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Rapporto povertà 2005

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Nota:Il primo capitolo è di Laura Zampano.Per il secondo è stata necessaria la colla-borazione di tutti gli operatori, gli obiet-tori ed i volontari del Cento di Ascolto.Nella scrittura del terzo capitolo hannocontribuito Linda Bimbi, AnnamariaCarosi, Luigi Cioni, Giuseppe Faso, Bar-bara Pandolfi e Chiara Scali.Il rapporto è a cura di Federico Russo.

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C a r i t a s d i o c e s a n a d i P i s amaggio 2005

Vuotia perdere?

Primo rapportodell’Osservatorio sulle Povertàdella Caritas Diocesana di Pisa

o

VUOTI A PERDERE? ............................................................................ 5Don Emanuele MorelliDirettore della Caritas diocesana di Pisa

CAPITOLO 1Contesto socio-demografico della Provincia di Pisa ............................ 7

CAPITOLO 2I dati dei Centri di Ascolto..................................................................... 14

Appendice Statistica .............................................................................. 25

Appendice: cosa è il Centro di Ascolto ................................................ 28

CAPITOLO 3Studenti stranieri e scuola superiore ..................................................... 31

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introduzione

Vuoti a perdere?

È la domanda che gli operatori delCentro d’Ascolto della CaritasDiocesana si pongono quando

entrano in contatto con persone che rac-contano storie di fatica e di marginali-tà.È il titolo di questo “quaderno” che con-tiene i dati sulle povertà incontrate dalCentro d’Ascolto diocesano.Vorrebbe essere un aiuto, forse ancora“acerbo”, alla nostra chiesa pisana per-ché scriva la pastorale a partire dagli ul-timi e alla nostra società civile, perchéimposti politiche sociali che racconti-no veramente la centralità della perso-na.In queste pagine leggerete dei numeri,vedrete dei grafici, condividerete o ri-fiuterete delle interpretazioni, qualcu-no forse si annoierà.Non abbiamo voluto “dare i numeri”ma raccontarvi due storie.La storia di fatica di tanti “crocifissi” dioggi. Sono volti, storie, persone che ma-nifestano bisogni, fanno domande, chie-dono risposte. Sono la rivelazione di una

società che si dice civile ma che poi fafatica ad accogliere, ad includere a ricon-segnare queste persone alla loro norma-lità possibile.Abbiamo voluto anche raccontare lastoria e l’esperienza di chi sceglie di sta-re sul margine della comunità ecclesia-le, perché proteso oltre i suoi confiniconsueti, oltre le “comode sacrestie” perspingersi fin dove vivono, lottano, spe-rano e troppo spesso soffrono, gli uo-mini e le donne del nostro tempo. Sto-rie di credenti, espressione ed esperien-za di una chiesa che vuole essere estro-versa ma che spesso (e qualche voltavolentieri…) si dimentica dei figli pia-gati e piegati, che più degli altri assomi-gliano al Crocifisso.Abbiamo voluto raccontarvi di gentecomune, giovani ed adulti, che scelgo-no di convertirsi, ogni giorno, passan-do dalla naturale inclinazione ad assi-stere alla più evangelica opzione di pro-muovere l’uomo, perché coltivano ilsogno, tutto evangelico, di esser capacidi far stare l’altro dritto sulle proprie

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don Emanuele Morelli

Direttore della Caritasdiocesana di Pisa

introduzione

gambe, riconsegnandolo alla vita che gliera stata tolta o che aveva buttata via,alle sue gioie ed ai suoi dolori, alle suefatiche ed alle sue speranze.Persone consapevoli che il primo donoche sono chiamate a dare a chiunqueincontrano, sia che chieda da mangiare,da vestire, di che lavarsi e da dormire…sia che ci chieda di aiutarlo a sopravvi-vere… o di integrare le sue risorse eco-nomiche sempre più scarse, di accom-pagnarlo in un percorso di nuova e di-versa normalità… è l’ascolto, quella“parte migliore” alla quale Gesù di Na-zareth chiamò Marta di Betania affac-cendata, come molti di noi, in mille dia-conie, in mille buoni servizi (cfr. Lc10,38)Entrambi, poveri ed operatori, stannosul margine anche della società civile…perché scegliere la compagnia con gliultimi inesorabilmente ti rende ultimo,fuori da percorsi di visibilità e di suc-cesso, su strade impervie sempre menoconsuete ed ordinarie, con il sogno ed ilprogetto di riportare quel margine alcentro della convivenza sociale.Abbiamo voluto raccontarvi dell’Osser-vatorio diocesano delle Povertà.Strumento che spinge la comunità ec-clesiale ad assumere la funzione di “tu-tela dei diritti” dei poveri, provocano lasocietà civile ad un’attenzione più pro-fonda alle persone e ai fenomeni chemanifestano. Persone che non si accon-tentano di aver ascoltato ma che osanoi percorsi dell’osservazione e del discer-nimento perché sanno che solo pro-muovendo conoscenza autentica dei fe-

nomeni possiamo orientare risposte,quindi politiche, costruite scegliendo dimettere davvero la persona vulnerata alcentro.Siamo consapevoli di essere inadegua-ti, che abbiamo da fare ancora moltocammino. Ma questo non ci spaventa,se lo percorriamo insieme.A tutti coloro che hanno contribuito aquesto primo rapporto e a ciascuno per-sonalmente, il grazie della Caritas dio-cesana.

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CAPITOLO1

Contestosocio-demograficodella Provincia di Pisa

1. Struttura demografica1. Struttura demografica1. Struttura demografica1. Struttura demografica1. Struttura demograficadel territoriodel territoriodel territoriodel territoriodel territorioIn via preliminare è opportuno deline-are un quadro di insieme della situazio-ne demografica della Provincia di Pisa,soffermandoci poi in particolare sullapresenza di immigrati nel territorio,sulla situazione dell’occupazione e sul-l’analisi di indicatori che permettono dirilevare situazioni di disagio sociale.I dati da cui partire sono quelli fornitidall’Istituto Nazionale di Statistica. Sitratta di dati calcolati a partire dalle ri-sultanze del 14° Censimento generaledella popolazione effettuato il 21 otto-bre 2001 e che tengono conto del movi-

mento naturale (iscrizioni per nascita ecancellazioni per morte) e migratorio(iscrizioni e cancellazioni per trasferi-mento di residenza) verificatesi dall’ot-tobre 2001 al 2003.In base alle rilevazioni dell’Istat, la po-polazione residente nella Provincia diPisa al 31 dicembre 2003 è pari a 391.145persone, con un incremento rispetto al2002 pari all’1,2% della popolazionetotale (perfettamente in linea con l’1,4%registrato a livello regionale e l’1,0% alivello nazionale). Si tratta di un incre-mento in larga parte dovuto alle iscri-zioni anagrafiche successive alla regola-rizzazione degli stranieri presenti in Ita-lia attraverso la “sanatoria” regolamen-tata dalle leggi n.189 e 222 del 2002 edalle regolarizzazioni anagrafiche legatealle operazioni post-censuarie.Complessivamente, l’incremento de-mografico registrato è stato di 4.679

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abitanti ed è stato determinato da: unsaldo naturale negativo pari a –1.295abitanti (ciò significa che il numero deimorti è stato superiore al numero deivivi, sebbene la provincia di Pisa abbiaavuto uno dei tassi di mortalità più bassidella regione, vale a dire 11,4 per mil-le1), un saldo del movimento migrato-rio con l’estero di +3.085, un saldo po-sitivo interno di +1.894 ed un incre-mento dovuto alle rettifiche post-cen-suarie pari a +995. La popolazione resi-dente nella provincia di Pisa rappresen-ta l’11% del totale della popolazionetoscana e fa di Pisa la seconda provinciapiù popolosa della regione, dopo Firen-ze.[vd. Tab. 1.1 e 1.1 segue]

