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pagina 1 di 22 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO SEZIONE 1° CIVILE composto da: dott. Umberto Scotti Presidente relatore ed estensore dott. Maria Cristina Contini Giudice dott. Guglielmo Rende Giudice ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A nella causa civile iscritta in primo grado al n. 6384 R.G.2010, avente ad oggetto: azione di responsabilità ex art.2392 c.c. CISALPINA TOURS s.p.a. con sede in Rosta, corso Moncenisio 41, in persona dell’Amm.Del. Ing. Marco Ficarra, con gli avv.ti prof. Stefano Villata e Francesco Mazzi, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in corso Matteotti 30, Torino, per procura in atti ATTRICE contro CHIANELLO FABRIZIO, residente in Rosta, via Rivoli 69/4, e DALLE GRAVE GIULIANA quale erede di Pasquale Chianello, residente in Torino via B.Buozzi 5 b, elettivamente domiciliata in Torino, piazza Maria Teresa 6, presso lo studio dell’avv. Prof.Carlo Sarasso, che li rappresenta e difende per procura in atti unitamente agli avv.ti Fabio Labruna, Francesco Paolo Ruggeri Laderchi, Giovanni Gomez Paloma, CONVENUTI MANZINI VITTORIO, residente in Milano, via Amedei 2, MANZINI MARIO, residente in Varese, via V.Isolino 31, DAL ZILIO ALBERTO, residente in Milano via privata Maria Teresa 4, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo Montironi, Sergio Fulco e Matteo Guadagnini e presso quest’ultimo elettivamente domiciliati in corso C Vittorio Emanuele II n.179 per procura in atti TERZI CHIAMATI SALOM MAURIZIO, residente in Milano, viale Bianca Maria 25 LATTUADA VALERIA, residente in Milano via Crivelli 1 GIANOLA ANDREA, residente in Milano, via Cadore 43, MICCINELLI STFANO, residente in Milano, viaTerraggio 17, http://bit.ly/2jYq9l4

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO · Marco Ficarra, con gli avv.ti prof. Stefano Villata e Francesco Mazzi, ... DAL ZILIO ALBERTO , ... GIANOLA ANDREA, residente in

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO

SEZIONE 1° CIVILE

composto da: dott. Umberto Scotti Presidente relatore ed estensore dott. Maria Cristina Contini Giudice dott. Guglielmo Rende Giudice

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A nella causa civile iscritta in primo grado al n. 6384 R.G.2010, avente ad oggetto: azione di responsabilità ex art.2392 c.c. CISALPINA TOURS s.p.a. con sede in Rosta, corso Moncenisio 41, in persona dell’Amm.Del. Ing. Marco Ficarra, con gli avv.ti prof. Stefano Villata e Francesco Mazzi, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in corso Matteotti 30, Torino, per procura in atti

ATTRICE

contro CHIANELLO FABRIZIO, residente in Rosta, via Rivoli 69/4, e DALLE GRAVE GIULIANA quale erede di Pasquale Chianello, residente in Torino via B.Buozzi 5 b, elettivamente domiciliata in Torino, piazza Maria Teresa 6, presso lo studio dell’avv. Prof.Carlo Sarasso, che li rappresenta e difende per procura in atti unitamente agli avv.ti Fabio Labruna, Francesco Paolo Ruggeri Laderchi, Giovanni Gomez Paloma,

CONVENUTI MANZINI VITTORIO, residente in Milano, via Amedei 2, MANZINI MARIO, residente in Varese, via V.Isolino 31, DAL ZILIO ALBERTO, residente in Milano via privata Maria Teresa 4, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo Montironi, Sergio Fulco e Matteo Guadagnini e presso quest’ultimo elettivamente domiciliati in corso C Vittorio Emanuele II n.179 per procura in atti

TERZI CHIAMATI SALOM MAURIZIO, residente in Milano, viale Bianca Maria 25 LATTUADA VALERIA, residente in Milano via Crivelli 1 GIANOLA ANDREA, residente in Milano, via Cadore 43, MICCINELLI STFANO, residente in Milano, viaTerraggio 17,

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TECILLA FEDERICO, residente in Trento, viale Verona 78, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Stefano Zangrando, Giovanni Paolo Maria Olivares e Giorgio Cartello e presso quest’ultimo elettivamente domiciliati in corso Matteotti 30 per procura in atti

TERZI CHIAMATI Udienza di discussione orale: 27 febbraio 2015 CONCLUSIONI PER PARTE ATTRICE: “Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, rigettate tutte le eccezioni e domande anche riconvenzionali proposte dalle controparti: in via preliminare, accettare e dichiarare la propria incompetenza a decidere sulla domanda rassegnata in via subordinata dai signori Chianello nei confronti degli amministratori non esecutivi terzi chiamati, in virtù della clausola compromissoria di cui all'art. 35 dello Statuto di Cisalpina; nel merito, accertare la responsabilità dei convenuti a mente dell'art. 2392 cod. civ. per gli atti descritti in narrativa e, per l'effetto, condannare il sig. Fabrizio Chianello e gli eredi del signor Pasquale Chianello, tra i quali la signora Giuliana Dalle Grave, nata a Santa Giustina (BL) il 310811944, C.F. DLLGLN 44M43 I206L, residente in Torino, Via Bruno Buozzi n.5/B, tale qualificatasi in sede di notifica del ricorso per riassunzione del presente giudizio, al risarcimento dei danni subiti da Cisalpina pari ad almeno 435.134,28, ovvero alla maggiore somma che risulterà di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dalla data del dovuto alla dafa del saldo; in ogni caso, con vittoria di diritti, spese ed onorari del presente giudizio: in via istruttoria: …. OMISSIS ……” CONCLUSIONI PER PARTE CONVENUTA CHIANELLO E DELLE GRAVE “Voglia l'on.le Tribunale adito, respinta ogni contraria richiesta, istanza e deduzione, così giudicare: In via preliminare, dichiarare la propria incompetenza, per l'esistenza di una clausola compromissoria nello statuto di Cisalpina. In via preliminare subordinata, dichiarare la propria incompetenza nei soli confronti del Convenuto Fabrizio Chianello, per l'esistenza di una clausola compromissoria nell'Accordo di Investimento e Patto Parasociale. Nel merito, rigettare tutte le domande promosse nei confronti dei convenuti perché inammissibili, infondate in fatto come in diritto e del tutto sfornite di prova. In via subordinata, in caso di accoglimento della domanda attrice, dichiarare la responsabilità dei terzi chiamati in causa (solidale verso Cisalpina e pro-quota verso i convenuti) condannando gli stessi a rimborsare, ciascuno per quanto di propria competenza, quanto pagato dagli odierni convenuti a seguito dell'accoglimento della domanda attrice, dedotta la quota a questi riferibile.” CONCLUSIONI PER PARTE TERZA CHIAMATA MANZINI E ALTRI “Piaccia allo Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza reietta, previe le opportune pronunce, declaratorie-anche di estinzione parziale del processo nei confronti dei terzi chiamati - e condanne così giudicare: In via preliminare: a. Autorizzare la chiamata in giudizio dei signori Guido Riccardi, Federico Della Valle e Alfonso Riggi,(Presidente del collegio sindacale e Sindaci effettivi di Cisalpina Tours S.p.A. in carica all’epoca dei fatti di causa); b. accertare e dichiarare la propria incompetenza a decidere sulla domanda rassegnata in via subordinata dai signori Chianello e Delle Grave inconseguenza dell’applicabilità della clausola compromissoria prevista dall’art.35 dello Statuto di Cisalpina, con ogni consequenziale pronuncia. Nel merito, in via Principale:

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c. rigettare la domanda formulata in via subordinata dai signori Chianello e Delle Grave in quanto inammissibile, illegittima e infondata, per tutte le ragioni di fatto e di diritto esposte in atti' d. nel denegato caso in cui dovesse essere accolta la domanda di Cisalpina, superata l’eccezione di incompetenza e accolta la domanda formulata in via subordinata dai signori Chianello e Delle Grave, accertare e dichiarare, per tutte le ragioni di fatto e di diritto esposte in atti l’obbligo dei signori Chianello e Delle Grave di tenere indenni e manlevati i signori Vittorio Manzini, Mario Manzini e Alberto Dal Zilio condannando i signori Chianello e Delle Grave, in solido tra loro o ciascuno per quanto di ragione, a rifondere ai signori Vittorio Manzini, Mario Manzini e Alberto Dal Zilio quanto essi dovessero essere tenuti a pagare a Cisalpina; e. nel denegato caso di accoglimento della domanda attrice nonché di quella formulata in via subordinata dai signori Chianello e Delle Grave nei confronti degli altri amministratori, accertare e dichiarare la responsabilità solidale dei sindaci di Cisalpina in carica all'epoca dei fatti per cui è causa, condannando gli stessi a rifondere, ciascuno per quanto di propria competenza, quanto dovuto dagli altri amministratori in ragione di tutto quanto dedotto in atti. In via istruttoria: …. OMISSIS…………… in ogni caso: g. con vittoria di competenze e spese di lite, oltre a rimborso forfetario spese generali nella misura del I5oA, oltre a IVA e CPA.” CONCLUSIONI PER PARTE TERZA CHIAMATA SALOM E ALTRI “ Piaccia all’Ill.mo Tribunale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e rejetta , così giudicare - in via preliminare, dichiarare la propria incompetenza per effetto della clausola compromissoria contenuta nello statuto di Cisalpina; - del pari in via preliminare, stante l'interruzione del processo dichiarata il 17 febbraio 2014 a seguito della morte di Pasquale Chianello, dichiarare |l’estinzione delle domande formulate da quest'ultimo contro i concludenti per la mancata prosecuzione delle stesse nei confronti dei concludenti medesimi da parte dell’erede, sig.ra Giuliana Dalle Grave, entro il termine di cui all'art. 305 cod. proc. civ.; - in subordine nel merito, rigettare in toto le domande di Pasquale e Fabrizio Chianello, assolvendo di conseguenza da ogni avversaria pretesa i dott.ri Maurizio Salom, Valeria Lattuada, e Andrea Gianola, nonché gli ing.ri Stefano Miccinelli e Federico Tecilla; - in via subordinata istruttoria ….. OMISSIS……. In ogni caso con vittoria di spese, competenze e onorari del presente procedimento.”

