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RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA PSICHIATRICA FORENSE
Oggetto: Osservazioni psichiatrico-forensi relativamente al Procedimento N. 42393/2009 RGNR.
Sono stato incaricato dagli avvocati, Luigi Isolabella e Italia Caminiti, difensori di fiducia della dr.ssa
N N, di redigere le osservazioni in oggetto per una valutazione della eventuale responsabilità della
dr.ssa N relativamente al decesso del signor Luca Campanale, avvenuto per impiccamento nel carcere
di San Vittore in data 12 agosto 2009.
Per redigere la consulenza, ho preso visione di tutta la documentazione agli atti e delle consulenze
dei periti di parte, dottor X per il PM, e dottor Y per la parte civile.
La relazione, allo scopo di fornire informazioni utili e attendibili per la valutazione richiesta,
procederà affrontando in successione 4 temi, che sono cruciali al fine di evidenziare la correttezza
dell’operato della dott.ssa N N: 1) Valutazione diagnostica del signor Campanale, indispensabile per
la 2) Valutazione di un eventuale rischio suicidario dello stesso, alla luce della tragica modalità del
suo decesso, e per la 3) Valutazione delle condotte autolesive, messe in atto dal signor Campanale
nei mesi precedenti il decesso, per concludere con la 4) Valutazione del trattamento del Campanale
stesso, per stabilire se fosse adeguato alla luce di quanto emerso dall’esame dei primi 3 temi.
Ciascuno di questi 4 temi sarà trattato esaminando e discutendo tutto il materiale sanitario e
documentario di varia natura, presente agli atti, in successione cronologica, per cercare di mettere
ordine in una vicenda drammatica, esordita oltre un decennio fa e conclusasi così tragicamente
nell’agosto 2009.
1. Valutazione diagnostica del signor Campanale
Su questo specifico aspetto, si precisa sin da subito che, sebbene sotto certi aspetti superate dalle
recenti innovazioni recepite dal DSM V, si ritiene di poter sostanzialmente aderire alle considerazioni
svolte in merito alla diagnosi effettuata dal Consulente del PM, dott. X: alla luce, infatti, di un esame
completo di tutta la documentazione medica agli atti (sicuramente più copiosa di quella che aveva a
disposizione all’epoca dei fatti la dott.ssa N in qualità di psichiatra della Casa circondariale di San
Vittore), si può ritenere che il sig. Luca Campanale fosse affetto da un Disturbo della Personalità.
Non appaiono in alcun modo condivisibili, invece, le valutazioni espresse dal Consulente della parte
civile, dott. Y, che sono ancorate ad una diagnosi di sindrome frontale in realtà effettuata una sola
volta, ben 8 anni prima dell’arrivo del sig. Campanale a San Vittore, e mai più ripresa da alcuno
degli specialisti che hanno visitato il paziente nel corso degli anni; parimenti, non si ritiene di poter
concordare con lo psichiatra della Casa circondariale di Pavia, dott. J G, che associa alla situazione
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clinica del sig. Campanale una dimensione psicotica, che non trova alcun elemento di suffragio
nella sua storia clinica e nella stessa refertazione medica del dott. J.
1.1 La diagnosi effettuata dal dott. X
Per quanto riguarda la valutazione diagnostica del signor Campanale, condivido con alcune necessarie
precisazioni quella effettuata dal dott. X: “La natura del quadro descritto risponde alle caratteristiche
del "Disturbo Organico di personalità", di fatto diagnosticato anche nella cartella del CPS di
Cinisello e riconosciuto come causa di infermità anche nella perizia Z. Attualmente questa patologia
viene definita per convenzione "Modificazione della personalità" dovuta ad una condizione medica
generale. Tale categoria corrisponde, come esplicitato nel DSM - IV (American Psychiatric
Association, 2002, DSM-IV-TR, Ed. Masson) alla vecchia definizione di "Disturbo Organico di
Personalità". Benché condivida il termine "personalità", questa diagnosi viene codificata sull'Asse I
del DSM - IV, ovvero nel gruppo dei disturbi clinici, e non sull'asse II ove si descrivono le
caratteristiche ed i malfunzionamenti delle differenti personalità, e viene distinta in virtù della sua
specifica eziologia, della differente fenomenologia, e delle modalità più variabili di insorgenza e
decorso”.
Su questo punto, è necessario precisare che, alla luce delle modificazioni introdotte dalla quinta
edizione del DSM1, pubblicata nel maggio 2013, la distinzione tra Asse I e Asse II è del tutto superata,
per cui il Disturbo denominato “Modificazione della personalità dovuta a una condizione clinica
generale” non è più codificato sull’Asse I, come rileva il dott. X, separato quindi dai
“malfunzionamenti delle differenti personalità” codificati sull’Asse II.
In altri termini, tutti i disturbi di personalità sono ora collocati all’interno di un’unica categoria
diagnostica specifica, descritta dal DSM 5 e definita “Personality Disorders”, all’interno della
Sezione II (“Diagnostic Criteria e Codes”), che contiene l’elenco di tutti i Disturbi Mentali
attualmente riconosciuti come validi e attendibili2 (cfr. sub all. 1, pagina del DSM 5 che descrive i
1 In proposito, corre l’obbligo di evidenziare che il dott. X ha preso come riferimento il DSM-IV , cioè la quarta edizione
della classificazione delle malattie mentali da parte dell’Associazione Psichiatrica Americana, che viene comunemente
adottata anche in tutti i paesi europei. Questo manuale è soggetto a continue revisioni sulla base delle evidenze accumulate
dalla ricerca clinica, che inducono a rivedere sia l’organizzazione complessiva del manuale sia la definizione dei disturbi
mentali inclusi e i loro criteri diagnostici. La prima edizione del DSM risale al 1952; la IV edizione è del 1994 ed è stato
revisionato nel 2000 dalla edizione DSM-IV TR (Text Revised), che però ha sostanzialmente mantenuto intatta la struttura
precedente, per cui non si è ritenuto appropriato definirlo come la quinta edizione, ma solo come la quarta revisionata. A
partire dal 1994 una task force di alcune centinaia di psichiatri di tutto il mondo, organizzati in gruppi di lavoro
differenziati in base alle loro competenze specifiche, ha iniziato a raccogliere e analizzare l’evidenza clinica e scientifica
fornita da migliaia di studi epidemiologici condotti utilizzando i criteri diagnostici del DSM-IV, con l’obiettivo di
apportare modifiche sostanziali alla luce delle nuove conoscenze acquisite. Il risultato, atteso da 20 anni, è stato la
pubblicazione nel maggio del 2013, negli Stati Uniti, della quinta edizione, il DSM 5, che sarà tradotta in italiano all’inizio
del 2014, ma che, di fatto, è già operativo in tutto il mondo. 2 La Sezione III (“Emerging Measures and Models”) del DSM V, invece, raccoglie condizioni cliniche segnalate da molti
studi e ricerche cliniche ma che non sono state ancora validate con i criteri della cosiddetta Medicina Basata sull’Evidenza
(EBM – Evidence Based Medicine), per cui devono essere sottoposti ad ulteriori studi e ricerche prima di poter essere
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“Personality Disorders”): da tale modificazione, basata su una evidenza clinica e scientifica
consolidata e condivisa internazionalmente, consegue che i Personality Disorders non sono semplici
“malfunzionamenti delle differenti personalità”, ma condizioni cliniche specifiche, assimilabili ad
altri disturbi mentali, caratterizzati da una comune manifestazione sintomatologica e
comportamentale, per cui è arbitrario separarli dagli altri Disturbi mentali veri e propri, così come è
discutibile tenerli distinti sulla base di una eziologia che, come in tutti i disturbi mentali, è molto
variabile.
Detto questo, è vero che la “Personality change due to another medical condition” è correlata ad una
condizione medica che contribuisce, insieme ad altri fattori eziologici, a determinare il suo quadro
clinico ed evolutivo, per cui si può concordare con il dott. X quando precisa che "la caratteristica
essenziale di una Modificazione della Personalità Dovuta a una Condizione Medica Generale è
l'alterazione persistente della personalità che si ritiene dovuta agli effetti fisiologici diretti di una
condizione medica generale.” Egli afferma poi che la condizione medica generale, che avrebbe
determinato l'alterazione persistente della personalità, consisterebbe nelle “già citate cause
neuropsichiatriche, ovvero l'insorgenza post traumatica dei sintomi comportamentali nonché il
concomitante livello intellettivo limite del giovane. Essi suggeriscono che gli aspetti disfunzionali
della sua personalità, a seguito del grave trauma cranico, erano stati potenziati (o addirittura erano
insorti) e traevano ulteriore spinta e complessità da problemi "organici", di ordine neuropsicologico,
giustificando così il particolare impegno ed eterogeneità del quadro psicopatologico.”
Su questo punto, bisogna precisare che “l'insorgenza post traumatica dei sintomi comportamentali”
può essere una ipotesi di partenza per una diagnosi di Modificazione della Personalità Dovuta a una
Condizione Medica Generale, ma bisognerebbe documentare esattamente in che cosa consistono tali
sintomi comportamentali e se sono tali da configurare un disturbo neuropsicologico specifico.
1.2 La diagnosi effettuata dal dott. Y
Sempre con riferimento alla diagnosi psichiatrica del sig. Campanale, non appare in alcun modo
condivisibile il riferimento che il consulente della parte civile, dott. Y, fa alla presenza di una presunta
“sindrome frontale”: questa diagnosi, nella lunga storia clinica del signor Campanale, viene effettuata
solo una volta presso l’Istituto Sacra Famiglia di Bosisio Parini nel giugno 2001, e da allora non
compare più. Non viene ripresa, ad esempio, nella perizia del dottor Z e neanche in quella del dottor
X, per cui è sorprendente che il dott. Y vi dedichi buona parte della sua relazione, allegando una
copiosa bibliografia estratta da una delle molte pubblicazioni dedicate all’argomento.
eventualmente inclusi nel DSM 6, per il quale esiste una nuova task force che è già al lavoro per la sua prossima
pubblicazione.
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In particolare, il consulente della parte civile, nella sua relazione, omette di precisare che il testo
allegato “Disturbi cognitivi-affettivi da encefalopatie traumatiche” del professor Volterra descrive le
conseguenze neurologiche e psichiatriche del trauma cranico, che possono andare da forme lievi e
transitorie, come la commozione cerebrale, alla demenza, passando per il disturbo della personalità,
e quando descrive il sig. Campanale fa esclusivo riferimento al quadro della Demenza Dovuta a
Trauma Cranico, una condizione clinica che è radicalmente diversa rispetto alla Modificazione della
Personalità Dovuta a una Condizione Medica Generale.
Infatti, per poter sostenere questa diagnosi - che non viene mai effettuata per il signor Campanale in
tutta la sua storia clinica e non viene presa in considerazione neppure ipotetica dal dott. X - sia in
ambito clinico sia in ambito psichiatrico-forense3 non è sufficiente il semplice dato anamnestico del
trauma cranico da incidente stradale, presente nel caso del signor Campanale.
Bisognerebbe suffragare e confermare, invece, la presenza di una sindrome frontale con una serie di
valutazioni strumentali specifiche, sia radiologiche sia neuropsicologiche. La stessa fonte citata dal
dott. Y ribadisce questo punto essenziale: “Anche se la valutazione neuropsicologica deve venire
coadiuvata da valutazioni obiettive con strumenti specifici (EEG, RM, SPECT) per seguire
l'evoluzione nel tempo e la prognosi a distanza di anni dell’evento traumatico (epilessia secondaria,
demenza ecc.), si ritiene che le scale GCS, utile in fase acuta, e LCF troppo grossolana, debbano
essere integrate con una valutazione neuropsicologica più adeguata, usando scale come la CNC di
Rappaport e/o il protocollo di Whyte che consentono un esame di valutazione ragionato della
globalità della disabilità, con il riconoscimento dello stato di coscienza della vittima (vegetativo o di
minima coscienza), fondamentale per definire in modo appropriato il progetto riabilitativo, il tipo di
reinserimento e di conseguenza le spese da sostenere da parte della famiglia.” (n.d.r., nostra
sottolineatura).
Nel caso del signor Campanale, non si dispone di nessuno di questi strumenti di valutazione. Le
uniche valutazioni disponibili al riguardo sono quelle del servizio di Garbagnate, dove è stato
ricoverato nell’aprile ‘98 per effettuare una terapia neuroriabilitativa, dopo incidente stradale, con la
diagnosi di "trauma cranioencefalico, petecchie emorragiche intracerebrali multiple. Durante il
ricovero il paziente ha riacquistato progressivamente coscienza di sé e padronanza dello stato di
veglia ... dal punto di vista cognitivo il paziente ha recuperato senza mai manifestare agitazione.
Permane attualmente una certa tendenza alla perseverazione ideativa".
3 In ambito psichiatrico forense, il riscontro di tale condizione è oggetto di aspre contese tra pareri di periti contrapposti
quando è in gioco il riconoscimento di un danno biologico che può comportare centinaia di migliaia di euro da parte delle
assicurazioni, come emerge chiaramente dalla bibliografia allegata dal dott. Y.
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Lo stesso servizio, nel febbraio ’99, rileva: "Sul versante motorio il paziente risulta completamente
reintegrato ed autonomo. Sul versante cognitivo-comportamentale il paziente risulta motivato e
collaborante. Domina ancora atteggiamento precipitoso, impulsivo e talvolta disinibito...".
Nel luglio ‘99: "... anche sul versante cognitivo il paziente è decisamente migliorato permanendo
un modesto disturbo dell'attenzione, concentrazione ed astrazione in buona parte secondarie ai
disturbi comportamentali residui. Infatti sul versante comportamentale si può rilevare una certa
impulsività, disinibizione e precipitosità particolarmente accentuati nei momenti di stanchezza psico-
fisica ... completamente reintegrato sul versante motorio, permangono i disturbi comportamentali
con note di aggressività in aumento. Permane importante l'ipocritica."
Nel maggio-giugno 2001 una relazione neuropsicologica effettuata dalla Nostra Famiglia di Bosisio
Parini evidenzia che l’EEG “mostra discreta organizzazione, instabilità dell’attività, sporadiche
anomalie lente sulle regioni centrali e anteriori, lievemente prevalenti sull’emisfero sinistro”, mentre
la RMN riporta “esiti della lesione contusiva emorragica nelle aree sottocorticali di destra”; alla
WAIS, il QI risulta 78 (verbale 80, performance 82) e le matrici progressive di Raven risultano al 50
percentile, compatibile per deficit; la MAS riporta deficit della memoria a breve termine, così come
il test di Rey.
Questa relazione non evidenzia alcuna lesione obiettiva che attesti la presenza di una sindrome
frontale:
La Risonanza Magnetica, infatti, rileva solo esiti di una lesione contusiva emorragica, ma nelle
aree sottocorticali, che non hanno nulla a che fare con la sindrome frontale la quale, come dice il
termine stesso, è dovuta a lesioni del lobo frontale; in questo caso le lesioni non solo non
riguardano il lobo frontale, ma neppure interessano la corteccia cerebrale, che è la parte più
“nobile” del cervello e responsabile di tutte le cosiddette funzioni psichiche superiori, ma solo le
aree sottocorticali, che non sono rilevanti per queste funzioni, ma servono per il coordinamento
delle funzioni motorie;
Inoltre, in tale occasione, il paziente non viene sottoposto a nessun test neuropsicologico specifico
per rilevare i segni di una lesione frontale, ma solo a test generici per la memoria, che documentano
un deficit della memoria a breve termine, ma senza quantificarla e documentarne gli effetti sulle
funzioni cognitive, che non vengono valutate in nessun modo;
Viene solo misurato il quoziente intellettivo, che risulta pari a 78, per cui rientra pienamente nella
norma; infatti, si può parlare di Ritardo Mentale solo quando il QI è inferiore a 70, e lo si definisce
Lieve quando è compreso tra 50 e 70. Non si comprende quindi cosa intenda il dott. Y quando
afferma che il paziente sarebbe “ai limiti del deficit intellettivo”.
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Non disponiamo di altre valutazioni neuropsicologiche in epoca successiva al 2001, ma, sulla base di
questi dati, si può ritenere che il sig. Campanale già nel ’99 avesse raggiunto un buon recupero delle
funzioni motorie e cognitive e che fosse residuato unicamente un certo deficit delle capacità critiche,
che alimentava comportamenti aggressivi eterodiretti.
Non sorprende quindi che, con un quadro clinico di questo tipo, la Commissione per l’Invalidità
Civile di Milano, che lo ha visitato nel 2002, non gli abbia riconosciuto una invalidità totale, al 100%,
ma solo parziale, al 75%, compatibile con lo svolgimento di una attività lavorativa4.
Si può quindi sostenere che nel 2008 il signor Campanale si era certamente ripreso dalle conseguenze
del trauma cranico e non presentava una compromissione delle funzioni cognitive tale da configurare
un disturbo neuropsicologico grave come la sindrome frontale.
Questa evidenza è confermata dalla perizia del dottor Z del 2008, che non parla di Sindrome Frontale,
ma di “sfumati disturbi delle funzioni cognitive, in particolare memoria e attenzione e un
funzionamento intellettivo ai limiti inferiori alla norma, pur senza entrare nella insufficienza
mentale clinicamente significativa”, per i quali lo specialista non ritiene opportuna una interdizione
e/o inabilitazione, come nei gravi casi di Sindrome Frontale descritti dal dott. Y, ma una semplice
Amministrazione di Sostegno. Da notare che il dottor Z non dice che sul piano intellettivo il sig.
Campanale è “ai limiti del deficit”, ma che rientra nella norma, pur collocandosi nei valori bassi della
normalità e che quindi non presenta una insufficienza mentale clinicamente significativa.
Poco dopo il trauma cranico, il signor Campanale ha iniziato ad abusare di alcol e di droghe, fino a
sviluppare una condizione di dipendenza da sostanze con frequenti episodi di intossicazione acuta,
nel corso dei quali ha commesso reati per i quali è stato processato e, infine, carcerato. In realtà risulta
che egli abbia iniziato ad attuare condotte antisociali già prima del trauma; infatti:
il dottor Z riporta che “… Secondo la dott.sa Conti in qualche modo utilizza a scopo
manipolatorio l’incidente con trauma cranico subito a 17 anni per giustificarsi dei suoi
comportamenti discontrollati, ma l’uso di sostanze sarebbe da far risalire a prima dell’incidente
stesso.”;
egli aggiunge anche che “Prima dell’incidente aveva avuto qualche esperienza lavorativa (di cui
una interrotta per furto in ditta, licenziato dal datore di lavoro senza denuncia, e l’altra
interrotta dall’incidente).”;
4 Una persona che lavori e alla quale viene attribuita questo tipo di invalidità non ha diritto al riconoscimento della
“condizione di gravità” e, pertanto, non può usufruire dei permessi giornalieri e di riduzioni dell’orario di lavoro. Se
volesse ottenere una riduzione dell’orario di lavoro o cambiare mansioni, deve rivolgersi al suo Ente previdenziale e
richiedere la visita alla Commissione Medico Legale, che è diversa dalla Commissione per l’Invalidità Civile, la quale
valuta se la sua condizione di salute comporta una parziale inabilità al lavoro; in questo caso può ottenere l'assegno
ordinario di invalidità, che però non è compatibile con l'eventuale assegno mensile di assistenza erogato in virtù del
riconoscimento del 75% di invalidità civile.