2. Presenza di immigrati2. Presenza di immigrati2. Presenza di immigrati2. Presenza di immigrati2. Presenza di immigratinel territorionel territorionel territorionel territorionel territorioDei 175.026 cittadini immigrati regolar-

mente soggiornanti in Toscana al 31dicembre 20032, sono 16.108 (poco piùdel 9%) quelli presenti nella Provinciadi Pisa, dove si è registrato un incremen-to del 42% rispetto all’anno preceden-te. Un tale aumento, apparentementeimponente, è spiegabile come è notocome conseguenza della ‘regolarizzazio-ne’ collegata alla c.d. legge Bossi-Fini,Legge 189/02, ed appare in linea con ildato registrato a livello nazionale, parial 45,1%. E’ da sottolineare, tuttavia,come la Provincia di Pisa presenti un in-cremento medio nettamente al di sottodi quello registrato dalla regione Tosca-na nel suo complesso, pari al 57%.[vd. Tab. 1.2]Tra gli immigrati regolarmente soggior-nanti nella Provincia di Pisa il grupponazionale numericamente più consi-stente è quello albanese, che ha un inci-denza del 21,3% sul totale. Quello alba-

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nese è anche il gruppo nazionale piùpresente a livello regionale (con il 17,7% del totale).Per quanto riguarda i motivi del sog-giorno, una delle conseguenze della re-

golarizzazione è stata l’aumento, nel2003, del peso relativo del permesso disoggiorno per lavoro subordinato ri-spetto alle altre tipologie di permesso disoggiorno, questo sia a livello regionale

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complessivo che a livello delle singoleprovince.Nella Provincia di Pisa gli stranieri conpermesso di soggiorno di lunga duratarappresentano il 96,7% del totale. Tragli immigrati regolarmente soggiornan-ti i lavoratori subordinati rappresenta-no il 54,3% del totale, di poco al di sot-to della media regionale, pari al 56,4%(ma inferiore di oltre 6 punti percen-tuali al dato nazionale). La seconda ca-tegoria in termini di importanza è quelladel permesso di soggiorno per motivi difamiglia, che a Pisa rappresenta il 29,9%del totale (la percentuale più alta di tut-ta la Toscana), contro una media regio-nale e nazionale che si attesta poco so-pra il 24%.[vd. Tab. 1.3]Un ultimo dato significativo da sottoli-neare attiene alla presenza di alunni stra-nieri nelle scuole, importante segno diintegrazione etnica e culturale di unapopolazione in un territorio. Il numero

di studenti stranieri nelle scuole dellaToscana è aumentato ben del 36,5 percento dall’anno scolastico 2001/2002 al2002/2003. Nella Provincia di Pisa glialunni stranieri presenti nelle aule sono1.839, con un’incidenza sul totale dellapopolazione scolastica pari al 3,7%. Sitratta di una percentuale non molto ele-vata, specie se rapportata al dato regio-nale del 4,7% e soprattutto a quello diProvince come Firenze (6,3%) o Prato(7,9%).[vd. Tab. 1.4]

3. Occupazione3. Occupazione3. Occupazione3. Occupazione3. OccupazioneQuestione di fondamentale importan-za e da cui non si può prescindere inun’analisi delle realtà di povertà presentisu un territorio è quella relativa alla si-tuazione occupazionale.I dati cui si fa riferimento sono trattidalle Rilevazioni Trimestrali sulle forzelavoro effettuate dall’ISTAT nel corsodell’anno 2004.

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Primo indicatore da rilevare è il tasso diattività, dato dal rapporto tra personeappartenenti alle forze di lavoro (ossiaquelle occupate ed in cerca di occupa-zione) e la popolazione da 15 a 64 anni.Su un totale di 169.000 unità di forze dilavoro il tasso di attività è pari a 64,8,dato che - sebbene superiore alla media

nazionale - si colloca al di sotto di quel-lo rilevato a livello regionale e lascia Pisaal quartultimo posto delle province to-scane.[vd. Tab. 1.5]Consideriamo adesso il numero deglioccupati3: dei 161.000 occupati dellaProvincia di Pisa solo 64.000 sono don-

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ne, a fronte dei 97.000 uomini e questofa sì che il tasso di occupazione femmi-nile pari al 49,4% sia di molto inferiorea quello maschile del 74,0% e che il tas-so di occupazione complessivo si atte-sti al 61,7%, al di sotto della media re-gionale (sebbene oltre 4 punti percen-tuali al di sopra del dato nazionale).[vd. Tab. 1.6]I dati relativi alla disoccupazione cimostrano invece come la Provincia diPisa presenti un quadro migliore rispet-to non solo alla situazione nazionale, maanche a quella regionale.Sia il tasso di disoccupazione comples-sivo che quelli maschile e femminilesono infatti inferiori tanto ai tassi na-zionali quanto a quelli regionali. Inol-tre riguardo al tasso di disoccupazione

complessivo Pisa è la provincia con ilterzo valore più basso tra quelle tosca-ne.[vd. Tab. 1.7]

4. Indicatori di disagio sociale4. Indicatori di disagio sociale4. Indicatori di disagio sociale4. Indicatori di disagio sociale4. Indicatori di disagio socialeVolendo concludere questo quadro sin-tetico del contesto demografico dellaProvincia di Pisa è opportuno procede-re ad una rapida valutazione di alcuniindicatori di disagio sociale, calcolatisulla base di dati riferiti all’anno 20024.L’Indice di Dipendenza, ossia il rappor-to tra popolazione non attiva (popola-zione oltre 65 anni e al di sotto dei 14anni) e popolazione attiva (popolazio-ne tra i 14 e i 65 anni) espresso in per-centuale, della Provincia di Pisa è di50,96%, leggermente inferiore a quello

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della Toscana (52,9%) e di poco supe-riore a quello italiano (49,8%). L’inci-denza della popolazione anziana sul to-

tale della popolazione è pari al 21,9% equella dei grandi anziani (ovvero le per-sone con più di 75 anni) è di 10,53%.

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CAPITOLO 2

I dati dei Centri di AscoltoI dati dei Centri di AscoltoI dati dei Centri di AscoltoI dati dei Centri di AscoltoI dati dei Centri di Ascolto

Nel periodo compreso tra il primo Gen-naio 2003 ed il 31 Dicembre 2004 le per-sone che hanno avuto un colloquio ap-profondito con gli operatori dei centridi ascolto della Caritas Diocesana sonostate 486. Questa cifra complessiva nonrappresenta che una frazione di tutte lepersone incontrate dai tre centri diascolto (da ora anche “CdA”) attivi du-rante questo intervallo temporale. Infat-ti mentre i CdA “Mediazione” e “Spor-tello Percorsi” hanno compilato unascheda per quasi tutti gli utenti che vi sisono rivolti, non è stato possibile an-notare in dettaglio il contenuto deicolloqui tenuti al centro Bassa Soglia.Per questa ragione l’analisi dei prossi-mi paragrafi sarà basata sui colloqui te-nuti ai centri Mediazione e Percorsi,mentre alla fine del capitolo commen-teremo brevemente i dati fondamentalirelativi alle persone passate dal BassaSoglia nel solo anno 2004.La tabella 2.1 mostra come si suddivi-dono i 486 utenti dei due centri consi-derati per genere ed età: le persone stra-niere contano per il 65,2%, mentre gliitaliani contribuiscono al raggiungi-

mento del totale con il 34,8%. Per quan-to riguarda il genere la situazione è ab-bastanza equilibrata, dato che nel perio-do considerato sono passati dai nostricentri 257 donne e 229 uomini, rispet-tivamente il 52,9% ed il 47,1% del tota-le. Suddividendo l’utenza per centro diprimo contatto scopriamo che il CdAMediazione ha incontrato 282 persone,di cui 162 straniere e 120 italiane, men-tre dallo Sportello Percorsi ne sono pas-sate 204 in prevalenza straniere (155stranieri, 49 italiani). Molte delle 486persone passate dai nostri centri sonotornate più volte: infatti nel nostro ar-chivio sono state censite 1307 note, chesono una stima arrotondata per ecces-so delle reali visite ricevute5.[vd. Tab. 2.1]

