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1 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO - R O M A RICORSO per l’A.I.O.P. - ASSOCIAZIONE ITALIANA OSPEDALITA’ PRIVATA (C.F. 80202430585) in persona del legale rappresentante p.t. prof. Gabriele Pelissero, nonchè delle Case di Cura Villa Serena con sede in Cassino (FR) C.so della Repubblica n. 204, C.F. 00250370608 in persona del legale rappresentante p.t. Anna Panaccione, Casa di Cura Villa Silvana (gestita dalla Soc. Villa Silvana SpA) con sede in Aprilia (LT) viale Europa n. 1/3 C.F. 05616331004 in persona del legale rappresentante p.t. Dott. Carlo Cerulli, Villa Carla (gestita dalla Soc. Villa Carla srl) con sede in Aprilia (LT), viale Italia (angolo V.le Europa), (C.F.: 06457601000) in persona del legale rappresentante p.t. dott. Carlo Cerulli; Casa di Cura Nuova Santa Teresa (gestita dal Gruppo RO.RI srl), con sede in Roma, Via dei Valeri n. 1 C.F. 06526200586, in persona del Presidente c.d.a. dott. Fabio Angelucci, Policlinico Italia s.r.l. con sede in Roma, Piazza del Campidano n. 6 C.F. 05600591001, in persona del vice presidente p.t. dott. Stefano Monamì; Casa di Cura Villa Luana (gestita dalla GIFI s.r.l.) con sede in Poli (RM) Loc. Valle Orlanda C.F. 01140510585, in persona del suo legale rappresentante p.t. Dott.ssa Giuseppina Dore, I.N.I. Istituto Neurotraumatologico Italiano srl con sede in Roma Via Torino n.122 C.F. 01618340580 in persona del legale rappresentante p.t. sig.ra Nadia Proietti, Casa di Cura Villa Aurora S.p.A., con sede in Roma Via Mattia Battistini, 44 C.F. 01596310589, in persona del legale rappresentante p.t. sig.ra Gaetana Zoppoli; Casa di Cura Città di Aprilia s.r.l., con sede in Aprilia (RM) via delle Palme n. 25, C.F.

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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

- R O M A –

RICORSO per

l’A.I.O.P. - ASSOCIAZIONE ITALIANA OSPEDALITA’ PRIVATA

(C.F. 80202430585) in persona del legale rappresentante p.t. prof. Gabriele

Pelissero, nonchè delle Case di Cura Villa Serena con sede in Cassino (FR)

C.so della Repubblica n. 204, C.F. 00250370608 in persona del legale

rappresentante p.t. Anna Panaccione, Casa di Cura Villa Silvana (gestita

dalla Soc. Villa Silvana SpA) con sede in Aprilia (LT) viale Europa n. 1/3

C.F. 05616331004 in persona del legale rappresentante p.t. Dott. Carlo

Cerulli, Villa Carla (gestita dalla Soc. Villa Carla srl) con sede in Aprilia

(LT), viale Italia (angolo V.le Europa), (C.F.: 06457601000) in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Carlo Cerulli; Casa di Cura Nuova Santa

Teresa (gestita dal Gruppo RO.RI srl), con sede in Roma, Via dei Valeri n.

1 C.F. 06526200586, in persona del Presidente c.d.a. dott. Fabio Angelucci,

Policlinico Italia s.r.l. con sede in Roma, Piazza del Campidano n. 6 C.F.

05600591001, in persona del vice presidente p.t. dott. Stefano Monamì; Casa

di Cura Villa Luana (gestita dalla GIFI s.r.l.) con sede in Poli (RM) Loc.

Valle Orlanda C.F. 01140510585, in persona del suo legale rappresentante p.t.

Dott.ssa Giuseppina Dore, I.N.I. Istituto Neurotraumatologico Italiano srl

con sede in Roma Via Torino n.122 C.F. 01618340580 in persona del legale

rappresentante p.t. sig.ra Nadia Proietti, Casa di Cura Villa Aurora S.p.A.,

con sede in Roma Via Mattia Battistini, 44 C.F. 01596310589, in persona del

legale rappresentante p.t. sig.ra Gaetana Zoppoli; Casa di Cura Città di

Aprilia s.r.l., con sede in Aprilia (RM) via delle Palme n. 25, C.F.

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00168290591, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alessandro Sirri;

Casa di Cura Salus srl con sede in Viterbo viale Trieste n. 97, C.F.

C.F.00169040565 in persona del legale rappresentante p.t. sig.ra Maria

Patrizia Battaglia, Casa di Cura Villa Pia Polispecialistica (gestita dalla

Panoramica srl) con sede legale in Roma, via B. Ramazzini n. 93 C.F.

01149020586 in persona del legale rappresentante p.t. Daniela Bottari; Casa

di Cura Nuova Clinica Annunziatella srl, con sede in Roma via Meropia n.

67 C.F. 05066941005 in persona del legale rappresentante p.t. prof. dott.

Dario Spallone; Casa di cura Madonna delle Grazie SpA con sede in

Velletri, V.le Salvo D’Acquisto n. 67, P.Iva 02155411008 in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Guido Ciranna; Casa di cura Casa del Sole

srl con sede in Formia (LT), via G. Paone n. 58, P. Iva 01298500594 in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Maurizio Costa; Casa di cura S.

Anna-Policlinico Città di Pomezia srl, con sede in Pomezia, Via del Mare n.

69/71, P. Iva 01998571002 in persona del legale rappresentante p.t. dott.

Emmanuel Miraglia; GIOMI SpA Casa di cura I.C.O.T. con sede in Roma,

Viale Carso n. 44, P. Iva 06619881003 in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Emmanuel Miraglia; Istituto Clinico Valle d’Aosta, con sede in

Saint Pierre (AO), Località Breyan n. 1, P. Iva 01082490077 in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; E.C.A.S. Spa,

con sede in Torino, Corso Vittorio Emanuele II n. 91, P. Iva 01737940013, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Fabio Marchi; Casa di cura

Cellini SpA con sede in Torino, Via Cellini n. 5, P. Iva 00510380017, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Fabio Marchi; Nuova Casa di

cura Città di Alessandria srl, con sede legale in Milano, Viale Lunigiana n.

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46, P. Iva 11494150151, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Paola

De Salvo; Casa di cura La Vialarda Spa con sede legale in Biella, Via

Ramella Germanin n. 26, P. Iva 00150000024, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Casa di cura Villa

Adriana srl, con sede legale in Torino, Piazza Guido Gozzano n. 1, P. Iva

03609890011, in persona del legale rappresentante p.t. comm. Pietro

Camerlengo; Casa di cura Villa Iris srl, con sede legale in Torino, Piazza

Guido Gozzano n. 1, P. Iva 03880520014, in persona del legale

rappresentante p.t. comm. Pietro Camerlengo; Casa di cura Villa Papa

Giovanni XXIII srl, con sede legale in Torino, Piazza Guido Gozzano n. 1,

P. Iva 00491660015, in persona del legale rappresentante p.t. comm. Pietro

Camerlengo; Casa di cura San Luca Spa, con sede legale in Precetto T.se

(TO), Strada della Vetta n. 3, P. Iva 01136930011, in persona le legale

rappresentante p.t. dr.ssa Maria Letizia Baracchi; Casa di cura Città di Bra

Spa, con sede legale in Bra, Via Montenero n. 1, P. Iva 01118370046, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Giacomo Brizio; Casa di cura San

Michele di Patria Sergio e C. Sas, con sede legale in Bra, Via San Michele

n. 2, P. Iva 00337570048, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Luca

Patria; Casa di cura Villa Patrizia srl, con sede legale in Allivellatori-

Piossasco (TO), Regione Giorda n. 6/8, P. Iva 01728640010, in persona del

legale rappresentante p.t. dr.ssa Patrizia Bruno; Casa di cura Maria Pia

Hospital srl, con sede legale in Torino, Strada Mongreno n. 180, P. Iva

01750610014, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Carlo Di

Giambattista; Casa di cura San Giorgio srl, con sede legale in Torino, Corso

Re Umberto I n 1, P. IVA 00915420012, in persona del legale rappresentante

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p.t. dott. Saverio Postiglione; Casa di cura Villa Igea srl, con sede legale in

Acqui Terme (AL), Strada Mirano n. 2, P. Iva 02270850064, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Emilio Rapetti; Casa di cura San Carlo di

Arona srl, con sede legale in Milano, Via Pontaccio n. 14, P. Iva

02031360155, in personale del legale rappresentante p.t. dr.ssa Bianca Rosa

Robbiati; Casa di cura Villa Ida Santa Croce srl, con sede legale in Lanzo

Torinese (TO), Via A. di Challant n. 23, P. Iva 04290680018, in persona del

legale rappresentante p.t. sig.ra Maria Assunta Togliatto; Policlinico di

Monza Casa di cura Privata Spa, con sede legale in Milano, Piazza Cinque

Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Massimo Antonino De Salvo; Casa di cura Santa Rita (Policlinico di

Monza Casa di cura Privata Spa) , con sede legale in Milano, Piazza

Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Istituto Clinico Salus

(Policlinico di Monza Casa di cura Privata Spa), con sede legale in Milano,

Piazza Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Clinica Eporediese

(Policlinico di Monza Casa di cura Privata Spa), con sede legale in Milano,

Piazza Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Clinica San

Gaudenzio (Policlinico di Monza Casa di cura Privata Spa), con sede

legale in Milano, Piazza Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo;

Casa di cura Villa Bianca Spa, con sede legale in Trento, Via Piave n. 78, P.

Iva 00123990228, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Claudio

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Toller; Casa di cura Solatrix SpA, con sede legale in Rovereto (TN), Via

Bellini n. 11, P. Iva 00311150221, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Lorenzo Spiani; Casa di cura Bonvicini, con sede lagale in Bolzano,

Via Pacher n. 12, P. Iva 01745190213, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Paolo Bonvicini; Policlinico San Giorgio SpA, con sede legale in

Pordenone, Via A. Gemelli n. 10., P. Iva 00130860935, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Maurizio Sist; Casa di cura Pineta del Carso SpA,

con sede legale in Duino-Aurisina (TS), Viale Stazione n. 26, C.F.-P.Iva

00051070324, in persona del legale rappresentante prof. Lucio Ercolessi;

Policlinico Triestino SpA, con sede legale in Trieste, Via Bonaparte n. 4, P.

Iva 00139620322, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Guglielmo

Danelon; Casa di Cura Abano Terme Polispecialistica e Termale SpA, con

sede legale in Abano Terme (PD), Piazza C. Colombo n. 1, P. Iva

01735030684, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Nicola Petruzzi.

Casa di cura Parco dei Tigli sas, con sede in Villa di Teolo (PD), Via

Ponticello n. 1, P. Iva 02011180284, in persona del legale rappresentante p.t.

prof. Alessandro Borgherini; Centro Medico di Foniatria srl, con sede in

Padova, Via Bergamo n. 10, P. Iva 02143190284, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Donatella Croatto; Casa di cura Eretenia Spa, con

sede in Vicenza, Viale Eretenio n. 12, P. Iva 00444840243, in persona del

legale rappresentante p.t. Rag. Giuseppe Mioni; Casa di cura Villa

Margherita srl con sede legale in Arcugnano (VI), Via Costacolonna n. 6, P.

Iva 03272190244, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Cristiano

Nordera; Casa di cura S. Maria Maddalena SpA con sede legale in

Occhiobello (RO), Via Gorizia n. 2, P. Iva 00119690295, in persona del

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legale rappresentante p.t. dott. Vittorio Morello; Casa di cura Policlinico S.

Marco SpA, con sede in Mestre (VE), Via Canotto n. 70, P. Iva

00347320277, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alberto Graffitti;

Casa di cura Sileno e Anna Rizzola SpA, con sede in San Donà di Piave

(VE), Via Gorizia n. 1, P. Iva 00188280275, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Gaspare Gemma; Casa di cura Park Villa Napoleon

srl, con sede legale in Venezia, S. Marco 5189, P. Iva 00785670274, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Piero Bellussi; SOGEDIN Spa

con sede legale in Monastier di Treviso (TV), Via Giovanni XXIII n. 1, P. Iva

00404370264, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Massimo

Calvani; Casa di cura San Francesco SpA, con sede legale in Verona, Via

Monte Ortigara n. 21/B, C.F. 00420560237, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Lorena Corso; Centro Riabilitativo Veronese srl,

con sede in Verona Loc. Marzana, Piazza R. Lambranzi n. 1, P. Iva

02661770244, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Piergiuseppe

Perazzini; Casa di cura Villa Santa Chiara SpA, con sede in Quinto

Valpantena (VR), Via Monte Recammo n. 7, P. Iva 00417510237, in persona

del legale rappresentante p.t. dott. Ruggero Maggioni; Casa di cura Villa

Garda SpA, con sede in Garda (VR), Via Monte Baldo n. 89, C.F.-P.Iva

07101701006, in persona del legale rappresentante p.t. avv. Maria Laura

Garofalo; Casa di cura Villa Berica SpA, con sede in Vicenza, Via

Capparozzo n. 10, P. Iva 02933770246, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Mariano Garofalo; Casa di cura Città di Rovigo srl, con sede in

Rovigo, Via Sichirollo n. 30, C.F.-P. Iva 00116870296, in persona del legale

rappresentante p.t. prof. Vittorio Pederzoli; Casa di cura Madonna della

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Salute srl, con sede in Porto Viro (RO), Via Nicola Badaloni n. 25. C.F.-

P.Iva 00120720297, in persona del legale rappresentante p.t. prof. Vittorio

Pederzoli; Casa di cura Polispecialistica Dott. Pederzoli SpA, con sede in

Peschiera del Garda (VR), Via Monte Baldo n. 24, C.F.-P.Iva 00233020239,

in persona del legale rappresentante p.t. prof. Vittorio Pederzoli; Istituto

Codivilla Putti di Cortina SpA, con sede legale in Cortina d’Ampezzo (BL),

Via Codivilla Putti n. 1, P.Iva 00964280259, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Massimo Miraglia; Casa di cura Val Parma srl., con

sede in Langhirano (PR), Via XX Settembre n. 22, C.F.-P.Iva 00745280347,

in persona del legale rappresentante p.t. dott. Mario Cotti; Ospedali Riuniti

SpA, con sede in Bologna, Viale Ercolani n. 9, P.Iva 00689340370, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Guido Nigrisoli; Casa di cura

Maria Cecilia Hospital SpA, con sede in Cotignola (RA), Via Corriera n. 1,

P.Iva 00178460390, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Bruno

Biagi; Hospital Piccole Figlie srl, con sede in Parma, Via Po n. 1, P.Iva

002371460342, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giancarlo

Veronesi; Casa di cura Villa Azzurra Spa, con sede in Riolo Terme (RA),

P.Iva 00196750392, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Davide

Guerra; Casa di cura Villa Bellombra, con sede in Bologna, Via Bellombra

n. 24, P.Iva 00881330377, in persona del legale rappresentante p.t. rag.

Lorenzo Orta; Casa di cura Villa Maria Luigia con sede in Ponticelli Terme

(PR), Via Montepelato Nord n. 41,, P.Iva 00323020347, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Marco De Bernardis; Casa di cura Prof. Fogliani,

con sede in Modena, Via Lana n. 1, P Iva 00681310363, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Roberto Giusti; Casa di cura Villa Chiara Spa, con

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sede in Casalecchio di Reno (BO), P.Iva 00503971202, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Giovanna Costantini; Salus Hospital SpA, con sede

in Reggio Emilia, Via Ulderico Levi n. 7, C.F.-P.Iva 01431190352, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Valter Brunello; Casa di cura

Villa Igea Spa, con sede in Saliceta San Giuliano (MO), Via Stradella n. 73,

P.Iva 00418870366, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Giuliana

Ponzoni; Casa di cura Villa Baruzziana, con sede in Bologna, Via

Osservanza n. 19, P. Iva 01091760379, in persona del legale rappresentante

p.t. dr.ssa Giulia Neri; Casa di cura Piacenza SpA, con sede in Piacenza, Via

Morigi n. 41, P. Iva 00203950332, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Riccardo Gazzola; Casa di cura Privata S. Antonino srl, con sede in

Piacenza,Viale Malta n. 4, P. Iva 00250900339, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Riccardo Gazzola; San Giacomo Ospedale Privato

Accreditato di Medicina Fis. Riabilitativa, con sede in Ponte dell’Olio

(PC), via S. Bono n. 3, P.Iva 00211100334, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Gianpiero Melani; Casa di cura San Pier Damiano

Hospital , con sede in Faenza, Via Isonzo n. 10, C.F.-P. Iva 00198960398, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Simone Buda; Casa di cura Villa

Verde, con sede in Reggio Emilia, Viale Basso n. 1, P.Iva 00294320353, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Fabrizio Franzini; Casa di cura

Villalba srl., con sede in Bologna, Via di Roncrio n. 25, C.F. 00316340371,

in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alberto Di Perna; Casa di cura

Villa Salus Istituto Elioterapico Ortopedico srl, con sede in Viserbella di

Rimini (RN), Via Porto Palos n. 93, P.Iva 00391170404, in persona del

legale rappresentante p.t. dptt. Marco Vasini; Casa di cura Sol et Salus Spa,

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con sede in Torre Pedrera (RN), Via San Salvador n. 204, P.Iva

00432390409, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Marco Vasini;

Casa di cura Ai Colli srl, con sede in Bologna, Via S. Mamolo n. 158, P.Iva

00791900376, in persona del legale rappresentante p.t. ing. Roberto Ponti;

Casa di cura Villa Laura srl, con sede in Bologna, Via Emilia Levante n.

137, C.F.-P.Iva. 02378901207, in persona del legale rappresentante p.t. dott.