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sempre il dottor Z riferisce evidenti segni di disadattamento, che si sono manifestati già in età
scolastica: “… Consegue la licenza media e iniziano subito le difficoltà: ripete per 4 anni la 1°
ragioneria frequentando anche le serali, segue poi un corso professionale di operatore d’ufficio.
Riferisce di essere portato per le lingue straniere ma di non avere mai avuto interesse per lo studio,
preferiva stare con le ragazze: approfittando della casa libera al mattino saltava scuola e invitava
le compagne a “fare casino” da lui. Come ha anche raccontato ai colleghi di Niguarda "avrebbe
condotto una vita al limite”, con frequentazioni nell'ambito di un sottofondo sociale di strada”.
Non si può dunque sapere con esattezza se le anomalie comportamentali, l’impulsività e la tendenza
a condotte aggressive siano correlabili in qualche modo alle sequele del trauma cranico o se fossero
già presenti nel contesto di un disturbo della condotta di origine infantile, aggravato dall’abuso di
sostanze, e non si può escludere che lo stesso incidente con il motorino non si fosse verificato in uno
stato di abuso di droghe.
Fatto sta che l’intreccio tra i disturbi cognitivi residuati dal trauma cranico, sia pure sfumati, l’abuso
e la dipendenza da sostanze e la messa in atto di condotte antisociali, ha indubbiamente complicato il
quadro clinico, rendendo difficile –anche a causa della scarsa documentazione medica a cui i sanitari
del carcere hanno avuto accesso- effettuare una precisa valutazione psichiatrica del sig. Campanale
nel 2008, quando egli viene accolto nel carcere di San Vittore.
Tuttavia, il quadro clinico che si presenta in questa data è molto lontano da quello prospettato dal
decreto di rinvio a giudizio del GUP, ripreso dal dott. Y, che lo dipinge come “persona incapace di
provvedere a se stessa a causa dei disturbi psichici dei quali era affetto”, dal momento che una tale
incapacità non era stata riconosciuta da nessuno dei molteplici specialisti che lo avevano valutato
approfonditamente e neppure sancita né dalla Commissione di Invalidità Civile né dal CTU del
Tribunale di Milano, dottor Z, che lo aveva visitato in 3 occasioni: il 1 ottobre 2008, nel reparto
psichiatrico dell'Ospedale Niguarda, l’8 ottobre nel Padiglione Guardia II del Policlinico di Milano e
il 29 ottobre proprio nel carcere di San Vittore.
1.3 Le condizioni cliniche del paziente Luca Campanale durante la sua permanenza in
carcere
A prescindere dalle sottigliezze sulla natura e sull’origine eziopatogenetica del disturbo psichico del
signor Campanale, resta assodato che si tratta comunque di un Disturbo di Personalità, le cui
manifestazioni sintomatologiche e comportamentali, come rileva lo stesso dott. X, consistono
essenzialmente in "instabilità affettiva, scarso controllo degli impulsi, scoppi di aggressività o rabbia
grossolani e sproporzionati a qualunque stressor psicosociale precipitante, marcata apatia,
sospettosità o ideazione paranoide". Questi sintomi sono analoghi a quelli presenti in altri Disturbi
di Personalità, anche in assenza di una eziologia organica evidente e documentata, come, ad esempio,
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il Disturbo Borderline di Personalità o quello Antisociale. E’ per questo motivo che, come ricordavo
prima, il DSM 5 ha deciso di includerli in un’unica categoria diagnostica di “Personality Disorders”.
Non sorprende pertanto che, in alcune occasioni siano state formulate queste diagnosi, in epoca
successiva al trauma cranico e di poco precedente la carcerazione.
In particolare:
Il reparto psichiatrico dell'Ospedale Niguarda in data 29/9/08 parla di “Disturbo della Personalità
Misto con tratti Antisociali e di Instabilità Emotiva; Abuso di cocaina”.
Il reparto di psichiatria Padiglione Guardia II del Policlinico di Milano, in data 13/10/08 riscontra
"Poliabuso di sostanze stupefacenti, Disturbo di personalità NAS".
La nota di accettazione presso il carcere di San Vittore in data 13/10/08 parla esplicitamente di
Disturbo Borderline: “dimesso dall'Ospedale Policlinico di Milano con diagnosi di episodio
d'instabilità del tono umorale in probabile disturbo di personalità borderline.”
Si può dunque, sotto questo aspetto, concordare seppure parzialmente con il dott. X quando afferma
che il disturbo psichico del signor Campanale “… unisce dunque le problematiche di un disturbo di
personalità in senso stretto (classificato sull'asse II del DSM-IV ed inteso come disturbo caratteriale
arrecante un disagio significativo ed una menomazione del funzionamento sociale e lavorativo) ad
un disturbo organico (non solo funzionale dunque), cioè correlato ad un'altra condizione fisica. Ne
deriva una minore risposta al trattamento ed una maggiore eterogeneità dei sintomi che, infatti, oltre
alle caratteristiche di una personalità disturbata, possono annoverare anche scivolamenti psicotici
come l'interpretatività od oscillazioni più profonde del tono dell'umore, insomma una maggiore
vulnerabilità e predisposizione allo sviluppo di reazioni psicotiche o affettive”.
In proposito, va ribadito che:
il disturbo organico era assai poco significativo e rilevante nel quadro clinico del signor Campanale
nel 2008;
le problematiche che egli presentava erano quelle comuni a tutti i “Personality Disorders”, così
definiti dal DSM 5, a prescindere dalla loro eziologia, che è sempre multifattoriale;
scivolamenti psicotici come l'interpretatività od oscillazioni più profonde del tono dell'umore non
sono specifici della Modificazione della Personalità Dovuta a una Condizione Medica Generale,
ma possono essere osservati anche in altri tipi di “Personality Disorders”, in particolare proprio
quelli che erano stati talvolta diagnosticati nel signor Campanale, come il tipo Borderline e quello
Antisociale.
1.4 L’assenza di Disturbi psicotici nel paziente Luca Campanale.
Appare opportuno, in ogni modo, precisare il senso di espressioni come “scivolamenti psicotici” e
“reazioni psicotiche affettive”, perché sono ambigue e potrebbero suggerire la possibilità che il
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Disturbo di Personalità possa mutare di natura e trasformarsi in un Disturbo Psicotico come, ad
esempio, la Schizofrenia, il Disturbo Delirante o il Disturbo Depressivo Maggiore, che sono di
tutt’altra natura e sono inclusi in altre categorie diagnostiche, che presentano manifestazioni
sintomatologiche molto differenti e, soprattutto, più gravi e persistenti di quelle dei “Personality
Disorders”.
E’ più corretto dire che, sia la Modificazione della Personalità Dovuta a una Condizione Medica
Generale, sia il Disturbo di Personalità Borderline, possono presentare durante il loro decorso sintomi
che assomigliano a quelli presenti in alcuni Disturbi Psicotici, ma che se ne differenziano per molti
motivi:
innanzitutto, non sono associati ad una perdita dell’esame di realtà e conseguente distacco dalla
stessa, che caratterizza le psicosi;
ne consegue che sono suscettibili di modificazione e correzione mediante una funzione critica che
rimane conservata;
inoltre, non sono pervasivi e persistenti, ma contingenti, transitori e correlati quasi sempre a
condizioni di vita stressanti.
Questi sintomi, come dice il DSM-IV, nel caso della Modificazione della Personalità Dovuta a una
Condizione Medica Generale, sono: “sospettosità e ideazione paranoide”, mentre nel Disturbo
Borderline consistono in “ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo
stress”. Occorre notare che, in entrambi i casi, si parla di “ideazione paranoide”, ossia focalizzazione
del pensiero su tematiche di danneggiamento e persecuzione, che potrebbero non essere
necessariamente false, assurde o infondate, ma che sono eccessive, pervasive e persistenti, anche se
suscettibili di critica, lontano dai momenti di stress che le alimentano, da parte di un esame di realtà
che rimane comunque preservato; si tratta quindi di un’alterazione del pensiero ben diversa dal delirio
vero e proprio, che caratterizza le psicosi, e che consiste in una idea palesemente falsa, talora assurda
e inverosimile, ma sostenuta con ferma determinazione e partecipazione emotiva, e inaccessibile a
qualunque critica anche di fronte all’evidenza del contrario, in quanto fondata sulla perdita del senso
del reale e sul distacco dalla realtà condivisa da tutti.
In entrambi i disturbi prevalgono, comunque, alterazioni comportamentali contrassegnate da
impulsività e aggressività.
Nel caso del signor Campanale, i sintomi che hanno caratterizzato il suo disturbo, fin dal suo esordio
in età adolescenziale, sono stati prevalentemente quelli comportamentali, con spiccate componenti
antisociali connesse alla presenza contemporanea di un grave Disturbo da Uso di Sostanze, in
particolare Cocaina. A questo proposito non è irrilevante notare che il signor Campanale è stato
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condannato 2 volte dal Tribunale di Milano: il 4/11/2008, mentre si trovava nel carcere di San Vittore,
per 2 rapine alla Stazione di Milano, e il 10/6/2009, mentre si trovava nel carcere di Pavia, per un’altra
rapina ai danni di una signora. In entrambi i casi è stato condannato a 2 anni di reclusione.
Il primo reato è stato commesso il 24/9/2008 e, due giorni dopo, per il riscontro della presenza di
alterazioni di natura presumibilmente psichiatrica, veniva ricoverato presso il reparto psichiatrico
dell'Ospedale Niguarda, dal quale veniva trasferito il 2/10/2008 presso il reparto di psichiatria del
Padiglione Guardia II del Policlinico di Milano e dimesso il 13/10/2008, per essere trasferito nel
carcere di San Vittore.
La sentenza del 4/11/2008 viene emessa dopo aver richiesto una perizia psichiatrica effettuata dal
dottor Z, il quale, dopo aver esaminato la documentazione clinica descritta prima e averlo visitato
anche in Carcere il 29 ottobre, si pronuncia per un “Disturbo di personalità organico con
riacutizzazioni episodiche legate all’abuso di sostanze e/o alla sospensione delle terapie
stabilizzanti”; sulla base di questa valutazione, il Giudice riconosce un vizio parziale di mente, ossia
una compromissione solo parziale della capacità di intendere e volere.
La sentenza del 10/6/2009, emessa per un altro reato due mesi prima della sua morte, recepisce questa
valutazione e conferma questa disposizione: 2 anni di carcere e, al termine, 6 mesi di ricovero in una
Casa di Cura e Custodia. Questo provvedimento è stato preso sulla base della valutazione del dott. Z,
il quale riconosce che la capacità di intendere e volere è parzialmente ridotta dalla sua condizione
clinica di “Disturbo di personalità organico”.
Su questo specifico punto, dunque, non corrisponde al vero quanto afferma il dott. Y, secondo cui
“… Le conclusioni forensi del Dott. Z rilevano un vizio di mente totale all’epoca dei fatti per
scompenso psicopatologico”. Infatti, il dottor Z afferma che solo “in occasione di riacutizzazioni”,
definite come “episodiche” e “legate all’abuso di sostanze e/o alla sospensione delle terapie
stabilizzanti”, la condizione clinica di Disturbo di personalità organico “rende il soggetto totalmente
incapace di intendere e volere”.
Il signor Campanale giunge, dunque, al carcere di San Vittore il 13/10/2008, dopo una lunga storia
clinica nel corso della quale sono state enfatizzate da tutti i servizi e gli specialisti, che si sono
occupati di lui, le anomalie comportamentali riconducibili agli esiti del trauma cranico, al disturbo di
personalità con forti tratti antisociali e alla dipendenza da sostanze.
Questi dati sono riassunti nella perizia prima citata del dottor Z, che evidenzia “… un disturbo della
personalità, descritto anche dalla nosografia psichiatrica, originato da un danno organico cerebrale.
Altrettanto sicuramente, non dimentichiamolo, tale vulnus è utilizzato dal periziato per
autoassolversi dai suoi comportamenti e quindi sfuggire ad una reale presa in cura dei diversi servizi
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che di lui si devono occupare (e questo fa parte della sua struttura di personalità di base,
indipendentemente dal trauma per una certa quota)”.
Questa valutazione concorda con quella effettuata dal reparto psichiatrico dell'Ospedale Niguarda il
29/9/2008, dopo un’osservazione di 3 giorni: ... Obiettivamente, in questi giorni, egli è apparso
sempre lucido e formalmente collaborante. Il pensiero è apparso esente da patologia di marca
psicotica, l'umore si è mantenuto nei limiti. Le funzioni cognitive si sono mostrate solo lievemente
rallentate, ma ancora da ritenersi nell'ambito della norma. La capacità di controllo sulla volontà
si è osservata nella norma ... è emersa, a distanza di circa tre giorni dalla verosimile ultima
assunzione di sostanze, ancora una marcata positività a cannabis e a cocaina, il che deporrebbe
per un notevole abuso di sostanze ... Alla luce della osservazione clinica svolta in questi giorni
concluderemo per una diagnosi di Disturbo della Personalità Misto con tratti Antisociali e di
Instabilità Emotiva; Abuso di cocaina ... Tutto ciò per informare la A.G. giudicante, ed evidenziare
la sostanziale mancanza di acuzie psichiatrica tale da giustificare la prosecuzione del ricovero
ospedaliero"; valutazione confermata dal Reparto di psichiatria del Padiglione Guardia II del
Policlinico di Milano, il 13/10/2008, dopo un’osservazione di 12 giorni: “"lisi del quadro clinico
presentato in acuto, riduzione della quota d'ansia e ricomposizione sul piano idetico e
comportamentale… il paziente viene dimesso e affidato alla Polizia Penitenziaria su disposizione del
giudice che, visualizzata la relazione clinica dei curanti redatta in data odierna, non ritiene
opportuno far proseguire la degenza al soggetto presso una struttura ospedaliera. Il paziente può
essere trasferito con mezzo ordinario".
Anche il Giudice, dunque, dopo aver preso visione della CTU del dottor Z e della relazione degli
Psichiatri dei 2 Servizi psichiatrici nei quali è stato ricoverato e sottoposto ad osservazione
specialistica, non ravvisa una condizione di incompatibilità carceraria per motivi di salute, e ne
dispone il collocamento in carcere, in esecuzione della sentenza che verrà emessa il 4/11/2008,
quando il Campanale si trova in carcere già da oltre 20 giorni.
Fino a questa data, dunque, tutti i dati clinici obiettivi disponibili sul signor Campanale convergono
verso la diagnosi prospettata dal dott. X di Disturbo della Personalità sia in senso stretto sia correlato
ad una patologia organica di natura neuropsicologica.
Tuttavia, egli aggiunge anche che la patologia del signor Campanale si è progressivamente aggravata
durante la permanenza in carcere, fino ad assumere una dimensione psicotica, per cui conclude così
la sua valutazione diagnostica: “Ciò che più conta, tuttavia, il quadro descritto si trovava al momento
del decesso in una fase di non compenso clinico, tanto da mostrare disturbi più evidenti a carico
della sfera emotiva ed affettiva, oltre che comportamentale, e verosimili aspetti psicotici, di fatto
certificati in numerose osservazioni specialistiche.”
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Sulla base di questo aggravamento psicotico del quadro clinico del signor Campanale, egli ritiene che
lo stesso non sia stato adeguatamente valutato e che non siano stati presi in considerazione
provvedimenti alternativi, quali, ad esempio il ricovero ospedaliero o una modificazione del regime
di sorveglianza in carcere.
Per attestare tale aggravamento psicotico, egli si basa essenzialmente sulla valutazione clinica
effettuata durante la permanenza del signor Campanale nel carcere di Pavia. Infatti, quando discute
della compatibilità carceraria del signor Campanale, il dott. X osserva che, fino al 27/5/09 (data della
relazione della dr.ssa C), “… Si trattava senza dubbio di un quadro clinico complesso e proteiforme
poiché, annoverava sintomatologia di varia natura (affettiva, emotiva, ideativa, intellettiva eccetera)
nell’ambito di un quadro dominato comunque da una grave caratterialità con tratti di personalità
profondamente disturbati, in grado di alterare le relazioni interpersonali e di condizionare
comportamenti di difficile interpretazione. Ne derivava una “tendenza a strumentalizzare la sua
patologia psichiatrica al fine di attirare l’attenzione (relazione della dr.ssa C del 27/5) con adozione
di modalità particolarmente eclatanti (aggressività verso gli altri o gesti autolesionistici, scarsa
collaborazione nell’assunzione delle cure, atteggiamenti polemici e richiedenti) per l’espressione di
un disagio tuttavia autenticamente riconducibile ad uno stato di malattia”.
Questa descrizione non fa altro che confermare la diagnosi di un Disturbo di Personalità
contraddistinto da alterazioni interpersonali, gesti autolesionistici e comportamenti eclatanti, che
tuttavia sono sottesi dalla “tendenza a strumentalizzare la sua patologia psichiatrica al fine di attirare
l’attenzione”, evenienza assai comune in molti Disturbi di Personalità, soprattutto in ambiente
carcerario; non si fa alcun cenno alla presenza di una grave patologia psicotica persecutoria né di un
rischio suicidario, che si manifesterebbero solo a Pavia: “A partire dal mese di giugno il Campanale
veniva quindi trasferito presso la Casa Circondariale di Pavia ove il quadro psicopatologico non
mostrava alcun miglioramento. Comparivano anzi in modo più palese disturbi a carico dell’esame
di realtà con pensieri ripetitivi a sfondo persecutorio… Ciò induceva i sanitari della C.C. di Pavia
a relazionare circa la gravità del quadro clinico e la necessità di un invio in struttura “psichiatrica
giuridica”, dunque specialistica rispetto al trattamento delle patologie psichiatriche”, per “un
quadro clinico che comprendeva anche dei sintomi psicotici, cui se ne associavano altri sempre più
frequenti, come oscillazioni del tono dell'umore e scarso controllo degli impulsi.”
Conviene dunque analizzare in modo più approfondito i dati clinici obiettivi che hanno indotto lo
psichiatra del carcere di Pavia a riscontrare una tale evoluzione in senso psicotico del quadro clinico
del signor Campanale che, da oltre 10 anni, era stato caratterizzato, a detta di tutti gli specialisti che
se ne sono occupati, da un disturbo della personalità, forse di natura organica, associato a dipendenza
da sostanze e a comportamenti antisociali.
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Il signor Campanale è stato trasferito presso il carcere di Pavia il 1° giugno 2009 e vi è rimasto fino
al 30 luglio, quando è ritornato a S. Vittore. Durante questo periodo di 60 giorni risulta che il paziente
è stato visitato dallo psichiatra del carcere, dottor J G, 4 volte e, in particolare, il 6 giugno, i1 17
giugno, il 1 luglio e l’8 luglio. Queste nel dettaglio le tappe salienti del percorso sanitario del sig.
Campanale nella struttura carceraria di Pavia:
Il 6 giugno il dott. G scrive: “Alla visita in data odierna preoccupato, vigile e ben orientato. Tono
dell'umore in asse senza evidenza di acuzie psichiatriche. Riferisce che si è ben ambientato, dorme
e si alimenta in maniera regolare. Sottolinea al colloquio la sua preoccupazione in quanto è
convinto che suo padre è morto da una terribile preoccupazione per lui quando è stato informato,
da un terzo detenuto, della sua incarcerazione. Ribadisce che l'avvocato di fiducia lo ha
tranquillizzato riferendogli che la sua famiglia è sana e salva. Alla fine del colloquio si
tranquillizza e sembra fiducioso. Nega in modo assoluto pensieri autolesionisti anticonservativi.