1. La nazionalità1. La nazionalità1. La nazionalità1. La nazionalità1. La nazionalitàLe 486 persone incontrate dai nostricentri di ascolto Mediazione e Sportel-lo Percorsi possono essere divise in pri-ma battuta tra 169 italiani (il 34,8%) e317 stranieri (65,2%). E’ interessantecontrollare la provenienza di questi ul-timi: dominano infatti gli europei chesono i due terzi del totale degli stranieri(67,5%), seguiti dagli africani (19,9%)e dai cittadini dell’America centro-me-ridionale (8,9%), mentre Asia ed Ocea-

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nia si fermano rispettivamente a percen-tuali del 3,4% e dello 0,2%. Con riferi-mento alle singole comunità nazionali(vedi tabella 2.2) possiamo affermareche le sei più rappresentate sono la ru-mena (15,5%), la albanese (11,9%), lamacedone (9,9%), la polacca (7,9%), lamarocchina (7,3%) e la ucraina (6,3%),che insieme rappresentano il 58,8% deltotale degli stranieri. Tutte le altre co-munità nazionali fanno registrare nu-meri più bassi, tali da non avvicinare ne-anche la soglia del 5%. E’ interessanteconfrontare la graduatoria delle nazio-nalità più rappresentate tra gli utenti deinostri centri con la graduatoria “ufficia-le” dei residenti nella zona pisana cheabbiamo allegato in appendice al capi-tolo (tabella APP.1). Rivolgersi ai CdACaritas è infatti segno di problematichecomplesse oppure di una carenza di rela-zioni tale da rendere difficile il soddi-sfacimento di normali esigenze: se ungruppo nazionale è allo stesso tempopoco presente sul territorio e molto rap-presentato ai CdA ciò potrebbe far suo-nare un campanello di allarme. Dal con-fronto si nota come il grande numerodi cittadini albanesi passati dai nostri

centri sia il naturale riflesso della lorodiffusa presenza sul territorio, e lo stes-so può dirsi per i cittadini del Marocco;d’altra parte l’alto numero di utenti ru-meni, macedoni, polacchi ed ucraininon è giustificato dalla loro presenza sulterritorio, e questa discrepanza è segnodi un malessere diffuso.[vd. Tab. 2.2]Per cercare di dare una lettura dinami-ca ai nostri dati è possibile dividere i dueanni analizzati, in modo da cogliereeventuali variazioni nella provenienzadegli utenti che si sono rivolti ai nostrisportelli. Contrariamente ad alcune ipo-tesi derivate dal dibattito sull’impove-rimento generale della nostra società, innumero di donne e uomini italiani nonvaria in modo significativo nel corso deiquattro periodi considerati, anzi dimi-nuisce leggermente. Anche le presenzedi uomini stranieri rimangono sostan-zialmente costanti: sono invece le don-ne straniere che hanno fatto segnarel’unico aumento significativo tra il 2003ed il 2004.Possiamo adesso prendere in conside-razione il totale degli stranieri e disag-gregare il dato per gruppi nazionali (ta-

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bella 2.3). Tra le sei nazionalità più rap-presentate è l’unica non europea (ilMarocco) a far segnare il balzo in avan-ti più significativo, ma sono in consi-stente aumento anche Ucraina e Roma-nia: sostanzialmente stabili la Polonia,la Macedonia e l’Albania, oltre che ilcomplesso delle “altre nazionalità”.[vd. Tab. 2.3]La tabella successiva (tabella 2.4) ci il-lustra la situazione degli stranieri perquanto riguarda il permesso di soggior-no: tra coloro che sono stati ascoltati nel2003 il 50,6 % era possessore di permes-so ed il 4,2% di “cedolino6”: gli irrego-lari erano invece il 45,3%. Un anno piùtardi gli irregolari hanno aumentato illoro peso percentuale fino a rappresen-tare il 52,9% degli utenti stranieri, men-tre i titolari di permesso di soggiornosono arretrati al 44,8% ed i possessoridi cedolino sono scesi al 2,3%. Questatendenza all’aumento di irregolari nonriguarda egualmente entrambi i generi,

ma è causato dall’aumento delle donnesprovviste di permesso. Questo datonon può essere letto da solo, ma va in-terpretato alla luce dell’aumento delledonne straniere avvenuto tra il 2003 edil 2004, che evidentemente ha riguarda-to in misura maggiore le irregolari. Laattuale legge sull’immigrazione non haimpedito l’aumento dell’irregolarità,che può essere causata sia da nuovi in-gressi sia da cadute nell’irregolarità diimmigrati che erano già titolari di re-golare permesso.[vd. Tab. 2.4]

2. Il genere e l’età2. Il genere e l’età2. Il genere e l’età2. Il genere e l’età2. Il genere e l’etàUna ripartizione per genere mette inevidenza come gli italiani siano quasiperfettamente ripartiti tra uomini (84)e donne (85) mentre tra gli stranieri pre-vale il genere femminile (145 uomini,172 donne). Nessuna sorpresa guardan-do alle età di italiani e stranieri: questiultimi hanno un’età media di 35,9 anni,

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mentre quella degli italiani è più alta dicirca 12 anni (47,8). Se non ci accon-tentiamo della media ma analizziamo ladistribuzione per classi di età notiamoun altro fenomeno: mentre gli italianiascoltati ai nostri sportelli sono distri-buiti in tutte le classi di età, gli stranierisono concentrati nelle età lavorative (ol-tre il 60% di uomini e donne ha un’etàcompresa tra 20 e 39 anni, mentre qua-si nessuno è ultra sessantenne). La fi-gura 2.1 consente di notare che il gene-re non influisce sulla distribuzione perclassi di età: le curve degli uomini e del-le donne italiane si sovrappongonol’una all’altra, e lo stesso può dirsi perquelle degli stranieri.[vd. Figura 2.1]

3. La condizione familiare3. La condizione familiare3. La condizione familiare3. La condizione familiare3. La condizione familiareLa differenza tra italiani e stranieri è as-sai marcata per quanto riguarda lo sta-to civile: gli stranieri sono più spessoconiugati (54,7%) degli italiani (34,8%),

che a loro volta sono più frequentemen-te divorziati o separati (25,5% degli ita-liani, 9,7% degli stranieri). Praticamenteidentica la percentuale dei celibi e nu-bili, che per entrambi i gruppi è pocopiù del 33% di coloro che hanno forni-to informazioni sul loro stato civile.[vd. Figura 2.2]Al contrario di quanto succedeva perl’età, il genere fa la differenza per quan-to riguarda lo stato civile di italiani estranieri. Le donne italiane sono assaipiù spesso coniugate rispetto ai loroconnazionali uomini, che invece per benil 42% sono celibi. Guardando agli stra-nieri si deve invece notare la elevata per-centuale di donne separate o divorzia-te, che arriva ben al 15% del totale; alcontrario gli uomini stranieri sono piùspesso celibi (43,3%). Appare rilevanteil peso delle persone sole e monoreddi-to tra coloro che hanno chiesto aiuto ainostri sportelli: in questo gruppo si do-vrebbero probabilmente distinguere gli

