, Cornell University Press, Ithaca, New York, 1971, trad. it. Spiegazione e comprensione, Il Mulino, Bologna, 1977; explanans: è ciò attraverso cui viene fornita una spiegazione (mezzo); explanandum: è ciò di cui viene fornita una spiegazione (realizzazione intenzionale dello scopo).

(8) Il riferimento alla contestualizzazione è di diretta derivazione Heideggeriana. Nel pensiero dell’autore, è centrale non tanto l’essere (“Sein”), quanto l’esserci (“Dasein”) e dunque l’esserCI dell’essere. Anche qui, è del tutto inutile affrontare la complessa problematica, trasportandola a una categoria generale del pensiero, ma occorre calarla nel più proprio contesto in cui essa si dà; certo, impiegando categorie, ma senza farne abuso. Il luogo dello sviluppo del pensiero risale al 1927 ed è contenuto in Sein und Zeit, Niemeyer, Tubinga, 2006, trad. it. Essere e Tempo, Mondadori, Milano, 2006.

DottrinaE-democracy

43

RISORSE UMANE • 2/2018

entro cui si dispiega la vita dei mortali, e, dall’altro, lo scopo ultimo cui tendono e sono effettivamente protési tutti i sistemi di valori, di spiegazione, di conoscenza et coeteris paribus9. L’evenienza rimanda al mito: al mito di Prometeo, il quale percorre l’intera parabola dello sviluppo della civiltà e del pensiero occidentale, cosí bene sottolineato nella sua tragicità nel Prometeo incatenato di Eschilo. Il mito è noto: con l’inganno, Prometeo ruba il fuoco agli dei e lo dona all’uomo, il quale, divenuto simile agli dei, proprio tramite il fuoco diviene in grado di trasformare la realtà tramite la metallurgia, forgiando oggetti e trasformando il minerale grezzo in nuovi prodotti. Di qui la punizione e il confinamento dell’ingannatore negli abissi10. Miti in disparte (ma mica tanto), è il pensiero contem-poraneo ad aver acutamente sottolineato cosa la tecnica sia davvero e come il relativo dominio operi sull’uomo.

(9) N. Cusano, Sulla “tecnica”. La “nuova morale” e le “foglie secche sui rami”, Mimesis, Milano, 2013, 15 e 16: “Che così è la “tecnica”? Rispondere a questo interrogativo significa rispondere anche all’obiezione per cui non sarebbe legittimo parlare di un’essente “tecnica”, ma solo di competenze tecniche specialistiche, “tecnicismi”, “tecnologie”, meri strumenti creati e usati in contesti diversi per perseguire gli scopi più disparati. Per togliere il (debole) argomento all’obiezione è sufficiente questo rilievo: che la tecnica sia utilizzata da forze politiche, economiche, sociali, religiose ecc., non significa che non esista, accanto a tali forze, una diversa volontà di rivolgersi alla capacità di realizzare scopi. E tale volontà è appunto la “tecnica”, di cui teniamo ferma la definizione severiniana di “volontà di potenziare indefinitamente e incondizionatamente la capacità di realizzare fini”. E ancora,“Capacità di realizzare fini” significa colmare le mancanze, risolvere problemi, eliminare bisogni. La tecnica non è dunque un mezzo incosciente, ma un vero e proprio “sistema” che, a differenza degli altri sistemi che usano la tecnica per realizzare i loro scopi specifici, non ha scopi particolari ma un unico scopo: l’indeterminato potenziamento della potenza. Senza nessuna limitazione”. Proprio per questi motivi, la tecnica altro non è che un “sistema di sottoinsiemi” “avente come obiettivo il potenziamento indefinito della capacità di realizzare scopi. I “sottoinsiemi” sono, per esempio, il sistema economico, finanziario, giuridico, militare, sanitario, scolastico, religioso ecc. Ogni sottoinsieme (di cui la tecnica è sistema) ha come scopo la realizzazione di un obiettivo particolare, in lotta con gli altri sistemi per imporre i propri scopi su quelli degli altri”.

(10) Ecco i passaggi più salienti della vicenda: “[…] a rupi vertiginose quest’uomo costringi con ceppi infrangibili di catene adamantine. Egli sottrasse il tuo fiore, il bagliore del fuoco, che è padre di tutte le arti, e l’offerse ai mortali. Di tale misfatto bisogna che paghi le pene agli dei, e impari a rispettare la signoria di Zeus abbandonando il suo amore eccessivo per gli uomini”. E ancora: “Un dono largito agli uomini piega al giogo di questo destino me, un miserabile: chiusa nel cavo d’una canna furtiva sottraggo la sorgente della fiamma, che si rivelò ai mortali maestra d’ogni arte e formidabile risorsa”.

In Técne e Psiche il pensiero ricorre in modo esplicito e drammatico insieme11: la tecnica non coincide più con un apparato di strumenti, ma con l’ambiente entro cui l’uomo vive le proprie relazioni, ambiente trasformato dalla tecnica e dagli strumenti – le tecnologie – di cui essa si avvale. Altrettanto se ne fa menzione ne Il destino della tecnica12: la tecnica non è piú mezzo, ma scopo degli scopi, della quale gli apparati vogliono appropriarsi per potenziare indefinitamente gli scopi particolari ed esclu-denti che essi vogliono perseguire e conseguire. Che la tecnica intercettasse nozioni sovrapponibili a quella di strumento era particolarmente vero quando i mortali riuscivano a piegare la natura ai propri scopi, costruendo ponti, strade o navigando per i mari: in definitiva, quando essi si limitavano ad attingere alle risorse della terra, senza pretendere di modificarla. Ma oggi la tecnica ha finito con l’interferire con l’ambiente entro cui essi dispiegano la loro vita, fino al punto di divenire essa stessa l’ambiente entro cui la parabola esistenziale dell’uomo e di ciò che lo circonda si dà. Ma vi è di più: della tecnica hanno bisogno tutti i sistemi valoriali, ideologici, conoscitivi et sim’lia, e dunque tutte le forze di volta in volta in campo. Ciascu-no/a portatore di scopi propri, la massimizzazione dei quali presuppone l’appropriazione non tanto di tecnologie, ma della tecnica tout court. La richiesta è teorizzata in termini espliciti da Martin Heidegger. Se ne trova traccia anche

(11) U. Galimberti, Tecne e Psiche, Feltrinelli, 1999, 34: “per il fatto che abitiamo un mondo in ogni sua parte tecnicamente organizzato, la tecnica non è piú oggetto di una nostra scelta, ma è il nostro ambiente, dove fini e mezzi, scopi e ideazioni, condotte, azioni e passioni, persino sogni e desideri sono tecnicamente articolati e hanno bisogno della tecnica per esprimersi”.

(12) E. Severino, Il destino della tecnica, Rizzoli, Milano, 1988, 34 e 35: “[…] la tecnica mira non a uno scopo specifico e escludente, bensí all’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi, che è insieme incremento indefinito della capacità di soddisfare bisogni […]. È inevitabile quindi che tali forze […] rinuncino progressivamente allo scopo che pur intendono realizzare, e vi rinuncino appunto per non frenare, limitare, indebolire l’indefinito potenziamento degli strumenti – l’apparato scientifico-tecnologico con cui intendono realizzare tale scopo. In rapporto alla realizzazione dello scopo, il perfezionamento del mezzo che deve realizzarlo è infatti limitato e frenato. Altrimenti, il vero scopo diventerebbe tale perfezionamento. E se si vuole evitare questa limitazione (nell’illusione che potenziando indefinitamente il mezzo venga favorita la produzione dello scopo), è necessario che il perseguimento dello scopo non intralci il perfezionamento del mezzo, e dunque venga subordinato a tale perfezionamento – che cosí diventa il vero scopo primario”.

DottrinaE-democracy

44

RISORSE UMANE • 2/2018

in Herbert Marcuse. Il primo ne tratta in La questione della tecnica13, ove sottolinea il timore che la tecnica sovrasti l’uomo, che ne diviene funzionario, oggi si direbbe “funzionario di apparati”. Qui la tecnica viene messa in stretta relazione al pro-durre – la tecnica è, oltre che tékne anche e forse soprattutto póiesis, – dunque al venire-in-essere in un con-testo: l’apparato, del quale la persona è funzionario, nel senso che la sua attività rileva in quanto funzionale alla realizzazione dei suoi scopi. Qui la tecnica è sostanzial-mente dis-velamento attuato tramite il pro-durre14, ossia il realizzare un’azione intenzionale e voluta (“ducere”) preordinandola a uno o più scopi (è questo il senso della particella “pro”). Il secondo ne discute in L’uomo a una dimensione15. Qui l’automazione, che è un sottoprodotto della tecnica in-tesa come ambiente nel quale si danno cambiamenti, è vista come evenienza che determina una vera e propria inversione fra categorie, e precisamente come passag-gio dalla quantità alla qualità. La suggestione è ovvia: l’automazione, che si dà come conseguenza del dominio progressivo della tecnica nello svolgimento delle relazioni degli/fra uomini ha effetto soggiogante perché tutto ciò che essa determina è la sua elevazione a scopo e non più a mero strumento. Bastano queste due sottolineature per evidenziare che tecnica e tecnologia non coincidono affatto, anche se sono accomunate da una medesima derivazione d’etimo. I due concetti devono essere tenuti accuratamente distinti per evitare errori epistemologici e per non creare pericolosi

(13) M. Heidegger, Die Frage nach der Tecnik in Vortrage und Aufsatze, Verlag Gunter Neske Pfuffigen, 1954, trad. it., La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, 1991, p. 5 e ss.

(14) “Pro-durre” è termine caro a M. Heidegger, op. loc. ult. cit., il quale ne fa il baricentro della sua concettualizzazione della tecnica.

(15) H. Marcuse, One-Dimensional Man. Study in the Ideology of Ad-vanced Industrial Society, Boston Press, Boston. 1964, trad. it. L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1964, p. 51 e ss.: “col progresso tecnico come strumento, la non-libertà – intesa come soggezione dell’uomo al suo apparato produttivo – vien perpetuata e intensificata sotto forma di molte piccole libertà e agi. […]. L’automazione pare davvero essere il grande catalizzatore della società industriale avanzata. È un catalizzatore esplosivo o, a seconda, non esplosivo, che opera un mutamento qualitativo nella base materiale, strumento tecnico del salto dalla quantità alla qualità”.

fraintendimenti e, dunque, perniciosi oscuramenti della realtà entro la quale si dispiega la parabola esistenziale degli umani (ma non solo)16. Dopo aver trattato di tecnica e di tecnologia è ora possi-bile applicarne le acquisizioni all’ e-democracy e al modo con cui essa viene intesa e agita. Di qui la centralità della tripletta “tecnica-tecnologia-e-democracy”, alla quale non è affatto estranea qualche breve digressione sul concetto di democrazia tout-court.

3. Tecnica, tecnologia ed e-democracy E ora, la questione cruciale: che significa che la politica deve appropriarsi della tecnologia per attuare un’efficiente e-democracy? Ma dopo tutto, cos’è mai questa e-demo-cracy? Come si applica l’“e-” alla democrazia, osservato che tale prefisso nominale è applicabile un po’ a tutto, salvo declinarlo o almeno menzionarlo?In via di prima approssimazione, si può dire che la nozione e il relativo precipitato concettuale rimandano al raffor-zamento dei sistemi cosiddetti “democratici” attraverso il ricorso alle tecnologie informatiche. Ma anche qui, meglio sarebbe dire “entro un ambiente tecnico nel quale si danno tecnologie”: tecnologie informatiche, per l’appunto. Con “e-democracy” una fonte particolarmente autorevole inten-de “la partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche amministrazioni locali ed ai loro processi decisionali attra-verso l’utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione. L’impiego innovativo delle ICT consente l’apertura di nuovi spazi di dialogo tra cittadini e amministrazione che integra-no e rafforzano le forme tradizionali di partecipazione”. Il tutto preordinando tale auspicio a non meno di tre scopi: “migliorare la qualità delle politiche pubbliche”, “aumentare la fiducia nell’amministrazione” e “contribuire al rafforza-mento della democrazia”17, cui si aggiunge il favorire la

(16) L’uomo, che ha sviluppato tecnologie, che sono insiemi di strumenti, è dunque immerso nell’era della tecnica, che è divenuta dominio, ambiente e scopo ultimo. Di qui la domanda: ma dopo tutto qual è lo scopo della tecnica? È forse il miglioramento della condizioni della vita, dell’ambiente, delle relazioni interpersonali e dunque della democrazia? La risposta è no: la tecnica è un po’ come la volontà di potenza di Nietzsche: cos“ come la volontà di potenza vuole solo incrementarsi, altrettanto la tecnica: la tecnica persegue il solo scopo del proprio autopotenziamento.

(17) La fonte è Formez PA, in http://qualitapa.gov.it/customer-satis-faction/ascolto-e-partecipazione-dellutenza/e-democracy/

DottrinaE-democracy

45

RISORSE UMANE • 2/2018

partecipazione dei cittadini alle decisioni che li riguardano. In via di seconda approssimazione, la definizione di “e-democracy” rimanda alle piú recenti acquisizioni del Parlamento europeo, il quale insiste sul concetto di inclu-sività, volendo significare che ai fini dell’accesso alla rete deve essere neutralizzata la differenziazione fra utenti in funzione della loro capacità tecnologica. A questo punto, dovendo – o volendo – garantire effettività al principio di eguaglianza sostanziale, divengono elementi caratterizzanti dell’e-democracy i seguenti momenti: l’“e-consultation”, l’“e-petition”, l’“e- deliberation”, l’“e-budgeting” e, dulcis in fundo, l’“e-voting”, tutte variamente definite dalla let-teratura specialistica in materia. Le conseguenze positive di tale impostazione balzano all’occhio: maggior quantità di dati prodotti, maggiore circolazione di dati, maggiore conoscibilità e diffusione dei dati prodotti, maggior percezione di trasparenza, maggiore eguaglianza della persona al cospetto di chi produce i dati. Nonostante la dichiarata nobiltà degli scopi, il ricorso alle tecnologie informatiche applicate alla democrazia deter-mina conseguenze non propriamente positive, che meri-terebbero un’indagine piú approfondita: la mole dei dati in circolazione ottunde e non ne facilita il reperimento, non tutte le persone sono in grado di padroneggiare gli strumenti informatici in uso, l’utente dei dati deve essere prima di tutto un “utente capace”, la mole dei dati in cir-colazione determina il livellamento dei loro contenuti, la vulnerabilità della struttura non garantisce la sicurezza dei dati, la loro rapida circolazione consente nuove forme di manipolazione delle persone, la raccolta dei dati avviene in modo sovente incontrollato18 e cosí via. Evenienze, queste, cui si aggiunge la pratica impossibilità che il cittadino possa davvero partecipare alla formazione delle scelte che lo riguardano: impossibilità che è insieme falsità e uto-pia19. Al che si aggiunge il rischio che questa modalità di

(18) L’incontrollabilità della raccolta dei dati e la sua concentrazione in capo a pochi operatori, quasi sempre soggetti non istituzionali, determina la profilazione – per non dire la schedatura – della persona, e questo favorisce forme di manipolazione del pensiero fino a oggi inesplorate, anche se facilmente intuibili.

(19) Su tutto ciò, in tempi non sospetti, N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, p. 34 e ss., del quale è utile ram-memorare il pensiero: “Se per democrazia diretta s’intende alla lettera la partecipazione di tutti i cittadini a tutte le decisioni che li riguardano, la proposta è insensata. Che tutti decidano su tutto in società sempre più complesse come sono le società industriali moderne è materialmente im-possibile. Ed è anche umanamente, cioè dal punto di vista dello sviluppo

intendere la democrazia si trasformi in una vera e propria teatrocrazia20 o teatralizzazione della democrazia. D’altronde, l’e-democracy ha come obiettivo l’incremento illimitato della partecipazione della persona al processo de-cisionale che la riguarda. Ma l’e-democracy è prima di tutto un modo di intendere il funzionamento della democrazia, nella quale le decisioni sono assunte non dai rappresentati, che sono poi i soggetti incisi direttamente dalle decisioni, ma dai rappresentanti, i quali, per giunta, non hanno vincolo di mandato nei confronti dei primi. Ecco dunque che per volere più partecipazione della persona ai processi decisionali che la riguardano, l’e-democracy, proprio e per-ché essa è prima di tutto democrazia, deve anche volere che il luogo della decisione sia quello istituzionalmente e ordinamentalmente deputato ad assumerle. Ed è pro-prio qui che tecnica e e-democracy entrano fatalmente in conflitto, proprio perché l’e-democracy è possibile solo entro un ambiente nel quale la tecnica esercita il proprio dominio. La volontà della tecnica di accrescere indefini-tamente la propria potenza è incompatibile con la volontà

etico e intellettuale dell’umanità, non auspicabile. [...] Ma l’individuo rousseiano chiamato a partecipare dalla mattina alla sera per esercitare i suoi doveri di cittadino sarebbe non l’uomo totale ma il cittadino totale. E il cittadino totale non è a ben guardare che l’altra faccia non meno minacciosa dello stato totale. [...]. Il cittadino totale e lo stato totale sono le due facce della stessa medaglia, perché hanno in comune, se pur una volta considerato dal punto di vista del popolo, l’altra volta dal punto di vista del principe, lo stesso principio: che tutto è politica, ovvero la riduzione di tutti gli interessi umani agli interessi della polis, la politicizzazione integrale dell’uomo, la risoluzione dell’uomo nel cittadino, la completa eliminazione della sfera privata nella sfera pubblica, e via dicendo”. Sull’evoluzione del pensiero di Norberto Bobbio in materia, Grosso (E.), Democrazia rappresentativa e democrazia diretta nel pensiero di Norberto Bobbio, in “Rivista AIC”, 2015.

(20) La nozione e il concetto di teatrocrazia risale a Platone e lo ritrova ben esplicitato nel § 701 di Nomoi, trad it. Leggi, Laterza, Bari, 1993, p. 116. La teatralizzazione della democrazia è il rischio oggi piú marcato; essa, a ben vedere, si fonda sul principio aberrante della valorizzazione dell’incompetenza. Un’utile rappresentazione di ciò che la teatrocrazia è si rinviene in de J. Romilly, M. Trédé, Petites leçons sur le grec ancien, Stock, Parigi, 2008, trad it. Elogio del greco antico, Il Nuovo Melangolo, Genova, 2017, p. 62: “d’altronde, un’altra creazione platonica ingiustamente dimenticata, la “teatrocrazia”, potrebbe forse ritrovare vita e senso nel nostro mondo contemporaneo, definito a volta una “società dello spettacolo”. La teatrocrazia corrisponde, nell’evoluzione democratica, a quello stadio in cui tutti si credono competenti su tutto, senza aver nulla appreso, inizialmente a teatro, e poi negli altri campi del sapere. Ciascuno acquista allora una sicurezza che si trasforma ben presto in impudenza, rifiuta qualsiasi autorità e finisce col disobbedire alle leggi, non rispettando più né giuramenti, né impegni”. Il quadro è davvero edificante, non v’é che dire.

DottrinaE-democracy

46

RISORSE UMANE • 2/2018

della e-democracy di lasciare che sussista quel bisogno che consiste nella conservazione del luogo istituzionale nel quale sono assunte le decisioni che riguardano le persone. Il che è palesemente una contraddizione in termini21 22. Il tutto, senza che sia davvero messo in questione se ciò che è autenticamente propedeutico all’accesso alla rete informatica sulla quale circolano i dati sia o meno un vero e proprio diritto soggettivo, e come tale azionabile in via diretta innanzi al giudice e quindi ne sia o possa essere sanzionata la negazione in un modo purchessia: il diritto alla connessione alla rete informatica23 24.

(21) A questo proposito, lo ribadiamo, si veda il lucidissimo pensiero di N. Bobbio, loc. cit.: “Se per democrazia diretta s’intende alla lettera la partecipazione di tutti i cittadini a tutte le decisioni che li riguardano, la proposta è insensata”.

(22) Quanto evidenziato ricalca l’insanabile incompatibilità che sussiste, a esempio, fra tecnica e capitalismo, su cui N. Cusano, op. loc. cit: “Il capitalismo ha come obiettivo l’incremento illimitato del prof-itto; ma poiché tale incremento è direttamente proporzionale all’efficacia dello strumento, volere l’incremento del profitto significa anche volere il potenziamento dell’efficacia dello strumento” […] “e tale strumento oggi è appunto, per tutte le forze in campo, la tecnica guidata dal sapere scientifico”. E ancora, “e qui viene a galla l’incompatibilità essenziale di tecnica e capitalismo, contrariamente a quello che si è soliti ritenere. La prima, infatti, è volontà di potenziamento incondizionato e illimitato della capacità di realizzare fini, mentre il secondo, volendo “più profitto”, deve anche volere la “scarsità media” delle merci, indispensabile alla circolazione delle merci e di conseguenza all’incremento del profitto. La volontà della tecnica di accrescere indefinitamente la potenza, cioè l’eliminazione di ogni impotenza, è incompatibile con la volontà del capitalismo di non eliminare ogni impotenza, cioè di lasciare che sussista quel bisogno che consiste nella scarsità media delle merci. Tecnica e capitalismo vengono erroneamente accomunati, come fossero un tutt’uno, mentre sono essen-zialmente incompatibili”.

(23) Se accedere alla rete è la precondizione per l’esercizio di diritti, allora accedere alla rete non può che essere un vero e proprio diritto soggettivo. Sarà la progressiva maturazione dell’ordinamento nell’an-damento della giurisprudenza della Corte costituzionale a ricondurlo e a conformarlo quale diritto ex artt. 2, 3 e 97 Cost. Sulla questione vale la pena evidenziare che il Consiglio di Stato ha avuto modo di interessarsi della vicenda. Vi ha provveduto con il par-ere espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi 7.2.2005, n. 11995/2005, i cui contorni in materia sono però insoddisfacenti. Differente per contenuti e chiarezza enunciativa è l’art. 1, comma 1 della legge della regione Umbria 13.12.2013, n. 31, di cui è bene riportare il testo: “la Regione riconosce il diritto di tutti i cittadini di accedere a internet quale fondamentale strumento di sviluppo umano e di crescita economica e sociale e promuove lo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione al fine di assicurare la partecipazione attiva alla vita della comunità digitale”.