Si conferma la terapia in atto". In occasione di questa visita, dunque, lo psichiatra del carcere non
rileva alcuna manifestazione psicotica delirante, né una intenzionalità autolesionistica e/o
suicidaria.
Due giorni dopo, l’8 giugno, il Campanale viene visitato dal medico del carcere su richiesta della
sorveglianza per “atto autolesionistico; si è provocato ferite da taglio al collo non degne di sutura.
Il detenuto appare in preda ad agitazione psicomotoria con fenomeni paranoidi e deliranti. Si
somministra un fiala di farganesse i.m. Come da colloquio telefonico con il consulente psichiatrico
si modifica la terapia farmacologica in atto fino a nuovo controllo specialistico psichiatrico
urgente". E’ dunque il medico del carcere, e non lo psichiatra, che parla di fenomeni
paranoidi e deliranti, ma senza descriverne né la forma né il contenuto, per cui non è possibile
valutarne la natura e il significato psicopatologico.
Il 15 giugno è segnalato "Atto autolesionistico; il detenuto si provoca ferite lacero
sull’avambraccio dx e sul sn (anche se di minore entità) e sul collo, vengono disinfettate e
medicate. Per una maggior sicurezza lo stesso viene ubicato presso la locale infermeria in cella
priva di suppellettili. Si somministrano 30gtt di valium”.
Lo psichiatra, dottor G, lo visita solo dopo una settimana, il 17 giugno, anche su segnalazione degli
infermieri, che riferivano il fatto che il paziente rifiutava di assumere la terapia. In quella data
riporta: "Alla visita odierna il pz è tranquillo dal punto di vista psicomotorio, vigile e ben orientato
nei parametri S/T. Assume un atteggiamento sospettoso e riferisce che durante il transito e il
ricovero in infermeria ha sentito delle registrazioni che gli annunciano la morte del padre e poi
del fratello. Tali registrazioni provenivano dal computer di tali sezioni. Si riesce a mettere in
dubbio tali pattern di delusioni e il pz riesce a capire che attualmente sta attraversando un
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episodio particolarmente difficoltoso dal punto di vista psichico. Nega al momento del colloquio
pensieri autolesionistici anticonservativi e promette di chiedere un aiuto farmacologico in caso
che si accentuerà un impulso autolesionistico. Conclusione, attualmente il pz si trova in uno stato
psicotico persecutorio.” In questa occasione, dunque, il dottor G formula per la prima volta la
diagnosi di “stato psicotico persecutorio” con “delusioni” (evidentemente intendeva dire deliri,
che in inglese, lingua madre dello psichiatra5, si definiscono delusions); egli formula questa
valutazione diagnostica esclusivamente sulla base dell’atteggiamento sospettoso e della
convinzione della morte del padre e del fratello, anche se in pochi minuti il Campanale
appare in grado di criticare tali convinzioni e di rendersi conto che sono dovute al periodo
difficoltoso dal punto di vista psichico che sta attraversando; se si trattasse di un vero delirio
persecutorio di natura psicotica non sarebbe possibile confutarlo e ridimensionarlo in pochi minuti,
mentre d’altra parte la consapevolezza dell’influenza delle difficoltà di vita contingenti evidenzia
la capacità critica e di esame di realtà del signor Campanale; appare quindi del tutto non
condivisibile che si trovasse in uno stato psicotico persecutorio, essendo meglio comprensibile
alla luce della sua condizione di insofferenza e di disagio nei confronti dell’ambiente carcerario,
più volte manifestata anche a San Vittore.
Il dottor G lo rivede il 22 giugno: “alla visita in data odierna il pz presenta ancora un quadro
persecutorio. Promette di assumere terapia. Nega pensieri autolesionistici anticonservativi.
Continua la terapia e l'osservazione in atto". In questa occasione viene confermato il quadro
persecutorio, questa volta senza aggiungere che è di natura psicotica, ma in modo quanto mai
lapidario e succinto, senza fornire alcuna evidenza clinica che giustifichi questa valutazione.
Dopo 6 giorni, il 28 giugno, avviene l’episodio della presunta ingestione di una lametta, per cui
viene condotto d’urgenza al Pronto Soccorso del Policlinico di Pavia, dove viene valutato da una
psichiatra che, dopo aver rilevato che gli esami radiologici sono negativi, non rileva alcun sintomo
di natura psicotica: “…Al colloquio vigile, lucido, eloquio fluente, umore in asse, non quote
d'ansia, emergono contraddizioni e versioni differenti del racconto, riferendo di presunti (e
numerosi nell'ultimo mese) lutti familiari, ultimo quello del padre in settimana, che nessuno gli
avrebbe comunicato ma che avrebbe percepito dal comportamento degli altri detenuti.” Non solo,
ma evidenzia i tratti manipolatori che erano sempre stati segnalati anche dagli psichiatri di San
Vittore: “Atteggiamento manipolatorio, contraddittorio anche riguardo la terapia
farmacologica, ora riportando eccessiva sedazione ora insonnia”. Avanza dubbi anche sulla
sintomatologia delirante, che era stata segnalata dal dottor G il 17 giugno: “Dubbio quadro
5 Il dott. J G, infatti, è un medico israeliano che si è specializzato in Psichiatria in Israele e che si è trasferito a lavorare in
Italia alcuni anni dopo il conseguimento della specialità. Questo spiega la sua maggior familiarità con la lingua inglese.
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delirante”, che attribuisce all’atteggiamento manipolatorio mirante a ottenere lo spostamento dal
carcere: “Prevale atteggiamento manipolatorio con finalità secondarie, ricercando benefici
secondari, accenna a voler essere spostato di struttura in accordo con il proprio avvocato. Da
due giorni riferisce di non volere assumere la terapia farmacologica. Al colloquio verbalizza di
voler riprendere regolarmente la terapia”.
Il dottor G lo visita 3 giorni dopo, il 1 luglio: "Alla visita in data odierna il pz è irrequieto dal
punto di vista psicomotorio, vigile e orientato nei parametri ST leggeri. Al colloquio molto
sospettoso, ogni tanto volta lo sguardo come se forse sospettasse la presenza di qualcuno nella
stanza. Il nesso dell'eloquio assume un andamento circostanziale e le tematiche sono persecutorie.
Riferisce che si sente strano in quanto la realtà non gli sembra reale. Nega al momento della
visita pensieri autolesionisti anticonservativi. Riferisce che non ha assunto la terapia in quanto
gli causava sonnolenza e preferiva essere in allerta in quanto si sente minacciato. Conclusione:
quadro persecutorio. Si consiglia di mantenere la terapia in atto, di diminuire gradualmente la
terapia con il Valium e di somministrare in estemporanea IM Farganesse 50 mg. Paziente in
osservazione e attenta sorveglianza”. Anche in questa occasione, nonostante i dubbi avanzati dalla
collega del Policlinico, lo psichiatra del carcere conferma la presenza di un quadro persecutorio
sulla base del riscontro che appare “sospettoso”, “ogni tanto volta lo sguardo” ed esprime
“tematiche persecutorie”, che non vengono tuttavia specificate, per cui non si può sapere se
fossero di natura psicotica, oppure le solite rivendicazioni e rimostranze nei confronti
dell’ambiente carcerario, cioè convinzioni compatibili sia con il suo Disturbo di Personalità sia
con una insofferenza al carcere, che aveva sempre manifestato anche a San Vittore, che non si
possono perciò definire psicotiche.
In quella stessa data il dottor G redige una relazione su richiesta della Corte d'Appello di Milano,
nella quale conferma un “quadro psicotico persecutorio ben evidente”, facendo riferimento alla
visita del 17 giugno e alla visita psichiatrica presso il Pronto Soccorso del Policlinico di Pavia del
28 giugno, della quale omette di riferire l’esame psichico dettagliato, limitandosi a dire che in
quella occasione “si sospetta uno stato psicotico”, mentre in realtà la psichiatra aveva messo in
dubbio il quadro delirante, attribuendo le sue manifestazioni psicopatologiche all’atteggiamento
manipolatorio.
Il dottor G visita il sig. Campanale per l’ultima volta l’8 luglio: "Alla visita odierna il pz è più
tranquillo dal punto di vista psicomotorio vigile e ben orientato nei parametri ST e ancora
presenta leggeri sintomi di rigidità di tipo EPS agli avambracci. Al colloquio tranquillo dal punto
di vista psicomotorio, meno sospettoso e appena svegliato. Il nesso dell'eloquio più organizzato
rispetto alla visita scorsa ma ancora riferisce difficoltà a distinguere la realtà dalla non realtà e
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idee di referenza in quanto ieri sera parlavano del suo caso alla RAI causandogli insonnia. Nega
al momento della visita pensieri autolesionisti anticonservativi. Conclusione: alla visita odierna
il pz presenta tuttora sintomi psicotici persecutori. Si consiglia di mantenere la terapia in atto, di
diminuire gradualmente la terapia con il Valium e di somministrare al mattino Akineton 4 mg R.
Si consiglia di mantenere la sorveglianza". Anche in questa occasione egli conferma la presenza
di una sintomatologia psicotica persecutoria sulla base di una semplice idea di riferimento (egli
usa il termine referenza, in quanto in inglese riferimento di dice reference) concernente il fatto che
la RAI avrebbe parlato di lui la sera prima.
Dall’8 al 30 luglio, quando viene trasferito a San Vittore, ossia per ben 3 settimane, il signor
Campanale non viene più sottoposto a visita psichiatrica. Il 10 luglio viene visitato dal medico del
carcere, dottor Alecci, che scrive: “Trattasi di soggetto sofferente psichico con difficoltà a
relazionare e rapporto conflittuale con l’attuale concellino. Chiede con insistenza di essere
dimesso e di essere ubicato in cella singola, minacciando rappresaglie. Si indica alla
sorveglianza che può essere ubicato in cella adiacente. Si programma una nuova visita
psichiatrica e si raccomandano colloqui di sostegno con lo psicologo dell’Istituto.” In questa nota
non si fa alcun riferimento a una sintomatologia psicotica persecutoria, ma si rilevano le abituali
insofferenze all’ambiente carcerario e le minacce di rappresaglie per ottenere il
trasferimento in una cella singola; cosa che ottiene, poiché si ritiene evidentemente che tale
sistemazione sia preferibile per il suo equilibrio di “soggetto sofferente psichico”; non si prende
in considerazione il rischio che la condizione di solitudine e di assenza di monitoraggio da
parte di altri detenuti e la non disponibilità di una sorveglianza a vista da parte delle guardie
carcerarie potessero consentire l’attuazione di condotte anticonservative e/o variamente
pericolose per la sua incolumità, in conseguenza del presunto stato psicotico persecutorio.
Va precisato che, anche qualora si fosse trovato in un eventuale reparto infermeria, non sarebbe
cambiato il regime di vigilanza, in quanto tale reparto è costituito esclusivamente da alcune celle
che sono collocate nelle vicinanze dell’infermeria, dove gli infermieri stazionano in permanenza
per espletare le loro prestazioni per i detenuti che vi sono condotti; non si spostano dal locale
infermeria per andare nei corridoi a svolgere una funzione di sorveglianza, tanto meno a vista, che
compete agli agenti di custodia.
A partire da questo momento non si hanno più notizie sulle condizioni psichiche e comportamentali
del signor Campanale per il residuo periodo di permanenza nel carcere di Pavia: in particolare, dal 10
al 30 luglio non viene più riportato alcun atto autolesivo, né alcuna ulteriore visita psichiatrica.
Si può pertanto ritenere che nel predetto periodo di circa 20 giorni, il presunto stato psicotico delirante
di natura persecutoria del sig. Campanale non avesse dato motivo di preoccupazione al personale
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medico e infermieristico del carcere di Pavia, nonostante avesse preoccupato il dottor G che, nella
relazione del 1 luglio afferma “Si consiglia un trasferimento del pz a una struttura Psichiatrica
Giuridica”, ritenendo perciò opportuno il suo inserimento in un OPG6.
Il medico del carcere, dottor Alecci, in una relazione redatta nello stesso giorno afferma di ritenere
“…quanto mai necessario pertanto il trasferimento urgente presso altra struttura protetta, al fine di
rendere possibile al giovane Campanale quelle cure mediche di cui realmente abbisogna”, che il
carcere di Pavia non può garantire in quanto “usufruisce delle prestazioni di un consulente psichiatra
una sola volta a settimana e per tutta la popolazione detenuta”.
In proposito, si rimprovera alla dott.ssa N di aver visitato il signor Campanale solo 5 giorni dopo il
suo ritorno a San Vittore, ma non si dice nulla del fatto che nelle 3 settimane intercorse tra l’ultima
visita dell’8 luglio e il trasferimento a San Vittore del 30 luglio, non si è ritenuto necessario sottoporre
il signor Campanale neppure ad una sola visita psichiatrica. Si può legittimamente supporre che le
sue condizioni psicopatologiche non fossero così critiche da richiedere almeno un controllo
psichiatrico settimanale; si può anche fare l’ipotesi che, dopo aver ottenuto una sistemazione in una
cella singola di suo gradimento, sia scemato quello stato di disagio e di insofferenza all’ambiente
carcerario, che aveva alimentato le condotte provocatorie e manipolatorie del mese precedente e che
erano state interpretate come di natura psicotica e delirante dal dottor G7. Si può così comprendere
come mai il fono ministeriale, che ne dispone il trasferimento a San Vittore, non faccia alcun
6 Peraltro, proprio pochi mesi prima era stata istituita con deliberazione del Senato del 30 luglio 2008, una Commissione
Parlamentare di Inchiesta sull’Efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, presieduta dall’onorevole Ignazio
Marino, che ha redatto una relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari
presentata nella seduta n. 125 del 20 luglio 2011 in cui riporta valutazioni che erano alla conoscenza di tutti gli operatori
psichiatrici, in particolare di quelli che operavano in ambito carcerario:
“1. Assetto strutturale e condizioni igienico-sanitarie: gravi e inaccettabili sono le carenze strutturali e igienico-sanitarie
rilevate in tutti gli OPG, ad eccezione di quello di Castiglione delle Stiviere e, in parte, di quello di Napoli; tutti gli OPG
presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all’istituzione manicomiale, totalmente diverso da quello
riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani.
2. Assistenza socio-sanitaria (personale medico, infermieristico, riabilitativo, educativo, ausiliario e sociale): la
dotazione numerica del personale sanitario appare carente in tutti gli OPG visitati rispetto alle necessità clinico-
terapeutiche dei pazienti affidati a tali istituti; in particolare le competenze mediche specialistiche appaiono globalmente
insufficienti in tutti gli OPG rispetto ai numeri dei pazienti in carico, in relazione alla necessità di raggiungere sufficienti
prestazioni di finalità riabilitativa per ciascun degente sulla base di un progetto riabilitativo personalizzato. Analoga
considerazione può essere effettuata relativamente agli standard di personale infermieristico ed ausiliario.
3. Contenzioni fisiche ed ambientali: se, da un punto di vista giuridico, la coercizione o contenzione fisica in psichiatria
viene da taluni giustificata da una rigorosa interpretazione dello stato di necessità (articolo 54 del codice penale), le
modalità di attuazione osservate negli OPG lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive
della dignità della persona, sia per quanto attiene alle azioni meccaniche, sia talora per i presidi psicofarmacologici di
uso improprio rispetto alla finalità terapeutica degli stessi e alle norme AIFA di sicurezza d’uso. A ciò si aggiunge, in
alcune situazioni osservate, la mancanza di puntuale documentazione degli atti contenitivi, con conseguente impossibilità
materiale di controllo e verifica degli stessi.” 7 Per fare un’analogia con una patologia somatica e non psichica, è come se un paziente, ricoverato in un reparto di
Medicina, venisse valutato a rischio di infarto, con l’indicazione di effettuare al più presto un intervento di by-pass
coronarico in una Unità di Terapia Intensiva, e poi fosse lasciato a stazionare nel reparto di Medicina senza venire
sottoposto, non solo a nessuna valutazione cardiologica di monitoraggio delle sue condizioni cardiache, ma neppure a una
visita medica internistica di routine.
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riferimento ad uno stato di urgenza o di necessità basata su condizioni cliniche acute e lo destini
genericamente al CDT, ossia ad un Centro Diagnostico Terapeutico, senza specificare che dovesse
trattarsi del Conp, cioè del reparto psichiatrico.
In conclusione, si può ritenere che quando il dott. X sostiene l’aggravamento della patologia del
signor Campanale, sulla base di “verosimili aspetti psicotici, di fatto certificati in numerose
osservazioni specialistiche”, si affida sostanzialmente alle opinioni del dottor G in occasione di 3
visite - il 17 giugno, il 1 luglio e l’8 luglio – opinione che, come detto e come si vedrà infra, lo
scrivente ritiene di dover criticare, sia per l’assenza di alcuno degli elementi tipici dei disturbi
psicotici, sia per l’inquadrabilità delle condotte del sig. Campanale nell’ambito delle sue tipiche
finalità di ottenimento di attenzione e di accoglimento alle proprie richieste.
A questo proposito, il dott. Y, per corroborare la tesi dell’aggravamento psicotico di Campanale, fa
riferimento al decreto di rinvio a giudizio del GUP del 13/12/10, dove si afferma che “un ben evidente
stato psicotico persecutorio” sarebbe stato “certificato sia in data 17.6.09 dal dottor G sia in data
1.7.2009 dal dottor Js – psichiatri presso la Casa Circondariale di Pavia”. A pagina 8 della sua
relazione, peraltro, il dott. Y cita nuovamente i dottori G e Js, mentre durante l’udienza del 19
novembre ripete che a Pavia “… è stato visto dal dottor G e dall’altro collega che adesso non
ricordo”. Su questo punto bisogna precisare che in entrambe le date è stato sempre uno psichiatra
solo a redigere le note, il dottor G (cognome), il cui nome è J (non Js!).
Una volta appurato che è stato un solo psichiatra, il dottor J G, a rilevare questa grave condizione
psicotica, se esaminiamo attentamente i dati clinici obiettivi che lo inducono a formulare la diagnosi
di stato psicotico persecutorio, rileviamo che essi si riducono a una fenomenologia psicopatologica
molto scarna:
17 giugno: “Assume un atteggiamento sospettoso e riferisce che durante il transito e il ricovero in
infermeria ha sentito delle registrazioni che gli annunciano la morte del padre e poi del fratello”;
1 luglio: “molto sospettoso, ogni tanto volta lo sguardo come se forse sospettasse la presenza di
qualcuno nella stanza”, “tematiche persecutorie” imprecisate; “preferiva essere in allerta in
quanto si sente minacciato”;
8 luglio: “riferisce difficoltà a distinguere la realtà dalla non realtà e idee di referenza in quanto
ieri sera parlavano del suo caso alla RAI causandogli insonnia”.
Sulla base di questi dati psicopatologici, è quanto meno azzardato formulare una diagnosi di stato
psicotico persecutorio delirante, che avrebbe aggravato considerevolmente la patologia psichiatrica
di base da cui il Campanale era affetto, consistente in un Disturbo di Personalità forse di natura
organica.