Walther Domenicani; Casa di cura Quisisana srl, con sede in Ferrara, Via

Cavour n. 128, C.F.-P.Iva 00205800386, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Giorgio Piacentini; Casa di cura Salus srl, con sede in Ferrara, Via

Arianuova n. 38, P. Iva 00257490384, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Gianluca Mantovani; Casa di cura Prof. Nobili Spa, con sede in

Castiglione dei Pepoli (BO), Via Fiera n. 25, P. Iva 00519601207, in persona

del legale rappresentante p.t. dott. Luigi Gallina; Casa di cura Villa Pineta

srl, con sede in Gaiato-Pavullo n/F. (MO), Via Gaiato n. 127, C.F.-P.Iva

00693420366, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Mariagrazia

Nobile; Ospedale Privato Santa Viola, con sede in Bologna, Via della

Ferriera n. 10, P. Iva 02208681201, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Averardo Orta; Casa di cura Villa Torri Hospital, con sede sociale in

Bologna, Viale Filopanti n. 12, P. Iva 02383150394, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Fausto Pellati; Casa di cura Villa Rosa, con sede

sociale in Modena, Via F.lli Rosselli n. 83, P. Iva 00500020367, in persona

del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria Paola Barbieri; Casa di cura Città

di Parma Spa, con sede in Parma, P.le Athos Maestri n. 5, P.Iva

00305320343, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Cesare Salvi;

Casa di cura Hesperia Hospital Spa, con sede in Modena, Via Arquà n.

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80/A, C.F.-P.Iva 01049620360, in persona del legale rappresentante p.t. avv.

Maria Laura Garofalo; Casa di cura Santa Rita Hospital srl, con sede in

Montecatini Terme (PT), Via D. Manin n. 29, P. Iva 01662140472, in persona

del legale rappresentante p.t. dott. Vincenzo De Luca; Maria Beatrice

Hospital (Presidio Villa Maria Beatrice) srl, con sede in Firenze, Via

Manzoni n. 12, P. Iva 01171680489, in persona del legale rappresentante p.t.

dr.ssa Maura Cocchi; Maria Beatrice Hospital srl (Presidio Villa Maria

Teresa Hospital - Via della Cernia, 18) con sede legale in Firenze, Via

Manzoni n. 12, P. Iva 01171680489, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Vincenzo De Luca; Istituto Reumatologico Munari srl, con sede

sociale in Firenze, Viale Mazzini n. 38, P. Iva 06275460480, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Michelangelo De Faveri Tron; Casa di cura

Villa Fiorita srl, con sede legale in Prato (FI), Via Cantagallo n. 56, P. Iva

00336980974, in persona del legale rappresentante dott. Giovanni Del

Vecchio; Istituto Fiorentino di Cura e Assistenza I.F.C.A. SpA, con sede

legale in Firenze, Via del Pergolino n. 4/6, P. Iva 01300810486, in persona

del legale rappresentante p.t. dott. Francesco Matera; Centro Oncologico

Fiorentino Casa di cura Villanova srl, con sede legale in Sesto Fiorentino

(FI), Via A. Ragionieri n. 101, P. Iva 00932450489, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Maurizio De Scalzi; Casa di cura Poggio Sereno srl,

con sede legale in Firenze, Via B. da Maiano n. 14, P. Iva 01252290489, in

persona del legale rappresentante p.t. dr. Leonardo Morichi; Casa di cura

Villa dei Pini srl., con sede legale in Firenze, Via Ugo Foscolo n. 78, P. Iva

03446580486, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Franco

Cammarata; Casa di cura Frate Sole srl, con sede legale in Figline Valdarno

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(FI), Via San Romolo n. 109, P. Iva 03897620484, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Maria Anna Brilli; Casa di cura Leonardo srl, Con

sede legale in Vinci (FI), Via P. Grocco n. 136, C:F.- P. Iva 01062010481, in

persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Dina Scali; Centro

Riabilitazione Terranova Bracciolini Spa, con sede legale in Terranova

Bracciolini (AR), Via Dante, P. Iva 01625140510, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Anna Paola Santaroni; Casa di cura Valdisieve sas

di Forni Luciana, con sede legale in Pelago (FI), Via Forlivese n. 122, C.F.

00639790484, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Luciana Forni;

Assisi Project Spa (Casa di cura San Giuseppe Hospital- Arezzo) con sede

legale in Roma, Via F. Corridoni n. 23, C.F.-P. Iva 08531211004, in persona

del legale rappresentante p.t. dott. Paolo Rosati; Centro Chirurgico Toscano

srl, con sede legale in Arezzo, Via dei Lecci n. 22, P.Iva 01952970513, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Stefano Tenti; Casa di cura

Rugani srl, con sede legale in Monteriggioni Siena, SS 222 Chiantigiana

loc. Colombaio, P.Iva 01243020524, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Alessandro Callai; Casa di cura Ville di Nozzano srl, con sede legale in

Nozzano S. Pietro (LU), Via Bordogna n. 144/154, P.Iva 00391100468, in

persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria Baroni; Casa di cura Villa

Fiorita srl, con sede legale in Perugia, Via XX Settembre n. 55, P.Iva

00494160542, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Anna Maria

D’Agosto; Casa di cura Liotti, con sede legale in Perugia, Via S. Siepi n. 11,

P.Iva 01678940543, in persona del legale rappresentante p.t. Sig. Giuseppe

Liotti; Casa di cura Porta Sole srl, con sede legale in Perugia, P.zza B.

Michelotti n. 4, P.Iva 00455310540, in persona del legale rappresentante p.t.

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dr.ssa Maria Rita Cucchia Mantovani; Casa di cura Villa Aurora SpA, con

sede legale in Foligno (PG), Via Arno n. 2, P. Iva 00201490547, in persona

del legale rappresentante p.t. dott. Alfredo Vedovati; Casa di cura Villa San

Marco srl, con sede legale in Ascoli Piceno, Via 3 Ottobre n. 11, P. Iva

00210190443, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Antonio Romani;

Casa di cura RI.TA. srl (Casa di cura Villa Verde), con sede legale in

Fermo (AP), P.le Kennedy n. 2. P. Iva 00220340442, in persona del legale

rappresentante p.t. Avv. Maurizio Natali; Labor Spa Casa di cura Villa

Igea, con sede legale in Ancona, Via Maggini n. 200, C.F.-P.Iva

00204460422, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Roberto La

Rocca; Sanatrix srl Casa di cura Villa dei Pini, con sede legale in

Civitanova Marche (MC), Viale dei Pini n. 31, P. Iva 01490070438, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Antonio Aprile; Istituto di

Riabilitazione Santo Stefano srl, con sede legale in Porto Potenza Picena

(MC), Via Aprutina n. 194, C.F.-P.Iva 01148190547, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Lorenzo Buldrini; Salus srl Casa di cura Villa

Serena, con sede legale in Jesi (AN), Via di Colle Onorato n. 2, P. Iva

00156780421, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Abu Eiden Abdul

Rhaman; Casa di cura Stella Maris srl, con sede legale in S. Benedetto del

Tronto (AP), Via A. Murri n. 1, P.Iva 00220370449, in persona del legale

rappresentante p.t. prof. Carmine De Nicola; Casa di cura Villa Silvia srl,

con sede legale in Roma, Via Quirini Majorana n. 203, P. Iva 04590111003,

in persona del legale rappresentante p.t. dott. Vincenzo Aliotta; Casa di cura

Villa Anna SpA, con sede legale in San Benedetto del Tronto (AP), Via

Toscana n. 159, P. Iva 00219170446, in persona del legale rappresentante p.t.

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avv. Simone Ferraioli; Casa di cura Dott. Marchetti srl, con sede legale in

Macerata, Via Ariani n. 9, C.F.-P.Iva 00154640437, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Giuseppe Marchetti; Casa di cura Pierangeli –

Synergo srl, con sede legale in Pescara, Piazza Pierangeli n. 1, C.F.-P.Iva

00062520689, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Luigi Pierangeli;

Casa di cura Spatocco-Synergo srl, con sede legale in Chieti, Viale

Amendola n. 93, C.F.-P.Iva 00062520689 , in persona del legale

rappresentante p.t. dr. Luigi Pierangeli; Casa di cura Villa Serena del Dott.

Leonardo Petruzzi srl, con sede legale in Città Sant’Angelo (PE), Via

Leonardo Petruzzi n. 42, P.Iva 01220790685, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Concetta Petruzzi; Casa di cura Nova Salus srl,

con sede legale in Trasacco (AQ), Via Roma n. 75/A, P.Iva 01260760663, in

persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Lucia Di Lorenzo; Casa di cura

Villa Maria srl con sede legale in Campobasso, Via P. di Piemonte n. 4,

C.F.-P. Iva 00158120709, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa

Maria Anna Sabelli; I.N.M. Neuromed, con sede legale in Pozzilli (IS), Via

Atinense n. 18, P. Iva 00068310945, in persona del legale rappresentante p.t.

prof. Erberto Melaragno; Casa di cura S. Michele srl, con sede legale in

Maddaloni (CE) Via Appia n. 158, C.F..-P.Iva 00258670611, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Crescenzo Barletta; Stazione Climatica

Bianchi srl, con sede legale in Portici (NA) Via Libertà n. 342, P. Iva

01286971211, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria Cristina

Bianchi; Casa di cura Villa Angela srl, con sede legale in Napoli, Via A.

Manzoni n. 14/c, P. Iva 00752170639, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Mariano Ieluzzi; Clinica Vesuvio srl, con sede legale in Napoli, Via

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L. Volpicella n. 493, P. Iva 00766800635, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Lucia Elvira Bonaccorsi; Casa di cura Villa dei

Fiori srl, con sede legale in Mugnano di Napoli (NA), Corso Italia n. 110,

P.Iva 01246851212, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Gabriele Di

Meo; Ospedale Internazionale –Casa di cura srl, con sede legale in Napoli,

Via Tasso n. 38. C.F.-P.Iva 03507900631, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Gabriele Di Meo; Casa di cura Villa delle Querce

Spa, con sede legale in Napoli, Via Battistello Caracciolo n. 48, P.Iva

00224000637, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Clara Ugliano;

Clinica Santa Patrizia – Gestione Villa delle Querce Spa, con sede legale

in Napoli, Via Battistello Caracciolo n. 48, P. Iva 00274000637, in persona

del legale rappresentante p.t. dr.ssa Clara Ugliano; Casa di cura S. Maria La

bruna-Gestione Villa delle Querce Spa, con sede legale in Napoli, Via

Battistello Caracciolo n. 48, P. Iva 00224000637, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Clara Ugliano; Casa di cura Nostra Signora di

Lourdes Spa, con sede legale in Massa di Somma (NA), Via To, Boccarusso

n. 1, P. Iva 00745010637, in persona del legale rappresentante p.t. dott.

Maurizio Boiano; Casa di cura Tortorella SpA, con sede legale in Salerno,

Via Nicola Aversano n. 1, C.F. 00741790653, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Giuseppe Tortorella; Casa di cura Pineta Grande

srl, con sede legale in Napoli, Via Pergolesi n. 1/B, P. Iva 07045161218, in

persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Anna Maria Ferriello; Casa di

cura Villa Bianca SpA, con sede legale in Napoli, Via Bernardino Cavallino

n. 102, P. Iva 03946200635, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa

Anna Maria Ferriello; Consulting & Service srl – Gestione Casa di cura

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Andrea Grimaldi, con sede legale in San Giorgio a Cremano (NA), Via

Marconi n. 3, C.F.-P.Iva 05354731217, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Alessandro Salzano; Casa di Cura Santa Maria del Pozzo, con

sede legale in Somma Vesuviana (NA), Via Somigliano n. 40, P. IVA

03040121216, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Vittoria

Montone; Alma Mater SpA Casa di cura Villa Camaldoli, con sede legale

in Napoli, Via Antonio Cinque n. 93/95, P. Iva 00290740638, in persona del

legale rappresentante p.t. dr.ssa Vittoria Montone; Casa di Salute S. Lucia

srl, con sede legale in S. Giuseppe Vesuviano (NA), Via Aielli s.n.c., P. Iva

01243511217, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alessandro

Miranda; Casa di cura Clinica Sanatrix SpA, con sede legale in Napoli, Via

San Domenico n. 31, P.Iva 00739710630, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Alfredo Ponticelli; Casa di cura Villa Esther SpA, con sede legale

in Avellino, Via Due Principati n. 169, C.F. 00139739642, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Paolo Frojo; Minerva Spa Casa di cura S.

Maria della Salute, con sede legale in S.Maria C.V. (CE), Via Avezzana n.

53/55, P.Iva 00310550611, in persona del legale rappresentante p.t. dott,

Gianfranco Tornatore; Clinica Sant’Anna srl, con sede legale in Caserta, Via

Roma n. 124, P. Iva 00738370634, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Gianfranco Tornatore; RERIF srl Casa di cura Villa delle Magnolie,

con sede legale in Caserta, Corso Trieste n. 166, P.Iva 0046066016, in

persona del legale rappresentante p.t. avv. Antonio Chiummariello; Athena

Spa Casa di cura Villa dei Pini , con sede legale in Piedimonte Matese (CE),

Via Matese n. 42, P. IVA00266020619, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Pasqualino Simonelli; Casa di cura Villa Fiorita SpA, con sede

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legale in Capua (CE) Via Nazionale Appia Km. 199, Località Camerelle, P.

Iva 00258770619, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Angela

Sibillo; Casa di cura Villa Cinzia srl, con sede legale in Caserta, Via

Tanucci n. 91, P. Iva 06013610636, in persona del legale rappresentante p.t.

dr.ssa Teresa Mimina Izzo; Casa di cura Villa Ortensia del Centro medico

Cales srl, con sede legale in Calvi Risorta (CE), Via Bizzarri-P.co Mimina,

P.Iva 01405880616, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Teresa

Mimina Izzo; Casa di cura Montevergine SpA, con sede legale in

Mercogliano (AV), Via M. Calzoni, P.Iva 00110550647, in persona del legale

rappresentante p.t. avv. Paola Belfiore; Clinica Stabia SpA, con sede legale

in Castellammare di Stabia (NA), Viale Europa n. 77, C.F. 01321840637 –

P.Iva 01256431212, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Antonio

Quartuccio; Hermitage Capodimonte SpA, con sede legale in Napoli, Via

Cupa delle Tozzole n. 2, P. IVA 01032490631, in persona del legale

rappresentante p.t. prof. Vincenzo Bonavita; Clinica Padre Pio srl, con sede

legale in Napoli, Via Pergolesi n. 18, P. Iva 05484941215, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Maurizio Falco; Casa di cura Villa Fiorita

SpA, con sede legale in Aversa (CE), Via F. Saporito n. 24, P:IVA

00306340613, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Maurizio Falco;

Clinic Center SpA, con sede legale in Napoli, Viale Maria Bakunin n. 171,

C.F. e P.Iva 00234520617, in persona del legale rappresentante p.t. dott.

Amedeo Giurazza; Alba Clinica S. Paolo srl, con sede legale in Aversa

(CE), Via Mancone n. 60, P.Iva 00234520617, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Mario Masi; Casa di cura Privata Salus SpA, con

sede legale in Napoli, Via Toledo n. 265, P.Iva 06553100634, in persona del

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legale rappresentante p.t. dott. Ottavio Coriglioni; Casa di cura Santa Maria

SpA, con sede legale in Bari, Via De Ferrariis n. 18/D, C.F.-P.Iva

00597760727, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Elena Galluccio;

Casa di cura D’Amore srl, con sede legale in Taranto, Viale Magna Grecia

n. 62, P.Iva 02417170731, in persona del legale rappresentante p.t. avv.

Alberto Dimitri; Casa di cura San Camillo srl, con sede legale in Taranto,

Via Masaccio n. 12, P.Iva 00273480731, in persona del legale rappresentante

p.t. avv. Carlo Pietro Fiorino; Casa di cura Città di Lecce Hospital srl, con

sede legale in Lugo (RA), Piazza Trisi n. 16, C.F.-P.Iva 01367410394, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Giuseppe Straziota; Casa di cura

Villa Verde - Prof. G. Verrienti srl, con sede legale in Lecce, Via

Monteroni n. 222, P.Iva 01983380757, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Santo Monteduro; Casa di cura Salus srl, con sede legale in

Brindisi, Via Appia n. 366, C.F.-P.Iva 00184100741, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Costanzo Mardighian; Medicol srl, con sede legale in

Lugo (RA), Corso Garibaldi n. 11, C.F.-P.Iva 02986500722, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Vito Luigi Benedetto;Casa di cura Casa

Bianca srl, con sede legale in Cassano delle Murge (BA), Via Vittorio

Emanuele II n. 2, P.Iva 03571520729, in persona del legale rappresentante p.t.

dotto. Gianni Belletti; Casa di cura Anthea Hospital srl, con sede legale in

Bari, Via Camillo Rosalba n. 35/37, P.Iva 03811090723, in persona del legale

rappresentante p.t. dott. Gianni Belletti; Radiologica Salus srl, con sede

legale in Brindisi, Via Appia n. 366, C.F.-P.Iva 01480350741, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Costanzo Mardighian; RM 2000 Centro di

Diagnostica Clinica srl, con sede legale in Bari, Via Cementano n. 63, P. Iva

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04468360724, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giovanni

D’Alessandro; Ricerche Radiologiche srl, con sede legale in Molfetta (BA)

Via P.L. da Palestrina n. 1, P.Iva 04407140724, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Pia Maggialetti; Casa di cura Villa Michelino, con

sede legale in Lamezia Terme (CZ), Via Duca d’Aosta n. 164, C.F.-P.Iva

01473410791, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Angela Giulia

Roperto; Casa di cura Villa dei Gerani Gestione srl, con sede legale in

Vibo Valentia, Via Domenico Savio n. 10, P.Iva 00964090898, in persona del

legale rappresentante p.t. dott. Cesare Curatola; GIOMI Spa – Istituto

Ortopedico Franco Faggiana, con sede legale in Roma, Viale Carso n. 44,

P.Iva 06619881003, in persona del legale rappresentante p.t. dptt. Emmanuel

Miraglia; GIOMI SpA Istituto Ortopedico Franco Scalabrino, con sede

legale in Roma, Viale Carso n. 44, P.Iva 06619881003, in persona del legale

rappresentante p.t. dptt. Emmanuel Miraglia; Casa di cura Cappellani

GIOMI SpA, con sede legale in Roma, Viale Carso n. 44, P.Iva

11060571004, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Emmanuel

Miraglia; Serena SpA Casa di cura con sede legale in Palermo, Viale

Regione Siciliana n. 1470, P.Iva 00611390824, in persona del legale

rappresentante p.t. Sig.ra Adele Panciera; Casa di cura Villa Margherita srl,

con sede legale in Palermo, Via Marchese di Villabianca n. 6, P.Iva

02533080822, in persona del legale rappresentante p.t. avv. Vito Sabbino;

Casa di cura Torina SpA, con sede legale in Palermo, Via Francesco

Spalletta n. 18, P. Iva 00734750821, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Giuseppe Torina; Casa di cura Candela SpA, con sede legale in

Palermo, Via V. Villareale n. 54, C.F.-P.Iva 00118410828, in persona del

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legale rappresentante p.t. dr.ssa Barbara Cittadini; Casa di cura Cosentino

Hospital, con sede legale in Palerm, Viale Regione Siciliana n. 1571, P.Iva

05954410824, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Aldo Panci;

Nuova Casa di cura Demma srl, con sede legale in Palermo, Viale Regina

Margherita n. 5, P.Iva 05112210827, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. James Cucinella; Casa di cura La Maddalena SpA, con sede legale in

Palermo, Via San Lorenzo Colli n. 312/d, P. IVA 04413030828, in persona

del legale rappresentante p.t. prof. Cav. Guido Filosto; Casa di cura

Macchiarella SpA, con sede legale in Palermo, Viale Regina Margherita n.

