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1 Interessi ed usura nel diritto civile. Riflessioni, rimedi, percorsi giurisprudenziali e profili applicativi. Vincenzo Ruggiero

Riflessioni, rimedi, percorsi giurisprudenziali e profili applicativi. · 2017. 7. 21. · Vincenzo Ruggiero. 2 . 3 Papà, volevo dirTi che… ho lavorato alla mia tesi col desiderio

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Interessi ed usura nel diritto civile.

Riflessioni, rimedi, percorsi giurisprudenziali

e profili applicativi.

Vincenzo Ruggiero

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Papà, volevo dirTi che… ho lavorato alla mia tesi col desiderio di poterne discutere insieme a Te, pur sapendo che non sarebbe stato possibile. L’ho scritta nella speranza che, prima o poi, potremo comunque leggerla insieme. Prima della stampa, l’ho riletta a voce alta, perché anche Tu, dovunque Ti trovi in questo momento, potessi sentirmi ed essere orgoglioso di me. Tuo, Vincenzo

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Indice

- INTRODUZIONE -

- I - Tratti storico-evolutivi del quadro normativo di riferimento in materia di usura. Dal diritto romano all’epoca contemporanea: il recente ma già tormentato passato della Legge n. 108/1996. 1.1. L’usura nella storia del diritto. Brevissimi

cenni. 25 1.1.1. Usura e interessi nel diritto romano. ‘’ 1.1.2. Il divieto del prestito ad interessi nell’ordinamento

canonico e nel Medioevo. 30 1.1.3. La pattuizione degli interessi nell’esperienza

francese del Code Napoleon. 33 1.1.4. L’usura nel diritto italiano. La pattuizione degli

interessi nell’Italia preunitaria e nel Codice del 1865. 35

1.1.5 La disciplina del codice penale del 1930: l’art. 644 c.p. e il reato di usura. 48

1.1.6. La disciplina dell’usura nel Codice civile del 1942: interessi, tassi usurai, normativa penale e azione di rescissione per lesione. 53

1.2. La svolta legislativa. La legge 7 marzo 1996, n. 108 e i successivi interventi normativi in materia di usura. 61

1.2.1. Il dilagare del fenomeno usurario e le spinte riformiste. ‘’

1.2.2. La legge 7 marzo 1996, n. 108. Determinazione del tasso-soglia, riformata fattispecie penale e nuova sanzione civilistica dell’usura. 65

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- II -

L’usura e le Corti giudicanti. Questioni applicative controverse e (pluralità di) orientamenti e soluzioni giurisprudenziali. 2.1. Premessa: un primo inquadramento delle

“questioni irrisolte” in tema di usura e il loro rilievo pratico applicativo. 87

2.2. L’usurarietà sopravvenuta degli interessi: un solo nomem per due differenti fattispecie. 95

2.2.1. La “usurarietà sopravvenuta” degli interessi quale fattispecie di diritto transitorio ed intertemporale. L’irretroattività della normativa anti-usura ex L. n.108/1996. ‘’

2.2.2. La “usurarietà sopravvenuta” degli interessi quale conseguenza di ordine sostanziale della variazione in diminuzione dei tassi-soglia nel corso del tempo: il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. 107

2.2.2.1. Profili storico - ricostruttivi dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse. Il legislatore tra l’incudine degli interessi del ceto bancario e il martello delle pronunce dei Giudici di legittimità. ‘’

2.2.2.2. Le opiniones tradizionali di dottrina e della giurisprudenza sul fenomeno dell’usura sopravvenuta. 119

2.2.2.3. Un excursus nella giurisprudenza più recente: nessun dubbio in ordine all’astratta configurabilità dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi. 131

2.2.3. Analisi critica delle soluzioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di usura sopravvenuta: intollerabilità e non sistematicità della teoria negatoria del fenomeno. 143

2.2.4. Le “clausole di salvaguardia” quale rimedio di autonomia negoziale privata: una possibile

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soluzione all’usura sopravvenuta? 151 2.3. Tasso di interesse moratorio e tasso-soglia

ex L. n.108/1996: tratti di disomogeneità del sistema normativo e necessità di un intervenuto legislativo di riforma. 160

2.3.1 Premessa. ‘’ 2.3.2. Un excursus giurisprudenziale tra Corte

Costituzionale, Corte di Cassazione, Arbitro Bancario Finanziario e Tribunali di merito. 163

2.3.2.1. L’apertura all’inclusione del tasso moratorio nel TEG da confrontare alla soglia: La sentenza n. 29/2002 della Corte Costituzionale. La Corte di Cassazione e la rilevanza del tasso di mora ai fini della verifica dell’usurarietà dei tassi di interesse. ‘’

2.3.2.2. Gli interventi (chiarificatori?) della Autorità di Vigilanza: la comunicazione della Banca d’Italia del 3 luglio 2013. 169

2.3.2.3. Illogicità, irragionevolezza ed inammissibilità della sommatoria del tasso di interesse corrispettivo e di quello moratorio ai fini dell’individuazione del TEG da raffrontare al tasso-soglia ex L. n. 108/1996. 171

2.3.2.4. L’orientamento dell’Arbitro Bancario Finanziario a confronto con quello della giurisprudenza della Corte di Cassazione: l’esclusione degli interessi moratori dal tasso d’usura (in particolare, la decisione n.1875/2014 del Collegio di Coordinamento). 183

2.3.3. La discrasia di orientamenti tra Corte di Cassazione ed Autorità di Vigilanza dipende dall’incapacità del sistema normativo di garantire il rispetto del principio di simmetria ed omogeneità dei tassi messi a confronto. Una possibile soluzione in attesa di un

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- III -

L’usura nella giurisprudenza e rimedi di diritto civile: nullità, conformazione della clausola degli interessi e riduzione della penale tra diritto, mercato e principio di equità. Pro e contro in un’analisi ragionata delle soluzioni possibili. 3.1. Una breve premessa sui confini e i contenuti

dell’analisi. 207 3.2. Una prima struttura rimediale: nullità parziale

del contratto e conformazione della clausola degli interessi ai sensi del combinato disposto degli art. 1339 e 1419, secondo comma, c.c. 210

3.2.1. La soluzione del Supremo Collegio: nullità parziale della clausola degli interessi convenzionali ex art. 1419, secondo comma, c.c. e sostituzione automatica con il tasso-soglia ex art. 1339 c.c. ‘’

3.2.2. Un’autorevole critica al modello rimediale della nullità parziale: il Collegio di coordinamento “boccia” la scelta della Corte di Cassazione. 224

3.3. Segue. Il rimedio della riduzione della penale ex art. 1384 c.c.: il contemperamento di interessi dell’ABF, tra equilibrio del mercato finanziario e doveri di diligenza dell’Intermediario finanziario. 228

auspicato intervento sistematico del legislatore.

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3.3.1. Le soluzioni proposte dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario nelle decisioni n. 77/2014 e 1875/2014: la percezione di interessi corrispettivi in misura usuraria costituisce violazione della buona fede contrattuale; con riferimento agli interessi moratori, deve procedersi alla riduzione della penale a norma dell’art. 1384 c.c. ‘’

3.3.2. Una prima critica di tratto sistematico all’impostazione concettuale dell’Arbitro Bancario Finanziario: la difficile convivenza tra l’accertamento del difetto di diligenza dell’intermediario, l’equità del giudice e l’usura in senso oggettivo. 238

3.4. Il vero focus del problema: la misura della riduzione degli interessi usurari quale conseguenza in concreto del rimedio civilistico prescelto. Una questione di equità tra sanzione dello “Intermediario-usuraio” e contenuto illegittimamente premiale per il debitore 243

3.4.1. Uno sguardo dall’alto: il novero delle strutture rimediali possibili. Luci e ombre ‘’

3.4.2. La visione d’insieme: strutture rimediali “calibrate” quali sfaccettature di un medesimo principio di equità. 258

- CONCLUSIONI -

- BIBLIOGRAFIA -

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INTRODUZIONE

La problematica dell’usurarietà dei tassi di interesse non si è certo affacciata di recente nel panorama giuridico italiano, ma è stata analizzata nel corso del tempo da dottrina e giurisprudenza dai più svariati angoli visuali, al punto che i contributi degli interpreti e gli interventi dei Giudici di merito e di legittimità sono tanto numerosi da non poter essere esaustivamente enumerati1. 1 A titolo esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività, solo nell’ultimo decennio della produzione dottrinale soltanto civilistica, si confrontino COLANGELO, Legalizzazione dell'usura?, in Danno e resp., 2014, 2, 201; TAVORMINA, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contr., 2014, 1, 85; TARDIA, Usure civili e sovrapposizione antinomica delle discipline, in Rivista di Diritto dell'Economia, dei Trasporti e dell'Ambiente, 2013, 37; DOLMETTA, “Scoperti senza affidamento” e usura, in Contr., 2013, 12, 1140; QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, 2, 491; DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 501; ARGINE, Le banche e il “fantasma” dell’usura, in Foro padano, 2013, 3, I, 326; LIACE, Contratto di mutuo a tasso agevolato, trasformazione in finanziamento ordinario e disciplina dell'usura sopravvenuta, in Rivista giuridica sarda, 2013, 2, I, 273; BONTEMPI, Usura e retroattività, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 7-8, I, 656; TARANTINO, Usura e interessi di mora, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 7-8, I, 677; MANCINI, Osservazioni su anatocismo e conseguenze civilistiche dell'usurarietà sopravvenuta, in Giur. comm., 2013, 4, 2, 649; D’AIELLO, Osservazioni a Trib. Santa Maria Capua Vetere, 6 settembre 2011, n. 2489, in tema di interessi usurari nel mutuo a tasso variabile, in Banca borsa tit. cred., 2013; 2, II, 192; DI MARZIO, Illiceità penale della condotta e invalidità del contratto, in Contr., 2013, 3, 307; SANGIOVANNI, Contratto di apertura di credito, calcolo del tasso effettivo globale medio e usura civilistica,

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in Corr. Merito, 2013, 2, 148; VELTRI, La nullità virtuale: reati contratto e reati in contratto, in Contr., 2012, 10, 832; FIENGO, Clausola penale per il ritardo ed usura, in Giurisprudenza di merito, 2012, 10, 2041; CIAN, Costo del credito bancario e usura. Ancora sulle commissioni bancarie, sullo “ius variandi” e sull’azzeramento del tasso oltre soglia, in Obbligazioni e Contratti, 2012, 10, 655; CHESSA, Requiem per l’usurarietà sopravvenuta, in Rivista giuridica sarda, 2012, 2, 1, 231; FILICE, L’usura raddoppia le pene e diventa un delitto, in Guida al Diritto, 2012 19, 85; MICHELETTI, Una verità negata: la modificazione mediata dell’usura, in La Giustizia Penale, 2012 fasc. 3, pt. 2, pp. 138 – 146; POLLIDORI, Usura e banche: un rapporto controverso. La questione delle commissioni di massimo scoperto, in Questione Giustizia, 2011, 6, 188; CAVALLINI-TROYER, Usura presunta e commissione di massimo scoperto: il disorientamento dell’operatore bancario tra “indicazioni erronee” dell'Autorità ed “autentiche” del legislatore al vaglio della suprema Corte, in Riv. dott. comm., 2011, 4, 945; FASCIANO, L’inapplicabilità della disciplina anti-usura di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108 ai contratti di mutuo stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, in Dir. fall. e delle società commerciali, 2011, 3-4, II, 237; SERRAO D'AQUINO, Questioni attuali in materia di anatocismo bancario, commissione di massimo scoperto ed usura, in Giur. mer., 2011, 5, 1172; BEVIVINO, Reato di usura e nesso di causalità nella responsabilità civile, in Giur. it., 2011, 4, 845; COTTINO, Non tutta l’usura ha matrici criminali, in Giur. it., 2011, 4, 865; LENOCI, Commissione di massimo scoperto ed usurarietà del tasso di interesse, in Giur. mer., 2011, 4, 983; DOLMETTA, Carte di credito revolving: inadempimento di singole rate, “oneri economici” ed usura civilistica, in Contr., 2010, 11, 1061; GRINDATTO, Sul computo della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso usurario, in Giur. it., 2010, 11, 2410; DI LANDRO, La Cassazione penale include la commissione di massimo scoperto nel tasso di interesse usurario: la l. n. 2/09, le questioni intertemporali e un’inedita ricostruzione dell'elemento soggettivo, in Il Foro italiano, 2010, 7-8, II, 390; SASSI, Esegesi e sistema del contratto usurario, in Riv. dir. civ.,

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2010, 2, I, 247; CIAN, Il costo del credito bancario alla luce dell'art. 2-bis L. 2/2009 e della L. 102/2009: commissione di massimo scoperto, commissione di affidamento, usura, in Banca borsa tit. cred., 2010, 2, I, 182; SENATORE, Contratto di mutuo e usurarietà sopravvenuta. Quale regime?, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 1, I, 68; MARCELLI, Le commissioni di massimo scoperto e le soglie d'usura. La Cassazione penale ridimensiona la Banca d'Italia, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2010, 4, 1, 709; PIRASTU, L’usurarietà sopravvenuta tra validità e responsabilità, in Rivista giuridica sarda, 2009, 3, 1, 749; TARDIVO, Brevi note in tema di interessi anatocistici e usurari nel finanziamento fondiario, in Banca borsa tit. cred., 2009, 5, 2, 581; GRANDI, Usura e rimedi civilistici, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 10, I, 991; MANTOVANO, Usura e Commissione di Massimo Scoperto: profili di indeterminatezza della fattispecie, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 3, 1558; ANTONUCCI, La commissione di massimo scoperto tra usura, trasparenza e parziale divieto, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 7-8, 2, 319; COLAVINCENZO, Mutuo usuraio e investimento del capitale ricevuto: profili evolutivi della nozione di stato di bisogno, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 2, I, 158; DE POLI, Costo del denaro, commissione di massimo scoperto ed usura, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 10, 2, 351; COLAVINCENZO, Rescissione per lesione e nullità parziale del contratto sproporzionato usuraio, in Obbligazioni e Contratti, 2008, 5, 438; AGNINO, Usura e commissione di massimo scoperto, in Corr. merito, 2008, 3, 355; DAGNA, Esclusione dell’eccezione di obbligazione naturale per la ripetizione degli interessi anatocistici, commissione di massimo scoperto e soglia d’usura, in Banca borsa tit. cred., 2007, 2, II, 214; ROCCHIO, La rilevanza dell’accordo ai fini del giudizio di usurarietà, in Giur. merito, 2006, 7-8, 1663; TALLARO, La rescissione: riflessioni in materia alla luce anche dell’art. 644 c.p. e del principio, di derivazione comunitaria, di proporzionalità, in Studium iuris, 2006, 4, 409; SCHIAVONE, Usura: pluralità di fattispecie e rimedi civilistici, in Obbligazioni e Contratti, 2006, 4, 337; SPOTO, La clausola penale eccessiva tra riducibilità di ufficio ed eccezione di usura, in Europa e diritto privato, 2006, 1, 360; TROPEA, Il contratto usurario e la rescissione per lesione

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dopo l’emanazione della legge n. 108/1996, in Diritto e Formazione, 2005, 12, 1639; CHIAIA-FRANCIOSI, Strumenti finanziari a debito e usura, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 4, II, 224; LOPILATO, Rescissione, nullità e usura, in Dir. e form., 2005, 7, 991; TURCO, Il tasso soglia usurario e il contratto di mutuo, in Riv. not., 2005, 2, I, 265; D’AIUTO, Brevi note in tema di interessi usurari e giudicato, in Diritto fall. e delle società commerciali, 2004, 5, II, 565; CIATTI, Successione di leggi, usura e ragionevolezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 3, 1101; RICCIO, Gli interessi moratori previsti dalla disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e le norme sull'usura, in Contr. e impr., 2004, 2, 554; NAPOLI, Usura reale e rescissione per lesione, in Riv. dir. civ., 2004, 3, I, 401; LA ROCCA, Usura, interessi moratori e regolamentazione del rapporto, in Rass. dir. civ., 2004, 2, 519;VASCELLARI, Interessi di mora e usura: la normativa attuale anche alla luce della nuova disciplina contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in Studium iuris, 2004, 2, 166; CAMERANO, L’usurarietà sopravvenuta, in Contr. e impr., 2003, 3, 1062; MONASTERO, La nullità sopravvenuta, in Dir. e form., 2003, 10, 1460; PISU, La sorte dei negozi usurari a seguito della riforma del reato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 3, 887; RICCIO, Ancora sulla usurarietà sopravvenuta, in Contr. e impr., 2003, 1, 11; CAMINITI, La legittimità dell’interpretazione autentica della legge sull’usura e l’applicabilità dell'art. 1815 c.c. agli interessi moratori, in Dir. e form., 2003, 3, 371; MEOLI, Squilibrio sopravvenuto ed usura nei contratti con prestazioni monetarie, in Nuova giur. civ. comm., 2003, 1, 2, 111; PANDOLFINI, L’usura sopravvenuta sopravvive ancora?, in Giur. it., 2003, 1, 93; PISU, Aspetti problematici della disciplina dei mutui usurari, in Contr. e impr., 2002, 3, 1259; SCOZZAFAVA, Interpretazione autentica della normativa in materia di usura e legittimità costituzionale, in Contr., 2002, 6, 555; GENTILI, Usurarietà sopravvenuta e interpretazione autentica del diritto giurisprudenziale, in Giur. it., 2002, 6, 1125; CARBONE, La Corte legittima l'intervento del legislatore a favore delle banche: scompaiono gli interessi divenuti usurari, in Corr. giur, 2002, 5, 612; PALMIERI, Interessi usurari: una nuova partenza, in Foro it., 2002, 4, I, 934; DI VITO, Usura

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Nonostante l’interesse dimostrato dagli operatori del diritto, tuttavia, non è ancora oggi possibile individuare in dottrina orientamenti consolidati e granitici intorno alle varie queastiones di ordine civilistico che si sono di volta in volta poste nella pratica.