A questo proposito si possono fare 2 osservazioni:
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1) la prima riguarda la natura delirante psicotica delle sue convinzioni; per delirio, infatti, si intende
una “Falsa convinzione basata su erronee deduzioni riguardanti la realtà esterna, che viene
fermamente sostenuta contrariamente a quanto tutti gli altri credono e a quanto costituisce prova
ovvia e incontrovertibile della verità del contrario” (DSM-IV).
Nel caso di un disturbo psicotico grave queste convinzioni sono sostenute in modo continuativo e
non si possono modificare neppure di fronte all’evidenza. Nel caso del signor Campanale, questi
fenomeni non solo sono sporadici e occasionali, ma sono anche criticabili e modificabili nel
momento in cui viene messo di fronte all’evidenza della loro infondatezza, rivelando che possiede
un buon esame di realtà e una capacità di critica incompatibile con una condizione psicotica;
l’esame di realtà e la capacità di critica sono attestati dallo stesso dottor G in 2 occasioni:
il 6 giugno annota: “Ribadisce che l'avvocato di fiducia lo ha tranquillizzato riferendogli che
la sua famiglia è sana e salva. Alla fine del colloquio si tranquillizza e sembra fiducioso.”
E il 17 giugno: “Si riesce a mettere in dubbio tali pattern di delusioni e il pz riesce a capire che
attualmente sta attraversando un episodio particolarmente difficoltoso dal punto di vista
psichico.”
Dunque, lo “slittamento psicotico” è durato poche ore e si è risolto con una banale contestazione
dell’infondatezza delle sue preoccupazioni in un colloquio di pochi minuti, come succede
comunemente a chiunque di noi si trovi in una situazione stressante, che alimenta pensieri negativi
e pessimistici, e aspetta soltanto che qualcuno interessato alla sua condizione lo rassicuri con
parole dettate dal buon senso.
Appare sorprendente anche la perentorietà con cui viene qualificato come “psicotico” e
“persecutorio” il mero comportamento di “voltarsi” o di “guardarsi alle spalle”, senza più
appropriatamente considerare che tali atteggiamenti costituiscono, da un lato, tratti tipici della
personalità del Campanale e della sua abituale sospettosità (già più volte espressa, in particolare,
nei confronti del personale della Polizia penitenziaria e dei concellini) e, dall’altro, manifestazioni
comuni nei soggetti sottoposti a regime carcerario (che tendono a sviluppare un comprensibile
sentimento di diffidenza).
2) La seconda osservazione riguarda la tesi sostenuta dal dott. X secondo cui i sintomi persecutori,
che egli qualifica impropriamente come deliranti e di natura psicotica, si siano manifestati solo
negli ultimi mesi di permanenza in carcere del signor Campanale, in particolare durante il
soggiorno a Pavia, determinando un aggravamento sostanziale della sua patologia psichica. Infatti,
egli sostiene che, poco prima del trasferimento a Pavia, si poteva rilevare “l'insorgenza di vaghi
disturbi dell'ideazione (sospettosità, interpretatività, sintomi persecutori), colluttazioni anche con
un agente, fino alla necessità del trasferimento presso il Carcere di Pavia.” Solo allora si
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manifesterebbe in tutta evidenza il quadro psicotico: “Le osservazioni specialistiche psichiatriche
di Pavia indicano poi con chiarezza una patologia in fase di riacutizzazione. I disturbi a carico
del pensiero, per quanto definiti talora “dubbi”, risultavano sempre più consistenti tanto da fare
concludere il dottor J G della Casa Circondariale di Pavia per un "ben evidente quadro psicotico
persecutorio".
La prima segnalazione di una ideazione persecutoria viene effettuata, tuttavia, già durante il primo
periodo di permanenza del sig. Campanale a San Vittore; in particolare:
il 20 aprile, in occasione di un colloquio psicologico: “si dice agitato perché i cancellini lo
avrebbero invitato ad andarsene per un fatto accaduto all'esterno di cui nega la veridicità. Si
volta spesso per guardarsi le spalle. Nel complesso adeguato. Possibile pensiero a sfondo
persecutorio, occorre monitoraggio per stabilire se si tratta di un fatto reale o patologico”.
Per questo motivo viene richiesta visita psichiatrica, effettuata 2 giorni dopo: "Il pz da diversi
giorni lamenta intolleranza alla permanenza in questo istituto e strumentalizza la sua
patologia, simulando i sintomi più strani al solo fine di ottenere cambi di ubicazione e
trasferimento in altro istituto. Al colloquio appare tranquillo ed adeguato. Tono dell'umore in
asse. Non sintomi psicotici. Lamenta insonnia. Si consiglia al pz di inoltrare domanda di
trasferimento in altro istituto.” Viene dunque esclusa la presenza di una condizione psicotica e
l’ideazione persecutoria viene qualificata come “sintomi strani” e attribuita a “simulazione” e
“intolleranza alla permanenza in carcere”.
Il 26 aprile manifesta ancora “crisi di rabbia e scompenso a sfondo persecutorio. Le sue
preoccupazioni sono focalizzate sull'incolumità dei familiari (in seguito ad un mancato
colloquio) e sulla sua sicurezza personale”.
Viene richiesta una nuova visita psichiatrica di controllo che ribadisce le stesse valutazioni
effettuate pochi giorni prima, escludendo qualunque patologia di natura psicotica e/o
depressiva e rilevando ancora la natura manipolatoria del suo comportamento e delle sue
lamentele: “Persiste il comportamento manipolatorio tipico della sua condizione
psicopatologica di base. Durante il colloquio continua a fare affermazioni che poi
successivamente ritratta, nel momento in cui si chiedono delucidazioni in merito e la fonte
di tali dichiarazioni. Non sintomi psicotici acuti in atto. Tono dell'umore in sufficiente
compenso. Comportamento bizzarro al solo fine di attirare l'attenzione”.
Il 13 maggio viene segnalato ancora dalla psicologa il comportamento di guardare dietro le
spalle: “appare agitato durante il colloquio si volta ripetutamente per guardare dietro le sue
spalle, riferisce di far fatica qui a starci dentro con la testa”. Ma la successiva visita
psichiatrica del 18 maggio smentisce la presenza di un quadro psicotico: “Quadro
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psicopatologico in sufficiente compenso. Si effettua colloquio di sostegno. Si conferma terapia
in corso”.
Il 22 maggio viene segnalata nuovamente la natura manipolatoria del suo comportamento
motivata dall’intolleranza all’ambiente carcerario: “Continua a lamentare i sintomi più strani
per attirare l'attenzione e chiede di poter andare in ospedale. Atteggiamento infantile e
immaturo. Lamenta intolleranza all'attuale ubicazione e non tollera sorveglianza a vista.
Assume con regolarità la terapia psichiatrica”.
Anche il 26 maggio, il giorno dopo il presunto tentativo di impiccamento, la psichiatra
sottolinea la natura bizzarra e manipolatoria delle sue condotte ed esclude la presenza di sintomi
psicotici e rileva la critica nei confronti del gesto del giorno precedente, escludendo
implicitamente la presenza di una intenzionalità suicidaria: “Il pz continua a manifestare gesti
bizzarri al solo scopo di attirare l'attenzione. Infatti all'esame psichico appare lucido ed
orientato. Non si evidenziano sintomi psicotici. Con la scrivente ha sempre mantenuto un
comportamento adeguato. Critico nei confronti dell'episodio di ieri, relativo all'ambiente
carcerario e soprattutto alle regole della struttura. Tono dell'umore in asse. Regolare riposo
notturno. Quadro psichico in sufficiente compenso pur in presenza degli aspetti tipici della
condizione psicopatologica di base (atteggiamento immaturo, platealità da insicurezza e
fragilità personologica).” Questa valutazione è confermata da una relazione redatta il giorno
successivo, il 27 maggio, in cui si evidenzia “riacutizzazione della sintomatologia ansiosa, note
disforiche e bizzarrie del comportamento, in virtù della difficoltà da parte del pz a tollerare le
sollecitazioni ambientali. Emergono aspetti megalomanici rispetto alla sua capacità di
controllare il suo comportamento. Non emergono disturbi della forma e del contenuto del
pensiero. Tendenza a strumentalizzare la sua patologia psichiatrica al fine di attirare
l'attenzione. Assume regolarmente la terapia psicofarmacologia consigliata”.
Come si può rilevare da queste valutazioni cliniche, già durante la permanenza a San Vittore gli
stessi sintomi e comportamenti descritti a Pavia sono stati segnalati in 6 occasioni, con una
frequenza superiore alle 3 in cui il dottor G li ha rilevati, e con le stesse caratteristiche: “guardarsi
alle spalle”, “pensiero a sfondo persecutorio”, “preoccupazioni sull’incolumità dei familiari”,
“far fatica a starci dentro con la testa”, “comportamento bizzarro” e “affermazioni strane”, che
poi “ritratta quando gli si chiedono spiegazioni e la fonte da cui provengono”.
Questi sintomi e comportamenti vengono dunque rilevati e valutati già allora, prima del
trasferimento a Pavia, ma collocati giustamente nel contesto del Disturbo di Personalità del
signor Campanale, come manifestazioni cliniche non di natura psicotica, ma del tutto
compatibili con il suo disturbo, di natura occasionale e strettamente correlati alla sua
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reattività all’ambiente carcerario, finalizzati a segnalare la propria condizione di sofferenza
per ottenere agevolazioni e mutamenti della sua collocazione in quell’ambiente verso il quale
era intollerante.
2. Valutazione del rischio suicidario del signor Campanale
Su questo specifico punto, occorre sin da subito premettere che, sulla base dell’analisi della
documentazione presente agli atti, non emerge nel paziente Luca Campanale alcun rischio suicidario
specifico, rispetto a quello che caratterizza un soggetto sottoposto al regime carcerario: non solo,
infatti, il paziente ha sempre negato pensieri anticonservativi, ma gli episodi critici che sembrano
nella ricostruzione dell’Accusa rappresentare dei tentativi di suicidio (il presunto tentativo di
impiccagione del 25 Maggio 2009 e la presunta ingestione della lametta del 28 Giugno) si inquadrano
in uno specifico atteggiamento finalistico antitetico alla prospettiva dell’autosoppressione e proiettato
all’ottenimento di una condizione diversa da quella vissuta; tutti i gesti autolesivi posti in essere dal
Campanale strutturano una richiesta posta in essere con modalità fortemente provocatorie nell’ambito
di un quadro precisamente deterministico, finalizzato al raggiungimento di uno scopo preciso.
In linea generale, il suicidio è un comportamento violento nei confronti di se stessi, così come
l’omicidio è un comportamento violento nei confronti degli altri; ma entrambi non sono definibili
“malattie” in senso stretto, anche se possono essere la conseguenza diretta e prevedibile di disturbi
mentali specifici. E’ un evento drammatico ma immanente alla condizione di debolezza e impotenza
dell’essere umano, nel momento in cui la progettualità e il finalismo tipici della “vita” vengono
cancellati dall’idea della “fine” e dell’inutilità di ogni cosa e di ogni prospettiva: si tratta di uno stato
correlato ad una grande varietà di eventi, quali la perdita (di un famigliare, un amico, il posto di
lavoro, ma anche del prestigio e dell’onorabilità personale), e la colpa (reati di varia natura, ma anche
insuccessi e fallimenti nel proprio percorso esistenziale non necessariamente attribuibili a una
responsabilità personale).
Vi sono alcune patologie psichiatriche nelle quali il rischio suicidario è più specifico, in quanto
espressione diretta del tipo di sintomatologia, per cui si può stabilire un nesso di causalità diretta tra
questa e l’atto suicidario. Questo è il caso, soprattutto dei Disturbi Depressivi, in particolare di quelli
gravi, cosiddetti psicotici, come il Disturbo Depressivo Maggiore. Consideriamo alcuni sintomi di
questa condizione, descritti dal DSM-IV, quali: marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte,
o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno; sentimenti di
autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno
(non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato); pensieri ricorrenti di
morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un
tentativo di suicidio, o l'ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.
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Tutti questi sintomi non devono essere sporadici e limitati nel tempo, ma persistere in modo
continuativo per almeno 15 giorni, nel quadro stabile e inequivocabile, lo si sottolinea, di una
condizione depressiva profonda: si rappresenta sin da subito che il sig. Campanale, oltre a non aver
mai rappresentato in termini significativi alcuno dei sintomi sopra indicati, oltre a non essere
certamente un paziente depresso, esprimeva una condizione caratterizzata dalla specifica e fattiva
progettualità di uscire da un determinato contesto nella tensione di raggiungere un contesto differente.
Campanale esprime un disegno costruttivo, pur utilizzando come strumento di costruzione la
provocazione e l’autolesione, senza aver mai dato conto della benché minima proiezione
all’autoannullamento.
Se ci immedesimiamo in una persona che ogni giorno porta il peso di questa sofferenza, possiamo
comprendere come il rischio di porre fine alla propria vita sia elevatissimo. In questi casi, quindi, il
rischio di suicidio è specifico, collegato da un nesso di causalità evidente con i sintomi, e quindi
prevedibile ex-ante, per cui sono richiesti interventi sanitari tempestivi, che possono includere anche
l’ospedalizzazione se le terapie farmacologiche sono inefficaci e/o se il paziente non vuole assumerle.
La gravità del rischio in queste condizioni è confermata da innumerevoli dati della letteratura, che
indicano come il rischio suicidario specifico associato a disturbi affettivi sia da 12 a 20 volte più alto
che nella popolazione generale; che fino al 15% degli individui con un Disturbo Depressivo Maggiore
grave muore per suicidio; che i disturbi depressivi dell’umore con caratteristiche psicotiche possono
comportare un rischio di suicidio 5 volte maggiore delle forme non psicotiche.
Anche nel caso dei Disturbi Depressivi di qualunque natura, psicotica o non psicotica (diversi dal
Disturbo Depressivo Maggiore), il rischio di suicidio è molto elevato, e prevedibile ex ante,
soprattutto nel caso siano presenti sia pensieri ricorrenti di morte sia una ideazione suicidaria
persistente. Per cercare di cogliere i segni di questo rischio e prevenirlo, alcuni hanno proposto di
considerare la qualità dell’ideazione suicidaria che si presume preceda e accompagni sempre l’atto,
individuando una scala di gravità crescente:
1. Desiderio di porre fine alla situazione attuale senza reale intenzionalità né progettualità auto lesive;
2. Desiderio di non svegliarsi più al mattino o di essere investiti per strada da un grosso camion,
senza reale progettualità auto lesiva;
3. Presenza di pensieri suicidari senza reale intenzionalità né progettualità. La persona non farebbe
mai una cosa del genere;
4. Pensiero di assumere quantità eccessive di farmaci o di tagliarsi le vene dei polsi per porre fine
alla propria condizione dolorosa; manca la reale intenzionalità di morire, ma questi pensieri
ricorrono;
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5. Ideazione suicidaria concreta, come sedersi in auto con il motore acceso dentro il garage e aspettare
che l'ambiente sia completamente saturo di gas oppure progettare azioni più violente quali un
incidente con la macchina, l'impiccamento, un colpo d'arma da fuoco.
Nel caso del signor Campanale non si rileva, lo si ribadisce, dalla sua storia clinica e da tutta la
documentazione presente agli atti, nessun rischio suicidario specifico, né tantomeno la condizione
nell’ambito della quale tale rischio si potesse sviluppare. Non è mai stata formulata nessuna diagnosi
di un Disturbo Depressivo, non solo Maggiore, ma anche minore o lieve. La diagnosi di Disturbo
della Personalità, che sia Organico, Borderline, Antisociale o Misto, non comporta un aumento
significativo di rischio di suicidio rispetto a tutti i Disturbi mentali più comuni, inclusi quelli più lievi,
di natura nevrotica o reattiva a condizioni di vita traumatiche e/o stressanti.
Tanto meno sussiste un fattore di rischio suicidario in una condizione clinica caratterizzata da
ideazione delirante di tipo persecutorio; il dottor X non parla mai esplicitamente di Disturbo Delirante
nel caso del signor Campanale, ma riporta in più occasioni la comparsa di ideazione persecutoria,
genericamente qualificata come psicotica, come unico dato psicopatologico rilevante che ha
determinato l’aggravamento del quadro clinico; egli lascia intendere che fosse da prendere in attenta
considerazione ai fini della valutazione del rischio suicidario, accanto alla frequenza di gesti
autolesivi, che peraltro non hanno nulla a che fare con il Disturbo Delirante Persecutorio.
Peraltro, dalla descrizione contenuta nel DSM IV8, emerge molto chiaramente che il Disturbo
Delirante Persecutorio non comporta alcun rischio suicidario, che non viene infatti segnalato dal
DSM-IV, il quale evidenzia rischi di tutt’altro genere: “Le convinzioni deliranti del Disturbo
Delirante possono comportare problemi sociali, coniugali o lavorativi. Specialmente con i Tipi di
Persecuzione e di Gelosia, si possono manifestare stati di rabbia intensa e comportamenti violenti”,
che non hanno una finalità anticonservativa ma, all’opposto, autoprotettiva, mirante a tutelare e
difendere i propri diritti, che si ritiene siano stati violati e calpestati.
Comunque, nel caso del signor Campanale, non solo non viene mai formulata una diagnosi di
Disturbo Delirante Persecutorio, ma in tutte le note cliniche è sempre rilevato un tono dell’umore in
asse, ossia con assenza di sintomatologia depressiva, ed è anche spesso esplicitamente esclusa la
presenza di una intenzionalità suicidaria, che quindi era stata indagata allo scopo di farla emergere
8 Il DSM-IV descrive così il Disturbo Delirante Persecutorio, un tempo definito anche Paranoia o Disturbo Paranoico
(termine che è rimasto nel linguaggio comune per indicare chiunque, non necessariamente malato, sia diffidente e/o
sospettoso): “il tema centrale del delirio riguarda la convinzione della persona di essere vittima di una cospirazione, o di
essere ingannato, spiato, seguito, avvelenato o drogato, calunniato con malizia, molestato, o ostacolato nel perseguimento
di progetti a lungo termine. Piccoli sgarbi possono venire esagerati, e diventare il punto di partenza di un sistema delirante.
Il nucleo delirante è spesso rappresentato da presunte ingiustizie che debbono essere riparate a mezzo di azioni legali
("paranoia querula"), e il soggetto disturbato spesso si impegna in ripetuti tentativi di ottenere soddisfazione appellandosi
alla magistratura e ad altre agenzie governative. I soggetti con deliri di persecuzione sono spesso pieni di risentimento e
di collera e possono ricorrere alla violenza verso coloro che essi ritengono i propri persecutori.”
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per adottare provvedimenti adeguati; in Campanale, all’opposto, emerge e si impone, anche attraverso
la realizzazione di gesti autolesivi, una modalità di azione specificamente finalistica rispetto
all’ottenimento di una condizione fortemente desiderata; condizione, lo si ribadisce, antitetica
all’autoeliminazione.
Questa evidenza emerge da tutta la documentazione sanitaria agli atti e riportata dal dott. X, sia a San
Vittore sia nel carcere di Pavia, fino al suo ritorno nel carcere di San Vittore, quando il rischio
suicidario viene valutato come “basso”9.