(24) Che il diritto ad accedere alla rete sia un vero e proprio diritto esistenziale della persona lo si deve alla risoluzione approvata dall’As-semblea ONU del 27.6.2016 “[…] Considering the key importance of

E ora la domanda cruciale, da cui prende spunto l’intito-lazione di questo breve paper: ha davvero senso chiedersi e interrogarsi se il diritto debba o possa appropriarsi non della tecnologia (questione scontata, ma errata sotto il profilo epistemologico), ovvero, piú propriamente, se il diritto, o meglio se la politica attraverso il diritto che conia ed esprime (ricordiamo che l’esercizio delle attività politiche nei luoghi istituzionalmente a ciò deputati ha autentica capacità e attitudine nomopoietica), possa mai realmente appropriarsi della tecnica per conformarla? Per svelare l’arcano è bene disambiguare da subito un’e-venienza che riveste i caratteri dell’urgenza. Parlare di politica tout court non ha il benché minimo senso perché qui si è al mero cospetto di una generica categoria del pensiero25. Meglio sarebbe discettare di politiche, ossia di assetti valoriali di cui sono portatori gruppi ben deter-minati di individui, che, in quanto tali, esprimono valori condivisi e quindi scopi comuni da realizzare26.

government engagement with all relevant stakeholders, including civil society, private sector, the technical community and academia, in promoting and protecting human rights and fundamental freedoms online, 1. Affirms that the same rights that people have offline must also be protected online, in particular freedom of expression, which is applicable regardless of frontiers and through any media of one’s choice, in accordance with articles 19 of the Universal Declaration of Human Rights and the International Covenant on Civil and Political Rights; […]”.

(25) Cosa sia la politica è molto ben evidenziato da Aristotele nel Peri Politike. Politica è unione dei plures, ossia dei gruppi che si aggregano per condurre una vita comune secondo regole: le regole di Dike, ossia della giustizia. Politica è anche separazione: separazione della comunità da altre comunità, pure politicamente organizzate piuttosto che dagli oi barbaroi. Politica è anche rispetto del nomos, che assicura stabilità e pro-tezione. Ne parla Eschilo nelle Eumenidi, dove il rispetto della giustizia è posto come precondizione della protezione assicurata dagli dei, nello specifico da Athena, che interviene nel processo dinanzi all’Aerophago a Oreste col proprio voto e lo salva. La conseguenza è ovvia: Atene godrà del favore degli dei fino a quando avrà rispettato Dike.

(26) Il passaggio dalla politica alle politiche è davvero cruciale. La politica rischia di essere vista – ma è fatale che sia così – alla stregua di una categoria generale del pensiero. Che ciò sia errato è sicuramente falso. Vero è però che agirla in questo senso oscura il dato effettuale che qui pare davvero dirimente. Parlare di politiche non disancora il discorso dalla realtà e dal suo rapporto con la parabola esistenziale degli umani. Fermi il significato, la nozione e il concetto di politica, le politiche appaiono súbito per quel che sono: evenienze non necessarie, ma contingenti, ossia insiemi di scopi da perseguire e da conseguire. Ecco, le politiche sono evenienze storiche, e, come tali, mutevoli. Ciò che le caratterizza è la tensione verso finalità, per conseguire le quali occorrono strumenti. Ma quando le politiche agiscono nell’era della tecnica, quest’ultima le trascende, perché tutte esse per autopotenziarsi devono appropriarsi della tecnica, che diventa in tal modo il loro scopo

DottrinaE-democracy

47

RISORSE UMANE • 2/2018

E qui si torna fatalmente al punto di partenza. Già perché le politiche altro non sono che insiemi di fini da conseguire, le quali hanno bisogno, per poterne massi-mizzare la capacità di realizzazione e di conseguimento (qualcuno potrebbe dire a buon titolo “di performance”), non della tecnologia, ma della tecnica, di cui debbono appropriarsi proprio per autopotenziarsi. Il tutto con l’avvertenza che la tecnica non esprime valori, ma solo funzionalità27. Ecco allora che chiedere alla politica – rectius: “alle politi-che” – di appropriarsi della tecnica per piegarla ai propri scopi è un po’ come pretendere di flettere l’inflessibile. Il che suona oltre che errato, anche patetico. A parte la circostanza secondo cui sarebbe bene mettere in questione una buona volta per tutte se le politiche sono (siano) o meno espressione di valori in sé ovvero di utilità di apparati che le trascendono, andare in quella direzione è un po’ come chiedere a-chi-può, di-voler- (meglio: do-ver-) non-potere. Il che è, diciamocelo con franchezza, stucchevole. Le politiche non possono che subire la tecnica e tutte le sue implicazioni, per l’ovvia ragione che esse si danno entro un ambiente dato: l’ambiente della tecnica, per l’appunto, della quale le tecnologie sono nulla di piú che strumenti. A queste annotazioni, già di per sé dirimenti e paradig-matiche, se ne aggiungono altre. Da mettere in questione – e occorre farlo con elementi di segnalata urgenza e preoccupazione – sono, in primo luogo, le modalità del coinvolgimento globale delle per-sone nei processi di formazione delle decisioni pubbliche. Ciò che occorre tematizzare sono i modi attraverso i quali viene assicurata l’informazione del contorno – ambiente, contesto – entro cui è calata la richiesta di apporto e i termini entro i quali si svolge l’acquisizione dei giudizi e/o delle manifestazioni di volontà dei soggetti coinvolti. È noto, infatti, che la comunicazione diffusa richiede sovente forme di semplificazione dei contenuti, attesa la generalità dei destinatari e quindi la caratterizzazione del loro target medio. La quale, quando è eccessiva, li annulla e trasforma la comunicazione in un insieme di parole

ultimo. Ciò vale in particolare per le ideologie, per le religioni, per i sistemi conoscitivi e scientifici e così via.

(27) La tecnica non è né vera, né falsa; né giusta, né ingiusta. La tecnica o funziona o non funziona: tertium non datur.

prive di referente (Bedeutung, Denotation) piuttosto che in vere e proprie parole-valore28. Ma vi è di più. Le forme di democrazia diretta sono destinate fatalmente al fallimento proprio nell’era della tecnica, nella quale al soggetto cui si chiede di partecipa-re attivamente ai processi di formazione delle decisioni pubbliche mancano le necessarie cognizioni tecniche per poter decidere in modo pienamente informato e dunque consapevole. Ecco allora che le valutazioni e le espressioni di giudizio rese avvengono non su base conoscitiva, ma meramente retorica proprio perché non tecnicamente in-formate. E, com’è facilmente intuibile, tutto ciò si presta a forme di manipolazione di straordinaria potenza, con effetti falsanti davvero stravolgenti29. A ciò si assomma il rischio, tutt’altro che inattuale, che i processi di parteci-pazione alle decisioni siano eteropilotati attraverso l’uti-lizzazione di forme artate nella formulazione dei quesiti ovvero il ricorso a tecniche manipolatorie ben note alla letteratura e alla prassi specialistica.

4. Conclusione Che dire a questo punto? Nulla di nuovo, se non che le politiche possono appropriarsi solo degli strumenti di volta in volta sviluppati entro gli apparati tecnolo-gici in cui essi si danno in un dato momento storico. Giammai però le politiche possono appropriarsi della tecnica, vero e proprio dominio e ambiente entro cui

(28) Cosa sia una parola-valore è noto, ma è ben rammemorarlo: essa è un nome o una locuzione la cui funzione non è descrivere la realtà e quindi produrre contenuti di conoscenza, ma solo orientare il desti-natario verso direzioni precostituite. Le parole-valore appartengono al dominio del linguaggio persuasivo, per la cui caratterizzazione si può vedere ex plurimus C.L. Stevenson, Persuasive definition, in “Mind”, 1938, p. 331 ss.: “a “persuasive” definition is one witch gives a new conceptual meaning to a familiar word without substantially changing its emotive meaning, and witch is used with a conscious or unconscious purpose of changing, by this means, the direction of people’s interest”. Il linguaggio attraverso cui si esprime la politica – rectius, si esprimono le politiche – è prevalentemente linguaggio persuasivo, e della peggior specie. Per convincersene, è sufficiente analizzare i contenuti dei pro-grammi elettorali, sui quali transeamus.

(29) Si pensi, ad esempio, alla proliferazione dei referendum su ques-tioni nelle quali la tecnica è sovrana. Per esprimersi compiutamente su quesiti che riguardano il ricorso agli OGM occorre essere almeno ingegneri molecolari o genetisti; per potersi esprimere compiutamente sull’utilizzazione dell’energia nucleare, ingegneri atomici o fisici delle particelle, et coeteris paribus.

DottrinaE-democracy

48

RISORSE UMANE • 2/2018

le politiche agiscono. Pensare di poterlo fare è pura utopia. Ipotizzare un luogo nel quale ciò possa accadere è distopia30. Certo, le politiche possono darsi dei limiti nell’uso degli strumenti tecnologici, ma questa è altra cosa. Limiti etici in primo luogo, anche se nei casi cruciali, ossia quelli del fine e dell’inizio vita le politiche mostrano tutto il loro limite e tutta la loro soggezione nei confronti del mondo entro cui agiscono: il mondo della tecnica. Che, oltre tutto, finisce fatalmente con l’azzerare la rilevanza del tempo, che è oggi prevalentemente tempo scopi-co31, ossia tempo nel quale se da una causa non segue

(30) Di distopia si rinviene un utile assaggio nel noto romanzo di Aldous Huxley, Brave new World, Chatto e Windus, Londra, 1932, trad. it. Il mondo nuovo, Mondadori, Milano, 2007, rispetto al quale 1984 di George Orwel appare, sia pure con tutta la sua drammatica attualità, un mero canovaccio anticipatorio di ben altro.

(31) I greci parlavano di tempo in almeno tre modi: “kronos”, “kairos” e “scopos”. Il cristianesimo ha aggiunto la nozione di eschaton e dunque di tempo escatologico. Il primo è il tempo misurato per succedersi di intervalli regolari e uniformi; il secondo è il tempo nel quale assumere la scelta migliore; il terzo è il tempo dell’immediato. Il tempo escatologico è quello dell’ultimo giorno, ignoto ai greci per i quali la storia aveva andamento circolare e non rettilineo e progressivo.

l’effetto hic et nunc, allora la causa cessa di essere tale per divenire altro. Queste sono in breve le ragioni per le quali le politiche e la tecnica non dialogano. Men che meno quando si parla di democrazia e di e-democracy.Oggi occorre rassegnarsi a ben altro: le politiche – non la politica – agiscono e sono agite entro un ambiente che le trascende. E questo è proprio l’ambiente della tecnica, che è e resta ciò che rimane della parabola entro cui è iscritto quell’occidente che ne ha enucleato e caratterizzato la portata e i valori e che oggi pare intravvedere il proprio inesorabile tramonto32.

(32) La parabola entro cui è iscritto il tramonto dell’occidente ha in O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte, Verlag C. H. Beck, Monaco, 1923, trad it. Il tramonto dell’occidente, Longanesi, Milano, 2008. La parabola è completata dall’interessante saggio di U. Galimberti, Il tramonto dell’occidente, Feltrinelli, Milano, 2005.

DottrinaAccesso agli atti

49

RISORSE UMANE • 2/2018

Il doppio binario dell’accesso agli atti amministrativi: i rapporti tra l’accesso (più in profondità) documentale e l’accesso (più esteso) civico generalizzato di Paolo Canaparo

Il d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 ha introdotto l’istituto dell’accesso civico generalizzato che rappre-senta un importante strumento chiaramente indirizzato a realizzare la trasparenza amministrativa e cioè la comprensibilità e la conoscibilità, dall’esterno, dell’attività amministrativa, in particolare da parte dei cittadini; comprensibilità e conoscibilità finalizzate, in particolare, a realizzare impar-zialità e buon andamento dell’azione amministrativa e a far comprendere le scelte rivolte alla cura dell’interesse pubblico.

1. L’introduzione dell’accesso civico generalizzato e la permanenza dell’accesso agli attiL’introduzione dell’istituto dell’accesso civico genera-lizzato – entrato in vigore nel nostro ordinamento il 23 dicembre 2016 – ha rappresentato, senz’altro, la novità principale apportata dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, quale “importante strumento chiaramente indirizzato a realizzare la trasparenza amministrativa e cioè la comprensibilità e la conoscibilità, dall’esterno, dell’attività amministrativa, in particolare da parte dei

cittadini; comprensibilità e conoscibilità finalizzate, in particolare, a realizzare imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa e a far comprendere le scel-te rivolte alla cura dell’interesse pubblico”1. La legge 7 agosto 1990, n. 241, per anni è stata considerata come la “fonte” unica della regola generale della trasparenza amministrativa: sia perché consentiva di conoscere i documenti e gli atti adottati nell’esercizio dell’attività amministrativa mediante il riconoscimento del diritto

(1) TAR Campania, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901.

DottrinaAccesso agli atti

50

RISORSE UMANE • 2/2018

all’accesso documentale, sia perché introduceva norme improntate alla trasparenza (in tema di partecipazione procedimentale dei privati e di obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi). Sulla scia dei concetti in-trodotti dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in materia di trasparenza e in attuazione della delega recata dall’art. 1, commi 35 e 36 della legge 28 novembre 2012, n. 190, in tema di “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, è stato adottato il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (c.d. Codice sulla trasparenza), come modificato dal decreto legislativo 97/2016, che ha operato una importante estensione dei confini della trasparenza intesa oggi come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pub-bliche”. Lo strumento dell’accesso civico generalizzato consente, per la prima volta, nel nostro ordinamento, l’accesso alla documentazione in possesso delle ammini-strazioni, senza la necessità di un manifesto interesse da parte dell’accedente, naturalmente senza travalicare i li-miti previsti dal legislatore (art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. 33/2013), posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati che potrebbero confliggere con la volontà di cono-scere, espressa dal cittadino2. L’ampio diritto all’informa-zione e alla trasparenza dell’attività delle amministrazioni e degli altri soggetti indicati nel neo-introdotto articolo 2-bis del Codice della trasparenza resta temperato solo dalla necessità di garantire le esigenze di riservatezza, di segretezza e di tutela di determinati interessi pubblici e privati (come elencati nell’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013) che diventano l’eccezione alla regola, alla stregua degli ordinamenti caratterizzati dal sistema FOIA, (l’acronimo deriva dal Freedom of Information Act, e cioè la legge sulla libertà di informazione adottata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966). Tale controllo è, quindi, funzionale a con-sentire la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico

(2) Cons. Stato, sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515.

e finalizzato ad assicurare un diritto a conoscere in piena libertà, anche dati “ulteriori” e cioè diversi da quelli pub-blicati, naturalmente senza travalicare i limiti previsti dal legislatore e posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati. Fino a prima, la legge 7 agosto 1990, n. 241, riservava la possibilità di accedere ai documenti della p.a. solo a chi avesse «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (art. 22, comma 1, lett. b, come sostituito dall’articolo 15 della legge 11 febbraio 2005 n. 15). Questa restrizione era la differenza più vistosa tra la normativa italiana e quella in vigore in quasi tutti i Paesi della UE e in moltissimi altri (USA, Canada, Messico, Brasile, Sudafrica, India, ecc.). Uno dei cardini delle leggi sul diritto d’accesso ai documenti della p.a. vigenti all’estero – in genere noti come FOIA, ovverosia leggi sul diritto all’informazione (sottinteso, detenuta dalla p.a.) – è proprio che il richie-dente non deve essere obbligato a motivare la richiesta. Il Consiglio d’Europa aveva ripetutamente raccomandato ai Paesi membri di dotarsi di leggi sull’accesso che non prevedessero l’obbligo di motivare la richiesta (Recom-mandation No. R(81) 19 e Recommandation (2002) 2). Sulla base anche di queste sollecitazioni, il legislatore ha aggiunto nel nostro ordinamento la disciplina dell’accesso civico generalizzato (art. 5, co. 2, del d.lgs. n. 33/2013), quale appunto ulteriore strumento di trasparenza dell’a-zione amministrativa, a quella che prevede gli obblighi di pubblicazione (articoli da 12 e ss. del d.lgs. n. 33/2013) e alla più risalente disciplina di cui agli articoli 22 e ss. della legge n. 241/1990 in tema di accesso ai documenti. Con l’originario testo del decreto legislativo n. 33 del 2013, infatti, viene assicurata ai cittadini la possibilità di conoscere l’organizzazione e l’attività delle pubbli-che amministrazioni anche attraverso l’obbligo a queste imposto di pubblicare sui siti istituzionali, nella sezione denominata “Amministrazione trasparente”, i documenti, i dati e le informazioni concernenti le scelte ammini-strative operate, ad esclusione dei documenti per i quali è esclusa la pubblicazione, in base a norme specifiche ovvero per ragioni di segretezza, secondo quanto indicato nello stesso decreto.Il legislatore nazionale è, quindi, intervenuto, per un

DottrinaAccesso agli atti

51

RISORSE UMANE • 2/2018

verso, affiancando il c.d. accesso civico generalizzato a quello originariamente introdotto dal Codice della tra-sparenza e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso agli atti amministrativi e la propria disci-plina speciale dettata dalla legge n. 241/1990, evitando accuratamente di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate, anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente, sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso. In pratica, sono stati istituiti due canali paralleli per l’accesso ai documenti della p.a., uno libero dall’obbligo di motivare la richiesta e senza lacuna legit-timazione specifica, l’altro riservato a chi abbia necessità dei documenti per tutelare una situazione giuridicamente rilevante. Nonostante alcuni punti di contatto di tipo ‘testuale’ tra la disciplina in tema di accesso agli atti di cui alla legge n. 241/1990 e quella dell’accesso civico, quest’ultimo si pone dunque su un piano diverso rispet-to al primo3. Come chiarito dalla giurisprudenza, “le nuove disposizioni in tema di trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni disciplinano situazioni non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti ammini-strativi, ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 7.8.1990 n. 241”4. Trattasi, infatti, di due fattispecie che sono azionabili sulla base di due posizioni giuridiche diverse tra di loro, ma non antitetiche totalmente: da un lato, il diritto di accesso è personale, strettamente legato ad un interesse di cui è portatore il soggetto, fisico o giuridico, che avanza la richiesta di accedere ad un documento, è oneroso e deve essere adeguatamente motivato per poter comprendere il legame tra il documento, di cui si richie-de l’accesso, e il richiedente, ossia il nesso tra soggetto ed oggetto; dall’altro, il diritto di accesso civico, che il legislatore ha inteso ricondurre ad una figura di diritto anglosassone, può essere esercitato da chiunque, non va motivato ed è gratuito.

(3) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651.

(4) Cons. Stato, sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515.

In tal senso, l’esercizio del diritto di accesso civico è co-struito come un diritto soggettivo libero, senza barriere di accesso e senza ostacoli nella realizzazione degli scopi ai quali sottende, atteso che non è necessario, per colui che intende esercitarlo, dimostrare né la legittimazione né l’interesse specifico alla acquisizione del documento o dato richiesti. Ciò non vuol dire che il diritto di acces-so ai documenti amministrativi sia stato affievolito fino al punto di scomparire dal sistema giuridico italiano. Infatti i due meccanismi sono costruiti in guisa da con-vivere tranquillamente nell’ordinamento, mantenendo le distanti caratteristiche strutturali ed operative, perché rispondono ad esigenze diverse. Mentre con il diritto di accesso civico si pretende l’adempimento all’obbligo di pubblicità diffusa ed integrale dei dati che sono conside-rati normativamente pubblici, con il diritto di accesso ai documenti si intende acquisire quegli atti necessari per curare o difendere la posizione soggettiva del richiedente l’accesso, che diversamente non potrebbero rendersi a costui disponibili. Il diritto di accesso civico non risponde all’esigenza di deflazione del contenzioso, fine che resta ancorato all’istituto dell’accesso documentale, ma per-segue il diverso obiettivo che si compendia nella cultura del rispetto e della lealtà verso i destinatari dell’esercizio della funzione amministrativa, propria di un moderno e più consapevole approccio dell’azione amministrativa verso il bersaglio della cura dei diritti civili, politici e so-ciali, finalmente accertativo del service public e dell’ormai definitivo abbandono della puissance politique (secondo le aspirazioni della dottrina amministrativistica moderna che rimontano al pensiero di Maurice Haurou). I due accessi differiscono anche dal punto di vista dell’iter procedurale laddove, nel caso dell’accesso civico, contra-riamente a quanto previsto nella disciplina sull’accesso ai documenti, a fronte del silenzio dell’amministrazione non si realizza una fattispecie di silenzio significativo di segno negativo (silenzio rigetto). L’articolo 5 del Codice sulla trasparenza impone, infatti, l’obbligo all’ammini-strazione di pronunciarsi con provvedimento espresso e motivato, per cui l’eventuale “silenzio” rappresenta “mera inerzia”, una ipotesi di silenzio inadempimento che obbliga, quindi, il cittadino a rivolgersi al giudice amministrativo attivando il rito sul silenzio ex art. 117