Non difforme è la situazione della giurisprudenza, di merito e di legittimità, come pure dell’Arbitro Bancario Finanziario, che ha espresso nel tempo orientamenti in alcuni casi del tutto antitetici.

Nemmeno gli interventi del legislatore diretti a sopperire alle lacune dalla disciplina normativa (si pensi, ad esempio, alle L. n. 24/2001 di interpretazione autentica della novella attuata con L. n.108/1996) sono riusciti a comporre i dissidi interpretativi.

Anzi, se è possibile, gli interventi del legislatore hanno reso ancor più complessa l’interpretazione dell’articolato normativo, facendo affiorare nuovi dubbi e contribuendo ad alimentare i dibattiti della dottrina e della giurisprudenza, piuttosto che sopirli.

Basti pensare al problema della c.d. “usura sopravvenuta” dei tassi di interesse nel corso della fase esecutiva del contratto di credito (per definizione, contratto di durata, anche pluriennale), cui la normativa antiusura introdotta nel 1996 non dedica anche solo una disposizione, né, da un lato, quanto al profilo del diritto intertemporale applicabile e alla disciplina transitoria, né, dall’altro lato, all’individuazione del rimedio civilistico esperibile dal cliente sovvenuto che si trovi a dover corrispondere interessi usurari.

sopravvenuta e inesigibilità della prestazione, in Corr. giur., 2002, 4, 511; PANZANI, Interessi usurari, ius superveniens e questioni di costituzionalità, in Contr., 2002, 3, 281.

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Infatti, la L. n.108/1996, nel modificare il disposto art. 1815, secondo comma, c.c., limitando l’applicabilità del rimedio civilistico ivi previsto della conversione del mutuo oneroso in gratuito alle sole fattispecie in cui siano ab origine pattuiti o promessi interessi usurari – avendo, dunque, esclusivo riguardo al momento della stipulazione della pattuizione sul tasso di interesse –, non si è premurato di indicare agli interpreti quale dovesse essere la sorte delle clausole determinative del saggio d’interesse che, pur originariamente racchiuse nei limiti di legge, fossero successivamente divenute usurarie in conseguenza della variazione in diminuzione del TEGM e dei tassi-soglia periodicamente rilevati.

L’omissione del legislatore appare ancor più grave ove si consideri che la struttura del sistema di verifica dell’usurarietà dei tassi d’interesse approntato dal legislatore con la L. n.108/1996, come è noto, determina il tasso-soglia secondo un criterio oggettivo predeterminato dalla legge, ma muovendo, alla base, dalle rilevazioni trimestrali da parte del Ministero dei tassi di interesse mediamente applicati sul mercato del credito.

Il valore della soglia di legge, dunque, è per sua stessa natura oscillatorio e suscettibile di variazioni, tanto in diminuzione quanto in aumento, aprioristicamente difficili (se non, addirittura, impossibili) da prevedere: certamente dal mutuatario, operatore non professionale, ma, probabilmente, anche dal singolo Istituto di credito prestatore.

Sotto altro profilo, è facile rilevare l’incoerenza di una disciplina che, da un lato, si pone lo scopo precipuo di sanzionare (anche penalmente) il fenomeno dell’usura degli interessi, ma che, dall’altro lato, lo cinge nello stretto confine del momento genetico della pattuizione del tasso, tollerandolo e lasciando sprovvisto di tutela espressa il

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prenditore ove lo stesso fenomeno si presenti come sopravvenuto in conseguenza della variazione in diminuzione del tasso-soglia così come legislativamente determinato.

Nel quadro normativo successivo al 1996, ricco di disconnessioni e di disposizioni difficilmente collocabili sul piano sistematico, dottrina e giurisprudenza hanno profuso il loro impegno nell’individuazione delle soluzioni rimediali possibili, addivenendo ad orientamenti soltanto in parte coincidenti.

La chiave interpretativa di fondo del precetto normativo è stata comunemente individuata, in linea con la ratio della L. n.108/1996, nella volontà del legislatore di evitare il diffondersi del fenomeno usurario, come pure nel limitare la possibilità per il prestatore, quale detentore del denaro necessario al prenditore, di profittare della propria posizione di vantaggio, consentendo così un equo e paritario accesso al sistema del credito.

Ma le soluzioni in concreto prospettate (e, più in generale, in astratto prospettabili) sono state, nel tempo, molte e diverse.

In particolare, la diversificazione del pensiero di dottrina e giurisprudenza si è palesata con riguardo al profilo – assolutamente centrale ed al quale, proprio per tale ragione, sarà dedicato un apposito capitolo della presente trattazione –, dell’usurarietà sopravvenuta del patto relativo agli interessi e al rimedio civilistico applicabile alla clausola determinativa degli interessi divenuta usuraria nel corso dell’esecuzione del rapporto di credito.

Posta (con intervento espresso del legislatore, di interpretazione autentica) l’inapplicabilità della struttura rimediale, particolarmente gravosa per il prestatore, di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., e sancita

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l’insufficienza del rimedio della rescissione per lesione, non è ancora oggi univocamente acclarato quale sia la sanzione civilistica più idonea. Se la fattispecie possa essere ricondotta alla nullità della pattuizione degli interessi per violazione del precetto imperativo della L. n.108/1996, con conseguente necessità di declaratoria di nullità parziale del contratto ex art. 1419, secondo comma, c.c., e di sostituzione automatica della clausola ex art. 1339 c.c.; ovvero se debba farsi riferimento alla struttura rimediale della riduzione del saggio di interesse (moratorio) ex art. 1384 c.c.; ovvero ancora se, secondo una costruzione teorico-dottrinale avallata, in particolare, dell’Arbitro Bancario Finanziario, la percezione degli interessi in misura superiore alla soglia possa configurare un comportamento contrario al principio di buona fede oggettiva, sicché sarebbe giustificata la condanna del prestatore alla restituzione di quanto ricevuto a titolo di interessi sopra i limiti di legge.

Parimenti, non v’è chiarezza sulla misura del saggio d’interesse “di sostituzione” da prendere a riferimento per l’integrazione eteronoma ex art. 1339 c.c. della pattuizione divenuta usuraria in corso di esecuzione del contratto di mutuo ovvero che possa fungere da parametro per la riduzione ex officio della misura degli interessi ai sensi dell’art. 1384 c.c..

In giurisprudenza, si è sostenuta la necessità di ricondurre il tasso convenzionale al limite del tasso-soglia: ma una siffatta opzione presenta contenuti illegittimamente premiali per il prestatore, che non sarebbe così incentivato all’adeguamento dei tassi convenzionali ai limite di legge, ma tenderebbe a profittare dell’eventuale inerzia del mutuatario nel richiederne giudizialmente la diminuzione sino alla misura del tasso-soglia ex L. n.108/1996.

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In dottrina, richiamando la formulazione originaria dell’art. 1815, secondo comma, c.c., nel Codice del 1942 e il disposto dell’art. 1284 c.c., si è vagliata la possibilità di una riduzione degli interessi divenuti usurari al saggio legale, che, tuttavia, incentiverebbe il prenditore a pattuire interessi al limite del tasso-soglia per poi vedersi applicare, in caso di usurarietà sopravvenuta, un tasso (quello legale) certamente inferiore anche al saggio convenzionale.

V’è poi chi ha suggerito, nell’ottica di un contemperamento d’interessi ispirato ad equità, di riferirsi al TEGM rilevato dalla Banca d’Italia, quale parametro rappresentativo dell’andamento medio dei tassi per operazioni similari sul mercato del credito.

Si tratta di un tema dalle importanti conseguenze pratico-applicative, in considerazione del fatto che dalla scelta dell’una o dell’altra soluzione rimediale dipendono rilevanti e differenti effetti di ordine restitutorio in capo al prestatore, idonei ad incidere, in primo luogo, se valutati su larga scala, sull’equilibrio funzionale dell’intero sistema creditizio e, a cascata, anche sulle condizioni di accesso al credito del mutuatario, che vedrebbe così incisa la propria sfera patrimoniale.

Conseguenze di ordine restitutorio che, peraltro, dovrebbero essere altresì valutate in relazione alle peculiarità della fattispecie concreta sottoposta all’esame dell’Organo giudicante.

Tutto ciò, ovviamente, intendendosi – a monte – sui presupposti applicativi della struttura rimediale di diritto civile di volta in volta prescelta per presidiare le ragioni del mutuatario di ripetere quanto versato a titolo di interessi in misura superiore ai limiti di legge.

Di qui la necessità di vagliare e chiarire altre problematiche che potrebbero apparire collaterali, ma che tali non sono, in quanto, ad una più attenta analisi, si

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rivelano parimenti (se non ancor più) dirimenti, configurando il presupposto stesso affinché si possa discutere di strutture rimediali e di misura della riduzione dei tassi di interesse convenzionali (corrispettivi o moratori).

Questi, in sintesi, i temi. È davvero configurabile l’usura sopravvenuta del

tasso di interesse convenzionalmente pattuito per intervenuta variazione in diminuzione del tasso-soglia nel corso dell’esecuzione del rapporto di credito?

I tassi di interesse moratorio devono essere inclusi nel computo del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) periodicamente rilevato Ministero del Tesoro ai sensi dell’art. 2 L. n.108/1996? Al contempo, gli stessi interessi di mora rilevano ai fini del computo del Tasso Effettivo Globale (TEG) applicato in concreto, da raffrontarsi al valore del tasso-soglia tempo per tempo determinato dalla legge?

In via metodologica, svolta una doverosa premessa di ordine storico-ricostruttivo della disciplina normativa in materia di usura, si tratterà – dapprima – degli elementi costitutivi e delle modalità di estrinsecazione del fenomeno usurario, con particolare riferimento alla tematica dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali; al rapporto tra interessi corrispettivi e moratori ai fini della determinazione del TEGM, del TEG applicato, in concreto, al singolo contratto di mutuo; del raffronto, secondo un criterio di omogeneità, tra i predetti valori.

Nell’ultima parte della trattazione, infine, l’attenzione sarà concentrata sull’analisi critica dei rimedi di diritto civile applicabili – alle fattispecie di usurarietà originaria ovvero sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali –, analizzando le soluzioni di volta in volta

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proposte dalla più recente giurisprudenza di merito, di legittimità e dell’Arbitro Bancario Finanziario con riguardo non soltanto al contratto di mutuo, ma, più in generale, alla complesso dei negozi giuridici soggetti alla disciplina antiusura ex L. n.108/1996 e potenzialmente suscettibili di essere interessati dal fenomeno usurario.

Ciò al fine di (cercare di) individuare, nel novero delle soluzioni possibili, quella o quelle maggiormente conformi alle previsioni e alla ratio della normativa antiusura introdotta con L. n.108/1996 e che, tenuto conto degli effetti civilistici conseguenti a ciascuna struttura rimediale, sia altresì idonea a garantire, contemperandoli, gli interessi del soggetto finanziato e del prestatore di denaro, come pure tenga in considerazione l’esigenza di un corretto funzionamento del sistema creditizio nel suo complesso.

Tutto questo seguendo il fil rouge e i profili di indagine dettati dalle pronunce della giurisprudenza e dai commenti della più attenta dottrina, che, a testimoniare il patente interesse degli operatori del diritto per il tema in parola, si sono susseguiti con cadenza quasi giornaliera negli ultimi mesi.

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CAPITOLO PRIMO

1.1. L’usura nella storia del diritto. Brevissimi cenni. –

1.1.1. Usura e interessi nel diritto romano. – 1.1.2. Il divieto del prestito ad interessi nell’ordinamento canonico e nel Medioevo. – 1.1.3. La pattuizione degli interessi nell’esperienza francese del Code Napoleon. 1.1.4. L’usura nel diritto italiano. La pattuizione degli interessi nell’Italia preunitaria e nel Codice del 1865. –1.1.5. La disciplina del codice penale del 1930: l’art. 644 c.p. e il reato di usura. –1.1.6. La disciplina dell’usura nel Codice civile del 1942: interessi, tassi usurai, normativa penale e azione di rescissione per lesione. – 1.2. La svolta legislativa. La legge 7 marzo 1996, n. 108 e i successivi interventi normativi in materia di usura. – 1.2.1. Il dilagare del fenomeno usurario e le spinte riformiste. – 1.2.2. La legge 7 marzo 1996, n. 108. Determinazione del tasso-soglia, riformata fattispecie penale e nuova sanzione civilistica dell’usura.

Tratti storico-evolutivi del quadro normativo di riferimento in materia di usura. Dal diritto romano all’epoca contemporanea: il recente ma già tormentato passato della Legge n.108/1996.

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1.1. L’usura nella storia del diritto. Brevissimi cenni.

1.1.1. Usura e interessi nel diritto romano. La tematica dell’usura2 ha radici molto risalenti nel

tempo3 e, nel corso dei secoli, è stata oggetto di approfonditi studi da parte gli operatori del diritto4. 2 A livello definitorio, il termine “usura” non attiene ad un comportamento valutato come naturalmente riprovevole e non contiene alcuna connotazione spregiativa, assumendo un significato neutro, connesso alla parola “usus”. L’usura stava genericamente ad indicare la possibilità per il mutuante di ottenere dal proprio debitore il beneficio economico derivante dal prestito effettuato, percependo, dunque, i frutti del denaro oggetto del contratto di mutuo. 3 Il prestito ad interessi è trattato addirittura nei libri dell’Antico Testamento: la tradizionale impostazione contraria ad ogni tipo di usura (nel senso di beneficio di poter ottenere gli interessi sulle somme date a mutuo) della tradizione ebraica e cristiana trae ispirazione dal libro dell’Esodo, ove si legge che “se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usurario, voi non dovete imporgli alcun interesse” (Ex., XXII, 24-26); analogamente, nel libro del Deuteronomio (Deut., XXIII, 2-21), nel quale si conferma il divieto del prestito ad interessi (cfr., per un’analisi più approfondita, SANTARELLI, Sei lezioni sull’usura, Pisa, 1995, 13 e ss.). Come efficacemente sintetizzato da BULGARIELLO, L’usura, un fatto che si perde nella notte dei tempi, in Mondo Bancario, 2003, 3, 45, la tematica degli interessi usurai ha radici antichissime: per una ricostruzione analitica della storia dell’istituto si vedano, ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1968, 575; INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2011, 509 e ss.; DAGNA, Profili civilistici dell’usura, Padova, 2008, 1-43; MIRABELLI, La rescissione del contratto, Napoli, 1962, 33; ALPA, Usura: problema millenario, questioni attuali, in Nuova

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Nel diritto romano gli interessi sul capitale erano distinti, a livello definitorio, in “usurae quae sunt in obligatione”, che formavano oggetto di un’obbligazione autonoma e distinta rispetto a quella di restituzione del capitale ricevuta a prestito e che dovevano essere domandati mediante un’apposita actio, e le “usurae quae officio iudicis praestantur”, il cui pagamento doveva essere richiesto nella medesima azione giudiziale volta ad ottenere il rimborso del capitale e che, in via riassuntiva, includevano sia gli interessi legali che quelli convenzionali pattuiti tra i contraenti con apposita clausola.

Nell’impostazione romanistica, il contratto di mutuo era considerato naturalmente gratuito ed obbligava il mutuatario alla restituzione del “tandundem esiusdem naturae et qualitatis”5, ma le parti potevano prevedere convenzionalmente la corresponsione degli interessi.

giur. civ. comm., 1996, II, 181; TETI, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv., 1997, 465; GALLO, L’usura nell’evoluzione dei tempi fino agli ultimi provvedimenti normativi, in Dir. pen. proc., 1995, 3, 298; FERRARI, L’usura nel diritto, nella storia e nell’arte, Napoli, 1924. 4 Nella sterminata vastità dei contributi dottrinali che si sono occupati del tema dell'usura, si segnalano, a livello definitorio, senza alcuna pretesa di esaustività, CARON, voce Usura (diritto canonico), in Noviss. Dig. It., Torino, 1957; GROSSO, voce Usura (diritto penale), in Enc. Dir., Milano, 1992, XLV, 1125 e ss.; MAZZACANE, voce Usura (dir. romano), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971; COLELLA, voce Usura (diritto canonico), in Enc. dir., Milano, 1992, XLV, 1125 e ss; BOARI, voce Usura (diritto intermedio), in Enc. dir., Milano, 1992, XLV, 1135. 5 La gratuità del contratto di mutuo, da alcuni addirittura incluso nei contratti di beneficienza (MESSA, Del contratto di mutuo, Milano, 1900, 395), è da ricondursi ai principi di solidarietà sociale connaturati a questo istituto nelle più antiche prassi (in questo senso, cfr. GIOMARO-MOROSINI, Mutuo nel diritto romano,

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In altre parole, nessun obbligo alla corresponsione degli interessi sorgeva automaticamente a latere del contratto di mutuo, ma questo poteva essere connesso ad un’apposita pattuizione ad hoc tra mutuante e mutuatario, che doveva essere assunta con una forma rigorosa di stipulatio, denominata “stipulatio usurarum”6. In tale ipotesi già il diritto romano si preoccupava di porre un freno al fenomeno della potenziale vessazione del mutuatario derivante dalla posizione di soggezione e di necessità di questi rispetto al mutuante.