9 Si riportano di seguito le valutazioni in proposito rinvenibili nella cartella clinica del paziente Campanale:
a) San Vittore
14/10/08: “All'obiettività il paziente si presenta congruo nell'umore che appare in asse, non emergono screzi
nell'ideazione e/o nella percezione” (dott. Borghi)
28/10/08: “Al colloquio odierno non emergono disturbi della forma né del contenuto del pensiero. Il tono
dell'umore è sostanzialmente in asse.” (dr.ssa N) Questa valutazione è congruente con quella effettuata dal dottor
Urbano in occasione della visita per la CTU, il giorno successivo, 29 ottobre, segnalando, a proposito dell’umore
«aspetti disforici e di irritabilità (peraltro progressivamente sempre meglio controllati dalla terapia in atto).
Emerge però a tratti la sua tristezza e i suoi sentimenti di dispiacere per quello che è accaduto.» Non rileva dunque
nessuna sintomatologia francamente depressiva, ma solo uno stato di malumore compatibile con la condizione
carceraria e la comparsa a tratti di un sentimento come la tristezza, che è tutt’altra cosa rispetto alla depressione,
rivelando anzi una consapevolezza delle conseguenze spiacevoli delle sue condotte antisociali e di abuso di
sostanze, rispetto alle quali esprime un sentimento di dispiacere.
2/3/09: “Tono dell'umore in asse.” (Dr.ssa C)
20/3/09: “Non emergono disturbi della forma né del contenuto del pensiero. Il tono dell'umore è sostanzialmente
in asse.” (Dr.ssa N)
22/4/09: “Al colloquio appare tranquillo ed adeguato. Tono dell'umore in asse. Non sintomi psicotici.” (Dr.ssa
C)
27/4/09: “Non sintomi psicotici acuti in atto. Tono dell'umore in sufficiente compenso. Comportamento bizzarro
al solo fine di attirare l'attenzione.” (Dr.ssa C)
26/5/09: “Ribadisce che non ha alcuna intenzione di suicidarsi. Tono dell'umore in asse.” (Dr.ssa C): questa
nota è stata redatta dopo una visita richiesta per il supposto tentativo di impiccamento del giorno precedente.
Data imprecisata tra il 27 e il 30 maggio, poco prima di essere trasferito nel carcere di Pavia: "Giunge in PS per
stato depressivo. Ferita da taglio al polso e medicazione a piatto. Riferisce di non aver più voglia di vivere. Già
ubicato in cella a rischio. Visita psichiatrica con precedenza (non datata)” Questa è l’unica nota di diario che
accenna a uno stato depressivo, ma la visita non è stata effettuata da uno psichiatra, ma dal medico del PS; questi
non può evidentemente, in un contesto sanitario di urgenza, effettuare una valutazione diagnostica complessa come
quella di Episodio Depressivo Maggiore, la quale richiede, come rilevato prima, una osservazione approfondita
del quadro psichico e comportamentale continuativa e prolungata nel tempo.
b) Carcere di Pavia
1/6/09: “Riferisce atti autolesionistici e nega intenti suicidari.” (Nota di accettazione)
6/6/09: “Tono dell'umore in asse senza evidenza di acuzie psichiatriche … Nega in modo assoluto pensieri
autolesionisti anticonservativi.” (Dott. G)
17/6/09: “Nega al momento del colloquio pensieri autolesionistici anticonservativi e promette di chiedere un
aiuto farmacologico in caso che si accentuerà un impulso autolesionistico.” (Dott. G)
22/6/09: “Nega pensieri autolesionistici anticonservativi.” (Dott. G)
28/6/09: “Al colloquio vigile, lucido, eloquio fluente, umore in asse, non quote d'ansia” (Dr.ssa Arzani, Policlinico
di Pavia)
1/7/09: “Nega al momento della visita pensieri autolesionisti anticonservativi” (Dott. G)
8/7/09: “Nega al momento della visita pensieri autolesionisti anticonservativi.” (Dott. G)
c) Carcere di San Vittore 30/7/09: “solo a fini precauzionali per il precedente del 25/05 si ubica il D. in CAR basso rischio fino a valutazione
pesichiatrica per diversa ubicazione” (Dott. Vianini).
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Anche i racconti del padre del sig. Campanale delineano episodi contingenti solo apparentemente tesi
al suicidio, ma in realtà finalizzati alla manipolazione, con l’intento di ottenere un esito per lui
vantaggioso, ben diverso quindi dall’autosoppressione.
Il racconto del tentativo di buttarsi da un dirupo - con l’unico esito di qualche escoriazione e senza
alcuna documentazione sanitaria che ne descriva né le condizioni psichiche in cui si verificò, né le
conseguenze fisiche - rappresenta con ogni evidenza un maldestro approccio manipolatorio e
induttivo, che si può difficilmente interpretare al di fuori del contesto di dinamiche familiari, delle
quali non disponiamo di una documentazione obiettiva e attendibile.
Infatti, se Luca Campanale avesse veramente voluto suicidarsi buttandosi nel vuoto, avrebbe avuto,
in montagna così come in qualsiasi altro luogo, un infinito ventaglio di possibilità, tutte caratterizzate
dalla garanzia dell’esito letale.
Nello stesso alveo si pone l’episodio del taglio autoinferto con il coltello da cucina, sempre nel
contesto di una specifica finalità dimostrativa: sul punto, a conferma della finalità meramente
manipolatoria e non autosoppressiva del gesto autolesivo, si consideri che tale episodio non ha
comportato conseguenze rilevanti a livello fisico, tanto che - come ha ricordato anche suo padre - il
Campanale è stato ricoverato nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Menaggio e non in quello di
Medicina o Chirurgia10.
Tutti questi episodi si configurano, quindi, come manifestazioni, non di un rischio suicidario, ma di
una problematica relativa alla gestione della impulsività, che sarà analizzata nel paragrafo successivo.
Tornando ora alla relazione del dott. Y, si osserva che egli, all’opposto, dà una prospettiva totalmente
avulsa dal concreto quadro reale, e per evidenziare la presenza nel signor Campanale di un rischio
suicidario, fa appello ad una Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 30/12/1987: “Tutela
della vita e della incolumità fisica e psichica dei detenuti e degli internati. Istituzione e
organizzazione del servizio nuovi giunti”, che riporta in allegato una lista di “Fattori di rischio suicida
in ambiente carcerario”. Va premesso che questa lista include esclusivamente fattori di rischio
generici, cui accennavo prima, il cui scopo è quello di sensibilizzare gli agenti di custodia ad un
monitoraggio più attento di quei detenuti che, per queste condizioni di potenziale instabilità emotiva
e/o comportamentale, risultano più vulnerabili all’ambiente carcerario; non viene detto che possa
essere utilizzata per individuare i detenuti da collocare in una cella a rischio e, tanto meno, da
sottoporre ad un regime di sorveglianza a vista o ricoverati in un CONP o in un OPG. Inoltre, se
leggiamo questi indicatori, vediamo che non sono valutabili mediante punteggi netti del tipo Sì/No,
ma mediante una scala di tipo Likert, che prevede opzioni di risposta graduate da un estremo all’altro,
tipo: no, qualche volta, spesso, sempre, ecc., che lasciano ampio spazio a criteri soggettivi, basati sul
10 Cfr. trascr. ud. 19.11.2013, pp. 30-31.
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grado e sul livello di comprensione del soggetto da valutare. Non si ritiene affatto di concordare con
il dottor Y circa la presenza di almeno 10 indicatori su 11 nel signor Campanale. Esaminiamo i cluster
B) e C), dal momento che il cluster A) viene evidentemente ritenuto non rilevante dallo stesso dott.
Y, che non lo prende in considerazione.
B) Aspetti di personalità
1) “Aggressività: Soggetti violenti oppure con un elevato livello di ostilità verso gli altri, è da
verificare bene la direzione dell’aggressività, la quale solo apparentemente potrebbe essere del tipo
eterodiretta”.
Come discusso in precedenza, il signor Campanale ha manifestato a partire dalla sua adolescenza,
soprattutto in relazione a condotte di abuso di sostanze, una aggressività rilevante, che si è sempre
diretta prevalentemente verso gli altri, rivolgendosi verso la propria persona solo al fine di ottenere
dei vantaggi o dei benefici.
2) “Egocentrismo: Attirare l’attenzione su di sé richiedendo continuo aiuto medico o psicologico;
possibilità di azioni dimostrative, più che letali”.
E’ indubbio che il signor Campanale abbia messo in atto più di una azione dimostrativa, ma non
risulta che abbia mai richiesto continuo aiuto medico o psicologico, dal momento che quasi tutti
gli interventi sanitari sono stati disposti per iniziativa di altri, e non su sua richiesta.
3) “Recidività: La coazione a ripetere il tentativo di suicidio è molto forte, occorre valutare quante
volte, quando e con quali mezzi ha tentato il suicidio per comprenderne la determinazione.”
Come osservato prima, non risulta che il signor Campanale abbia mai attuato un tentativo di
suicidio.
4) “Dipendenza: L’autonomia del soggetto dalle altre persone può essere misurata in termini di
dipendenza-indipendenza”.
L’autonomia del signor Campanale non è mai stata messa in discussione: la Commissione di
Invalidità Civile ha riconosciuto una invalidità parziale del 75%, con possibilità di svolgere
un’attività lavorativa; il CTU Z ha riconosciuto solo una parziale incapacità di intendere e volere
e l’opportunità di un Amministratore di Sostegno, non di un tutore.
5) “Disturbi: La presenza di chiari disturbi psichici, idee persecutorie, angosce, fobie, ecc.”
Non si può negare che il signor Campanale abbia presentato idee persecutorie, ma con le
caratteristiche prima evidenziate, ossia di reattività all’ambiente carcerario e non di ideazione
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delirante di natura chiaramente psicotica; quanto all’angoscia non si può che ritenerla una
manifestazione del tutto prevedibile e comprensibile in una persona detenuta in carcere11.
C) Aspetti affettivi
1) “Sviluppo: Perdita di uno o entrambe le figure genitoriali entro i 16 anni di età”.
Questo dato è del tutto assente nel caso del sig. Campanale.
2) “Contatti: Situazioni di isolamento sociale, di abbandono della relazione da parte di figure
significative”.
Nel caso del sig. Campanale, va dato atto e riconosciuto con rispetto e ammirazione che i familiari
hanno continuato a occuparsi di lui e a garantirgli il loro sostegno, nonostante tutti i problemi che
ha causato loro con il suo comportamento, fino all’ultimo momento della sua vita, andando a
visitarlo in carcere il giorno stesso del suo suicidio.
3) “Stile di vita: Alcoolista, tossicodipendente associati ad un elevato livello di aggressività”.
L’alcoolismo e la tossicodipendenza sono dati anamnestici del signor Campanale e, in effetti, quasi
tutti i comportamenti antisociali sono stati attuati in uno stato di intossicazione da sostanze, ma,
nel momento in cui è stato collocato in carcere (e cioè sin da 9 mesi prima del tragico evento),
queste problematiche non erano più pertinenti, a causa di una impossibilità materiale di metterle
in atto.
4) “Emotività: I soggetti fortemente emotivi possono compiere in maniera impulsiva un atto suicida,
senza nessun preavviso”.
E’ difficile valutare che cosa si intenda per emotività e stabilire se questa condizione si applichi al
signor Campanale in misura significativamente superiore a quella riscontrabile in persone
assolutamente “normali”.
5) “Depressione: Gli stati depressivi, anche lievi e misti a stati ansiosi, costituiscono la base di molti
suicidi o di tentativi di suicidio”.
Il tema della depressione è stato discusso in precedenza, evidenziando come nessuno, nemmeno il
dott. X abbia rinvenuto la presenza nel signor Campanale di uno stato depressivo clinicamente
significativo, che vada oltre la soglia di quella presenza di momenti depressivi che possono essere
riconosciuti a chiunque di noi in condizioni stressanti o sfavorevoli.
6) “Comunicazioni di intenti: Ogni comunicazione, verbale o scritta, sull’intenzione di togliersi la
vita, va presa in assoluta e seria considerazione”.
11 Basti pensare che c’è chi, assolutamente sano e in pieno possesso delle sue capacità mentali, dichiara di non riuscire a
dormire per molte notti di fila al solo pensiero di poter essere rinchiuso in un carcere o costretto ad una limitazione della
sua libertà personale.
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Non risulta una comunicazione scritta di intenzionalità suicidaria da parte del signor Campanale,
mentre quelle verbali sono state formulate –come attestato da quasi tutti gli specialisti che lo hanno
visitato nel corso della sua permanenza in carcere- con modalità prevalentemente manipolatoria e
finalizzata all’ottenimento di vantaggi e benefici secondari, peraltro del tutto leciti e comprensibile
nella sua condizione di detenuto.
In conclusione, anche facendo riferimento a questa lista di indicatori del tutto generici e aspecifici, si
può concludere che il signor Campanale non abbia mai presentato un rischio suicidario serio e
attendibile, riconoscibile sulla base di indicatori specifici e affidabili.
3. Valutazione delle condotte autolesive del signor Campanale
Se si può sostenere che nella lunga storia clinica del signor Campanale il rischio suicidario sia
pressoché assente, in forma sia di ideazione suicidaria sia di gesti aventi carattere suicidario, la messa
in atto di condotte autolesive presenta una connotazione di tipo finalistico, tesa ad ottenere
l’accoglimento delle proprie richieste, volte prevalentemente a superare l’ubicazione in cui egli si
trovava: l’analisi di tali condotte richiede un’attenta valutazione sia rispetto alla loro comparsa sia
rispetto alla loro evoluzione temporale e dimostra come ogni gesto autolesivo posto in essere dal
sig. Campanale si caratterizzi come una richiesta di accoglimento delle proprie pretese.
La documentazione clinica disponibile evidenzia fin dall’inizio principalmente tratti spiccati di
aggressività, prevalentemente diretta verso gli altri, che vengono correlati sia alle sequele del trauma
cranico sia alle condotte di abuso e dipendenza da sostanze.
a) L’ambulatorio di rieducazione neuromotoria, dell'ospedale di Garbagnate Milanese) segnala:
12/2/99: “Domina ancora atteggiamento precipitoso, impulsivo e talvolta disinibito”.
15/7/99: “sul versante comportamentale si può rilevare una certa impulsività, disinibizione e
precipitosità particolarmente accentuati nei momenti di stanchezza psico-fisica”.
20/02/01: “completamente reintegrato sul versante motorio, permangono i disturbi
comportamentali con note di aggressività in aumento. Permane importante l'ipocritica.”
b) I test psicologici effettuati presso il servizio di neuroriabilitazione della "Nostra Famiglia" di
Bosisio in data 22/05/2001 evidenziano "livelli di ansia e di depressione sopra ai limiti di norma",
oltre a "rabbia, ostilità ed uno stile comportamentale di tipo anassertivo-aggressivo".
c) Il reparto di psichiatria dell'Ospedale di Menaggio, dove il paziente è stato ricoverato dal12/7/02
al 19/7/02 in regime di TSO per episodio di agitazione psicomotoria riporta che “si è mostrato
gravemente minaccioso, eteroaggressivo e si è inferto un taglio a livello addominale tramite un
coltello”. E’ la prima volta che viene segnalato un gesto auto lesivo, ma viene ancora posto
l’accento sull’impulsività e sull’aggressività etero diretta: “impulsivo, passa facilmente
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all'aggressione fisica”. Tuttavia, il gesto autolesivo si era verificato in uno stato di intossicazione
da sostanze: “Lo screening per le droghe d'abuso evidenziava positività per THC”. Emerge inoltre
che il gesto auto lesivo era stato attuato “in seguito ad un contrasto con la madre che lo aveva
rimproverato”. Come ricordato, il Campanale non si è autoinferto ferite gravi (tanto che, infatti, è
stato ricoverato nel reparto di psichiatria), segno evidente che le sue finalità erano di tipo
dimostrativo e manipolatorio e non anticonservativo.
d) Nel 2004 il SERT, presso il quale era seguito per l’abuso di sostanze stupefacenti, segnalava:
“negli ultimi quindici giorni la situazione è peggiorata quanto ad anomalie del comportamento
(richieste continue di denaro ed aggressività in ambito familiare)”.
e) Il 20/1/05 viene dimesso dalla Comunità CUFRAD, nella quale era stato inserito per le anomalie
comportamentali segnalate dal SERT e dal CPS di Cinisello Balsamo, con la seguente
motivazione: “anomalie del comportamento (un furto all'interno della stessa insieme ad altri due
ospiti)”.
f) Anche il ricovero presso il reparto di psichiatria dell'ospedale Bassini dal 18/5/07 al 25/5/07 è stato
determinato da aggressività correlata ad una condizione di intossicazione acuta da alcol: “condotto
in P.S. dalla Forza Pubblica per agitazione psicomotoria e agiti pantoclastici. Non accetta il
ricovero. Si contiene. Si ricovera in TSO. Al colloquio praticamente incontattabile per
atteggiamento fatuo e ostile. Ammette di avere bevuto e di fare uso di s.s. Diagnosi: agitazione
psicomotoria in etilismo acuto”.
g) Nel 2008 viene inserito per qualche mese nella Comunità Gulliver, che segnala “frequenti
atteggiamenti polemici, incostante adesione alle cure, scarsa tolleranza alle frustrazioni e
necessità di supporto relazionale da parte degli operatori.”
Poco dopo commette quel reato, che ho descritto in precedenza e che lo conduce a San Vittore il
13/10/2008.
Come si può rilevare, dunque, durante questa lunga storia clinica, iniziata circa 10 anni prima
dell’arresto e che lo aveva condotto all’osservazione da parte di un gran numero di servizi psichiatrici,
sia ospedalieri sia ambulatoriali, e di strutture comunitarie riabilitative e rieducative, focalizzate
soprattutto sul problema della dipendenza da sostanze, emergono principalmente condotte etero
aggressive importanti e frequenti, con un solo gesto autolesionistico, avvenuto in quelle circostanze
particolari che ho descritto.
Questo dato è pienamente compatibile con la diagnosi di Modificazione della personalità dovuta alle
sequele del trauma cranico, che ha prodotto alterazioni cognitive sia pure modeste, che alimentavano
una rilevante aggressività etero diretta, sostenuta sia dal deficit delle funzioni critiche sia dall’abuso
e dalla dipendenza da sostanze. L’aggressività e la violenza etero diretta potevano tramutarsi in
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condotte auto lesive in situazioni stressanti e di conflitto con l’ambiente circostante, come si era
verificato nell’episodio del 2002 in cui si è inferto un taglio a livello addominale in seguito ad un
diverbio con la madre.