DottrinaAccesso agli atti

52

RISORSE UMANE • 2/2018

c.p.a. (e successivamente, in caso di diniego espresso ai dati o documenti richiesti, il rito sull’accesso ex art. 116 c.p.a.). Per consentire al cittadino di avere una risposta chiara e motivata e per offrire allo stesso una opportunità di tutela più rapida e poco dispendiosa, il legislatore, avendo come obiettivo la partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, ha previsto, poi, per l’accesso civico generalizzato, anche il riesame “interno” (nei casi di di-niego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta), a mezzo dell’intervento di un soggetto, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, che svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della disciplina di prevenzione della corruzione e nell’attuazione delle relative misure, non potendo tralasciarsi di considerare che la trasparenza amministrativa che si realizza anche attraverso lo strumento dell’accesso civico generalizzato rappresenta una delle misure più importanti di preven-zione della corruzione nella pubblica amministrazione. Il legislatore, estendendo non solo alla pretesa di accesso civico la previsione della giurisdizione esclusiva del giu-dice amministrativo ma anche su tutte le “controversie relative agli obblighi di trasparenza previsti dalla nor-mativa vigente” scolpita nell’articolo 50 del Codice sulla trasparenza e predisponendo, a tale scopo, una specifica integrazione di tutte le disposizioni del Codice del pro-cesso amministrativo relative alla disciplina processuale delle controversie in materia di accesso documentale, che d’ora in poi saranno accompagnate dalle disposizioni gemelle riferite al contenzioso sull’esercizio del diritto di accesso civico (per come è dimostrato dalla chirurgica operazione di inserimento di nuove disposizioni nel d.lgs. n. 104/2010 ad opera dell’art. 53, comma 4, del T.U. trasparenza), ha costruito un sistema giudiziale identico per entrambe le figure, provvedendo espressamente ad estendere gli istituti e le discipline processuali previste dal Codice del processo amministrativo alle domande giudi-ziali di tutela del diritto di accesso civico e, comunque, ad ogni altra controversia che abbia ad oggetto il rispetto delle disposizioni recate dal Codice sulla trasparenza.Il problema della corretta configurazione dei rapporti tra le dette figure di accesso esistenti nel nostro ordina-mento è conseguenza comunque del modus operandi del legislatore italiano che, pur affermando l’intenzione di

realizzare, ancorché per tappe, un vero e proprio open government, non ha riscritto in maniera organica la di-sciplina della “trasparenza” ma ha lasciato stratificare le distinte normative, senza neppure delineare con preci-sione i confini di ciascuna e le reciproche interferenze. La differente costruzione regolativa delle due tipologie di accesso (quello documentale e quello civico generalizzato) produce peraltro un primo corollario: mentre, a fronte di un accesso documentale, il funzionario deve rispettare un apparato regolatorio chiaro e vincolante, costituito dal combinato disposto della disciplina primaria e di quella secondaria (regolamentare) che classifica le tipologie di atti sottratti all’accesso; nel caso dell’accesso civico gene-ralizzato il funzionario deve seguire una serie di istruzioni operative prive di carattere cogente, spesso generiche e, in ogni caso, inidonee a completare in maniera esaustiva la scarna disciplina legislativa con un apparato regolativo univoco e puntuale. Nonostante l’apprezzabile sforzo esegetico ed esplicativo ivi cristallizzato, le Linee guida ANAC, adottate con la delibera n. 1309 del 28 dicem-bre 2016 e recanti “Indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013”, contengono sì, infatti, una serie di indirizzi relativi ai criteri alla cui stregua dev’essere condotto il giudizio sulla sussistenza del pregiudizio concreto per gli interessi classificati dalla legge come sensibili, ma non valgono, tuttavia, a esaurire i canoni del giudizio di bilanciamento tra i contrapposti interessi e continuano a imporre una valutazione ampiamente discrezionale al funzionario responsabile (per quanto guidata dalle direttive ivi impartite). L’apprezza-mento circa l’esposizione a un pregiudizio concreto degli interessi classificati dalla legge come limitativi dell’ACG resta, in altri termini, e nonostante le linee guida, affidato a un giudizio comparativo rimesso alla responsabilità del funzionario incaricato dell’esame dell’istanza di accesso, senza che le direttive dell’ANAC valgano a ridurre la relativa discrezionalità o a indirizzarla secondo parametri valutativi stringenti e univoci.In particolare, in merito ai rapporti tra le due tipologie di accesso, le dette Linee guida ANAC evidenziano che la finalità dell’accesso documentale ex lege 241/1990 è, in effetti, ben differente da quella sottesa all’accesso ge-

DottrinaAccesso agli atti

53

RISORSE UMANE • 2/2018

neralizzato ed è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà – partecipative e/o oppositive e difensive – che l’ordinamento attribuisce loro a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui sono titolari. L’accesso agli atti di cui alla legge n. 241/1990 continua dunque a sussistere, ma parallelamente all’ac-cesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi. Più precisamente, dal punto di vista soggettivo, ai fini dell’istanza di accesso documen-tale, il richiedente deve dimostrare di essere titolare di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». Mentre la legge n. 241/1990 esclude, inoltre, perentoriamente l’utilizzo del diritto di accesso ivi disciplinato al fine di sottoporre l’amministrazione a un controllo generalizzato, il diritto di accesso generalizzato, oltre che quello “semplice”, è riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

2. Il rigetto dell’accesso civico generalizzato e la funzione residuale dell’accesso agli attiIl rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso ci-vico devono dunque essere motivati con riferimento ai casi ed ai limiti stabiliti dall’articolo 5-bis. Tale norma identifica, innanzitutto, i divieti ‘assoluti’ di accesso, tas-sativamente descritti al comma 3, che riguardano i “casi di segreto di Stato” e gli “altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990”5.

(5) L’art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990 esclude l’accesso documentale: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei pro-cedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pia-

Il richiamo alle ipotesi di inaccessibilità di cui alla legge n. 241/1990 consente, quindi, di individuare un nu-cleo comune di segretezza, a tutela di interessi pubblici preminenti, che né l’accesso documentale, né l’accesso civico generalizzato possono scalfire. L’esistenza di altri interessi di matrice pubblica, ma diversi dai precedenti, costituiscono, invece, altrettanti limiti di carattere ‘rela-tivo’. Si tratta dei beni protetti dal comma 1, ossia: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive. A differenza del comma 3, gli inte-ressi del comma 1 non consentono all’amministrazione di respingere sic et simpliciter l’istanza, ma la obbligano a compiere un ulteriore passaggio motivazionale, al fine di verificare se la richiesta ostensione potrebbe cagionare un pregiudizio “concreto” a quegli stessi interessi. Solo in quest’ultima evenienza, l’accesso civico ‘generalizzato’ potrà essere negato. Identica condizione di limite relativo, il comma 2 dell’art. 5-bis assegna alla tutela di specifici interessi privati, quali: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. Anche in tal caso, in tanto si po-trà negare l’accesso, in quanto sia dimostrata l’esistenza di un pregiudizio “concreto”: non, cioè, un pregiudizio qualsiasi, ma un pregiudizio legato al richiesto accesso, da un preciso nesso di causalità. Questo concetto è bene espresso nelle Linee-guida dell’ANAC, secondo cui, nel caso di divieto relativo, “non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individua-zione di esclusioni all’accesso generalizzato, ma rinvia a una attività valutativa che deve essere effettuata dalle amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso

nificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

DottrinaAccesso agli atti

54

RISORSE UMANE • 2/2018

per caso, tra l’interesse pubblico alla disclosure generaliz-zata e la tutela di altrettanto validi interessi considerati dall’ordinamento. L’amministrazione, cioè, è tenuta a ve-rificare, una volta accertata l’assenza di eccezioni assolute, se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile agli interessi indicati dal legislatore”. L’amministrazione, in altre parole, non può limitarsi a prefigurare il rischio di un pregiudizio generico e astratto, ma deve: a) indicare chiaramente quale – tra gli interessi elencati all’art. 5-bis, comma 1 e 2 – viene pregiudicato; b) valutare se il pregiudizio (concreto) prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta; c) valutare se il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibi-le. “L’amministrazione è tenuta quindi a privilegiare la scelta che, pur non oltrepassando i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto, sia la più favorevole al diritto di accesso del richiedente. Il principio di pro-porzionalità, infatti, esige che le deroghe non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito (cfr. sul punto CGUE, 15 maggio 1986, causa C- 222/84; Tribunale Prima Sezione ampliata 13 aprile 2005 causa T 2/03)”.Per quanto concerne specificatamente le istanze di accesso generalizzato relative ad atti contenenti dati personali, le ci-tate Linee guida precisano, ancora, come l’ente destinatario “deve valutare, nel fornire riscontro motivato a richieste di accesso generalizzato, se la conoscenza da parte di chiunque del dato personale richiesto arreca (o possa arrecare) un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali, in conformità alla disciplina legislativa in materia… In tale contesto, devono essere tenute in considerazione le motiva-zioni addotte dal soggetto controinteressato, che deve essere obbligatoriamente interpellato dall’ente destinatario della richiesta di accesso generalizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013. Tali motivazioni costituiscono un indice della sussistenza di un pregiudizio concreto, la cui valutazione però spetta all’ente e va condotta anche in caso di silenzio del controinteressato”6.

(6) Sull’illegittimità del rifiuto motivato esclusivamente sull’oppo-sizione del controinteressato: TAR Campania, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901.

Le Linee guida ricordano, infine, che “le comunicazioni di dati personali nell’ambito del procedimento di accesso generalizzato non devono determinare un’interferenza in-giustificata e sproporzionata nei diritti e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati ai sensi dell’art. 8 della Conven-zione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della giurisprudenza europea in materia”. Il richiamo espresso alla disciplina le-gislativa sulla protezione dei dati personali da parte dell’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del decreto legislativo n. 33/2013, comporta che, nella valutazione del pregiudizio concreto, si faccia riferimento ai princìpi generali sul trattamento e, in particolare, a quelli di necessità, proporzionalità, perti-nenza e non eccedenza, in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e del giudice amministrativo italiano, nonché al nuovo quadro normativo in materia di protezione dei dati introdotto dal regolamen-to (UE) n. 679/2016. Il diniego dell’accesso non è quindi giustificato se, ai fini della protezione di tale interesse, è sufficiente il differimento dello stesso per la tutela degli interessi considerati dalla norma (art. 5-bis, comma 5). I limiti operano quindi nell’arco temporale nel quale la tutela è giustificata in relazione alla natura del dato, del documento o dell’informazione di cui si chiede l’accesso.Allo stesso modo, l’amministrazione deve consentire l’ac-cesso parziale, utilizzando, se del caso, la tecnica dell’oscu-ramento di alcuni dati, qualora la protezione dell’interesse sotteso alla eccezione sia invece assicurato dal diniego di accesso di una parte soltanto di esso. In questo caso, l’ammi-nistrazione è tenuta a consentire l’accesso alle parti restanti (art. 5-bis, comma 4, secondo alinea). Pertanto, la regola che ne consegue è che l’amministrazione è sempre tenuta a privilegiare la scelta che, pur non oltrepassando i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto, sia la più favorevole al diritto di accesso del richiedente. Il principio di proporzionalità esige, infatti, che le deroghe non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito7.

(7) ANAC, det. n. 1309/2016, p. 11, che rinvia a CGUE,15 maggio 1986, in causa C-222/84; Trib. UE, sez. I, 13 aprile 2005, in causa T-2/03.

DottrinaAccesso agli atti

55

RISORSE UMANE • 2/2018

Da quanto appena descritto se ne ricava un “diritto a conoscere” estesissimo, ma certamente non illimitato. Anche l’istituto dell’accesso civico ‘generalizzato’ non è infatti esercitabile in modo indiscriminato ed illimitato, trovando anzi precisi e tassativi limiti, a salvaguardia degli interessi, pubblici e privati, che possono essere messi in pericolo. Ha notato il Consiglio di Stato, con il parere n. 515/2016 sullo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo, che, dal punto di vista oggettivo, i limiti applicabili alla nuova forma di accesso civico risultano più ampi e incisivi rispetto a quelli indicati dall’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, consentendo alle ammini-strazioni di impedire l’accesso nei casi in cui questo possa compromettere alcuni rilevanti interessi pubblici generali. Infatti, il descritto articolo 5-bis del nuovo Decreto tra-sparenza usa espressioni ampie e generiche, prevedendo che l’accesso civico generalizzato deve essere rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di una serie di interessi pubblici e privati in-dicati dalla norma. Alcuni di tali interessi sono talmente generici (i.e., gli interessi economici di una persona fisica o giuridica o il riferimento alla politica dello stato) che assai ampia si configura l’opera di valutazione, se non di bilanciamento, rimessa a ciascuna amministrazione. In sostanza, pur essendo l’ordinamento ormai decisa-mente improntato ad una netta preferenza per la tra-sparenza dell’attività amministrativa e la conoscibilità generalizzata degli atti costituisce la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di inte-ressi (pubblici e privati) che possono essere lesi/pregiu-dicati dalla rivelazione di certe informazioni, dunque “permane un settore ‘a limitata accessibilità’, qualora la tipologia di dato o di documento non possa essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubbli-ci ovvero privati”. Sussistono, in altri termini, ipotesi residuali – più o meno ampie, in ragione degli indirizzi assunti dalle amministrazioni e dalla giurisprudenza – in cui la conoscibilità dell’azione amministrativa può trovare soddisfazione soltanto ove i richiedenti siano titolari di una situazione giuridica qualificata, che consenta loro di accedere a quegli atti e documenti per i quali è stato negato l’accesso generalizzato. In tali casi, l’accesso docu-

mentale diventa così l’(unica) arma attraverso cui poter eventualmente acquisire informazioni, che non possono essere assunte tramite l’accesso civico ‘generalizzato’, per gli effetti pregiudizievoli che ne deriverebbero dal suo accoglimento. E proprio “in questo settore continuano ad applicarsi le più rigorose norme della legge n. 241/1990, sicché l’ostensione di quel dato e documento sarà resa possibile, solo in favore di una ristretta cerchia di in-teressati (tranne nelle ipotesi in cui è legislativamente escluso l’accesso documentale), secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla legge n. 241/1990”8.

3. L’accesso documentale e la nozione ampia di strumentalitàCosì le disposizioni di cui all’articolo 22 e seguenti della citata legge generale sul procedimento amministrativo finiscono per coniugare, in ipotesi residuali, le esigenze di trasparenza e di garanzia di imparzialità dell’ammi-nistrazione con il bilanciamento riguardo ad interessi contrapposti, inerenti non solo alla riservatezza di altri soggetti coinvolti, ma anche al buon andamento dell’am-ministrazione, da salvaguardare rispetto a richieste prete-stuose e defatiganti, ovvero introduttive di forme atipiche di controllo. Se è vero che ormai è legislativamente con-sentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell’ente, in quan-to obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non possa essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l’accesso documentale costituisce lo strumento per consentire una conoscibilità più in profondità relativamente a dati pertinenti. In altri termini, può invero accadere che un soggetto titolare di una posizione giuridicamente rilevante possa ottenere una adeguata soddisfazione dei propri interessi con l’esercizio del diritto di accesso civico, sicuramente più vantaggioso rispetto all’accesso tradizionale, dato che non necessita di motivazione rispetto alla richiesta di ostensione. Ma può

(8) Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651.

DottrinaAccesso agli atti

56

RISORSE UMANE • 2/2018

anche accadere che sussistano delle ipotesi ove il soggetto potrà accedere ad atti e documenti per i quali l’accesso civico è precluso dalla sussistenza di una delle fattispecie preclusive soltanto ricorrendo all’accesso tradizionale, sussistendo ovviamente i requisiti “ex lege” prescritti. Va da sé che in siffatto contesto, la richiesta di accesso classico ex articolo 22 della legge n. 241/1990 necessiterà di un supporto motivazionale particolarmente esaustivo.Per l’effetto, l’accesso documentale di cui all’articolo 22 della legge n. 241/1990 non è stato eliminato, né reso privo di portata pratica, ma ha assunto rinnovata cen-tralità nella considerazione della circostanza per la quale i dati e i documenti che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico divengono «pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7», sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in ma-teria di protezione dei dati personali (art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 33/2013). Ovviamente, l’accesso agli atti, a quadro legislativo che è rimasto invariato, è comunque azionabile soltanto da parte di chi abbia un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situa-zione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” e non consentendo, in ogni caso, la proposizione di istanze preordinate al controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazio-ni9. Donde, la permanente natura “strumentale” e non “finale” dell’istituto, nel senso che la domanda ostensiva dev’essere necessariamente in posizione “servente” ri-spetto alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale (e non meramente emulativo o potenziale), connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso, e ciò anche quando l’accesso viene esercitato per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio, dove la richiamata strumentalità va intesa in senso più ampio, in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante10.L’odierna considerazione in sede giurisprudenziale dell’i-

(9) Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1842.

(10) Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269; sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209.

stituto dell’accesso ai documenti amministrativi è d’al-tronde oramai fortemente caratterizzata dal principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contem-perare il suddetto interesse con altri interessi meritevo-li di tutela (vedasi, in particolare, art. 24, comma 7, l. 241/1990), ciò in forza di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni legislative soprarichiamate e tese verso la piena attuazione del principio di imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’arti-colo 97 Cost. Pertanto, secondo il costante e indiscusso orientamento del Consiglio di Stato e, più in generale, della giustizia amministrativa, “va accolta una nozione ampia di “strumentalità” del diritto di accesso, nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’at-to o del documento del quale si richiede l’accesso, non imponendosi che l’accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata “strumentalità” va intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rile-vante”11. Tale valutazione va effettuata in astratto, senza apprezzamenti diretti (e indebiti) sulla documentazione richiesta, tanto ciò è vero che la necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto di accedere, non implica nemmeno la riduzione dell’accesso ad una situazione meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante in quanto “l’accesso, in tal senso, assume invece una valenza autonoma, non dipen-dente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’e-ventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre”. Ed invero, il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle

(11) Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269; sez. III, 16 maggio 2016 n. 1978 e sez. IV, 6 agosto 2014 n. 4209);

DottrinaAccesso agli atti

57

RISORSE UMANE • 2/2018

esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei docu-menti amministrativi. In quest’ottica, il collegamento tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della re-lativa istanza, di cui al citato articolo 22, comma 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse”12. Pur trattandosi, all’evidenza, di prin-cipi irrinunciabili e fondanti, nell’ambito del moderno Stato di diritto, un nuovo modo di concepire il rapporto tra cittadini e potere pubblico, improntato a trasparenza e accessibilità dei dati e delle informazioni, anche ove queste riguardino terzi soggetti, purché a soddisfazione di un interesse (come visto, nemmeno più strumentale alla mera difesa in giudizio delle proprie posizioni), che sia giuridicamente rilevante e meritevole di tutela, ciò non vuol dire che la valorizzazione del principio della massima ostensione possa comunque estendersi fino al punto da legittimare un controllo generalizzato, generico e indistinto del singolo sull’operato dell’amministrazione.Le Linee guida dell’ANAC hanno evidenziato che “tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi. Tale bilancia-mento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso 241 dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati

(12) Così Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2012 n. 116.

pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esi-genze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga cono-scibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni”. Le stesse Linee guida hanno sottolineato che i dinieghi di accesso agli atti e documenti di cui alla legge n. 241/1990, se motivati con esigenze di “riservatezza” pubblica o privata, devono essere considerati attentamente anche ai fini dell’ac-cesso generalizzato, ove l’istanza relativa a quest’ultimo sia identica e presentata nel medesimo contesto temporale a quella dell’accesso ex lege n. 241/1990, indipendentemente dal soggetto che l’ha proposta. Si intende dire, cioè, che laddove l’amministrazione, con riferimento agli stessi dati, documenti e informazioni, abbia negato il diritto di accesso documentale, motivando nel merito, cioè con la necessità di tutelare un interesse pubblico o privato prevalente, e quindi nonostante l’esistenza di una posizione soggettiva legittimante ai sensi della legge n. 241/1990, per ragioni di coerenza sistematica e a garanzia di posizioni indivi-duali specificamente riconosciute dall’ordinamento, si deve ritenere che le stesse esigenze di tutela dell’interesse pubblico o privato sussistano anche in presenza di una richiesta di accesso generalizzato, anche presentata da altri soggetti. Tali esigenze dovranno essere comunque motivate in termini di pregiudizio concreto all’interesse in gioco. Per ragioni di coerenza sistematica, quando è stato concesso un accesso generalizzato non può essere in alcun modo negato, per i medesimi documenti e dati, un accesso documentale.

58

Privacy: noi siamo i nostri dati a cura di Francesco Modafferi

Attualità

L’espansione del diritto alla protezione dei dati europeo: come cambia l’ambito territoriale di applicazione della disciplina, secondo il Regolamento (UE) 2016/679di Francesco Modafferi

La definizione dell’ambito di applicazione territoriale della disciplina di protezione dati personali, previsto dall’art. 3 del Regolamento, rappresenta una delle prin-cipali novità del nuovo assetto normativo; in primo luogo perché, con il Regolamento (UE) 2016/679, la protezione dei dati personali assume una vera e propria dimensione europea e non più solo nazionale; il nuovo ambito di riferimento è infatti il territorio dell’Unione europea e non quello dei singoli stati membri. Il legislatore europeo è andato addirittura oltre preve-dendo, come vedremo, che le nuove disposizioni, in specifici casi, si applicano anche a titolari o responsabili del trattamento stabiliti fuori dall’Unione. In una so-cietà nella quale l’offerta dei beni e dei servizi avviene sistematicamente grazie a Internet, nell’ambito di un mercato globale, ancorare ancora l’applicazione delle

regole di protezione dati europee a rigidi presupposti territoriali ne avrebbe limitato molto l’effettività.Il primo elemento da prendere in considerazione, per verificare se al trattamento dei dati vadano applicate le regole europee, è mutuato dalla disciplina previgente1 ed è costituito dal c.d. “principio di stabilimento”: l’art. 3, par. 1, prevede infatti che il Regolamento si applica al trattamento dei dati personali effettuato «nell’am-

(1) Art. 4 della Direttiva 95/46/CE, recepito in Italia nell’art. 5 del Codice in materia di protezione dei dati personali, nel quale si prevede che le disposizioni in esso contenute si applicano al trattamento di dati personali, anche detenuti all’estero, effettuato da chiunque è stabilito nel territorio dello Stato o in un luogo comunque soggetto alla so-vranità dello Stato e anche al trattamento di dati personali effettuato da chiunque è stabilito nel territorio di un Paese non appartenente all’Unione europea e impiega, per il trattamento, strumenti situati nel territorio dello Stato anche diversi da quelli elettronici, salvo che essi siano utilizzati solo ai fini di transito nel territorio dell’Unione europea.