Si prevedeva, infatti, che il limite massimo degli interessi fosse pari al c.d. fenus unciarum – vale a dire, la dodicesima parte del capitale -, successivamente ridotto alla metà (c.d. fenus semiunciarum); da ultimo, con la lex Genuncia del 342 a.C., si introdusse il totale divieto di pattuizione della corresponsione di interessi sui mutui tra i cittadini romani.

Tale ultimo provvedimento, cui il legislatore aveva fatto ricorso all’evidente fine di limitare l’espansione del fenomeno usurario, non produsse gli esiti sperati e il relativo divieto venne spesso aggirato facendo ricorso

medievale e moderno, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 584 e ss.). Cfr. anche MASCHI, La gratuità del mutuo classico, in Studi in onore di Balladore Pallieri, I, Milano, 1978, 289 e ss. 6 Sotto il profilo strettamente processuale, il mutuante che volesse agire in giudizio nei confronti del mutuatario inadempiente doveva esperire due distinte azioni, l’una volta ad ottenere la restituzione del capitale mutuato e l’altra diretta al conseguimento delle usurae convenzionalmente pattuite: in questi termini, cfr., ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1960, 304 e ss; DE FRANCISCI, Sintesi storica del diritto romano, Roma, 1968, 409.

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all’interposizione fittizia di un terzo non soggetto alle leggi romane7.

In epoca repubblicana, il tasso massimo degli interessi sul mutuo venne fissato normativamente in dodici punti percentuali annui sul capitale, rapportata all’uno per cento mensile (c.d. usurae centesimae), prevedendosi al contempo il divieto di usurae supra duplum, sicché l’ammontare degli interessi versati dal mutuante non poteva in alcun modo superare il doppio dell’importo capitale: entrambi tali limiti rimasero inalterati fino all’epoca di Giustiniano8.

Quest’ultimo apportò, nel corso del suo impero, rilevanti modifiche, stabilendo, in primo luogo, una riduzione alla metà del tasso normale di interesse sui prestiti, che passò così a sei punti percentuali in ragione d’anno, con previsione di tassi peculiari stabiliti in

7 Per un più generale inquadramento in materia di interessi convenzionali ed usura nel diritto romano, si vedano ROTONDI, Vecchie e nuove tendenze per la repressione dell’usura, in Riv. dir. civ., 1911, 239; CERVENCA, voce Usura (dir. rom.), in Enc. dir., XLV, 1992, 1126; FERRI, Interessi usurari e criterio di normalità, in Riv. dir. comm., 1975, I, 275; MANNA, La nuova legge sull’usura, Torino, 1997, 4 e ss.; FADDA, Le usurae quae officio iudicis praestantur (1886-1887), in Studi e questioni di diritto, I, Napoli, 1910, 231; SCIALOJA, Unciarum fenus, 1923, in Studi giuridici, II, 2, Roma, 1934, 237 e ss. 8 In dottrina, CERVENCA, voce Usura (dir. rom.), cit., 1128, DE FRANCISCI, Sintesi storica del diritto romano, cit., 409, si è però sottolineato come alcune tipologie di contratto sfuggivano, per la loro particolare natura, ad un’imposizione legislativa del tasso massimo degli interessi: si tratta, in particolare, dei prestiti marittimi (fenus nauticum), nei quali l’elevato grado di rischio che incombeva sul creditore che aveva investito il proprio denaro giustificava una variazione, anche sensibile, in aumento del saggio di interesse applicato.

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rapporto alle differenti posizioni che occupavano nella scala sociale creditore mutuante e debitore mutuatario9.

Lo stesso Giustiniano acuì il divieto di usura, stabilendo che gli interessi non potevano superare l’ammontare erogato a titolo di capitale e, a maggior tutela dei debitori sovvenuti, fu introdotto il divieto di “usurae usurarum”, vale a dire una previsione analoga all’odierno divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.

In ottica rimediale, il diritto romano prevedeva che il mutuatario che avesse pagato tassi di interesse usurari poteva agire in sede penale contro il mutuante per domandare la restituzione di un importo quadruplo rispetto alle somme illegittimamente versate a titolo di interesse, con contestuale irrogazione di una multa a danno del mutuante.

Successivamente, il fenomeno dell’usurarietà dei tassi di interesse fu affrontato mediante soluzioni che oscillavano costantemente tra gli opposti dell’imposizione di un assoluto divieto, la limitazione nella corresponsione di interessi e la piena libertà dei contraenti di pattuire i tassi di interesse.

Nell’età repubblicana, alla sanzione penale si sostituì un rimedio a carattere esclusivamente civilistico, prevedendosi l’imputazione a capitale degli interessi già pagati in eccesso rispetto ai limiti di legge.

Nella successiva epoca imperiale e, in particolare, con Diocleziano, venne ripristinata la sanzione penale, 9 Il Corpus Iuris Civilis giustinianeo prevedeva, in particolare, una deroga in aumento per quanto concerne i negozianti e i commercianti, cui poteva essere richiesto il pagamento di un tasso di interesse più elevato (sino ad otto punti percentuali); per i personaggi illustri, invece, si prevedeva una diminuzione del tasso di legge, potendo gli stessi essere chiamati a versare, al massimo, un saggio di interesse di quattro punti percentuali.

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sino a quanto Teodosio I, tornando alle origini, ripristinò la previsione della pena al quadruplo degli interessi10.

1.1.2. Il divieto del prestito ad interessi

nell’ordinamento canonico e nel Medioevo. In epoca medievale si ritornò ad accogliere una

nozione di mutuo fondata sulla sua naturale gratuità, sulla scorta degli insegnamenti dei padri della Chiesa, che indicavano come immorale la corresponsione di un qualsivoglia corrispettivo per il mutuo di somme di denaro, da intendersi, per contro, rigorosamente infruttifero11.

L’impostazione cristiana trovava ragione nella sterilità del denaro, in ragioni di carità, solidarietà e fratellanza, come pure nei principi di moralità che imponevano a chi disponeva del denaro di intervenire in soccorso di coloro che, invece, si trovavano ad affrontare momenti di difficoltà economica.

10 Per un’analisi di dettaglio e una trattazione diffusa dell’evoluzione storia dei rimedi, di diritto civile e penale, contro i fenomeni usurari nell’epoca romana, che in questa sede non è possibile affrontare compiutamente, cfr. CERVENCA, voce Usura (dir. rom.), 1134 e ss. 11 Per la ricostruzione della disciplina degli interessi e dell’usura nel diritto canonico, si vedano; BOARI, voce Usura (dir. intern.), in Enc. dir., XLV, 1992, 1135 e ss.; BUTERA, Usura (diritto romano e diritto canonico), in Noviss. Dig. it., XII, 2, 1940, 801; COLELLA, Usura e diritto canonico, in Foro it., 1995, 378; BATTISTONI, Usura e lesione, il canone 1543 de Codex juris canonici e l’art. 644 del Codice penale Italiano, Alessandria, 1933; DI GIOVANNI OLIVI, Un trattato di economia politica francescana: il De emptionibus ed venditionibus, de usuris, de restitutionibus, a cura di Todeschini, Roma, 1980; ID., Trattato sulle usure, Bergamo, 1998.

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Sulla scorta della valutazione di disvalore operata dalla Chiesa, come pure sulla base dell’esegesi delle Sacre Scritture12, l’usura era definita, sul piano sociale, come un male grave per l’ordine temporale oltre che per la salute eterna.

Per altro verso, l’interpretazione clericale trovava fondamento nella circostanza che, in epoca medievale, il denaro era una risorsa non facilmente reperibile, sicché la popolazione, in questo stato generalizzato di scarsità, spesso faceva ricorso al mutuo quale mezzo di sostentamento transitorio anche solo per necessità di soddisfare bisogni primari ed essenziali di consumo13.

Il divieto di corresponsione degli interessi sul mutuo venne sancito nel Concilio di Nicea dell’anno 325 d.C. e fu ribadito in diverse occasioni14: esso fu esteso dapprima ai soli ecclesiastici e, in epoca successiva, anche ai laici, per poi essere recepito dagli ordinamenti giuridici medievali in Italia, Francia e Germania 15.

L’intervento del divieto canonico di corresponsione di interessi sui prestiti di denaro mirava a neutralizzare alla radice ogni fenomeno usurario, in quanto

12 Cfr. Vangelo di Luca (6,35), che recita “mutuum date nihil inde sperantes” (“prestate denaro senza sperare in nulla”). 13 In questo senso, ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, cit., 577. 14 Il divieto fu imposto inizialmente ai soli ecclesiastici e fu rinnovato durante il Concilio di Lodicea dell’anno 372 d.C., in quello di Cartagine del 397 d.C., nel secondo Concilio di Arles del 443 d.C.. Successivamente, fu esteso da Papa Leone Magno a tutti i fedeli nel 440 d.C. e ribadito nel Concilio di Clichy del 626 d.C., di Costanza nell’anno 814 d.C., di Parigi nell’anno 829 d.C. e, da ultimo, nel Concilio di Vienna del 1311 d.C. 15 Cfr. PERTILE, Storia del diritto italiano, IV, Torino, 1893, 593 e MESSA, Del contratto di mutuo, cit., 403 e ss.

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nell’impostazione tradizionale cristiana costituiva fenomeno usurario ogni corresponsione di denaro che si aggiungesse a qualsiasi titolo al capitale.

Esso, tuttavia, non trovava riscontro nella prassi, in quanto la necessità di corrispondere interessi per il prestito di somme proveniva da esigenze delle vita quotidiana e, in particolar modo, commerciali.

Il mero divieto di applicazione di interessi, dunque, non era di per sé sufficiente ad arginare il fenomeno, sicché si dovettero imporre sanzioni molto rilevanti per limitare tale fenomeno, tra le quali possono annoverarsi, sul piano del diritto civile, la perdita dello stesso capitale mutuato a prezzo della corresponsione degli interessi e limitazioni alla capacità di testare e di testimoniare, ovvero, sul piano del diritto canonico, sanzioni spirituali comminate dalla Chiesta quali l’esclusione dalla comunione e dalla sepoltura secondo il rito cristiano16.

Anche tali sanzioni, tuttavia, non consentirono di arginare il fenomeno, in quanto le esigenze concrete commerciali, spinsero all’utilizzo di una pluralità di strutture contrattuali atipiche e lecite al fine di dissimulare la pratica dell’usura (c.d. “usurae palliatae”)17.

16 MESSA, Del contratto di mutuo, cit., 403 e ss., BOARI, voce Usura (diritto intermedio), cit., 1135; BUTERA, Usura (diritto romano e diritto canonico), cit., 801. 17 Secondo MESSA, op. loc. cit., “non v’era … forma di contratto al quale non si ricorresse per mascherare il mutuo fruttifero”. Tra le varie forme di usurae palliatae vi erano il c.d. “pegno morto”, la vendita a credito o a termine con aumento o diminuzione di prezzo e, da ultimo, il cambio; in altri casi, i mutuanti aggiravano il divieto di usura detraendo in anticipo gli interessi dalla somma prestata e trattenendoli a titolo di penalità, con contestuale riconoscimento da parte del debitore sovvenuto di aver percepito una somma superiore a quella effettivamente erogata in suo favore.

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Nonostante l’inadeguatezza della norma ad arginare il fenomeno sociale dell’usura18, la legislazione canonica continuò a ribadire la propria condanna del prestito ad interessi sino a tutto l’Ottocento ed anche nei primi del Novecento, quando il Codex Iuris Canonici confermò che l’usura doveva essere inclusa nel novero dei comportamenti censurabili in quanto contrari al principio di carità.

È proprio per l’effetto dell’avvento della disciplina canonistica e dell’opera dei Padri della Chiesta che il termine “usura” assunse l’odierna connotazione spregiativa che, come si è più sopra rilevato, non era originaria, atteso che sin dal diritto romano la corresponsione degli interessi era intesa come effetto naturale del prestito connesso alla normale redditività del denaro.

Successivamente e, in particolare, a partire dal XV secolo in avanti, la repressione del fenomeno dell’usura che aveva caratterizzato, sia sotto il profilo concettuale che dal punto di vista normativo, l’inizio dell’epoca medievale, subì una lenta ma costante moderazione.

L’impostazione di stampo cristiano e il diritto canonico furono lentamente superati e messi da parte a causa di una serie di concorrenti fattori, tra cui devono essere annoverati: da un lato, le critiche alla dottrina canonica formulate dai calvinisti, fautori del prestito ad interesse, che avevano incrinato profondamente il dogma cristiano; dall’altro lato, la realtà di mercato che si era sviluppata in epoca medievale, che si basava

18 Nelle fiere e nelle operazioni delle compagnie il prestito ad interessi era la regola e il divieto d’usura l’eccezione: cfr. PIRENNE, Storia economica e sociale del Medio Evo, Milano, 1972, 155.

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essenzialmente su scambi commerciali che richiedevano, a monte, il prestito di denaro e la corresponsione di interessi per il suo utilizzo.

Si trattava di un contesto nel quale la stessa Chiesa si era dovuta in qualche modo “arrendere” alle regole imposte dalla realtà commerciale e dal mercato, al punto da essere costretta a ricorre essa stessa all’indebitamento e ad accettare, dunque, l’idea di dover corrispondere al mutuante interessi, da intendersi come compensativi e pertanto legittimi.

Un contesto nel quale, anche in virtù degli influssi del capitalismo, la forza della censura della pratica usuraria andava via via naturalmente scemando, al punto che la stessa Chiesta aveva dovuto riconoscere che le esigenze economico-sociali dell’epoca imponevano, seppur soltanto in ipotesi eccezionali, la corresponsione di prestiti ad interessi: proprio per tale ragione, vennero creati ad hoc speciali istituti cui tale pratica era concessa, denominati Censi e Monti di Pietà19.

Il mutato sentire sociale circa il fenomeno dell’usura determinò, da un lato, la previsione di metodologie di erogazione del credito appositamente predisposte per aggirare il divieto di usura20 e, dall’altro lato, un ritorno

19 A tal riguardo, si vedano RAGAZZINI-RAGAZZINI, Breve storia dell’usura, Bologna, 1995; VISMARA, Oltre l’usura. La Chiesa moderna e il prestito a interesse, Soveria Mannelli (CZ), 2004. 20 Tra il XIV e il XVII secolo si diffuse, in particolare in Italia, un metodo di corresponsione degli interessi sui capitali concessi a mutuo che si basava sull’emissione di cambiali e che dissimulava il versamento degli interessi attraverso il “gioco” dei tassi di cambio. La normativa in materia di usura, sia nel diritto civile che in quello canonico, vietava, infatti, che il mutuante percepisse interessi in misura fissa e predeterminata sul prestito, sicché l’onere positivo

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degli ordinamenti giuridici europei – soprattutto quelli di civil law, di ispirazione romanistica –, verso l’idea che le somme date a mutuo fossero suscettibili di produrre interessi ove tale previsione fosse convenzionalmente prevista dalle parti e pattuita nelle forme previste.

1.1.3. La pattuizione degli interessi nell’esperienza

francese del Code Napoleon. In ambito europeo pregnante fu l’esperienza francese,

che, con l’Illuminismo e il suo predicato liberismo economico, aprì la strada ad una visione di piena liceità del prestito ad interessi.

L’origine dell’attenzione dei giuristi francesi intorno al tema dell’usura è reperibile nella constatazione di fatto che, in Francia, il divieto di corresponsione degli interessi nel prestito era metodicamente aggirata attraverso il c.d. “contratto di costituzione di rendita”, la cui stipulazione era legislativamente consentita su tutto il territorio dello Stato21.

Con un decreto dell’Assemblea Costituente del 3 ottobre 1789 si giunse, infine, a stabilire che la stipulazione dei contratti di mutuo ad interessi era lecita e meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Quanto alla misura degli interessi, essa era fissata nel decreto in parola, che tuttavia lasciava aperta la possibilità di riferirsi anche agli usi commerciali, i quali, a loro volta, non imponevano un limite all’autonomia negoziale dei contraenti nella incerto legato all’oscillazione dei tassi praticati sui mercati non poteva essere qualificato come un profitto illegittimo, passibile di censura come usurario, ma doveva essere inteso come legittimo, in quanto rappresentativo di una sorta di “premio” equivalente al corrispettivo del rischio assunto con il prestito cambiario. 21 ZACHARIAE, Corso di diritto civile francese, Napoli, 1847, II, 58.

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pattuizione del tasso di interesse, che era pertanto completamente rimessa alla volontà delle parti.