BREVE SINTESI DELL’OGGETTO DEL GIUDIZIO Con atto di citazione in data 28.3.2011, Cisalpina Tours s.p.a. (di seguito semplicemente “Cisalpina”) ha citato in giudizio i signori Fabrizio Chianello e Pasquale Chianello, ex amministratori delegati, al fine di vederne accertata la responsabilità, ai sensi dell’art. 2392 c.c.., per il compimento di atti di mala gestio e ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni patiti. In particolare, Cisalpina ha contestato ai convenuti la creazione di fondi occulti costituiti attraverso un particolare meccanismo, consistente nell’omessa contabilizzazione delle commissioni che gli alberghi esteri riconoscevano a Cisalpina a titolo di remunerazione per il servizio di intermediazione, prenotazione e pagamento dei pernottamenti. I convenuti Fabrizio e Pasquale Chianello si sono costituiti in giudizio, eccependo, in via preliminare, l’incompetenza del Tribunale in ragione della presenza, all’art. 35 dello Statuto di Cisalpina, di una clausola compromissoria ritenuta applicabile al caso di specie. In subordine, il solo Fabrizio Chianello ha eccepito l’applicabilità della clausola compromissoria di cui all’art. 6 dell’ “Accordo di Coinvestimento e Patto parasociale” del 15.4.2007. Nel merito, i convenuti non hanno contestato la creazione e gestione dei fondi occulti, come ricostruita nell’atto introduttivo del presente giudizio, seppur sostenendo che Fabrizio Chianello era stato semplicemente informato dal padre senza aver operato in proprio.

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I convenuti hanno però negato la sussistenza di un danno per Cisalpina, perché i fondi occulti, impiegati per doni e regalie ai managers delle aziende fornitrici e clienti, avevano generato “ingenti benefici economici” per Cisalpina, molto maggiori dei costi sostenuti. Sempre nel merito, e per il caso di accoglimento delle pretese di Cisalpina, i signori Chianello hanno sostenuto che gli altri amministratori di Cisalpina all’epoca dei fatti erano tutti a conoscenza dell’illecito oggetto di contestazione e lo avevano avallato, con conseguente responsabilità in solido dei medesimi. Conseguentemente, i signori Chianello hanno richiesto il differimento della prima udienza ai sensi dell’art. 269 c.p.c. per consentire la chiamata in causa dei signori Mario Manzini, Vittorio Manzini, Alberto Dal Zilio, Maurizio Salom, Valeria Lattuada, Stefano Miccinelli, Andrea Gianola e Federico Tecilla, proponendo nei confronti dei medesimi domanda di condanna, in solido nei confronti della società e pro quota nei propri confronti. I predetti amministratori chiamati in causa si sono costituiti, in due distinti gruppi Mario Manzini, Vittorio Manzini, Alberto Dal Zilio da un lato, Maurizio Salom, Valeria Lattuada, Stefano Miccinelli, Andrea Gianola e Federico Tecilla, dall’altro. Tutti i terzi chiamati hanno chiesto il rigetto della pretesa avanzata dai convenuti Chianello, in rito, invocando la clausola compromissoria di cui all’art. 35 dello statuto di Cisalpina, e nel merito. In seguito allo scambio delle memorie nei termini concessi ai sensi dell’art. 183, sesto comma, c.p.c., il Giudice, con ordinanza 19.7.2011 ha disposto l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio di natura contabile formulando i seguenti quesiti: “il ctu, avvalendosi di tutti i poteri, previsti dal combinato degli artt. 61 e 194 cpc (quali quello di chiedere chiarimenti alle parti, informazioni a terzi, anche ad enti, di procedere ad ispezione di documenti, ritenuti necessari all’indagine ed estrarne copia, chiedere al giudice l’ordine di esibizione dell’art. 118 e art. 213 cpc) letti gli atti dica: 1) quale sia stato il corrispettivo dei cd. diritti di agenzia, da alberghi esteri, dovuti alla spa Cisalpina durante la gestione dei convenuti Fabrizio e Pasquale Chianello e non contabilizzati a favore della società; 2) la data (anche per presunzioni) della costituzione del cd. fondo cassa occulto e quale provvista transitò su tale fondo dalla sua costituzione fino alla notifica, 2.3.2010; 3) quali erano i soggetti autorizzati ai prelievi dal cd. fondo cassa occulto e se i pagamenti furono contabilizzati (e sotto quale voce) nella contabilità e bilanci sociali; 4) determini anche per presunzioni l’eventuale danno (emergente e da lucro cessante), anche ai fini fiscali, derivato alla società attrice dalla gestione di questo fondo e dalla mancata disponibilità di esso all’attività sociale (per es. se la mancata disponibilità abbia potuto causare l’accesso al credito della società attrice)”. Il C.t.u. nominato, dott.ssa Luisella Tardito, ha risposto: sul primo quesito: “a seguito dell’analisi peritale svolta, ampiamente illustrata nel terzo capitolo, cui si

rimanda la S.V. per una più dettagliata e capillare lettura, l’esponente afferma che il corrispettivo dei cd. diritti di agenzia non contabilizzati è pari ad Euro 370.872,32”.

sul secondo quesito: “a seguito dell’analisi svolta, lo scrivente ritiene che la data di costituzione del cd. fondo cassa occulto possa essere considerata quella di emissione del primo assegno non contabilizzato: gennaio 2008. Inoltre afferma che l’importo transitato sul cd. fondo occulto, appurato in sede peritale, è pari all’ammontare dei diritti di agenzia non contabilizzati, vale a dire euro 370.872,32”.

sul terzo quesito: “i soggetti autorizzati ai prelievi risultano essere i Sig.ri Chianello Fabrizio e Pasquale. Inoltre l’esponente, a seguito della verifica documentale, conferma che gli assegni venivano contabilizzati registrando in dare il conto relativo alla banca (“UniCredit Banca Impresa”) per le entrate, ed in avere il conto cassa (“cassa biglietteria”), per le uscite”.

sul quarto quesito: ha indicato il danno totale in € 435.134,28=. Alla luce delle conclusioni del consulente tecnico, il Giudice ha tentato la conciliazione, peraltro fallita. Il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, ha respinto le richieste istruttorie formulate dalle parti, giudicate inconferenti, e ha rinviato la causa all’udienza del 27.11.2013 per la

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precisazione delle conclusioni, all’esito della quale sono stati assegnati i termini di legge per gli scritti difensivi conclusivi. Nelle more del deposito della memoria di replica, con dichiarazione notificata alle altre parti il 17.2.2014, i procuratori dei convenuti signori Chianello hanno informato del decesso del signor Pasquale Chianello, avvenuto il 13.2.2014. Il processo, dunque, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 300 c.p.c., si interrompeva in tale data. Il Giudice istruttore, preso atto della predetta circostanza, con ordinanza pronunciata in data 18.2.2014 ha rimesso la causa sul ruolo e ha fissato l’udienza del 5.3.2014 “per i provvedimenti di prosieguo”. In tale sede, il Giudice:

ha dichiarato l’interruzione del giudizio ai sensi dell’art. 300 c.p.c., ha preso atto del ricorso per la riassunzione della causa nei confronti degli eredi del

signor Pasquale Chianello, nel frattempo depositato dalla parte attrice Cisalpina, ha rinviato all’udienza del 18.6.2014 “abbreviando i termini di cui all’art. 163 bis, ultimo comma,

a giorni 45, affinché riprenda l’udienza di cui all’art. 190 c.p.c.”. In occasione di tale udienza, in seguito alla notifica eseguita in data 13.3.2014, impersonalmente e collettivamente all’ultimo domicilio del defunto, si è costituita la signora Giuliana Dalle Grave, nella sua qualità di erede del signor Pasquale Chianello, facendo proprie tutte le domande, eccezioni e argomentazioni già formulate dal de cuius, nonché insistendo per l’accoglimento delle conclusioni dal medesimo rassegnate in precedenza. In aggiunta, con il medesimo atto l’erede del signor Pasquale Chianello ha formulato istanza per la fissazione di una nuova udienza di precisazione delle conclusioni, con assegnazione di nuovi termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti difensivi conclusionali. All’esito dell’udienza il Giudice ha fissato una ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni per il 22.10.2014. In tale sede, le parti hanno precisato le rispettive conclusioni e il Giudice, trattenendo nuovamente la causa in decisione, ha assegnato i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. E’ stata quindi richiesta e fissata udienza di discussione orale della causa al 27.2.2015. Nel frattempo con provvedimento del Presidente di sezione del 20.2.2015, a causa del trasferimento del dott.Toscano, la causa è stata riassegnata quale relatore al dott. Scotti. Sulle conclusioni in epigrafe trascritte, previa ampia discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione in data 27.2.2015.

MOTIVI DELLA DECISIONE § 1. Premessa. Le questioni principali sul tappeto sono le seguenti:

a) tempestività della riassunzione della domanda di manleva da parte dell’erede di Pasquale Chianello;

b) eccezione di compromesso: per l’esistenza di clausola arbitrale statutaria nei rapporti fra attrice e convenuti; per l’esistenza di clausola arbitrale negli accordi parasociali nei rapporti fra attrice

e convenuto Fabrizio Chianello; per l’esistenza di clausola arbitrale statutaria nei rapporti fra convenuti e terzi

chiamati; c) esistenza oggettiva dei prelievi da parte dei convenuti; d) destinazione delle somme nell’interesse della società; e) sussistenza di un danno per la società.