25, P.Iva 00301520821, in persona del legale rappresentante p.t. dr. Salvatore

Macchiarella; Casa di cura Noto Pasqualino srl, con sede legale in Palermo,

Via Dante n. 330, P.Iva 00712600824, in persona del legale rappresentante

p.t. dott. Giovanni Gagliardo di Carpinello; Casa di cura D’Anna srl, con

sede legale in Palermo, Via Altofonte n. 81, P.Iva 00300230828, in persona

del legale rappresentante p.t. Sig.ra Maria Antonietta D’Anna; Casa di cura

Latteri srl, con sede legale in Palermo, Via Filippo Cordova n. 62/64, P. Iva

02410470823. in persona del legale rappresentante p.t. dott. Pietro Nicoletti;

Casa di cura Igea srl, con sede legale in Partitico (PA), Via Roma n. 193, P.

Iva 00635720824, in persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Emilia

Pirolisi; Casa di cura Maria Eleonora Hospital, con sede legale in Palermo,

Viale Regione Siciliana n. 1571, P. Iva 03790910826, in persona del legale

rappresentante p.t. dptt. Stefano Mantenga; Casa di cura Triolo Zancla SpA,

con sede legale in Palermo, Piazza Fonderia n. 23, P. Iva 03599540824, in

persona del legale rappresentante p.t. dott. Luigi Triolo; Casa di cura Basile-

Tigano srl, con sede legale in Siracusa, Via Necropoli Grotticelle n. 17/A, P.

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Iva 01207900893, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria

Baccio; Casa di cura Carmide srl, con sede legale in Catania, Via Feudo

Grande n. 13, P. Iva 03381600877, in persona del legale rappresentante p.t.

Sig.ra Sara Majorana; Istituto Oncologico del Mediterraneo SpA, con sede

legale in Viagrande (CT), Via Penninazzo n. 7, P. Iva 02744310877, in

persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Sara Majorana; Casa di cura

Musumeci-Gecas srl, con sede legale in Catania, Corso Italia n. 127, P. Iva

03381600877, in persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Sara Majorana;

Centro Clinico e Diagnostico G.B. Morgagni srl (Presidio di Catania) con

sede legale in Catania, Via del Bosco n. 105, P. Iva 00248620874, in persona

del legale rappresentante p.t. Prof. Sergio Castorina; Centro Clinico e

Diagnostico G.B. Morgagni (Presidio Centro Cuore Morgagni di Pedara),

con sede legale in Catania, Via del Bosco n. 105, P. Iva 002486220874, in

persona del legale rappresentante p.t. Prof. Sergio Castorina; Casa di cura Di

Stefano Velona srl, con sede legale in Catania, Via S. Euplio n. 162, P. Iva

04547010878, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Nunzio Di

Stefano Velina; Centro Catanese di Medicina e Chirurgia Casa di cura

SpA, con sede legale in Catania, Via Battello n. 48, P. Iva 00496120874, in

persona del legale rappresentante p.t. prof. Daniele Virgillito; Casa di cura

Valsalva srl, con sede legale in Catania, Via Antoniotto Usodimare ang. Via

Galero n. 109, P.Iva 01275220893, in persona del legale rappresentante p.t.

dr.ssa Maria Baccio; Casa di cura Humanitas Centro Catanese di

Oncologia SpA, con sede legale in Catania, Via V.E.Da Bormida n. 64, P.Iva

00288060874, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giuseppe

Sciacca; Casa di cura Madonna del Rosario srl, con sede legale in Catania,

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Via Bronte n. 44, P.Iva 00560610875, in persona del legale rappresentante p.t.

dr.ssa Valentina Indelicato; Casa di cura Lanteri Villa Fiorita SpA, con

sede legale in Catania, Via Regina Bianca n. 75, P. Iva 02463900874, in

persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Vittoria Lanteri; Casa di cura S.

Rita srl, con sede legale in Catania, Via Dottor Consoli n. 49, P. Iva

01135780870, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Santa Mascali;

Casa di cura S. Camillo, con sede legale in San Giorgio a Cremano (NA),

P.Iva 00191770833, in persona del legale rappresentante p.t. Padre Mario

Allegro; Casa di cura Carmona srl, con sede legale in Messina, Viale

Principe Umberto n. 75/G, P. Iva 01428290892, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Caterina Facciolà; Casa di cura Villa Salus di A.

Barresi & C. sas, con sede legale in Messina, Viale Regina Margherita n.

15/b, P.Iva 01379750837, in persona del legale rappresentante p.t. prof. Avv.

Antonio Barresi; Casa di cura Villa Igea srl, con sede legale in Messina, Via

Consolare Valeria n. 47, P.Iva 00184760833, in persona del legale

rappresentante p.t. dr.ssa Anna Maria Fugali; COT Cure Ortopediche

Traumatologiche Spa, con sede legale in Messina, Via Ducezio n. 1, P.Iva

00184810836, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Marco Ferlazzo;

Casa di cura Villa dei Gerani Dr. A. Ricevuto srl, con sede legale in Casa

Santa-Erice (TP), Via A. Manzoni n. 83, P.Iva 00253750814, in personale del

legale rappresentante p.t. Sig. Paolo Ricevuto; Casa di cura Sant’Anna srl,

con sede legale in Erice (TP), Via Sant’Anna n. 34, P.Iva 01726680810, in

persona del legale rappresentante p.t. dr. Maria Baccio; Casa di cura

Morana srl, con sede legale in Marsala (TP), Contrada Dara, P.Iva

01466200811, in persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Angela

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22

D’Antoni; Skema Iniziative Sanitarie srl-Casa di cura Regina Pacis, con

sede legale in San Cataldo (CL), Via P.pe Lanza di Scalea n. 3/5, P.Iva

00195960851, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Angela Maria

Torregrossa; Clinica del Mediterraneo-Gestione MEDI.SAN. srl, con sede

legale in Vittoria (RG), Via Lamarmora n. 218, P.Iva 01219210885, in

persona del legale rappresentante p.t. Sig. Giorgio Ferrito; Casa di Salute I.

Attardi SpA, con sede legale in Santo Stefano Quisquina (AG), Via

Nazionale n. 6, P.Iva 00213650849, in persona del legale rappresentante p.t.

dott. Antonino Giannone; SIA Casa di cura S.Anna SpA, con sede legale in

Agrigento, Via Porta Aurea, P.Iva 00137210845, in persona del legale

rappresentante p.t. rag. Vincenzo Ragusa; Istituto Ortopedico Villa Salus

Innocenzo Galatioto srl, con sede legale in Augusta (SR), PS Augusta-

Brucoli n. 507/a, P.Iva 01552710897, in persona del legale rappresentante p.t.

dr.ssa Monica Ierna; Casa di cura Villa Mauritius-Arcobaleno srl, con sede

legale in Siracusa, Via Francofone n. 5, P.Iva 009843110896, in persona del

legale rappresentante p.t. Sig. Antonio Tigano; Casa di cura Santa Lucia

GLEF srl, con sede legale in Siracusa, Via Lombardia n. 1, P.Iva

00882610892, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giuseppe

Giardina Papa; Casa di cura Nuova Clinica Villa Rizzo, con sede legale in

Siracusa, Via S. Agati n. 3, P.Iva 00958650897, in persona del legale

rappresentante p.t. rag. Giuseppe Liuzza; Casa di cura Villa Azzurra srl,

con sede legale in Siracusa, Traversa Belvedere di Scala Greca n. 24, C.F.-

P.Iva 00904300894, in persona del legale rappresentante p.t. Sig. Dario Meli;

tutte elettivamente domiciliate in Roma, Via Orazio n° 3, presso lo Studio del

prof. avv. Vito Bellini, (C.F.: BLL VTI 34E31 H729Y - Pec:

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[email protected] ) che le rappresenta e difende in giudizio, unitamente agli

avvocati Enzo Paolini del foro di Cosenza (C.F.: PLNNZE57R02D086E –

Pec: [email protected]), Giustino Ciampoli del foro di Milano

(C.F.: CMPGTN47H21C632J – Pec

[email protected]) e Bruno Ricciardelli del foro

di Napoli (C.F.: RCCBRN56B25F839P Pec:

[email protected]) giuste deleghe in calce al presente

atto,

- Ricorrenti -

C O N T R O

- il MINISTERO DELLA SALUTE in persona del Ministro pro-tempore,

- il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del

Ministro pro-tempore, domiciliati entrambi per la carica presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi n.12,

- Resistente –

PER L’ANNULLAMENTO

previa sospensiva, del Decreto del Ministero della Salute 18 ottobre 2012,

pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2013 (doc. n. 1), avente

ad oggetto la “Remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per

acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e

di assistenza specialistica ambulatoriale”, nonché di tutti gli atti precedenti,

successivi e comunque connessi, ed in particolare dell’Allegato 3, che

costituisce parte integrante del provvedimento, e della Relazione Tecnica del

Dipartimento della Programmazione e dell’Ordinamento del S.S.N. –

Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, pur non allegata al

Decreto Ministeriale pubblicato ma allegata alla prima Bozza di Decreto.

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PREMESSA

Va rassegnata una breve premessa, non usuale nei ricorsi giurisdizionali, ma

indispensabile in questo caso per delineare lo sfondo di politica sanitaria nel

quale si inquadra una azione amministrativa che strumentalizza la (entro certi

limiti) riconosciuta discrezionalità del pubblico funzionario, e piega il diritto

potestativo della P.A. al perseguimento dell’interesse pubblico, verso un fine

solo apparentemente collettivo (quello al contenimento della spesa) ma che in

realtà risulta essere solo un pretesto – lesivo degli interessi dei singoli –

opposto all’incapacità di conseguire il bene comune mediante le azioni

proprie (contenimento degli sprechi, incentivi alla competitività e premi per la

qualità, economia scalari ecc. ecc.).

I ricorrenti sono ben consapevoli dell’orientamento costituzionale secondo il

quale quello alla assistenza sanitaria non sarebbe un diritto assoluto ed

incomprimibile quanto piuttosto condizionato dalla limitatezza delle risorse

destinate al suo soddisfacimento.

Tuttavia ritengono escluso dalle intenzioni degli autori di tale intervento

interpretativo che un siffatto condizionamento, una simile compressione del

diritto del cittadino possa giungere sino alla estrema conseguenza del

ripristino del monopolio statale in termini di servizio sanitario.

Se così non è – e non è – allora occorre tener presente, nell’azione

amministrativa che qui si esprime con il decreto impugnato - da un lato che il

cittadino paziente ha diritto alla erogazione in modi, termini e tempi adeguati,

dei cosiddetti LEA (cioè delle prestazioni sanitarie comprese nei Livelli

Essenziali di Assistenza, finanziate dalla fiscalità generale) e dall’altro che le

strutture private, - le quali ai sensi delle normative vigenti e dei principi

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costituzionali in tema di libera impresa, forniscono prestazioni sanitarie sulla

base della libera scelta dei cittadini – debbano essere remunerate in maniera

sufficiente e dignitosa. E che ciò debba essere assicurato dalla P.A. in quanto

beneficiaria del prelievo fiscale finalizzato, in quota parte, a garantire

l’assistenza sanitaria.

Se si dovesse affermare il contrario – e cioè che si possa derogare ai LEA

oppure che le prestazioni in essi compresi possano essere remunerate

sottocosto – dovremmo concludere che nel nostro Paese si è introdotta una

sorta di monopolio mascherato da mercato regolato; e che invece è un

mercato iniquo nel quale lo Stato, oltre ad essere direttamente erogatore del

servizio attraverso i propri ospedali, nello stesso tempo stabilisce le tariffe, i

budget, i controlli ed i tempi di pagamento dei propri concorrenti, cioè gli

ospedali privati.

E quando lo fa – come nel caso – senza alcuna dimostrazione della correttezza

e dell’equità del proprio operato e del modo con cui ha gestito il proprio

meritato potere, tracima nell’illegittimità inammissibile in uno Stato di diritto.

Donde il presente ricorso volto a censurare ed a porre rimedio ad un siffatto

arbitrio.

E’ pacifico il principio secondo cui le Regioni nell’ambito del S.S.N. sono

impegnate ad assicurare l’erogazione delle prestazioni sanitarie da parte di

strutture private in regime di accreditamento (e cioè in forma diretta) a fronte

di tariffe corrispondenti, adeguate cioè ai costi effettivi.

Di tale principio si è fatto carico in particolare l’art. 8 sexies D.Lgs. n. 502/92

e successive modificazioni ed integrazioni che ha fissato un rapporto diretto

tra prestazioni e tariffe predeterminate e cioè le tariffe da corrispondere alle

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strutture accreditate “sulla base di standard organizzativi e di costi unitari

predefiniti dei fattori produttivi” (co. 3). Il successivo co. 5 ha tracciato il

procedimento per l’adozione del relativo decreto ministeriale per individuare i

sistemi di classificazione, “che definiscono l’unità di prestazione o di servizio

da remunerare” e per determinare “le tariffe massime da corrispondere alle

strutture accreditate, in base ai costi di standard di produzione e di quote

standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di

strutture accreditate”.

Il principio stesso (nel senso cioè della corrispettività tra costi e tariffe) ha

trovato conforme applicazione davanti al TAR Lazio, Sez. 3°, (sent. n. 33374

dell’11.11.2010) che, alla luce anche dell’indirizzo del Consiglio di Stato (n.

1205 del 2.3.2010), ha avvertito “la necessità che le tariffe vengano fissate

sulla base del costo standard di produzione e dei costi generali in quota

percentuale rispetto ai costi standard di produzione, a loro volta da stabilire

sulla base di criteri assai dettagliati delle relative componenti”. Nello stesso

senso è la sent. n. 12623/07 (sempre) di codesto Tribunale, il quale è poi

tornato ulteriormente sulla stessa questione con sent. n. 12982/2007,

confermata dalla già su citata sent. Consiglio di Stato 1205/2010. Sentenza

quest’ultima che, nell’annotare (come testé si ricordava) che le tariffe

debbono essere stabilite in base a criteri “assai dettagliati”, ha aggiunto che:

“la determinazione delle singole tariffe deve essere confortata dall’esame di

un campione significativo di strutture pubbliche e private, così da consentire

la verifica dell’indefettibile connessione logico-motivazionale tra

l’accertamento dei costi e la misura delle tariffe”.

A chiarimento e completamento di tale principio si è nel corso del tempo

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consolidata una giurisprudenza (pur sempre di codesto Tribunale), confermata

pur anche dal Consiglio di Stato (circa i criteri per la determinazione delle

tariffe in questione), “secondo cui, in materia tariffaria, la motivazione dei

provvedimenti deve necessariamente consistere in una connessione logica tra

l’accertamento dei costi e la misura delle tariffe (Cons. Stato, IV, n. 1839/01)

avuto riguardo al costo standard di produzione per prestazione calcolato

sulla base dei costi rilevati presso un campione di soggetti erogatori pubblici

e privati”.

Il citato art. 8 sexies più recentemente è stato oggetto di modificazioni in virtù

dell’art. 15, co.l5, 16 e 17, D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella legge 7

agosto 2012, n. 135 nel senso che: “In deroga alla procedura prevista

dall’articolo 8-sexies, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre (1992, n.

502), e successive modificazioni, in materia di remunerazione delle strutture

che erogano assistenza ospedaliera ed ambulatoriale a carico del servizio

sanitario nazionale, il Ministro della Salute, di concerto con il ministro

dell’Economia e delle finanze, (sentita la Conferenza permanente per i

rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di

Bolzano, con proprio decreto, entro il 15 settembre 2012), determina le tariffe

massime che le regioni e le province autonome possono corrispondere alle

strutture accreditate, di cui all’articolo 8 – quater del decreto legislativo 30

dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sulla base dei dati di costo

disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali, tenuto

conto dell’esigenza di recuperare, anche tramite la determinazione tariffaria,

margini di inappropriatezza ancora esistenti a livello locale e nazionale”.

Praticamente la sopravvenuta norma di legge ha innovato il percorso

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procedurale nella subiecta materia assumendo, come base per la

determinazione delle tariffe massime in sede nazionale, i “dati di costo

disponibili e, ove ritenuti congrui e adeguati, dei tariffari regionali”. Ciò in

luogo della precedente ed articolata previsione del comma 5 del citato art. 8

sexies che invece ha sin qui affidato il compito in questione essenzialmente ai

sistemi di classificazione “che definiscono l’unità di prestazione e di servizio

da remunerare” e alla determinazione delle tariffe massime “in base ai costi

standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un

campione rappresentativo di strutture accreditate”.

Insomma l’innovazione introdotta ha inteso valorizzare sostanzialmente i dati

disponibili...dei tariffari regionali: dati quindi che spettava poi al decreto di

attuazione elaborare con riguardo alle realtà acquisite attraverso i tariffari

regionali e, dunque, renderli visibili e dettagliati stante che, ragionevolmente,

l’esigenza motivazionale resta nella sua logica un cardine dell’ordinamento e

rende attuale l’indirizzo giurisprudenziale di cui si è fatta già menzione.