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emarginati gravi, come ad esempio isenza fissa dimora, da chi invece si tro-va in una zona grigia caratterizzata dasolitudine e reddito insufficiente peraffrontare le ordinarie esigenze.Differenza significative si possono no-tare anche riguardo alla condizione re-lazionale dei nostri utenti: circa il 50%di italiani e stranieri vive in nucleo fa-

miliare, ma mentre i primi sono piùspesso soli (ben il 35%) tra gli stranieriè più alto il numero di chi vive in nu-cleo non familiare (29,8%), cioè conamici, conoscenti o in qualche istituto.Inevitabilmente il genere ha un certoeffetto sulla situazione di italiani e stra-nieri, che quindi non possono essereconsiderati categorie omogenee al loro

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interno. In particolare le donne italianesi caratterizzano per una grande propen-sione ad abitare in famiglia, mentre gliuomini italiani sono soli nel 51,5% deicasi (di questo gruppo fanno probabil-mente parte molti senza dimora). Pas-sando alla descrizione degli stranieridobbiamo notare che, come succedevaper gli italiani, le donne abitano spessoin famiglia; d’altra parte gli uomini stra-nieri si ripartiscono quasi equamente trachi vive solo, chi in nucleo familiare echi in nucleo non familiare. L’alto nu-mero di stranieri che vive in nucleo nonfamiliare fa pensare ad un’immigrazio-ne recente o per lo meno caratterizzatada progetti migratori che non coinvol-gono (ancora) la famiglia.[vd. Figura 2.3]

Occupazione ed AbitazioneOccupazione ed AbitazioneOccupazione ed AbitazioneOccupazione ed AbitazioneOccupazione ed AbitazioneI dati sulla condizione professionaledelle persone incontrate dai nostri ope-ratori sono parzialmente incompleti:

nell’interpretare le percentuali che pre-sentiamo bisogna tener conto che qua-si un terzo delle schede conservate nelnostro archivio (per la precisione 144pari al 29,6% del totale) non contengo-no alcuna informazione a riguardo. Lacondizione professionale non emergenecessariamente dai colloqui, quindi ildati di cui disponiamo vanno commen-tati con una certa cautela: potrebbe in-fatti succedere che alcuni utenti non fac-ciano emergere di proposito la loro con-dizione, causando una distorsione siste-matica della rilevazione.Il tratto saliente che caratterizza la mag-gior parte di coloro che si sono rivoltialla Caritas Diocesana è la mancanza dilavoro: il 70,6% degli stranieri ed il61,3% degli italiani si sono dichiaratidisoccupati, mentre solo il 25,5% deiprimi ed il 14,4% dei secondi svolge unlavoro. Per completare il quadro biso-gna ricordare i titolari di una pensione,che sono il 18% degli italiani: ovviamen-

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te non si sono rivolti a noi stranieri inpensione, come anche la distribuzioneper classi di età rendeva evidente. An-che in questa occasione non sembra cheil genere faccia molta differenza, ma sinota una debole tendenza delle donnedi ogni nazionalità ad essere più occu-pate degli uomini.[vd. Figura 2.4]L’ultima variabile considerata in questobreve confronto è il tipo di abitazioneutilizzata dalle persone ascoltate neinostri centri; in particolare evidenzia-mo le tre tipologie di abitazione più inuso tra italiani e stranieri. Per i primidominano le sistemazioni in affitto(27,5%) ed in casa popolare (27,5%)mentre ben il 12,2% ha dichiarato dinon avere affatto un alloggio. Anche glistranieri vivono prevalentemente in af-fitto (37,1%) ma anche presso amici efamiliari (19,6%) e in case di accoglien-za (8,5%). La bassa quota di stranieri incasa popolare potrebbe essere dovuta

alle norme che regolano l’assegnazionedi case popolari, che richiedendo unpermesso di soggiorno piuttosto lungo,restringono di fatto le loro possibilitàdi accedervi. Questo dato è parzialmentecompensato dalla maggior presenza distranieri in case di accoglienza, segno dipolitiche abitative tarate sull’emergen-za.[vd. Figura 2.5]

ProblematicheProblematicheProblematicheProblematicheProblematichePrima di leggere questi dati bisogna farechiarezza su due aspetti, uno di signifi-cato ed uno metodologico che ne è la di-retta conseguenza. Innanzitutto è neces-sario chiarire che in questo rapportochiamiamo “problematica” ogni bisognodelle persone incontrate ai nostri spor-telli così come lo ha individuato l’opera-tore che ha condotto il colloquio. La pro-blematica non si riduce così alla richie-sta espressa dall’utente nel corso del col-loquio, ma cerca di estendersi idealmen-

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te alla complessità della persona. Ci ren-diamo conto che scegliere questo ap-proccio rende altamente soggettiva la“misurazione”: fattori quali la sensibi-lità dell’operatore e la qualità dell’ascol-to diventano cruciali, tali da mettere indiscussione l’affidabilità della misura(cioè la sua capacità di essere coerentenel tempo). Scegliamo questo stile nonperché sia perfetto, ma in quanto supe-riore alle alternative possibili, come adesempio ridurre la “problematica” allarichiesta dell’utente. Un esempio potràdare conto delle nostre ragioni; se unuomo si presenta al centro d’ascoltochiedendo dei soldi per comprare dellemedicine una delle possibili soluzioni èannotare la mancanza di reddito comesua “problematica”. Un ascolto appro-fondito potrebbe però rivelare che quel-l’uomo in realtà ha perso il lavoro, e ciòè successo come conseguenza della suadipendenza da alcol. In un caso comequesto i nostri centri segnano una mol-teplicità di problematiche: alcolismo,disoccupazione e mancanza di reddito7.[vd. Tab. 2.5]I problemi più frequentemente rilevatisono quelli di povertà, presenti per ben

il 58,6% degli utenti che si sono rivoltiai nostri CdA Mediazione e SportelloPercorsi. Oltre alla povertà esistono al-tre cinque aree di problematiche rileva-te con una certa frequenza; si tratta del-l’Immigrazione (39% delle personeascoltate), del Lavoro (32,2%), delleproblematiche abitative (19,2%), di sa-lute (15%) e familiari (14,3%). Le pro-blematiche riscontrate dai nostri ope-ratori ammontano ad un totale di 859distribuite su 428 casi: in media ognipersona è portatrice di due problemi. Daquesta analisi emerge una caratteristicadei nostri utenti che merita attenzione;la multi-problematicità.Tipicamente le persone che si rivolgo-no ai nostri centri non hanno un pro-blema unico e limitato, ma vivono si-tuazioni di impoverimento materiale erelazionale, spesso segno di un percor-so di povertà giunto ad un livello criti-co.Per capire meglio la situazione è neces-sario suddividere i nostri casi per nazio-nalità e genere, in modo da verificarecome queste variabili influiscano suibisogni rilevati.[vd. Figura 2.6]

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Da una suddivisione per nazionalità egenere si nota come la povertà, la pro-blematica in generale più diffusa, sia piùfrequente tra gli italiani che tra gli stra-nieri. Uomini o donne fa poca differen-za: circa il 75% degli utenti italiani de-nuncia un reddito insufficiente o nullo.Dato il carattere multi-problematicodelle persone che frequentano i centri sipuò affermare che la povertà si presen-ta non da sola, ma associandosi a moltialtri problemi, di cui è di volta in voltacausa o effetto. Dato l’alto numero distranieri senza permesso di soggiornosi spiega facilmente il grande numero diproblematiche “immigrazione” perdonne ed uomini italiani; il piccologruppo di italiani con questo problemaè costituito in prevalenza da datori dilavoro che ci hanno chiesto informazio-ni sulla regolarizzazione di personalestraniero. Passando a considerare i pro-blemi di occupazione si nota che glistranieri hanno più frequentemente de-gli italiani problemi lavorativi; ciò nonsi spiega tanto con il più alto numerodi disoccupati tra gli stranieri (figura