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§ 2. L’eccezione di estinzione: introduzione. L’eccezione di estinzione del processo è stata formulata solo da un gruppo dei terzi chiamati (ossia Salom e altri) e solo nei confronti dell’erede di Pasquale Chianello, sig.ra Dalle Grave. Il sostrato dell’eccezione si basa essenzialmente sull’avvenuta interruzione di tutto il processo e sull’inefficacia e sull’inidoneità della riassunzione effettuata, tempestivamente, solo da Cisalpina, a riassumere anche il giudizio inerente la domanda di manleva verso i terzi chiamati. Tuttavia all’udienza di precisazione delle conclusioni anche i terzi chiamati Salom ed altri, che in un primo tempo non avevano sollevato espressamente l’eccezione, hanno concluso preliminarmente richiedendo “le opportune pronunce, declaratorie-anche di estinzione parziale del processo nei confronti dei terzi chiamati”, così mostrando di voler beneficiare anch’essi eventualmente della declaratoria di estinzione, sul presupposto, chiarito, per quanto potesse occorrere, all’udienza di discussione orale della causa, della rilevabilità d’ufficio dell’estinzione. Il Tribunale peraltro dovrà, nella stessa logica e per coerenza, porsi il problema della persistenza del processo anche nei rapporti fra attrice e Fabrizio Chianello, nonché fra i terzi chiamati Salom ed altri e terzi chiamati Manzini ed altri e lo stesso Fabrizio Chianello, non trattati dalle parti. § 3. Le norme. L’art.300 c.p.c., nei suoi primi due commi, recita: “Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente [morte o perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza] si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti . Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell'articolo precedente.” Il successivo art.303, in tema di riassunzione, in difetto di spontanea costituzione per la prosecuzione, dispone: “Se non avviene la prosecuzione del processo a norma dell'articolo precedente, l'altra parte può chiedere la fissazione dell'udienza, notificando quindi il ricorso e il decreto a coloro che debbono costituirsi per proseguirlo. In caso di morte della parte il ricorso deve contenere gli estremi della domanda, e la notificazione entro un anno dalla morte può essere fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell'ultimo domicilio del defunto. Se vi sono altre parti in causa, il decreto è notificato anche ad esse. Se la parte che ha ricevuto la notificazione non comparisce all'udienza fissata, si procede in sua contumacia.” Infine l’art.305, come novellato nel 2009 ad opera della legge 18.6.2009 n.69 dispone: “Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue.” Tale versione novellata si applica anche al presente procedimento, ratione temporis, in quanto lo stesso è stato radicato dopo il 4.7.2009. La norma dell’art.305 va peraltro letta tenendo conto della sentenza 6.7.1971, n. 159 della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi del precedente art. 303 decorre dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza. Infine gli ultimi due commi dell’art.307, ultimo comma, anch’esso novellato dalla legge 18.6.2009 n.69, applicabile ratione temporis al presente procedimento radicato dopo il 4.7.2009, prevedono: “Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione [, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.Quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine, questo non può essere inferiore ad un mese né superiore a tre.

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L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio.” § 4. I fatti processuali. Appare utile riassumere schematicamente i fatti processuali rilevanti e le rispettive date.

assunzione della causa a decisione, la prima volta: 27.11.2013; scadenza dei termini per gli scritti conclusionali: comparsa conclusionale 26.1.2014,

domenica, e quindi 27.1.2014, memorie di replica 16.2.2014 domenica, e quindi 17.2.2014; decesso di Pasquale Chianello: 13.2.2014; dichiarazione notificata del decesso di Pasquale Chianello ad opera del difensore:

17.2.2014 ( ultimo giorno utile per il deposito delle memorie di replica); ordinanza del GI di rimessione della causa sul ruolo per i “ provvedimenti di prosieguo”:

18.2.2014; deposito dell’atto notificato di dichiarazione della morte della parte costituita ad opera

della difesa dei convenuti; dichiarazione dell’interruzione del giudizio ai sensi dell’art. 300 c.p.c.; deposito del ricorso in riassunzione e contestuale fissazione di udienza: 5.3.2014;

notificazione dell’atto di riassunzione della causa nei confronti degli eredi di Pasquale Chianello, impersonalmente e collettivamente all’ultimo domicilio del defunto: 13.3.2014;

riproposizione della domanda da parte dell’erede del convenuto: 18.6.2014. § 5. Il decorso del termine. Il Collegio ritiene corrette le argomentazioni della difesa dei terzi chiamati Salom e altri in punto estinzione. Effettivamente l’erede di Pasquale Chianello aveva l’onere di riassumere il giudizio relativamente alle domande formulate dal suo dante causa verso i terzi chiamati, così riassumendo l’azione di regresso a suo tempo esercitata. La comparsa depositata il 18.6.2014 è evidentemente tardiva perché il suo deposito è avvenuto dopo il decorso del termine trimestrale di cui all’art.305 c.p.c. In caso di litisconsorzio facoltativo, infatti, l’evento interruttivo produce i suoi effetti non già con riferimento all’intero giudizio ma solo con riferimento ai rapporti processuali che coinvolgono il soggetto colpito (Cass.civ. SS.UU. 5.7.2007 n.15142; Cass.civ. 19.6.2009 n.14351; Cass.civ. 21.4.2011 n.9271).

“Nel caso di litisconsorzio facoltativo o di riunione di più cause connesse, qualora si verifichi un evento interruttivo che riguardi una delle parti, l'interruzione opera solo in riferimento alla causa o alle cause di cui sia parte il soggetto colpito dall'evento. Nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili, che comporta di regola un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo, l'evento interruttivo relativo ad una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento (o ai procedimenti) di cui è parte il soggetto colpito dall'evento. In tal caso non è necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, salvo sempre il potere attribuito al giudice dall'art. 103, comma 2, c.p.c., pur cui difettando una tempestiva riassunzione ovvero se questa o la ripresa del procedimento interrotto siano avvenute nei termini dell'art. 305 c.p.c., ma vi sia stata, nelle more della quiescenza da interruzione, attività istruttoria rilevante per la causa interrotta, il giudice potrà, esercitando tale potere, disporre la separazione dagli altri procedimenti di quello colpito da evento interruttivo per il quale - se necessario - potranno eventualmente rinnovarsi tutti gli atti istruttori assunti senza la partecipazione della parte colpita dalla perdita di capacità processuale.” (Cassazione civile, sez. un., 5.7.2007, n. 15142).

Del pari, l’onere di riassumere ciascuna delle cause scindibili interessate dall’evento interruttivo compete alle parti protagoniste del relativo rapporto, e sempre in considerazione della nota di

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autonomia dei rapporti processuali, la riassunzione di una parte spiega efficacia solo con riferimento alle domande che la interessano. Queste considerazioni svolte da parte dei terzi chiamati Salom e altri appaiono ineccepibili. In conseguenza il decesso di Pasquale Chianello ha interrotto non solo il corso del processo quanto alla domanda proposta da Cisalpina Tours s.p.a. verso Pasquale Chianello, ma anche quello relativo alle azioni di regresso esercitate da Pasquale Chianello verso terzi chiamati Salom ed altri (e terzi chiamati Manzini ed altri). L’evento interruttivo è stato dichiarato prima della chiusura della discussione, in una fase in cui era ancora prevista attività difensiva, ai fini dell’art.300, ult.comma. Non esiste rapporto processuale diretto fra l’attrice Cisalpina Tours s.p.a. e i terzi chiamati; se quindi Cisalpina Tours s.p.a. ha riassunto tempestivamente la propria domanda verso gli eredi di Pasquale Chianello, lo stesso non si può dire per costoro nei confronti dei terzi chiamati. Sono infatti decorsi alcuni giorni più del consentito intervallo dei tre mesi fra la data dell’interruzione (17.2.2014) e la riproposizione della domanda (18.6.2014), ma anche fra la riassunzione della causa nei confronti degli eredi di Pasquale Chianello (13.3.2014) e la predetta riproposizione (18.6.2014). Non hanno pregio le obiezioni sollevate dalla parte interessata, Giuliana Delle Grave, moglie ed erede di Pasquale Chianello. E’ verissimo, nel rispetto delle indicazioni prescritte dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata, che il termine ex art.305 c.p.c. non prende a decorrere dalla morte del de cuius né dalla dichiarazione della morte (che pur produce l’effetto interruttivo), ma dalla conoscenza legale delle circostanze da parte del soggetto che deve proseguire o riassumere il giudizio, avuta solo con la notifica del ricorso in riassunzione. Si potrebbe anche aggiungere che solo per effetto della riassunzione nei suoi confronti l’erede di Pasquale Chianello aveva interesse ex art.100 c.p.c. a riassumere, a sua volta, il giudizio per svolgere l’azione di regresso. Resta però insuperabile il fatto che fra la data della conoscenza legale e dell’insorgenza dell’interesse (13.3.2014) e la proposizione della domanda (18.6.2014) sono passati più di tre mesi. § 6. L’estensione alla posizione degli altri terzi chiamati. Anche se i terzi chiamati Manzini ed altri non hanno eccepito l’estinzione del giudizio nei loro confronti, come hanno fatto i terzi chiamati Salom ed altri, la pronuncia di estinzione deve riguardare anche il loro rapporto processuale con l’erede di Pasquale Chianello L’estinzione opera di diritto e deve essere rilevata d’ufficio ex art.307, ultimo comma, novellato e il Tribunale deve coerentemente applicare la stessa regola al caso perfettamente analogo, come del resto sollecitato (a titolo di imploratio dell’esercizio del potere officioso) dagli stessi terzi chiamati Manzini ed altri nelle conclusioni finali rassegnate e in sede di discussione orale. § 7. Esclusione dell’ulteriore estensione dell’estinzione. Pur in difetto di eccezione e per coerenza logica il Tribunale si deve porre, d’ufficio, il problema se l’estinzione abbia attinto anche gli altri rapporti processuali attrice/convenuti e convenuto Fabrizio Chianello/ terzi chiamati Salom ed altri e terzi chiamati Manzini ed altri. In effetti non vi è stata affatto riassunzione nei rapporti Cisalpina Tours s.p.a./Fabrizio Chianello e tantomeno nei rapporti Fabrizio Chianello/terzi chiamati Salom ed altri e terzi chiamati Manzini ed altri. La spiegazione però è semplice e del resto coerente con i principi sopra ricordati: l’interruzione infatti ha riguardato solo i rapporti processuali che concernevano la parte colpita dall’evento interruttivo, Pasquale Chianello, e del resto il processo afferente gli altri rapporti processuali è proseguito in sostanziale continuità: tutte le altre parti infatti, ricevuto il provvedimento del