Alcuni successivi interventi del legislatore prenapoleonico, tuttavia, crearono incertezza in materia di interessi ed usura; di tali provvedimenti la giurisprudenza dell’epoca diede interpretazioni altalenanti e non univoche, contribuendo così a rendere sempre più nebbiosa ed equivoca la relativa disciplina22.

In questo quadro di non univocità della disciplina è intervenuto a mettere ordine il Code Napoleon, il quale, all’art. 1905, prevedeva espressamente che “è permessa la stipulazione degli interessi nel semplice mutuo di danaro”.

Il Codice civile napoleonico, dunque, ha fatto proprio e consacrato il principio rivoluzionario della piena libertà delle parti nella pattuizione del tasso di interesse, superando nettamente le teorie canonistiche e i dogmi della tradizione cattolica in materia di usura23.

Tuttavia, seppur l’espressa previsione della possibilità di pattuire interessi sulle somme di denaro concesse da mutuo costituì un notevole passo in avanti nel confuso panorama giuridico in materia di usura, lo stesso

22 Si tratta della Legge 5 Termidoro, anno IV: la stessa era volta alla rimozione del divieto di operare pagamenti in denaro, ma fu interpretata dalla giurisprudenza come il caposaldo del principio di libertà assoluta nella determinazione convenzionale degli interessi (cfr. ZACHARIAE, Corso di diritto civile francese, cit., 59) 23 Il superamento dell’impostazione tradizionale e canonistica in materia di interessi sul prestito di denaro risulta di ancor più ampio rilievo ove si consideri che tra i compilatori e gli stessi ispiratori del Codice civile napoleonico vi erano personaggi quali Domat e Pothier, i quali erano sostenitori della tradizione cattolica in materia di usura (il primo studioso, nella sua celebre opera “Le leggi civili nel loro ordine naturale”, giungeva addirittura alla conclusione che l’usura fosse contraria al diritto di natura).

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intervento normativo non eliminò tutti i problemi connessi a tale importante tematica.

Invero, l’effetto dell’intervento dei compilatori fu quello di determinare lo spostamento dell’attenzione degli interpreti dalla astratta configurabilità degli interessi sul denaro concesso a prestito alla necessità di predeterminare la misura e il saggio degli interessi stessi, come pure sulla previsione delle sanzioni rimediali applicabili nelle fattispecie in cui la determinazione convenzionale dei tassi configurasse un’ipotesi di usura.

A questo riguardo, gli interpreti e la giurisprudenza dell’epoca avevano assunto orientamenti diametralmente contrapposti.

Si dividevano, infatti, coloro che, più conservatori e intenti ad evitare fenomeni di abuso e di usura, ritenevano opportuna l’introduzione di una norma volta a stabilire una limitazione legale degli interessi sui prestiti in denaro e quelli che, seguendo orientamenti maggiormente liberali, ritenevano che non fosse identificabile una regola equa e universalmente valida per la determinazione degli interessi, data la struttura naturalmente variabile degli stessi.

All’esito del confronto di queste opposte fazioni interpretative fu redatto l’art. 1907 del Code Napoleon, secondo il quale, operata la distinzione tra tasso legale e tasso convenzionale, doveva ammettersi la facoltà in capo ai contraenti di determinare liberamente il tasso di interesse del mutuo in misura superiore al tasso legale in ogni ipotesi in cui la legge non lo proibisse espressamente.

Questa soluzione – che, in assenza di divieti di legge, rimetteva completamente la determinazione degli interessi alla volontà delle parti –, fu però applicata solo per pochi anni, in quanto, con la legge del 3 settembre 1807, il legislatore francese intervenne nuovamente in materia di

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interessi, vietandone la stipulazione in misura eccedente i cinque punti percentuali per i rapporti regolati dal diritto civile e di sei punti percentuali ove si trattasse di materia regolata dalle leggi sul commercio.

La legge in parola stabiliva altresì che, ove in connessione ad un prestito di denaro fossero stati pagati interessi convenzionali in misura eccedente rispetto a quella di legge, il debitore mutuatario aveva diritto a ripetere gli interessi versati oltre detto limite ovvero ad imputare l’eccedenza a titolo di capitale24.

La misura dell’interesse convenzionale, usurario o meno, ai sensi dell’art. 1907 del Code Napoleon, doveva in ogni caso essere “determinata per iscritto”. La motivazione di tale impostazione era quella di esporre il mutuante al pubblico giudizio, disvelandosi quale usuraio. Ove il tasso di interesse convenzionale non fosse pattuito per iscritto, il Codice prevedeva l’applicazione del tasso legale.

1.1.4. L’usura nel diritto italiano. La pattuizione

degli interessi nell’Italia preunitaria e nel Codice del 1865.

Le stesse problematiche e gli stessi profili controversi in materia di usura che si erano posti in Francia, all’alba e successivamente all’emanazione della compilazione 24 In ottica sanzionatoria dei comportamenti usurari, la legge del 1807 – rimasta in vigore fino al 1886 in materia commerciale e anche successivamente per i contratti regolati dal diritto civile –, prevedeva altresì che il mutuante potesse essere giudicato da un Tribunale correzionale, il quale, ove avesse ravvisato gli estremi dell’abitualità della condotta da parte del prestatore di denaro, poteva condannarlo ad un’ammenda non eccedente la metà dei capitali prestati a tasso usurario ed anche alla prigionia, ove i comportamenti tenuti integrassero gli estremi del reato di truffa.

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napoleonica, erano stati dibattuti anche in Italia in epoca preunitaria.

L’attenzione dei giuristi venne attratta, in particolare, dalla tematica della misura degli interessi nei prestiti di denaro, avuto riguardo alla sproporzione che le pattuizioni degli interessi potevano produrre nel sinallagma del contratto di mutuo. La sproporzione tra le prestazioni del mutuante e del mutuatario, infatti, era ritenuta un elemento caratterizzante della fattispecie dell’usura e costituivo della stessa ratio delle norme incriminatrici in materia.

La tendenza era, tuttavia, quella di scriminare le ipotesi di usura ed ammettere conseguentemente la possibilità di pattuire interessi convenzionali in misura eccedente il tasso legale25.

L’idea di fondo era che, in un situazione di libero mercato, il contratto era e doveva rappresentare una modalità di espressione della più ampia e libera volontà delle parti, con la conseguenza che, ove queste ultime avessero scientemente inteso pattuire prestazioni 25 L’art. 517 del codice penale sardo del 1839 puniva l’usura con la reclusione, ma solo vent’anni dopo, nel giugno del 1857, la predetta disposizione venne abrogata e fu proclamata la completa libertà della parti nella pattuizione degli interessi convenzionali; né il codice penale sardo del 1859, né il Codice Zanardelli del 1889 annoveravano l’usura tra le fattispecie di reato penalmente rilevanti. Il codice penale toscano, all’art. 408, prevedeva alcune forme di usura palliata quali fattispecie di reato, ma, anche in questo caso, in accoglimento dei principi liberali, venne riformato sul punto, ammettendosi così la corresponsione degli interessi in misura liberamente determinata dalle parti. L’usura era punita nello Stato Pontificio e in quello Lombardo-Veneto, dove vigeva il Codice austriaco; pene particolarmente aspre erano fissate, poi, dalla disciplina estense, che stabiliva un tetto di sei punti percentuali per il saggio degli interessi e disponeva un inasprimento delle pene per il delitto di usura.

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corrispettive non equilibrate, anche in un sinallagma contrattuale del tutto sproporzionato (come nell’usura), tale previsione non potesse essere suscettibile di censura.

Sulla scorta di tale impostazione, in Italia, il c.d. progetto Pisanelli era stato modellato sul principio della più assoluta libertà delle parti nella determinazione degli interessi convenzionali.

Tale principio era consacrato nel testo dell’art. 1831, comma terzo, del Codice civile, ove si stabiliva che “l’interesse convenzionale è stabilito a volontà dei contraenti” e, secondo le parole dello stesso Guardasigilli contenute nella Relazione al Codice del 1865, trovava fondamento “non solo nei precedenti legislativi del Parlamento subalpino, ma ancora in alcune delle legislazioni vigenti nelle altre province del Regno, e soprattutto nei principi di giustizia e della scienza economica”.

L’impostazione appena ricordata fu alacremente criticata da coloro che rilevavano, da un lato, che la libertà delle parti di pattuire gli interesse sulle somme date a prestito senza limiti di legge avrebbe comportato la diffusione di fenomeni usurari, già all’epoca osservabili nella prassi dei mercati, e, dall’altro lato, sotto il profilo sistematico, che non era ammissibile una siffatta previsione in un ordinamento giuridico che prevedeva il rimedio dell’impugnazione per lesione dei contratti squilibrati a favore di una o dell’altra parte26.

Nonostante il disvalore sociale associato al fenomeno usurario, l’orientamento che intendeva imporre un limite

26 Cfr. GIANZANA, Codice civile coll’aggiunta delle leggi complementari, vol. 1, 1883, 119, ove sono inseriti gli interventi dei Senatori Castelli (pag. 276) e Arnulfo (pag. 329), orientati proprio in questo senso.

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legale alla determinazione degli interessi nel mutuo fu accantonato e il testo del progetto Pisanelli fu approvato.

Il Libro Primo del Codice civile, tuttavia, prevedeva due limitazioni espresse alla determinazione degli interessi.

Innanzitutto, la previsione di cui all’art. 1831, comma quarto, secondo cui “nelle materie civili l’interesse convenzionale, eccedente la misura legale, deve risultare da atto scritto”, a pena di conversione del mutuo oneroso in mutuo gratuito.

In secondo luogo, ai sensi dell’art. 1832, al debitore era sempre attribuita la facoltà “dopo cinque anni dal contratto, di restituire le somme portanti un interesse maggiore della misura legale nonostante qualsiasi patto contrario”, previo avviso per iscritto al mutuante con anticipo di almeno sei mesi, il quale produceva gli effetti della rinuncia alla mora eventualmente pattuita in misura superiore27.

La ratio di tali disposizioni era ancora una volta quella di porre un freno al fenomeno usurario, costringendo il mutuante a disvelarsi presso il pubblico, attribuendo al mutuatario la possibilità di sciogliersi dal vincolo del prestito ad interessi mediante la restituzione delle somme portanti interessi in misura superiore al saggio legale, nell’ipotesi in cui un’oscillazione sopravvenuta dei tassi avesse reso eccessivamente gravosa per il sovvenuto la prosecuzione del rapporto contrattuale.

In linea con la ratio delle disposizioni del Codice, giurisprudenza e dottrina ritenevano che, in ottica di

27 Deve aggiungersi, per completezza, che il Codice Pisanelli prevedeva anche disposizioni normative volte a regolare fattispecie prossime o comunque assimilabili al fenomeno usurario, quali il divieto di anatocismo, di patto commissorio e di patto leonino.

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contemperamento del principio di piena libertà delle parti nella determinazione degli interessi, la previsione della pattuizione per iscritto del tasso eccedente la misura legale costituisse un requisito richiesto dalla legge ad substantiam e la cui mancanza, di conseguenza, determinava l’inefficacia (rectius, la nullità) del contratto di mutuo stesso e non poteva essere in alcun modo sanata, neppure attraverso prove testimoniali o mediante deferimento del giuramento28. Analogamente, si riteneva che nemmeno il riconoscimento espresso operato dal debitore attraverso il comportamento concludente, costituito dal pagamento cosciente e volontario degli interessi in misura superiore al saggio legale, potesse costituire prova sufficiente a sanare la mancanza di una pattuizione scritta29.

D’altra parte, la previsione delle suddette limitazioni non era certamente idonea a porre nel nulla il fenomeno dell’usura e rappresentava semplicemente un fragile limite formale per la valida determinazione di interessi in misura superiore al saggio legale. 28 In questo senso si sono espresse, Cass., 5 maggio 1905 e App. Napoli, 30 dicembre 1907, entrambe citate da PERETTI GRIVA, Mutuo, Roma, 1931, 87. 29 In questo senso, PACIFICI-MAZZONI, Istituzioni di diritto civile italiano, V, Firenze, 1921, 229. Altri autori rilevavano altresì che la pattuizione doveva risultare in modo univoco, chiaro ed immediato dall’atto scritto, di modo che il saggio e la misura degli interessi dovessero essere evidentemente distinti dal capitale, come pure che il patto doveva essere redatto in modo che non potessero prodursi fraintendimenti od utilizzare formule simulate (in questi termini, PERETTI GRIVA, ult. op. cit., 28). In giurisprudenza, poi, si escludeva che fosse idoneo a sostituire la pattuizione degli interessi per scritto il rilascio di cambiali per l’importo degli interessi pattuiti in misura legale (App. Catanzaro, 10 luglio 1931, in Calabria giud., 1932, 57).

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È di patente evidenza, infatti, che l’imposizione di un obbligo in capo al mutuante il cui contenuto fosse esclusivamente quello di redigere per iscritto il contratto che prevedesse interessi in misura superiore al saggio legale non implicava affatto l’illegittimità di tale pattuizione in presenza delle prescritte formalità.

Alla pattuizione di tassi di interesse eccedenti la misura legale, dunque, non poteva essere applicato alcun rimedio civilistico di inefficacia, invalidità, nullità od annullabilità, ma nemmeno era previsto un mezzo di tutela specifica volto ad ottenere in qualche misura la riduzione della misura dell’interesse divenuta eccessiva o comunque sproporzionata30.

Il Codice civile del 1865, dunque, non attribuiva al debitore sovvenuto strumenti giuridici od azioni da esperirsi al fine di reprimere comportamenti usurari da parte del mutuante, ma sanzionava la pratica dell’usura attraverso “sanzioni metagiuridiche e quindi di dubbia 30 Cfr. Trib. Milano, 6 marzo 1924, in Rep. Foro it., 1924, voce Interessi, n. 3, a mente della quale “il tasso di interesse molto elevato ed anche usurario, se liberamente consentito e risultante da atto scritto, non è di per sé illecito; diventa tale però se viene mascherato sotto la forma cambiaria, per sfuggire alla sanzione dell’art. 1831 c.c.” Altri precedenti giurisprudenziali conformi sono citati in MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contr. e impr., 1999, 414. In questa sede, lo stesso autore sottolinea che nel Codice civile del 1865 non mancavano del tutto disposizioni volte ad approntare una tutela nei confronti dei fenomeni che, latu sensu, potevano costituire fattispecie usurarie, ma le stesse erano considerate rimedi a carattere eccezionale, in quanto il sistema normativo allora vigente si basava su una “scelta ideologica di fondo secondo cui lo strumento più efficace per la lotta all’usura non è costituito dall’imposizione di divieti normativi e dalla comminazione di sanzioni, ma dal fatto di poter garantire un più veloce ed ampio accesso al credito”.

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efficacia”, nascondendo “una propria scelta ideologica di fondo, volta a ritenere efficace strumento di lotta all’usura non tanto l’imposizione di divieti e sanzioni, quanto piuttosto un più veloce ed ampio accesso al credito da realizzarsi attraverso la creazione di un più efficiente e competitivo sistema economico”31.

Non può dirsi che il sistema giuridico italiano non approntasse alcun rimedio contro il fenomeno dell’usura, ma che esso vi ricollegava solo una sanzione morale, legata alla riprovazione sociale, cui il mutuante si esponeva mediante la pattuizione di interessi, per iscritto a pena di nullità della relativa clausola contrattuale, a tassi ultralegali.

Da ciò conseguiva, in buona sostanza, che il rimedio civilistico approntato dal Codice era efficace soltanto ove il mutuante soffrisse l’effetto della sanzione morale comminata e, dunque, si convincesse a stipulare la clausola sugli interessi in forma soltanto orale, sicché il soggetto sovvenuta, ravvisata l’usurarietà dell’interesse, avrebbe potuto domandare la restituzione di quanto pagato a titolo di interessi.

La sanzione, tuttavia, era rimessa al “pudore” ed alla moralità del creditore mutuante, come pure alla sua sensibilità alla riprovazione che il comportamento usurario avrebbe determinato nei suoi confronti all’interno della struttura sociale di appartenenza, con evidenti conseguenze

31 BUZZELLI, Mutuo usurario e invalidità del contratto, Napoli, 2012, 31; negli stessi termini si sono espressi MERUZZI, op. cit.; CANDIAN, Contributo alla dottrina dell’usura e della lesione nel diritto positivo italiano, Milano, 1946; ROTONDI, op. cit., 247.

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in termini di inefficacia, in sede applicativa, della disciplina in analisi32.

A sopperire alla mancata previsione legislativa di una sanzione di ordine civilistico per le pattuizioni usurarie è intervenuta la giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che il mutuo usurario doveva ritenersi viziato da radicale nullità per illiceità della causa ovvero era suscettibile di annullabilità per vizio del consenso33.