E’ invece accaduto che il predetto decreto, adottato il 18.12.2012 (e

pubblicato il successivo 28 gennaio) si è limitato a riprodurre

pedissequamente il testo della legge, ritenendo così esaurito ogni incombente

motivazionale ed istruttorio per la determinazione delle tariffe massime in

ordine alle diverse branche di assistenza, di cui agli allegati 1, 2, 3 al decreto

stesso.

Pertanto, quello che la legge ha indicato come criterio generale per stabilire le

tariffe massime da corrispondere per le singole prestazioni sanitarie con

riguardo ai dati già disponibili, derivabili dagli sperimentati precedenti

acquisiti, presupponeva poi che in sede attuativa l’applicazione di tale criterio

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fosse confortato e avvalorato da un campione rappresentativo idoneo a dare

contezza significativa che, anche se mutuata dai “dati disponibili”, fosse

comunque in grado di supplire, pur se sul piano empirico, alla verifica

“dell’indefettibile connessione logica – motivazionale tra accertamento dei

costi e la misura delle tariffe”.

Nulla di tutto questo traspare dall’adottato decreto che, avendo esaurito la sua

ragione attraverso la riproduzione testuale del criterio di legge senza la

conforme applicazione, ha finito con il concepire indicazioni tariffarie prive

di ogni supporto valutativo convincente, tanto che il fine del risparmio è

prevalso sui canoni elementari alla base del sottostante procedimento.

Quanto tutto ciò sia vero, e sia fonte dei vizi che saranno in appresso

articolati, può essere confrontato con le seguenti conclusioni dello stesso

decreto de quo:

a) il richiamo ai criteri dell’art. 8 sexies, co. 5 che, seppure derogati per le

tariffe massime, continuerebbero ad essere utilizzati “dalle Regioni in sede di

adozione dei propri tariffari”. Conclusione apparentemente lineare ma che

presupponeva, come presuppone, una qualche correlazione costruttiva delle

tariffe massime in relazione alle realtà calcolate di mercato, affiorando, in

caso contrario, risultanze ontologicamente inconciliabili tra tariffe ministeriali

e tariffe regionali in quanto frutto rispettivamente di criteri deduttivi derivanti

da dati disponibili non meglio identificati rispetto invece ai criteri tangibili

derivanti da detto art. 8 sexies;

b) Il richiamo alla istituzione di un gruppo di lavoro “che ha attivato linee di

studio e di approfondimento, anche con rilevazioni campionarie,

relativamente a dati e valutazioni utili alla definizione delle tariffe”. Ma di

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quelle rilevazioni non vi è alcuna traccia e questo può spiegare come lo

schema del decreto stesso non abbia conseguito il parere favorevole da parte

della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome.

Il decreto si conclude determinando (come previsto dall’art. 1, co. 1 del

relativo dispositivo) le tariffe massime per l’assistenza ospedaliera per acuti,

di assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e di

assistenza specialistica ambulatoriale “valide dalla data di entrata in vigore

del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2014”, aggiungendo al

successivo co. 2 che il decreto stesso “individua altresì, i criteri generali in

base alle quali le Regioni adottano il proprio sistema tariffario articolando

(come precisa il successivo art. 4, co. 2) le tariffe, per classi di erogatori”.

In definitiva, sul piano strettamente formale, rileva l’enunciazione di principi

che tuttavia – come vedremo in appresso – non sono confortati dalla loro

concreta applicazione in termini soprattutto motivazionali e istruttori.

Dalla lettura del decreto scaturisce infatti l’impressione di un atto finalizzato

al risultato (quello di fissare le tariffe massime) senza tuttavia dare un qualche

supporto di contezza circa la connessione logica tra accertamento dei costi e

la corrispondente misura delle tariffe: il tutto risulta peraltro aggravato dalla

precarietà temporale (ovvero fragilità) del decreto nel suo complesso.

Ed invero, mentre il concepimento del decreto stesso era ancora in fieri, il

citato art. 15, comma 15 e segg. L. 135/2012 è stato integrato dal comma 17

bis (introdotto dall’art. 2 bis D.L. 13.9.2012 n. 158 convertito nella L. n. 189

dell’8.11.2012) che ha istituito una commissione “per l’aggiornamento delle

tariffe determinate ai sensi del comma 15”, che dovrà essere costituita “entro

15 giorni dalla di entrata in vigore della legge di conversione del presente

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decreto” (23.11.2012) per confrontarsi con le Associazioni di categoria (e

quindi entro il 22.1.2013). Con il conseguente impegno del competente

Ministero di adottare il provvedimento per l’aggiornamento delle tariffe nei

successivi 30 giorni (e quindi entro il 21.2.2013).

Cosicché, mentre le tariffe massime (allegate al decreto de quo) dovrebbero

valere fino al 31.12.2014, l’aggiornamento delle stesse dovrebbe (avrebbe

dovuto) avvenire entro il predetto termine (pur se non perentorio) del

21.2.2013 e, questa volta, previo il confronto con le Associazioni di categoria.

Il che getta ulteriori ombre sul decreto stesso e sulla correlata ragione causale

se non altro per essere contestualmente funzionalizzato a fornire la base per i

tariffari regionali e nel contempo la base per il programmato e ravvicinato

aggiornamento: base dunque le cui risultanze tariffarie, nell’uno e nell’altro

caso, sono destinate a costituire un riferimento essenziale non sorretto da dati

di costo (“congrui e adeguati”) secondo l’obiettivo istituzionale del decreto

stesso. Ragione per l’annullamento, previa sospensiva, del decreto

ministeriale de quo, concepito nella manifesta genericità ed approssimazione

e privilegiando cioè un modus procedendi in contrasto al principio

recentemente ribadito dallo stesso Consiglio di Stato (sent. n. 740

dell’11.2.2013 secondo cui: “la pubblica amministrazione, se in relazione alla

scarsità delle risorse disponibili è libera di non acquistare o ridurre

numericamente l’acquisto di servizi, non può tuttavia acquistare prestazioni

ad una cifra che non copre le spese e non consente utili all’impresa

erogatrice”.

Da qui il presente ricorso delle strutture interessate e direttamente lese dal

provvedimento impugnato nonché dell’Associazione di categoria AIOP che,

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secondo il proprio Statuto, interpreta e rappresenta gli interessi dei propri

associati per la corretta applicazione dei principi ispiratori della normativa in

materia sanitaria e ciò per i seguenti motivi.

*

Tutte le strutture associate e quelle indicate in epigrafe svolgono attività

sanitaria in base al regime di accreditamento previsto dal Decreto Legislativo

n. 502 del 30 dicembre 1992, e successive modificazioni, ovverosia operano

per conto del Servizio Sanitario Nazionale erogando prestazioni di ricovero

ospedaliero e di specialistica ambulatoriale agli utenti-assistiti che si

presentano muniti di impegnativa del medico curante.

Le relative tariffe, collegate alle prestazioni a carico del Servizio Sanitario

Nazionale, sono normativamente determinate.

Appare utile, quindi preliminarmente ripercorrere sistematicamente l’iter

normativo della materia a livello nazionale, nonché l’incidenza

giurisprudenziale sull’argomento.

a) Percorso normativo nazionale della determinazione delle Tariffe in materia

di prestazioni specialistiche di laboratorio.

Il primo provvedimento che ha definito le tariffe delle prestazioni di patologia

clinica è stato il D.M. Sanità del 7 novembre 1991, che ha fissato dette tariffe

in applicazione dell’art. 5, Legge 407/1990, in base al quale veniva

demandata al Ministero della Sanità la revisione del Nomenclatore tariffario

delle prestazioni specialistiche erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale.

E’ successivamente intervenuto in materia il D.Lgs. n. 502/1992 che, all’art.

8, sesto comma, affidava al Ministro della Sanità il compito di individuare i

criteri per la determinazione delle tariffe, sentita la Federazione Nazionale

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degli Ordini dei Medici e degli altri Ordini competenti, e d’intesa con la

Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province

Autonome.

In attuazione del richiamato art. 8, veniva emanato, in data 15 aprile 1994, un

decreto del Ministero della Sanità, che all’art. 3 stabiliva appunto i criteri da

seguire per la determinazione delle tariffe, enunciando in sostanza la necessità

di correlare la tariffa al costo standard di produzione “calcolato sulla base dei

costi rilevati presso un campione di soggetti erogatori, pubblici e privati,

operanti rispettivamente nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale del

territorio regionale e provinciale, preventivamente individuato secondo criteri

di efficienza ed efficacia”.

Il principio sopra enunciato è stato successivamente recepito nella normativa

nazionale, atteso che il D.Lgs. 229/1999 ha abrogato l’art. 8 del D.Lgs.

502/1992, introducendo l’art. 8 sexies, che appunto ha ripreso e consacrato il

concetto di correlazione tra tariffa e costo di produzione.

Si giunge, dunque, al decreto 22 luglio 1996 (c.d. “Decreto Bindi”) che

applicando i criteri determinati dal decreto del 1994, disciplinava le

prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, individuando le relative

tariffe.

Il citato Decreto Bindi, incredibilmente ancora oggi in qualche modo

utilizzato, è stato annullato, in quanto illegittimo, dal Consiglio di Stato, con

la sentenza n. 1839 del 29 marzo 2001, ponendo a tale decisione alcune

motivazioni su cui ci si soffermerà in seguito.

Successivamente, è intervenuta la Legge Finanziaria 2005 (Legge n.

311/2004), che all’art. 1, comma 170°, attribuisce al Ministero della Salute, in

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concerto con il Ministero dell’Economia e sentita la Conferenza permanente

tra Stato, Regioni e Province Autonome, il compito di determinare le tariffe

massime per la remunerazione delle prestazioni e delle funzioni assistenziali,

puntualizzando che gli importi tariffari, fissati dalle singole Regioni superiori

alle tariffe massime così determinate, sarebbero rimasti a carico dei bilanci

regionali.

Le tariffe avrebbero dovuto, inoltre, subire una ricognizione ed un

aggiornamento biennale, a far data dal 31 dicembre 2005, seguendo le

medesime modalità ed i medesimi criteri individuati dalla normativa di

riferimento.

In realtà, la prima parte del comma 170 non ha mai avuto esecuzione, non

essendo stato mai emanato alcun decreto di determinazione delle tariffe

massime, mentre si è data esecuzione alla seconda fase del dettato normativo

con la promulgazione del Decreto Salute 12 settembre 2006, titolato

“Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la

remunerazione delle prestazioni sanitarie”.

Dunque, il Decreto 2006 ha provveduto solamente ad aggiornare le tariffe,

come peraltro si evince, per quanto di interesse, dall’art. 3 del Decreto

medesimo, che recita: ”1. In attesa dell'emanazione del nuovo Nomenclatore

tariffario delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale: a) le

tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni di assistenza

specialistica ambulatoriale a carico del Servizio Sanitario Nazionale sono

quelle individuate dal decreto del Ministro della Sanità del 22 luglio 1996

«Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell'ambito del

Servizio Sanitario Nazionale e relative tariffe». b) Sono inoltre a carico del

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Servizio Sanitario Nazionale, nella misura stabilita dal presente comma,

lettera a), le tariffe individuate da ciascuna Regione con proprio

provvedimento e vigenti al 31 dicembre 2004 per le prestazioni di assistenza

specialistica ambulatoriale che si configurano come mere modifiche

descrittive di prestazioni già elencate nel citato decreto e in queste ultime

comprese, modifiche delle unità di misura della prestazione originariamente

prevista dal citato decreto. (…) 2. Resta a carico del bilancio regionale la

remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale

contenute nei nomenclatori tariffari regionali non comprese nelle prestazioni

di cui al comma 1, lettere a), b) e c) del presente articolo. 3. A partire dalla

data di entrata in vigore del presente decreto, gli importi tariffari stabiliti con

provvedimenti regionali e superiori alle tariffe massime di cui al comma 1 del

presente articolo, restano a carico dei bilanci regionali per la parte eccedente

le tariffe di cui ai medesimi commi (…)”.

Appare ictu oculi come il Decreto de quo non abbia che ripreso e nuovamente

applicato le tariffe determinate nel precedente Decreto Bindi del 1996,

illegittimo ed annullato, come detto, dal Consiglio di Stato.

Ed infatti, codesto stesso T.A.R. del Lazio, con le sentenze n. 12623/2007,

12977/2007 e 12978/2007 annullava il Decreto del 2006, ed anche il

Consiglio di Stato, Quinta Sezione, con la recentissima sentenza n. 3733

del 14 giugno 2010, confermava l’illegittimità del Decreto, per i motivi che si

analizzeranno in seguito.

Successivamente la materia veniva novellata dall’art. 79, comma 1-quinques,

del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in Legge 6 agosto 2008 n. 133, che

modificava l’art. 8-sexies, comma 5, del D.Lgs. n. 502/1992, nel modo che

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segue: “Il Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari

regionali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le

regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (omissis), con apposito

decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di

prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da

corrispondere alle strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei principi

di efficienza e di economicità nell'uso delle risorse, anche in via alternativa,

di: a) costi standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture

preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e

qualità dell'assistenza come risultanti dai dati in possesso del Sistema

informativo sanitario; b) costi standard delle prestazioni già disponibili presso

le regioni e le province autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di

remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle regioni e nelle

province autonome. (omissis). A decorrere dalla data di entrata in vigore della

presente disposizione e' abrogato il decreto del Ministro della Sanità 15 aprile

1994, recante “Determinazione dei criteri generali per la fissazione delle

tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed

ospedaliera», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1994”.

Si giunge, a questo punto, al D.L. 6 luglio 2012 n. 95 (in applicazione del

quale è stato emanato il D.M. qui gravato), recante "Disposizioni urgenti per

la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”,

convertito in L. 7 agosto 2012 n. 135 (c.d. spending review), il cui art. 15:

a) al comma 13 lett. c) prevede l’avvio, da parte delle Regioni, di un percorso

di rideterminazione in riduzione degli standard strutturali e quantitativi

relativi all’assistenza ospedaliera;

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b) al comma 13 lett. g) aggiunge all’art. 8-sexies del D.Lgs. n. 502/92 e smi il

comma 1-bis in virtù del quale “Il valore complessivo della remunerazione

delle funzioni non può in ogni caso superare il 30 per cento del limite di

remunerazione assegnato”.

c) al comma 15 dispone che “in deroga alla procedura prevista” dall’articolo

8-sexies, comma 5, del D.Lgs. n. 502/92 (norma non abrogata, quindi, ma

solo derogata e limitatamente all’iter procedimentale) “in materia di

remunerazione delle strutture che erogano assistenza ospedaliera ed

ambulatoriale a carico del servizio sanitario nazionale, il Ministro della

salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province

autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, entro il 15 settembre

2012, determina le tariffe massime che le regioni e le province autonome

possono corrispondere alle strutture accreditate, di cui all’articolo 8-quater

del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni,

sulla base dei dati di costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei

tariffari regionali, tenuto conto dell’esigenza di recuperare, anche tramite la

determinazione tariffaria, margini di inappropriatezza ancora esistenti a

livello locale e nazionale”;

d) al comma 16 precisa che “Le tariffe massime di cui al comma 15, valide

dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro previsto dal medesimo

comma 15, fino alla data del 31 dicembre 2014, costituiscono riferimento per

la valutazione della congruità delle risorse a carico del Servizio Sanitario

Nazionale, quali principi di coordinamento della finanza pubblica”;

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e) al comma 17 ammette che le singole Regioni possano fissare importi

tariffari superiori alle tariffe massime di cui al comma 15, chiarendo tuttavia

che in tali casi le maggiorazioni “restano a carico dei bilanci regionali”;

f) al comma 17-bis (introdotto dall'art. 2-bis, comma 1, del D.L. 13 settembre

2012 n. 158 a seguito della conversione in Legge 8 novembre 2012 n. 189)

prevede l’istituzione (rimessa a successivo decreto del Ministro della Salute)

di una Commissione per la formulazione di proposte finalizzate

all'aggiornamento delle tariffe determinate ai sensi del comma 15;

g) al comma 18 abroga le disposizioni contenute nel primo, secondo, terzo,

quarto periodo del già richiamato art. 1, comma 170, della L. n. 311/04.

b) Evoluzione giurisprudenziale ed incidenza delle pronunce sulla

determinazione delle tariffe.

Giova, a questo punto, delineare il panorama giurisprudenziale in materia, che

ha contribuito ad individuare le violazioni perpetrate e reiterate, di cui,

tuttavia, questo Ministero sembra non aver tenuto conto.

Come già evidenziato, la prima pronuncia fondamentale è stata la sentenza del

Consiglio di Stato n. 1839 del 29 marzo 2001, che ha correttamente chiarito i

profili di illegittimità e contrarietà alle norme regolatrici in ordine ai criteri di

determinazione delle tariffe.

Appare opportuno, anche ai fini della questione che ci occupa, riportarne

alcuni passaggi: “Osserva il Collegio che, in via generale, trova applicazione

il principio esplicitato nell’art. 3 del predetto D.M. 15 aprile 1994, secondo

cui, in materia tariffaria, la motivazione dei provvedimenti deve

necessariamente consistere in una connessione logica tra l'accertamento

dei costi e la misura delle tariffe.

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Lo stesso Ministero, nella circolare del 1° aprile 1997, precisa all’allegato A

“Metodologia adottata per la determinazione delle tariffe”, che la

determinazione “è stata eseguita coerentemente con i criteri generali per la

fissazione delle tariffe delle prestazioni dettati dal decreto ministeriale 15

aprile 1994…”. L’affermazione è smentita dagli atti procedimentali, stante la

scarsa rappresentatività del campione scelto dal Ministero, per essere

stati i dati rilevati solo nelle strutture pubbliche in due realtà regionali

(Toscana ed Emilia Romagna), con esclusione di un campione sulle

strutture private. (….). In primo luogo, non è in contestazione la circostanza

che il Ministero della Sanità, per l’impianto della proposta di decreto

ministeriale, in ordine ai costi di produzione, abbia utilizzato un campione

rilevato nelle sole strutture pubbliche di due Regioni, cioè dell'Emilia-

Romagna e della Toscana.