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

59

RISORSE UMANE • 2/2018

bito delle attività di uno stabilimento da parte di un titolare del trattamento o di un responsabile del tratta-mento nell’Unione». Perché possa ritenersi sussistente “lo stabilimento” occorre riferirsi, come indicato nel considerando n. 22, a «l’effettivo e reale svolgimento di attività nel quadro di un’organizzazione stabile», indi-pendentemente dalla forma giuridica assunta, sia essa una succursale o una filiale dotata di personalità giu-ridica, in sostanziale continuità con gli orientamenti seguiti nella disciplina attuale2. La disposizione, avendo come punto di riferimento lo “stabilimento” del titolare del trattamento, prevede inol-tre che il diritto europeo di protezione dei dati personali si applica “indipendentemente dal fatto che il trattamento sia effettuato o meno nell’Unione”, cristallizzando così gli orientamenti più recenti della Corte di Giustizia europea costantemente affermati, a partire dalla famosa sentenza Google Spain3. Ancor più innovativo è però il contenuto dell’art. 3, par. 2 del Regolamento in cui si prevede l’estensione della disciplina europea, indipendentemente dalla presenza sul territorio europeo anche di una semplice succursale o filiale del titolare o responsabile del trattamento, quando i trattamenti riguardano interessati che si trovano nell’U-nione. Qui si realizza la massima espansione del diritto europeo in materia di protezione dei dati personali che radica la propria competenza, non sulla base del luogo

(2) Per approfondimenti sul tema vedasi il parere 8/2010, sul diritto applicabile, adottato il 16 dicembre 2010 dal Gruppo articolo 29 (WP 179). (3) Sentenza nella causa C-131/12 Google Spain SL, Google Inc./Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González, nella quale, con riferimento all’ambito di applicazione territoriale della direttiva, la Corte osserva che Google Spain costituisce una filiale di Google Inc. nel territorio spagnolo e, pertanto, uno «stabilimento» ai sensi della direttiva. La Corte ha respinto l’argomento secondo cui il trattamento di dati personali da parte di Google Search non viene effettuato nel contesto delle attività di tale stabilimento in Spagna e ha considerato che, quando dati siffatti vengono trattati per le esigenze di un motore di ricerca gestito da un’impresa che, sebbene situata in uno Stato terzo, dispone di uno stabilimento in uno Stato membro, il trattamento viene effettuato «nel contesto delle attività» di tale stabi-limento, ai sensi della direttiva, qualora quest’ultimo sia destinato ad assicurare, nello Stato membro in questione, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti sul motore di ricerca al fine di rendere redditizio il servizio offerto da quest’ultimo.

dove il titolare o il responsabile trattamento sono “stabi-liti” (ancorché con l’ampia accezione, precedentemente descritta, con la quale il concetto di stabilimento deve essere interpretato), ma in ragione di quello ove si trova il “target” del loro trattamento. Tale espansione si determina in due specifici casi.Nel primo caso il presupposto si realizza quando le attività di trattamento sono connesse all’offerta (anche gratuita) di beni o servizi a detti interessati. Il conside-rando n. 23 specifica che «Per determinare se tale titolare o responsabile del trattamento stia offrendo beni o servizi agli interessati che si trovano nell’Unione, è opportuno verificare se risulta che il titolare o il responsabile del trattamento intenda fornire servizi agli interessati in uno o più Stati membri dell’Unione».Qui la difficoltà starà nell’individuare dei “criteri ogget-tivi” al verificarsi dei quali si realizza questa condizione; nello stesso considerando 23 se ne indicano alcuni che possono essere considerati “sintomatici” dell’intenzione del titolare o del responsabile del trattamento di offrire beni o servizi agli interessati nell’Unione (l’utilizzo di una lingua o di una moneta abitualmente utilizzata in uno o più Stati membri, con la possibilità di ordina-re beni e servizi in tale altra lingua, o la menzione di clienti o utenti che si trovano nell’Unione) e altri che invece non sono, di per sé, sufficienti ad accertare tale intenzione (quali la mera accessibilità del sito web, di un indirizzo di posta elettronica o di altre coordinate di contatto o l’impiego di una lingua abitualmente uti-lizzata nel paese terzo in cui il titolare del trattamento è stabilito).Nel secondo caso, invece, ciò che rileva è il “monito-raggio del comportamento” degli interessati da parte del titolare o del responsabile del trattamento, nella misura in cui tale comportamento abbia luogo all’in-terno dell’Unione. Nel Considerando n. 24 si prevede che, per stabilire se un’attività di trattamento sia assimi-labile al controllo del comportamento dell’interessato, è opportuno «verificare se le persone fisiche sono tracciate su internet, compreso l’eventuale ricorso successivo a tecni-che di trattamento dei dati personali che consistono nella profilazione della persona fisica, in particolare per adotta-re decisioni che la riguardano o analizzarne o prevederne

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

60

RISORSE UMANE • 2/2018

le preferenze, i comportamenti e le posizioni personali»4.Quello del monitoraggio dei comportamenti e del-la profilazione on line è un contesto molto diffuso e delicato nel quale convergono enormi interessi eco-nomici: le norme speciali che regolano il trattamento dei dati delle comunicazioni elettroniche effettuato in relazione alla fornitura e alla fruizione dei servi-zi di comunicazione elettronica e alle informazioni connesse alle apparecchiature terminali degli utenti finali, oggi contenute nella Direttiva 2002/58/CE recepita in Italia all’interno del Codice in materia di protezione dei dati personali, sono anch’esse oggetto di un processo di revisione generale che si concluderà con l’approvazione di un nuovo specifico regolamento europeo sulla così detta e-privacy5.Come si realizzerà il contradditorio con le autorità di protezione dei dati personali quando il trattamento dei dati personali, pur rientrando nel campo di applicazione del Regolamento, non è effettuato da soggetti stabiliti nel territorio dell’Unione europea? In questi casi il Regolamento ha previsto l’obbligo, per il titolare o il responsabile del trattamento, di designare un proprio “rappresentante” nell’Unione che, in base all’art. 27 del Regolamento, sarà incaricato di fungere da interlocutore con le autorità di controllo e con gli

(4) A questo fine è rilevante la definizione di “profilazione” contenuta nell’art. 4, par. 1, 4): «qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica» (per approfondire il tema vedasi anche le Linee guida sui processi decisionali automatizzati e la profila-zione, adottate, il 3 ottobre 2017, dal Gruppo articolo 29 -WP 179).

(5) Al riguardo è iniziato il “trilogo” (il dialogo tra le tre istituzioni co-munitarie coinvolte nell’approvazione degli atti legislativi, Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo) sulla base della proposta, presentata dalla Commissione europea il 10 gennaio 2017, di regolamento relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati nelle comunicazioni elettroniche che abroga la Direttiva 2002/58/CE. Come indicato nella relazione di accompagnamento la proposta si pone come «lex specialis nell’ambito del regolamento generale sulla protezio-ne dei dati e disciplinerà e integrerà i dati afferenti alle comunicazioni elettroniche aventi carattere di dati personali. Tutte le questioni relative al trattamento dei dati personali non specificamente disciplinate dalla proposta lo sono dal suddetto regolamento».

interessati per tutte le questioni riguardanti il trattamento dei dati personali6.Il rappresentante dovrà essere stabilito in uno degli Stati membri in cui si trovano gli interessati e i cui dati personali sono trattati nell’ambito dell’offerta di beni o servizi o il cui comportamento è monitorato. Il regolamento individua gli obblighi ai quali sarà tenuto tale soggetto (ad es. per quanto attiene alla tenuta del registro delle attività di trattamento o la cooperazione con l’autorità di controllo), ma specifica che la sua de-signazione fa salve le azioni legali che potrebbero essere promosse contro lo stesso titolare del trattamento o responsabile del trattamento.La mancata designazione di un proprio rappresentante da parte di un soggetto tenuto configura, di per sé, una violazione del Regolamento, sanzionata ai sensi di quanto previsto dall’art. 83, par 4, lett. a) con una pena pecuniaria fino a 10.000.000 di euro o, per le imprese, fino al 2 % del fatturato mondiale totale an-nuo dell’esercizio precedente, se superiore.Lo stabilimento di un proprio rappresentante in uno stato membro, da parte di un soggetto tenuto, non consente però al rappresentato di beneficiare del nuo-vo meccanismo di semplificazione c.d. “one stop shop” che permette invece, ai titolari e responsabili stabiliti in Europa e che effettuano flussi trasfrontalieri di dati personali tra più paesi membri, di dialogare con una sola autorità di protezione dati individuata sulla base del paese ove è situato lo “stabilimento principale” (se-condo il meccanismo della “autorità capofila” definito nell’art. 56 del Regolamento).

(6) L’articolo prevede, al paragrafo 2, che tale obbligo non si applica: al trattamento se quest’ultimo è occasionale, non include il trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati di cui all’articolo 9, pa-ragrafo 1, o di dati personali relativi a condanne penali e a reati di cui all’articolo 10, ed è improbabile che presenti un rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche, tenuto conto della natura, del contesto, dell’ambito di applicazione e delle finalità del trattamento; oppure è effettuato da autorità pubbliche o agli organismi pubblici.

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

61

RISORSE UMANE • 2/2018

Lo ha detto il giudice

È legittima, rispondendo a un obbligo legale, l’iscrizione e la conservazione, nel registro delle imprese, delle informazioni relative alla persona fisica che ha ricoperto la carica di amministratore e di liquidatore di una società dichiarata fallita, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull’interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l’istituzione del registro delle imprese soddisfa

Corte di cassazione civile, sez I, ordinanza 14 giugno 2017, n. 19761/2017

di Francesco Modafferi

L’ordinanza della Corte di Cassazione che segue è inte-ressante sotto diversi punti di vista. Sotto il profilo della procedura, ci offre l’occasione di rilevare la dialettica che si instaura, tra il giudice nazionale e la Corte di giustizia europea, quando sia sollevata una questione relativa all’in-terpretazione del diritto europeo dinanzi a un giudice nazionale; in questi casi infatti l’organo giurisdizionale può e, qualora sia un tribunale di ultima istanza come nel caso di specie, deve chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi, in via pregiudiziale1. In conseguenza del nuovo assetto regolatorio in materia di protezione dei dati personali, basato sul Regolamento (UE) 2016/679, che comporta la diretta applicazione del diritto europeo nei

(1) In questo caso nell’ambito dell’ordinanza interlocutoria adottata a luglio 2015 la Corte di Cassazione, rilevato che la questione di diritto sottoposta alla sua cognizione “richiede il coordinamento di principi sottesi a diverse direttive europee”, ha deciso di sospendere il giudizio e sottoporre alla Corte di giustizia europea, in via incidentale, le que-stioni di diritto in base a quanto previsto dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

diversi Stati membri, questa dinamica diventerà molto più frequente di oggi.Per quanto invece riguarda il merito, si fanno due os-servazioni: la prima riguarda il passaggio dell’ordinanza in cui si fa riferimento al “principio di solidarietà” pre-visto dall’art. 2 della Costituzione e si richiama quanto affermato dalla stessa Corte di Cassazione nella senten-za del 15 luglio 2014, n. 16133, ovvero: «Il principio di solidarietà costituisce … il punto di mediazione che consente al sistema ordinamentale di salvaguardare il di-ritto del singolo nell’ambito della collettività». In questo passaggio la Corte evidenzia come la tutela dei diritti fondamentali (quale la protezione dei dati personali del ricorrente) deve necessariamente contemperarsi con la dimensione collettiva del bene comune (rappresentato in questo caso dallo speciale regime di pubblicità dei dati personali funzionale a garantire un più ordinato esercizio della libertà di iniziativa economica, anch’essa garantita dall’art. 41 della Costituzione). La “relatività”

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

62

RISORSE UMANE • 2/2018

dei diritti fondamentali è sicuramente una condizione intrinseca degli stessi dovuta sia alla loro pluralità (e quindi alle inevitabili interferenze che si determinano tra loro, basti pensare al rapporto tra la protezione dati e la trasparenza o il diritto all’informazione) sia alla dimensione sociale dell’esistenza umana. Tale condizione è ora esplicitamente riportata anche nel considerando n. 4 del Regolamento (UE) 2016/679: «Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità».La seconda riguarda il fatto che La Corte di Giustizia ha ritenuto che gli Stati membri, in virtù dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 95/46, non sono tenuti a garantire alle persone fisiche il diritto di ottenere, in ogni caso, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società di cui erano amministrato-ri, la cancellazione dei dati personali che le riguardano, iscritti nel registro delle imprese o il congelamento degli

stessi nei confronti del pubblico, in quanto questa non rappresenta un’ingerenza sproporzionata nei diritti fon-damentali delle persone interessate, ed in particolare nel loro diritto al rispetto della vita privata nonché nel loro diritto alla tutela dei dati personali, garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta.Ferma restandola correttezza della conclusione a cui giun-ge la Corte nel caso di specie, occorre considerare se, de jure condendo, una regolazione che preveda esplicitamente un tempo determinato (anche sufficientemente lungo) nel quale i dati relativi alla persona fisica che ha ricoperto la carica di amministratore e di liquidatore di una società dichiarata fallita siano pubblicati non sia comunque più rispettosa del “principio di proporzionalità” previsto dall’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’U-nione europea, che prevede esplicitamente che possono essere apportate, per legge, limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

Tizio ha convenuto innanzi al Tribunale la Camera di Commercio di Lecce, deducendo di essere l’amministratore unico di una società edile che ha ricevuto l’appalto per la costruzione di un complesso turistico a (Omissis), affermando che le unità immobiliari, allo stato di rustico, non trovavano acquirenti, in quanto risultava dal registro delle imprese come Tizio fosse stato in passato l’amministratore unico e il liquidatore della (Omissis) s.r.l., il cui fallimento era stato dichiarato nel 1992 e si era chiuso il 10 marzo 1995, con cancellazione, all’esito della liquidazione, della società dal registro delle imprese in data 7 luglio 2005.Ha dedotto che tali dati, risultanti dal registro stesso, venivano trattati da società di informazione professionale, come la Cerved Business Information s.p.a., e che, nonostante la propria richiesta in data 10 aprile 2006, la Camera di commercio non aveva provveduto alla loro cancellazione.Ha concluso chiedendo la condanna della Camera di commercio di Lecce alla cancellazione o alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che ricollegano il nome dell’attore al fallimento della (Omissis) s.r.l., oltre alla condanna al risarcimento del “danno all’immagine” cagionatogli.Il Tribunale con sentenza del 1 agosto 2011 ha accolto le domande, ordinando alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Lecce la trasformazione in forma anonima dei dati che collegano Tizio al fallimento della (Omissis) s.r.l. e condannando la convenuta al risarcimento del danno, liquidato in Euro 2.000,00, oltre interessi e spese.Con ordinanza interlocutoria del 17 luglio 2015, n. 15096, questa Corte, avendo individuato una questione di rilievo, che richiede il coordinamento di principi sottesi a distinte direttive europee, ha sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Corte di cassazione civile, sez I, ordinanza 14 giugno 2017, n. 19761/2017

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

63

RISORSE UMANE • 2/2018

In data 8 settembre 2016 l’Avvocato generale presso la Corte UE ha presentato le sue conclusioni ed il 9 marzo 2017 la Corte UE ha pronunciato la sua decisione.….5. - Registro delle imprese e dati personali.5.1. - La questione.Occorre dunque esaminare il primo motivo del ricorso, che verte sulla questione centrale della controversia: lo stabilire se il diritto alla protezione dei dati personali imponga, a richiesta di parte, la cancellazione di iscrizioni o la negazione della pubblicità, al di fuori delle ipotesi tassative di tali evenienze previste dalla legge, ove l’interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili dopo un dato tempo alcuni dati che lo riguardano.Il motivo chiede, nella sostanza, se anche i dati conservati nel registro delle imprese dalle Camere di commercio, in adempi-mento della funzione ad esse demandata dalla legge, possano essere resi non più disponibili a chiunque in forza di un “diritto all’oblio”, disponendosene la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco, allorquando sia decorso un tempo che (allo stato attuale della disciplina) non è determinato o determinabile a priori in modo netto, ma è da individuare in quello necessario allo scopo per cui il dato è stato raccolto, secondo la normativa di riferimento.5.2. - La pronuncia della Corte di giustizia 9 marzo 2017, C398/15.In seguito al rinvio pregiudiziale disposto, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, con ordinanza interlocutoria n. 15096 del 2015, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha così statuito: “L’art. 6, par. 1, lett. e), l’art. 12, lett. era b), e l’art. 14, comma 1, lett. a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circola-zione di tali dati, in combinato disposto con l’art. 3 della prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’art. 58, comma 2, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, spetta agli Stati membri determinare se le persone fisiche di cui all’art. 2, par. 1, lett. d) e j), della direttiva da ultimo citata possano chiedere all’autorità incaricata della tenuta, rispettivamente, del registro centrale, del registro di commercio o del registro delle imprese di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l’accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in detto registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione”.…5.3. - Insussistenza di una norma di eccezione.La ricostruzione del sistema, come operata dalla Corte di giustizia, non lascia pertanto dubbi circa la risposta negativa al quesito posto e, dunque, sulla fondatezza del primo motivo di ricorso: l’ordinamento italiano non contempla il diritto di ottenere la limitazione temporale o soggettiva dell’ostensione a terzi dei dati iscritti nel registro delle imprese, in particolare del nome dell’amministratore o liquidatore di società fallita e cancellata dal registro delle imprese.Come ha rilevato la Corte di giustizia UE, sarebbe all’uopo indispensabile una specifica norma, che autorizzasse la diffusione dei dati sul registro delle imprese solo per un tempo determinato: non potendo la scelta in ordine alla pubblicazione essere rimessa né al Conservatore del registro delle imprese, dopo avere valutato l’esistenza di un diritto all’accesso al dato (pena una disfunzione grave alla gestione del servizio, considerando la quantità di richieste di visura quotidiane), né ad una decisione giudiziale (anche per l’alta disparità di soluzioni) (v., al riguardo, pure le conclusioni dell’avvocato generale presso la Corte UE, punto 96, che parla al riguardo di “un onere amministrativo smisurato, in termini di tempi e costi, che metterebbe in discussione, in definitiva, la capacità del registro ad assolvere le sue funzioni”).…L’importanza del ruolo del registro delle imprese non ha bisogno, in definitiva, di essere oltre sottolineata.

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

64

RISORSE UMANE • 2/2018

5.3.2. - A fronte del sistema per sommi capi così ricordato, il diritto alla protezione dei dati personali - di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000 e art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - alla stregua dell’interpretazione resa, nella sua pronuncia pregiudiziale, dalla Corte di giustizia UE, non implica di per sé, in mancanza di un’apposita norma che lo preveda, anche quello di ottenere cancellazioni di iscrizioni o negazione della pubblicità com-merciale, ove l’interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili i dati che lo riguardano.…5.3.4. - Come ha osservato l’avvocato generale innanzi alla Corte di giustizia UE nel procedimento pregiudiziale, la circostanza che una società sia stata assoggettata a procedura concorsuale non rappresenta di per sé un dato lesivo della reputazione o dell’onorabilità dell’amministratore che l’ha rappresentata.Infatti, il fallimento di una società può essere stato determinato da circostanze esterne, non direttamente riferibili ad una cattiva gestione di tale società, ad esempio a causa di una crisi economica o di un calo della domanda nel settore di cui trattasi (punto 86).Mentre le riforme del diritto fallimentare dell’ultimo decennio valgono ad evidenziare che, anche nell’opinione comune, non necessariamente a tale evenienza si ricollega il discredito personale, ben potendo questo dipendere da situazioni ogget-tive di mercato o evenienze esterne, che niente abbiano a vedere non solo con la mala gestio, ma neppure con la capacità imprenditoriale dell’amministratore, quale diligente gestore della cosa altrui.5.3.5. - L’assenza di una norma di eccezione di natura generale, la quale a richiesta possa escludere dopo un tempo dato la pubblicità dei dati sul registro delle imprese, è confermata da specifiche disposizioni al riguardo: quali l’art. 2496 c.c. (prima della riforma di cui al d.lgs. n. 5 del 2003, l’art. 2457 c.c.), secondo cui, anche dopo la cessazione di ogni attività, i libri sociali (libro dei verbali delle deliberazioni assembleari o consiliari, libro dei soci) vanno depositati e conservati per dieci anni presso l’ufficio del registro delle imprese e chiunque può esaminarli, anticipando le spese. Si tratta di informazioni aggiuntive, perché i libri sociali sono normalmente interni alla società (e regolati dall’art. 2422 c.c., quanto alla visione, riservata ai soci, al rappresentante degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari) e la norma, di natura eccezionale, prevede che in aggiunta essi siano resi ostensibili per tale periodo di tempo; e il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 31, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, il quale per le start-up innovative, prevede che, dopo dodici mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese del decreto di apertura della liquidazione della società, l’accesso ai dati relativi ai soci è consentito esclusivamente all’autorità giudiziaria e alle autorità di vigilanza.5.3.6. - In conclusione, se lo Stato è l’organizzazione della societas - è la società, in quanto necessariamente organizzata l’esi-genza di assicurare la trasparenza al fine della sicurezza degli scambi economici dà ragione della funzione storica del registro delle imprese, nonché del prezzo che a tal riguardo richiede a coloro che, desiderando partecipare a quegli scambi mediante una società commerciale, devono rendere pubbliche determinate e circoscritte informazioni (le conclusioni dell’avvocato generale presso la corte UE parlano, al riguardo, di “contropartita”).In epoche in cui l’accento, pur in se corretto, posto sui “diritti” ha gradualmente indotto a guardare ai doveri come ad un puro e fastidioso accidente, l’eccesso d’individualismo (riscontrabile allorché qualsiasi desiderio venga in modo automatico tradotto in pretesa) finisce per soffocare l’interesse comune della generalità, nella ricerca confusa ed esclusiva di una gratifi-cazione personale che tuttavia nega, a lungo andare, la premessa: la tutela di ogni diritto fondamentale non può ignorare la dimensione collettiva del bene comune e l’esistenza di un correlativo obbligo.Ciò si ricollega a quanto da questa Corte già è stato evidenziato circa la necessità di risalire al principio di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., anche in tema di danno non patrimoniale da violazione del diritto alla protezione dei dati personali (principio che richiede pur sempre la verifica della gravità della lesione e della serietà del danno: cfr. Cass. 15 luglio 2014, n. 16133; Corte europea dei diritti dell’uomo 1 luglio 2010, ricorso n. 25551/05, Korolev c. Russia).Il principio di solidarietà, invero, opera “quel necessario contemperamento tra posizioni idiosincratiche e socialità, attraverso doveri che si impongono per la tutela e protezione di beni e valori della comunità nel suo complesso. Il principio di solidarietà

Privacy: noi siamo i nostri datiProtezione dati personali

65

RISORSE UMANE • 2/2018

costituisce allora il punto di mediazione che consente al sistema ordinamentale di salvaguardare il diritto del singolo nell’ambito della collettività” (così Cass. 15 luglio 2014, n. 16133).E già la Corte costituzionale aveva discorso della “primigenia vocazione sociale dell’uomo, derivante dall’originaria identifica-zione del singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità degli uomini” (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75 e 17 dicembre 2013, n. 309; v. pure Cass., sez. un., ord. 1 ottobre 2014, n. 20661).In sostanza, con l’istituzione del registro delle imprese e l’esclusione di una norma di eccezione, del tipo di quella richiesta dalla Corte UE, il legislatore italiano ha già operato - sulla base del menzionato principio - un bilanciamento tra le esigenze individuali e quelle della collettività, cosicché la volontà del singolo di impedire la reperibilità dei dati afferenti la sua pregressa attività gestoria non finisca per contraddire gli interessi espressi dalla intera comunità di persone.Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: “Alla stregua del quadro normativo e dei compiti istituzionalmente perseguiti dalle Camere di commercio con la tenuta del registro delle imprese, è legittima, rispondendo ad un obbligo legale, l’i-scrizione e la conservazione nel registro stesso delle informazioni relative alla carica di amministratore e di liquidatore, ricoperta da un soggetto in una società, ove pure in seguito questa sia stata dapprima dichiarata fallita e, poi, cancellata dal registro delle imprese, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull’interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l’istituzione del registro delle imprese soddisfa”.Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2017.

66

Personale SSN RISORSE UMANE • 2/2018

Un nuovo modello di relazioni sindacali in sanitàdi Stefano Simonetti

Negli ultimi 25 anni le relazioni sindacali hanno mutato il proprio quadro normativo di riferi-mento dal 2016 in poi si è verificato un sostanziale recupero da parte dei sindacati rispetto alle competenze che Brunetta aveva loro tolto nel 2009. Per il comparto della Sanità il contratto siglato il 23 febbraio 2018 ha concretizzato nei dettagli questo recupero innovando abbastanza rispetto al recente passato, pur non ritornando al livello di presenza e potere sindacale dei primi anni novanta. Vediamo i contenuti del contratto nel dettaglio.