Le soluzioni proposte dalla giurisprudenza ebbero il pregio di sensibilizzare gli operatori del diritto al problema dell’usura, come pure di riportare l’attenzione degli stessi sui rimedi esperibili contro il dilagante fenomeno usurario 32 È ben evidente, infatti, che la rinuncia alla pattuizione di interessi per motivi di ordine meramente morale è fattispecie decisamente infrequente. 33 Nel senso della nullità pattuizione per illiceità della causa, si confrontino Trib. Napoli, 21 giugno 1907, in Riv. crit. dir. e giur., 1908, II, 1, con nota di DEGNI, I limiti della libertà contrattuale e l’usura nel diritto privato; Trib. Napoli, 9 settembre 1910, in Riv. dir. comm., 1911, II, 79, con nota di DEGNI, Ancora sulla repressione dell’usura; App. Napoli, 15 giugno 1917, in Riv. dir. comm., 1918, II, 634. Secondo l’impostazione argomentativa di tali pronunce la pattuizione degli interessi in misura superiore al tasso legale è da ritenersi fondata su causa illecita in quanto contraria al buon costume. Verso la differente soluzione dell’annullabilità della clausola per vizio della volontà delle parti contraenti si è espresso, invece, Trib. Napoli, 31 dicembre 1908, in Riv. crit. dir. e giur., 1909, 2, 55, il quale fondava la propria decisione sul fatto che la pattuizione di interessi in misura ultralegale traeva origine nello stato di bisogno del sovvenuto. La Corte di Cassazione, tuttavia, escluse la possibilità di configurare l’illiceità della clausola per violenza ove il creditore mutuante, profittando dello stato di bisogno del debitore, gli avesse imposto interessi usurari (cfr. Cass., 24 giugno 1924, in Riv. dir. comm., 1927, II, 332-342; Cass., Sez. Un., 3 luglio 1926, in Riv. dir. comm., 1927, II, 342, con nota di DEGNI, Ancora sulla repressione dell’usura nel diritto privato.

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che discendeva dal principio della piena libertà delle parti nella pattuizione degli interessi34.

L’interesse mai sopito degli interpreti per la tematica dell’usura e la necessità di porre un freno legislativo al fenomeno dell’applicazione di interessi in misura ultralegale condusse, tra il 1894 e il 1910, alla presentazione di un serie di progetti di legge per la repressione dell’usura35.

Nel 1927, poi, fu predisposto un progetto di codice civile italo-francese nel quale si prevedeva espressamente che il giudice, su istanza del debitore finanziato, potesse annullare il contratto o ridurre l’obbligazione per interessi, ma solo nell’ipotesi in cui le obbligazioni assunte con il contratto fossero sproporzionate in favore dell’una o

34 Anche se dette soluzioni, da un punto di vista strettamente giuridico, prestavano il fianco a critiche, in quanto erano noncuranti delle conseguenze negative che dalla nullità potevano conseguire in capo al debitore sovvenuto, che sarebbe ovviamente stato chiamato a restituire con immediatezza l’intero capitale ricevuto a mutuo. 35 Si tratta dei seguenti progetti di legge: Della Rocca-Aguglia, 9 aprile 1894, il quale prevedeva che, ove il tasso di interesse fosse pattuito in misura eccedente di oltre un terzo la ragione corrente, la relativa pattuizione era nulla in quanto usuraria, con conseguente perdita da parte del mutuante del diritto a conseguire gli interessi, e, contestualmente, alcune sanzioni penali per il caso di usura delittuosa; Compas, 25 novembre 1895; Gianturco, 22 novembre 1890; Sonnino, 29 gennaio 1901, orientato ad attribuire al rimedio sanzionatorio-penalistico una funzione di extrema ratio; Garofalo, Filomusi-Guelfi e Mortara dell’11 maggio 1910. Per un’analisi di dettaglio dei vari progetti di riforma, si vedano VIOLANTE, voce Usura (delitto di), in Nov. Dig. it., XX, Torino, 1975, 381; VIOLANTE, Il delitto di usura, Milano, 1970, 190 e ss; QUADRI, Profili civilistici dell’usura, in Foro it., 1995, V, 338.

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dell’altra parte e, conseguentemente, il suo consenso dovesse ritenersi non sufficientemente libero36.

Il progetto prevedeva, inoltre, che ove la pattuizione degli interessi in misura ultralegale non fosse effettuata per iscritto, la misura degli stessi dovesse essere ridotta a quella legale.

Dunque, se, da un lato, l’art. 22 del progetto italo-francese segnò certamente un passo in avanti nella repressione del fenomeno usurario, anche nella forma della mera lesione e sproporzione delle prestazioni, da altro punto di vista, tale disposizione determinò l’abbandono dell’impostazione tradizionale di stampo francese, trasposta nell’art. 1831 del Codice civile del 1865, secondo cui la pattuizione degli interessi in misura ultralegale poteva validamente essere presa dalle parti contraenti soltanto per iscritto.

Tale scelta discendeva essenzialmente dalla diffusa convinzione che la previsione di un requisito ad substantiam, quale la pattuizione per iscritto, in assenza di sanzioni civilistiche e in presenza soltanto di sanzioni connesse al disvalore morale delle condotte usurarie, fosse sostanzialmente inutile ed inefficace 37.

36 L’art. 22 del progetto italo-francese del 1927 stabiliva, infatti, che “se le obbligazioni di uno dei contranti sono del tutto sproporzionate ai vantaggi che egli trae dal contratto o alla prestazione dell’altro contraente, in maniera che il suo consenso non sia stato sufficientemente libero, il giudice può su domanda della parte lesa annullare il contratto o ridurre l’obbligazione. L’azione di annullamento deve essere intentata entro l’anno dalla conclusione del contratto. Essa può essere evitata mediante l’offerta che faccia l’altra parte di pagare un supplemento, che sia riconosciuto sufficiente dal giudice”. 37 In realtà, la dottrina più attenta ha avuto modo di sottolineare che la riduzione degli interessi alla misura legale operata dal giudice

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1.1.5. La disciplina del codice penale del 1930:

l’art. 644 c.p. e il reato di usura. Soltanto nel 1930, con il Codice Rocco, fu introdotta

nell’ordinamento italiano, sotto la spinta del regime fascista, una specifica disposizione di legge volta a sanzionare il reato di usura.

Tale intervenuto si rese assolutamente necessario in quanto la predominante lascività della normativa in materia di usura, ispirata ai principi del liberismo economico allora in auge, aveva determinato il dilagare del fenomeno usurario sul territorio italiano, dando luogo, alla fine del XIX secolo, ad una profonda crisi economica, degenerata nel primo dopoguerra in una vera e propria piaga sociale38.

Ispirandosi espressamente all’art. 22 del progetto di codice civile delle obbligazioni e dei contratti, come pure ai precedenti studi civilistici39, il legislatore italiano non poteva essere considerata efficace tanto quanto quella, già prevista dalla normativa più risalente, della totale perdita del diritto agli interessi nell’ipotesi di mancata pattuizione per iscritto. In altre parole, la disciplina di cui all’art. 22 del progetto di codice italo-francese ribadiva l’importanza della pattuizione per iscritto degli interessi in misura ultralegale, ma – non coerentemente – diminuiva le sanzioni per il mutuante che contravvenisse a tale regola, in contrasto con la ratio stessa della previsione (cfr., in questo senso, MESSA, Il contratto di mutuo nel progetto di Codice delle obbligazioni e dei contratti, in Mon. Trib., 1939, 12; ASCARELLI, op. cit., 591, nota 1). 38 Cfr. FERRONI, La nuova disciplina civilistica del mutuo ad interessi usurari, Napoli, 1997; MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 416. 39 Come ricordato da FERRI, Interessi usurari e criterio di normalità, cit., 281, “l’idea di una connessione tra approfittamento dello stato di bisogno e una, si pur particolare, operazione di tipo

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introdusse l’art. 644 c.p., il quale, come è noto, puniva con la reclusione chi, approfittando della stato di bisogno di una persona, si facesse da questa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari, punendo altresì coloro che traevano vantaggio anche dalla sola mediazione usuraria40. usurario era, ad esempio, già prevista e sanzionata nel codice toscano del 1853”. Altra dottrina ha sottolineato che il rimedio della rescissione per lesione previsto dalle disposizioni del Codice civile del 1942, su cui ci soffermeremo infra, trova la propria fonte primaria di ispirazione del progetto di codice italo-francese delle obbligazioni e nel § 138 del BGB tedesco: in questo senso, SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza negli scambi e la rescissione del contrato per lesione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 331 e ss.; SESTA, Comunione di diritti, scioglimento, lesione, Napoli, 1988, 38 e ss. Lo stesso Guardasigilli, nella Relazione al codice penale, aveva rilevato che “dovrebbesi definire quando ricorrono gli interessi o altri vantaggi usurari, previsti come elementi di reato. Tale definizione non è possibile, e non è necessaria. Si è fatto ricorso alla locuzione: interessi od altri vantaggi usurari, perché appunto l’usura si nasconde nei più vari espedienti e non si realizza solo nell’alta misura degli interessi: e d’altra parte non si può stabilire in un codice quando la misura degli interessi raggiunga tal grado da fornir materia di usura, essendo la misura degli interessi dipendente dalle più diverse circostanze di tempo, di luogo, di persone, di rischio … Fu d’altronde opportunamente ricordato che anche il progetto italo-francese delle obbligazioni e dei contratti, nell’art. 22, come è esplicitamente riconosciuto nella Relazione che lo illustra, intende colpire l’usura nelle sue forme più varie … e … per indicare gli elementi … non si riferisce ad elementi concreti e tassativi, come quello della misura degli interessi, ma fa richiamo alla generica sproporzione tra vantaggi, che uno dei contraenti trae dal contratto, e le obbligazioni che ha assunte”. 40 Nella sua formulazione originaria, l’art. 644 c.p. qualificava come usuraria la condotta di “chiunque … approfittando dello stato

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Nell’impostazione del Codice Rocco, peraltro, la sanzione del reato di usura è naturalmente correlata al requisito della necessaria tutela di un soggetto “contraente debole”, sicché l’eventuale pattuizione di interessi in misura usuraria ma in conseguenza di una specifica contrattazione tra le parti doveva essere ritenuta perfettamente lecita ed assolutamente non censurabile sul piano del diritto penale (e, conseguentemente, nemmeno in ambito civilistico)41.

La novella introdotta con il Codice Rocco era naturalmente destinata a produrre una ricaduta di ampio respiro in ambito civilistico: ciò con particolare riferimento alla sorte delle convenzioni usurarie.

Alcuni autori si spinsero addirittura a sostenere che con l’introduzione dell’art. 644 c.p., l’emanazione di una norma squisitamente civilistica, quale l’art. 22 del progetto di codice delle obbligazioni e dei contratti, si atteggiasse come ridondante e, comunque, dovesse limitarsi alla ricognizione di quei particolari effetti che la violazione della norma penale poteva produrre in sede esclusivamente civilistica42.

di bisogno di una persona, si fa da questa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o vantaggi usurari”. Esso prevedeva altresì che alla stessa pena era sottoposto chi “procura ad una persona in stato di bisogno una somma di denaro o un’altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario”. 41 TETI, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, cit., 468. 42 In questo senso si sono espressi, in dottrina, MESSINA, Usura e negozio usurario, in Scritti giuridici, Milano, V, 148; CORTESANI, L’usura come illecito civile e come illecito penale, in La Giustizia penale, 1934, II, 246.

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L’introduzione della normativa penale, peraltro, risolse temporaneamente le problematiche interpretative sorte attorno ai rimedi e alle sanzioni di ordine civilistico applicabili ove il contratto di mutuo prevedesse la corresponsione di interessi in misura superiore al saggio legale.

Invero, gli Autori ritenevano che l’art. 644 c.p. rappresentasse chiaramente una norma posta a tutela dell’interesse pubblico di evitare il dilagare del fenomeno usuario, stabilendone una volta per tutte il disvolere sociale e la contrarietà ai principi fondamentali dello Stato. Dinanzi ad una così forte ed espressa affermazione di illegittimità dell’usura da parte del legislatore, non poteva che ritenersi che ogni pattuizione di interessi in misura usuraria dovesse essere considerata nulla, in quanto fondata su causa illecita, che, a sua volta, si poneva in violazione e in contrasto con il disposto della norma – imperativa -, di cui all’art. 644 c.p.43. 43 In dottrina, si vedano MESSINA, op. cit.; CORDOVA, voce Usura (Diritto moderno), in Dig. it., 1940, 804; CORTESANI, L’usura come illecito civile e come illecito penale, cit.; DE CUPIS, La distinzione tra usura e lesione nel codice vigente, in Dir. fall., 1946, I, 78; DEGNI, Riflessi civilistici del nuovo codice penale, in Riv. dir. comm., 1932, I, 11, ove l’Autore lapidarimente conclude che “se l’usura costituisce un illecito penale, non può non costituire illecito civile”. In dottrina vi era anche chi sosteneva che la pattuizione usuraria degli interessi fosse illegittima nel suo oggetto, in quanto tale elemento essenziale del contratto risultava viziato per contrasto con l’art. 644 c.p.: in questi termini si è espresso MONTEL, La rescissione del contratto, nota a Trib. Milano, 12 febbraio 1937, in Foro it., 1937, I, 560. In giurisprudenza, si veda Cass. Regno, 5 maggio 1937, n. 1409, in Rep. Foro it., 937, voce Interessi, n. 13; Cass., 15 maggio 1940, in Foro it., 1941, I, 475. Per un ulteriore approfondimento sul punto, si veda MERUZZI, op. cit., 433 e ss..

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Si istituì dunque una ferma correlazione tra illiceità in sede civilistica della pattuizione degli interessi in misura eccedente il tasso legale e la fattispecie di usura penalmente rilevante, con la conseguenza che una responsabilità in capo al creditore mutuante, sul piano del diritto civile, poteva configurarsi soltanto ove venissero integrati gli elementi richiesti dall’art. 644 c.p., in una perfetta sovrapposizione tra diritto penale e diritto civile44.

Merita peraltro rilevare che la compenetrazione tra normativa civilistica e penalistica cui si è appena fatto cenno, ha determinato la formazione di un orientamento giurisprudenziale restrittivo, che richiedeva, ai fini della configurabilità in capo al creditore mutuante di una responsabilità civilistica, l’integrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie penalistica e, in particolare: lo stato di bisogno del soggetto sovvenuto; la sproporzione oggettiva degli interessi45. 44 Come rilevato da autorevole dottrina, MESSINEO, Dottrina generale del contratto, Milano, 1944, 248, tale interpretazione finiva per attribuire alla normativa penalistica di cui all’art. 644 c.p. una portata civilistica che la stessa non possedeva, che “per quanto lodevole nelle intenzioni, era di dubbio fondamento, poiché nell’art. 644 si commina una pena per l’usura e non anche la nullità dell’usura”. 45 Tale orientamento giurisprudenziale, che risale a Cass., 15 maggio 1940, n. 1572, in Foro it., 1941, I, 457, è poi rimasto costante nel tempo e non è stato abbandonato dagli interpreti nemmeno all’esito modifiche legislative apportate con il Codice civile del 1942. In questi termini, infatti, si è espressa la pressoché costante giurisprudenza di legittimità: si vedano, ex multis, Cass., 24 marzo 1963, n. 594, in Rep. Foro it., 1962, voce Interessi; Cass., 31 marzo 1969, n. 1596, in Rep. Foro it., 1969, voce Obbligazioni e contratti; Cass., 16 novembre 1979, n. 5956, in Rep. Foro it., 1979, voce Mutuo, 1810; Cass., 26 agosto 1993, n. 9021, in Giust. civ. Mass., 1993, 1329; App. Napoli, 9 febbraio

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1.1.6. La disciplina dell’usura nel Codice civile del

1942: interessi, tassi usurai, normativa penale e azione di rescissione per lesione.

Nel quadro legislativo sopra descritto il legislatore del 1942 è intervenuto per definire i contorni della disciplina rimediale in materia di interessi usurari.

Nell’intento di trovare una definitiva soluzione civilistica al problema dell’usura, il legislatore italiano del 1942 ha ribadito, da un lato, il principio della piena libertà delle parti di autodeterminare nella propria autonomia negoziale privata la misura degli interessi convenzionali, riconoscendo, al contempo, il principio della naturale onerosità del contratto di mutuo ex art. 1815, primo comma, c.c., e, dall’altro lato, ha introdotto due disposizioni a tutela della posizione del contraente sovvenuto.

Innanzitutto, per la determinazione di un saggio di interesse in misura superiore al tasso legale, il legislatore del 1942 richiede - in linea con la tradizione e in ottica di continuità con la disposizione di cui all’art. 1831 del Codice del 1865 -, che la relativa pattuizione debba essere determinata per iscritto, ai sensi dell’art. 1284, comma terzo, c.c.

L’inosservanza della predetta disposizione, tuttavia, diversamente da quanto previsto nel Codice del 1865, non comporta la conversione del mutuo oneroso in gratuito, ma soltanto la riduzione degli interessi al saggio stabilito dalla legge a norma del medesimo articolo.

1955, in Rep. Giust. civ., 1955, voce Mutuo; Trib. Roma, 29 maggio 1981, in Rass. dir. civ., 1982, 507, Trib. Milano, 6 aprile 1995, in Gius., 1995, 1423.

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A questa prima forma di tutela per il soggetto sovvenuto in posizione di debolezza nella contrattazione con il mutuante se ne aggiungeva una seconda, specificamente connessa alla previsione di interessi in misura usuraria, vale a dire quella dell’art. 1815, comma secondo, c.c., a mente del quale, ove fossero convenuti interessi usurari, la relativa clausola doveva ritenersi nulla e – nella formulazione originaria – la misura degli interessi doveva essere ridotta al tasso legale.