Di per sé tale rilievo acquista decisivo significato, in considerazione delle

profonde diversità tra realtà regionali, senza contare l’assenza di

un’indagine sui costi nell’ambito delle strutture private, componente

essenziale nel sistema sanitario nazionale.

Inoltre, il parere del Consiglio Superiore di Sanità di data 13 marzo 1996 dà

atto che la bozza del nuovo nomenclatore è stata inoltrata alle società ed

associazioni medico - scientifiche maggiormente rappresentative, che hanno

formulato osservazioni; nel merito, approva la predetta bozza, senza far

cenno, neppure sintetico e/o per relationem, alla natura delle osservazioni e,

quindi, alle ragioni ritenute idonee a superare le osservazioni stesse.

Assumono, altresì, rilievo le risultanze emerse, nella “Posizione delle regioni

in sede di gruppo tecnico della Segreteria della Conferenza permanente tra lo

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Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano”, sullo schema

di decreto ministeriale, in data 11 giugno 1996 (….).

In definitiva, il procedimento seguito non soddisfa il criterio di base, per cui

la determinazione delle singole tariffe deve risultare da un campione

significativo di strutture pubbliche e private, così da poter verificare quella

connessione logica necessaria tra l'accertamento dei costi e la misura delle

tariffe. Né una tale verifica può prescindere dai dati di mercato, per essere

sostituita da accordi tra Stato e Regioni, che non trovano fondamento in un

sistematico e compiuto esame di valori tratti dalle diverse realtà pubbliche e

private”.

Dunque, i Giudici di Palazzo Spada hanno rilevato fondamentalmente un

difetto di motivazione, una violazione delle norme preposte

all’individuazione dei criteri per la determinazione delle tariffe, ed una

mancata aderenza alle realtà economiche cui detto tariffario sarebbe

stato applicato, sancendo definitivamente ed irrimediabilmente l’illegittimità

del Decreto Bindi del 1996.

Successivamente, come detto, lungi dall’applicare pedissequamente i criteri di

cui al D.M. 1994 e la modalità di cui alla Finanziaria 2005 (L. 311/2004, art.

1, comma 170°), il Ministero della Salute emanava il D.M. 2006, oggetto di

impugnativa da parte della maggioranza delle strutture private accreditate.

Codesto Tribunale Amministrativo, con le già citate sentenze n. 12623/2007,

12977/2007 e 12978/2007, annullava il D.M. del 2006, sulla scorta di

interessanti ed incontrovertibili motivazioni.

Anche in questo caso appare opportuno citare alcuni brani di una di tali

pronunce (n. 12623/2007): “Non è seriamente dubitabile della lesività

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dell’atto impugnato, anche se in esso si prevede che le Regioni possono

fissare tariffe più elevate di quelle a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

A prescindere infatti dalla circostanza di fatto, verificabile col secondo dei

ricorsi in epigrafe, che la Regione Lazio in particolare non si è avvalsa di

tale facoltà, che comportava comunque la necessità di finanziare col proprio

bilancio tali aumenti di tariffe, appare evidente come i parametri tariffari

stabiliti dall’Amministrazione statale costituiscano un punto fermo ed un

orientamento preciso per le Regioni, mentre possibili (solo teoricamente)

tariffe massime più elevate costituiscono nella fattispecie una mera

eventualità; costituiscono altresì un chiaro condizionamento del

comportamento regionale in quanto a tariffe più elevate

corrisponderebbe una minore necessità di adottare provvedimenti con

onere a carico delle Regioni stesse”.

Ed ancora: “Il decreto qui impugnato richiama e rende ora applicabili le

tariffe determinate con un decreto ministeriale che risulta annullato in

sede giurisdizionale dal Consiglio di Stato con sentenza della sez. IV 29

marzo 2001 n. 1839; a prescindere dalla questione, peraltro poco

comprensibile, posta dalla difesa dell’Amministrazione sulla possibilità di

far rivivere solo le tariffe e non il decreto in quanto caducato, il Collegio

rileva come il principale difetto istruttorio derivi dal fatto che l’atto

impugnato non dà minimamente conto di tale questione; che l’abbia

ignorata perché non a conoscenza dell’annullamento giurisdizionale,

ovvero perché riteneva comunque possibile, nonostante l’annullamento,

far rivivere dette tariffe, appare comunque evidente il difetto di

istruttoria e di motivazione del provvedimento sotto tale profilo.

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(Omissis) Peraltro la necessità (logica) di fissare le tariffe massime tenendo

conto dei costi di produzione standard e delle quote standard dei costi

generali, risulta ora recepito in norma di legge chiara, quale l’art. 8 sexies

comma 5 del D.Lgs. n. 502/92, introdotto dall’art. 8 comma 4 del D.Lgs.

229/99.

Sinteticamente il principio si trova anche nell’art. 1 comma 170 della legge

finanziaria 30 dicembre 2004 n. 311.

Ora, che l’Amministrazione non abbia seguito i suddetti criteri e non abbia

quindi effettuato una analitica istruttoria sui costi di produzione, prima di

determinare le tariffe massime da remunerare tramite Servizio Sanitario

Nazionale, lo dimostra sia la circostanza che non è stato prodotto in giudizio

nessun atto istruttorio di tal genere, sia soprattutto il fatto che il

provvedimento richiama puramente e semplicemente un atto di dieci anni

prima, la cui istruttoria, ammesso che potesse considerarsi allora adeguata

(“in disparte” la circostanza che detto atto è stato annullato dal Giudice

Amministrativo proprio per difetto istruttorio), avrebbe sicuramente avuto

necessità di un aggiornamento di verifica per valutare la congruità dei costi

di dieci anni prima (basterebbe al riguardo richiamare il “fatto notorio” del

cambiamento valutario che ha comportato un significativo aumento

generalizzato dei costi)”.

Le citate sentenze di codesto T.A.R. Lazio hanno trovato una recentissima

conferma nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3733/2010 del 14 giugno

2010.

Lo stesso Consiglio di Stato è ritornato sulla questione “tariffe” con una

recentissima pronuncia (n. 740/2013, Sezione Terza), nella quale, a

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prescindere dall’oggetto specifico del ricorso, vengono individuati importanti

e non sopiti principi, che andiamo ad evidenziare.

I Giudici Amministrativi evidenziano come” la Pubblica Amministrazione, se

in relazione alla scarsità delle risorse disponibili è libera di non acquistare o

ridurre numericamente l’acquisto di servizi, non può tuttavia acquistare

prestazioni ad una cifra che non copre le spese e non consente utili

all’impresa erogatrice.

Pertanto non può procedere ad approssimazioni nella determinazione dei

costi del personale a fronte di disposizioni normative che impongono

all’impresa, con pesanti sanzioni anche di carattere penale, di erogare al

personale retribuzioni sulla base di parametri prefissati ed inderogabili

derivanti dalla contrattazione collettiva.

Ed ancora:”se è vero poi che gli atti impugnati sono stati adottati in

attuazione di precisi vincoli di bilancio ed in particolare sono volti a

rispettare la normativa speciale sul rientro dai disavanzi dettata dalle ultime

leggi finanziarie, cionondimeno non è esclusa la necessità di trovare un

giusto equilibrio tra le varie esigenze fondamentali che rifluiscono nella

materia: la pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie adeguate con la

connessa salvaguardia del diritto di primaria rilevanza alla salute, il

mantenimento degli equilibri finanziari che comunque non possono contare

su risorse illimitate, ma anche gli interessi degli operatori privati che

rispondono a logiche imprenditoriali meritevoli di tutela e l’efficienza

delle strutture pubbliche e private operanti in materia”.

L’excursus sopra delineato mostra senza tema di smentita come sino ad oggi

non sia stata compiutamente applicata la vigente normativa in tema di

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determinazione del-le tariffe, applicabili alle prestazioni specialistiche, ed in

particolare alle prestazioni di patologia clinica.

c) Il provvedimento impugnato

In aderenza, almeno formale, del dettato normativo sopra indicato, collegato

al citato D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in L. 7 agosto 2012 n. 135 (c.d.

spending review), il Ministero della Salute ha emesso il Decreto oggi

impugnato, con il quale si:

- determinano, con efficacia fino al 31 dicembre 2014, le tariffe massime che

le Regioni e le Province Autonome possono corrispondere alle strutture

accreditate di cui all’art. 8-quater del D.Lgs. n. 502/92 e smi, tra le quali

rientrano anche le odierne ricorrenti;

- precisa che tali tariffe massime, nelle more di una organica revisione dei

LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) si riferiscono alle sole prestazioni ed

alle tariffe oggetto del precedente D.M. Sanità 22 luglio 1996;

- chiarisce che, “nelle more della disponibilità degli esiti di ulteriori studi sui

costi delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale”, obiettivo

del decreto è “limitare l'aggiornamento delle tariffe ministeriali a

quelle prestazioni per le quali si dispone di informazioni sui costi,

utilizzando a tal fine anche gli esiti dell'analisi della variabilità

tariffaria interregionale” ai sensi dell’art. 8-sexies, comma 5, lett. b) e c), del

D.Lgs. n. 502/92 e smi.

- fissano con l’Allegato 3 (richiamato dall’art. 3 come parte integrante del

decreto) le tariffe massime relative alle prestazioni di assistenza specialistica

ambulatoriale a carico del S.S.N.;

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- dichiara di “assorbire nell’aggiornamento tariffario delle prestazioni di

specialistica ambulatoriale” di cui all’Allegato 3 “il valore dello sconto

attualmente vigente nel settore privato” in virtù dell'art. 1, comma 796, lett.

o), della L. n. 296/2006 (sconto pari al 20% degli importi indicati dal D.M. 22

luglio 1996 per le prestazioni di diagnostica di laboratorio ed al 2% degli

importi ivi indicati per le restanti prestazioni specialistiche).

Il provvedimento de quo, di estrema gravità per gli interessi di tutte le

strutture ricorrenti, sull’intero territorio nazionale, supportate anche dalle

rispettive Associazioni di categoria, regionali e nazionale, ci ha condotto,

ancora una volta, a proporre la presente impugnativa, per i seguenti

* * *

M O T I V I D I D I R I T T O

A) IN RELAZIONE ALLE TARIFFE PER LE PRESTAZIONI DI

SPECIALISTICA AMBULATORIALE

1) Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Contraddittorietà.

I precedenti giurisprudenziali, anticipati nella premessa, restano illuminanti

per verificare se il decreto impugnato contenga conclusioni sorrette dall’

“indefettibile connessione logico-motivazionale tra l’accertamento e la misura

delle tariffe”: conclusioni cioè a cui si sarebbe dovuti pervenire attraverso

“criteri dettagliati”.

Ebbene anche una lettura superficiale del decreto stesso non lascia dubbi sulla

carenza di dati e concreti elementi di giudizio alla base delle determinate

tariffe che debbono essere assunte dalle Regioni come livelli massimi.

Al riguardo sarà utile preliminarmente evidenziare come la sopravvenuta

normativa (ex art. 15, co. 15 e segg.) abbia inciso sulla precedente disciplina

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“in deroga alla procedura prevista dall’art. 8 sexies, co. 5” lasciando quindi

inalterati gli aspetti sostanziali riconducibili al rapporto costi-tariffe.

Di ciò assume contezza lo stesso decreto richiamando il predetto art. 8 sexies

“che stabilisce che il decreto di determinazione delle tariffe massime, da

corrispondere alle strutture accreditate in base ai costi standard di produzione

e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo

di strutture accreditate”.

Senonchè la lettura del decreto non sembra dare altrettanta contezza per la

conseguente e reale applicazione.: l’impressione che anzi affiora dal contesto

del decreto stesso è che i principi indicati dall’art. 8 sexies valgono nei

confronti delle Regioni per i propri tariffari ma non già per le tariffe azionali,

cui le Regioni stesse debbono attenersi: impressione confermata dallo stesso

decreto allorchè è detto espressamente che i criteri dell’art. 8 sexies “per la

determinazione delle tariffe massime nazionali, devono essere utilizzati dalle

Regioni in sede di adozione dei propri tariffari .... attraverso il riconoscimento

di livelli tariffari inferiori ai massimi nazionali...”.

Il che lascia ritenere – come testè si diceva - che i criteri per la corrispondenza

costi-tariffe valgono solo per le Regioni che tuttavia debbono sottostare a

livelli massimi i quali sono stati determinati senza una connessione logica e

motivazionale.

Ed infatti quel che rileva è la preoccupazione (per alcuni aspetti condivisibile)

di riferire “la congruità delle risorse....alla necessità del rispetto dei parametri

di programmazione nazionale” ma quando si tratta di passare al rapporto

costi-tariffe nulla è detto come le tariffe massime siano state concepite: con la

conseguenza che il tutto si è svolto nell’assoluta genericità senza un rapporto

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concreto di rilevazione pur se attraverso campioni rappresentativi.

2) Illegittimità derivata per illegittimità del D.M. 22 luglio 1996 e del

D.M. 12 settembre 2006, che hanno subito l’annullamento per violazione

dell’art. 8 sexies, comma 5°, del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 -

Violazione dell’art. 1, comma 170°, della legge 30 dicembre 2004 n. 311 -

Violazione degli artt. 3, 7, 8, 9, 10 e 21 quinquies della legge n. 241/90.

Non possiamo esimerci dal reiterare il vizio del presente provvedimento per

illegittimità derivata, conseguente all’annullamento del D.M. 22 luglio 1996

ed all’annullamento del D.M. 12 settembre 2006.

Sebbene, come si vedrà, il Decreto in oggetto è affetto da molteplici e

macroscopici vizi che lo rendono irrimediabilmente inapplicabile, e

meritevole di annullamento, oltre che di immediata sospensione, per un

approccio sistematico alla vicenda appare opportuno, preliminarmente,

affrontare questo primo vizio, che è in ogni caso strettamente collegato al

nucleo fondamentale della patologia del Decreto, ovvero l’assoluta carenza di

istruttoria e motivazione.

La portata lesiva del provvedimento ministeriale si individua, per un verso

nella circostanza di aver posto quale atto presupposto l’annullato D.M.

1996, con ciò assimilando i profili di illegittimità già individuati da codesto

Tribunale Amministrativo, e dai Giudici del Consiglio di Stato, in relazione al

D.M. 1996 prima e 2006 poi, ulteriormente aggravati da ulteriori elementi di

censura, che si analizzeranno, come detto, nel corso del presente atto.

Il D.M., infatti, nelle premesse, dispone specificatamente che “nelle more di

una revisione dei L.E.A. l’aggiornamento (perché di aggiornamento si tratta

e non certo di un nuovo nomenclatore tariffario), con particolare riguardo alla

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specialistica, può riguardare esclusivamente le prestazioni e le tariffe

riportate nel D.M. 22 luglio 1996.

Di nuovo appare, incredibilmente, il Decreto Bindi, assurto ormai ad unico

baluardo immodificabile della scena sanitaria nazionale.

A distanza di circa dodici anni, un provvedimento, più volte annullato dalla

Giustizia Amministrativa, viene nuovamente posto alla base del Decreto

Ministeriale di aggiornamento, in pericoloso e non contestualizzato ribasso,

delle tariffe per le prestazioni sanitarie.

2a) In ordine all’illegittimità derivata per illegittimità del D.M. 22 luglio

1996 e del D.M. 12 settembre 2006

Emerge con cristallina evidenza come tale profilo di censura sia pienamente

rinvenibile nel provvedimento impugnato, che, come detto, dichiara di

aggiornare le tariffe “Bindi”.

Orbene, come più volte ribadito, il citato D.M. 1996 è stato annullato per

chiarissime violazioni di legge e carenze motivazionali ed istruttorie, che

pertanto non possono che riflettersi sul Decreto Ministeriale 18 ottobre

2012.

Come si è detto, e come è stato sottolineato dal Consiglio di Stato nella

sentenza n. 1839/2001, il principale motivo che ha condotto all’annullamento

del D.M. 1996 è stata la mancanza di una connessione logica tra

l'accertamento dei costi e la misura delle tariffe, criterio chiaramente

espresso nel D.M. 15 aprile 1994, provvedimento richiamato dal D.M. 1996

medesimo.

Il primo errore in cui incorse il Ministero, allora ma con riflessi anche

sull’attuale provvedimento, è stata la scarsa rappresentatività del campione

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scelto, essendo stati rilevati soltanto i dati presso le strutture pubbliche in due

realtà regionali (Toscana ed Emilia Romagna), con esclusione di un campione

sulle strutture private.

Secondo i Giudici del Consiglio di Stato, come già evidenziato, “tale rilievo

acquista decisivo significato, in considerazione delle profonde diversità tra

realtà regionali, senza contare l’assenza di un’indagine sui costi

nell’ambito delle strutture private, componente essenziale nel sistema

sanitario nazionale”.

Inoltre, appare palese il difetto di istruttoria, atteso che in quel frangente tanto

il parere del Consiglio Superiore di Sanità del 13 marzo 1996, quanto la

posizione assunta dal Gruppo Tecnico della Segreteria della Conferenza

permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e

Bolzano, non risultano essere state prese in minima considerazione.

Vi è da sottolineare come nel documento redatto da tale ultimo gruppo

tecnico, co-me già evidenziato, si afferma che “le tariffe per le prestazioni

specialistiche ambulatoriali sono economicamente sottostimate. Infatti, le

tariffe proposte, sulla scorta dei costi di produzione puntualmente rilevati in

alcune Regioni, non appaiono per niente remunerative.…Le Regioni

ribadiscono che la scelta di determinazioni tariffarie sottostimate, a

motivo esclusivo di esigenze circoscritte e contingenti di Governo della

spesa, non potrà che incidere negativamente sulla qualità dell’assistenza

dovuta ai cittadini.…”.

“In definitiva, il procedimento seguito non soddisfa il criterio di base, per cui

la determinazione delle singole tariffe deve risultare da un campione

significativo di strutture pubbliche e private, così da poter verificare quella

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connessione logica necessaria tra l'accertamento dei costi e la misura delle

tariffe. Né una tale verifica può prescindere dai dati di mercato, per essere

sostituita da accordi tra Stato e Regioni, che non trovano fondamento in un

sistematico e compiuto esame di valori tratti dalle diverse realtà pubbliche e

private”: questa è stata la chiosa del Consiglio di Stato, che non può che

trovare assoluta condivisione.