Le relazioni sindacali nel pubblico impiego contrat-tualizzato hanno una evidente peculiarità rispetto al mondo del lavoro privato che si sostanzia soprattut-to nella previsione di un articolato e rigoroso quadro normativo mentre nel privato il sistema è decisamente “leggero” e le regole sono in pratica dettate esclusiva-mente dai principi generali dello Statuto dei lavoratori del 1970. Fino al 1992 i rapporti con il sindacato nelle amministrazioni pubbliche erano improntati ad una sostanziale cogestione che nei suoi aspetti più torbidi si palesava come vero consociativismo. La Riforma Amato e la contrattualizzazione del pubblico impiego sono intervenute anche nelle relazioni sindacali riportando le controparti al proprio ruolo. Negli ultimi 25 anni le relazioni sindacali hanno mutato il proprio quadro normativo di riferimento che si può suddividere in tre periodi ben precisi: dal 1993 al 2009, cioè dalla citata

legge Amato fino al decreto Brunetta che ha inasprito le regole sulle relazioni sindacali; dal 2009 al 2016, perio-do di grande confusione normativa e giurispuedenziale, con le norme del decreto 150 mai a regime, anche a causa del lungo blocco della contrattazione collettiva; dal 2016 in poi con un sostanziale recupero da parte dei sindacati rispetto alle competenze che Brunetta aveva loro tolto nel 2009. Fondamentale in tal senso è stato il Protocollo sindacale firmato il 30 novembre 2016 dal Governo con le tre Confederazioni i cui contenuti sono stati poi trasfusi nel decreto delegato 75/2017, segnatamente nell’art. 11. Per il comparto della Sanità il contratto siglato il 23 febbraio 2018 ha concretizzato nei dettagli questo recupero innovando abbastanza ri-spetto al recente passato, pur non ritornando al livello di presenza e potere sindacale dei primi anni novanta.Passando ad esaminare i contenuti del nuovo contratto,

Personale SSNRelazioni sindacali

67

RISORSE UMANE • 2/2018

si rileva che gli articoli da 3 a 11 delineano il nuovo regime delle relazioni sindacali che prende le mosse dagli impegni assunti dal Governo con il ricordato Protocollo del 30 novembre 2016. È stato da più parti affermato che si tratta dell’azzeramento delle norme del decreto Brunetta ma, in realtà, non è del tutto esatto. Sicuramente i sindacati ritrovano spazi e mo-menti di “partecipazione” rispetto al recente passato ma, ad esempio, restano “escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale”, come tassativamente prevede l’art. 40, comma 1 del d.lgs. 165/2001, novellato nel 2009 dal decreto Brunetta. Sulla scorta del nuovo clima instaurato nel novembre 2016, l’Atto di indirizzo del Comitato di Settore ha de-dicato un paragrafo al sistema delle relazioni sindacali nel quale si rinvengono le linee portanti del nuovo mo-dello partecipativo e il ricorso a termini come “condi-visione”, “consenso”, “contributo” e “coinvolgimento” annunciava chiaramente l’abbandono del rigore di sette anni prima. Innanzitutto, a livello terminologico, viene data particolare importanza all’istituto della parteci-pazione che si articola in tre momenti: informazione, confronto, organismi paritetici. Riguardo al primo ci sono alcuni aspetti sostanzialmente nuovi, mentre il confronto è, come si vedrà, una apparente novità. L’informazione viene compattata e non si distingue più tra preventiva e successiva. I dati che devono es-sere forniti sono quelli necessari per il confronto e la contrattazione e, si ritiene, solo quelli. Devono essere forniti in tempo utile per consentire ai soggetti sin-dacali di “esprimere osservazioni e proposte”. Questa modifica porta a concludere che la consultazione – che è sparita – è stata conglobata nell’informazione. Il mo-dello “confronto” si è detto che è una apparente novità perché è in realtà è l’upgrade di quello che fino al 1999 era “esame congiunto” e successivamente è divenuto “concertazione”. Sempre a livello semantico, alla fine dei 30 giorni (che restano tassativi) non si redige più un verbale bensì “una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse”. Delle otto materie su cui si instaura il confron-to, alcune sono le stesse della pregressa concertazione (lettere a, d, e, h), le altre sono innovative e segnano

un sostanziale arretramento dei sindacati: si tratta dei criteri generali per la mobilità interna e le misure per la salute e sicurezza sul lavoro che in passato erano di contrattazione integrativa. A proposito della “priorità per la mobilità tra sedi di lavoro”, è opportuno preci-sare – a scanso di equivoci – che si tratta di mobilità oltre i 50 km perché entro tale distanza non si tratta nemmeno di mobilità e la materia è disciplinata diret-tamente dalla legge (art. 4 della legge 114/2014). Sono scomparsi, invece, la verifica periodica della produtti-vità delle strutture operative, la definizione dei criteri per la determinazione della distribuzione dei carichi di lavoro, l’andamento dei processi occupazionali e lo svolgimento delle selezioni per i passaggi tra le catego-rie; in quest’ultimo caso per l’applicazione dell’art. 23, comma 15 del decreto 75 si ritiene che i criteri siano quelli direttamente indicati dal decreto. L’organismo paritetico per l’innovazione è nuovo e sinceramente incomprensibile perché si sovrappone sostanzialmente alle competenze del Comitato Uni-co di Garanzia (CUG) introdotto nel 2009 con l’art. 57, comma 1 del d.lgs. 165/2001, di cui, peraltro, non si fa alcun cenno nel contratto. La composizione è paritetica e come controparte a quella aziendale è previsto un componente per ciascuna delle OO.SS. firmatarie del contratto, quindi non per la RSU che non è una organizzazione sindacale. Sarà un bel rebus per le aziende sanitarie la costituzione e ancora di più l’attività dell’Organismo visto che appare impraticabile l’idea di considerare tacitamente decaduto il CUG che è previsto da una disposizione legislativa. Per risolve-re la questione potrebbe essere concluso un accordo con i soggetti sindacali per unificare i due organismi armonizzandone le competenze, mentre una ipotetica soluzione estrema che eviti il danno erariale, potrebbe essere quella di imporre l’utilizzo dei permessi sin-dacali per l’attività dell’organismo contrattuale. Per completezza si segnala che per il CUG il decreto 165 prevede una composizione leggermente diversa perché i componenti di parte sindacale sono designati dalle “organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello di amministrazione”, formulazione atecnica che non può che essere riportata alle sigle abilitate alla

Personale SSNRelazioni sindacali

68

RISORSE UMANE • 2/2018

contrattazione integrativa. Resta il livello di confronto sindacale a livello regionale e tra le materie previste ci sono anche “linee di indirizzo in materia di presta-zioni aggiuntive”; se le parti hanno inteso riferirsi ai “gettoni” della legge Sirchia (legge 1/2002) si è persa una ennesima occasione per fare chiarezza in quanto, a mio giudizio, tali prestazioni aggiuntive non hanno più una legittimazione normativa quanto meno dal 2008. Per ciò che concerne il confronto (ex coordina-mento) regionale è innegabile che esso costituisca un terzo livello di contrattazione in evidente difformità dalle regole generali in vigore fin dal Protocollo del 23 luglio 1993.La regina delle relazioni sindacali resta la contrattazio-ne integrativa che è l’unico modello veramente nego-ziale. Le materie sono elencate in 14 punti dei quali 7 sono blindati - nel senso che non scatta la condizione liberatoria per l’autonomia datoriale dopo 30 giorni - e sette, invece, costituiscono in pratica una sorta di contrattazione contingentata; quest’ultima somiglia in realtà molto più al confronto/concertazione con la sola differenza che i trenta giorni sono in un caso tassativi e nell’altro prorogabili di altri trenta. In relazione ai 14 items va segnalato che dieci sono sostanzialmente in linea con il passato (lettere a, b, c, d, f, h, i, j, k, l) mentre del tutto nuovi sono il l’elevazione della percentuale di lavoro flessibile, welfare integrativo, l’aumento dell’indennità notturna e la dilatazione del cosiddetto “tempo-tuta”. Un cenno particolare va fatto al punto c) laddove si prevedono i “criteri per la defini-zione delle procedure delle progressioni economiche”, in quanto tali criteri in passato erano definiti direttamente dall’art. 35 del CCNL del 7.4.1999 e la contrattazione integrativa poteva “solo” integrarli. Un ennesimo disal-lineamento del contratto è però quello della mancata disapplicazione dell’art. 35 del CCNL del 7.4.1999 che definiva i criteri-base per l progressione economica, eventualmente integrabili. Ora sembra che i criteri siano di esclusiva competenza della trattativa aziendale che potrà recuperare la famigerata anzianità esclusa in passato ma, ovviamente, questa si dovrà esprimere nei limiti consentiti dall’art. 52, comma 1-bis del d.lgs. 165/2001, cioè “secondo principi di selettività, in fun-

zione delle qualità culturali e professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti”, senza dimenticare che l’art. 23 del d.lgs. 150/2009 aggiunge che le selezioni si rivolgono “ad una quota limitata di dipendenti”. Una novità sostanziale è costituita dall’aver dato le gambe all’impegno del Protocollo del 30 novembre – trasposto nei contenuti degli artt. 3 e 11 del d.lgs. 75/2017 – di porre limiti e condizioni all’autodefi-nizione di brunettiana memoria, cioè quella sancita dall’art. 40, comma 3-ter del d.lgs. 165/2001, no-vellato nel 2009. Ebbene l’azienda può provvedere provvisoriamente in via unilaterale dopo 45 giorni di inutili trattative, prorogabili di ulteriori 45. Va da sé che questa possibilità riguarda anche le sette materie sopra definite “blindate”. Riguardo all’autodefinizione viene istituito presso l’ARAN un osservatorio per mo-nitorare i comportamenti delle aziende soprattutto per verificare che gli “atti siano adeguatamente motivati”. Mancano peraltro nella norma le finalizzazioni di que-sto monitoraggio. In tal senso, comunque, restano le perplessità rispetto a cosa sia in concreto “un oggettivo pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa” e va segnalato che la parola “oggettivo” è stata aggiunta dal contratto mentre nel decreto 75 non è presente. Al fine di comprendere a pieno la portata innovativa e la valenza strategica dell’autodefinizione si ricorda che fino al 2009 sulle materie “direttamente implicanti l’erogazione di risorse destinate al trattamento economico” (ben otto punti) sussisteva un vero e proprio potere di veto dei sindacati su qualsiasi iniziativa o volontà aziendale. Per i sindacati è senz’altro una vittoria ri-spetto alla situazione creatasi nel 2009 ma è giusto ricordare che, rispetto agli impegni del Protocollo del 30 novembre, hanno perso per strada sia la qualifi-cazione di “economico” del pregiudizio della azione amministrativa – peraltro divenuto con il contratto “oggettivo“ - nonché la determinazione della durata massima dell’atto unilaterale. Molto apprezzabile è la riscrittura del punto k) riguardante l’incidenza dei sindacati sulle innovazioni organizzative (prima di parlava “delle innovazioni tecnologiche e organizzative e dei processi di disattivazione o riqualificazione e ricon-versione” ) e con la nuova formulazione ora dovrebbe

Personale SSNRelazioni sindacali

69

RISORSE UMANE • 2/2018

essere chiaro che la contrattazione non riguarda “se” si può fare la riorganizzazione ma, semmai, “come” farla.Per completezza va ricordato che vi sono altre due ma-terie, diciamo extracontrattuali, che rientrano tra quelle di contrattazione integrativa: l’utilizzo delle telecamere (art. 4, comma 1 della legge 300/1970) e i criteri di distribuzione degli incentivi per le funzioni tecniche cui fa riferimento la dichiarazione congiunta n. 3 (art. 113 del d.lgs. 50/2016). A conclusione del capitolo sulle relazioni sindacali si può segnalare un aspetto che ha sempre prodotto tensioni e vertenze nelle aziende,

a maggior ragione dopo gli accorpamenti degli ulti-mi anni. Mi riferisco alla possibilità di trasferimento di un dirigente sindacale, aspetto disciplinato ora dal solo art. 22 dello Statuto dei lavoratori alla luce della disapplicazione dell’art. 19 del CCNL del 20.9.2001 che al quinto comma trattava della “ mobilità interna dei dirigenti sindacali”. Orbene, la Corte di cassazione, sez. lavoro, con sentenza n. 14196 del 12.7.2016 ha definito il perimetro di legittimità del trasferimento interno di un sindacalista puntualizzando la distinzione tra le nozioni di “località” e di “sede di servizio”.

70

Valutazione e anticorruzione RISORSE UMANE • 2/2018

Privacy e trasparenza pubblica: la convivenza dopo l’introduzione del FOIA italianodi Paolo Canaparo

L’introduzione nel nostro ordinamento del FOIA di origine anglosassone ripropone il tradizionale tema del conflitto tra il diritto di accesso agli atti amministrativi e le esigenze di riservatezza delle informazioni che riguardano soggetti controinteressati.

1. Il contrasto “possibile” tra privacy e accessibilità totaleL’introduzione nel nostro ordinamento dell’accesso civico generalizzato da parte del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, sulla scorta dell’esperienza del Freedom of information act (FOIA) di origine anglosassone, ha finito per alimentare ipotesi di possibile “frizione” tra diritto alla privacy e quello alla conoscibilità dei diversi profili dell’azione amministrativa, laddove si è riconosciuto a chiunque il diritto di accedere ai dati ed ai documenti detenuti dalle p.a., diversamente dall’accesso civico “sem-plice” originariamente introdotto dal decreto legislativo n. 33/2013, tuttora vigente, riferito esclusivamente a quel patrimonio informativo oggetto di specifici obblighi di pubblicazione, per i quali la diffusione sui siti istituzionali non è avvenuta.Si tratta, quindi, del riconoscimento di una prerogativa di conoscenza amplissima che, allo scopo di favorire for-

me diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, apre le porte all’accesso ad un’enorme quantità di dati in possesso delle p.a. e non solo, a seguito della nuova regolamentazione della platea dei soggetti a diverso titolo sottoposti al regime di trasparenza pubblica. Tale forma di accesso è comunque esclusa negli specifici casi pre-visti dall’articolo 5-bis, comma 3, del c.d. Codice della trasparenza e può essere rifiutata quando il diniego è ne-cessario per evitare un “pregiudizio concreto” agli interessi, pubblici e privati, indicati ai commi 1 e 2 dello stesso articolo, fra cui quello «alla tutela [della] protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia» (art. 5-bis, comma 2, lett. a)), considerato che per «dato personale» si intende «qualunque informazio-ne relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

71

RISORSE UMANE • 2/2018

altra informazione, ivi compreso un numero di identifi-cazione personale» (art. 4, comma 1, lett. b), del Codice sulla privacy). Si ripropone, in altri termini, seppur con accenti inediti, diversi e, forse, più acuti, il tradizionale tema del conflitto tra il diritto di accesso agli atti amministrativi e le esigenze di riservatezza delle informazioni che riguardano soggetti controinteressati. Si tratta, in definitiva, di un giudizio sul conflitto tra la trasparenza totale che ha ispirato il FOIA, sul quale si fondano le interpretazioni più evolute di una concezione aperta e controllabile della democra-zia (che implica un accesso diffuso agli atti nei quali si esplica il potere), e le esigenze di protezione dei dati personali, che, pure, ricevono tutela dalle convenzioni internazionali e dagli ordinamenti sovranazionali. L’e-quilibrio tra i suddetti, confliggenti interessi, è destinato mostrarsi incerto per effetto della progressiva dilatazione degli spazi operativi dell’accesso ai documenti ammini-strativi e della contestuale ridefinizione della regolazione e della protezione dei dati personali. All’originaria fatti-specie dell’accesso documentale di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, si sono, poi, aggiunti, l’accesso civico semplice, che serve solo a cor-reggere le inadempienze agli obblighi di pubblicazione, e, da ultimo, (con il d.lgs. n. 97/2016), quello civico generalizzato. Quest’ultimo istituto, in particolare, ha rivelato, da subito, un’evidente e fisiologica attitudine a invadere la sfera di riservatezza dei soggetti controinteres-sati alla conoscenza del documento oggetto dell’accesso. Nella misura, in cui, infatti, il diritto all’accesso civico generalizzato risulta attribuito a ogni cittadino, senza necessità che sia titolare di una legittimazione collegata a un interesse qualificato e differenziato, e preordinato a garantire un controllo democratico e diffuso sul cor-retto esercizio delle pubbliche funzioni, esso si pone in immediata antinomia con le esigenze di protezione dei dati delle persone coinvolte, a qualsiasi titolo, nel docu-mento che si chiede di conoscere. Se non che, mentre la legge del 1990 aveva risolto la predetta aporia con una costruzione normativa lineare e sicura, il decreto legislativo del 2016 ha optato per la diversa soluzione della soft law (che sembra ormai diventata la panacea di tuti i mali connessi alla regolazione di secondo livello).

Se, infatti, il legislatore della 241 aveva autorizzato l’e-manazione di regolamenti contenenti la classificazione delle tipologie di atti amministrativi sottratti all’accesso, quello del 2016 si è, invece, limitato a indicare nell’atto legislativo gli interessi, pubblici e privati, che, se implicati dall’ostensione dei documenti richiesti, possono subire un pregiudizio concreto, con conseguente obbligo, in tale situazione, di negare l’accesso, ed ha rinviato a linee guida dell’ANAC la precisazione dei criteri di valutazione del predetto pericolo. La disciplina normativa dell’accesso civico generalizzato risulta, quindi, costruita secondo uno schema (finora) inedito: l’enunciazione nella legge del diritto, con l’esplicitazione della sue finalità (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013), l’indicazione, sempre nella fonte primaria, dei limiti al suo esercizio, mediante la sola classificazione nominale e generica, degli interessi che, se concretamente pregiudicati, autorizzano, anzi: impongono, il diniego all’accesso (art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33 del 2013), e il rinvio a un atto ammini-strativo, e privo di valenza normativa, quali le linee guida dell’ANAC, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali, della precisazione dell’ambito operativo delle esclusioni e dei limiti all’ACG (art.5-bis, comma 6, d.lgs. n. 33 del 2013). L’atto legislativo, quindi, omette prescrizioni puntuali circa le fattispecie che costituiscono limitazioni all’ACS e rinvia a un atto amministrativo non vincolante la definizione del perimetro operativo delle generiche clausole escludenti stabilite nella legge. La scelta della soft law risulta, peraltro, confermata dal divieto, per le pubbliche amministrazioni, di classificare, con fon-ti regolamentari, le tipologie di atti sottratti all’accesso civico generalizzato (come precisato dalla circolare n. 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, che richiama, a supporto, la riserva di legge contenuta nell’art. 10 della CEDU).In tale contesto, devono intendersi precluse istanze di accesso meramente strumentali, egoistiche o, peggio, emulative, in quanto si risolvono, a ben vedere, nell’abuso di uno strumento concepito per favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico (e non per ostacolare l’attività amministrativa o, addirittura, per arricchire il solo patrimonio di conoscenze del richie-dente). Non solo, ma l’oggetto dell’istanza conoscitiva

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

72

RISORSE UMANE • 2/2018

deve rispettare i canoni di necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza, già elaborati dalla giuri-sprudenza (nazionale e sovranazionale) con riferimento al trattamento dei dati personali. Se la richiesta di accesso civico generalizzato realizza le dette finalità e non appare “sproporzionata” l’accesso andrà accordato; se, vicever-sa, pur apparendo coerente con lo scopo dell’istituto, si rivela “eccedente” e irragionevolmente invasiva della sfera di riservatezza garantita ai soggetti controinteressa-ti, occorrerà verificare se le istanze conoscitive possono essere soddisfatte mediante un accesso parziale e, in par-ticolare, per mezzo dell’ostensione del documento, ma con l’oscuramento dei dati personali. Se tale opzione è praticabile, andrà senz’altro preferita, in quanto idonea a realizzare, al contempo, l’interesse conoscitivo attivato dal cittadino e a proteggere le informazioni personali dei controinteressati (come si ricava dalla lettura del parere del Garante per la protezione dei dati personali n. 363 del 28 agosto 2017, che ha ammesso l’ostensione della dichiarazione sulla insussistenza di incompatibilità ai fini dell’assunzione dell’incarico di commissario straordinario in una procedura di amministrazione straordinaria, rac-comandando, tuttavia, l’oscuramento dei dati personali). Se, invece, l’oscuramento dei dati personali non vale, di per sé, a conservare l’integrità dell’interesse conoscitivo, si dovrà compiere, in via definitiva, il giudizio circa l’e-sposizione dei controinteressati a un pregiudizio concreto e negare l’ACG quando la sua concessione produrrebbe conseguenze lesive nella loro sfera personale (e quando, appunto il diniego si rivela “necessario” al fine di evitare tale danno). Nella formulazione di tale valutazione si do-vrà tenere conto sia della consistenza e della natura degli interessi privati coinvolti (che imporrà maggiore cautela quando si tratti di interessi afferenti a dati sensibili, giu-diziari, genetici, biometrici, sulla localizzazione, sulla solvibilità economica o riguardanti minori), ma anche della posizione (pubblica o meno) ricoperta dal controin-teressato (dovendosi accordare maggiore protezione alle persone fisiche che non svolgono funzioni pubbliche e che non possono, quindi, intendersi naturalmente esposte a un controllo diffuso del loro operato).Il limite della tutela del dato personale non costituisce dunque un limite assoluto: la conoscenza dello stesso

non è esclusa in via definitiva ma l’accesso va valutato caso per caso, effettuando un bilanciamento tra privacy e trasparenza. Tale valutazione va maneggiata con estrema cautela: milioni di possibili richiedenti, con l’invio di una semplice mail, possono, infatti, chiedere di accedere a qualunque informazione ed a decidere è un funzionario chiamato ad effettuare, in tempi strettissimi (trenta gior-ni), un complesso bilanciamento tra i diversi interessi, concernente per lo più il diritto alla conoscenza del ri-chiedente e il diritto alla privacy del (o dei) controinte-ressato/i, nella considerazione che gli atti detenuti dalle p.a. contengono quasi sempre anche dati personali, sia di cittadini, che di pubblici funzionari. Così solo attra-verso una corretta e ponderata interazione tra trasparenza amministrativa e protezione dei dati personali si possono conseguire tutti i vantaggi sociali sottesi alle nuove di-sposizioni, senza inutili (e illegittimi) sacrifici per i diritti individuali. Ciò tenuto conto che se la richiesta è accolta in violazione dei limiti previsti dalla legge, si determina un trattamento illecito dei dati personali (consistente nella comunicazione di dati in violazione di un obbligo di legge), con conseguente responsabilità sia in ambito amministrativo (sanzioni pecuniarie previste dal Codice e in futuro dal Regolamento UE n. 2016/679) che civile, per il risarcimento del danno determinato per effetto dell’illecito trattamento dei dati personali (art. 15 del Codice e 82 del Reg. n. 2016/679).