La soluzione era apparsa al legislatore sufficientemente equilibrata tra le opposte soluzioni possibili.

Da un lato, infatti, attribuire la facoltà al debitore sovvenuto di domandare in giudizio la declaratoria di nullità della sola clausola di pattuizione degli interessi usurari, riconducendo l’interesse al limite legale comporta la liberazione del debitore dal fardello che poteva conseguire dalla declaratoria di nullità dell’intero contratto di mutuo, la quale avrebbe determinato la deleteria conseguenza per il sovvenuto di dover restituire con immediatezza l’integrale somma di denaro mutuata.

Dall’altro lato, il legislatore del 1942 lascia comunque trasparire la propria diffidenza verso un sistema che consentisse al mutuatario di accedere ad un trattamento rimediale eccessivamente favorevole, accantonando la previsione sanzionatoria che disponeva, nell’ipotesi di convezione di interessi in misura maggiore rispetto al tasso legale, il venir meno dell’obbligazione a corrispondere gli interessi sul mutuo in capo al soggetto sovvenuto.

Invero, una siffatta previsione, avrebbe consentito al mutuatario di lucrare indebitamente un guadagno nell’ipotesi in cui lo stesso avesse promesso di versare spontaneamente in favore del mutuante interessi a tasso

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usurario per poi eccepire la nullità del relativo patto e non essere obbligato nemmeno al versamento dell’interesse al tasso legale46.

Sotto altro profilo, con il Codice civile del 1942 sono state introdotte nell’ordinamento giuridico italiano una serie di altre disposizioni volte ad inserire limiti e controlli all’autonomia privata delle parti contraenti ispirati al generale principio informatore dell’equità47, tra le quali occorre ricordare: l’art. 1384 c.c., che prevedeva la possibilità di riduzione della penale determinata in misura manifestamente eccessiva; l’art. 1526, secondo comma, c.c., che attribuiva al giudice il potere di ridurre l’indennità convenuta a favore del venditore per l’inadempimento dell’acquirente nella fattispecie della vendita a rate.

Il controllo della disciplina degli interessi, inoltre, fu attuato anche mediante la conferma della disciplina, già contenuta nel Codice del 1865, in materia di anatocismo (art. 1283 c.c.) e in materia di validità e requisiti formali della convenzione del saggio degli interessi in misura ultralegale (art. 1284, comma terzo, c.c.).

Da ultimo, con il Codice del 1942 si è introdotto il rimedio, all’epoca ancora a carattere eccezionale e non generale, della rescissione del contratto per lesione ex art. 1448 c.c.

Le innovazioni legislative in materia di usura, sia sul piano del diritto civile che sul piano del diritto penale, riportarono in auge la discussione in dottrina e giurisprudenza in ordine al rapporto che intercorreva tra l’art. 1815, comma secondo, c.c., e il reato di usura di cui

46 Cfr. PANDOLFELLI - SCARPELLO - STELLA RICHTER - DALLARI, Codice civile illustrato con i lavori preparatori, Milano, 1942, 517. 47 In questo senso, QUADRI, op. cit., 340; FERRONI, op. cit., 14.

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all’art. 644 c.p.: la quaestio era, in buona sostanza, se l’applicazione dell’art. 1815, secondo comma, conseguisse soltanto all’integrazione di tutti gli elementi della fattispecie penalistica dell’usura ex art. 644 c.p. (corrispettivo usurario, stato di bisogno del mutuatario sovvenuto e consapevole approfittamento dello stato di bisogno da parte del mutuante) ovvero se, al contrario, i presupposti dell’applicazione delle due norme dovessero essere tenuti distinti o comunque essere intesi come non perfettamente sovrapponibili.

Come si è già avuto modo di accennare, la giurisprudenza dell’epoca48 tendeva a risolvere la questione in senso positivo, sulla base dell’argomento per cui l’art. 1815, comma secondo, c.c. operava un generico riferimento agli interessi “usurari”, senza offrirne alcuna specifica definizione normativa, con la conseguenza che doveva ritenersi che detta disposizione richiamasse integralmente e in tutti i suoi elementi la fattispecie penalmente rilevante.

Altri autori – ma l’indirizzo in parola era comunque da ritenersi minoritario -, interpretavano la norma di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c. in stretta connessione sistematica con l’art. 1448 c.c. e l’azione di rescissione per lesione ivi prevista, giungendo a ritenere che la stessa potesse applicarsi in presenza di tassi oggettivamente elevati e sempre che sussistesse, nella specie, l’approfittamento da parte del mutuante dello stato di bisogno del soggetto sovvenuto49. 48 Cfr. nota 28. In dottrina, si vedano ASCARELLI, op. cit., 591; MARINETTI, voce Interessi (dir. civ.), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 863; GRASSANI, voce Mutuo (dir. civ.), in Noviss. Dig. it., X, Torino, 1963, 1053. 49 Tra i fautori di tale orientamento, si segnalano SIMONETTO, I contratti di credito, Padova, 1953, 278; MIRABELLI, La

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Come è noto, infatti, l’art. 1448 c.c. - applicabile ai contratti usurari e, più in generale, anche ai contratti conclusi in stato di pericolo ai sensi dell’art. 1447 c.c.50 -, se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, il contraente che abbia patito lo svantaggio può domandare la rescissione del contratto.

Ciò a condizione che: la lesione ecceda la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto (c.d. lesione ultra dimidium); la parte danneggiata si trovi in stato di bisogno, da intendersi non come assoluta indigenza o incapacità patrimoniale, ma come situazione di difficoltà economica,

rescissione del contratto, Napoli, 1962, 118; LIBERTINI, voce Interessi, in Enc. dir., Milano, 1972, 130. In giurisprudenza, App. Napoli, 26 novembre 1954, in Giust. civ., 1955, 642 e ss. 50 Detta disposizione, come è noto, stabilisce che “il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata. Il giudice nel pronunciare la rescissione può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata”. Il contratto concluso in stato di pericolo è rescindibile quando si verifichino i relativi presupposti, vale a dire: a) lo stato di pericolo, ovverosia la minaccia di un danno grave alla persona del contraente o di altri, dovendosi valutare la gravità del pericolo secondo un criterio relativo, ossia in relazione alla persona minacciata; b) l’iniquità delle condizioni a cui il contraente ha dovuto soggiacere, ove per iniquità s’intende una sproporzione tra il valore delle prestazioni; c) la conoscenza dello stato di pericolo da parte di colui che ne ha tratto vantaggio (e al quale può comunque essere attribuito dal giudice che abbia pronunciato la rescissione del contratto un giusto compenso per l’opera eventualmente svolta).

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anche transitoria; che si abbia l’approfittamento dello stato di bisogno, il quale non consiste necessariamente in un comportamento attivo, ovvero in un’iniziativa fraudolenta della parte, essendo sufficiente, per contro, la consapevolezza del vantaggio patrimoniale che si trae dalla situazione di bisogno della controparte.

Una siffatta disposizione, nelle intenzioni del legislatore del 1942 doveva intendersi come strutturalmente connessa alla fattispecie della corresponsione della pattuizione di interessi usurari: addirittura, essa presentava, e presenta ancora oggi, una serie di requisiti talmente stringenti che trovano giustificazione proprio nella volontà di ridurne al massimo la portata applicativa, legandola indissolubilmente all’operatività della normativa penale in materia di usura51.

La stessa Relazione Ministero di Grazia e Giustizia al Codice civile, infatti, aveva chiarito che “si è voluta dare una precisazione dei presupposti civilistici della sanzione comminata nell’art. 644 suddetto … in quanto saranno rari i casi (permuta di immobili, contratti con reciproco

51 Si discute oggi in dottrina, addirittura, se abbia senso o meno mantenere in vita il rimedio della rescissione per lesione, perché, da un lato, esso troverebbe applicazione limitatissima e, sotto altro profilo, in quanto sussiste un’oggettiva difficoltà degli interpreti a soddisfare l’onere probatorio, gravante sull’attore, relativo all’elemento soggettivo dello stato di bisogno del soggetto danneggiato: a tal riguardo, cfr. Trib. Roma, 3 luglio 1993, in AA.VV., Casi scelti in tema di buona fede nei contratti speciali, a cura di Alpa-Putti, Padova, 1996, 18, con nota di PUTTI, Sui criteri di interpretazione della disciplina in tema di prova dello stato di bisogno nella rescissione per lesione.

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scambio di prestazioni di fare) in cui l’azione stessa potrà operare al di fuori dell’ambito della norma penale”52.

Tuttavia, in ordine alla connessione tra la rescissione per lesione e l’usura, la dottrina più attenta ha rilevato che “sul piano della sanzione … un’applicazione … della rescissione”, rimedio avente efficacia ex tunc, “porterebbe, in ultima analisi, al mutuatario più danni che vantaggi [atteso che] l’inefficacia conseguente alla rescissione comporterebbe per il mutuatario l’obbligo dell’immediata restituzione della somma ricevuta, con la conseguenza, quindi, di sopportare rilevanti diseconomie connesse al venire meno di una già programmata (e raggiunta) disponibilità finanziaria”53.

In ogni caso, come è stato efficacemente rilevato, “è chiaro che questi orientamenti sono il frutto della difficoltà teorica a concepire una disciplina civilistica del mutuo usurario o più in generale dei contratti usurari, svincolata da quelle disposizioni che storicamente apparivano quelle destinate a contrastare il fenomeno dell’usura. Da un lato, infatti, nel quadro di riferimento all’art. 644 c.p., quest’ultimo rappresentava la disposizione nella quale si rinveniva la vera ed unica fonte dell’illiceità della convenzione usuraria, con la conseguenza che risultata in un certo senso quasi inconcepibile un’applicazione dell’art. 1815 .c. svincolata da quella dell’art. 644 c.p. dall’altro, nella prospettiva dell’art. 1448 cc., muovendosi dall’assunto che con l’azione generale di rescissione per lesione si era inteso

52 Relazione ministeriale del Ministero di Grazia e Giustizia al Codice Civile, Roma, 1943: per un’analisi accurata, si veda DAGNA, Profili civilistici dell’usura, cit., 26 e ss. 53 Così INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Scialoja-Branca, Roma-Bologna, 2011, 513.

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reprimere sul piano civile proprio quell’attività usuraria sanzionata dall’art. 644 c.p., era ovvio che dovesse apparire alquanto singolare che tale disciplina civilistica non si dovesse applicare al caso degli interessi usurari, vale a dire proprio all’ipotesi tipica e tradizionale di usura”54.

La dottrina di quell’epoca55 compì un notevole sforzo al fine di evidenziare le lacune di un’interpretazione dell’art. 1815, secondo comma, c.c., rigorosamente connesso alla disciplina penalistica, rilevando che con tale disposizione il legislatore intendeva sanzionare l’usura avendo riguardo al solo dato contabile della misura dell’interesse, senza che si richiedessero altri requisiti di carattere soggettivo, quale l’approfittamento dello stato di bisogno.

Difforme fu, tuttavia, come si è detto, l’interpretazione che la giurisprudenza e la dottrina diedero dell’art. 1815, secondo comma, c.c. sino alla novella del 1996.

54 BUZZELLI, op. cit., 45-46. Per un’ampia analisi del rapporto tra gli art. 644 c.p., 1448 e 1815, secondo comma, c.c., si veda COLANGELO, Nullità e rescissione dei contratti usurari, Napoli, 2011, 11-14. 55 Si confrontino, tra i tanti, CARRARO, Il negozio in frode alla legge, Padova, 1943, 217; DE CUPIS, Usura e approfittamento dello stato di bisogno, in Riv. dir. civ., 1961, I, 504; GIAMPICCOLO, Comodato e mutuo, in Trat. dir. civ., diretto da GROSSO-SANTORO-PASSARELLI, Milano, 1972, 89 e ss.; INZITARI, La moneta, in Tratt. dir. comm. e pubbl. econ., VI, Padova, 1983, 272; CARPINO, La rescissione del contratto, in Commentario Schlesinger, Milano, 2000, 77 e ss.

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1.2. La svolta legislativa. La legge 7 marzo 1996, n. 108 e i successivi interventi normativi in materia di usura.

1.2.1. Il dilagare del fenomeno usurario e le spinte

riformiste. Motivi di urgenza, necessità ed opportunità connessi

all’imperversare del fenomeno dell’usura sul territorio italiano anche successivamente all’emanazione del Codice Rocco del 1930 e, ancora di più, nel secondo dopoguerra56, spinsero il legislatore ad intervenire in via diretta sulla disciplina del reato di usura.

Il fenomeno dell’usura, infatti, era cresciuto al punto da determinare un crescente allarme sociale, che si appalesava in tutta la sua gravità anche per via delle carenze del sistema creditizio ufficiale, che non era in grado di soddisfare la domanda di credito e, dunque, spingeva i soggetti che necessitavano di reperire a stretto giro somme di denaro verso canali “non ufficiali”, alimentate anche dalla criminalità organizzata57.

56 Cfr. PICA, voce Usura (diritto penale), in Enc. Dir., Milano, 2002, VI, 1137; CAPERNA-LOTTI, Il fenomeno dell’usura tra esperienze giudiziarie e prospettive di un nuovo assetto normativo, in Banca borsa tit. cred., 1995, 75 e ss. 57 In ordine alle preoccupazioni che il dilagare del fenomeno usurario aveva generato nel contesto sociale, si vedano, DE STEFANO, Interessi usurari e violazione dei diritti umani, in Fisco, 2001, 1111; MAGRO, Il divieto di usura e i doveri di solidarietà umana, in Arch. pen., 3-4, 1997, 283; SALVINI, L’usura, un dramma sempre attuale, in Civiltà cattolica, 1996, II, 32. Secondo autorevole dottrina, la causa del ritorno al prestito

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Per tali ragioni, già nel 1992, infatti, con d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (art. 11-quinquies, comma secondo, convertito in l. 7 agosto 1992, n. 35658, il legislatore inasprì le pene stabilite per il reato di usura ex art. 644 c.p., prevedendo al contempo un’aggravante speciale per coloro che commettevano tale reato nell’esercizio di un’attività professionale o di intermediazione finanziaria. Con il medesimo provvedimento legislativo, inoltre, venne altresì introdotto nel Codice penale l’art. 644-bis, relativo al reato di c.d. “usura impropria”59. usurario è da ricollegarsi alla stessa natura dell’usura, la quale viene alimentata dallo stato di crisi e di bisogno della popolazione e dall’incapacità del sistema creditizio ufficiale di far fronte alle richieste di denaro da parte del pubblico e, conseguentemente, consentono il verificarsi delle condizioni affinché chi dispone del denaro necessario possa sfruttare la situazione di difficoltà economica del mutuatario, imponendo interessi elevatissimi sui prestiti: in questo senso, si vedano, QUADRI, La nuova legge sull’usura ed i suoi diversi volti, in Corr. Giur., 1996, IV, 363; PICA, voce Usura (dir. pen.), in Enc. dir., Agg., VI, 1997; AGNOLI, L’usura come problema sociale, economico e giuridico, in Nuova rass., 1997, 525; FALCONE, Interventi delle banche a contrasto dell’usura e nuove figure di “mutuo di scopo”, in Riv. dir. impr., 1999, 105. 58 Recante “Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”. Per un commento al testo, si veda PETRAGNANI-GELOSI, Il “nuovo” delitto di usura impropria previsto dal D.L. n. 306 del 1992 convertito nella L. n. 356/1992, in AA.VV., Mafia e criminalità organizzata, Torino, 1995, 896 e ss. 59 A mente dell’art. 644-bis c.p. “chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 644, approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi od altri

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Nemmeno tali interventi legislativi, tuttavia, riuscirono a limitare il fenomeno usuraio, che le statistiche davano in costante aumento60 e si rivelarono da subito inadeguati61. Verificata l’inadeguatezza del descritto intervento legislativo, vennero successivamente presentati in Parlamento una serie di progetti di legge, volti a riformare radicalmente la disciplina civilistica dei contratti usurari, che facevano perno intorno ad alcune ben definite questioni: l’individuazione di un valido criterio, di tipo vantaggi usurari, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni”. Per il configurarsi del reato di usura impropria, dunque, nell’ipotesi in cui la persona offesa esercitasse un’attività professionale od imprenditoriale, non era necessario che il reo profittasse dello stato di bisogno del mutuatario, essendo sufficiente che egli traesse vantaggio dalla situazione di difficoltà economico-finanziaria dello stesso. A tal riguardo, è stato correttamente rilevato che l’art. 644-bis c.p.è stato introdotto dal legislatore non a tutela del patrimonio del singolo imprenditore, quanto piuttosto a tutela dell’economia complessivamente intesa: cfr., in questo senso, CORRANDINI, Il reato di usura impropria: un’innovazione discutibile, in Impr., 1993, 2561; MANNA, voce Usura (la nuova normativa sull’), in Dig. disc. pen., agg. 2000, Torino, 648. Per un commento alla norma, si vedano BELLACOSA, voce Usura impropria, in Enc. giur., 1997, 1 e ss.; FIANDACA-MUSCO, I delitti contro il patrimonio, Dir. pen., Parte speciale, 1996, 180; MAZZA, Una fattispecie precaria: l’usura impropria, in Riv. Polizia, 1996, 73. La citata disposizione è stata abrogata dall’art. 1, comma secondo, l. 7 marzo 1996, n. 108. 60 Cfr. Statistiche ISTAT 1990-1995 commentate nel contribuito di CAVALIERE, L’usura tra prevenzione e repressione: il controllo del ruolo penalistico, in Riv. dir. proc. pen., 1995, 1206 e ss. 61 Sull’inadeguatezza della novella, si veda FLORIO, L’usura (esame strutturale, problemi interpretativi e limiti di applicabilità della fattispecie ex art. 646 c.p.), in Critica pen., 1995, 3, 3.