Ponendo come parametro il D.M. 1996, dunque, il Decreto oggi

impugnato risulta palesemente viziato per illegittimità derivata, non solo

in quanto detto D.M. non esiste più nel mondo giuridico, ma altresì in quanto

fa proprie tutte le violazioni cui è incorso il Ministero nella determinazione

delle tariffe.

Aggiornare oggi tariffe considerate, in più occasioni e con definitive

pronunce, illegittime (le tariffe stesse, dunque, e non solo l’impianto del

Decreto Bindi), non trova alcun conforto, come si specificherà, neppure

nell’esigenza di contenimento delineata con la spendig review.

Se le tariffe del 1996 non trovavano rispondenza con l’andamento dei

costi dell’epoca, non si può pensare che le tariffe introdotte con il Decreto

Ministeriale in oggetto, che abbattono di oltre il 30% le tariffe del 1996,

siano minimamente collegate alla reale incidenza dei costi attuali.

Dunque, appare di tutta evidenza che le stesse morbosità che affliggevano il

Decreto Bindi rivivano nel provvedimento oggi impugnato.

2b) In ordine alla violazione dell’art. 8 sexies, comma 5°, del D.Lgs. 30 di-

cembre 1992 n. 502 - Violazione dell’art. 1, comma 170°, della legge 30

dicembre 2004 n. 311 - Violazione del principio di buona fede e

dell’affidamento

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Pur avendo, si ritiene esaustivamente, delineato i profili di illegittimità

derivata, collegata all’applicazione dell’annullato D.M. 1996, giova

individuare la normativa che, in quanto violata dall’atto presupposto, travolge

anche l’atto impugnato.

L’art. 8 sexies, comma 5°, del D.Lgs. n. 502/1992 dispone: ”Il Ministro della

Sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province

Autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 120, comma 1°, lettera

g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto

individua i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di prestazione o

di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere

alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produ-zione e di quote

standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di

strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei princìpi di efficienza e di

economicità nell’uso delle risorse, anche in via alternativa, di: a) costi

standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture preventivamente

selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità

dell’assistenza come risultanti dai dati in possesso del Sistema informativo

sanitario; b) costi standard delle prestazioni già dispo-nibili presso le

Regioni e le Province Autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di

remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle Regioni e nelle Pro-

vince Autonome”.

Il predetto art. 8-sexies, comma 5, del D. Lgs. n. 502/92 rimane assolutamente

vigente e vincolante per il Ministero anche in sede di predisposizione del

nuovo tariffario di cui all’art. 15, comma 15, del D.L. n. 95/2012 (c.d.

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spending review).

In tal senso, è sufficiente analizzare due univoci rilievi testuali:

a) il comma 15 cit. obbligava ed obbliga il Ministero della Salute ad

incentrare l’istruttoria, testualmente, “sulla base dei dati di costo disponibili

e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali”, riproponendo

quindi, quale parametro-base, la necessaria correlazione tra tariffa e costo

ex art. 8-sexies, comma 5, cit.;

b) il comma 5 dell’art. 8-sexies risulta derogato unicamente su piano della

procedura di determinazione delle tariffe (cfr. l’incipit del comma 15: “In

deroga alla procedura prevista (…)”), ma non per quanto concerne i criteri

sostanziali preposti alla loro redazione (cfr. lett. a), b) e c) dell’art. 8-sexies,

comma 5 cit.), proprio in quanto funzionali a contenere la discrezionalità

dell’Amministrazione e ad evitare la sua traduzione in mero arbitrio.

Inoltre le previsioni dell’art. 8-sexies 5° comma risultano specificamente

richiamate non solo dalle premesse del D.M. 18 ottobre 2012, ma anche

dall’art. 1, comma 2, del medesimo e dall’art. 4 che, nel dettare i “Criteri

generali per l’adozione dei tariffari regionali”, al comma 1° obbliga le

Regioni a ricorrere, “anche in via alternativa, ai medesimi criteri individuati

per la determinazione delle tariffe massime nazionali, di cui alle lettere a),

b) e c) dell’articolo 8 sexies, comma 5, primo periodo, del decreto legislativo

30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni”.

Il richiamo ai criteri dell’art. 8-sexies, 5° comma quali parametri per le

determinazioni regionali si rivela, peraltro, contraddittorio, finendo il

Ministero per imporre alle Regioni il rispetto di un criterio che esso per primo

ha derogato e violato.

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Pertanto, appare del tutto evidente la perdurante vigenza e vincolatività dei

criteri in questione per il Ministero della Salute, che viceversa sono stati,

ancora una volta disattesi, in totale spregio dei principi legislativi e

giurisprudenziali.

Il Decreto infatti, nonostante tutti i richiami effettuati ed in palese

contraddizione con essi, appare invalidato da una grave incompletezza della

fase istruttoria sia per quanto riguarda le tariffe aggiornate (analisi di

laboratorio) sia per quelle non aggiornate (tutte le altre).

Si manifesta il più volte illustrato difetto di istruttoria e di motivazione, di

seguito illustrato, correttamente rilevato dalla Giustizia Amministrativa per

quanto riguarda i pregressi tentativi di un aggiornamento delle tariffe e

assolutamente riproposti con il provvedimento che ci occupa.

3) Violazione dell’art. 15, commi 15 e 17-bis, del d.l. n. 95/2012, dell’art.

2-bis del d.l. n. 158/2012 e dell’all. 1 della l. n. 189/2012 - Eccesso di

potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente eccesso di potere

per difetto di motivazione ed istruttoria, nonché per carenza dei

presupposti, travisamento dei fatti, illogicità - Violazione del principio di

buona fede e dell’affidamento.

Con la conversione del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 il Legge il Legislatore ha

ritenuto di dover inserire un comma ulteriore all’art. 15 più volte citato,

ovvero l’art. 17 bis, introdotto con il Decreto Sanità (D.L. 158/2012,

convertito in Legge 189/2012) all’art. 2 bis) e non presente nel Decreto

Legge.

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In tale articolo 17 bis si prevedeva l’istituzione di una “commissione per la

formulazione di proposte, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, per

l'aggiornamento delle tariffe determinate ai sensi del comma 15”.

La commissione doveva essere composta da rappresentanti del Ministero

della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Conferenza

delle Regioni e delle Province autonome ed aveva appunto il compito, a

seguito di un confronto con le Associazioni maggiormente rappresentative a

livello nazionale dei soggetti titolari di strutture private accreditate, di

provvedere ad un aggiornamento delle tariffe, entro sessanta giorni dalla data

dell'insediamento.

Entro i successivi trenta giorni il Ministro della salute, di concerto con il

Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato – Regioni,

doveva provvede all'eventuale aggiornamento delle predette tariffe" (art. 2-bis

cit., comma 1).

La commissione avrebbe dovuto insediarsi entro 15 giorni dall’entrata in

vigore della Legge, avvenuta in data 11 novembre 2012.

Ora, appare evidente che tale previsione (e dunque tale commissione) sia stata

introdotta, a correttivo dello “scivolone” avutosi con il D.L. 95/2012, sia per

ristabilire il principio di necessario confronto con le Associazioni di categoria

(concetto presente anche nelle pregresse normative quali la Legge 311/2005)

sia per consentire un’adeguata istruttoria per la determinazione delle tariffe, in

aderenza con il dettato normativo ed i principi giurisprudenziali ormai

consolidati.

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Tuttavia, sembra che il Ministero abbia del tutto “dimenticato” tale

previsione, introducendo il provvedimento di “aggiornamento” delle tariffe

senza che la commissione si sia neppure insediata.

A dimostrazione di quanto sia verosimigliante tale dimenticanza, è sufficiente

considerare quanto si legge nell’art. 1, 1° comma, del D.M., ove si afferma

che il decreto viene emanato “in applicazione dell’articolo 15, commi 15, 16,

17 e 18, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni,

in legge 7 agosto 2012, n. 135”, senza citare né il Decreto Sanità (D.L. n.

158/2012) né la Legge di conversione n. 189/2012, né tantomeno il

fondamentale nuovo comma 17-bis dell’art. 15 introdotto tramite l’art. 2-bis

anzidetto.

Appare perciò chiaro che il D.M. qui impugnato avrebbe dovuto dare

attuazione ai criteri procedurali e di contraddittorio dettati dal precitato art. 2-

bis del D.L. n. 158/2012, riportati nell’art. 17 bis del D.L. 95/2012, atteso che

il provvedimento si è occupato proprio di “aggiornamento” delle tariffe (non

trattandosi della formulazione di un nuovo Nomenclatore).

Si precisa che anche con riguardo alla tempistica relativa all’emanazione del

provvedimento, si sarebbe potuta e dovuta rispettare detta procedura.

Come detto, la Legge n. 189/2012 (che ha convertito il Decreto Sanità,

contenente l’introduzione della commissione all’art. 2 bis, trasfuso nell’art. 17

bis sopra citato) è entrata in vigore l’11 novembre 2012: il Ministero aveva

modo di nominare la commissione, che avrebbe svolto e concluso i propri

lavori entro la fine di dicembre 2012, ben un mese prima della pubblicazione

del Decreto Ministeriale oggi impugnato.

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Il provvedimento che ci occupa, dunque, appare il palese violazione del

dettato normativo sopra citato.

4) Violazione dell’art. 15, comma 15, del D.L. n. 95/2012 e dell’art. 8-

sexies, comma 5, D.Lgs. n. 502/1992 e smi. Violazione dell’art. 41 e

dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in

particolare eccesso di potere, carenza di istruttoria, carenza di

motivazione, ingiustizia manifesta.

Le osservazioni sino ad ora dispiegate appaiono prodromiche alla rilevazione

del più grave tra i vizi di cui è affetto il provvedimento che ci occupa, ovvero

la violazione dei principi, più volte denunciati dalla Giurisprudenza

Amministrativa, collegati alla definizione delle tariffe.

In particolare, la determinazione delle tariffe non tiene in alcun conto delle

necessaria correlazione tra l’accertamento dei costi e la misura delle

tariffe: in sostanza, applicando le tariffe così come determinate non potrà

esserci neppure la copertura dei costi sostenuti dalle strutture.

Questo è accaduto perché non è stata svolta un’adeguata istruttoria (di

cui non vi è traccia alcuna nel provvedimento) secondo i criteri imposti

dall’art. 8 sexies del D. Lgs. n. 502/1992, come già sottolineato ancora

valido e vigente per ciò che concerne i principi ed i criteri applicabili.

Abbiamo già rimarcato nelle premesse del presente atto come la deroga

contenuta nella spending review sia collegata solamente all’aspetto

procedurale dell’art. 8 sexies citato, ciò comportando che la necessità di

correlazione tra tariffa e costo, peraltro riproposta in più punti del

provvedimento che ci occupa, non possa in alcun modo essere derogata.

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E’ di intuitiva evidenza che tale parametro non potrebbe essere trasgredito,

neppure nel nome di un risparmio di spesa, atteso che prescindere da tale

correlazione comporterebbe l’impossibilità per l’imprenditore di sostenere e

proseguire la propria attività.

Né può affermarsi che la locuzione “sulla base dei costi disponibili”

costituisca un’esimente per il Ministero a svolgere un’adeguata istruttoria, in

grado di supportare le decisioni adottate.

In primo luogo, tali dati di costo disponibili dovevano essere correlati alle

tariffe applicate dalle singole regioni (l’art. 15 recita appunto che la base di

determinazione delle tariffe doveva prevedere la ricognizione dei “dati di

costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali”).

Spettava dunque al Ministero operare una congrua istruttoria, motivando in tal

modo il provvedimento in maniera adeguata, che tenesse conto di tutti i dati

disponibili, estrapolandoli, dunque, anche dai vigenti tariffari regionali.

In secondo luogo, sembra che il Ministero non abbia affatto tenuto conto dei

dati a disposizione.

Sulla materia, infatti, esistono moltissime relazioni di stime di cui poteva

disporre il Dipartimento ministeriale preposto alla definizione tecnica delle

tariffe, fornite non solo da soggetti di alta competenza tecnica incaricati dalle

Associazioni di categoria, ma altresì da istituzioni universitarie di alta

levatura, come ad esempio l’Università Bocconi.

Di contro, non emerge in alcuna parte del Decreto l’applicazione reale di tali

stime.

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In tal senso, disponiamo solamente di una Relazione tecnica (cfr. doc. n. 2,

peraltro impugnata con il presente ricorso) che è stata divulgata unitamente

alla prima bozza di Decreto.

Analizzando tale Relazione emergono alcuni sconcertanti elementi.

a) non vi è traccia di un accertamento del costo standard di produzione ed

organizzativo per singola Regione (tenuto conto dei fattori di produzione

nelle singole realtà regionali); né del costo standard generale a livello

nazionale, che nel D.M. non risulta ai enunciato.

In realtà, la metodologia impiegata per determinare il tariffario non appare

basata, come previsto dalla legge, sulla rilevazione dei costi, bensì sui

consumi prestazionali certi, rilevati dai flussi regionali e raggruppati per

totali, secondo la classificazione delle prestazioni vigente nella Regione

Emilia-Romagna (cfr doc. n. 2 Relazione tecnica, par.2, lett. b).

Le risorse messe a disposizione per l’assistenza sono state poi ripartite su detti

dati per trovare un’adeguata copertura finanziaria stravolgendo il metodo

prescritto dalla legge, posto che la tariffa deve essere correlata al costo, e

non ai consumi.

b) sempre osservando la Relazione (che comunque, si badi bene, non è

richiamata neppure per relationem nel Decreto impugnato), si evince che

sono stati presi a base del provvedimento i dati di costo di quattro Regioni

(Umbria, Toscana, Piemonte e Veneto), che, oltre a costituire realtà

assolutamente sottodimensionate rispetto ad altre Regioni, con riguardo alla

presenza di erogatori accreditati, rappresentano solamente una parte del

territorio nazionale, comunque estremamente circoscritta.

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Inoltre, il sistema di accreditamento posto in essere in tali Regioni è

assolutamente differente rispetto alle Regioni del Centro-Sud e, perlopiù, si

riversa su strutture di dimensioni medio-alte (c.d. megacentri) che non

corrispondono alle altre realtà regionali.

Lo dimostra la circostanza che il presente ricorso è stato proposto da

moltissime strutture, di medie dimensioni, anche del Piemonte e del Veneto.

Peraltro, a conforto delle risultanze ottenute, nella Relazione de quo viene

citato lo studio condotto dall’Università Bocconi, reso disponibile dalla

Regione Veneto, tuttavia tali dati sono stati recepiti in maniera del tutto

distorta, come dimostra l’Elaborato, svolto dal Gruppo di Lavoro Anisap

Veneto, che si deposita (doc. n. 3).

L’elaborato in questione si fonda proprio sui risultati dello studio che la

Regione Veneto ha affidato alla struttura CERGAS/BOCCONI, validato da

un Comitato Tecnico Scientifico permanente e fondato su un campione

idoneo di strutture.

Detto Elaborato riprende i dati CERGAS e, correttamente, li rivaluta (i dati di

costo erano riferiti al 2008) in base all’indice FOI(nt) del 2012.

Le prestazioni sono state divise in gruppi di branche, ovvero Fisiokinesi,

Diagnostica per immagini e Laboratorio, al fine di verificare, per ciascuna

branca, l’impatto economico del nuovo tariffario.

Per la Fisiokinesi, è emerso che il ricavo medio per la tariffa 1996

(comprensiva dello sconto imposto dalla Legge n. 296/2006) era pari a 7,12

Euro, il ricavo medio con la nuova tariffa sarebbe di 7,26 Euro, il costo

medio, rilevato in base ai dati disponibili (anche per il Ministero) è pari a

12,81 Euro.

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Per tale branca, dunque, l’elaborato precisa che “l’aggregato delle strutture di

questa branca otterrebbe un modesto incremento di ricavo; i valori di costo,

senza imputare le componenti relative ai tributi, agli oneri finanziari e

senza riconoscere alcuna remunerazione, sono notevolmente superiori ai

valori di ricavo”.

Per la Diagnostica per immagini la situazione è peggiore: il ricavo medio

per prestazione di cui alla tariffa precedente comprensiva di sconto era pari a

63,04 Euro; il ricavo medio ottenibile con la nuova tariffa sarebbe di 54,81

Euro, il costo medio attuale è di 82,13 Euro.

Il tecnico conclude per tale branca: “con il nuovo tariffario l’aggregato delle

strutture otterrebbe un sensibile decremento di ricavo; i valori di costo,

senza imputare le componenti relative ai tributi, agli oneri finanziari e senza

riconoscere alcuna remunerazione, sono molto discosti dai valori di ricavo”.

Per le prestazioni di Laboratorio, il ricavo medio per prestazione di cui alla

tariffa precedente comprensiva di sconto era pari a 3,23 Euro; il ricavo medio

ottenibile con la nuova tariffa sarebbe di 3,69 Euro, il costo medio attuale è

di 4,72 Euro.

Anche per le prestazioni di Laboratorio il tecnico conclude per un valore di

costo “sensibilmente superiore rispetto ai valori di ricavo”.

Inoltre, viene precisato che “in presenza di organizzazioni basate su scale

dimensionali differenti rispetto a quelle del campione (cioè realtà con

dimensione media più contenuta rispetto al Veneto, come certamente

riscontrabile in molte altre Regioni), ci si possono attendere costi anche

notevolmente più alti rispetto a quanto riportato in tabella”.

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Occorre a questo punto svolgere una precisazione, che si ritiene fondamentale

per non essere tratti in inganno dai numeri.

Nell’Elaborato che stiamo analizzando, dalla pag. 15, sono illustrate, a mezzo

di tabelle, le differenze tra vecchie e nuove tariffe, e la percentuale di rapporto

tra i costi e ricavi.