2. L’ambito di tutela della privacyIl termine privacy va considerato, peraltro, con riferimen-to al complesso dei diritti fondamentali della persona quali la riservatezza, l’identità personale e la protezione dei dati personali. Quando si affronta il tema del rappor-to tra trasparenza e privacy occorre quindi considerare quest’ultima non solo come tutela della sfera individuale dalle indiscrezioni altrui (riservatezza), ma anche come diritto all’identità personale (ovvero alla corretta rap-presentazione della persona) e diritto alla protezione dei dati (cioè diritto a che le proprie in informazioni siano sempre trattate nel pieno rispetto dei presupposti e dei limiti definiti dalla legge).Va comunque rigettata qualunque visione puramente

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

73

RISORSE UMANE • 2/2018

oppositiva o antagonista del diritto alla privacy nei con-fronti della trasparenza. A ben vedere, infatti, trasparenza totale e privacy costituiscono componenti di una stessa “vision” delle attività pubbliche, incentrata sul rispetto e la centralità del cittadino-ricevente, inteso come titolare del doppio diritto all’informazione e alla riservatezza. Tale “vision” comune emerge con chiarezza anche dalla lettura del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla prote-zione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE, che prevede al Considerando n. 4, che “il diritto alla protezione dei dati personali non è una prerogativa assoluta ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con gli altri diritti fondamentali in ossequi al principio di propor-zionalità” e poi, al considerando 154, che l’accesso del pubblico ai documenti ufficiali è un trattamento conside-rato di interesse pubblico e che i dati personali, contenuti in documenti conservati da un’autorità pubblica o da un organismo pubblico, dovrebbero poter essere diffusi se la diffusione è prevista dal diritto degli Stati membri, il quale deve “conciliare l’accesso del pubblico ai documenti ufficiali e il riutilizzo delle informazioni del settore pubblico con il diritto alla protezione dei dati personali”. L’espressa inclusione della trasparenza amministrativa tra i compi-ti di interesse pubblico rende pienamente compatibili tutti i trattamenti di dati ad essa connessi, ivi compresa la loro diffusione, allorché prevista dalla legge, a patto però, che le norme nazionali concilino l’accessibilità ai dati con il rispetto della privacy (inteso nel senso ampio sopra chiarito) degli interessati. Come ricordato nell’In-tesa del Garante per la privacy sullo schema delle Linee guida ANAC recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico (cfr. anche provv. n. 360 del 10.8.2017, in www.gpdp.it, doc. web n. 6969290; provv n. 506 del 30 novembre 217, ivi, doc. web n. 7316508), in base alla più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 10 della Cedu peraltro non conferisce, in via generale, all’individuo il diritto di accesso alle informa-zioni in possesso delle autorità pubbliche, né obbliga tali autorità a conferire allo stesso le medesime informazioni.

Un tale diritto, o un tale obbligo, può essere, infatti, ricondotto alla più ampia libertà di espressione tutelata dall’art. 10 della Cedu, soltanto in situazioni particolari e a specifiche condizioni. Tra queste, assume particolare rilievo la circostanza che le informazioni oggetto di acces-so attengano a questioni di interesse pubblico e pertanto, l’accesso alle informazioni in possesso delle autorità pub-bliche possa ritenersi strumentale all’esercizio della libertà del richiedente di ricevere e di diffondere al pubblico le medesime informazioni, tale per cui il diniego dell’accesso costituirebbe una lesione di questa libertà (cfr. sul punto da ultimo il caso Magyar Helsinki Bizottság v. Ungheria, 8 novembre 2016, parr. 156 e 160-163).

3. La delicatezza degli interessi coinvoltiA supporto delle decisioni da assumere in merito alle istanze di accesso generalizzato, l’Autorità nazionale an-ticorruzione (ANAC), d’intesa con il Garante per la pro-tezione dei dati personali, sentita la Conferenza unificata Stato regioni, ha fornito le prime indicazioni operative con le Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico, adottate ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013. In tali Linee guida l’ANAC ha precisato che: «Nella ri-sposta negativa o parzialmente tale, (…) l’amministrazione è tenuta a una congrua e completa, motivazione, tanto più necessaria in una fase sicuramente sperimentale quale quella che si apre con le prime richieste di accesso. La motivazio-ne serve all’amministrazione per definire progressivamente proprie linee di condotta ragionevoli e legittime, al cittadino per comprendere ampiezza e limiti dell’accesso generaliz-zato, al giudice per sindacare adeguatamente le decisioni dell’amministrazione» (parr. 4.2, 5.3; nonché «Allegato. Guida operativa all’ accesso generalizzato», n. 13). Sul-la valutazione da effettuare in ordine all’esistenza di un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali le dette Linee guida dell’ANAC precisano, in particolare (par. 8.1), che: «La disciplina in materia di protezione dei dati personali prevede che ogni trattamento – quindi anche una comunicazione di dati personali a un terzo tramite l’accesso generalizzato – deve essere effettuato

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

74

RISORSE UMANE • 2/2018

«nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale […]», ivi inclusi il diritto alla reputazione, all’immagine, al nome, all’oblio, nonché i diritti inviolabili della persona di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione. Nel quadro descritto, anche le comunicazioni di dati personali nell’ambito del procedimento di accesso generalizzato non devono determinare un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati ai sensi dell’articolo 8 della Conven-zione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della giuri-sprudenza europea in materia». Le stesse Linee guida rilevano che: «Ai fini della valutazio-ne del pregiudizio concreto, vanno prese in considerazione le conseguenze – anche legate alla sfera morale, relazionale e sociale – che potrebbero derivare all’interessato (o ad altre persone alle quali esso è legato da un vincolo affettivo) dalla conoscibilità, da parte di chiunque, del dato o del docu-mento richiesto, tenuto conto delle implicazioni derivanti dalla previsione di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 33/2013, in base alla quale – a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai sensi della legge n. 241/1990 – i dati e i documenti forniti al richiedente tramite l’accesso generalizzato sono considerati come “pub-blici”, sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (art. 7 del d. lgs. n. 33/2013). Occorre infatti tenere in considerazione che, una volta che i dati personali escono dal controllo del titolare del trattamento e sono messi a disposizione di chiunque, ven-gono meno quelle garanzie di correttezza e di sicurezza del trattamento proprie dell’istituzione che li deteneva con con-siderevole oggettivo aumento dei rischi di un uso illecito di cui potrà essere chiamato a rispondere colui che ha ottenuto l’accesso e/o ha realizzato la condotta illecita. Le conseguenze per l’interessato potrebbero riguardare, ad esempio, future azioni da parte di terzi nei suoi confronti, o situazioni che potrebbero determinare l’estromissione o la discriminazione dello stesso individuo, oppure altri svantaggi personali e/o sociali. In questo quadro, può essere valutata, ad esempio,

l’eventualità che l’interessato possa essere esposto a minacce, intimidazioni, ritorsioni o turbative al regolare svolgimento delle funzioni pubbliche o delle attività di pubblico interesse esercitate, che potrebbero derivare, a seconda delle particolari circostanze del caso, dalla conoscibilità di determinati dati. Analogamente, vanno tenuti in debito conto i casi in cui la conoscibilità di determinati dati personali da parte di chiunque possa favorire il verificarsi di eventuali furti di identità o di creazione di identità fittizie attraverso le quali esercitare attività fraudolente». Le Linee guida prevedono, infine, che: «Per verificare l’impatto sfavorevole che potrebbe derivare all’interessato dalla conoscibilità da parte di chiunque delle informazioni richieste, l’ente destinatario della richiesta di accesso genera-lizzato deve far riferimento a diversi parametri, tra i quali, anche la natura dei dati personali oggetto della richiesta di accesso o contenuti nei documenti ai quali di chiede di accedere, nonché il ruolo ricoperto nella vita pubblica, la funzione pubblica esercitata o l’attività di pubblico interesse svolta dalla persona cui si riferiscono i predetti dati». Va considerato altresì che «la sussistenza di un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali può verificarsi con più probabilità per talune particolari informazioni – come ad esempio situazioni personali, familiari, professionali, patrimoniali – di persone fisiche destinatarie dell’attività amministrativa o intervenute a vario titolo nella stessa e che, quindi, non ricoprono necessariamente un ruolo nella vita pubblica o non esercitano funzioni pubbliche o attività di pubblico interesse. Ciò anche pensando, come già visto, alle ragionevoli aspettative di confidenzialità degli interessati riguardo a talune informazioni in possesso dei soggetti destinatari delle istanze di accesso generalizzato o la non prevedibilità delle conseguenze derivanti a questi ultimi dalla conoscibilità da parte di chiunque di tali dati».

4. Il coinvolgimento dei controinteressatiIl c.d. Codice sulla trasparenza prevede che «l’amministra-zione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

75

RISORSE UMANE • 2/2018

di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso» (art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 33/2013). Al riguardo, come già affermato dal Garante per la privacy (parere reso nel provvedimento n. 377 del 21.9.2017, in www.gpdp.it, doc. web n. 6919162), l’istituto della comunicazione della richiesta di accesso civico al soggetto controinteressato, prevista dalla predetta disposizione, non è comunque finalizzato all’acquisizione di un suo consenso al trattamento dei dati personali. La normati-va in materia di protezione dei dati personali prevede, infatti, che il consenso dell’interessato possa essere reso solo per i trattamenti effettuati da soggetti privati o da enti pubblici economici (artt. 23 ss., del Codice). I sog-getti pubblici, invece, possono effettuare trattamenti di dati personali «soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali», e, pertanto, in tale contesto, «non devo-no richiedere il consenso dell’interessato» (art. 18, del Codice). Ciò chiarito, la comunicazione della richiesta di accesso civico al soggetto controinteressato – previ-sta dall’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 33/2013 – ha la diversa funzione di consentire a quest’ul-timo di intervenire eventualmente nel procedimento, presentando una motivata opposizione, laddove ritenga che dall’accoglimento dell’accesso possa derivare un pre-giudizio concreto, fra l’altro, alla protezione dei propri dati personali. Resta fermo, in ogni caso, che, come evi-denziato anche dall’ANAC, le motivazioni addotte dal soggetto controinteressato «costituiscono un indice della sussistenza di un pregiudizio concreto, la cui valutazione però spetta all’ente e va condotta anche in caso di silenzio del controinteressato, tenendo, altresì, in considerazione gli altri elementi illustrati [nelle Linee guida]» (par. 8.1 delle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico).La p.a. deve valutare, da un lato, la probabilità e serietà del danno agli interessi dei soggetti terzi che abbiano fatto opposizione e, dall’altro, la rilevanza dell’interesse conoscitivo della collettività (e, se esplicitato, del richie-dente) che la richiesta mira a soddisfare, cioè la rilevanza dell’interesse conoscitivo (del richiedente e, più in gene-rale, della collettività) che la richiesta mira a soddisfare. Ciò nella considerazione che il controinteressato, con la

sua opposizione, non può diventare arbitro del buon esito della richiesta di accesso generalizzato. In tal senso assu-me interesse la recentissima pronuncia della sez. I, TAR Piemonte che, con la sentenza 6 aprile 2017, n. 460, ha ribadito che, per legge, il rigetto della richiesta di accesso agli atti deve essere congruamente motivato e, da questo punto di vista, deve ritenersi affetta da radicale carenza di motivazione la giustificazione opposta dall’ammini-strazione che poggi sulla posizione di mera contrarietà all’esibizione dei documenti manifestata, in termini del tutto generici e apodittici, dal terzo controinteressato.La circostanza che i dati o documenti richiesti faccia-no riferimento a soggetti terzi, di per sé, non implica comunque che questi debbano essere qualificati come controinteressati. Occorre, infatti, in ogni caso valutare il pregiudizio concreto agli interessi privati di cui all’art. 5-bis, comma 2, che i controinteressati potrebbero subire come conseguenza dell’accesso. Al fine di identificare i controinteressati in modo corretto, è indispensabile quindi procedere a questa valutazione soltanto dopo un puntuale esame di tutti i dati e i documenti oggetto della domanda di accesso generalizzato.

5. Rapporto trasparenza-privacy, i primi punti fermi del Garante sull’esistenza di un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personaliL’accesso generalizzato è potenzialmente così pervasivo da aver già più volte incontrato i rilievi del Garante della privacy, sia nell’iter legislativo del provvedimento che ha portato al suo riconoscimento, sia nei primi mesi di applicazione. Alcune delle criticità rilevate dal Garante con il parere del 7 febbraio 2013 (doc web. n. 2243168) sullo schema di decreto legislativo sull’accesso civico, in vista della sua emanazione da parte del Governo, sono state peraltro positivamente risolte nel testo finale del provvedimento: si pensi all’esclusione dell’obbligo di pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie di sovvenzioni e benefici economici, dai quali sia possibile evincere informazioni sul loro stato di salute o sul loro stato economico-sociale disagiato. Al contrario, altre osservazioni su punti altrettanto fondamentali non

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

76

RISORSE UMANE • 2/2018

sono state accolte, con l’effetto di lasciare irrisolte talune problematiche: si pensi all’indicizzazione e rintracciabilità dei dati personali pubblicati sui siti istituzionali delle p.a. mediante motori di ricerca generalisti, foriera di rischi in termini di decontestualizzazione dell’informazione e di svuotamento del diritto all’oblio, all’ampia facoltà di riutilizzo del dato da parte dell’utente, nonché alla durata sostanzialmente illimitata della pubblicazione che le disposizioni del decreto fanno presagire. Il Garante privacy ha poi chiarito quelli che sono punti fermi del rapporto trasparenza-privacy nella lettera del 30 maggio 2017 alla Ministra p.a. Marianna Madia, di commento della circolare n. 2/2017 con cui la Funzione pubblica ha fornito alle p.a. indicazioni sull’applicazione del FOIA. Secondo il Garante, “il principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo” del richiedente non può andare “a scapito di altri diritti ugualmente riconosciuti dall’ordinamento quali, ad esempio, quello alla riservatezza e alla protezione dei dati personali (…)”. In conseguenza di ciò, il Garante ha evidenziato che: a) il diritto a conoscere va esaudito non in tutti i casi ma solo quando soddisfa un reale interesse pubblico; b) la comunicazione ai soggetti controinteressati non può essere limitata da interpretazioni autonome delle singole p.a. così come farebbe presumere la circolare 2/2017 quando dice che “la circostanza che i dati o documenti richiesti facciano riferimento a soggetti terzi, di per sé, non implica che questi debbano essere qualificati come controinteressati. Occorre comunque valutare il pregiudi-zio concreto agli interessi privati (…)”; c) riguardo infine alle “pubblicazioni non obbligatorie”, che in regime di trasparenza totale sono, com’è evidente, un formidabile strumento di accountability (la circolare della Funzione pubblica parla di “pubblicazione proattiva” che anticipa la domanda del cittadino), dall’ottica della privacy van-no realizzate con molta prudenza, e comunque sempre “riportando in forma anonima i dati personali eventual-mente presenti”. I primi orientamenti del Garante della privacy emergono peraltro anche in sede di espressione dei pareri formulati dal Responsabile della prevenzione della corruzione in caso di richiesta di riesame di dinieghi di accesso per mo-tivi attinenti alla tutela della «protezione dei dati persona-

li, in conformità con la disciplina legislativa in materia» (artt. 5, co. 7; 5-bis, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 33/2013).In particolare, con il parere n. 360 del 10 agosto 2017, il Garante per la privacy si è occupato di un diniego di accesso civico che aveva ad oggetto la «copia in forma riassuntiva contenente i dati del committente, descrizione dell’intervento, località del cantiere, tecnico progettista, delle Segnalazioni Certificate di Inizio Attività (SCIA) e delle Comunicazioni Inizio Attività Asseverata (CILA) concer-nenti l’attività degli interventi edili da attuarsi nel territorio comunale, presentate dal 01/01/2017 al 25/02/2017». La richiesta ha investito, dunque, documentazione avente ad oggetto uno spettro molto ampio di attività relative ad alcune tipologie di “titoli abilitativi edilizi”. Si spazia da interventi riguardanti la semplice apertura o chiusura di un vano finestra, alla costruzione di una recinzione, al frazionamento o accorpamento di unità abitative, fino a operazioni più importanti come il rifacimento di tetti o solai, oppure o la ristrutturazione generale di un intero fabbricato. Le informazioni e i dati, anche di carattere personale, da presentare all’ente competente e contenuti nei predetti titoli abilitativi edilizi (CILA e SCIA) sono molteplici e di diverso genere e natura. Il riferimento è, ad es., a nominativi, data e luogo di nascita, codici fiscali, residenza, e-mail, p.e.c., numeri di telefono fisso e cellu-lare riferiti al/i titolare/i dell’intervento in qualità di pro-prietario, comproprietario, usufruttuario, amministratore di condominio o dei loro rappresentanti; a informazioni sulla tipologia di intervento; alla data di inizio e di fine dello stesso; all’ubicazione, dati catastali e destinazione d’uso dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio; al carattere oneroso o gratuito dell’intervento con allegata eventuale ricevuta dei versamenti effettuati; all’entità pre-sunta del cantiere; ai dati dei tecnici incaricati (direttori dei lavori e altri tecnici) e dell’impresa esecutrice dei lavo-ri (riportati nell’allegato «soggetti coinvolti»); nonché, fra l’altro, al prospetto di calcolo preventivo del contributo di costruzione e agli elaborati grafici dello stato di fatto e progetto (come allegati).In merito. il Garante per la privacy ha premesso che il decreto legislativo n. 97/2016 ha abrogato l’articolo 23, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 33/2013, che prevedeva l’obbligo da parte delle p.a. di pubblicare

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

77

RISORSE UMANE • 2/2018

sul sito web istituzionale gli «elenchi dei provvedimenti» adottati «con particolare riferimento ai provvedimenti finali dei procedimenti di: a) autorizzazione o conces-sione», ai quali, secondo l’orientamento dell’ANAC, dovevano ritenersi equiparati anche la DIA e la SCIA (ordinanza n. 11 del 21.5.2014) In ogni caso, anche nel previgente testo normativo non era previsto l’obbligo di pubblicazione on line dei “provvedimenti integrali”, ma solo di una «scheda sintetica» degli elementi previsti dalla disposizione, ossia «il contenuto, l’oggetto, la eventuale spesa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento» (art. 23, comma 2, d.lgs. n. 33/2013, abrogato), senza specifici riferimenti alla pubblicazione di dati personali ivi con-tenuti. A seguito della riforma legislativa, l’ANAC ha comunque precisato che: «L’art. 23, comma 1 del d.l.gs 33 del 2013 è stato modificato dall’art. 22 del d.lgs. 97/2016. Quest’ultimo ha abrogato le disposizioni dell’art. 23 sulla pubblicazione degli elenchi dei provvedimenti finali dei procedimenti relativi a autorizzazioni e concessioni, concorsi e prove selettive del personale e progressioni di carriera. Pur rilevandosi un difetto di coordinamento con la legge 190/2012, che all’art. 1, comma 16, lett. a e d), continua a fare riferimento alla trasparenza dei suddetti procedimenti, tali obblighi devono ritenersi abrogati. Resta ferma la pos-sibilità di esercitare il diritto di accesso civico generalizzato ai provvedimenti sopra indicati, ai sensi degli artt. 5, co. 2 e 5-bis del d.lgs. 33/2013» (par. 5.5. della delibera n. 1310 del 28.12.2016). Allo stato, dunque, non esiste un obbligo di pubblicazione da parte delle p.a. delle SCIA o delle CILA presentate all’ente, né in forma integrale né in forma riassuntiva.In tale contesto, il Garante ha quindi ritenuto corret-tamente respinta l’istanza all’accesso civico a tutte le SCIA e a tutte le CILA presentate all’ente dall’1.1.2017 al 25.2.2017, nel caso in cui la domanda di accesso civi-co abbia come oggetto la copia integrale dei documenti (come chiesto nell’istanza di riesame), sia nel caso in cui l’oggetto dell’accesso sia limitato (come richiesto nella domanda iniziale) alla ricezione di «copia in forma rias-suntiva» dei dati del committente e del tecnico proget-tista, corredati dalla descrizione dell’intervento e della località del cantiere (inteso come accesso civico parziale

ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, d.lgs. n. 33/2013). In-fatti, ai sensi della normativa vigente e tenendo anche conto delle richiamate indicazioni contenute nelle Linee guida dell’ANAC, l’ostensione dei predetti documenti o informazioni, considerando la quantità e qualità dei dati personali coinvolti, uniti al particolare regime di pubblicità dei dati e documenti oggetti di accesso civico, è suscettibile di determinare, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui possono essere utilizzati da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’articolo 5-bis, comma 2, lett. a), del decreto legislativo n. 33/2013. Per gli stessi motivi, il medesimo pregiudizio concreto alla tutela della prote-zione dei dati personali avrebbe potuto realizzarsi anche nel caso di un eventuale e più limitato accesso parziale – come richiesto dall’istante in una nota interlocutoria prima della richiesta di riesame – avente ad oggetto i soli dati del tecnico progettista (senza quelli relativi al committente), corredati però dalla descrizione dell’in-tervento e della località dove avviene il lavoro con via e numero civico. Anche in tale caso «dai dati in questione è possibile risalire all’esistenza del rapporto professionale tra committente e progettista» e che «anche se si oscurassero i dati del committente, l’indicazione dell’immobile og-getto dell’intervento consentirebbe di risalire all’identità del relativo proprietario tramite una visura catastale». Rimane, in ogni caso, salva la possibilità per l’istante di accedere a tutta documentazione richiesta, anche con i dati personali in chiaro, laddove, invece, formulando una diversa domanda di accesso agli atti amministrativi ai sensi degli articoli 22 ss. della legge n. 241/1990, dimo-stri di possedere «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».Con il parere n. 506 del 30 novembre 2017, il Garante per la privacy si è espresso poi sul diniego di una domanda di accesso civico volta a ottenere due elenchi: a) quello dei contribuenti di un comune che hanno versato l’Im-posta Municipale Unica (IMU) sulla prima casa negli ultimi tre anni (a partire dall’anno 2014); b) quello degli immobili a uso residenziale prima casa siti nel medesimo comune, per i quali nel predetto periodo di tempo è stata corrisposta la citata imposta. Sul punto, il Garante ha