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18.2.2014, sono comparse all’udienza del 5.3.2014, svolgendo attività e difese, e quindi all’udienza del 18.6.2014, in quell’occasione fissata. Deve quindi ritenersi – come del resto mostrano di aver inteso tutte le parti del presente processo – che sia l’interruzione sia la riassunzione riguardavano solo i rapporti processuali relativi a Pasquale Chianello. La dichiarazione di estinzione in particolare non colpisce il rapporto di regresso fra Fabrizio Chianello e i terzi chiamati Manzini ed altri e Salom ed altri. § 8. L’eccezione di compromesso per arbitri. Si è detto che l’eccezione di compromesso è stata proposta con riferimento a tre distinte prospettazioni, ossia con riferimento all’esistenza di:

clausola arbitrale statutaria nei rapporti fra attrice e convenuti; clausola arbitrale negli accordi parasociali nei rapporti fra attrice e convenuto Fabrizio

Chianello; clausola arbitrale statutaria nei rapporti fra convenuti e terzi chiamati.

§ 9. Clausola arbitrale statutaria nei rapporti fra attrice e convenuti. Secondo l’attrice la clausola di cui all’art.35 dello Statuto di Cisalpina non opera perché il suo testo non comprende le controversie fra società e amministratori, ma solo quelle fra azionisti o società e azionisti, ovvero ancora fra amministratori liquidatori e sindaci. L’attrice propugna una interpretazione letterale, invoca un precedente in termini del Tribunale di Milano e rimarca la voluta dissimmetria dell’assetto della clausola rispetto al tenore dell’art.34 d.lgs.5/2003. Parte convenuta sostiene invece la necessità di una diversa interpretazione sistematica, teleologica e conforme a buona fede della clausola nel senso di comprendere nel suo alveo anche le azioni di responsabilità. La clausola statutaria (art.35) prevede una convenzione di arbitrato che deferisce alla cognizione di un collegio di tre arbitri di “qualsiasi controversia tra gli azionisti o tra gli azionisti e la società relativa a qualsiasi diritto disponibile concernenti rapporti societari, con l’eccezione delle ipotesi in cui la legge prevede l’intervento del Pubblico Ministero”; la stessa clausola prevede poi anche il deferimento di “qualsiasi controversia proposta tra gli amministratori, liquidatori e/o sindaci della Società”. Non si vede come dissentire dalle tesi della parte attrice che rimarca che la clausola non comprende affatto le controversie fra società e amministratori, rimesse conseguentemente alla cognizione del giudice ordinario: tali controversie infatti non vertono fra soci, o fra soci e società, e ancora neppure fra amministratori. In claris non fit interpretatio. L’art.1362 c.c. se impone al giudice la ricerca della comune intenzione delle parti, senza arrestarsi al mero esame del senso letterale delle parole, richiede pur sempre il rispetto del valore semantico del linguaggio, precludendo un’attività ermeneutica in assoluto e insanabile contrasto con il significato comunemente attribuito alle espressioni usate:

“Il principio "in claris non fit interpretatio” ", anche se non può essere inteso nel suo significato letterale, posto che al giudice del merito spetta sempre l’obbligo di individuare esattamente la volontà delle parti, è sostanzialmente operante quando il significato delle parole usate nel contratto sia tale da rendere, di per sè stesso, palese l’effettiva volontà dei contraenti, nel qual caso l’attività del giudice può - e deve - limitarsi al riscontro della chiarezza e univocità del tenore letterale dell’atto per rilevare detta volontà e diventa inammissibile qualsiasi ulteriore attività interpretativa che condurrebbe il giudice a sostituire la propria soggettiva opinione alla volontà dei contraenti.” (Cass. civ. 15.5.1987 n.4472; Cass.civ. sez.lav. 29.9.1988 n.5288).

Da ultimo:

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“In tema di interpretazione del contratto, il principio "in claris non fit interpretatio" presuppone che la formulazione testuale sia talmente chiara ed univoca da precludere la ricerca di una volontà diversa. A tal fine il giudice ha il potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto, attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza della clausola contrattuale mediante l'impiego articolato dei vari canoni ermeneutici, ivi compreso il comportamento complessivo delle parti, in quanto la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l'integrazione (il senso complessivo) costituiscono strumenti interpretativi legati da un rapporto di implicazione necessario al relativo procedimento ermeneutico.” (Cassazione civile, sez. lav., 3.6.2014, n. 12360);

“In tema di interpretazione del contratto l'art. 1362 c.c. pone il principio non dell'interpretazione letterale bensì della ricostruzione della volontà delle parti, in ordine alla quale il tradizionale e non codificato principio in claris non fit interpretatio postula che la formulazione testuale sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa, quest'ultima ciò che costituisce peraltro propriamente il thema demonstrandum, e non già premessa argomentativa di fatto”. (Cassazione civile, sez. I, 13.7.2004, n. 12957).

Le obiezioni svolte da parte convenuta non sono affatto convincenti. Il principio “competence competence” e il potere degli arbitri di sindacare la sussistenza del loro potere non significa affatto che il giudice ordinario non abbia a sua volta il potere di verificare se la controversia a lui sottoposta rientri o meno nell’ambito dei suoi poteri, come del resto, ad abundantiam confermano le previsioni dell’art.819 ter in tema di eccezione di compromesso e di esclusione del rilievo della litispendenza nei rapporti fra a.g.o. ed arbitri. Altrettanto irrilevanti, ai fini in rilievo, appaiono le statuizioni della sentenza 223 del 19.7.2013 della Corte Costituzionale, che concerne il ben diverso tema dell’applicabilità dell’art.50 c.p.c. nei rapporti fra giurisdizione ordinaria e arbitri e della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda in caso di translatio judicii. Non può essere quindi condivisa una tesi che porterebbe all’assurda conseguenza che la proposizione di un’eccezione di compromesso per arbitrato porterebbe, pressoché necessariamente, alla devoluzione della causa agli arbitri con esclusione di un potere di verifica al proposito in capo al giudice ordinario. Non sussiste alcuna contraddizione fra la clausola, così interpretata e la devoluzione in arbitrato delle controversie fra amministratori e fra amministratori e sindaci: si tratta di una scelta, discrezionale e per giunta razionale, mirata ad evitare l’appesantimento delle azioni di responsabilità verso gli amministratori con il fardello delle azioni di regresso fra i soggetti chiamati in responsabilità solidale, a maggior ragione giustificata dalla vigenza all’epoca dell’intricato rito societario di cui al d.lgs.5 del 2003 e agli appesantimenti e complicazioni che tale rito comportava nel caso delle chiamate a catena. Non giova alla difesa dei convenuti la richiesta comparazione fra il testo dell’art.34 del d.lgs.5/2003 e l’art.35 dello Statuto di Cisalpina Tours s.p.a.: al contrario, le notevoli analogie e le indubitabili differenze dimostrano in modo evidente che le parti del contratto sociale hanno consapevolmente voluto escludere alcune tipologie di controversie dall’ambito di operatività della clausola compromissoria, con scelta ponderata e meditata. L’art.34, commi 1 e 4 (“Gli atti costitutivi delle società……. possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale” e “Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti” delinea l’ambito della consentita adozione di clausole compromissorie negli statuti sociali, ma, ovviamente, non determina di per sé alcun effetto. Se l’autonomia privata considera solo alcune delle controversie consentite dall’art.34 come oggetto di deferimento in arbitri non resta che concludere per la sussistenza di una scelta precisa,

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discrezionale e non sindacabile delle parti di non avvalersi della possibilità in questione, esercitata selettivamente. Nello stesso senso:

“La clausola compromissoria inserita nell'atto costitutivo di una società, che prevede la possibilità di deferire agli arbitri le controversie tra i soci, quelle tra la società e i soci nonchè quelle promosse dagli amministratori e dai sindaci, in dipendenza di affari sociali o dell'interpretazione o esecuzione dello statuto sociale, non include anche l'azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. promossa dal socio nei confronti dell'amministratore, non rilevando che quest'ultimo sia anche socio della società.” (Cassazione civile, sez. VI, 17.7.2012, n. 12333);

Tribunale di Milano sez. 8°, r.g.16822/2009 del 19.4.2012; portale www.giurisprudenzadelleimprese.it, comunque prodotta all’udienza 19.9.2012, relativa all’analoga clausola dello Statuto di Bluholding.