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oggettivo, per la determinazione legislativa del tasso di interesse usurario, la volontà legislativa di predisporre una regolamentazione dell’usura che prescindesse dalla fattispecie penalistica, la predisposizione di adeguati sistemi di tutela e sostegno per le vittime dell’usura.

Tra il 1993 e il 1994 furono presentati, infatti, ben otto progetti di riforma, i quali erano per lo più improntati a determinare una soglia di liceità del saggio di interesse, in un’ottica di oggettivizzazione degli elementi costitutivi dell’usura, sfuggendo così all’impostazione soggettiva penalistica, che dava luogo a non pochi problemi, sul piano processuale, in termini di soddisfacimento dell’onere probatorio (dell’approfittamento dello stato di bisogno o, comunque, della condizione di difficoltà economico-finanziaria del soggetto sovvenuto)62.

62 Va altresì rilevato che la spinta riformista in materia di usura muoveva anche dall’ulteriore considerazione il controllo del fenomeno usurario sul territorio, anche relativo all’attività della criminalità organizzata, dovesse fondarsi, in primis, sulla limitazione della manifestazione dei fenomeni usurai nel sistema creditizio ufficiale: cfr., a tale riguardo, CARACCIOLI, Il reato di usura e le sue possibili connessioni con il credito bancario ed interfinanziario, in Fisco, 1997, 1483. Secondo tale via interpretativa, nella dinamica finanziaria ufficiale, la connotazione soggettiva del reato di usura determinava l’impossibilità di perseguire comportamenti usurari altrettanto riprovevoli, posti in essere dagli operatori finanziari, che non erano caratterizzati dall’elemento soggettivo dell’approfittamento della situazione di debolezza economica del contraente mutuatario. Tale prospettazione, tuttavia, non era affatto univocamente condivisa: cfr. BIELLI, Il fenomeno dell’usura e le banche, in Mondo bancario, 1998, 4, 7; CERNIGLIA, La l. n. 108/96 sull’usura e gli utenti dei servizi bancari, in Dir. banc., 1998, I, 585; MOLINTERNI-PALMIERI, Tassi Usurari e razionamento: repressione e prevenzione degli abusi nel mercato del credito, nota

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La tendenza a definire un contorno oggettivo della fattispecie civilistica dell’usura e il desiderio di distaccarsi dall’eccessiva soggettivizzazione del fenomeno penalistico traeva anche fondamento nel confronto con la disciplina normativa adottata in ambito europeo: in ottica comparatistica, infatti, può agevolmente cogliersi che i progetti di riforma prima e la l. n. 108/1996 si sono posti in buona parte in linea con le scelte compiute, ad esempio, dal legislatore francese63.

1.2.2. La legge 7 marzo 1996, n. 108.

Determinazione del tasso-soglia, riformata fattispecie penale e nuova sanzione civilistica dell’usura.

Con la legge n. 108 del 7 marzo 1996, recante “Disposizioni in materia di usura”64, il legislatore è intervenuto a modificare il disposto dell’art. 644 c.p.

a Trib. Roma, 10 luglio 1998, in Corr. giur., 1999, 1022; PLATAMURA, Il delitto di usura presunta: quale etica per il mercato del credito?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 779. 63 Per una valutazione circa l’influenza dei modelli comparativi europei sui progetti di riforma in materia di usura predisposti dal legislatore dei primi anni Novanta e sulla successiva l. n. 108/1996, si veda COLAVINCENZO, Nullità e rescissione dei contratti usurari, Napoli, 2011, 31 e ss.. Per approfondimento in chiave comparatistica della fattispecie dell’usura, si vedano gli scritti ivi citati nella nota 20 e, in particolare, BONORA, La nuova legge sull’usura, 1998, 35 e ss; PERDUCA, Appunti sull’usura e sulla collaborazione europea in materia, in Fisco, 1998, 9984; CIRALLI, L’usura nelle diverse discipline giuridiche, in Nuova rass., 1997, 2244; MANNA, La nuova legge sull’usura, 1997, 17. 64 Entrata in vigore in data 24 marzo 1996, la novellata disciplina antiusura ha da subito attratto l’interesse degli interpreti: a tal riguardo, tra le prime riflessioni dottrinali, si confrontino CALABRIA-DI GIULIO, Legge 7 marzo 1996 n. 108 – disposizioni in materia di usura: prime osservazioni, in Impresa,

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L’art. 1, primo comma, della predetta legge stabilisce, infatti, che “chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi od altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a si anni e con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso del concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di

1996, 914; BELLI-MAZZINI, Applicazione della legge antiusura: a che punto siamo, in Dir. bancario, 1997, I, 357; CAVALLO, Una nuova disciplina per la repressione del fenomeno dell’usura, in Cass. pen., 1997, 3213; FORMICA, I profili civilistici dell’usura alla luce delle innovazioni introdotte dalla l. 7 marzo 1996, n. 108, in Nuova giur. ligure, 2002, 197; LOCATELLI, Osservazioni alla nuova legge “antiusura”, in Fisco, 1996, 5256; MANIACI, Nuova normativa in materia di usura (commento alla l. 28 febbraio 2001, n. 24), in Contratti, 2001, 393; PALMIERI, Usura e sanzioni civili: un meccanismo già usurato?, in Foro it., 1998, 1607; PISA, Mutata la strategia di contrasto al fenomeno dell’usura (commento alla l. 7 marzo 1996, n. 108), in Dir. pen. proc., 1996, 4, 410; PROSDOMICI, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium iuris, 1996, 771; ROSSI, Il nuovo provvedimento legislativo in materia di usura, in Impresa, 2001, 192; SILVA, Osservazioni sulla nuova disciplina del reato di usura, in Riv. pen., 1996, 131; CERARESE, L’usura riformata: primi approcci a una fattispecie nuova nella struttura e nell’oggetto della tutela, in Cass. pen., 1997, 2595; CICCIA, La nuova legge sull’usura diventa operativa, in Impresa, 1997, 935; CARUSO, Usura: nuovi strumenti per fronteggiare l’espansione del fenomeno, in Amm. Civ., 2000, I, 53; CAVALIERE, L’usura tra prevenzione e repressione: il controllo del ruolo penalistico, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, 1206; SFORZA, Brevi notazioni sui profili civilistici dell’usura a seguito della l. n. 108/1996, in Nuovo dir., 1997, 1169.

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denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario”.

In ordine alla misura dei tassi usurari, la medesima disposizione normativa, ai commi terzo e quarto, statuisce che “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, precisando che:

- “sono … usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto o del tasso medio praticato per operazioni similari, risultato comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni difficoltà economica o finanziaria”;

- “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”.

Per quanto riguarda le modalità di determinazione del tasso-soglia per la valutazione dell’usurarietà degli interessi, l’art. 2 della L. n.108/1996 dispone che “il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasso, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive

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al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”.

Il quarto comma dell’art. 2 L. n.108/1996 aggiungeva poi, nella sua versione originaria, che il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ex art. 644, comma terzo c.p., poteva essere determinato secondo un meccanismo automatico stabilito dalla legge.

Il tasso-soglia usurario, infatti, a mente della predetta disposizione, era stabilito nel “tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà”.

Con l’art. 8, comma quinto, lett. d), d. l. 13 maggio 2011, n. 70 (c.d. Decreto-Sviluppo)65, convertito in L. 12 luglio 2011, n. 10666, ha successivamente modificato la disposizione in analisi, modificando la modalità di computo del tasso-soglia usurario, statuendo che il saggio di interessi convenzionali è usurario ove sia pattuito in misura superiore “al tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale … relativamente alla categoria di operazione in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali” 67, fermo 65 Recante “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economica”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 110 del 13 maggio 2011. 66 Pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 160 del 12 luglio 2011. 67 Il nuovo meccanismo di calcolo del limite di usurarietà degli interessi convenzionali è stato immediatamente impiegato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze in occasione dell'emanazione del D.M. 27 giugno 2011, pubblicato in G.U. 30 giugno 2011, n. 150, recante “Rilevazione dei tassi effettivi globali

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restando che “la differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”68.

medi per il periodo: 1° gennaio - 31 marzo 2011. Applicazione dal 1° luglio fino al 30 settembre 2011 (legge 7 marzo 1996, n. 108)”. L’evoluzione “storica”, anno per anno, dei TEGM e dei tassi-soglia trimestralmente rilevati dal Ministero, riferita ad ogni categoria di operazione creditizia (aperture di credito in conto corrente, scoperti senza affidamento, anticipi e sconti, factoring, credito personale altri finanziamenti alle famiglie e alle imprese, leasing autoveicoli e aeronavali, leasing immobiliare a tasso fisso, leasing immobiliare a tasso variabile, leasing strumentale, credito finalizzato all'acquisto rateale, credito revolving, mutui ipotecari a tasso fisso, mutui ipotecari a tasso variabile, prestiti contro cessione del quinto stipendio e pensione) è reperibile al seguente link: http://www.bancaditalia.it/vigilanza/contrasto_usura/Tassi/Tegm. 68 Come rilevato da MARCELLI, Soglie d’usura. Prime riflessioni sui parametri di determinazione, in www.ilcaso.it, la motivazione di tale intervenuto vanno ricercate nel timore degli operatori per il razionamento del credito derivante dal fatto che dal 1996 al 2011 non tutte le categorie di crediti avevano subìto una flessione del TEGM parallela a quella riscontrata sul mercato finanziario. Tassi apprezzabilmente prossimi a quelli di mercato si erano riscontrati con riferimento ai soli mutui e leasing immobiliari e sussisteva un rischio oggettivo che lo spread tra i valori assunti dal TEGM non fosse sufficiente a garantire la copertura dei rischi connessi alle fasce marginali di clientela che, anche se solvibili, presentino minore affidabilità. Secondo l’Autore “rispetto al precedente sistema di calcolo, sino ad un valore del TEGM del 16%, la soglia d’usura risulta aumentata, significativamente per i tassi più bassi, e via via in misura ridotta per i tassi più elevati. Sopra il valore del TEGM del 16%, invece, il nuovo sistema di calcolo conduce a valori della soglia più bassi del precedente: il punto di indifferenza fra il precedente criterio e quello vigente è posto in corrispondenza della soglia del 24% (TEGM 16%)”. Al contributo in parola si rimanda per alcuni rilievi critici, di carattere tecnico-finanziario, in ordine alle novità introdotte nel 2011 (in termini di determinazione del tasso-soglia ai fini dell’usura), per un raffronto di tipo evolutivo

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Le disposizioni introdotte dal legislatore del 1996, peraltro, si inquadrano in un più generale sistema di tutela del mutuatario, che prevede, da un lato, meccanismi a carattere preventivo, volti a ridurre l’esposizione dello stesso ad abusi usurari69, quale elemento debole che si dei TEGM e dei tassi-soglia rilevati sul mercato dall’introduzione della L. n.108/1996. 69 Il riferimento è, in particolare, al “Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura”, istituito presso il Ministero del Tesoro ai sensi dell’art. 15 L. n. 108/1996. Detto articolo prevede, infatti, che è istituito presso il Ministero del tesoro il “Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura” di entità pari a lire 300 miliardi, da costituire con quote di 100 miliardi di lire per ciascuno degli anni finanziari 1996, 1997 e 1998. Il Fondo dovrà essere utilizzato quanto al 70 per cento per l’erogazione di contributi a favore di appositi fondi speciali costituiti dai confidi, di cui all'articolo 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e quanto al 30 per cento a favore delle fondazioni ed associazioni riconosciute per la prevenzione del fenomeno dell'usura, di cui al comma 4. I contributi di cui al comma 1 possono essere concessi ai Confidi alle seguenti condizioni: a) che essi costituiscano speciali fondi antiusura, separati dai fondi rischi ordinari, destinati a garantire fino all'80 per cento le banche e gli istituti di credito che concedono finanziamenti a medio termine e all'incremento di linee di credito a breve termine a favore delle piccole e medie imprese a elevato rischio finanziario, intendendosi per tali le imprese cui sia stata rifiutata una domanda di finanziamento assistita da una garanzia pari ad almeno il 50 per cento dell’importo del finanziamento stesso pur in presenza della disponibilità del Confidi al rilascio della garanzia; b) che i contributi di cui al comma 1 siano cumulabili con eventuali contributi concessi dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Il Ministro del tesoro, sentito il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, determina con decreto i requisiti patrimoniali dei fondi speciali antiusura di cui al comma 2 e i requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti dei fondi medesimi. Le fondazioni e le associazioni

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riconosciute per la prevenzione del fenomeno dell'usura sono iscritte in un apposito elenco tenuto dal Ministro del tesoro. Lo scopo della prevenzione del fenomeno dell'usura, anche attraverso forme di tutela, assistenza ed informazione, deve risultare dall'atto costitutivo e dallo statuto. Il Ministro del tesoro, sentiti il Ministro dell'interno ed il Ministro per gli affari sociali, determina con decreto i requisiti patrimoniali delle fondazioni e delle associazioni per la prevenzione del fenomeno dell'usura ed i requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti delle medesime fondazioni e associazioni. Le fondazioni e le associazioni per la prevenzione del fenomeno dell'usura prestano garanzie alle banche ed agli intermediari finanziari al fine di favorire l'erogazione di finanziamenti a soggetti che, pur essendo meritevoli in base ai criteri fissati nei relativi statuti, incontrano difficoltà di accesso al credito. … Per la gestione del Fondo di cui al comma 1 e l'assegnazione dei contributi, il Governo provvede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all'istituzione di una commissione costituita da due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, di cui uno con funzioni di presidente, da due rappresentanti del Ministero dell'interno, di cui uno nella persona del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed antiusura, da due rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico e da due rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È previsto un supplente per ciascuno dei rappresentanti. I componenti effettivi e supplenti della commissione sono scelti tra i funzionari con qualifica non inferiore a dirigente di seconda fascia o equiparata. La partecipazione alla commissione è a titolo gratuito. Le riunioni della commissione sono valide quando intervengono almeno cinque componenti, rappresentanti, comunque, le quattro amministrazioni interessate. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei presenti e in caso di parità di voti prevale quello del presidente”. Il Fondo di prevenzione di cui all’art. 15 L. n. 108/1996, dunque, eroga due differenti tipologie di contributi. La prima è destinata a fondi costituiti dai confidi, istituiti dalle associazioni di categoria imprenditoriali e dagli ordini professionali al fine per garantire le banche e gli intermediari finanziari che concedono finanziamenti alle piccole e medie

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muove nel mercato finanziario, e, dall’altro lato, modalità di intervento in favore delle vittime del fenomeno usurario70. imprese in difficoltà. La seconda a fondazioni e associazioni per la prevenzione del fenomeno dell'usura, iscritte in un apposito elenco tenuto dal Ministro dell'Economia e delle Finanze ed è volto a garantire banche e intermediari finanziari a fronte della concessione di finanziamenti a soggetti che, pur meritevoli, incontrano difficoltà di accesso al credito. Nello spirito di prevenire il fenomeno usurario e garantire un più proficuo rapporto tra banche, associazioni imprenditoriali e di categoria, nonché confidi, fondazioni e associazioni anti-usura destinatari dei Fondi speciali, in data 31 luglio 2007 gli enti e le associazioni interessate, tra cui la Banca d'Italia, hanno stipulato un apposito Accordo-quadro (il cui testo può essere reperito online al seguente link: https://www.bancaditalia.it/media/notizie/accordoquadro/accordo-quadro_usura.pdf), il cui rispetto è monitorato dall’ Osservatorio per la verifica permanente dell'applicazione sul territorio dell'Accordo-quadro e per il monitoraggio delle attività antiracket e antiusura, cui partecipa la Banca d'Italia, istituito presso il Ministero dell'Interno. 70 Ci si riferisce, in particolare, al “Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura” istituito dall’art. 14 L. n. 108/1996, il quale statuisce che “è istituito presso l'ufficio del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket il Fondo di solidarietà per le vittime dell'usura”, che “provvede alla erogazione di mutui senza interesse di durata non superiore al decennio a favore di soggetti che esercitano attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte o professione, i quali dichiarino di essere vittime del delitto di usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale”. La concessione del mutuo è esente da oneri fiscali ed “è consentita anche in favore dell'imprenditore dichiarato fallito, previo provvedimento favorevole del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo non abbia riportato condanne definitive per i reati di cui al titolo VI del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, … ovvero per delitti contro la

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pubblica amministrazione, la fede pubblica, l'amministrazione della giustizia, il patrimonio, l'economia pubblica, l'industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale. … L’importo del mutuo è commisurato al danno subito dalla vittima del delitto di usura per effetto degli interessi e degli altri vantaggi usurari corrisposti all’autore del reato. Il Fondo può erogare un importo maggiore quando, per le caratteristiche del prestito usurario, le sue modalità di riscossione o la sua riferibilità a organizzazioni criminali, sono derivati alla vittima del delitto di usura ulteriori rilevanti danni per perdite o mancati guadagni. La domanda di concessione del mutuo deve essere presentata al Fondo entro il termine di sei mesi dalla data di presentazione della denuncia per il delitto di usura ovvero dalla data in cui la persona offesa ha notizia dell'inizio delle indagini per il delitto di usura. Essa deve essere corredata da un piano di investimento e utilizzo delle somme richieste che risponda alla finalità di reinserimento della vittima del delitto di usura nella economia legale”. La concessione del mutuo è deliberata dal Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket sulla base dell’istruttoria operata da un apposito comitato. I mutui erogati dal Fondo per le vittime di usura non possono essere concessi a favore di soggetti condannati per il reato di usura, anche solo tentato ovvero sottoposti a misure di prevenzione personali o patrimoniali. Gli importi erogati dal fondo possono essere oggetto di revoca, ove vengano a mancare i requisiti richiesti dalla legge. Il Fondo è alimentato da uno stanziamento a carico del bilancio dello Stato, dai beni rivenienti dalla confisca ordinaria ai sensi dell'art. 644, sesto comma, del codice penale e, da ultimo, da donazioni e lasciti da chiunque effettuati. Per l’analisi dell’Istituto del Fondo, si vedano NANULA, Misure di contrasto all’usura: il fondo di solidarietà per le vittime ed il fondo per la prevenzione del fenomeno, in Fisco, 1998, 13450; PACIFICO, Il fondo di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura, in Nuove leggi civ., 1999, 822. In dottrina, si è criticata la normativa istitutiva del Fondo nella parte in cui ne limita l’applicazione ai soli imprenditori e professionisti: cfr. DE ANGELIS, voce Usura (dir. pen.), in Enc. giur. Treccani, XXII, 1997, 11.