2.4) ma con il diverso profilo di italianie stranieri che si rivolgono ai nostriCdA. Dobbiamo notare infatti che no-nostante il 65% circa di disoccupati,solo il 32,2% dei nostri utenti è statoritenuto portatore di un problema dilavoro; questa differenza si spiega conl’alto numero di utenti gravemente mar-ginali e chiaramente inabili a lavorare(senza dimora, alcolisti e tossicodipen-denti, anziani soli, ecc.). Il più alto nu-mero di stranieri con problematiche dilavoro significa proprio che tra loro èmeno frequente una situazione di emar-ginazione grave. L’abitazione è un pro-blema grave, che tocca quasi un nostroutente su cinque; le cause di questo fe-nomeno sono probabilmente differentiper italiani e stranieri. Il caro affitti toc-ca tutti, in particolare i nostri utenti ita-liani che spesso vivono da soli e posso-no contare su un reddito piccolo o ine-sistente (rispettivamente i pensionati edi disoccupati); per quanto riguarda glistranieri potrebbe essere cruciale il ri-fiuto dei proprietari ad affittargli unappartamento, come alcune precedenti

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inchieste, anche nostre, hanno sottoli-neato (vedi “InformaCaritas” diocesa-no numero 35, Giugno 2004). Due pro-blematiche, salute e famiglia, sono qua-si esclusivamente delle donne italiane;al momento non disponiamo di inter-pretazioni chiare, che potrebbero esse-re suggerite in futuro da un’analisi piùapprofondita dei nostri dati.

I dati del Bassa SogliaI dati del Bassa SogliaI dati del Bassa SogliaI dati del Bassa SogliaI dati del Bassa SogliaCome anticipato all’inizio del capitolo,il centro d’ascolto Bassa Soglia non hatenuto traccia del contenuto dettaglia-to dei colloqui, ma almeno per l’anno2004 abbiamo alcuni dati fondamenta-li.Da questo sportello sono passate 719persone diverse, per un totale di 3734contatti; la significatività di questo datorisalta ancor di più se consideriamo cheil Bassa Soglia eroga buoni pasto e doc-cia e più in generale servizi per la so-

pravvivenza. In media ogni persona si èrivolta allo sportello per 5,2 volte nelcorso dell’anno, segno di un bisognodiffuso e continuativo. Chi si è rivolto aquesto centro?Gli utenti di questo centro sono preva-lentemente stranieri (586, contro 133italiani), e gli uomini sono più nume-rosi delle donne (405 maschi, 314 fem-mine). E’ però significativo osservarequali sono le nazionalità più rappresen-tate: dalla tabella 2.6 salta agli occhi chela provenienza di molti utenti è l’Euro-pa dell’Est.Se si esclude l’Italia, i primi cinque grup-pi per numerosità sono l’Ucraina, laRomania, la Moldavia, la Bulgaria e laPolonia; queste sono proprio le tipichenazionalità di provenienza delle colla-boratrici familiari, ma la lacunosità deinostri dati non ci permette di andareoltre questa suggestione.[vd. Tab. 2.6]

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Appendice Statistica

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Appendice:cosa è il Centro di Ascolto

L’identitàL’identitàL’identitàL’identitàL’identitàdel Centro d’Ascolto Caritasdel Centro d’Ascolto Caritasdel Centro d’Ascolto Caritasdel Centro d’Ascolto Caritasdel Centro d’Ascolto CaritasIl Centro di Ascolto Caritas (CdA) è unostrumento pastorale, un luogo dove sirealizza un servizio mediante il qualetutta la comunità cristiana esprime evive la dimensione dell’ascolto e dellatestimonianza della carità.Nasce come frutto di un progetto pa-storale di tutta la comunità per dare vi-sibilità della propria testimonianza nellasocietà.In concreto il CdA si offre come un pun-to di riferimento per le persone in diffi-coltà in cui i loro bisogni trovano ascol-to e considerazione.Potremmo paragonare il CdA un’anten-na, un punto di osservazione privilegia-to per la conoscenza delle situazioni diemarginazione presenti sul territorioche a loro volta vengono restituite allacomunità perché tutti si sentano chia-mati a farsene carico.

Le motivazioniLe motivazioniLe motivazioniLe motivazioniLe motivazioniCuore del CdA è la dimensione del-l’ascolto.Il primo servizio che si deve al prossi-mo è quello di ascoltarlo. Come l’amo-re di Dio comincia nell’ascolto della SuaParola, così l’inizio dell’amore per il fra-tello sta nell’imparare ad ascoltarlo.Al CdA accogliere ed ascoltare una per-sona significa permetterle di esprimeretutta l’umana ricchezza della sua unici-tà.

L’ascolto è il primo e fondamentale stru-mento per giungere alla condivisione,una condivisione che ci interroga sulrapporto Carità/giustizia e sulle suemediazioni.

Gli obiettiviGli obiettiviGli obiettiviGli obiettiviGli obiettiviIl CdA opera passando dall’assistenzaalla promozione della persona che di-venta in questo modo protagonista delproprio cambiamento. La persona chevive uno stato di disagio viene accom-pagnata in un processo di liberazioneprogressivo dalle cause che hanno pro-vocato la domanda di aiuto, coinvolgen-do l’intera comunità. Questo stile favo-risce la diffusione di una cultura di so-lidarietà affinché la comunità cristianaviva un intreccio dinamico tra annun-cio, celebrazione e testimonianza dellaCarità. Guardando al di là dell’ambitoecclesiale il CdA si impegna a stimolarela società civile affinché maturi atteggia-menti di corresponsabilità.

Le funzioniIl Centro d’Ascolto:· accoglie, ascolta, orienta e si fa caricodelle persone in difficoltà;· individua i bisogni espressi e latenti sulterritorio;· lancia messaggi alla comunità cristia-na ed alla società civile affinché cono-scano e si prendano cura delle situazio-ni di povertà.

I Centri di AscoltoI Centri di AscoltoI Centri di AscoltoI Centri di AscoltoI Centri di Ascoltopresenti nella città di Pisapresenti nella città di Pisapresenti nella città di Pisapresenti nella città di Pisapresenti nella città di PisaA Pisa sono attivi quattro sportelli di

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Ascolto che operano nei confronti didestinatari specifici:1. il CdA “bassa soglia”: incontra situa-zioni di grave disagio e di alta margina-lità e risponde ai bisogni primari di so-pravvivenza;2. il CdA “mediazione”: offre sostegnoa persone in difficoltà attraverso percor-si di accompagnamento;

3. lo Sportello “Percorsi”: si rivolge aicittadini stranieri per offrire consulen-za, informazioni, accompagnamento inmerito alle problematiche legate all’im-migrazione4. il CdA della parrocchia di San Micheledegli Scalzi: nato come attenzione ai bi-sogni di un territorio specifico, quellodell’area nord-est della città.