L’eccezione proposta dalla difesa dei convenuti va quindi respinta e confermata la sussistenza della competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria. § 10. Clausola degli accordi parasociali. Solo Fabrizio Chianello fa valere nei confronti dell’attrice Cisalpina Tours s.p.a. anche la diversa clausola compromissoria contenuta nell’ art.28 dell’“Accordo di Coinvestimento e Patto parasociale” del 15.4.2007. La questione sembra ormai trascurata negli scritti conclusionali del convenuto Fabrizio Chianello, ma, al di là del mero indizio di una scarsa convinzione nella bontà dell’argomento, l’eccezione pare ancora attuale. L’attrice Cisalpina Tours s.p.a. obietta di non essere parte di tale accordo, sotto il profilo soggettivo; il che è vero, quanto all’intesa originaria, non è vero quanto alla sua successiva adesione del 14.6.2007 di cui al doc.9 di parte convenuta, che si riferisce all’intero contenuto dell’accordo (quanto ai diritti conferiti e alle obbligazioni gravanti su Cisalpina) e pertanto anche al patto compromissorio, peraltro espressamente richiamato (art.6 che richiama la clausola 28 dell’Accordo 15.4.2007). E’ tuttavia insuperabile l’obiezione di carattere oggettivo, pure sollevata dalla parte attrice. L’accordo e la successiva adesione riguardano esclusivamente gli obblighi di stabilità di Fabrizio Chianello in Cisalpina Tours s.p.a. per il mantenimento della carica di amministratore delegato e le conseguenze della violazione di tali obblighi, senza disciplinare in alcun modo gli aspetti relativi alla sua responsabilità per atti societari di mala gestio ai sensi degli artt.2392 e segg. c.c., fatti valere nel presente giudizio, che concerne un’azione di tipo diverso caratterizzata da un diverso petitum e da una diversa causa petendi. § 11. Clausola arbitrale statutaria nei rapporti fra convenuti e terzi chiamati. Resta da esaminare l’operatività della clausola compromissoria statutaria nei rapporti fra il convenuto Fabrizio Chianello (per il quale il processo non si è estinto) e i terzi chiamati che invocano la clausola. Fabrizio Chianello sostiene che la clausola non può operare perché non stipulata direttamente fra gli amministratori e sindaci, mentre l’accettazione dell’incarico varrebbe solo a consentire alla società e non ad altri terzi, quali gli altri amministratori, di opporre la clausola all’amministratore; rispetto a questo effetto, secondo i convenuti, la società quale stipulante a favore di terzo non avrebbe un adeguato interesse proprio. La clausola già ricordata prevede il deferimento agli arbitri il deferimento di “qualsiasi controversia proposta tra gli amministratori, liquidatori e/o sindaci della Società”. Il testo di per sé è insuperabile nella sua limpida inequivocità. Né, come sopra lungamente esposto, ha il benché minimo rilievo che lo stesso Statuto non preveda invece il deferimento agli arbitri della controversie relative ai rapporti

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società/amministratori, per effetto di una scelta discrezionale di introduzione limitata dell’arbitrato, in misura ridotta e selettiva rispetto a quanto astrattamente consentito dall’art.34 d.lgs.5/2003. La posizione dei convenuti è intrinsecamente contraddittoria nel momento in cui invocano la clausola contro l’attrice (oltretutto al di fuori del suo ambito letterale) per poi rifiutarne l’applicazione nei confronti dei terzi chiamati proprio all’interno del suo ambito letterale. Nessun rilievo – precisano poi del tutto correttamente i terzi chiamati – assume la connessione fra le domande principale e di regresso, tenuto conto dell’art.819 ter c.p.c. che sancisce l’insensibilità della competenza arbitrale alla connessione tra la controversia deferita agli arbitri e altra pendente dinanzi all’a.g.o. Anche su questo punto milita in termini il precedente del Tribunale di Milano prima compiutamente richiamato e citato. Il convenuto Fabrizio Chianello sostiene però che la clausola in questione non sarebbe valida sia perché riguarderebbe rapporti fra terzi (non conditores della clausola), sia perché la società e i suoi soci non avrebbero avuto alcun interesse a pattuirla. Entrambi gli assunti non sono condivisibili. L’adesione degli amministratori alla clausola compromissoria da altri (i soci) predisposta con la redazione dello statuto, effettuata attraverso l’accettazione della carica, non ha effetto nei soli confronti della società, controparte del rapporto contrattuale, ma anche verso gli altri amministratori, pur in difetto di un rapporto contrattuale intercorrente specificamente con essi. Da un lato è irrilevante l’assenza di un vero e proprio rapporto contrattuale, essendo pienamente sufficiente l’esistenza, innegabile, di un rapporto giuridico, disciplinato dalla legge, fra gli amministratori facenti parte dello stesso organo collegiale e astretti dalla stessa responsabilità solidale. La tesi poi, per così dire “prova troppo”, ponendosi in rotta di collisione con la legge e cioè con il già menzionato quarto comma dell’art.34 d.lgs.5/2003 che non esclude affatto e anzi consente la devoluzione in arbitrato delle controversie fra amministratori, che sono, pur sempre “controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti”, in quanto sono controversie promosse da amministratori e nei confronti di amministratori. Il requisito (costituzionalmente necessitato) della volontarietà dell’adesione alla clausola compromissoria è soddisfatto dalla volontarietà dell’adesione dell’amministratore esercitata attraverso l'accettazione dell'incarico e la conoscenza presunta juris et de jure dello Statuto della società che si intende amministrare. Appare perfettamente condivisibile poi l’argomentazione svolta dalla società attrice che sostiene che lo Statuto opera quale contratto tipicamente aperto all’adesione dei terzi (nominati amministratori o sindaci o nuovi soci) che attraverso un meccanismo volontario (accettazione della carica o acquisto della partecipazione) manifestano la volontà di sottoporsi alle regole organizzative contenute nell’atto costitutivo e quindi nel caso alla clausola compromissoria. Non si verte quindi in presenza di un efficacia ultra-soggettiva del contratto in contrasto con il principio generale dell’art.1372 c.c., ma semplicemente di un contratto normativo plurilaterale, aperto alle adesioni esterne, con funzione anche organizzativa, che esplica effetti giuridici vincolanti per tutti coloro che vi aderiscono liberamente (nel caso, con un atto tipico produttivo per legge di tale effetto: id est accettazione della carica) e con valore per l’intero contenuto delle pattuizioni ivi contenute. Non è quindi pertinente il riferimento allo schema del contratto a favore di terzo di cui all’art.1411 c.c. E’ quindi pleonastico osservare che l’interesse dello stipulante (ossia i soci) a che gli amministratori utilizzino la clausola compromissoria per regolare le loro controversie (e in particolare quelle afferenti al regresso a valle dell’accertamento della loro responsabilità solidale) è indubbiamente sussistente ed apprezzabile, perché a fronte della voluta conservazione della

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competenza dell’a.g.o. per le azioni di responsabilità, la società matura l’innegabile vantaggio di non vederne ritardata o complicata la loro trattazione dagli accertamenti e dalle discussioni circa il regime di responsabilità interna dei condebitori. Vantaggio questo ulteriormente accentuato nel vigore del pregresso e abrogato regime processuale del c.d. rito societario, vigente all’epoca della redazione dello Statuto de quo. § 12. La richiesta di chiamata in causa dei sindaci. I terzi chiamati Manzini e altri insistono in linea preliminare per la chiamata in giudizio dei sindaci, ma tale richiesta è evidentemente superata dalla dichiarazione di incompetenza sulle domanda rivolta nei loro confronti, fra l’altro nel rispetto di una regola statutaria che vale anche per le controversie fra amministratori e sindaci. § 13. La creazione dei fondi occulti. La controversia è stata promossa sulla base dell’assunto della creazione e dell’utilizzo di fondi occulti, costituiti attraverso un complesso meccanismo, già provato documentalmente, e neppur contestato, imperniato sulla mancata contabilizzazione delle commissioni riconosciute a favore di Cisalpina Tours s.p.a. da parte degli alberghi esteri. L’esistenza dei fondi occulti, già oggetto di specifica indagine condotta da società specializzata, è stata apertamente riconosciuta dai convenuti, non solo in altri procedimenti, ma anche nel presente giudizio già nella comparsa costitutiva. E’ altresì pacifico che tali fondi sono stati ideati, gestiti e utilizzati da Pasquale Chianello; si controverte solamente sulla posizione di Fabrizio Chianello, che si è dichiarato informato, negando però lo svolgimento di un ruolo attivo, e sulla consapevolezza della situazione in atto da parte degli altri amministratori. In ogni caso, a parte la prova documentale e la non contestazione, le circostanze risultano acclarate anche attraverso la relazione del C.t.u. che ha analiticamente ricostruito le somme transitate sul fondo occulto, segnalando peraltro che tale accertamento era stato pacificamente accolto dalle parti in causa, come verbalizzato nel secondo incontro peritale del 21.5.2012, presenti personalmente i signori Pasquale Chianello e Fabrizio Chianello, e non solo il loro C.t.p. (cfr relazione, pag.19). Tale circostanza fa fede sino a querela di falso. Quanto alla giurisprudenza civile:

“Il consulente tecnico d’ufficio, nell’espletamento del mandato ricevuto, può chiedere informazioni a terzi ed alle parti per l’accertamento dei fatti collegati con l’oggetto dell’incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice, potendo tali informazioni, di cui siano indicate le fonti in modo da permetterne il controllo delle parti, concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del giudice; il c.t.u., in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale e, pertanto, il verbale redatto, il quale attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni, fa fede fino a querela di falso.”

(Cass.civ., 27.8.2012, n. 14652; conforme Cass.civ. 10.8.2004 n. 15411); “La querela di falso civile in via incidentale o principale è consentita contro l’atto pubblico o le scritture

private, cioè in genere contro le prove documentali precostituite, in quanto facciano fede ai sensi degli art. 2699 e 2702 c.c., ed è diretta a togliere ai medesimi la fede che dovrebbero avere o hanno nel giudizio. Ne consegue che essa è ammissibile contro il verbale redatto dal consulente tecnico di ufficio - in relazione alla qualità di pubblico ufficiale dal medesimo rivestita - costituente atto pubblico anche riguardo all’efficacia probatoria che esso spiega in ordine ai fatti che il consulente asserisce essersi verificati in sua presenza, ma non anche contro il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, la quale pur se redatta per iscritto si distingue dalla prova documentale e non fa pubblica fede delle affermazioni o constatazioni o giudizi in essa contenuti, potendo essere confutata con tutti i mezzi di prova senza necessità dell’esperimento della querela di falso, né impegnando il giudice, che può approvarla o disattenderla.” (Cass.civ., sez. III, 24.5.2007, n. 12086);

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“Il consulente tecnico, nell’espletamento del mandato ricevuto, può chiedere informazioni a terzi ed alle parti, per l’accertamento dei fatti collegati con l’oggetto dell’incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice e queste informazioni, quando ne siano indicate le fonti, in modo da permettere il controllo delle parti, possono concorrere con le altre risultanze di causa alla formazione del convincimento del giudice; il c.t.u., nella verbalizzazione di siffatte informazioni, in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale e, pertanto, l’atto da lui redatto, il quale attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni fa fede fino a querela di falso.”. (Cass.civ. 10.8.2004, n. 15411; 9.4.2010 n. 5671; Cass. 11.3.1995 n. 2865).