Ora, a prescindere dalla già evidenziata circostanza che, per tutte le branche, è

stato verificato che i costi non sono coperti dalle tariffe, dalle tabelle

sembrerebbe emergere, in generale, un aumento delle tariffe rispetto alle

precedenti, anche per effetto dell’assorbimento dello sconto ex Legge

296/2006.

Tale situazione non può e non deve trarre in inganno.

Nella Diagnostica per immagini, ad esempio, le variazioni al “rialzo” sono

state previste per le prestazioni di scarso consumo, ovvero le meno frequenti,

mentre un sensibile abbattimento si è verificato per la Risonanza Magnetica

più utilizzata (del cuore, della mammella, della colonna, dell’addome), le cui

tariffe sono diminuite circa del 25% a fronte di costi elevati assolutamente

non coperti dalla tariffa della prestazione (pag. 20 dell’Elaborato).

Stessa sorte alla prestazioni di Laboratorio, branca che, come si vede dalle

tabelle (da pag. 22, colonna d) vede la maggiore incongruenza tra costi e

ricavi, gli apparenti aumenti riguardano le prestazioni più infrequenti, con

invarianza o diminuzione delle tariffe legate alle prestazioni maggiormente

richieste dagli utenti.

Alla luce delle risultante di tale elaborato possiamo trarre le seguenti

conclusioni:

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- i dati di costo a disposizione del Ministero (che per sua stessa ammissione

sono stati utilizzati per la determinazione delle tariffe – dati CERGAS)

utilizzati secondo i corretti parametri e senza falsare i risultati, portano a

conclusioni del tutto diverse da quelle enunciate nel Decreto oggi impugnato;

- il Ministero ha utilizzato uno “specchietto per le allodole”, apparentemente

aumentando alcune tariffe (sempre e comunque non correlate ai costi) che

tuttavia non incidono sulle attività delle strutture, mentre sono state diminuite

le tariffe delle prestazioni largamente richieste;

- l’assorbimento dello sconto di cui alla Legge n. 296/2006 non ha apportato

alcuna invarianza dell’impatto economico sulle strutture.

c) ancora con riguardo alla Relazione allegata alla bozza di Decreto (cfr. doc.

n. 2) si osserva come nella stessa si svolga un confronto tariffario tra più

Regioni mediante una griglia, in cui sono inserite le tariffe di tali Regioni.

Tale metodica appare tuttavia, del tutto inappropriata alla luce del

rilevante precedente cautelare di codesto Ecc.mo Collegio, concernente il

decreto del Commissario ad acta per la sanità laziale n. 45 del 31 maggio

2010 avente ad oggetto “Revisione Tariffe per prestazioni specialistiche –

Laboratorio analisi”.

Con tale decreto erano state ridotte le tariffe di alcune prestazioni degli esami

ormonali e, per giungere a tale riduzione, il Commissario aveva operato un

confronto tariffario (c.d. “benchmarking” con le regioni virtuose) tra la

Regione Lazio e le Regioni Lombardia, Emilia Romagna ed Umbria,

stabilendo di fissare le tariffe in questione rapportandole alla media delle

Regioni ora detta Lombardia.

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Con ordinanza n. 3267 del 15 luglio 2010 la Sezione Terza Quater di codesto

TAR ha sospeso il provvedimento commissariale così motivando:

“Considerato che il ricorso appare fondato, alla luce dei numerosi precedenti

giurisprudenziali su analoga fattispecie (cfr. ad es. T.A.R. Lazio, Sezione

Terza Quater n. 12623/07; Consiglio di Stato Sezione Quinta, n. 1205/10,

3893/10, 3894/10), essendo stato precisato nelle suddette sentenze che

l’istruttoria per la determinazione delle tariffe deve essere effettuata sulla

base di un campione significativo di strutture pubbliche e private al fine di

verificare i costi standard di produzione ed i costi generali, onde riscontrare

la connessione logica necessaria tra l’accertamento dei costi e la misura

delle tariffe”.

L’orientamento assunto dal Collegio in sede cautelare è inequivocabile:

l’istruttoria non può semplicemente fondarsi su un confronto con le tariffe di

altre Regioni, occorrendo un’indagine attendibile e completa dei dati di costo,

circostanza che, anche nel caso che ci occupa, non è avvenuta.

d) Sotto un ulteriore prospettiva, la Relazione tecnica enuncia con tutta

franchezza (par. 2, lett. a e b) l’assoluta parzialità dei metodi di analisi dei

dati resi disponibili dalla Regioni, in considerazione della estrema

variabilità tariffaria regionale.

Variabilità che, oltre ad essere espressamente dichiarata dalla Relazione,

viene nella stessa analizzata nelle cause e ricollegata a fattori quali le scelte

regionali di politica sanitaria, gli esiti di negoziazioni con professionisti ed

Erogatori, le scelte collegate all’allocazione delle risorse delle singole

Regioni.

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Il Ministero, dunque, è costretto a riconoscere come le logiche di revisione

tariffaria seguite a livello regionale “non siano strettamente ed unicamente

correlate ad analisi dei costi”: premessa, questa, che inficia ob origine

l’intera istruttoria operata, in quanto ammette l’inesistenza di un dato

essenziale ed immancabile imposto dalla legge come base della

rideterminazione tariffaria, ovvero il costo reale della prestazione.

Eppure, come già sottolineato, il Ministero aveva a disposizione

numerosissime stime ed elaborati, non solo provenienti dalle Regioni (che

peraltro, come si dirà, hanno manifestato il proprio diniego all’applicazione

del Decreto), ma anche dalla Associazioni di categoria.

Sempre il Centro Studi e Ricerche Anisap Veneto, avvalendosi dei medesimi

dati rilevati dal Cergas/Bocconi, ha esaminato le prestazioni di FKT,

radiologia e laboratorio di analisi, concludendone che “nelle tre branche

prese in esame, sia a livello aggregato, sia per linea produttiva il nuovo

nomenclatore introduce una tariffa che non arriva alla copertura dei puri

costi di produzione, effettivi e misurati nelle strutture pubbliche e private

del Veneto, e riportati a prezzi attuali” (doc. n. 4, pag 15).

Come già sopra evidenziato, nell'allegata elaborazione dati effettuata dalla

FederAnisap nazionale (cfr doc. n. 3) in relazione alle singole branche della

specialistica ambulatoriale (individuate per 'gruppo' e per 'linea' di

appartenenza prestazionale) viene descritta l'incidenza dei costi (colonna d)

sulle prestazioni così come tariffate nel 1996, sia al lordo (colonna a) che al

netto (colonna b) dello sconto previsto dalla Legge finanziaria 2007 (L.

296/2006), e così come tariffate dal D.M. qui impugnato (colonna c).

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Vengono inoltre illustrati gli scarti rispetto alle tre possibilità considerate,

ossia: rispetto al tariffario 1996 (confronto colonna c - a), rispetto al tariffario

2006 scontato (colonna c - b) e rispetto al nuovo D.M. 2013 (confronto

colonna c - d).

Emerge con chiarezza come una larghissima parte delle prestazioni presenta,

nel gravato Decreto, una tariffazione che non copre addirittura i costi, e

dunque non garantisce neanche un minimo di remunerazione: la tabella

mostra anzi una differenza tra tariffa 2013 e costi che in molti casi appare

sensibilmente negativa, risultando il costo enormemente superiore alla

remunerazione (si vedano le numerose differenze percentuali nelle colonne c

e d, indicate con il segno negativo).

Tale circostanza dimostra senza tema di smentita che l'analisi dei costi è del

tutto carente, con evidente incomprensibilità dei criteri con cui è stata

condotta la presunta istruttoria ministeriale.

Non possiamo, a questo proposito, che richiamare nuovamente la già citata

sentenza dei Giudici di Palazzo Spada n. 740/2013, citata per brevi tratti)

secondo cui, si ribadisce, l’Amministrazione non può pretendere di acquistare

prestazioni ad una cifra che non copre le spese e non consente utili

all’impresa erogatrice.

Dunque, costi quali il personale (contrattualizzato con parametri

legislativi intoccabili), il modello organizzativo adottato (la grandezza

della struttura e la sua capacità prestazionale), l’inflazione, il costo dei

materiali (si pensi ad esempio ai reagenti per le analisi di laboratorio), i

costi fissi (utenze, locazione, manutenzione ecc.) non sono stati

considerati e non sono coperti dalle tariffe imposte dal Ministero.

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Occorre sottolineare che l’esigenza di nuove tariffe, profondamente sentita

dagli operatori del settore, nasce proprio dal mancato adeguamento delle

“vecchie” tariffe ai costi attuali della vita.

Esemplificando, il laboratorio di analisi, per il quale l'unico tariffario

vigente è quello del 7 novembre 1991, l'indice ISTAT di rivalutazione

monetaria (periodo 1991-2012) è pari al 71,70% (tale percentuale si ricava da

un semplice calcolo effettuato sul sito ISTAT http://rivaluta.istat.it/Rivaluta/).

Dunque, le prestazioni di laboratorio, oltre ad una diminuzione nominale di

circa il 40% del nuovo tariffario rispetto al D.M. '91 si aggiunge quella dovuta

all'inflazione del 71,70%, per un totale dell'83% in termini reali (su cui

incide notevolmente anche l’ingresso dell’Italia nel “sistema euro”, a partire

dal 2001.

La Risonanza Magnetica ha subito, in virtù delle nuove tariffe fissate dal

Ministero, una decurtazione del 25%, cui si aggiunge quella dovuta

all'inflazione del 40,50%, per un totale del 55,38% in termini reali.

Le altre branche, come la fisioterapia o la radiologia, formalmente non hanno

subito variazioni, ma il nuovo tariffario è, anche in questo ambito, viziato da

palese difetto di istruttoria: è vero che le tariffe rimangono invariate ai livelli

1996, ma appare palese la mancata rilevazione del forte aumento dei costi

nell'ultimo ventennio, analogamente a quanto sopra si è esposto.

Pertanto, il fatto stesso che le tariffe siano state semplicemente confermate,

dimostra l’assenza di qualsiasi rilevazione dei costi al contrario di quanto

dichiarato.

Si aggiunga che anche su queste prestazioni ha inciso l'indice ISTAT di

rivalutazione monetaria (1996-2012), come già detto pari al 40,50%.

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Anche per questo secondo motivo, come sopra delineato, il provvedimento in

oggetto deve essere annullato.

5) Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni di

cui all’art. 120, comma 2, Cost. - Eccesso di potere in tutte le sue figure

sintomatiche.

Come già anticipato nel corso del presente atto, la Conferenza permanente per

i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di

Bolzano, nella seduta del 26 settembre.2012 (Rep. Atti n. 175/CSR), ha

espresso parere negativo in ordine allo schema di decreto, atteso il mancato

accoglimento degli emendamenti proposti in sede tecnica.

A tal proposito, occorre sottolineare come l’obbligatorietà del parere della

Conferenza è un dato pacifico, stante il disposto letterale dell’art. 15 D.L. n.

95/2012 (“(…) sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,

le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (…)”) e la norma

generale dettata dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 281/1997.

Di contro, alcun cenno all’opportunità di superare il diniego espresso dalla

Conferenza Stato – Regioni è stato operato nel Decreto Ministeriale.

È noto che i pareri, i quali si configurano formalmente quali atti della

Conferenza, consistono sostanzialmente nelle posizioni espresse dalle Regioni

sugli oggetti in discussione, acquisite dal Presidente della Conferenza e

valutate dall’organo statale competente all’adozione dell’atto finale.

Tuttavia, nella sostanza il potere consultivo riconosciuto alle Regioni

consente alle medesime di negoziare l’atto sottoposto a parere, in modo tale

da renderlo sufficientemente condiviso ed ottenere un esito favorevole, nella

fase istruttoria congiunta Stato-Regioni, anteriore alla seduta della

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Conferenza, soprattutto con riguardo alle materie pacificamente rientranti

nella competenza legislativa concorrente Stato-Regioni come nella specie è la

“tutela della salute” ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.

Pertanto l’acquisizione del parere si configura come fase procedimentale

superabile dal soggetto (lo Stato), cui spetta in prevalenza la responsabilità

della decisione finale, solo a determinate condizioni:

a) In primo luogo, sulla base del principio di leale collaborazione fra Stato e

Regioni sancito dall’art. art. 120 Cost., comma 2, si deve ricercare il più

possibile il consenso delle parti; cosa che nella specie non è avvenuta, atteso

che i rilievi tecnici avanzati dalla Conferenza sono stati riproposti in sede

ministeriale senza alcuna delibazione, contraddittorio con le Regioni né

motivazione di sorta.

b) In secondo luogo, in caso di mancata adesione da parte della Conferenza,

sussiste l’obbligo di fornire una congrua motivazione che dimostri la

correttezza e ragionevolezza della conclusione del procedimento, fornendo le

circostanze che hanno reso impossibile la convergenza con la controparte e

delle ragioni che rendono indispensabile l’adozione unilaterale dell’atto.

Anche sotto questo aspetto il D.M. impugnato si presenta gravemente carente.

Nella situazione peculiare, il consenso della Conferenza non doveva essere

necessariamente conseguito al fine di rendere valido il D.M. tariffario

conclusivo del procedimento, ma, data la rilevanza costituzionale degli

interessi in gioco (artt. 32, 41 e 120 Cost.), il Ministero avrebbe dovuto

quantomeno motivare le ragioni di inosservanza del parere.

In tal senso si è espresso ineccepibilmente codesto Ecc.mo TAR Lazio, Sez.

III-Quater, nella sentenza 12623/07 già citata, la quale aveva già censurato il

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tariffario del 2006 (D.M. Salute 12.9.2006) in quanto “il provvedimento

impugnato non reca alcuna motivazione per superare il parere contrario

della Conferenza Stato-Regioni”, risultando “evidente la necessità comunque

di motivare, seppure sinteticamente, sulle ragioni che hanno condotto

l’amministrazione agente a disattendere il parere di un così importante

organo”.

Nella medesima ottica si rinviene la sentenza n. 3733/2010 del Consiglio di

Stato, Sezione Quinta, per la quale “Ulteriore sintomo della carenza

istruttoria è l’assenza di qualsivoglia motivazione idonea a sorpassare il pur

non vincolante parere contrario reso dalla Conferenza Stato-Regioni con

riguardo ai profili di opportunità”.

* * *

IN RELAZIONE ALLE TARIFFE PER LE PRESTAZIONI DI

RICOVERO OSPEDALIERO

6) violazione e falsa applicazione del Dm 15/4/1994 e dell’art. 8 sexies del

d.lgs. 502/1992 e s.m. e i. nonché dell’art. 15 d.l. 95/2012- difetto di

istruttoria-violazione della l.241/1990- vizio del procedimento- carenza di

motivazione- travisamento del fatto- illogicità manifesta-

contraddittorietà intrinseca- contraddittorietà col parere della

conferenza Stato-Regioni.

L’impugnato Decreto - in disparte tutti i vizi di carattere procedurale -

manifesta evidente l’assenza di una adeguata istruttoria finalizzata

all’aggiornamento dei costi e finisce col travolgere quegli stessi criteri, che

vengono dettati proprio dal Ministero nella relazione tecnica dell’impugnato

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decreto, laddove si dice, espressamente, che le tariffe devono esser fissate

sulla base del costo standard di produzione nonché dei costi generali, in quota

percentuale rispetto ai costi standard di produzione.

In buona sostanza – quale che sia la normativa applicabile alla fattispecie, e

cioè il DM 15/4/1994 che, almeno fino al luglio del 2008, era vigente, ovvero

il nuovo testo dell’ art. 8 sexies del D.lgs. 502/1992 e finanche il testo dell’

art.15 del D.L. 95/2012 - appare assolutamente evidente che l’istruttoria

procedimentale non può mai prescindere dai costi rilevati della prestazione,

nel senso che il costo della prestazione è ciò che determina o contribuisce a

determinare il valore tariffario.

Come già detto il Consiglio di Stato ha ribadito che la remunerazione di una

prestazione sanitaria che non contenga anche un minimo utile di esercizio è

una remunerazione che soffre di un vulnus istruttorio che non necessita di

ulteriori dimostrazioni (C. St. n. 740/2013). In particolare la decisione del

massimo consesso di Giustizia Amministrativa così affronta il problema del

costo delle prestazioni - soprattutto in riferimento al problema del costo del

personale -: “Ed invero la pubblica amministrazione, se in relazione alla

scarsità delle risorse disponibili è libera di non acquistare o ridurre

numericamente l’acquisto di servizi, non può tuttavia acquistare prestazioni

ad una cifra che non copre le spese e non consente utili all’impresa

erogatrice. Pertanto non può procedere ad approssimazioni nella

determinazione dei costi del personale a fronte di disposizioni normative che

impongono all’impresa, con pesanti sanzioni anche di carattere penale, di

erogare al personale retribuzioni sulla base di parametri prefissati e

inderogabili derivanti dalla contrattazione collettiva. Con l’effetto che la base

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di calcolo per l’aggiornamento tariffario con riferimento ai costi del

personale ha una sua rigidità non derogabile e non rientra nel potere

discrezionale dell’amministrazione.

Se è vero poi che gli atti impugnati sono stati adottati in attuazione di precisi

vincoli di bilancio ed in particolare sono volti a rispettare la normativa

speciale sul rientro dai disavanzi dettata dalle ultime leggi finanziarie,

cionondimeno non è esclusa la necessità di trovare un giusto equilibrio tra le

varie esigenze fondamentali che rifluiscono nella materia: la pretesa degli

assistiti a prestazioni sanitarie adeguate con la connessa salvaguardia del

diritto di primaria rilevanza alla salute, il mantenimento degli equilibri

finanziari che comunque non possono contare su risorse illimitate, ma anche

gli interessi degli operatori privati che rispondono a logiche imprenditoriali

meritevoli di tutela e l'efficienza delle strutture pubbliche e private operanti

in materia”.

Questi sono i principi dai quali prendere le mosse: nella specie il Decreto

impugnato contiene alcune indicazioni descrittive del modus operandi, ma in

realtà non affronta mai specificamente il problema del COSTO DELLA

PRESTAZIONE, che costituisce il vero dato ineliminabile dal quale partire

per poter costruire un valore tariffario credibile.