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CAPITOLO 3

Studenti stranierie scuola superiore

Pisa, come del resto tutta l’Italia, è sem-pre più terra di immigrazione; comeabbiamo ricordato nel primo capitoloil numero di immigrati soggiornanti sulnostro territorio è in costante aumen-to. La nostra voglia di capire quello chesta succedendo nella scuola nasce da treconsiderazioni: la nostra immigrazionenon ha carattere stagionale o di breveperiodo, ma è contraddistinta da pro-getti migratori di una certa lunghezza8,tanto da sfidare la nostra società sullasua capacità di accoglienza. Secondo,con la stabilizzazione dei migranti cre-sce il numero dei loro figli che frequen-tano la scuola italiana: secondo i dati resipubblici dall’Istituzione Centro Nord/Sud (anno scolastico 2003-2004) nellaprovincia di Pisa gli alunni di cittadi-nanza non italiana sono circa 6% deltotale nelle scuole materne, elementarie medie inferiori. Nelle scuole mediesuperiori la loro presenza si riduceall’1,4%, ma non si può ignorare chequesto numero salirà nei prossimi anni;le scuole superiori sono attrezzate perrispondere alle esigenze degli studentistranieri? C’è una terza ragione per cuiabbiamo deciso di dedicare il terzo ca-pitolo a questo tema: crediamo che lascuola, nel momento in cui crea l’occa-sione per l’incontro tra studenti italia-ni e straneri, abbia un ruolo strategico;è qui che si gioca gran parte del futuro

della nostra società “multiculturale”.Generazioni di esperti ci insegnano cheil contatto tra persone di diversa prove-nienza può avere due possibili esiti: ab-battere i pregiudizi o rafforzarli. Inse-gnanti, mediatori culturali e coloro chevivono nel mondo della scuola hannoin mano le chiavi perché l’incontro pro-duca buoni frutti. Questo capitolo è il frutto di un “focusgroup” a cui hanno partecipato sei per-sone che lavorano a vario titolo nellascuola; abbiamo proposto loro deglispunti di riflessione e posto delle do-mande e, dalle loro risposte, è nato quel-lo che potete leggere nel capitolo. I seipartecipanti non si sono mai riuniti, maognuno ha risposto alle nostre solleci-tazioni per posta elettronica, senza sa-pere chi fossero gli altri membri delgruppo9.Abbiamo affrontato cinque argomentiprincipali:1. Dai dati delle indagini ministerialiemerge come gli studenti stranieri ab-biano un rendimento inferiore a quelliitaliani, e soprattutto il divario diventanotevole nelle scuole medie superiori.Quali sono le ragioni di questa difficol-tà?2. I dati della provincia di Pisa, ma an-che quelli nazionali, ci dicono che circail 50% degli studenti stranieri che fre-quentano un istituto superiore scelgo-no una scuola professionale. Perché?3. Che ruolo gioca il razzismo nelle no-stre scuole?4. Quale è il corretto uso dei mediatoriculturali?

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5. Quali sono gli interventi utili e quelliinutili o controproducenti?Speriamo che il frutto dell’impegnonostro e dei partecipanti possa essere diqualche utilità per contribuire alla di-scussione su questi argomenti.

Ragioni della difficoltàRagioni della difficoltàRagioni della difficoltàRagioni della difficoltàRagioni della difficoltàdegli studenti stranieridegli studenti stranieridegli studenti stranieridegli studenti stranieridegli studenti stranieriTutti i membri del gruppo sono con-cordi nel segnalare la scarsa padronan-za della lingua italiana come uno deiprincipali fattori di difficoltà per gli stu-denti stranieri. Non conoscere in modoapprofondito la lingua in cui si svolgo-no le lezioni ha degli effetti che sonoimmediatamente evidenti, come adesempio la difficoltà a capire le spiega-zioni degli insegnanti. D’altra parte al-cuni partecipanti credono che il deficitlinguistico abbia anche altre conseguen-ze non immediatamente intuibili: in-nanzitutto l’acquisizione delle compe-tenze comunicative in una lingua stra-niera non implica necessariamente lacapacità di studiare con profitto in quel-la stessa lingua. Secondo uno dei mem-bri “anche quando gli studenti sono pre-senti in Italia già da diversi anni e do-minano quindi la lingua italiana per co-municare sia a scuola che fuori, nonhanno raggiunto allo stesso modo la ca-pacità di usare al meglio la cosiddetta“lingua dello studio”, lingua astratta,densa di termini settoriali e specifici.Poiché l’apprendimento di tale linguarichiede tempi molto lunghi, secondomolti studi almeno cinque anni, gli stu-denti incontrano difficoltà nelle mate-

rie che richiedono di dominare un les-sico molto ampio e difficile”. Secondoun altro partecipante spesso gli inse-gnanti sopravvalutano le difficoltà chescaturiscono dall’imperfetta acquisizio-ne della lingua, e non tengono conto dialtre pratiche che potrebbero favorireuna più efficace partecipazione del nuo-vo arrivato ai lavori in classe. In ognicaso il problema linguistico non puòessere l’unico fattore alla base delle dif-ficoltà di rendimento degli studenti nonitaliani: lo stesso fenomeno è infatti os-servabile nelle materie che non necessi-tano approfondite competenze lingui-stiche. Fattori aggiuntivi di difficoltà sa-rebbero anche legati a motivazioni tipi-camente interculturali o psicologiche.Due partecipanti hanno sottolineato ilrischio di sottovalutare e svalutare i me-todi di apprendimento tipici di altreculture, come quello mnemonico10; nelcaso di studenti che abbiano frequenta-to scuole straniere potrebbe esistere an-che la tendenza a non riconoscere la va-lidità del bagaglio di conoscenze acqui-sito. Ulteriori problemi di tipo psicolo-gico sarebbero invece causate da even-tuali difficoltà di inserimento nel grup-po-classe: in questi casi, secondo unodei partecipanti, il rendimento dello stu-dente straniero si abbassa sensibilmen-te. Per concludere è necessario ricorda-re un’ipotesi ulteriore, avanzata da unaltro partecipante: sarebbero le aspetta-tive nei confronti dei nuovi venuti “di-storte dalla costruzione sociale dellostraniero in atto in Italia” a produrreuna enfatizzazione delle differenze (ri-

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tenute incolmabili) che influenzano ne-gativamente il rendimento dello studen-te straniero.Il conduttore ha fatto notare come uncerto numero di spiegazioni suggeriteavesse a che fare con il ruolo degli inse-gnanti: è stato chiesto quindi ai parte-cipanti se e quanto siano diffusi tra lorostereotipi negativi nei confronti deglistranieri. Secondo un partecipante“spesso gli insegnanti non sono consa-pevoli del carattere socialmente costrui-to degli stranieri” che implica stereoti-pi negativi e positivi che finiscono percreare occasioni di discriminazione: “al-cune nazionalità (es. i marocchini) sa-rebbero portate alla diffidenza, per cuiuna incomprensione dichiarata di unallievo proveniente dal Marocco vienederubricata: <ha capito e finge di noncapire>”.Nell’opinione di altri due partecipantinon solo gli stereotipi degli insegnantidanneggiano gli studenti stranieri“escludendoli di fatto dalla comunitàrappresentata dagli insegnati e dagli stu-denti italiani”: gli studenti stranieri sa-rebbero trattati anche come un proble-ma perché richiedono maggiore impe-gno che finisce sulle spalle degli insegna-ti, non adeguatamente supportati dallescuole.