Quanto alla posizione specifica di Fabrizio Chianello e l’assenza di un suo ruolo attivo, la questione sembra effettivamente irrilevante poiché l’amministratore, a norma dell’art.2392, comma 2, c.c., a conoscenza di un fatto pregiudizievole, è tenuto a intervenire per impedirne il compimento o eliminarne e attenuarne le conseguenze dannose. Ora, poiché Fabrizio Chianello, ammette di essere a conoscenza del fondo occulto e del suo funzionamento e delle attività del padre ed è pacifico che, nella migliore delle ipotesi, è restato inerte, la sua responsabilità solidale è assodata. Per vero, come emerge dalla relazione peritale e come è in ogni modo pacifico, solo i due Chianello erano autorizzati ai prelievi. In alcuni casi, poi (cfr docc. 112/82; 12a; 12b di parte attrice) risulta che gli assegni sono stati incassati proprio da Fabrizio Chianello e da questi utilizzati in proprio. E’ infine del tutto irrilevante l’assunto di parte convenuta che la prassi dei fondi occulti risalisse ad epoca antecedente all’acquisizione di Cisalpina Tours s.p.a. da parte di Bluholding, fosse stata interrotta nelle fase di trattative e quindi ripresa. E’ altrettanto irrilevante, poi, che tale prassi fosse nota agli altri amministratori o addirittura da alcuni di essi espressamente autorizzata. In primo luogo ciò non è provato (vedi oltre quanto alle offerte probatorie al riguardo), in secondo luogo è irrilevante perché significherebbe solamente che la responsabilità della condotta illecita dovrebbe essere condivisa anche con altre persone. § 14. L’antigiuridicità in sé. Secondo il Tribunale la condotta accertata costituisce di per sé comportamento antigiuridico fonte di responsabilità dell’amministratore verso la società, quand’anche fosse vero quanto sostenuto da parte dei convenuti circa l’impiego delle risorse occulte così alimentate nell’interesse e a vantaggio di Cisalpina, perché i fondi occulti sarebbero stati destinati all’acquisto di doni e regalie per i managers delle aziende fornitrici e clienti, generando “ingenti benefici economici” per Cisalpina, molto maggiori dei costi sostenuti. I convenuti hanno meglio chiarito (ad esempio, cfr conclusionale, pag.11) che con i fondi:

si acquistavano omaggi di valore o anche regalie in contanti a favore di dirigenti di aziende clienti per ottenere una rettifica dei conteggi reali e ed evitare il riconoscimento di sconti invece contrattualmente spettanti;

si acquistavano omaggi di valore o anche regalie in contanti a favore di dirigenti di aziende fornitrici per ottenere la rinegoziazione di over commissions a vantaggio di Cisalpina Tours s.p.a., invece contrattualmente non spettanti;

per remunerare in nero con integrazioni salariali e premi per ragioni prettamente fiscali collaboratori già titolari di trattamento pensionistico.

Si tratta evidentemente, al di là dei sapienti eufemismi utilizzati negli atti processuali di parte convenuta, di attività antigiuridiche e illecite e non solo sotto il profilo strettamente societario. Le attività accennate si risolvono, da un lato, nell’intrattenimento di rapporti lavorativi “in nero” per ragioni di evasione fiscale in concorso con i beneficiari del trattamento, dall’altro, in una vera e propria “corruzione” di dirigenti di altre imprese per indurli a comportamenti infedeli in danno della loro organizzazione e a vantaggio patrimoniale di Cisalpina.

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La corruzione tra privati non figura fra i reati di corruzione previsti dal codice penale che contempla soltanto la corruzione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio perché compia un atto contrario ai doveri del suo ufficio o servizio, o un atto del suo ufficio o servizio. Infatti i reati di corruzione disciplinati dagli artt. da 318 a 322 ter c.p. presuppongono la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio del funzionario. Molto si è discusso circa l’opportunità dell’introduzione di una figura di reato più generale per la “corruzione fra privati”. Autorevole dottrina ha affermato che a fianco della corruzione del soggetto pubblico dovrebbe essere punita, con sanzione appropriata, anche la corruzione fra privati, cioè la tangente pagata o promessa ad un amministratore, dirigente o dipendente di una società perché esso assegni una commessa, faccia vincere un appalto, disponga una fornitura, …. assumendo la necessità di stroncare tale fenomeno, perché danneggia l’azienda, altera le regole della concorrenza, turba il mercato, incide negativamente (modificandoli a danno dei consumatori) sui costi della produzione o della distribuzione e, conseguentemente, sui prezzi dei prodotti. Nel 2002 un primo intervento legislativo, in sede di riforma dei reati societari, ha introdotto nel codice civile due reati d’infedeltà patrimoniale: l’“infedeltà patrimoniale” di cui all’art. 2634 c.c. e l’“infedeltà patrimoniale a seguito di dazione o promessa di utilità” di cui all’art. 2635 c.c., il primo volto a colpire gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i responsabili della revisione delle società che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di assicurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, compiono atti di disposizione di beni sociali cagionando intenzionalmente alla società un danno; il secondo volto a punire gli stessi soggetti che, “a seguito della dazione o della promessa di utilità”, compiono od omettono atti cagionando un danno alla società. E’ stata così prevista la punibilità di chi, al vertice di una società, o suo controllore, riceve o accetta la promessa di denaro o di altra utilità scambiando tale utilità con atti che danneggiano la società stessa. Non ricade tuttavia nell’ambito della norma il fatto di chiunque, operando nel privato, stipula un patto corruttivo con un altro privato dando o promettendo (in cambio della promessa o della dazione di denaro o di altra utilità) atti di favore (assegnazione di forniture, assegnazione di lavori, appalti, e via dicendo). L’infedeltà patrimoniale introdotta dall’art.2634 c.c. si riferisce solo agli atti dispositivi di beni sociali da parte dei soggetti “apicali” e non ai meri dirigenti, funzionari o impiegati “Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.” Il successivo art.2635 (in tema di corruzione fra privati) è stato più volte modificato a partire dal 2002 e introdotto nel testo attuale nel nostro ordinamento solo nel 2012 (e quindi successivamente rispetto ai fatti di causa): “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

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Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.” Il testo precedente, modificato dall'art. 15, comma 1, lett. b), l. 28.12.2005, n. 262 e dall'art. 37, comma 36, del d.lgs. 27.1.2010, n. 39, e il cui terzo comma era stato inserito dall'art. 39, l. n. 262, cit., in tema di “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”, vigente all’epoca dei fatti, recitava: “Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Si procede a querela della persona offesa.” Nella sostanza, all’epoca dei fatti per cui causa, le figure specifiche di reato vigenti non concernevano l’infedeltà procurata del mero dirigente o funzionario dell’azienda cliente e fornitrice; v’è però anche da rilevare che parte convenuta non ha ben chiarito nomi e funzioni dei soggetti corrotti, che ben potevano essere anche amministratori e direttori generali. Pare tuttavia èassorbente il rilievo che un simile comportamento può ben integrare in concreto anche il delitto di truffa ai sensi dell’art.640 c.p. visto che sussistono:

gli artifizi o raggiri (l’impresa fornitrice o cliente è ingannata dal proprio dirigente che agisce in collusione con il corruttore, perseguendo un interesse privato sottaciuto in conflitto con la propria società);

l’induzione in errore (l’impresa crede alla rappresentazione della realtà contrattuale prospettata dal proprio dirigente infedele);

l’ingiusto profitto (lo sconto non dovuto o l’over commission non applicata, in contrasto con la regolamentazione contrattuale);

il danno dell’altra impresa rispetto ai propri diritti contrattuali; il dolo, visto che tutto ciò presuppone rappresentazione e volizione dell’intero

meccanismo e dei vantaggi conseguenti. In secondo luogo tale condotta, oltre che illecita in sé e verso terzi, lo è automaticamente e necessariamente verso la società, esponendola alle azioni risarcitorie da parte delle imprese danneggiate in modo antigiuridico sotto il profilo della genuinità del meccanismo della formazione della loro volontà contrattuale.. In terzo luogo, altrettanto automaticamente e necessariamente, la creazione e gestione di fondi occulti determina la violazione dei principi di redazione del bilancio secondo chiarezza, verità e correttezza (art.2423 cc.) posti a presidio degli interessi non solo dei soci ma anche dei terzi e stante la natura dolosa delle condotte comporta probabilmente anche la consumazione dei reati di false comunicazioni sociali (art.2621 e 2622 c.c.). Sul punto, in linea generale suona pienamente condivisibile la decisione del Tribunale di Milano, sez.8° civile, del 21.4.2005 (Giur.Comm. 2007,675), secondo cui:

“Ai fini dell'accertamento dell'esistenza di un eventuale rapporto di collegamento funzionale dell'atto di costituzione di fondi extrabilancio all'oggetto dell'attività economica esercitata dall'impresa gestita dalla società, la valutazione dell'atto di gestione dei fondi deve essere svolta secondo un criterio di normalità;

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l'atto illecito, al contrario, non potrebbe mai essere considerato in rapporto di strumentalità rispetto a qualsiasi oggetto sociale. La costituzione di c.d. fondi neri o occulti, di per sé, costituisce un'operazione che si pone in conflitto con gli scopi della società e con i suoi stessi interessi a porgersi nel mercato con criteri di gestione economica trasparenti e corretti, non potendosi sostenere la pertinenza all'oggetto sociale o la corrispondenza all'interesse sociale di atti che tendono a costituire e posizionare altrove elementi del patrimonio della società, privandoli della funzione di strumentalità con l'attività della società.”