L’ambiente carcerario è notoriamente un contesto molto stressante, un terreno propizio per
l’instaurarsi di relazioni conflittuali intense e anche violente, sia tra i detenuti, sia con le guardie
carcerarie, ma in particolare, per Campanale, rappresenta un contesto che sollecita la sua modalità
manipolatoria strutturata sulla premessa del ricatto e dell’induzione. E’ quindi comprensibile che le
condotte auto lesive compaiano, nella storia del signor Campanale, solo a partire dalla sua
collocazione in carcere a San Vittore, dove si manifestano peraltro dopo parecchi mesi di detenzione,
durante i quali vengono segnalati sporadici episodi di ansia e di rabbia, ma senza agiti
comportamentali.
a) Il 3 maggio 2009 – dopo circa 6 mesi e mezzo di detenzione - si verifica un episodio di aggressione
fisica verso una guardia carceraria, che pare correlato ad una condizione di malessere, che
determina una irrequietezza che il paziente fa fatica a controllare, ma della quale è consapevole e
che riesce a criticare, mostrando anche la capacità di provare sentimenti di colpa per la sua
condotta: “Critico nei confronti dell'episodio. Riferisce che da diversi giorni è molto irrequieto e
non riesce a controllare la sua impulsività. Appare ansioso”, “Esprime sensi di colpa per
l'episodio di aggressività fisica nei confronti dell'agente di pp.”. Contemporaneamente vengono
segnalate difficoltà di adattamento all’ambiente carcerario, che in precedenza non erano mai
apparse: “Appare con grossa difficoltà d'adattamento col reparto attuale. Lamenta l'attuale
ubicazione”.
b) Il 21/5/2009 si verifica il primo gesto auto lesivo del Campanale: “Giunge in PS per stato
depressivo. Ferita da taglio superficiale polso sx. Medicazione a piatto. Riferisce di non aver più
voglia di vivere. Già ubicato in cella rischio. Visita psichiatrica con precedenza”.
c) Il 22/5/09 viene confermata l’intolleranza all’ambiente, ma anche al regime di sorveglianza a vista
al quale era stato sottoposto: “Lamenta intolleranza all'attuale ubicazione e non tollera
sorveglianza a vista.”
d) Il 25/5/09 si verifica l’episodio riportato in cartella clinica come tentativo di impiccamento, ma in
realtà descritto dall’agente che lo ha osservato direttamente come ripetuti graffi realizzati con una
penna biro, su cui ci si è soffermati ampiamente in precedenza.
e) Il 30 maggio, cioè pochi giorni prima del trasferimento nel carcere di Pavia, viene descritto un
altro gesto autolesivo: “Pz giunge in PS per autolesionismo, lieve taglio della pelle del collo.
Medicazione, riferisce stasera di aver rifiutato terapia con Valium e Rivotril, solo assunto
Neurontin, si sveglia ansioso e dice di aver sognato che i genitori sono morti”.
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f) Le condotte autolesive, comparse per la prima volta a San Vittore due giorni prima del
trasferimento nel carcere di Pavia, continuano una settimana circa dopo la collocazione nel nuovo
contesto: sono 3 episodi di tagli alle braccia e al collo nell’arco di 8 giorni, per i quali in una sola
occasione gli sono stati applicati punti di sutura.
7/6/09: "Visita richiesta dalla sorveglianza per riferito gesto autolesionistico. EO presenza di
tagli semiprofondi bilaterali agli avambracci e laterocervicali bilaterali superficiali, si
applicano 11 punti di sutura a seta, medicazione a giorni alterni rimozione punti tra otto
giorni”.
8/06/09: "Visita medica richiesta dalla sorveglianza per atto autolesionistico; si è provocato
ferite da taglio al collo non degne di sutura".
15/06/09: "Atto autolesionistico; il detenuto si provoca ferite lacero sull’avambraccio dx e sul
sn (anche se di minore entità) e sul collo, vengono disinfettate e medicate".
g) Dal 15 giugno fino al ritorno del sig. Campanale presso il carcere di San Vittore il 30 luglio, ossia
per 45 giorni non si segnalano altri gesti autolesivi, tranne l’episodio del 28 giugno della presunta
ingestione di una lametta (mai rinvenuta nel corso degli esami RX eseguiti nell’immediatezza del
fatto), che lo ha condotto al PS del Policlinico di Pavia; qui non si è trovata alcuna traccia della
lametta, testimoniando la natura provocatoria e dimostrativa della sua minaccia, confermata dalla
vigilanza che segnala “Il detenuto si presenta agitato e polemico” e ribadita dalla consulente
psichiatra del PS: “atteggiamento manipolatorio con finalità secondarie, ricercando benefici
secondari, accenna a voler essere spostato di struttura in accordo con il proprio avvocato.”
h) Sempre durante il periodo di detenzione a Pavia, il paziente manifesta ulteriormente i suoi
atteggiamenti ricattatori, richiedendo, il 10 luglio “… con insistenza di essere dimesso e di essere
ubicato in cella singola, minacciando rappresaglie” e, ottenuto l’accoglimento delle sue richieste,
cessa di porre in essere qualunque condotta dimostrativa, tanto che non viene ritenuto necessario
neppure richiedere una visita psichiatrica di controllo12;
i) Dopo questa lunga parentesi di tranquillità dal punto di vista dei gesti autolesivi, questi si
ripresentano 2 giorni dopo il rientro a San Vittore:
2/08/09: alle ore 1 e 20 giungeva in P.S. per "ferita da taglio superficiale e profonde
avambraccio dx… si autolesionava al braccio dx tagliandosi con un coltello di plastica ...
riferiva di aver problemi personali e familiari che lo hanno indotto a compiere tale gesto.”
12 Peraltro, al ritorno del detenuto nel carcere di San Vittore, alla prima visita di ingresso viene testualmente riportato
“nessuna lesione”, segno evidente del fatto che nell’ultimo periodo di permanenza a Pavia il sig. Campanale non aveva
posto in essere ulteriori atti autolesivi.
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Nella stessa giornata, alle ore 23 e 20 si segnalava un episodio di aggressività eterodiretta:
“colluttazione con persone a lui note”.
Il 4/8/09 alle ore 19.07, alcune ore dopo il colloquio con la dr.ssa N: "Giunge in PS per
autolesionismo. Ferita da taglio superficiale. Medicazione a piatto. Già ubicato in cella
rischio. In attesa di visita psichiatrica. Paziente tranquillo e collaborante"; ore 21.45: "Giunge
in PS per autolesioni. Ferite da taglio superficiali e profonde braccio ed avambraccio dx. Punti
seta 0.3 medicazione.”
Il 9/8: "Autolesionismo, ferite superficiali all’avambraccio dx autoprocuratesi. Medicazione a
piatto, 1 cpr paracetamolo 500mg, rimozione punti sutura ferita precedente avambraccio
destro".
Si tratta, quindi di 4 episodi di autolesionismo nell’arco di una settimana, un pattern comportamentale
di condotte autolesive, che sembra riprodurre quello che si era visto al momento dell’ingresso nel
carcere di Pavia, dove vi erano stati 3 episodi nell’arco di 8 giorni.
Come si possono valutare questi gesti autolesionistici nel contesto della lunga storia clinica del signor
Campanale, durante la quale, come ricordavo prima, non rappresentano un comportamento frequente
e caratteristico?
Si può concordare con il dott. X quando osserva che i gesti autolesionistici «… possono racchiudere
nell'agito diversi significati che solo lo specialista può tentare di interpretare: si tratta talora di
azioni attuate a livello manipolatorio, per ottenere una sorta di controllo sull'ambiente o ricavarne
dei benefici, talaltra di tentativi di ridurre la tensione interna. Sono associati effettivamente a svariate
forme di patologia psichiatrica tra cui, soprattutto, i disturbi della personalità e non possono essere
considerati in maniera diretta ed automatica il preludio ad un gesto suicidario vero e proprio.»
Il consulente del PM prosegue rilevando che «Tuttavia, vi sono indicazioni dalla letteratura che
anche molti gesti suicidari raccolgano in sé sia un alto livello di intento autolesivo sia delle
motivazioni manipolatorie come quella di attirare l'attenzione sul proprio disagio psichico e dunque
sulla gestione della propria detenzione. Ciò a dimostrare che nemmeno nel caso più estremo una
motivazione esclude necessariamente l’altra, ma anche nei gesti di autolesionismo possono
coesistere obiettivi manipolativi con altri più strettamente collegati alla sofferenza.»
Sul punto, il fatto che i “gesti suicidari contengano un alto livello di intento autolesivo” è
indiscutibile, se non lapalissiano, così come lo è il collegamento dei gesti di autolesionismo con una
condizione generica di sofferenza, non necessariamente psichiatrica. A ciò, tuttavia, bisogna
aggiungere che chi pratica l'autolesionismo non lo fa di solito per porre fine alla propria vita, ma per
alleviare un disagio o un dolore emotivo, assolvendo a molte funzioni, che sono state evidenziate da
tutti coloro che si sono occupati di queste condotte e che è molto difficile riassumere in poche righe:
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comunicare all'esterno il proprio disagio, rendendo visibile in modo concreto e tangibile un dolore e
una sofferenza che si fa fatica a comunicare a parole; riavere il controllo sulla propria vita, riprendere
la propria autonomia, attraverso gesti che confermano di poterla esercitare almeno sul proprio corpo,
quando non si è in grado di farla valere nel contesto sociale e relazionale; tutte funzioni che hanno
quindi un valore “autoterapeutico” in condizioni difficili nelle quali non si dispone di molte risorse
né personali né sociali.
La peculiare condizione di Luca Campanale evidenzia, tuttavia, una dinamica in realtà molto più
elementare, originata e tesa alla manipolazione, animata dalla tensione di uno specifico finalismo,
che appare sempre concretamente orientato all’ottenimento dei diversi bisogni, desideri ed esigenze
del momento; la successione storica dei fatti che caratterizzano la permanenza nel carcere di Pavia
rappresenta bene in termini emblematici la reale natura della genesi dell’autolesionismo che ha mosso
Campanale, consentendo, sorretti dall’evidenza dei fatti, di identificare nell’attitudine induttiva la
principale molla che ha innescato ogni singola dinamica.
Il dott. X, forse nell’ambito di un quadro storico non perfettamente messo a fuoco, riconosce
comunque che non si può “… attribuire alcun significato “premonitore” alle ferite che il Campanale
si infliggeva alle braccia o al collo” e che “… pare più corretto concentrarsi sul loro significato
psicopatologico: si trattava di un sintomo ripetitivo indicatore di una impulsività sempre meno
controllata (non a caso definita "impulsività mobile" nella consulenza del 4/8) nell’ambito di uno
"scompenso" più globale delle funzioni psichiche.»
Egli attribuisce un’importanza rilevante e significativa alla impulsività del signor Campanale, che
propone di interpretare sul piano psicopatologico come «espressione di uno "scompenso" più globale
delle funzioni psichiche», per il quale intende presumibilmente lo scompenso psicotico discusso a
proposito della valutazione diagnostica.
Ciò che ritengo utile sottolineare è la matrice manipolatoria induttiva; l’impulsività ha certamente un
ruolo rilevante, ma va sempre collocata nello specifico alveo di un’azione finalistica, orientata
all’ottenimento di un qualcosa di antitetico alla propria soppressione.
Per quanto riguarda la valutazione dell’impulsività nel quadro clinico del signor Campanale, ritengo
opportuno fare alcune precisazioni:
tratti di impulsività vengono descritti nei primi due anni successivi al trauma cranico da incidente
stradale, avvenuto nel 1998, e sono correlati alle sequele della lesione cerebrale, come espressione
di un deficit delle funzioni critiche, con conseguente perdita della capacità di controllare i propri
sentimenti; tuttavia, contemporaneamente, e forse anche prima, iniziano le condotte di abuso di
sostanze, le cui conseguenze sono del tutto analoghe, come osserva anche Z: «È infatti nozione
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ormai comune che cannabinoidi e cocaina, ma anche alcool, hanno tra le loro azioni quella di
slatentizzare comportamenti e ridurre il controllo inibitorio sull’aggressività»;
a partire dal 2001, come descritto prima, aveva raggiunto un buon recupero delle funzioni motorie
e cognitive, non si rilevavano più segni evidenti di un deficit neurocognitivo, per cui l’impulsività
era correlata esclusivamente a condotte di abuso di sostanze e alla non accettazione della terapia.
Questo dato è attestato dal dottor Z, che lo visita nel carcere di San Vittore, pochi giorni dopo la
sua reclusione: «Indubbiamente il periziato ha mostrato nel passato sia remoto che recente che,
in assenza di una valida terapia psichiatrica e in occasione dell’assunzione di sostanze, ha una
chiara tendenza a perdere il discernimento e quindi il controllo delle sue azioni, in modo
impulsivo spesso, ma sempre mettendo a repentaglio l’altrui e propria sicurezza: tendenza agli
agiti aggressivi, tendenza alle reazioni a corto circuito, in almeno un’occasione agiti autolesivi
potenzialmente gravi, perdita della capacità previsionale. È altrettanto vero, ed è esperienza
diretta del perito stesso oltre che comunicazione da parte di curanti e familiari, che una volta
stabilizzate le terapie il periziato è persona che, con tutti i suoi limiti, appare decisamente più
critico, consapevole ed adeguato al normale vivere civile»;
si può quindi ragionevolmente ritenere – come in realtà documentato dalla stessa cronaca dei fatti
autoleisvi - che l’impulsività del signor Campanale non fosse di natura psicotica, ossia afinalistica,
imprevedibile, completamente distaccata dall’Io e perciò inaccessibile a qualunque possibilità di
controllo. Essa si può definire espressione della sua organizzazione di personalità, del suo stile di
vita, che lo spingeva cercare nell’abuso di sostanze la soluzione alle sue difficoltà esistenziali;
quindi, in sintonia con l’Io, egosintonica, termine con il quale si designa un qualsiasi
comportamento, sentimento o idea che sia in armonia con i bisogni e desideri dell'Io, o coerente
con l'immagine di sé del soggetto, aspetto che viene comunemente riconosciuto in tutti i disturbi
di personalità, indipendentemente dalla loro eziologia, e che li differenzia, ad esempio, dai disturbi
psicotici, come la Schizofrenia o il Disturbo Depressivo Maggiore.
Il dott. X, invece, considera i gesti autolesivi come espressione dell’aggravamento del quadro clinico,
di quello “scompenso psicotico” discusso prima a proposito della valutazione diagnostica: “gli agiti
autolesionistici rappresentavano un altro indice di gravità della situazione, e mostravano una
impulsività allarmante soprattutto alla luce di precedenti anamnestici del soggetto caratterizzati da
maggiore pericolosità, rischio fisico e, verosimilmente, intenzionalità suicidaria (si pensi alla ferita
da arma bianca all'addome nel 2002 o tentativo di impiccamento del maggio 2009).”
Per questo motivo conclude che “seppur nella difficoltà per non dire impossibilità di prevedere un
reale gesto suicidario particolarmente nei casi di gravi anomalie caratteriali (anche il più accurato
degli screening può identificare un rischio ma non prevedere se e quando un suicidio si concretizzerà
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effettivamente) … Le misure adottate per la carcerazione del Campanale Luca, alla luce del quadro
clinico al momento del decesso e nel periodo precedente nonché delle segnalazioni sanitarie, non
appaiono pienamente idonee e sufficienti a tutelarne la salute psico-fisica ed a prevenirne atti
autolesionistici”.
Questa valutazione della natura e del significato dei gesti autolesionistici del signor Campanale, in
realtà avulsa da un pieno ed appropriato confronto con il fatto storico, ripropone da un’altra
prospettiva, imprecisioni e inesattezze, che erano già contenute nella parte relativa alla valutazione
diagnostica e a quella del rischio suicidario e che sono già state discusse in precedenza. Anche ove
sfuggisse, nel quadro di una corretta ricostruzione storica, il preciso senso finalistico dei gesti posti
in essere, è vero che:
sembra quantomeno eccessivo e improprio attribuire valore premonitorio ad una ferita all’addome,
non da “arma bianca”, ma da banale coltello da cucina in seguito ad un diverbio con la madre,
verificatosi 7 anni prima, nel 2002, quando egli presentava una condizione abituale di abuso e
dipendenza da sostanze;
altrettanto improprio mi sembra l’accostamento dei gesti autolesivi ad una “intenzionalità
suicidaria verosimile”, la quale, come descritto prima, è invece risultata sempre assente nella
storia clinica del signor Campanale, fondandola per di più su un episodio qualificato
impropriamente come “tentativo di impiccamento”, rivelatosi invece un comportamento
provocatorio e dimostrativo analogo alla presunta ingestione di lametta a Pavia;
anche la correlazione tra le condotte autolesive e il presunto “scompenso psicotico” non è fondata
su dati obiettivi ricavabili dalla documentazione clinica agli atti: il dottor G, come descritto prima
a proposito della diagnosi, inizia a parlare di ideazione persecutoria, che qualifica impropriamente
come delirante e psicotica, solo a partire dal 17 giugno, mentre i gesti autolesivi si erano
consumati in 8 giorni, dal 7 al 15 giugno;
dal 15 giugno fino al trasferimento a San Vittore il 30 luglio, per ben 45 giorni, non vi è più
alcuna traccia di condotte autolesive, nonostante egli fosse, a parere del dottor G, nel culmine del
suo “scompenso” psicotico delirante e persecutorio. Ci si può chiedere quali misure siano state
adottate in questi 45 giorni per “prevenirne atti autolesionistici”, come giustamente rileva il dott.
X, dal momento che, se i gesti autolesivi erano la conseguenza dello scompenso psicotico, egli
era costantemente esposto al rischio di infliggere gravi danni alla propria integrità fisica.
A me sembra che l’interpretazione più realistica e sensata dei gesti autolesivi del signor Campanale
sia quella che è stata evidenziata e documentata a più riprese da tutti gli specialisti che si sono occupati
di lui nel corso della sua lunga storia clinica, come visto supra. I termini che ricorrono costantemente
sono “strumentalizzazione”, “manipolazione”, per descrivere comportamenti e affermazioni definiti
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come “bizzarri” e “dimostrativi”, il tutto correlato ad una “intolleranza all’ambiente carcerario”,
legittima e perfettamente comprensibile, che non è sempre presente, ma si acutizza in circostanze
specifiche, caratterizzate dall’impellente necessità dell’ottenimento di quanto richiesto.
Nei gesti autolesivi del signor Campanale si coglieva talora l’espressione di una impulsività
cosiddetta “reattiva”, cioè una risposta difensiva e piena di rabbia, che fa seguito a una frustrazione
o alla percezione di una minaccia proveniente dall’ambiente: la motivazione difensiva è chiaramente
finalizzata alla sopravvivenza in un ambiente percepito come ostile, nonché all’ottenimento di
vantaggi, escludendo quindi l’intenzionalità suicidaria; nella maggior parte dei casi si manifestava
invece, soprattutto durante la permanenza in carcere, una forma di impulsività definita comunemente
“proattiva”, cioè deliberatamente strumentale e diretta a raggiungere mete specifiche, proiettate in
un tempo futuro più o meno lontano, smentendo quindi ogni progettualità autosoppressiva.
Da questo punto di vista, si può affermare che l'impulsività non implica sempre perdita di controllo
sui propri sentimenti, ma può essere finalizzata ad attuare un comportamento in realtà direzionato e
controllato. Una persona impulsiva non è sempre incontrollata13. E’ noto che chiunque, e in
particolare le persone sofferenti di varie forme di disagio psichico, regrediscono a modalità di
comportamento infantili, per recuperare quegli schemi di interazione che si erano rivelati efficaci in
quella fase della propria esistenza. Non sorprende, quindi che, anche il signor Campanale, durante la
permanenza in carcere sia ricorso a queste modalità comportamentali che, dietro la loro apparenza di
impulsività, esprimevano una volontà precisa e deliberata di tutelare la propria persona, esprimendo
il proprio malessere e tentando, nello stesso tempo, di modificare le condizioni ambientali per
realizzare un adattamento migliore al contesto di vita.