Ragioni della sceltaRagioni della sceltaRagioni della sceltaRagioni della sceltaRagioni della sceltadegli istituti professionalidegli istituti professionalidegli istituti professionalidegli istituti professionalidegli istituti professionaliLa scelta più comune per gli studentinon italiani è di frequentare un istitutoprofessionale: capire le ragioni di que-sto dato di fatto rappresenta un passo

verso la comprensione del rapporto trastudenti stranieri e mondo della scuola.Il nostro gruppo si è concentrato pre-valentemente su due ordini di spiega-zioni che sono complementari piutto-sto che in contrasto: da una parte il ca-rattere pratico degli istituti professionalirappresenterebbe un’agevolazione perragazzi che non padroneggiano bene lalingua italiana, dall’altra queste scuolegarantirebbero un più veloce accesso almondo del lavoro. In molte delle mate-rie caratterizzanti è cruciale l’apprendi-mento pratico, che avviene non solo enon principalmente per mezzo dellaparola, ma richiamando abilità posse-dute anche da chi non padroneggia lalingua del paese. Secondo uno dei testi-moni interpellati queste scuole offronoanche un altro vantaggio: “gli iscritti deiprofessionali sono ragazzi che hanno disolito una storia scolastica non lineare,per i quali la scuola prevede e mette inatto iniziative di recupero e a cui si chie-dono livelli di competenza nelle mate-rie di base più limitati”. Questo consen-tirebbe agli alunni stranieri di avere piùtempo per lo studio della lingua italia-na. Spesso sarebbero le famiglie a spin-gere i ragazzi verso queste scuole, cheoltre ad apparire più facili vengono ri-tenute più “utili”. Secondo l’opinionedi uno dei partecipanti “gli istituti pro-fessionali hanno un piano di studi chepermette di poter frequentare i primi treanni e conseguire una qualifica profes-sionale spendibile nel mondo del lavo-ro, con la possibilità di continuare glistudi e terminarli con un diploma”.

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Queste due spiegazioni (minore impor-tanza della lingua italiana e maggiorepreparazione al lavoro) sono state indi-cate da quasi tutti i partecipanti, tantoda poter parlare di un consenso sostan-zialmente raggiunto sulle ragioni chespingono gli studenti stranieri a fre-quentare in misura massiccia le scuoleprofessionali. Nonostante ciò non sonomancate alcune considerazioni alterna-tive: secondo uno degli intervistati il fe-nomeno non è pienamente comprensi-bile senza riferimento alle “indicazionidei docenti delle medie, che - a torto -ritengono più facili quelle scuole sullabase di una gerarchia che invece è so-ciale”.Il conduttore ha chiesto al gruppo deipartecipanti di approfondire la riflessio-ne sull’argomento, in particolare valu-tando quale dei fattori citati avesse mag-gior peso. La quasi totalità degli inter-pellati si è rifiutata di operare una scis-sione tra le spiegazioni ritenute fonda-mentali, cioè quella linguistica e quellaprofessionale: entrambi sembrano fat-tori cruciali all’opera simultaneamente.Due dei partecipanti hanno però offer-to delle interpretazioni sulla scarsa per-centuale di studenti stranieri che si iscri-vono ai licei affermando che questescuole si presentano in modo da scorag-giare studenti non particolarmente mo-tivati allo studio o che non hanno rag-giunto livelli alti nella scuola media.

Stereotipi e razzismoStereotipi e razzismoStereotipi e razzismoStereotipi e razzismoStereotipi e razzismoQuasi inevitabilmente gli stereotipi gio-cano un ruolo importante nell’intera-

zione tra studenti italiani e stranieri:pensare per stereotipi è infatti un mec-canismo “economico” per risolvere lacomplessità del mondo che ci sta attor-no. Nei rapporti con persone di diversaprovenienza è frequente che gli stereo-tipi assumano un carattere razzista, at-tribuendo alla generalità dei membri diun certo gruppo caratteristiche negati-ve11. Una delle domande rivolte ai par-tecipanti chiedeva di valutare diffusio-ne e impatto di atteggiamenti razzistinelle nostre scuole superiori. La mag-gior parte delle risposte, pur con diver-si accenti, hanno confermato l’esisten-za di un qualche tipo di razzismo: sem-brano piuttosto diffusi alcuni stereoti-pi che colpiscono selettivamente gli stu-denti marocchini, albanesi e rom. Inparticolare quasi tutti hanno sottoline-ato che insegnanti e alunni ragionanofrequentemente per categorizzazioni,parlando di “noi” contrapposti a “loro”,oppure sostituendo i nomi con le na-zionalità (“oggi l’albanese è assente”).Critico appare il ruolo degli insegnantiche perpetuando questi comportamen-ti rafforzano sia pur inconsapevolmen-te gli stereotipi, o per lo meno non liostacolano. Secondo l’esperienza di unodei partecipanti sarebbe frequente “ildileggio favorito dai docenti nei con-fronti, più o meno inconsapevolmente,ad esempio, della pronuncia dello stra-niero”. Molto differente, ed evidente-mente condizionata da esperienze per-sonali differenti, è l’opinione espressadai partecipanti sulla frequenza e sullaqualità delle azioni di accoglienza e di

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contrasto al razzismo: nella metà dei casii partecipanti hanno indicato una certaattività delle scuole in questi ambiti, di-chiarandosi però insoddisfatti della loroqualità. Infine è stato da più parti ricor-dato che sono diffusi (e potenzialmentepericolosi) anche gli stereotipi positivi:i senegalesi sono stati portati ad esem-pio del caso.

Mediatori culturaliMediatori culturaliMediatori culturaliMediatori culturaliMediatori culturaliTra i partecipanti (almeno quelli chehanno avuto un’esperienza concreta ariguardo) è abbastanza diffusa l’idea chei mediatori possano ricoprire un ruoloimportante nell’inserimento degli stu-denti stranieri; ma non tutti, sembra,danno lo stesso significato alla figura delmediatore culturale. Per uno dei parte-cipanti esso è una figura chiave nell’ac-coglienza dello studente nella classe, uti-le quindi soprattutto all’inizio dell’an-no, per un altro è un aiuto a tutto ton-do per lo studente straniero, ed infinepuò essere inteso come uno specialistadell’interazione che aiuta persone di di-versa cultura ad interpretare i compor-tamenti dell’altro. Può essere in questocaso interessante notare la differenza diprospettive con cui si guarda alle fun-zioni del mediatore, che sembra esseremarcatamente influenzata dal ruoloprofessionale e dalle esperienze di chirisponde: per rendere evidente questofenomeno citiamo tre stralci di inter-venti sull’argomento. Il primo interven-to che proponiamo è quello di un par-tecipante che per esperienze professio-nali ed interesse predilige il dibattito

teorico sul ruolo dei mediatori : “Le in-terazioni quotidiane ci sono facilitate lamaggior parte delle volte dal fatto dicondividere con i vari interlocutori una“provincia finita di significato” , cui nonfacciamo più caso e che diamo per pre-supposta. Che cosa accade quando, perla presenza di un interlocutore venutoda fuori, viene a cadere questo ambitocondiviso e il ragionamento di sensocomune si spinge in situazioni criti-che?[...] L’incontro, per strada, a unosportello, nella pratica didattica, conuno straniero comporta tensioni in que-ste procedure interattive, che vanno in-contro a smentite da parte di personeche seguono schemi interpretativi e re-gole differenti, per giunta spesso mediatida un linguaggio ridotto.[...] Quando laroutine con cui interpretiamo i com-portamenti diventa meno praticabile,come nel caso del rapporto con lo stra-niero, è possibile facilitare la negozia-zione dei significati ricostruendo i di-versi punti di vista in gioco e ripristi-nando il fluire ordinato dell’interazio-ne. E’ questo lo spazio in cui si può in-serire un buon lavoro di mediazione”.Se questa è la teoria della mediazione, èimportante andare a vedere come il ruo-lo del mediatore è percepito da chi ope-ra concretamente nelle classi. Nelle pa-role di un’insegnante si possono coglierele riflessioni derivate da un’esperienzadiretta: “ho fatto esperienza per tre annidi un progetto sulla mediazione nellamia scuola, di solito le mediatrici soste-nevano il ragazzo nuovo arrivato, an-che con la presenza in classe, aiutavano