Parte attrice ricorda che il Tribunale di Milano, sezione 8°, con sentenze del 2.7.2013 e 25.6.2013 ha ritenuto che la società attrice in risarcimento del danno deve solo provare l’uscita di cassa di somme prelevate dall’amministratore che invece è tenuto a provare e giustificare gli impieghi effettuati: il principio peraltro è sin troppo ovvio, alla stregua delle regole sul mandato, ed è tranquillamente condivisibile. Le due pronunce sono state reperite nel sito Giurisprudenzadelleimprese.it:

“In tema di violazione dei doveri di corretta gestione del patrimonio sociale da parte dell’amministratore, la società che agisca per il risarcimento del danno deve soltanto provare l’uscita dalle proprie casse di somme prelevate dall’amministratore o di pagamenti da questi effettuati, limitandosi alla mera allegazione dell’ingiustificatezza di tali operazioni, mentre l’amministratore convenuto, al fine di andare esente da responsabilità, è gravato dall’onere di provare la giustificazione di merito riguardo le operazioni contestate (nella specie, il Tribunale, da un lato, ha affermato la responsabilità dell’amministratore in relazione ai suoi periodici prelievi di somme dai conti correnti della società, rispetto alle cui causali lo stesso amministratore ha dichiarato di non poter dare spiegazione e, dall’altro lato, ha escluso la responsabilità dell’amministratore in relazione agli assegni dallo stesso emessi a favore di beneficiari indiscutibilmente risultanti tra i fornitori della società poi fallita, in un contesto in cui, pur in mancanza di corrispondenza tra tali pagamenti e le fatture ricevute, il curatore fallimentare non aveva preso posizione circa la corrispondenza di tali uscite a debiti pregressi e aveva riconosciuto una sostanziale coerenza tra la situazione crediti/debiti fotografata con l’ultimo bilancio depositato e quella invece emersa in sede fallimentare, con un proporzionale decremento di entrambe le voci).”

“…..il convenuto, non costituendosi in giudizio, ha omesso di ottemperare all’onere probatorio, posto a suo carico secondo i principi generali, di dare puntuale spiegazione delle discrasie tra incassi contabilizzati e somme confluite sul conto corrente della società.”

Per queste ragioni il Tribunale ritiene irrilevante l’eventuale impiego delle somme distratte per i fini sostenuti dalla difesa dei convenuti. Se anche fosse vero e dimostrato l’impiego di ogni centesimo distratto dalle case sociali per i fini sopra ricordati, l’illecito esiste di per sé. § 14. La mancata prova degli impieghi. In ogni caso i convenuti non hanno affatto fornito la prova di quanto asseriscono circa l’impiego delle somme in questione per finalità e interessi latu sensu sociali. Pacifico, ammesso e provato il prelievo, erano i convenuti a dover dimostrare l’uso che avevano fatto delle somme in questione alla luce della regola dell’onere probatorio anche nella logica distorta sopra analizzata e disattesa. Tale prova non è stata fornita né offerta. § 15. La pretesa non contestazione. La circostanza è stata contestata puntualmente e specificamente, per quanto potesse occorrere da Cisalpina Tours s.p.a. nella propria memoria istruttoria ex art.183, comma 6, n.1, pagg.10-11, ossia nella prima difesa scritta successiva all’avversaria costituzione ai sensi e per li effetti dell’art.115 c.p.c. : sono stati contestati i benefici indebiti e le regalie effettuate, in modo chiaro e inequivoco. Peraltro neppure occorreva la contestazione espressa perché l’onere di contestare va parametrato alla sussistenza di una allegazione chiara, precisa e specifica, che nel caso non

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era affatto configurabile nella generica allegazione della prassi di regalie corruttive, prive di ogni riferimento a fatti specifici e circostanziati, nomi, persone, aziende, date, episodi, luoghi, cifre, conteggi, ossia a fatti e elementi suscettibili di essere verificati e dati per non controversi. Il principio della correlazione, intima e necessaria fra allegazione e necessità della contestazione è stato chiaramente espresso in giurisprudenza, da ultimo anche dalle Sezioni Unite:

“Il giudice, in presenza della produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, deve adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell'art. 115 c.p.c. come novellato dalla l. 18 giugno 2009 n. 69, art. 45 comma 14, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della qualità di erede e, nell'ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta.”(Cassazione civile, sez. un., 29.5.2014, n. 12065);

“In ipotesi di controversia instaurata, vigente l'art. 167 cod. proc. civ. come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, da medici specializzatisi anteriormente all'anno 1991/1992 per ottenere il risarcimento dei danni ad essi causati dal tardivo recepimento di direttive comunitarie, il sorgere, per l'amministrazione convenuta, dell'obbligo di contestazione specifica è collegato alla sola precisa allegazione dei fatti addotti dagli attori a sostegno della loro pretesa, non anche alla documentazione dei relativi presupposti soggettivi, sicché la limitazione della difesa della prima alla sola eccepita prescrizione comporta che, una volta disattesa quest'ultima, tali presupposti devono ritenersi provati.” (Cassazione civile, sez. VI, 11.9.2013, n. 20870).

E del resto che il punto fosse rimasto controverso lo ha riconosciuto implicitamente anche la difesa dei convenuti deducendo capitoli di prova al riguardo con la sua seconda memoria ex art.183/6 c.p.c. (capi 3-4). § 15. Le deduzioni istruttorie sul punto dei convenuti. Le deduzioni istruttorie sul punto dei convenuti sono state respinte dal Giudice istruttore, con una sintetica valutazione di non conferenza (ord.3.12.2012). Le istanze sono state coltivate ancora in sede di precisazione conclusioni, ma il Collegio condivide pienamente la reiezione già comminata. I capi 3 e 4 della seconda memoria ex art.183/6 c.p.c. sono palesemente inammissibili per la loro assoluta genericità, privi come sono del benché minimo riferimento a circostanze di tempo, di luogo e di contesto delle dazioni, di indicazioni di cifre e di beni, e di ogni riferimento soggettivo a persone e aziende, in flagrante violazione dell’art.244 c.p.c. e con evidente lesione del diritto al contradditorio e alla controprova. § 16. L’effetto di inscindibilità della confessione. Neppure merita approvazione la tesi delle parti convenute che invoca l’effetto di inscindibilità della confessione ex art.2734 c.c. per rinfacciare a parte attrice di aver invocato le ammissioni qualificate di Pasquale Chianello, rese in altro processo, senza trarne le conseguenze in tema di dichiarazioni aggiunte (nella specie in tema di utilizzo “a fini sociali” delle somme stornate nei fondi occulti). Da un lato, la parte convenuta invoca fuor di luogo l’istituto delle dichiarazioni aggiunte alla confessione e l’effetto di inscindibilità dell’ammissione, disciplinato dall’art.2734 c.c., che presuppone, per sua stessa natura, l’unitarietà del fatto ammesso, che la parte interessata non può utilitaristicamente separare nella sua composizione. Nella fattispecie invece si tratta di due fatti del tutto distinti, ben suscettibili di essere l’uno vero e l’altro falso e viceversa; è cioè ben possibile che i convenuti abbiano distratto somme dalle casse di Cisalpina per alimentare un fondo occulto (fatto ammesso), ma non li abbiano, in tutto o in parte impiegati per remunerare i dirigenti infedeli di altre aziende; ben diversa è l’ipotesi, per

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esempio in cui Tizio, accusato di aver colpito al capo Caio, ammetta di averlo fatto utilizzando un oggetto contundente trovato sul posto e non con un manganello portato da casa. In secondo luogo, le dichiarazioni aggiunte rivolte a infirmare l’efficacia del fatto confessato debbono essere precise e specifiche e nel caso, come si è detto ripetutamente, non lo sono affatto. In terzo luogo, le dichiarazioni debbono essere idonee a “a infirmare l'efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o a estinguerne gli effetti” e nella fattispecie non lo sono, per quanto sopra argomentato circa l’intrinseca antigiuridicità della condotta in questione. In quarto luogo, la valutazione circa il carattere o meno contestato di una circostanza va condotta con riferimento al comportamento della parte interessata nel processo ed è fuor di dubbio, come sopra argomentato, che nel presente giudizio parte attrice ha contestato specificamente e tempestivamente la generica affermazione avversaria. Infine, parte attrice si è limitata a segnalare l’ammissione della creazione dei fondi occulti anche in altri processi, circostanza peraltro ammessa anche in questa sede, nel contesto di un atto difensivo in cui la circostanza specifica della destinazione delle somme in questione a doni e regalie era stata espressamente e specificamente contestata. § 17. L’omissione di rendiconto. E’ solo per completezza, stanti gli argomenti assorbenti sopra illustrati che il Tribunale si induce ad osservare, conclusivamente, che la tesi dei convenuti –a tutto concedere - finirebbe con l’esonerare gli amministratori da qualsiasi obbligo di rendiconto delle somme distratte e asseritamente impiegate per generare vantaggi alla società. Se anche quest’intento fosse rilevante e scriminante – e non lo è - l’amministratore dovrebbe pur sempre dar conto almeno a società e soci del proprio operato; tralasciamo, a fini dialettici, in questa argomentazione i terzi e il mercato irremediabilmente pregiudicati dalle rappresentazioni contabili infedeli. Resta il fatto che Pasquale Chianello e Fabrizio Chianello non danno minimamente conto della loro attività e pretendono di essere creduti sulla fiducia circa il fatto che ogni singolo centesimo prelevato sia stato destinato a generare vantaggi di sistema, peraltro non controllabili né verificabili, il tutto senza trattenere un singolo centesimo a proprio favore: cosa fra l’altro smentita in un caso documentalmente. § 18. Gli altri amministratori. Secondo i convenuti la destinazione delle somme era nota anche agli altri amministratori. La circostanza è stata offerta a prova in modo del tutto generico e inammissibile con il capo 1 della seconda memoria istruttoria di parte convenuta ex art.183/6 c.p.c. La conoscenza da parte di alcuni impiegati o collaboratori ( capo 2) è del tutto irrilevante). Il fatto che della prassi del fondo fossero stati informati e consenzienti il dott. Miccinelli e il sig. Vittorio Manzini (capi 7 e 8) o il dott. Tedeschi (peraltro dirigente del Gruppo (capi 9-10) è del tutto irrilevante in questa sede e non esclude o attenua la responsabilità dei convenuti; semmai accresce il numero dei responsabili. Le circostanze non rilevano comunque in questa sede, specie dopo la ravvisata incompetenza in punto azione di regresso. Analogo ragionamento vale per l’elemento documentale rappresentato dalle difese dei convenuti circa il report di due diligence KPMG e all’allegato contrattuale che si riferisce al potenziale rischio relativo a scorretta contabilizzazione di ricavi relativi a sconti su viaggi e sulla biglietteria aerea e commissioni dei corrispondenti esteri, che è cosa del tutto diversa dall'occultamento delle entrate per creare fondi extra-bilancio e dalla fuoruscita di cassa di somme di denaro del tutto opache e non rendicontate.