Nel carcere di San Vittore, dopo i primi mesi di buon adattamento, quando era collocato
nell’infermeria, segnali evidenti di malessere si sono manifestati quando il paziente è stato trasferito
nel Reparto Protetti e si sono accentuati quando è stato collocato in cella con sorveglianza a vista. La
connessione dei gesti autolesivi con questo regime è confermata dal rapporto della Polizia
Penitenziaria, in occasione del gesto autolesivo del 25 maggio 2009: “Trattasi del detenuto
Campanale il quale ha minacciato di porre in essere estremi gesti autolesivi. Escusso in merito, lo
stesso ha riferito di mal sopportare l’ubicazione a regime di SAV e che ieri esasperato dalla sua
situazione ha minacciato i gesti descritti.” (cfr. relazione di servizio del Commissario Manuela
Federico del 26/5/2009). L’intolleranza al regime detentivo si era intrecciata ad una conflittualità
marcata con alcune guardie carcerarie e con altri detenuti, determinando gli episodi di aggressività
13 Per esempio, un bambino può essere impulsivo ben sapendo che questo implicherà delle conseguenze sugli altri, e lo
fa proprio con la consapevolezza che in tale modo mette in atto forme di controllo sugli altri relativamente a quelle che
potrebbero essere le conseguenze delle sue azioni
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eterodiretta segnalati agli atti. Per questi motivi egli stesso aveva richiesto di essere trasferito in un
altro carcere.
Per quanto riguarda gli episodi nel carcere di Pavia, non vi è nessuna documentazione che permetta
di comprenderne il concreto elemento scatenante. Potrebbe essersi trattato di una difficoltà di
adattamento al nuovo contesto carcerario, ma non va trascurato il rilievo che i 3 episodi si sono
verificati in corrispondenza dell’udienza per un processo relativo ad un altro reato, analogo a quello
per il quale si trovava in carcere. Nel corso del suo esame dibattimentale, l’avv. Pina Blanco -
difensore di Campanale all’epoca dei fatti- ha enfatizzato il significato di tali gesti autolesivi come
rivelatore di una grave condizione di disagio psichico incompatibile con il carcere, osservando che,
se quel giorno Campanale presentava quelle lesioni, chissà quante altre volte se ne era prodotte; in
realtà, come descritto prima, durante 8 mesi di permanenza a San Vittore gli episodi di autolesionismo
sono stati 3, e durante la permanenza di 2 mesi a Pavia sono stati 3; la loro stretta relazione temporale
con l’udienza in tribunale autorizza a ipotizzare che fossero una espressione, carica di rabbia e di
protesta, di una impulsività “reattiva” alla frustrazione derivante dalla consapevolezza di una nuova
condanna – come avvenne di fatto – che avrebbe ulteriormente allontanato il momento da lui tanto
atteso dell’uscita dal carcere.
Disponiamo anche di una testimonianza che consente di cogliere la natura “proattiva” e induttiva, sia
dei gesti impulsivi e aggressivi sia di quelli autolesivi, direttamente correlata alla richiesta di una
collocazione diversa. Il medico del carcere, scrive il 10 luglio: “Trattasi di soggetto sofferente
psichico con difficoltà a relazionare e rapporto conflittuale con l’attuale concellino. Chiede con
insistenza di essere dimesso e di essere ubicato in cella singola, minacciando rappresaglie. Si indica
alla sorveglianza che può essere ubicato in cella adiacente”. Dopo questo provvedimento non
vengono più segnalati né gesti autolesivi né, come discusso in precedenza, altre manifestazioni
psicopatologiche preoccupanti quali quelle che erano state segnalate dal dottor G e che avevano
indotto il medico del carcere a ritenere “necessario pertanto il trasferimento urgente presso altra
struttura protetta, al fine di rendere possibile al giovane Campanale quelle cure mediche di cui
realmente abbisogna”.
Le condotte autolesive ricompaiono improvvisamente, dopo circa un mese di assenza, pochi giorni
dopo il rientro nel carcere di San Vittore; anche in questo caso appare evidente la stretta connessione
con l’intolleranza alla collocazione ambientale e con il tentativo di modificarla a proprio favore; il
che è facilmente comprensibile se si considera che il paziente proveniva dal carcere di Pavia, dove si
era alla fine ben adattato, riuscendo ad ottenere, “minacciando rappresaglie”, una sistemazione a lui
più congeniale e confortevole, con esito favorevole confermato dal fatto che non effettua più gesti
autolesivi e non presenta manifestazioni psicopatologiche tali da richiedere una visita psichiatrica.
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La condizione di intolleranza alla collocazione ambientale al suo rientro a San Vittore, peraltro, è
attestata da ben 3 segnalazioni della polizia penitenziaria nell’arco di pochi giorni, dal 7 al 10 agosto,
il giorno precedente il suicidio:
“In pari data verso le 9.30 il detenuto in oggetto, nel recarsi ai passeggi, si presentava davanti
allo scrivente e, con aria minacciosa, mi afferrava il braccio invitandomi a seguirlo all'aria. Lo
scrivente gli chiedeva il motivo per cui avrebbe dovuto seguirlo e, a tale richiesta, il Campanale
insistentemente continuava a tirarmi verso i passeggi dicendomi testuali parole: "Vieni all'aria
così vediamo tra me e te chi è più uomo, pezzo di merda". Lo scrivente cercava di portarlo alla
calma, ma il tutto aveva esito negativo. Di quanto accaduto veniva informato il capo reparto ... Si
è riportato con mansuetudine il detenuto alla calma. Soggetto molto instabile, appare allo
scrivente scompensato dalla attuale ubicazione. Si provvede alle segnalazioni al PRAS.”
“Escusso in merito per il tramite dell’Assistente Maurizio Giuliani, addetto all’ufficio comando,
reso edotto della facoltà di presentare memoria difensiva eventualmente anche per iscritto, lo
stesso non ha inteso fornire alcuna giustificazione circa quanto posto in essere. Giova
rappresentare che trattasi di detenuto poco stabile psicologicamente, il quale sovente pone in
essere gesti autolesivi a causa del fatto che mal sopporta l’ubicazione alle celle a rischio.”
“Interpellato il detenuto Campanale per il tramite dell’Assistente Capo Daniele Zago, lo stesso
ha confermato di aver posto in essere il gesto autolesivo indicato nella relazione, poiché a suo
dire, colto da un momento di profondo malessere psicologico scaturito dall’attuale detenzione”.
4. Il trattamento del signor Campanale
Per quanto riguarda la valutazione delle misure adottate per la tutela della salute psicofisica del sig.
Campanale, si rappresenta che –con riferimento al suo ritorno presso il carcere di San Vittore e in
particolare alle condotte delle dott.ssa N- esse appaiono consone, sia rispetto all’inquadramento
clinico del paziente, sia rispetto al suo trattamento farmacologico.
Sul punto, il dott. X formula opinioni ambivalenti e talora contrastanti. Infatti, inizia con il riconoscere
la sostanziale adeguatezza delle misure stesse: “Occorre notare che i sanitari che lo seguirono
durante i mesi di detenzione si avvicendarono nel fornirgli cure, supporto psicologico ed educativo.
Se unitamente allo stato clinico si analizzano anche le relative terapie, queste appaiono nel tempo
profondamente diverse, a dimostrazione di un peggioramento ma anche di una serie di trattamenti
psicofarmacologici che di volta in volta venivano attuati per curare la malattia. I sintomi psicotici,
ad esempio, per quanto considerati “dubbi” in un primo momento (anche in virtù degli atteggiamenti
associati), venivano comunque trattati con terapia specifica finanche al 4/8, quando si concordava
con il giovane un cambiamento del farmaco antipsicotico con l'evidente obiettivo di contrastare la
sintomatologia presente.”
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Questa valutazione sembra indicare che i terapeuti si sono sempre sforzati di valutare la patologia
psichica del signor Campanale nel corso del tempo e di adattare gli interventi sia farmacologici sia
psicoterapici alle manifestazioni sintomatologiche che man mano emergevano. Tuttavia, dopo questa
premessa, giunge alla conclusione che: “In definitiva, nonostante l'assistenza medica, psichiatrica,
psicologica ed i vari tentativi di cura farmacologica attuati per il signor Luca Campanale, e pur
tenendo conto della difficoltà nella cura e per certi versi dell'imprevedibilità di questo tipo di
patologie, si rilevano alcune incongruità tra le misure adottate durante la carcerazione e le
condizioni psicopatologiche del detenuto. Queste sono rappresentate essenzialmente da una
verosimile sottostima del rischio suicidario e, più in generale, dell'urgenza del caso rispetto alle
necessità di monitoraggio clinico e frequente verifica dell'idoneità della collocazione del paziente.”
Egli arriva a questa conclusione sulla base di 2 argomenti principali:
1) la sottostima del rischio suicidario: egli riconosce che “i ripetuti gesti autolesionistici non possono
essere considerati in maniera diretta ed automatica il preludio ad un gesto suicidario vero e
proprio” e ammette “la difficoltà per non dire impossibilità di prevedere un reale gesto suicidario
particolarmente nei casi di gravi anomalie caratteriali (anche il più accurato degli screening può
identificare un rischio ma non prevedere se e quando un suicidio si concretizzerà effettivamente)”.
Tuttavia ritiene che essi fossero particolarmente preoccupanti in considerazione dei “precedenti
anamnestici del soggetto caratterizzati da maggiore pericolosità, rischio fisico e, verosimilmente,
intenzionalità suicidaria (si pensi alla ferita da arma bianca all'addome nel 2002 o tentativo di
impiccamento del maggio 2009)”; dunque, il consulente del PM valorizza in misura estrema
due episodi che abbiamo visto essere invece assolutamente innocui dal punto di vista del
rischio suicidario: una ferita all’addome che il paziente si era inferto ben 7 anni prima, in
una condizione di intossicazione acuta da alcol e droghe, e un tentativo di impiccamento che
è stato completamente smentito dalla ricostruzione accurata della sua dinamica. Non si
comprende quindi come possa adombrare una “verosimile intenzionalità suicidaria” che, come
dimostrato prima, non è mai emersa in nessun momento della storia clinica del signor Campanale,
pur essendo stata valutata a più riprese, ed esclusa persino dal dottor G che, nel periodo in cui il
Campanale era a suo parere in uno stato psicotico persecutorio, ribadisce in tutte e 3 le sue note di
diario che non è presente nessuna ideazione anticonservativa.
2) Il secondo argomento riguarda l’aggravamento della patologia psichica del signor Campanale, a
partire dal mese di maggio del 2009: “Una sintomatologia persecutoria tanto acuta, il
peggioramento clinico graduale, l'assenza di risposte alle terapie, un'impulsività tanto accesa,
potevano forse suggerire un cambiamento nel piano trattamentale, ipotizzando un programma
terapeutico differente, magari un'osservazione più costante ed in un luogo più protetto come
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quello ospedaliero, al fine di gestire meglio i comportamenti autolesivi ed osservare l'andamento
dei sintomi psicotici.”. Il peggioramento clinico del signor Campanale è stato discusso prima,
evidenziando come fosse improprio parlare di stato psicotico delirante persecutorio, trattandosi
invece di una evoluzione possibile del Disturbo di Personalità del signor Campanale, che prevede
l’emergenza di “slittamenti” psicotici; questo non significa, come osservato prima, che il disturbo
cambi natura e si trasformi da Disturbo di Personalità in un disturbo psicotico, ma semplicemente
che possono comparire sintomi solo di apparenza psicotica, come idee persecutorie e
dispercezioni, che sono però transitori e non permanenti come in un Disturbo psicotico, e che si
manifestano spesso in situazioni stressanti; in questi casi non viene perso l’esame di realtà e le
funzioni critiche sono conservate; queste condizioni si sono sempre verificate ogni volta che hanno
fatto la loro comparsa nella storia clinica del signor Campanale, per cui non comportano una
modificazione sostanziale del quadro clinico e non richiedono provvedimenti terapeutici
straordinari, ma un semplice adeguamento allo stato contingente, che è sempre stato attuato, come
ha riconosciuto lo stesso dott. X.
Pertanto, ritengo che il signor Campanale, al suo rientro nel carcere di San Vittore presentasse il
quadro clinico abituale di un Disturbo di Personalità caratterizzato dalla tendenza ad attuare condotte
autolesionistiche con finalità prevalentemente manipolatorie e dimostrative e dalla comparsa di una
sintomatologia simil-psicotica, in forma di ideazione persecutoria, in condizioni di stress, soprattutto
reattivamente al contesto carcerario.
Quale dovrebbe essere l’atteggiamento terapeutico più idoneo per gestire una tale condizione clinica?
Cominciamo con il dire che tutte le linee guida internazionali più accreditate per il trattamento dei
disturbi mentali concordano nel sostenere che, anche nei disturbi più gravi, di natura psicotica, ma
soprattutto nei Disturbi di Personalità, l’opzione del ricovero ospedaliero è l’ultima da prendere in
considerazione, dopo aver provato ad adottare i provvedimenti terapeutici più comuni, che si sono
dimostrati efficaci nella grande maggioranza dei casi. Questi provvedimenti variano da disturbo a
disturbo, ma consistono essenzialmente nella terapia farmacologica - utilizzando psicofarmaci
specifici per ogni disturbo e per la sintomatologia preminente in un certo momento del decorso clinico
– e la psicoterapia, che può andare da un semplice supporto psicologico ad altre forme di psicoterapia
più strutturate e ispirate a modelli teorici di varia natura (psicodinamico, cognitivo, comportamentale,
ecc.), anche in questo caso in funzione delle caratteristiche cliniche e sintomatologiche del disturbo.
Di conseguenza, ogni valutazione psichiatrica, in qualunque contesto, sia di routine sia di urgenza,
non inizia prendendo subito in esame la possibilità di un ricovero ospedaliero per poi escluderlo;
procede piuttosto da una valutazione delle condizioni psichiche attuali, mediante un esame psichico
finalizzato a evidenziare le manifestazioni psicopatologiche più evidenti, per valutare poi il tipo di
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trattamento più adeguato e la collaborazione del paziente alla terapia proposta; se il paziente rifiuta
integralmente ogni tipo di approccio terapeutico, si può valutare l’opzione del ricovero ospedaliero.
Se si esamina la valutazione clinica del signor Campanale effettuata dalla dr.ssa N in occasione del
suo rientro nel carcere di San Vittore e il conseguente piano terapeutico introdotto, notiamo che sono
state rispettate queste direttive.
Osserviamo innanzitutto che il signor Campanale è rientrato a San Vittore il 30 luglio, accompagnato
da un fono ministeriale, che, come già detto prima, lo destinava al CDT, ossia ad un Centro
Diagnostico Terapeutico, senza specificare che dovesse trattarsi del Conp, cioè il reparto psichiatrico.
Il medico del carcere che lo accoglie lo destina al Conp, avendo rilevato sulla cartella clinica che è in
terapia psichiatrica, ma, non essendovi un posto disponibile in tale reparto, lo invia al Pronto Soccorso
per una valutazione della collocazione più idonea. Il medico del Pronto Soccorso rileva che nel
carcere di Pavia era ricoverato in infermeria e che nel fono ministeriale non viene specificato che
debba essere ricoverato nel reparto psichiatrico, per cui decide di ubicarlo in “CAR a basso rischio
fino a valutazione psichiatrica per diversa ubicazione”, solo a fini precauzionali, facendo riferimento
al “precedente del 25/05”; questo episodio viene definito come “tentativo di impiccagione”,
evidentemente sulla base di una lettura frettolosa della cartella clinica, dove quell’episodio viene
riportato infatti proprio dal medico di PS, come riporta il dott. X: “Il medico di PS annota infatti: il
paziente giunge in PS accompagnato dall’agente. E’ stato riferito dall’agente che il detenuto in cella
a rischio ha tentato impiccagione.”
Sappiamo dalla relazione di servizio dell’agente di custodia, che ha assistito all’episodio, che il signor
Campanale si era limitato a “maneggiare una penna stilo in suo possesso, avvicinandola più volte al
collo” e che la psichiatra dr.ssa C, sulla base di una valutazione clinica di quell’episodio, il giorno
successivo lo definisce come espressione della nota tendenza del sig. Campanale a “manifestare gesti
bizzarri al solo scopo di attirare l'attenzione”, aggiungendo un esame psichico che ridimensiona la
gravità clinica e psicopatologica del suo stato: “Critico nei confronti dell'episodio di ieri, relativo
all'ambiente carcerario e soprattutto alle regole della struttura. Ribadisce che non ha alcuna
intenzione di suicidarsi. Tono dell'umore in asse. Regolare riposo notturno”.
Il medico del Pronto Soccorso richiede correttamente una visita psichiatrica di controllo per verificare
l’idoneità della sua collocazione, che è stata disposta temporaneamente in una CAR a basso rischio,
in attesa che si liberi un posto nel reparto psichiatrico. La visita psichiatrica viene richiesta senza
segnalare un carattere di urgenza il pomeriggio del 30 luglio 2009, che è un giovedì; il giorno
successivo è venerdì 31 luglio; la dr.ssa N è presente in carcere non solo in qualità di psichiatra
responsabile del reparto femminile e di quello penale (a lei assegnati), ma anche in sostituzione della
dott.ssa C (responsabile del V e del VI reparto), che era in ferie; sabato 1° agosto la dott.ssa N è in
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servizio, ma solo per urgenze psichiatriche provenienti da tutto il carcere e non solo dal reparto
psichiatrico e/o dalle celle a rischio. Riprende il servizio abituale lunedì 3 agosto (lo stesso giorno in
cui la dott.ssa C è rientrata in servizio) e visita il signor Campanale il giorno successivo, martedì 4
agosto.
Si tratta di una tempistica adeguata, tenendo conto delle condizioni cliniche del signor Campanale?
Su questo punto il dott. X nelle sue conclusioni sostiene che è stato sottostimato, non solo il rischio
suicidario, ma anche “l’urgenza del caso rispetto alle necessità di monitoraggio clinico e frequente
verifica dell'idoneità della collocazione del paziente”, disapprovando il fatto che fosse stata effettuata
«una sola visita psichiatrica (4 agosto 2009), a fronte di un quadro clinico per il quale un
trasferimento "urgente" era stato richiesto per instaurare "un attento, assiduo e specialistico
trattamento psichiatrico"». Egli attribuisce “l’urgenza del caso” ad un generico “scompenso
psicopatologico presente da tempo ed aggravatosi nel corso dei mesi precedenti il decesso, tanto da
configurare un'acuzie psicotica insorta sul disturbo psichiatrico di base”. A questo proposito va
rilevato che uno stato di “acuzie psicotica” presenta le stesse caratteristiche di un’acuzie medica o
chirurgica di qualunque natura, per cui richiede un intervento tempestivo e rapido. Il TSO, che è il
provvedimento terapeutico previsto dalla legge 180 per l’acuzie psichiatrica, deve essere attuato entro
48 ore dalla sua emanazione, altrimenti decade, perché si presume che sia venuto meno lo stato di
urgenza e deve essere eventualmente riformulato specificando nuovamente le motivazioni dello stato
di urgenza. Una volta che sia stato attuato il ricovero mediante TSO, questo ha una durata non
superiore ai 7 giorni, entro i quali si deve stabilire se persiste lo stato di acuzie, per cui può essere
rinnovato per altri 7 giorni; oppure può essere sciolto, e trasformato in un ricovero volontario se si
ritiene necessario protrarre l’osservazione specialistica in condizioni di degenza con l’assenso del
paziente; infine, è possibile dimettere il paziente, anche prima della scadenza dei 7 giorni, se lo stato
di acuzie si è risolto e si ravvisano le condizioni per continuare il trattamento in un regime extra-
ospedaliero.