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nello studio e nelle verifiche, traducen-do e facilitando l’apprendimento dellediscipline, partecipavano ai consigli diclasse per avere indicazioni dagli inse-gnanti sul percorso da seguire per so-stenere il ragazzo e per far capire le suedifficoltà, partecipavano ai colloquiscuola famiglia, collaboravano ad orga-nizzarli, li proponevano. I punti critici:gli insegnanti accolgono questo soste-gno o lo rifiutano? Lo sentono come in-gerenza? Le mediatrici sanno essere im-parziali? Conoscono abbastanza la re-altà scolastica per poterla interpretare?Quali capacità personali, psicologichehanno di mediare davvero?” Se ascol-tiamo una mediatrice ci troviamo inqualche modo in una prospettiva diffe-rente, ma egualmente pratica: “I media-tori culturali sono molto utili per l’ac-coglienza dello studente nella classe, di-ventano quasi inutili se chiamati a metàdel secondo quadrimestre quando di-venta anche difficile spiegare all’alunnoil perché dell’intervento. Il mediatoredovrebbe essere presente nella classe findall’inizio per poi lasciarla nel momen-to in cui il suo intervento non sia piùindispensabile. A mio parere, sarebbe-ro utili progetti di dopo scuola col me-diatore. Spesso infatti l’alunno rifiuta lapresenza del mediatore in classe perchélo fa sentire “diverso” dagli altri. Unbuon mediatore deve prima di tuttoconoscere bene la lingua e la cultura dientrambe le parti in causa, deve esseresempre disponibile al dialogo sia con lascuola, sia con l’alunno che con la fa-miglia. Deve inoltre rispettare in ugual

modo l’alunno e la scuola cercando dinon sbilanciarsi mai verso una delle dueparti”.Sembra impossibile trarre da queste dif-ferenti prospettive una qualsivoglia sin-tesi, che avrebbe richiesto una serie ul-teriori di domande volte a creare unconfronto che non abbiamo avuto oc-casione di creare. D’altra parte è possi-bile cogliere una pluralità di possibiliruoli attribuiti in teoria ed in pratica almediatore culturale, che di volta in vol-ta è aiuto nella comunicazione, difen-sore dello studente straniero, agente diintegrazione: sembra utile notare la nonpiena compatibilità di alcune di questefunzioni.

Interventi utili ed inutiliInterventi utili ed inutiliInterventi utili ed inutiliInterventi utili ed inutiliInterventi utili ed inutiliLa parte conclusiva di queste note si ri-ferisce alla possibilità di intraprendereulteriori azioni a favore dell’inserimen-to degli studenti non italiani. Tutti ipartecipanti si sono detti a favore di ini-ziative di accoglienza messe in atto al-l’inizio dell’anno; questo periodo rive-ste quindi un ruolo strategico, anche pervalutare da subito l’emergere di situa-zioni delicate su cui intervenire con per-corsi individuali.Un ulteriore aiuto potrebbe essere datoda esperienze socializzanti, come adesempio gite ed uscite, da effettuare nellaprima pare dell’anno. Per quanto ri-guarda la formazione degli insegnantisono stati proposti approfondimentisull’insegnamento dell’italiano comeseconda lingua e sulle stereotipizzazio-ni inconsapevoli. Infine, uno dei parte-

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cipanti ha proposto l’intervento diesperti esterni per realizzare momentidi “confronto culturale”, e più in gene-rale la realizzazione di progetti intercul-turali volti a stimolare la curiosità perle altre culture. Alcune di queste pro-poste hanno trovato delle critiche espli-cite: in particolare molti hanno espres-so la preoccupazione che alcuni proget-ti possano enfatizzare troppo le differen-

ze, arrivando fino al punto di essere con-troproducenti: alcune forme di razzi-smo moderno si reggono infatti sull’af-fermazione delle differenze incolmabilitra le culture. Tra gli interventi inutilisono stati citati anche le grosse manife-stazioni sporadiche sull’educazione aivalori interculturali, che pur essendo di-spendiose, non sarebbero in grado diincidere nella pratica.

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NOTE1 Sia per natalità che per mortalità viene rilevata

quella relativa ai soli residenti, indipendentementedal luogo di nascita o di decesso, e non vengonoconteggiate le nascite e le morti avvenute in Tosca-na di persone non residenti.

2 Il dato è fornito dal Ministero dell’Interno, ma èda ritenersi sottostimato in quanto non include iminori registrati sul permesso di soggiorno dei ge-nitori, che nel Dossier Statistico Immigrazione 2004Caritas/Migrantes sono stimati in 31.697. In talmodo i cittadini stranieri regolarmente soggiornan-ti in Toscana sarebbero circa 206 mila.

3 Secondo la definizione ISTAT è da considerarsioccupato chi abbia 15 anni e più e che nella setti-mana di riferimento:

- abbia svolto almeno un’ora di lavoro in una qual-siasi attività che preveda un corrispettivo moneta-rio o in natura;

- abbia svolto almeno un’ora di lavoro non retri-buito nella ditta di un familiare nella quale colla-bora abitualmente,

- sia assente dal lavoro per ferie o per malattia.4 Fonte dati: ISTAT.5 allo stato attuale non è possibile dare con precisio-

ne il numero totale delle visite ricevute, ma dob-biamo accontentarci di una misura imprecisa. Unanota viene sempre inserita ogni volta che una per-sona visita il centro, ma in certi casi i nostri opera-tori la inseriscono anche per registrare informa-zioni riguardanti quella persona. Il numero di notequindi “sovrastima” il numero dei contatti.

6 Il “cedolino” è la ricevuta che viene consegnata dallaQuestura a chi fa domanda di primo rilascio o dirinnovo del permesso di soggiorno

7 Dal punto di vista del metodo di analisi questoimplica che siano rilevate più problematiche chepersone, e quindi le percentuali possono assumereun significato sfuggente, potendo essere sia riferite

al totale delle problematiche espresse sia al nume-ro delle persone che hanno un certo tipo di pro-blematica: per non complicare la lettura faremosempre riferimento a questa seconda accezione.

8 (vedi il capitolo “Toscana” del Dossier Statistico

Immigrazione 2004)9 Questo strumento di ricerca si chiama “metodo

Delfi”, e prevede che i punti di disaccordo emersidalle prime risposte siano sottoposti una secondavolta all’attenzione di ogni partecipante. Lo scopodel metodo è favorire una riflessione approfonditasu un certo tema senza che il confronto sia condi-zionato dalla eventuale personalità dominate di unodei membri, difetto comune dei “focus group” tra-dizionali.

10 Questa affermazione è stata contestata da uno deipartecipanti, per il quale attribuire ad altre culturei metodi mnemonici non tiene conto che anchenelle nostre scuole sono diffusi tali metodi (dalletabelline all’analisi logica delle scuole elementari emedie); inoltre attribuire ad una generica culturaun diverso metodo di apprendimento sarebbe “au-dace” e sintomo di “differenzialismo”. Uno dei duepartecipanti che sostengono questa tesi ha invecesuffragato con un esempio concreto il suo ragio-namento: “da quando ho autorizzato la mia alun-na marocchina a “studiare a memoria” la storiaprende i voti più alti nella classe”.

11 Uno dei partecipanti contesta questa affermazio-ne citando il sociologo Norbert Elias, perché lo slit-tamento da stereotipi cognitivi a stereotipi razzistiavverrebbe solo in presenza di “asimmetrie di po-tere”, e quindi non sarebbe un processo possibilenelle due direzioni ma soltanto da chi ha più pote-re verso chi ne ha meno. Nonostante quella di Eliassia una posizione solida e condivisa, non è questala sede per entrare nel dibattito sulla genesi del raz-zismo; basterà ricordare, a titolo di esempio, chegli esperimenti di Muzafer Sherif indicavano nellacompetizione (e non nell’asimmetria di potere) lacausa dei pregiudizi potenzialmente razzisti.

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