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Nel primo documento (doc.10 convenuti) si accenna alla rilevanza delle relazioni interpersonali di Pasquale Chianello nel rapporto con Alitalia al fine di ottenere over commissions a rigore non spettanti; il che è circostanza piuttosto generica, priva di qualsiasi accenno a prassi di regalie e uscite di cassa in nero ; altrettanto ininfluente nella stessa prospettiva appare il contestuale accenno al rilievo aziendale attribuito alla persona di Pasquale Chianello in tema di determinazione delle commissioni da retrocedere e fatturare. Né pare più significativo nella prospettiva indagata il doc.11 dei convenuti, ossia l’allegato al contratto preliminare di acquisizione, che parla, anche qui molto genericamente, di scorretta contabilizzazione dei ricavi relativi a sconti, biglietteria aerea e commissioni corrisposte da hotels esteri: le irregolari contabilizzazioni sono cosa ben diversa dai prelievi non giustificati per creare fondi occulti di oscuro utilizzo. Il tutto senza ancora sottolineare che la consapevolezza di altri soggetti non renderebbe lecita la prassi. § 19. Il quantum debeatur Fabrizio Chianello e Pasquale Chianello e per esso i suoi eredi, debbono quindi rispondere dei danni cagionati alla società ai sensi dell’art.2392 c.c., secondo il quale “Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori.” Per quanto possa occorrere, Fabrizio Chianello, quand’anche non avesse, come invece ha, operato in proprio, deve comunque rispondere del fatto del padre ai sensi del comma secondo dello stesso articolo, secondo il quale: “In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Il danno è necessariamente parametrato all’intera cifra sottratta di cui, come si è detto, non è provato alcun lecito utilizzo. A tacer di tutte le pregresse considerazioni (illiceità ex se, omissione del rendiconto in nero) non è affatto provato l’impiego delle somme per agevolare indebitamente la società. Dalla documentazione prodotta da Cisalpina Tours s.p.a. e dalla consulenza tecnica è emerso che tutta una serie di assegni emessi dalle agenzie collettrici erano stati versati in banca a fronte di scrittura contabile “da banca a cassa”, senza registrare i ricavi conto economico, il tutto per la complessiva somma di € 370.895,92=. A tale somma va aggiunto quale ulteriore danno da lucro cessante l’importo conteggiato dal C.t.u. solo sul danno emergente, senza dar rilievo alle imposte teoriche, per compensare la società delle risorse finanziarie non potute avere a disposizione, suscettibili di investimento o anche solo idonee a ridurre proporzionalmente l’esposizione bancaria. Del resto si verte in tema di debito di valore da fatto illecito, su cui competono rivalutazione monetaria e interessi moratori. Il relativo conteggio, non specificamente contestato e criticato, conduce al complessivo importo di € 435.134,28=; sulla parte capitale di tale importo (€ 370.895,92=) decorrono gli interessi legali dalla data del deposito della c.t.u. sino al saldo. § 20. Le spese processuali. Le spese processuali seguono la soccombenza che grava sulle parti convenute sia verso parte attrice, nel merito, sia verso i terzi chiamati, in rito e per diverse ragioni (a carico di Pasquale Chianello per l’operatività della clausola compromissoria; a carico dell’erede di Pasquale Chianello, per l’estinzione del processo).

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Pertanto Fabrizio Chianello e Giuliana Delle Grave, quale erede di Pasquale Chianello, in solido fra loro dovranno pagare a titolo di rifusione spese processuali:

a favore di Cisalpina Tours s.p.a.: o la somma di € 908,00= per esposti; o la somma di € 39.278,75= per compensi professionali, avuto riguardo ai parametri

di cui al DM 55/2014 (e cioè € 5.200,00.= per la fase di studio, € 2.640,00= per la fase introduttiva, € 8.125,00= per la fase istruttoria, € 6.480,00= per la fase decisoria, più aumento dei ¾ ex art.2, 4 e 11 d.m. 55/2014, per € 16.833,75= tenuto conto della complessità della causa e della presenza di più parti, ancorché non tutte in contraddittorio diretto);

o escluso l’aumento per incarico collegiale ex art.8 D.M.55/2014; o oltre 15% rimb.forfettario spese generali e oneri fiscali e previdenziali di legge; o nulla per il compenso al c.t.p., non documentato in atti, quanto alla spesa e

neppure quanto all’effettività dell’obbligazione di esborso attraverso l’emissione di parcella/fattura (cfr Cass.civ.7.2.2006 n.2605; 25.3.2003 n.4357);

a favore dei terzi chiamati Salom e altri: o la somma di € 39.278,75= per compensi professionali, avuto riguardo ai

parametri di cui al DM 55/2014 (e cioè € 5.200,00.= per la fase di studio, € 2.640,00= per la fase introduttiva, € 8.125,00= per la fase istruttoria, € 6.480,00= per la fase decisoria, più aumento dei 3/4ex art.2,4 e 11 d.m. 55/2014, per € 16.833,75= tenuto conto della complessità della causa e della presenza di più parti, ancorché non tutte in contraddittorio diretto);

o oltre 15% rimb.forfettario spese generali e oneri fiscali e previdenziali di legge; o nulla per il compenso al c.t.p., non documentato in atti, quanto alla spesa e

neppure quanto all’effettività dell’obbligazione di esborso attraverso l’emissione di parcella/fattura (cfr Cass.civ.7.2.2006 n.2605; 25.3.2003 n.4357;

a favore di terzi chiamati Manzini ed altri: o la somma di € 21.744,00= per compensi professionali, come richiesto, avuto

riguardo ai parametri di cui al DM 55/2014 (e cioè € 5.200,00= per la fase di studio, € 2.640,00= per la fase introduttiva, € 7.454,00= per la fase istruttoria, € 6.480,00= per la fase decisoria),

o oltre 15% rimb.forfettario spese generali e oneri fiscali e previdenziali di legge; L’onere della c.t.u. della dott.ssa Tardito nei rapporti fra le parti e senza pregiudizio per le ragioni del C.t.u. rivenienti dal decreto 12.6.2012 in atti, va posto in via definitiva a carico delle parti convenute.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando; respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione; dichiara estinto il procedimento ex artt.305 e 307, ultimo comma c.p.c. nei rapporti fra Giuliana Dalle Grave, quale erede di Pasquale Chianello, e i terzi chiamati Maurizio Salom, Valeria Lattuada, Stefano Miccinelli, Andrea Gianola e Federico Tecilla e i terzi chiamati Mario Manzini, Vittorio Manzini, Alberto Dal Zilio; respinge l’eccezione di incompetenza per presenza di clausola compromissoria nei rapporti fra la parte attrice e i convenuti Fabrizio Chianello e Giuliana Dalle Grave, quale erede di Pasquale Chianello; dichiara la propria incompetenza a conoscere della domanda proposta da Fabrizio Chianello verso i terzi chiamati Maurizio Salom, Valeria Lattuada, Stefano Miccinelli, Andrea Gianola e

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Federico Tecilla e i terzi chiamati Mario Manzini, Vittorio Manzini, Alberto Dal Zilio, per essere competente il Collegio arbitrale di cui all’art.35 dello Statuto di Cisalpina Tours s.p.a.; dichiara tenuti e condanna, in solido fra loro, Fabrizio Chianello e Giuliana Dalle Grave, quale erede di Pasquale Chianello, a pagare a Cisalpina Tours s.p.a., a titolo di risarcimento danni la somma di € 435.134,28=, con gli interessi legali ulteriore sul capitale (€ 370.895,92=) dal 1°.6.2012 al saldo effettivo; dichiara tenuti e condanna, in solido fra loro, Fabrizio Chianello e Giuliana Dalle Grave, quale erede di Pasquale Chianello, a pagare a titolo di rifusione spese processuali:

a favore di Cisalpina Tours s.p.a. la somma di € 40.186,75=, oltre 15% rimb.forfettario spese generali e oneri fiscali e previdenziali di legge;

a favore dei terzi chiamati Maurizio Salom, Valeria Lattuada, Stefano Miccinelli, Andrea Gianola e Federico Tecilla la somma di € 39.278,75 per compensi professionali, oltre 15% rimb.forfettario spese generali e oneri fiscali e previdenziali di legge;

a favore dei terzi chiamati Mario Manzini, Vittorio Manzini, Alberto Dal Zilio, la somma di € 21.744,00= per compensi professionali, oltre 15% rimb.forfettario spese generali e oneri fiscali e previdenziali di legge;

pone l’onere della c.t.u. della dott.ssa Luisella Tardito nei rapporti fra le parti e senza pregiudizio per le ragioni del C.t.u. rivenienti dal decreto 12.6.2012 in atti, in via definitiva a carico delle parti convenute Fabrizio Chianello e Giuliana Dalle Grave, quale erede di Pasquale Chianello. Così deciso in Torino nella camera di consiglio della sezione 1° civile, il 27 febbraio 2015

Il Presidente relatore ed estensore dott.Umberto Scotti.

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