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

78

RISORSE UMANE • 2/2018

evidenziato che l’ostensione dei dati richiesti fornirebbe una grande quantità di informazioni personali relative ai proprietari – che dalle stime del comune interessato riguardano più di 2000 immobili – di natura e specie diversa. Infatti, oltre ai dati identificativi dei soggetti interessati, è possibile desumere dati come la residenza in un certo comune, l’aver fissato in quell’immobile la propria abitazione principale, la qualità di “proprietario” di un immobile di una certa tipologia con l’identifica-zione dell’immobile stesso, l’aver versato o meno uno specifico tributo. Inoltre, poiché i soggetti tenuti a pagare l’IMU sono quelli che hanno l’abitazione principale negli immobili appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (ossia «abitazioni di tipo signorile», «abitazioni in ville» e «castelli» o «palazzi di eminenti pregi artistici o storici»), l’informazione sui contribuenti richiesta è idonea a rivelare anche ulteriori elementi, come il tenore di vita o la situazione patrimoniale. Tutte le circostanze descritte devono essere tenute in specifica considerazione, visto che alla luce del nuovo Regolamento europeo, già entrato in vigore e applicabile a decorrere dal 25/5/2018, «si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con parti-colare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale» (art. 4, par. 1, n. 1). Per-tanto, il Garante – considerando la natura, la specie e la quantità dei dati personali richiesti dall’istante, nonché il particolare regime di pubblicità dei dati e documenti oggetti di accesso civico (art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 33/2013) – ha ritenuto che l’accesso civico deve ritener-si correttamente rifiutato, ciò in quanto, ai sensi della normativa vigente e delle richiamate indicazioni conte-nute nelle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico, l’ostensione dei dati e delle informazioni richiesti sarebbe stata suscettibile di determinare, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui possono essere utilizzati da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’articolo 5-bis, comma 2, lett. a), del decreto legislativo n. 33/2013. Analogamente, non è stata ritenuta praticabile nemmeno

la possibilità di fornire un accesso civico parziale, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 33/2013, limitato al solo elenco degli immobili a uso residenziale prima casa per i quali nel predetto periodo di tempo è stata corrisposta l’IMU, priva dell’elenco dei soggetti che hanno corrisposto il tributo. Ciò in quanto, come anticipato, le predette informazioni non escludo-no del tutto la possibilità che il soggetto proprietario dell’immobile sia identificato indirettamente mediante il collegamento con altre banche dati (es: banca dati ca-tastale, pagine bianche, ecc.). Con il parere n. 566 del 29 dicembre 2017, il Garante per la privacy ha successivamente affrontato il diniego di accesso civico avente ad oggetto la «documentazione completa inerente il procedimento avviato per valutare le benemerenze acquisite verso la Nazione [da parte del sog-getto identificato in atti], perché il Presidente del Consi-glio […] lo potesse motivatamente proporre al Presidente della Repubblica per l’attribuzione della onorificenza di cavaliere […]». L’Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha negato l’accesso civico rappresentando, fra l’altro, che: - «il conferimento dell’onorificenza è un atto discrezionale e rientra nelle prerogative del Presidente della Repubblica e come tale non è sindacabile. Con d.P.C.M. del 27.6.2011 n. 143 è stata poi prevista l’esclu-sione dell’accesso documentale di tutta la documentazio-ne riguardante il conferimento di Onorificenze; in altri termini l’accesso ai documenti amministrativi è escluso anche agli stessi destinatari dell’onorificenza». Si aggiunge la circostanza che il conferimento onorifico è «un atto complesso, che prevede una approfondita istruttoria a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mirata ad accertare le benemerenze possedute e l’onorabilità sotto tutti gli aspetti dell’aspirante, tramite raccolta di informazioni e altri atti e documenti idonei a rivelare dati personali, anche sensibili, con particolare riguardo agli eventuali procedimenti giudiziari». Nel caso sottoposto all’attenzione del Garante, inoltre, dalla richiesta di rie-same al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza risultava che le ragioni che hanno condotto alla richiesta di accesso civico riguardavano motivi di carattere strettamente personale, confermati

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

79

RISORSE UMANE • 2/2018

anche nella nota contenente l’opposizione del soggetto controinteressato, laddove si evidenziava che l’istante aveva già presentato a diverse amministrazioni oltre 250 domande di accesso «al fine di acquisire informazioni personali, professionali, e da ultimo commerciali e in-dustriali» su di esso. Per tutti i motivi sopradescritti, considerando anche il particolare regime di pubblicità dei dati e documenti oggetti di accesso civico (art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 33/2013), il Garante per la privacy ha ritenuto corretto il diniego di accesso civico pronunciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In particolare ha valutato che l’ostensione della documentazione richiesta, unita alla ge-nerale conoscenza e al particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico, avrebbe potuto arrecare al soggetto interessato, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui le informazioni fornite fossero state utilizzate da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’articolo 5-bis, comma 2, lett. a), del c.d. Codice sulla trasparenza. Per completezza, il Garante per la privacy ha poi evidenziato che la normativa statale di settore esclude l’accesso civico – ai sensi dell’art. 5-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 33/2013 – oltre che «nei casi di segreto di Stato», anche «negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di speci-fiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990». Come noto, tale ultima disposizione, a sua volta, prevede che «Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del [medesimo art. 24]». In tale quadro normativo, nel riscontro della Presidenza del Consiglio all’istanza di accesso civico, è stato richiamato il d.P.C.M. 27.6.2011, n. 143, che sottrae all’accesso, ai sensi dell’articolo 24, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 1990, n. 241, «i documenti riguardanti il conferimento di onorificenze, decorazioni, ricompense, istituti premiali e patrocini,

nonché l’adesione a comitati d’onore e consimili da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri» (art. 2, comma 1, lett. d)). Il medesimo regolamento prevede che, ai sensi dell’articolo 24, commi 1 e 2, del-la legge 7 agosto 1990, n. 241, «s[iano] altresì sottratti all’accesso i documenti o atti amministrativi che altre amministrazioni hanno sottratto all’accesso in base ad una specifica normativa che li riguarda e che la Presidenza del Consiglio dei Ministri detiene in quanto atti di un procedimento di propria competenza» (art. 2, comma 2)». Il complesso delle circostanze ha impedito, altresì, di accordare un eventuale accesso civico parziale alla docu-mentazione richiesta, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 33/2013. Con il parere n. 574 del 29 dicembre 2017, il Garante per la privacy ha quindi esaminato il diniego di accesso civico a una documentazione molto articolata – riferi-ta a un arco temporale di tre anni (dal 2014 al 2016) – concernente dati e informazioni personali di diversa specie e natura, contenuti nei singoli fascicoli personali dei dirigenti e relativi, fra l’altro, da un lato, alle singole valutazioni delle prestazioni professionali, ai giudizi e alle informazioni sull’attività lavorativa prestata svolte dall’amministrazione di appartenenza e, dall’altro, alle relazioni e ai dati forniti dai dirigenti stessi a supporto delle attività realizzate. Per tale motivo, il Garante ha ritenuto che l’ente locale interessato – ai sensi della nor-mativa vigente e delle richiamate indicazioni contenute nelle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico – aveva correttamente respinto l’accesso civico in quanto l’ostensione del complesso della documentazione richie-sta, unita alla generale conoscenza e al particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico, avrebbe potuto arrecare ai soggetti interessati quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’articolo 5-bis, comma 2, lett. a), del de-creto legislativo n. 33/2013. Ciò anche considerando che l’esigenza conoscitiva, strumentale al perseguimento delle finalità di cui all’articolo 5, comma 2, del Codice sulla trasparenza, deve ritenersi pienamente soddisfatta dagli articoli 14, comma 1-ter, e 20, che contemplano specifiche forme di diffusione di una serie determinata di dati che stesso il legislatore, nel rispetto del principio

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

80

RISORSE UMANE • 2/2018

di proporzionalità di cui all’articolo 11 del Codice sulla privacy, ha ritenuto di per sé idonei per l’esercizio del diritto di accesso civico. Con il parere n. 15 del 18 gennaio 2018, il Garante per la privacy ha dunque esaminato il diniego di acces-so civico a tutti i verbali di contestazione di violazione del Codice della strada redatti dalla Polizia Locale di un comune in una data zona e in un preciso periodo tempo-rale (dal mese di agosto 2017 alla data di presentazione della domanda di accesso). Si tratta di documentazione che riporta dati e informazioni personali, quali, in linea generale, nominativo del soggetto multato, indirizzo di residenza, tipo di autovettura, targa, norme violate, data e luogo della violazione, ammontare della sanzione, etc. In tale quadro, deve essere altresì tenuta in considerazione la circostanza per la quale – a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai sensi della legge n. 241/1990 – i dati e i documenti che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico divengono «pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7», sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 33/2013). In tal senso, il Garante per la privacy ha ritenuto corretto il diniego, atteso che la conoscenza indiscriminata di informazioni e dati personali conte-nuti nella documentazione oggetto dell’accesso civico è apparsa non necessaria, o comunque sproporzionata, ri-spetto allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, per il quale, al limite, nell’ambito di una verifica sul complessivo esercizio delle funzioni amministrative del comune in materia sanzionatoria e di un eventuale dibattito pubblico in materia, potrebbero eventualmente essere utili informazioni diverse, fornite in maniera aggregata senza dati personali fra cui, come richiesto in subordine nella stessa istanza di accesso civico «il numero dei Verbali di contestazione del codice della strada redatti presso i parcheggi del [Centro Commerciale indicato] a partire dal mese di Agosto 2017 fino ad oggi». Tale richiesta, del resto, è stata correttamente accolta anche dall’ente locale interessato che ha affermato non

«sussiste[re] alcun ostacolo» all’«accesso al dato numerico aggregato circa le suddette contravvenzioni»Con il parere n. 18 del 18 gennaio 2018, il Garante per la privacy ha esaminato quindi il diniego di accesso civico avente ad oggetto documenti inerenti al conseguimento della qualifica dirigenziale di un dipendente dell’INPS. In relazione ai diversi documenti oggetto dell’istanza di accesso civico, il Garante ha rilevato, in primo luogo, che l’accesso civico al «bando di concorso pubblico per dirigenti del Comune […], per titoli ed esami, pubblicato sulla GURI» non può essere negato per motivi inerenti la protezione dei dati personali, posto che il predetto bando, oltre a non contenere dati personali, costituisce un documento oggetto di specifica pubblicità anche sui siti web istituzionali (cfr. art. 19 del d. lgs. n. 33/2013). Analogamente, si ritiene che non possono opporsi, pe-raltro, senza nemmeno coinvolgere il soggetto controin-teressato, generici motivi relativi alla protezione dei dati personali per negare l’accesso civico a una graduatoria di concorso pubblico per dirigenti per la quale sia sta-ta prevista la pubblicazione obbligatoria sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Diverso tipo di ra-gionamento deve essere, invece, effettuato in relazione all’accesso civico al «certificato di laurea» o alla «certifi-cazione dell’anzianità di servizio, con indicazione della data di inquadramento del livello giuridico direttivo» del dipendente. Al riguardo, il Garante ha ritenuto che l’INPS abbia correttamente respinto la richiesta, ciò in quanto l’ostensione dei predetti documenti, unita alla ge-nerale conoscenza e al particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico, avrebbe potuto arrecare al soggetto interessato, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui le informazioni fornite possono essere utilizzate da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’articolo 5-bis, comma 2, lett. a), del decreto legislativo. n. 33/2013. Sulla possibilità di accedere ai dati personali richiesti ai sensi della legge n. 241/1990, il Garante ha evidenziato che, dalla richiesta di riesame, risulta che le ragioni che hanno condotto alla istanza di accesso civico riguardano la necessità di tutelare uno specifico interesse dell’istante. Per questi aspetti, quindi, rimane impregiudicata ogni valutazione dell’INPS in ordine alla verifica, nel caso in

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

81

RISORSE UMANE • 2/2018

esame, dell’esistenza di un interesse qualificato dell’istante e dei presupposti per l’esercizio del diverso diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990. Ciò anche alla luce delle indicazioni conte-nute nelle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico, laddove è precisato che: «Resta, in ogni caso, ferma la possibilità che i dati personali per i quali sia stato negato l’accesso generalizzato possano essere resi ostensibili al soggetto che abbia comunque motivato nell’istanza l’esistenza di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documen-to al quale è chiesto l’accesso”, trasformando di fatto, con riferimento alla conoscenza dei dati personali, l’istanza di accesso generalizzato in un’istanza di accesso ai sensi della l. 241/1990» (par. 6.2.).Con il parere n. 25 del 18 gennaio 2018, il Garante, in ultimo, ha esaminato il diniego ad un accesso civico concernente un’articolata documentazione riguardan-te una procedura di condono edilizio contenente dati e informazioni personali di diversa specie e natura. Al riguardo, il Garante ha notato che deve essere tenuta in considerazione la circostanza per la quale – a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai sensi della legge n. 241 del 7/8/1990 – i dati e i documenti che si ricevo-no a seguito di una istanza di accesso civico divengono «pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’ar-ticolo 7», sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013). In tale contesto, è rilevante che nell’opposizione all’accesso civico i sogget-ti controinteressati abbiano evidenziato che la richiesta di accesso si riferisca a un’istanza di condono edilizio presentata trenta anni fa, che sarebbe ormai conclusa. Inoltre, i richiedenti l’accesso civico sarebbero «autori di una pervicace quanto immotivata e illogica attività persecutoria che ha per oggetto i beni e le proprietà rice-vute in eredità dagli scriventi [controinteressati]», i quali ultimi temerebbero quindi «un uso tutt’altro che civile e legittimo di qualsiasi informazione venga divulgata». Il Garante ha inoltre considerato che, sebbene il soggetto intestatario della pratica di condono edilizio nei confronti

della quale è stato esercitato il diritto di accesso civico sia deceduto da oltre venti anni, e a prescindere dei diritti esercitabili a sua tutela, dalla documentazione per cui è stato richiesto l’accesso generalizzato potrebbero in ogni caso emergere dati e informazioni (quali certificazioni, dichiarazioni, planimetrie, ecc.) riguardanti anche gli eredi del de cuius, i quali potrebbero subire pregiudizio pure alla loro sfera di riservatezza. Per tali motivi, ha ritenuto che l’ente locale interessato abbia correttamente negato l’accesso civico generalizzato alla documentazione richiesta.

6. La tutela dei dati personali per la giurisprudenza amministrativaIn merito al bilanciamento tra accesso civico generalizzato e privacy appaiono interessanti anche alcuni pronuncia-menti della giustizia amministrativa che sembrano privi-legiare il diritto alla conoscibilità dell’azione amministra-tiva. In particolare, per la sentenza n. 5901/2017del TAR della Campania, sez. VI, le società partecipate hanno l’obbligo di accogliere la richiesta di accesso civico gene-ralizzato presentata per conoscere i tabulati delle presenze di un dipendente. Infatti, “il limite della tutela del dato personale non è un limite assoluto, quindi la conoscenza dello stesso non è esclusa in via definitiva ma la norma prevede che l’accesso vada negato se l’ostensione dei dati o documenti richiesta possa comportare un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali”. Ed ancora, “Conside-rando gli interessi in gioco e cioè il diritto a conoscere se un dipendente di una società in controllo pubblico (assimilata a una pubblica amministrazione ai fini dell’applicazione della disciplina in tema di prevenzione della corruzione e della trasparenza a norma dell’art. 2-bis del d. lgs. 33/2013) e costituita con soldi pubblici, sia semplicemente presente al lavoro in un determinato periodo e il diritto del controinte-ressato a che non sia rivelata la presenza perché afferente a un dato personale, appare certamente prevalente il diritto a conoscere del richiedente tenuto anche conto che, come dichiarato dallo stesso ricorrente, l’amministrazione nel fornire tale dato generico avrebbe potuto omettere tutte le informazioni che emergevano dai documenti di presenza im-pattanti con il diritto alla riservatezza del controinteressato,

Valutazione e anticorruzioneFOIA italiano

82

RISORSE UMANE • 2/2018

quali per esempio l’astensione dal lavoro per malattia .. la documentazione dalla quale emergono i rilevamenti delle presenze del personale in servizio rientra proprio nell’ambito della possibilità di controllo sul perseguimento da parte di un dato ente delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo da parte di questo delle risorse pubbliche, finalizzato alla par-tecipazione al dibattito pubblico; in concreto si hanno in gioco, da una parte, l’interesse a conoscere se un dipendente della società è stato semplicemente assente o presente in un determinato periodo, senza fornire altre informazioni, in quanto rientrante nell’ambito del sinallagma che deriva dal rapporto di lavoro, dall’altra l’esigenza di non dare questa informazione perché di carattere personale in quanto afferente a un soggetto specificamente individuato”. Il TAR Campania rileva poi che la risposta dell’Ente, facendo riferimento all’unica circostanza dell’opposizione da parte del controinteressato, non consente di ricostruire quel percorso fattuale e giuridico che l’amministrazione avrebbe dovuto fare e la valutazione dalla stessa ope-rata degli interessi in gioco, valutazione che alla stessa compete, a maggior ragione allorquando c’è opposizione all’ostensione da parte del controinteressato. Ciò perché il diritto a conoscere dei cittadini deve essere assicurato dall’Amministrazione e non può essere lasciato alla de-cisione del controinteressato il quale, nell’ambito della partecipazione procedimentale allo stesso riservata, può far emergere esigenze di tutela che ben possono orientare e rendere edotta l’autorità decidente sulle ragioni della invocata riservatezza nell’assumere la determinazione, che spetta comunque solo alla p.a. Va comunque escluso che l’amministrazione possa legittimamente assumere quale unico fondamento del diniego di accesso agli atti la man-canza del consenso da parte dei soggetti controinteressati,

atteso che la normativa in materia di accesso agli atti, lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardino, rimette sempre all’ammini-strazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l’opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati (cfr. TAR Campania, sez. VI, n. 1380 del 9 marzo 2017). La sentenza del TAR della Liguria n. 1002/2017 ha rite-nuto accoglibile la istanza di accesso civico generalizzato finalizzata a conoscere i comportamenti della polizia locale. La pronuncia rileva che “l’istanza di accesso era concretamente finalizzata a verificare se la polizia muni-cipale avesse effettuato, in un determinato arco temporale, controlli sulle attività commerciali concorrenti analoghi a quelli svolti nei confronti della richiedente, a fronte di una conformazione asseritamente identica dei locali ove sono svolte le rispettive attività…  questo tipo di domanda rien-tra a pieno titolo nell’ambito delle possibilità di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali consentite dall’accesso civico generalizzato. Né si può ritenere, alla luce dei numerosi procedimenti sanzionatori che hanno recentemente coinvolto la ricorrente, che la domanda avesse carattere emulativo o fosse contraria al canone di buona fede, anche perché la stessa ricorrente si qualifica come autrice di precedenti segnalazioni relative a circostanze meritevoli di verifica amministrativa. Si ritiene, infine, che il contestato diniego non possa essere giustificato dalla mancata identificazione dei documenti richiesti, poiché la ratio dell’accesso civico generalizzato rende ammissibili anche richieste di tipo esplorativo, concretamente volte a verificare se l’amministrazione abbia formato o meno determinati documenti”.

83

Adempimenti fiscaliRISORSE UMANE • 2/2018

L’IVA negli enti locali, novità dichiarazione IVA 2018 e compensazione creditodi Enzo Cuzzola

L’art. 1 del citato d.P.R. 633/1972, norma istitutiva dell’IVA, individua i presupposti di applica-zione dell’imposta che valgono tanto per i soggetti privati quanto per le p.a. con la differenza sostan-ziale che riguarda il sorgere del momento impositivo. I presupposti per l’applicazione dell’IVA sono tre e vengono di seguito elencati e trattati brevemente: presupposto oggettivo; presupposto soggettivo; presupposto territoriale.

Per delimitare, le ipotesi di soggettività passiva nell’pub-blica amministrazione si fa riferimento sia alla normativa nazionale (art. 4 del d.P.R. 633/1972) che a quella Co-munitaria (art. 4 par. 5 della VI direttiva CEE). Alla stessa stregua delle persone fisiche, quindi, la pub-blica amministrazione riveste lo status di soggetto passi-vo, solo nel momento in cui svolge attività commerciali con il requisito dell’abitualità, escludendosi, pertanto le operazioni meramente occasionali. Il requisito dell’a-bitualità si concretizza mediante lo svolgimento, siste-matico e ripetitivo di una pluralità di atti economici diretti alla produzione o allo scambio di beni e servizi. La sistematicità nello svolgimento di operazioni econo-miche nel tempo, evidentemente, conferisce abitualità all’attività, tuttavia anche una isolata operazione può soddisfare il carattere dell’abitualità in funzione sia della sua importanza economica che della ripetitività delle attività preparatorie volte alla concretizzazione del ri-sultato economico. Tra gli adempimenti fiscali che l’pubblica amministra-

zione deve rispettare, nell’esercizio delle sue attività com-merciali vi è la predisposizione e la trasmissione per via telematica della dichiarazione annuale IVA. Per quanto concerne la dichiarazione annuale IVA 2018 – periodo d’imposta 2017 – la scadenza è sta-ta fissata per il 30 aprile 2018, dando possibilità ai contribuenti di provvedere alla trasmissione a partire dal 1° febbraio. Con la pubblicazione del modello da parte dell’Agenzia delle entrate, sono state introdotte una serie di novità rispetto alla dichiarazione dell’anno precedente. Ripor-tiamo di seguito quelle di interesse per la pubblica am-ministrazione.· FRONTESPIZIOÈ stato eliminato il riquadro “Sottoscrizione dell’ente o società controllante” a seguito della modifiche apportate all’articolo 73, comma 3, d.P.R. 633/1972 dalla Finan-ziaria 2017; non è infatti più previsto che la società con-trollante, in una procedura di liquidazione Iva di gruppo, debba sottoscrivere la dichiarazione delle controllate.

Adempimenti fiscaliDichiarazione IVA 2018

84

RISORSE UMANE • 2/2018

· QUADRO VELa novità del quadro VE – Operazioni attive e determi-nazione del volume d’affari, riguarda la ridenominazione nella sezione 4 del rigo VE38 “Operazione effettuate nei confronti dei soggetti di cui all’art. 17-ter” (split payment), in modo da ricomprendervi non solo le operazioni ef-fettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni ma anche quelle nei confronti delle società elencate nel nuovo articolo 17-ter, comma 1 bis, d.P.R. 633/1972, a decorrere dal 1° luglio 2017.

· QUADRO VJRidenominazione del rigo VJ18 “Acquisti dei soggetti di cui all’art. 17-ter” (split payment), in modo da ricompren-dervi non solo gli acquisti effettuati dalle pubbliche am-ministrazioni ma anche dalle società elencate nel nuovo comma 1-bis dell’articolo 17-ter, comma 1 bis, d.P.R. 633/1972, a decorrere dal 1° luglio 2017.