Nelle pagine del decreto impugnato che descrivono il metodo di lavoro

applicato emerge la preoccupazione principale, se non esclusiva, degli autori

del tariffario impugnato, e cioè la SOSTENIBILITA’ FINANZIARIA del

provvedimento e la NEUTRALITA’ DELL’IMPATTO FINANZIARIO

DELLE NUOVE TARIFFE OSPEDALIERE: è assolutamente chiaro che le

valutazioni epidemiologiche e quelle che attengono alla buona organizzazione

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sanitaria del paese sono state del tutto fagocitate dall’obiettivo primario del

costo zero, con una palese inversione dei dati logici e fattuali che devono

sorreggere i provvedimenti amministrativi.

La verità è che anche la RATIO della c.d. spending review (o revisione della

spesa per i non anglofili) è quella dell’ eliminazione degli sprechi e delle

inefficienze e non certo quella dell’ indebita compressione delle prestazioni

rese (o, meglio ancora, dell’ indebito e illogico abbattimento del controvalore

economico delle prestazioni stesse).

Il decreto impugnato ha interposto una sorta di cortina fumogena alla

chiarezza, nel senso che ha esposto una sorta di spiegazione delle scelte

eseguite del tutto incomprensibili per gli utenti e per i destinatari dell’atto: in

contrapposizione a questo modello poco commendevole di istruttoria

procedimentale (che utilizza e dispiega un linguaggio da mandarini del tutto

inintelleggibile per gli estranei alla casta) i ricorrenti – ispirati da quel

principio di RAGIONEVOLEZZA che sempre dovrebbe presiedere

all’esercizio della funzione amministrativa - hanno analizzato partitamente le

tariffe di alcuni drg (per le prestazioni per acuti) e quelle delle MDC (per le

prestazioni riabilitative), nonché quelle della lungodegenza, per verificare la

ragionevolezza e la compatibilità economica delle tariffe medesime.

In capite libri va debitamente osservato che la Conferenza permanente

Stato/Regioni/Province Autonome – nelle sedute del 25 luglio 2012 e 26

settembre 2012 - aveva espresso pareri negativi circa la bozza del decreto ad

essa sottoposto, mettendo in rilievo – tra l’ altro - proprio la distanza esistente

tra le tariffe proposte ( oggi approvate) e quelle in vigore in alcune regioni d’

Italia; rispetto a questo parere negativo il decreto impugnato non spende

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alcune motivazione, anche solo al fine di criticarlo.

Passando al dettaglio delle valutazioni - e segnalando come la critica specifica

abbia carattere paradigmatico e a campione, non essendo plausibile esaminare

tutti i DRG tariffati - alcuni DRG di chirurgia generale e ginecologica

(specificamente quelli recanti i nn. 191, 257, 258, 260, 353, 354, 357, 372,

373, 390, 540) presentano scostamenti tra valori tariffari approvati e costi

reali della prestazione che vanno dal 18% al 56%, nel senso che la

sommatoria dei costi diretti e indiretti della prestazione denota valori di costo

che esorbitano rispetto a quelli tariffari del decreto impugnato nella misura

percentuale appena indicata.

Parimenti, per quel che concerne alcuni DRG che riguardano l’impianto e la

revisione di devices cardiologici (in particolare i DRG 117, 118, 515, 535,

536, 551 e 552) spesso il solo costo dei materiali appare pari o di poco minore

rispetto alla tariffa, mentre gli altri costi di produzione conducono a costi

della prestazione del tutto esorbitanti rispetto alla tariffa .

Ancora - con riferimento ad alcune procedure di CARDIOLOGIA

INVASIVA - le tariffe approvate appaiono chiaramente inferiori ai costi

documentati di esecuzione della prestazione, mentre la tariffa relativa al DRG

556 (che mostra un andamento decorosamente superiore ai costi) si riferisce

in realtà ad una prestazione di rara esecuzione perché relativa all’impianto di

stent non medicato.

I ricorrenti hanno lasciato per ultimo (ma non in ordine di importanza) la

questione del costo del lavoro, che è rilevante in tutti i settori, ma che assurge

ad aspetto primario in quelle prestazioni (come quelle RIABILITATIVE e

quelle LUNGODEGENZIALI) nelle quali il fattore umano è assolutamente

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prevalente.

Proprio in riferimento alle prestazioni di RIABILITAZIONE valgono le

osservazioni che verranno sviluppate dopo la seguente considerazione di

carattere generale: il profilo funzionale di un provvedimento amministrativo

risiede nello scopo di interesse pubblico concretamente perseguito, mentre la

motivazione di un atto amministrativo è un meccanismo attraverso il quale il

destinatario riesce ad avere contezza della determinazione assunta

dall’Amministrazione procedente.

Nella fattispecie, attraverso l’analisi dell’atto impugnato, non si riesce a

prendere contezza delle argomentazioni che hanno ispirato la PA.

Di fatto siamo in presenza di una motivazione tautologica.

La sola circostanza che le tariffe sono quasi immutate da circa 19 anni è

sintomo di palese illogicità.

Al riguardo occorre ricordare che le modalità di determinazione dei costi

tariffari sono tarate sui costi di produzione: il costo del personale direttamente

impiegato, il costo dei materiali consumati, il costo delle apparecchiature

utilizzate; i costi generali, invece, sono costituiti dal costo dei fattori di

produzione attribuiti all’unità produttiva ma non direttamente utilizzati nella

singola prestazione.

In tal senso la norma legislativa dell’art. 1 co. 173 L. 311/2004, non modifica

sensibilmente queste premesse, posto che pone dei vincoli alle ipotesi di

crescita dei costi di produzione – con esclusione di quelli per il personale cui

si applica la specifica normativa di settore – ma tali vincoli fissa in una

percentuale del 2% annuo rispetto ai dati revisionali indicati nel bilancio

dell’anno precedente, a decorrere dall’anno 2005, mentre, per ciò che riguarda

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il costo del personale, si distacca dal vincolo predetto e si riferisce

direttamente al costo del personale derivante dai contratti.

Occorre precisare che con il D.L. 112/2008, convertito dalla Legge 133/08, il

D.M. 15/04/1994 è stato abrogato con decorrenza 21/08/2008; ciò significa

che, per il passato, il D.M. continua ad avere vigore; non di meno i criteri che

il Decreto Legge pone non sono così differenti rispetto all’art. 3 citato, per cui

tutte le norme indirizzate all’adeguamento del sistema tariffario pongono

delle coordinate al sistema di determinazione delle tariffe che sono di facile

attivazione.

Quanto sopra significa evidentemente che il Ministero – per ciò che concerne

l’aumento di tutti i costi differenti da quello del personale – deve valutare

concretamente gli incrementi intervenuti fino all’anno 2005 e, dall’anno 2005

in poi, limitare al 2% annuo l’incremento anche se lo stesso sia stato superiore

a questa percentuale.

Il costo del personale invece – i cui aumenti sono agevolmente determinabili

in base ai CCNL – interviene a modificare il costo di produzione e, quindi, la

tariffa, senza il vincolo del 2% di cui al precedente capoverso.

Se il Ministero avesse rispettato queste logiche premesse, avrebbe potuto

agevolmente rilevare che dall’anno 1994 – per ciò che concerne gli

incrementi del costo del personale – sono intervenuti ben sei contratti di

lavoro nazionali che hanno prodotto un incremento del costo del lavoro nel

periodo considerato di circa il 50%; in più, un ulteriore aumento di costo si è

verificato per effetto della riqualificazione obbligatoria riguardante il

personale ausiliario socio – sanitario che, ai sensi del CCNL valevole per il

periodo 1.1.1994 – 31.12.1997, era tenuto a conseguire il titolo di Operatore

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Tecnico addetto all’Assistenza (OTA) ottenendo il passaggio dal 3° al 4°

livello contrattuale.

Ancora, con specifico riferimento al settore della riabilitazione, le linee guida

nazionali sulla riabilitazione (in G.U. n. 124 del 30.5.1998) hanno stabilito

notevoli aumenti di personale nelle strutture riabilitative per migliorare

l’offerta assistenziale.

Per quanto concerne i costi differenti da quelli del personale sarebbe stato

sufficiente verificare che, almeno fino all’anno 2005, l’aumento dei costi

delle materie prime è stato superiore al 18%.

Nulla di tutto quanto detto fin qui è stato recepito nell’impugnato decreto

attraverso il quale, invece, per alcune voci di spesa, sono stati previsti tagli in

luogo di incrementi.

È il caso, in riabilitazione, della modifica dei cosiddetti ‘Valori Soglia’ che

rappresentano il limite numerico delle giornate di degenza oltre il quale la

tariffa esposta dovrà essere decurtata nella misura del 40%.

Nel decreto impugnato, rispetto alle precedenti tariffe, tali valori soglia

risultano fortemente ridotti, tranne che nel caso della Categoria Diagnostica

(MDC) n° 1 il cui limite invece risulta invariato (60gg), mentre, per le

prestazioni ospedaliere di Lungodegenza, a fronte di un incremento tariffario

dell’11,68%, la percentuale di decurtazione tariffaria dopo il valore soglia- già

presente nell’ attuale sistema- si incrementa addirittura del 10%.

Lo stesso Decreto stabilisce una riduzione base pari al 20% per le tariffe di

ricovero diurno, rispetto a quelle riferite al ricovero ordinario e, per la prima

volta, anche accanto alla tariffa (già decurtata) del ricovero diurno, l’elenco

dei Valori Soglia e la medesima ulteriore decurtazione del 40% per la tariffa

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da applicare oltre il limite di giorni indicato.

In realtà un’istruttoria procedimentale corretta non potrebbe che prendere le

mosse dai dati di costo concretamente verificabili nel periodo dal 95 ad oggi)

tenendo conto:

1. dell’incremento di spesa derivante dall’aumento del costo del lavoro (per

incrementi contrattuali ovvero per incremento del numero degli addetti e/o

loro riqualificazione);

2. dell’incremento di spesa derivante dall’aumento del costo della vita

(inflazione);

Ebbene, in considerazione dell’aumento dei costi e delle relative incidenze

rispetto alla struttura globale dei costi di produzione, il potere di acquisto

espresso dal prezzo fissato si deprime nella misura del 44,19%.

Dunque, al fine di restituire l’originario potere d’acquisto alle tariffe delle

prestazioni di riabilitazione ospedaliera, è necessario incrementare l’attuale

tariffa prevista di una percentuale pari al 50,17% secondo lo schema

dettagliatamente riportato a p. 14 nella perizia allegata.

In ordine, invece, al calcolo relativo alla rivalutazione della tariffa relativa

alle prestazioni di lungodegenza, con la successione di ben sei CCNL, oltre

all’incremento del numero globale del personale almeno nella misura del

6,5%, il potere di acquisto espresso dal prezzo fissato si deprime nella

misura del 47,56%.

Dunque, al fine di restituire l’originario potere d’acquisto alle tariffe delle

prestazioni di lungodegenza ospedaliera, è necessario incrementare l’attuale

tariffa prevista di una percentuale pari al 47,56%. Alla fine, dunque, se il

Ministero avesse adeguatamente valutato l’incremento dei costi di produzione

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dell’assistenza riabilitativa - e tra questi massime l’incremento del costo del

personale – non avrebbe potuto fare a meno di aggiornare in aumento la

tariffa per le prestazioni riabilitative, che, viceversa, ha mantenuto

inspiegabilmente immutata rispetto all’anno 1994.

Ma, in disparte l’evidente illogicità e illegittimità del risultato finale, nel

procedimento che ha condotto alla determinazione delle tariffe in materia

riabilitativa, si rileva, all’immediato, una totale carenza di istruttoria

procedimentale.

Anzi, nello stesso decreto impugnato manca ogni riferimento alla presenza di

un organo consultivo che abbia esaminato le problematiche in questione e ai

risultati eventuali cui tale organo consultivo fosse pervenuto, quasi che le

tariffe approvate dal Ministro per la Salute non fossero il risultato di

un’attività istruttoria precedente alla determinazione autoritativa, ma invece la

germinazione spontanea del tutto scollegata alla realtà fattuale.

* * *

ISTANZA DI SOSPENSIVA

Premesso

- che dall’esposizione delle premesse risulta con tutta evidenza l’illegittimità

dei provvedimenti impugnati, onde si profila senza tema di smentita il fumus

boni iuris;

- che con riguardo al periculum in mora, si evidenzia come il Decreto

Ministeriale in questione effettui un’operazione che opera un’insostenibile

compressione degli interessi delle strutture private, che rischiano di non

sopravvivere alla manovra posta in essere, la quale, inoltre, potrebbe

cagionare una dequalificazione delle prestazioni rese, a discapito dei cittadini;

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- che il mancato contemperamento e comparazione tra costi di produzione e

determinazione delle tariffe, comporterebbe un ingente abbattimento del

fatturato delle strutture, pari, nominalmente, ad oltre un 30%;

- che l’equiparazione acritica delle tariffe che si pretende di applicare tra le

varie Regioni (solo quattro, e quelle con le tariffe più basse), non scaturisce

da alcuna reale ed analitica metodologia comparativa, che tenga conto delle

profonde differenze intercorrenti tra tali Regioni;

- che alcune Regioni, in particolare, sino alla stesura del presente ricorso, la

Calabria e l’Abruzzo, hanno già recepito il tariffario ministeriale, con

applicazione già dal mese di marzo, e pertanto, nel caso di attesa della

decisione del merito, le strutture ubicate in tali Regioni stanno già subendo gli

effetti di un provvedimento gravemente illegittimo e lesivo, per i motivi

dispiegati nel ricorso che precede;

- che inoltre le strutture, in assenza di sospensiva, dovrebbero applicare le

nuove tariffe sino alla decisione di merito e, ove si giungesse ad una decisione

favorevole nel merito, l’importo delle tariffe che le strutture hanno perso non

verrebbe, ovviamente, richiesto ai cittadini, ma verrebbe richiesto al Ministero

sotto forma di apposita azione di risarcimento dei danni, con evidente

aggravio di spese per lo Stato e sovraccarico delle cause pendenti presso i

Tribunali;

- che quanto sopra delineato costituisce una ragione di opportunità, in quanto

la sospensiva, ove disposta, non comporta, allo stato, alcun onere aggiuntivo

per la spesa sanitaria, atteso che le strutture sono comunque vincolate nella

produzione dai budget loro assegnati, validi a prescindere dal costo tariffario

delle prestazioni;

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- che inoltre, come già evidenziato nel ricorso che precede, il tariffario così

pubblicato potrebbe subire delle anche sostanziali modifiche a seguito delle

decisioni della Commissione istituita ai sensi dell’art. 15, comma 17 bis del

D.L. 95/2012, come convertito in Legge n. 135/2012;

- che tale Commissione, ai sensi di legge, avrebbe dovuto essere insediata

prima dell’emanazione dell’aggiornamento tariffario, mentre invece, per

volontà ministeriale, è stata nominata solo nei primi giorni del mese di

febbraio (ciò integrando un vizio di legittimità già evidenziato nel ricorso che

precede);

- che quindi appare evidente che la sospensiva del Decreto Ministeriale si

riveli estremamente opportuna, ai fini del riesame del provvedimento alla luce

delle risultanze della Commissione;

- che l'esposizione, che precede, dei motivi di diritto attesta la fragilità del

provvedimento impugnato laddove soprattutto "i dati di costo disponibili ....

dei tariffari regionali", assunti dalla legge come canone di riferimento, non

sono stati seguiti da criteri dettagliati, capaci di assicurare la necessaria

connessione logica e motivazionale tra accertamento dei costi e la misura

delle tariffe: esigenza questa che, come pure già ricordato, è stata ribadita di

recente dal Consiglio di Stato;

- che sul piano del danno nei presupposti di legge, i motivi della relativa e

reclamata sospensione dell'efficacia si rinvengono non tanto nella

conseguente inapplicabilità delle tariffe per le singole prestazioni quanto

nell'obiettivo di evitare che le tariffe stesse costituiscano la base per

l'aggiornamento previsto dal comma 17 bis introdotto dall'art. 2 bis L. n.

189/2012;

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- che la ragione dell’istanza cautelare rileva anche sotto un profilo temporale e

cioè: le tariffe approvate con il decreto de quo sono destinate a valere fino al

31.12.2014 nel corso del quale periodo, dunque, sono finalizzate ad assicurare

la base di cui testé si diceva, con tutte le comprensibili conseguenze degli

effetti deformanti che sono all'origine della loro determinazione;

- che il fondamento dell’istanza in questione sta proprio negli effetti che

inevitabilmente si verificherebbero nel predetto e circoscritto arco temporale

determinando pagamenti non congrui ed inadeguati rispetto ai costi delle

corrispondenti prestazioni sanitarie rese ma soprattutto compromettendo il

percorso del programmato aggiornamento: operazione che altrettanto

inevitabilmente verrebbe a svolgersi con riguardo alle risultanze tariffarie, qui

contestate e considerate "massime" dalla legge, che -- giova ribadire -- sono

state concepite senza supporto di riscontro del naturale corollario, secondo cui

ad una prestazione resa deve corrispondere la tariffa adeguata stante che,

come ancora evidenziato dal Consiglio di Stato nella recente sent. n.

74012013, la P. A. non "può acquistare prestazioni ad una cifra che non

copre le spese e non consente utili all'impresa erogatrice".

Tutto ciò premesso, si

P.Q.M.

voglia codesto Ecc.mo T.A.R. del Lazio disporre la sospensione dell’efficacia

dei provvedimenti impugnati, sussistendone tutti i presupposti.

*

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, tutte le strutture indicate in

epigrafe, come sopra rappresentate e difese, ed elettivamente domiciliate,

rassegnano le seguenti

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CONCLUSIONI

Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Amministrativo adito, ogni contraria istanza

disattesa e reietta, previa sospensiva, annullare i provvedimenti impugnati,

come indicati in epigrafe, per tutti i motivi dedotti nelle premesse.

I ricorrenti chiedono di essere sentiti in Camera di Consiglio.

Comunque con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.

Il valore della causa è indeterminabile.

Salvis Iuribus

Roma, 26 marzo 2013

Prof. Avv. Vito BELLINI

Avv. Enzo PAOLINI

Avv. Bruno RICCIARDELLI

Avv. Giustino CIAMPOLI