Appare opportuno osservare in proposito che, in primo luogo, il trasferimento “urgente” per attuare
"un attento, assiduo e specialistico trattamento psichiatrico" era stato richiesto dal medico del carcere
di Pavia il primo luglio 2009 e per un mese intero non solo non era stato attuato nessun provvedimento
di questo tipo, ma non era stato fornito al signor Campanale nemmeno il servizio di monitoraggio di
routine della sua condizione psichiatrica, con la frequenza di una visita settimanale, che pure rientrava
nelle possibilità del carcere di Pavia.
In secondo luogo, come è emerso chiaramente dalle indagini e nel corso del dibattimento, la dr.ssa
N, al momento del rientro del signor Campanale nel carcere di San Vittore, non si occupava più del
CAR ed è intervenuta il 4 agosto su richiesta della collega responsabile di quel servizio, dott.ssa C,
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prendendo visione solo in quella data della richiesta di visita psichiatrica, che pure era stata fatta in
data 30 luglio, per cui la latenza di 5 giorni si potrebbe giustificare con il fatto che non si trattava di
una richiesta urgente (come emerge anche dall’indicazione in calce a tutti i referti precedenti la visita
del 4 agosto, che reca “visita psichiatrica di controllo” e non urgente).
Occorre poi chiedersi se il signor Campanale, che presentava una patologia psichiatrica di una certa
rilevanza, potesse attendere 4 giorni prima di essere sottoposto ad una visita psichiatrica specialistica
richiesta dal medico del carcere, il cui ruolo si può paragonare a quello del medico di medicina
generale del territorio.
Se facciamo riferimento alle procedure adottate dal servizio psichiatrico pubblico territoriale,
rileviamo che si cerca di rispettare le direttive fornite dalla Direzione Generale della Sanità della
Regione Lombardia, la quale raccomanda un tempo di attesa media di una settimana per le visite
psichiatriche richieste dai medici di base; qualora la visita sia ritenuta urgente, il medico di base
appone un bollino verde all’impegnativa, nel qual caso la visita deve essere espletata entro 72 ore, sia
che si tratti di un paziente già noto al servizio, sia che si tratti di un primo contatto. Da questo punto
di vista, si può rilevare che la dr.ssa N ha rispettato i tempi richiesti dal Servizio Sanitario Nazionale
per una visita specialistica urgente, valutando il signor Campanale entro il giorno stesso in cui ha
preso visione della richiesta, che pure non presentava i caratteri dell’urgenza.
Osserviamo ora più in dettaglio il contenuto della visita effettuata il 4 agosto:
"Rientra dal carcere di Pavia per un periodo di osservazione. Noto alla scrivente per altri periodi in
questo istituto. Immodificato nelle modalità relazionali, pretenzioso e immaturo. Emerge contenuto
del pensiero a carattere persecutorio secondo cui gli agenti di PP lo provocherebbero
annunciandogli tragedie familiari. Probabili dispercezioni uditive. Per quanto riferisca un vissuto di
angoscia il pz appare anaffettivo, polarizzato per lo più sull'ottenimento di quanto chiede. Acritico.
Riferisce di aver messo in atto gesti autolesivi reattivamente a provocazioni ambientali. Impulsività
mobile. Riferisce di aver sospeso la terapia NL e ansiolitico. Si concorda introduzione di Risperdal.
Colloquio di sostegno".
Si nota innanzitutto che la dr.ssa conosce già il signor Campanale e coglie gli aspetti relazionali tipici
del suo Disturbo di Personalità; riscontra la presenza di una ideazione persecutoria, che presenta le
caratteristiche abituali già riscontrate nei mesi precedenti: atteggiamento provocatorio nei confronti
del personale carcerario e timori per la vita dei familiari; è informata del fatto che due giorni prima il
paziente ha compiuto un gesto autolesivo, e ne valuta la dinamica accertandosi del fatto che era
consapevole della natura reattiva a problemi personali di adattamento e non esprimeva quindi una
intenzionalità suicidaria. Si accerta che il paziente assuma la terapia e, di fronte alla comunicazione
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che l’ha sospesa, gli propone un farmaco neurolettico (Risperdal), che è adeguato alla sintomatologia
riscontrata e che egli accetta.
4.1 La terapia psicofarmacologica del signor Campanale
A proposito della terapia farmacologica va rilevato che il dott. X, come osservato prima, non esprime
alcuna riserva, rilevando che “… I sintomi psicotici, ad esempio, per quanto considerati “dubbi” in
un primo momento (anche in virtù degli atteggiamenti associati), venivano comunque trattati con
terapia specifica finanche al 4/8, quando si concordava con il giovane un cambiamento del farmaco
antipsicotico con l'evidente obiettivo di contrastare la sintomatologia presente.”. In effetti, dalla
consultazione del diario clinico del signor Campanale durante la sua permanenza in carcere, emerge
che la terapia farmacologica è sempre stata adattata alla sua sintomatologia psichica e
comportamentale:
al suo ingresso nel carcere di San Vittore è stato trattato con Acido Valproico (Depakin), un
farmaco antiepilettico, e Clonazepam (Rivotril), una benzodiazepina, entrambi indicati come
stabilizzanti del tono dell’umore e facilitatori del sonno, per cui sono prescritti comunemente per
una varietà di condizioni cliniche disparate, accomunate dalla presenza significativa di irritabilità,
aggressività, instabilità emotiva e difficoltà del sonno, indipendentemente dalla diagnosi specifica.
Per questo motivo, è una associazione farmacologica di uso comune in pazienti con problemi di
dipendenza da sostanze, anche solo anamnestici, come il signor Campanale.
A partire dagli inizi di maggio 2009, quando sono comparse le prime manifestazioni di irritabilità
e reattività nei confronti dell’ambiente carcerario, insieme ad ideazione di natura persecutoria,
anche se non delirante in senso stretto, è stata aggiunta una terapia con un farmaco antipsicotico
“tipico”, o di prima generazione, la Clorpromazina (Prozin) e con un farmaco ansiolitico (Valium),
con l’evidente obiettivo di aumentare la sedazione e mantenere l’ideazione entro binari di
ragionevolezza e adattamento alla realtà.
Questa terapia è stata mantenuta nel carcere di Pavia, con l’unica variante della sostituzione della
clorpromazina con la promazina (Talofen), ossia un altro antipsicotico “tipico” del tutto analogo
alla clorpromazina e a dosaggio equivalente.
Pochi giorni dopo il Talofen è stato sostituito da un altro antipsicotico, la Olanzapina (Zyprexa),
che è un antipsicotico “atipico” o di nuova generazione, il quale, a differenza di quelli “tipici”,
come la clorpromazina e la promazina, è meno sedativo e dotato di minori effetti collaterali,
soprattutto extrapiramidali, come tremori e rigidità di natura simil-parkinsioniana, che possono
essere molto fastidiosi. Evidentemente, come si rileva anche dalla nota di diario della visita del
dottor G del 6 giugno 2009, avendo verificato che si era adattato abbastanza bene al nuovo
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ambiente e che non presentava manifestazioni psicopatologiche rilevanti, si pensava di poter
controllare la sua patologia con un farmaco meno sedativo e meglio tollerato.
Solo dopo l’episodio della presunta ingestione della lametta, è stato aggiunto all’Olanzapina anche
l’Aloperidolo (Serenase), un altro antipsicotico “tipico”, più efficace sui cosiddetti sintomi
positivi, come deliri e allucinazioni.
il 30 luglio 2009, quando il signor Campanale è rientrato a San Vittore è stata confermata la terapia
prescritta a Pavia: Depakin, Rivotril, Valium, Serenase e Zyprexa;
il 31 luglio 2009 viene sospeso lo Zyprexa, mentre resta invariata la somministrazione di Depakin,
Rivotril, Valium e Serenase, fino alla visita della dr.ssa N del 4 agosto.
In quella occasione la dr.ssa si accertava che egli si era rifiutato di assumere il Serenase,
probabilmente per l’avversione nei confronti dei loro effetti collaterali, che egli conosceva bene, dal
momento che aveva dimestichezza con questo tipo di farmaci da molti anni. In proposito, il dottor Z,
in occasione della visita da lui effettuata presso il carcere di San Vittore il 29 ottobre 2008, quando il
signor Campanale assumeva esclusivamente il Depakin, ossia l’antiepilettico stabilizzatore
dell’umore e nessun ansiolitico né antipsicotico, osserva che: “… Anzi, rispetto alla terapia che sta
assumendo ne riconosce la bontà nel controllo della sua impulsività e nell’aiuto a “pensare meglio”,
tutto senza gli effetti collaterali che più lo spaventavano e disturbavano con i trattamenti precedenti:
incremento di peso e disfunzioni della sfera sessuale.” Incremento di peso (sappiamo dalla sua
anamnesi che questa problematica aveva sempre rivestito un ruolo assai rilevante nella sua vita, dal
momento che viene descritto come una persona obesa al punto da compromettere la sua vita affettiva
e relazionale) e disfunzioni della sfera sessuale sono precisamente i principali effetti collaterali sia
del Serenase sia dell’Olanzapina. Per questo motivo, probabilmente, egli si rifiutava spesso di
assumerli durante la permanenza nel carcere di Pavia, come risulta dal diario clinico, e non
sembrerebbe che questa riluttanza abbia prodotto gravi conseguenze sulle sue condizioni cliniche, dal
momento che, come osservato prima, per quasi tutto il mese di luglio non sono segnalate anomalie
psichiche e/o comportamentali tali da richiedere una visita psichiatrica.
La dr.ssa N ha dunque valutato che fosse opportuno ottenere la sua compliance e disponibilità
all’assunzione della terapia farmacologica, proponendo un farmaco, il Risperidone, che è comunque
un antipsicotico “atipico”, il quale presenta caratteristiche farmacologiche identiche a quelle del
Serenase e dell’Olanzapina, ha un’azione sedativa e incisiva sui sintomi positivi, ma meno effetti
collaterali indesiderabili.
Con riferimento alle osservazioni compiute dal dott. Y in merito alla terapia prescritta al sig.
Campanale, occorre precisare, in primo luogo, che durante la permanenza a San Vittore dal 30 luglio
al 12 agosto 2009, il paziente non ha mai rifiutato la terapia: non si riscontra, infatti, alcuna
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annotazione di questo tipo in cartella clinica, per cui le deduzioni del consulente di parte civile sul
punto sono destituite di qualunque fondamento.
Quanto al suggerimento di introdurre una terapia antipsicotica depot, ossia la somministrazione
intramuscolare in una unica volta di una quantità di sostanza attiva equivalente a quella che viene
assunta in 15 e/o 28 giorni, si rileva che tale forma di somministrazione, oltre ad essere inutile, e
pleonastica nel momento in cui il signor Campanale accetta di assumere una terapia antipsicotica
orale, è addirittura pericolosa: si tratta, infatti di una misura drastica riservata esclusivamente a quelle
condizioni psicotiche croniche di lunga durata e incontrollate, nelle quali si riscontra l’indisponibilità
assoluta e insormontabile all’assunzione orale della terapia, che presenta il grave inconveniente che,
una volta somministrato il farmaco per via iniettiva, nel caso in cui si manifestassero effetti collaterali
o indesiderati fastidiosi e talora irreversibili, come la discinesia tardiva (una condizione molto simile
alla sindrome di Parkinson, ma in questo caso di natura iatrogena), non si può più rimediare, come è
possibile invece fare nel caso di una somministrazione orale, che si può sempre sospendere in via
cautelativa.
Infine, nel corso della visita del 4 agosto, la dr.ssa N offre al paziente anche la possibilità di un
colloquio di sostegno per accogliere le richieste che egli formula continuamente e sulle quali è
polarizzato il suo pensiero, per offrirgli uno spazio di ascolto adeguato alle sue esigenze.
Dal momento che il paziente è critico riguardo ai gesti autolesivi ed accetta la proposta terapeutica,
diventa del tutto superfluo prendere in esame l’opzione di un ricovero ospedaliero in tale data. Dal
giorno successivo, la valutazione di una tale opzione non competeva più alla dr.ssa N, essendo
presente la dott.ssa C, responsabile del Reparto delle Celle a Rischio, che la dott.ssa N aveva
sostituito.
Una conferma del fatto che dr.ssa N avesse valutato giustamente la disponibilità del signor Campanale
a collaborare al trattamento, propostogli nella visita del 4 agosto, è fornita dalla relazione della visita
psicologica della dr.ssa Pedrazzoli, in data 10 agosto 2009; indipendentemente dalle modalità con le
quali essa è stata effettuata - e che paiono difficilmente ricostruibili a oltre 4 anni di distanza – dalla
nota emerge chiaramente che si è trattato di un colloquio in cui il signor Campanale era “disponibile”
e propositivo ed ha formulato delle richieste assolutamente congruenti con i comportamenti attuati
durante la permanenza in carcere e finalizzati a trovare un’alternativa ragionevole alla stessa:
"Colloquio psicologico ASL su auto-segnalazione, chiede ripresa dei colloqui con gli operatori psico-
sociali ASL e dei contatti con il SERT di riferimento per l'individuazione di una struttura comunitaria
in cui eventualmente essere inserito in misura alternativa. Tranquillo e disponibile al colloquio
mostra tuttavia atteggiamenti persecutori (si volta ripetutamente per guardarsi le spalle, abbassa la
voce). Riconosce in parte il proprio stato di confusione mentale e lamenta difficoltà sostenere il
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regime carcerario". Anche in questa occasione viene segnalato il comportamento quasi abituale di
“guardarsi le spalle” – e abbiamo discusso prima il possibile significato, tutt’altro che patologico e
“psicotico”, di un tale comportamento - ma anche la consapevolezza della natura “situazionale” del
suo disagio e, soprattutto, un atteggiamento propositivo relativamente alla ricerca di una soluzione ai
suoi problemi di adattamento all’ambiente carcerario mediante la ricerca di una struttura comunitaria
alternativa: un tale atteggiamento propositivo e orientato al futuro, che non si prospetta imminente
ma richiede tempi lunghi, è evidentemente del tutto incompatibile con una progettualità suicidaria.
4.2 La sorveglianza in carcere del signor Campanale
Riguardo al trattamento del signor Campanale dopo il rientro nel carcere di san Vittore, il dottor X
rileva anche che si sarebbe dovuta valutare l’ipotesi di una “osservazione più costante” per “gestire
meglio i comportamenti autolesivi” e, quindi, implicitamente, per prevenire l’atto suicidario.
Nell’udienza del 16 luglio 2013 è stato più esplicito ed ha affermato che “Non venne presa in
considerazione l’ipotesi di una sorveglianza a vista”; non si spinge, come fa il dottor Y, a dare per
scontato che un paziente come il signor Campanale “va tenuto d’occhio costantemente, mediante
servizio di sorveglianza a vista”, la giudica anzi un male, ma comunque un “male minore” a fronte
del vantaggio di maggiori garanzie per la prevenzione di condotte autolesive e suicidarie.
Su questo tema, rilevo, innanzitutto che, se il signor Campanale fosse stato ricoverato in un reparto
di Psichiatria di un ospedale pubblico, come auspicato dal dottor X, non sarebbe certamente stato
sottoposto ad un regime di sorveglianza a vista, ma sarebbe stato collocato in una comune stanza di
un reparto ospedaliero e provvisto di lenzuola, asciugamani e altri accessori per la cura e l’igiene
personale, con l’esclusione di lamette e oggetti taglienti.
Peraltro, volendo formulare una valutazione in merito alle modalità di gestione del paziente
Campanale durante il suo ultimo periodo di detenzione nel carcere di San Vittore, si rileva che le
“regole cautelari” adottate sono state quelle suggerite dalle norme di una “buona pratica medica”,
basata su conoscenze affidabili, validate e verificabili, fornite dalle linee guida internazionali:
prescrizione di una terapia psicofarmacologica già in atto e collocazione in un regime che prevede
una forma di monitoraggio adeguata alla sua condizione clinica.
Tale condizione clinica, infatti, è stata valutata e affrontata dai medici del carcere già il 30 luglio,
quando hanno deciso, sulla base delle indicazioni del fono ministeriale - che lo destinava al CDT,
cioè un Centro Diagnostico Terapeutico - di collocarlo al Conp, avendo rilevato sulla cartella clinica
la presenza di una terapia psichiatrica; in attesa che si liberasse un posto nel reparto psichiatrico, lo
hanno ubicato in “CAR a basso rischio”, richiedendo una visita psichiatrica di controllo, non urgente,
per verificare l’idoneità della sua collocazione. Fino a questo momento appare evidente che la
gestione del paziente è stata adeguata, basata sulle informazioni cliniche fornite dal fono di
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accompagnamento - che non segnalavano nessuna acuzie, né urgenza psichiatrica (come attestato,
peraltro, dal fatto che nell’ultimo mese il signor Campanale non aveva manifestato sintomi
psicopatologici acuti, né attuato gesti autolesivi) - ma anche sulla conoscenza pregressa del paziente,
noto per aver attuato in passato alcuni gesti autolesivi e per essere in trattamento farmacologico
psichiatrico.
Quando la dr.ssa N lo ha visitato il 4 agosto, per la valutazione richiesta dai medici del carcere, si è
trovata ad affrontare durante il colloquio con il paziente sia il gesto autolesivo, compiuto 2 giorni
prima, sia la comunicazione che aveva deciso di non assumere il farmaco neurolettico (Serenase).
In questa occasione, come discusso ampiamente in precedenza, la dr.ssa N ha gestito questa evenienza
con una valutazione accurata della situazione clinica e psicopatologica e con l’adozione dei
provvedimenti suggeriti dalla propria competenza professionale, ispirati ad una prassi medica
consolidata:
con riferimento alla questione farmacologica, la dr.ssa N ha cercato di realizzare il difficile
equilibrio tra il rispetto delle esigenze e dei bisogni del paziente (il rifiuto di un farmaco
specifico, motivato da una preoccupazione ragionevole e comprensibile per i suoi effetti
collaterali spiacevoli) e la tutela della sua salute psichica, che rendeva comunque necessaria
l’assunzione di un farmaco antipsicotico; la prescrizione del Risperidone al posto del Serenase
mirava dunque alla ricerca di una alleanza terapeutica con il paziente;
per quanto riguarda la valutazione del gesto autolesivo - compiuto 2 giorni prima e di natura
assolutamente lieve (usando un coltello di plastica e senza che fossero necessari punti di
sutura) - la dr.ssa si è preoccupata di accertarsi che il paziente fosse consapevole della sua
natura reattiva all’ambiente carcerario e non riflettesse quindi una intenzionalità suicidaria.
Sulla base di questa valutazione, appare del tutto inopportuna la proposta di un aggravamento
del livello di sorveglianza, anche alla luce di tutte le evidenze fornite da innumerevoli fonti –
medici, personale sanitario, polizia penitenziaria – che concordavano sulla sua intolleranza a
questo regime di sorveglianza, in particolare a quello esteso sulle 24 ore. Una tale iniziativa
avrebbe aumentato considerevolmente il rischio della attuazione di gesti autolesivi allo scopo
di ottenere una modificazione della sua collocazione, contravvenendo non solo ai principi
della ricerca della alleanza terapeutica, ma anche alle responsabilità derivanti dall’esigenza di
tutela della salute fisica e psichica del proprio paziente, sintetizzate nella celebre massima
tuttora raccomandata ai medici che si accingono a iniziare la propria pratica clinica: “Primum,
non nocere”.