· QUADRO VH- Da quest’anno il quadro VH deve essere compilato

esclusivamente qualora si intenda inviare, integrare o correggere i dati omessi, incompleti o errati nelle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva (ri-soluzione AdE 104/E/2017). In tal caso andranno indicati tutti i dati richiesti, compresi quelli non og-getti di invio, integrazione o correzione;

- introdotti i righi VH4, VH8, VH12 e VH16 per la separata indicazione delle risultanze delle liquidazioni periodiche trimestrali;

- soppressione della colonna 3 “Ravvedimento”.

· QUADRO VL- Soppressione del rigo VL29 “Ammontare versamenti

periodici, da ravvedimento, interessi trimestrali, accon-to”, VL31 “Versamenti integrativi di imposta”;

- introduzione del rigo VL30 “Ammontare IVA perio-dica”, composto da 3 colonne.

· QUADRO VXIl quadro VX è stato modificato con l’introduzione dei righi VX7 e VX8 per l’indicazione da parte delle società partecipanti alla liquidazione Iva di gruppo per l’intero

anno, rispettivamente, dell’Iva dovuta o dell’Iva a credito da trasferire alla controllante.

Utilizzo dell’eventuale credito in compensazioneUlteriori novità introdotte nel 2018 riguardano la com-pensazione del credito IVA, in quanto è possibile uti-lizzare liberamente il residuo credito IVA 2016, scatu-rente dalla dichiarazione IVA 2017, in compensazione “orizzontale” fino alla presentazione del modello IVA 2018, presentata la quale il credito della stessa (importo indicato nel rigo VL39) potrà essere utilizzato in com-pensazione dopo 10 giorni dalla trasmissione telematica e previa apposizione del visto di conformità da parte del professionista, per crediti superiori a 5.000,00 € (d.l. 50/2017).Il comma 990 dell’articolo unico della legge di bilancio 2018 prevede la sospensione preventiva del pagamento delle imposte mediante modello F24 contenente del-le compensazioni che potrebbero determinare dei pro-fili di rischio. Con la nuova norma sul “modello F24 sospeso” il legislatore fiscale estende l’attività di verifica dell’Agenzia delle entrate rispetto alle compensazioni dei modelli F24 anche per importi inferiori ad euro 5.000,00 ove si presentino profili di rischio particolari.I profili di rischio che possono determinare la sospen-sione del modello F24 da parte dell’Agenzia delle Entrate sono:· l’utilizzo del credito in compensazione da parte di un

soggetto diverso dal titolare del credito stesso;· le compensazioni di crediti che, in base a quanto

indicato nel modello F24, sono riferiti ad anni d’im-posta molto anteriori rispetto all’anno in cui è stata effettuata l’operazione;

· i crediti utilizzati in compensazione ai fini del paga-mento di debiti iscritti a ruolo.

Qualora dall’esito del controllo il credito utilizzato in compensazione non fosse corretto, la delega di pagamen-to si considererà non eseguita cosi come i relativi versa-menti (e le compensazioni). La durata della sospensione del modello F24 viene fissata in giorni 30 a partire dalla data di esecuzione del pagamento.

Aran informa

85

RISORSE UMANE • 2/2018

RAL_1956_Orientamenti applicativi

È possibile corrispondere l’indennità di turno ad un agente della polizia locale che, inserito di una organiz-zazione del lavoro in turno, in una giornata deve recarsi in trasferta, al di fuori del proprio territorio comu-nale, per recarsi presso  uffici di altre amministrazioni?In presenza di una organizzazione del lavoro per turni (presenti tutti i requi-siti espressamente stabiliti a tal fine dall’art. 22 del CCNL del 14.9.2000), la relativa indennità può essere ero-gata al personale interessato solo se abbia effettivamente reso la propria prestazione lavorativa nell’ambito del turno di assegnazione.Infatti, l’art. 22, comma 6, del CCNL del 14.9.2000 chiaramente dispone che: “L’indennità  di cui al comma 5 è corrisposta solo per i periodi di effet-tiva prestazione di servizio in turno”.Proprio la precisa formulazione della clausola contrattuale, non consente l’erogazione della stessa in tutti i casi in cui sia mancata la effettiva presta-zione di servizio in turno.Quindi non solo nelle ipotesi di assen-za dal servizio (qualunque sia la causa dell’assenza: ferie, malattia, ecc.), ma anche in quelle particolari fattispecie nella quale, pur essendo formalmente in servizio, il dipendente interessato comunque non rende la propria pre-stazione nell’ambito dell’organizzazio-ne del turno, come nel caso in cui lo stesso partecipa ad un corso di forma-zione o  come quello prospettato, in cui il dipendente viene inviato in mis-sione, ma  pur  svolgendo le proprie mansioni ed adempiendo alle proprie funzioni, non svolga comunque attività lavorativa in turno.

RAL_1957_Orientamenti applicativi

Ove un ente, per fare fronte a de-terminati eventi eccezionali di rilievo nazionale, abbia già utilizzato quasi in-tegralmente le risorse del fondo delle risorse per il finanziamento del lavoro

straordinario, di cui all’art.14 del CCNL dell’1.4.1999, nel rispetto delle vigenti disposizioni legislative di finanza pub-blica, può incrementare tale fondo con risorse a carico del proprio bilancio?In materia, la scrivente Agenzia non può che confermare le indicazioni più volte evidenziate nei propri orienta-menti applicativi  e cioè che:a) per il finanziamento del lavoro straordinario trovano applicazione in via esclusiva le regole dell’art.14 del CCNL dell’1.4.1999, che stabiliscono le specifiche modalità di quantifica-zione delle risorse destinate a tale voce retributiva;b) le risorse integrative per lavoro straordinario, ai sensi dell’art.14 del CCNL dell’1.4.1999, derivano sem-pre da speciali fonti legislative (sta-tali o regionali) che ne consentono la messa a disposizione degli enti per le diverse finalità ivi indicate (per stra-ordinario elettorale, per fronteggiare eventi eccezionali o calamità naturali);c) tale ricostruzione sembra trova-re riscontro, indirettamente, anche nella disciplina dell’art. 40 del CCNL del  22.1.2004, secondo la quale: “1. Le risorse finanziarie formalmente as-segnate agli enti con i provvedimenti adottati per far fronte elle emergen-ze derivanti da calamità naturali, per remunerare prestazioni straordinarie del personale, possono essere utiliz-zate, per le medesime finalità, anche a favore del personale incaricato della responsabilità di una posizione orga-nizzativa”.Pertanto, per effetto della complessiva disciplina del citato art.14 dell’1.4.1999 ed in mancanza di espresse deroghe in materia, si deve si esclude ogni possi-bilità di integrazione delle risorse di cui si tratta con oneri direttamente a carico dei bilanci degli enti.

Corte di cassazioneSez. lav., 13.9.2107, n. 21267. Pubblico impiego contrattualizza-to – ripetizione indebito – ripetibi-lità delle somme ex art. 2033 c.c.

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legalePer quanto riguarda la ripetibilità delle somme indebitamente pagate da una pubblica amministrazione, gli Ermellini dispongono quanto segue: “La giuri-sprudenza di legittimità ha – infatti – più volte affermato che in materia di lavoro pubblico contrattualizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’in-debito proposta da un’amministrazio-ne nei confronti di un proprio dipen-dente in relazione alle somme corri-sposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l’erogazione sia avvenuta sine titulo, è consentita la ri-petibilità delle somme ex art. 2033 c.c. e tale ripetibilità non è esclusa per la buona fede dell’”accipiens”, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (ex plurimis Cass. n. 8338 del 2010, Cass. n. 24835 del 2015, Cass. n. 4323 del 2017). Sulla stessa linea è la copiosa giurispruden-za amministrativa in materia di indebito retributivo, secondo cui “il recupero di somme indebitamente corrisposte dal-la p.a. ai propri dipendenti ha carattere di doverosità e costituisce esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a carattere patrimoniale, non rinunciabile in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interes-se alle quali sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate”.

Corte di cassazioneSez. un., 20.10.2107, n. 24877Pubblico impiego privatizzato – conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali – giudice competente

Il ricorrente aveva impugnato davanti al giudice amministrativo i decreti di nomina del direttore generale e dei vice direttori generali dell’Agenzia re-gionale per la protezione ambientale del Lazio. Il giudice adito aveva però declinato la propria giurisdizione in

Aran informa

86

RISORSE UMANE • 2/2018

base al rilievo che le nomine dirigen-ziali non sono atti di alta amministra-zione, ma atti gestori di rapporti lavo-rativi la cui cognizione è demandata al giudice ordinario ex art. 63 comma 1 del d.lgs. n. 165/2001. Contro la sud-detta decisione il ricorrente propone ricorso per Cassazione, ricorso che i giudici della Suprema Corte rigettano affermando che: “Queste S.U. han-no ribadito (cfr. sentenza n. 9185/12) che in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si verta in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche ammini-strazioni, è consentita esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dall’eventuale disapplicazione (dell’atto presuppo-sto) e dagli ampi poteri riconosciuti al giudice ordinario medesimo dal com-ma 2 dello stesso art. 63 (cfr., ancora, Cass. S.U. n. 3677/09 e Cass. S.U. n. 13169/06). A maggior ragione ciò valga quando non venga neppure in rilievo la potenziale disapplicazione d’un atto amministrativo presupposto (come nel caso di specie, in cui – in-vece – dell’atto presupposto si invoca la piena applicazione). Da ultimo, se è vero che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo rispetto ad atti di alta amministrazione, nondimeno va considerato che, avendo il d.lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, espressamente attribuito alla giurisdi-zione del giudice ordinario anche le controversie in tema di conferimento e revoca di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, ormai tali atti sono da considerarsi come mere determinazioni negoziali (cfr. Cass. n. 18972/15; Cass. n. 20979/09) e non più atti di alta amministrazione, ve-nendo in tal caso in considerazione come atti di gestione del rapporto di lavoro rispetto ai quali l’amministra-zione stessa opera con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (v. art. 5 cit. d.lgs.). 

Corte di cassazioneSez. lav., 4.1.2108, n. 93Pubblico impiego privatizzato – Ministero datore di lavoro – vio-lazione art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) – risarcimen-to – principio di diritto

“In tema di responsabilità del datore di lavoro pubblico ex art. 2087 c.c. per l’eccessivo carico di lavoro imposto al lavoratore, ai fini della prova libe-ratoria, non è sufficiente l’allegazione generica della carenza di organico, costituendo l’organizzazione dei re-parti, la consistenza degli organici e la predisposizione dei turni espressio-ne ed attuazione concreta dell’assetto organizzativo adottato dalla datrice di lavoro. Il datore di lavoro pubblico ha l’onere di provare l’adozione di com-portamenti specifici che siano sug-geriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche la possibilità di organizzare diversamente il lavoro”. Sulla base di questo principio di dirit-to la Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore e cassato con rinvio la sentenza della Corte territoriale che aveva respinto la richiesta fatta dal di-pendente di avere un risarcimento per il danno biologico, sulla base della ac-certata dipendenza della sua patologia da causa di servizio.

Corte di CassazioneSez. lav., 8/1/2108, n. 214Pubblico impiego privatizzato – procedure selettive interne – pro-gressione nella medesima area - principi di diritto

I giudici della Suprema Corte cassano con rinvio la sentenza della Corte ter-ritoriale che, nel nuovo giudizio, dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto: “La disciplina delle procedure selettive interne finalizzate alla mera progressio-ne economica o professionale all’in-terno della medesima area o fascia, in quanto rientrante nella materia degli inquadramenti del personale pubblico

“privatizzato” (art. 40 c. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001), deve ritenersi affidata alla contrattazione collettiva, che può derogare alle disposizioni contenute nel d.P.R. n. 497 del 1994, nel rispetto del principio di selettività (art. 52 c. 1 bis d.lgs. n. 165 del 2001). Il contratto integrativo è abilitato a disciplinare sol-tanto le materie delegate dai contratti nazionali e nei limiti da questi stabiliti e non può contenere clausole in contra-sto con i vincoli risultanti dai contratti nazionali”.

Corte di cassazioneSez. lav., 10.1.2108, n. 350Pubblico impiego privatizzato – svolgimento di mansioni superiori – solo se esiste il corrispondente posto in pianta organica

Con la presente sentenza i giudici ri-badiscono che non può esservi svol-gimento di mansioni superiori da parte del dipendente, se non esiste il corri-spondente posto in pianta organica. 

Corte Costituzionalen. 40 del 4.3.2018Pubblico impiego privatizzato – assunzione di personale – asse-gnazione senza concorso – vio-lazione art. 97 Cost.

La norma dichiarata illegittima dalla Corte prevede che il personale non diri-gente di alcuni enti di ricerca privati per l’ambiente, possano chiedere l’asse-gnazione all’ARPAS Sardegna, che pre-vede al loro inquadramento secondo la disciplina dell’art. 2112 c.c. La norma censurata infatti, stabilendo il passag-gio di dipendenti da soggetti privati ad enti pubblici senza il previo esperimen-to di un pubblico concorso, lede l’art. 97 Cost. che stabilisce il principio del pubblico concorso per consentire a tutti i cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni di uguaglianza. Per tale motivo viene dichiarata la illegitti-mità costituzionale dell’art. 6 comma 8 della legge regionale della Sardegna n. 2/2007 (Legge finanziaria 2007). 

Aran informa

87

RISORSE UMANE • 2/2018

Corte di CassazioneSez. lav. 8 febbraio 2018, n. 3095 Pubblico impiego privatizzato – Convocazione di assemblea sin-dacale da parte di singolo compo-nente RSU – Non spetta – Nozione di RSU quale organismo elettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale – Specificità del pubbli-co impiego

La Corte ritiene che l’Accordo quadro per la costituzione delle rappresentan-ze sindacali unitarie del 7/8/1998 e il C.C.N. quadro di pari data sulle moda-lità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi nonché delle altre preroga-tive sindacali si interpretino nel senso che il diritto di indire assemblee dei dipendenti spetta alla RSU quale or-ganismo elettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale, che assume ogni decisione secondo il regolamen-to eventualmente adottato o, in man-canza, a maggioranza dei componenti, non ai singoli componenti della stessa RSU (principio già affermato da Cass. 16.2.2005 n. 3072) e per tali ragioni ritiene che quanto affermato dalle Se-zioni Unite con la sentenza n. 13978 del 6.6.2017 e affermante il diritto di convocazione in capo ad ogni singolo componente delle RSU, non si applichi al settore pubblico ma solo al settore privato retto da diversa normativa.

Corte di CassazioneSez. lav., 23/10/2017, n. 25018Pubblico impiego privatizza-to – rapporto di lavoro – natura privatistica degli atti di gestione del rapporto – no all’esercizio del potere di autotutela – principi di diritto

Sia il tribunale di prime cure che la Corte territoriale avevano ritenuto il-legittimi gli atti di annullamento in au-totutela delle transazioni sottoscritte dall’Ufficio regionale del turismo di Co-gne, sottoscritte innanzi alla Direzione regionale del lavoro, con le quali l’am-

ministrazione si era impegnata a rico-noscere un diverso inquadramento, e conseguente trattamento retributivo, a due suoi dipendenti. La Suprema Cor-te accoglie invece il ricorso dell’ammi-nistrazione e chiarisce che: “la natura privatistica degli atti di gestione dei rapporti di lavoro di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 non consen-te alle Pubbliche Amministrazioni di esercitare il potere di autotutela, che presuppone la natura amministrativa del provvedimento e l’esercizio di po-teri autoritativi. È stato, però, aggiun-to che, qualora l’atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa, l’ente pubblico, che è tenuto a conformare la propria condotta alla legge, nel ri-spetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., ben può sottrarsi unilateralmen-te all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo ed in tal caso, al di là dello strumen-to formalmente utilizzato e dell’auto qualificazione, la condotta della p.a. è equiparabile a quella del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo inefficace perché affetto da nullità.”. A questo proposito la Corte afferma questi due principi di diritto: “Le Sezioni Unite di questa Corte han-no anche evidenziato che “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esempli-ficativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modifi-care la posizione giuridica ed econo-mica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusi-vamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. È conseguentemente nullo l’atto in de-roga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma im-perativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21-sep-

ties della legge 7 agosto 1990, n. 241, dovendosi escludere che la p.a. pos-sa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva (Cass., S.U., 14.10.2009, n. 21744). Pertanto la Corte cassa la sen-tenza rinviandola alla Corte territoriale che dovrà uniformarsi al seguente prin-cipio di diritto: “Nell’impiego pubblico contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autori-tativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli né assumere in sede conciliativa obbliga-zioni che contrastino con la disciplina del rapporto dettata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva. Il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed eco-nomici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal CCNL di comparto sia l’attribuzione della qua-lifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni.”.

Corte di cassazioneSez. lav., 20.2.2018, n. 4069Pubblico impiego privatizzato – rapporto di lavoro – applicazione art. 33, l. 104/1992 – no a riduzione dei giorni di permesso retribuito

I giudici chiariscono che la misura pre-vista dall’art. 33 L. 104/1992: “è desti-nata alla tutela della salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’art. 32 Cost., che rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nel-le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2, Cost.). Tenuto conto, pertanto, delle finalità dell’isti-tuto disciplinato dall’art. 33 della l. n. 104/1992, come sopra evidenziate at-tinenti a diritti fondamentali dell’indivi-duo, deve concludersi che il diritto ad usufruire dei permessi costituisce un

Aran informa

88

RISORSE UMANE • 2/2018

diritto del lavoratore non comprimibile e da riconoscersi in misura identica a quella del lavoratore a tempo pieno”. Inoltre, la fruizione di tali permessi non costituisce un irragionevole sacrificio per il datore di lavoro. Sulla base di ciò la Corte respinge il ricorso promosso dall’Inps.

Corte di cassazioneSez. lav., 28.2.2018, n. 4622Pubblico impiego privatizzato – svolgimento di mansioni superiori dirigenziali – retribuzione di risul-tato – CCNL comparto ministeri 1998-2001 e 2002-2005

Una dipendente del Ministero dell’In-terno chiedeva che le fossero rico-nosciute le differenze retributive cui aveva diritto avendo svolto mansio-ni superiori dirigenziali. Avverso le sentenze che riconoscevano il diritto alla dipendente ricorre il Ministero, in particolare per la parte che riguarda l’attribuzione della retribuzione di ri-sultato nella parte fissa. Accogliendo il ricorso la Corte ricorda che in caso di reggenza di pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente di dirigente titolare, nel trattamento per lo svolgimento di mansioni superiori, vanno incluse sia la retribuzione di posizione che quella di risultato. Tuttavia, per quanto riguar-da la retribuzione di risultato, viene in rilievo quanto stabilito dal CCNL per il personale dirigenziale del Comparto Ministeri. Dicono gli Ermellini: “Il CCNL 1998-2001 del 5 aprile 2001, all’art. 44 comma 3, e il CCNL 2002-2005 del 21 aprile 2006, all’art. 57, comma 3, stabi-liscono che la retribuzione di risultato può essere erogata solo a seguito di preventiva, tempestiva determinazio-ne degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 14 comma 1 del d.lgs. n. 29/93, e della positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui, rispettivamente all’art. 35 e all’art. 21.

In sostanza la retribuzione in questione è correlata all’effettivo raggiungimen-to, anche sotto il profilo qualitativo, da parte del dirigente, degli obiettivi preventivamente determinati. Quindi (in ragione dei principi già affermati da Cass., n. 13062 del 2014, n. 20976 del 2011) il dipendente che svolge man-sioni superiori in relazione ad un ufficio dirigenziale, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non ha diritto alla retribuzione di risul-tato per il solo fatto di avere svolto funzioni dirigenziali, poiché la stessa è connessa alla verifica dei risultati di gestione”.

Corte dei contiSez. reg. controllo Lombardia deliberazione n. 54/2018Enti locali – Trattamento accesso-rio personale

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legaleI magistrati contabili, con riferimen-to alla possibilità prospettata da una amministrazione locale di derogare al limite di spesa previsto dall’art. 23 del d.lgs 75/2017, cui sono soggette le risorse da destinare annualmente al trattamento accessorio del personale, hanno ribadito che il legislatore nella locuzione “ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio” ha voluto ricomprendere nel limite stabilito anche le eventuali entrate, proprie dell’ente, ulteriori ri-spetto a quelle presenti nei fondi delle risorse decentrate ( in tal senso anche del. stessa Sez n. 123/2016).

Corte dei contiSez. reg. controllo Toscana deliberazione n. 4/2018Enti locali – Riduzione del perso-nale – Nessuna decurtazione delle risorse

La deliberazione dei giudici contabili interviene per chiarire la portata della disposizione introdotta dal comma 2, dell’art. 23 del d.lgs. 75/2017, con rife-

rimento ai limiti fissati al tetto di spesa complessivo annuale per il trattamento accessorio del personale. Nello speci-fico, il Collegio ritiene che il legislatore ha fissato, a partire dal primo gennaio 2017, il limite al corrispondente impor-to determinato per il 2016, ed ha cir-coscritto l’obbligo della decurtazione delle risorse, in misura proporzionale alle cessazioni del personale dal ser-vizio, soltanto agli enti locali che non hanno rispettato i vincoli del patto di stabilità interno per il 2015; per questi ultimi la norma dispone che “l’ammon-tare complessivo delle risorse non può superare il corrispondente importo de-terminato per il 2015, ridotto in misura proporzionale alla riduzione del per-sonale in servizio per l’anno 2016” (in tal senso sez. Puglia n. 110/2017; sez. Liguria n. 64/2017).

Corte dei contiSez. giurisdizionale per la Regione Lazio n. 71/2018 Performance – Necessario stabi-lire indicatori per la valutazione

A parere dei giudici contabili l’erogazio-ne degli emolumenti accessori, quale il trattamento premiante, è subordinata alla sussistenza di determinati presup-posti “non altrimenti surrogabili” basati sull’assegnazione di specifici obiettivi da raggiungere e sull’accertamento ex post dei risultati di gestione ottenuti sulla base di parametri prestabiliti per la misurazione dei risultati stessi. Tale sistema premiante, ritiene il Collegio, individua nel principio del buon an-damento enunciato dall’art. 97 della Cost., il canone giuridico di riferimento dell’assetto funzionale e organizzativo della pubblica amministrazione, in par-ticolare, tale principio si riferisce alla valutazione complessiva dell’attività amministrativa ed “è stato oggetto di un’interpretazione volta ad enfatizza-re la valenza di strumento destinato a migliorare il rendimento dell’apparato pubblico”.