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È evidente la volontà del legislatore di abbandonare il precedente (e fallimentare) modello legislativo legato all’elemento soggettivo della fattispecie penalistica per muoversi verso ad una nuova struttura disciplinare ancorata a parametri di predeterminazione oggettiva dell’usurarietà del tasso di interesse.

La tutela del mutuatario sovvenuto che si trovi a subire l’imposizione di interessi usurari viene dunque ad essere connessa, nella novellata disciplina, alla creazione di una nuova fattispecie di usura “oggettiva”, la cui integrazione si verifica all’esito del mero e semplice superamento del tasso pattuito in sede di stipulazione da parte dei contraenti rispetto al limite di un “tasso-soglia” di fonte legale 71.

In altri termini, il delitto di usura è integrato in ogni ipotesi in cui, in un contratto sinallagmatico, la controprestazione del debitore sovvenuto sia data od anche solo promessa in misura superiore alla soglia stabilita ex lege.

Il criterio oggettivo di accertamento dell’usurarietà del tasso di interesse convenzionalmente pattuito dai contraenti è individuato secondo una modalità algebrica astratta che qualifica come usurari gli interessi pattuiti o promessi dal sovvenuto in misura superiore al tasso-soglia computato secondo le previsioni di legge. 71 Si tratta di un sistema sanzionatorio e repressivo che, come efficacemente sottolineato dalla dottrina, è volutamente costruito e strutturato in modo tale da essere massimamente omnicomprensivo e che è volto a ricomprendere il massimo numero di fattispecie che esulano dall’ambito penalistico (cfr. MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, cit., 468). L’intento di tutela del mutuatario emerge anche dalle espressioni e dai lemmi utilizzati dal legislatore: si pensi, ad esempio, alla locuzione “altra utilità” ovvero “remunerazioni a qualsiasi titolo”.

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Si tratta di un criterio variabile, ma indubbiamente oggettivo, che definisce la nozione di “usura in astratto” in quella parte di interessi versati dal soggetto finanziato in misura eccedente la soglia usuraria stabilita per legge con decreto del Ministero del Tesoro.

Una seconda (e più discussa) forma di usura è la c.d. “usura in concreto”, la quale si configura ove gli interessi, seppur pattuiti in misura inferiore al tasso-soglia debbano essere comunque considerati usurari in quanto “comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità”, “avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari”72. 72 Si tratta di una formula volta a consentire di racchiudere nell’ambito di applicazione del novellato art. 644 c.p. tutte quelle ipotesi in cui vengano pattuiti interessi ad un tasso di poco inferiore al tasso soglia, che, pur non essendo usurari, possono comunque essere considerati, sulla base delle circostanze di fatto e della condizione personale del sovvenuto, illeciti ed abusivi: in questo senso, cfr. CARACCIOLI, Il reato di usura e le sue possibili connessioni con il mercato del credito bancario ed interfinanziario, in Fisco, 1997, 6, 1483 e ss. La formula utilizzata dal legislatore del 1996 è stata è stata tacciata di essere eccessivamente vaga e generica: in dottrina, infatti, si è sottolineato che “generico e vago è innanzitutto il primo criterio su cui tale nozione dovrebbe fondarsi: le concrete modalità del fatto; criterio nel quale effettivamente, come è stato rilevato, sembra poter rientrare tutto e il contrario di tutto. Caratterizzato da un certo grado di incertezza è anche l’elemento costituito dalle condizioni di difficoltà economica e finanziari di colui che ha dato o promesso interessi. Esso non riguarderebbe il giudizio sulla sproporzione, ma costituirebbe un autonomo e diverso elemento costitutivo della fattispecie che “spiegherebbe perché un soggetto sia stato indotto a dare o promettere interessi spropositati” (BUZZELLI, Mutuo usurario e invalidità del contratto, Napoli, 2012, 179; nello stesso senso, si sono espressi anche PISA, L’individuazione dell’interesse usurario, in Dir. pen. proc., 1996, 418.

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Tale secondo criterio di determinazione dell’usurarietà del tasso di interesse convenzionale è rimesso all’apprezzamento in concreto, connotato da una fisiologica discrezionalità dell’interprete, nel valutare le modalità del fatto e gli elementi soggettivi della fattispecie, quali la condizione soggettiva delle parti o il loro atteggiamento psicologico.

In dottrina, tuttavia, si è sottolineato che “per la valutazione della sproporzione degli interessi pecuniari (rispetto alla prestazione di denaro) occorre aver riguardo al tasso medio praticato per operazioni similari. A tal fine potranno certamente valere i tassi risultanti dalle procedure di rilevamento dianzi richiamate. Al riguardo è stato osservato … che il tasso di interesse potrà in concreto considerarsi usurario, sarà necessariamente solo quello collocato fra la soglia oltre la quale gli interessi devono essere considerati usurari e il tasso medio praticato per operazioni similari, giacché se fosse superiore al tasso soglia esso sarebbe automaticamente usurario secondo la prima nozione; se fosse inferiore al tasso medio praticato per operazioni similari rientrerebbe necessariamente nell’area del lecito anche se il mutuatario si trovasse in condizioni di difficoltà economica e finanziaria”73.

In dottrina si è tuttavia rilevato che “l’evidenziata dicotomia, seppure confacente allo strumento penale …, appare inidonea a risolvere la problematica della ricaduta civilistica del reato di usura nelle sue diverse forme, solo se si pensa al riferimento agli interessi usurari, impiegato in modo trasversale nelle prime due fattispecie incriminatrici considerate: al civilista è dato di confrontarsi con l’endiadi “usurarietà in astratto – 73 BUZZELLI, Mutuo usurario e invalidità del contratto, cit., 178.

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usurarietà in concreto” già in occasione dell’esame dell’unica norma privatistica in materia di interessi usurari (art. 1815 c.c.), poi, in conseguenza della problematica riguardante l’usurarietà dei vantaggi diversi dagli interessi pecuniari. In altri termini, la sollecita approvazione dell’intervento legislativo ha forse impedito un’attenta meditazione in merito alla relazione già esistente tra le misure civile e le nuove misure penali che costituiscono il trattamento giuridico dell’usura”74.

A ciò si aggiungeva, peraltro, all’art. 3 della L. n.108/1996, una norma di diritto transitorio volta a regolare il fenomeno dell’usura nel periodo compreso tra l’entrata in vigore delle nuove disposizioni anti-usura e la pubblicazione della prima rilevazione trimestrale dei tassi di interesse ad opera del Ministero75.

74 COLAVINCENZO, Nullità e rescissione dei contratti usurari, cit., 47. 75 L’art. 3 L. n.108/1996 dispone, infatti, che “la prima classificazione di cui al comma 2 dell'articolo 2 verrà pubblicata entro il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Entro i successivi centottanta giorni sarà pubblicata la prima rilevazione trimestrale di cui al comma 1 del medesimo Articolo. Fino alla pubblicazione di cui al comma 1 dell'articolo 2 è punito a norma dell'articolo 644, primo comma, del codice penale chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643 del codice penale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dall'articolo 644, primo comma, del codice penale, procura a soggetto che si trova in condizioni di difficoltà

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Sotto il profilo penalistico, la novella dell’art. 644 c.p. ha istituito plurime distinte fattispecie penalmente rilevanti76.

Innanzitutto, la figura della c.d. “usura monetaria oggettiva”, da intendersi come il fatto di chi si fa dare o promettere, in qualsiasi forma, per sé od altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro od altra utilità, interessi (od altri vantaggi) usurari, con la precisazione che per usurari devono intendersi quegli interessi convenzionalmente pattuiti in un valore percentuale superiore al tasso soglia trimestralmente stabilito con decreto ministeriale sulla base del TEGM rilevato sul mercato finanziario.

In secondo luogo, vi è la c.d. “usura monetaria soggettiva”, ai sensi del combinato disposto del comma primo e del comma secondo, secondo periodo, dell’art. 644 c.p.. Essa si configura in tutti quei casi in cui il soggetto erogante il finanziamento percepisce interessi che, seppur pattuiti nei limiti del tasso-soglia, si presentano ugualmente sproporzionati rispetto alla prestazione in denaro in favore del sovvenuto, il quale versi in situazione di difficoltà economica e finanziaria (art. 644, terzo comma, c.p.).

In questa ipotesi, la sproporzione deve essere valutata avendo riguardo al tasso medio praticato per operazioni similari e alle modalità concrete secondo le quali si è svolta la condotta penalmente rilevante del reo.

economica o finanziaria una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto, risulta sproporzionato rispetto all'opera di mediazione”. 76 In questo senso, PICA, voce Usura (diritto penale), cit.

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Ancora, viene individuata la c.d. “usura reale soggettiva”, ai sensi del combinato disposto del primo comma e del terzo comma, secondo periodo, art. 644 c.p., la quale consiste nella promessa o dazione di altri vantaggi o compensi usurari diversi dagli interessi, sempre in presente di una sproporzione tra la prestazione in denaro erogata dall’Istituto di credito e quella restitutoria del sovvenuto, valutata avendo riguardo, anche in questo caso, alle concrete modalità con cui il fatto si è configurato e, sotto altro profilo, con riferimento alle condizioni di difficoltà economico-finanziaria del soggetto promittente o solvente77.

Inoltre, la fattispecie della “usura reale oggettiva” che si configura allorquando un soggetto si faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, vantaggi usurari. In questa diversa ipotesi, la sproporzione ex art. 644 c.p. e del vantaggio usurario è svincolato dal riferimento al denaro.

Da ultimo, vi è l’ipotesi di reato consistente nel fatto di chi “fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma dell’art. 644 c.p., procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario”.

77 Con riferimento alla categoria dell’usura reale, in dottrina, si è rilevato che difficilmente essa potrebbe essere ricompreso nel divieto penale, in quanto la previsione di un criterio di computo matematico per la determinazione del tasso-soglia dell’usurarietà non consente di accertare in concreto il carattere abusivo, illegittimo ed usurario di un vantaggio economico diverso dalla prestazione in denaro degli interessi: in questo senso, MASULLO, A due anni dalla riforma del delitto di usura; una riflessione sulla nuova scelta strategica, in Cass. pen., 1998, 2205.

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Come si vede, dunque, il nuovo e diverso punto di vista assunto dal legislatore del 1996 si fonda su una visione oggettiva della sproporzione tra la prestazione dei contraenti, sicché l’usurarietà degli interessi deve essere valutata a prescindere dall’elemento soggettivo dello stato di bisogno del mutuatario e del relativo approfittamento da parte dell’intermediario. Al contempo, il legislatore del 1996 ha inteso costruire una nozione di usura massimamente omnicomprensiva ed ampia, al fine di determinare un allargamento delle condotte illecite penalmente perseguibili.

Da un lato, infatti, il legislatore ha eliso il riferimento espresso all’approfittamento dello stato di bisogno del debitore, sostituendolo con la più generale e ampia previsione della sussistenza di una situazione difficoltà economica e finanziaria del soggetto sovvenuto. Per altro verso, il riferimento ad ogni “altra utilità” consente di massimizzare l’ambito applicativo della norma, andando a sanzionare anche le condotte che sfuggono alla sanzione penale e ai suoi ristretti limiti78. 78 Il concetto di usura, in ambito penalistico, è stato oggetto di approfondita trattazione ed analisi da parte della più recente giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato i criteri e i limiti di operatività della responsabilità conseguente alla violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 108/1996. Tra le sentenze di maggior importanza va certamente ricordata Cass. pen., 23 novembre 2011, n. 46669, in Guida al diritto, 2012, 5, 68, la quale ha espressamente attribuito la responsabilità per usura in capo agli organi di vertice dell’Istituto bancario, affermando che gli stessi “… indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all'interno dell'istituto, sono i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di erogazione del credito e, quindi, sussiste a loro carico una posizione di garanzia con l'obbligo di vigilanza e controllo dell'osservanza di tali disposizioni,

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segnatamente quelle in tema di superamento del tasso soglia usurario, con la conseguente possibilità di affermare, in caso di omissione di controllo, quantomeno la corresponsabilità per le erogazioni a tasso usurario, ricadendo tale omissione nella sfera di azione dell'art. 40, comma 2, c.p. … Infatti, se … i compiti gestionali e operativi in materia di erogazione del credito non possono non essere attribuiti agli organi sottordinati centrali e alle diverse gestioni periferiche, gli organi apicali sono comunque tenuti a vigilare e impedire che venga superato il tasso soglia, con la conseguente responsabilità penale concorrente di tali organi apicali ove venga superato il tasso soglia degli interessi in ordine alla erogazione del credito alla clientela”. In tale sentenza, i giudici del Supremo Collegio hanno fissato e ribadito ulteriormente alcuni principi cardine, tra cui: la ricomprensione di tutti gli oneri, compresa la commissione di massimo scoperto, ai fini del computo del TEG applicato da rapportarsi al tasso usurario, indipendentemente da eventuali difformi istruzioni della Banca d’Italia; stabilisce che la specifica competenza che deve connotare gli organi apicali dell’Istituto di credito consente di individuare nei predetti soggetti i primi e principali garanti dell’osservanza della normativa antiusura; afferma che “non è scusabile, in linea di principio, da parte di un istituto di credito, l’errore riferibile al calcolo dell’ammontare degli interessi usurari trattandosi di interpretazione che, oltre ad essere nota all’ambiente bancario, non presenta in sé particolari difficoltà”. In questo senso, si vedano anche Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028, in Foro it., 7-8, II, 382, con nota di DI LANDRO, La Cassazione penale include la commissione di massimo scoperto nel tasso di interesse usurario: la l. n. 2/09, le questioni intertemporali e un’inedita ricostruzione dell'elemento soggettivo, la quale ha chiarito che “la minima entità dei superamenti del tasso soglia rispetto alle cifre movimentate nei conti, la episodicità dei superamenti stessi nel corso di rapporti bancari analizzati per un lungo lasso temporale, … la presenza di normativa secondaria di settore, solo successivamente rivisitata dalla Banca d'Italia, la certezza rappresentata dalla controprova che, in applicazione della contraddittoria normativa secondaria di settore, non vi sono stati superamenti, costituiscono indici fattuali che depongono per

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Per quanto concerne, invece, le previsioni di ordine strettamente civilistico, la L. n. 108/1996, all’art. 3, ha previsto la modifica dell’art. 1815, secondo comma, c.c., prevedendo che “se sono previsti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”79.

Il rimedio civilistico conseguente al comportamento abusivo del mutuante che domandi al sovvenuto di corrispondere quale controprestazione per il prestito di denaro interessi a carattere abusivo viene definito dalla legge nella completa non debenza degli interessi pattuiti e, dunque, nella piena conversione del mutuo oneroso in contratto gratuito.

Nulla ha disposto, invece, la L. n. 108/1996 in ordine al rapporto tra l’usura ex art. 644 c.p. e l’istituto della rescissione del contratto per lesione ex art. 1448 c.c. e ciò nonostante la stretta correlazione in origine intercorrente, come si è detto, tra le due disposizioni.

L’introduzione della novellata disciplina dell’usura ha poi posto altri e diversi problemi, cui gli interpreti, l'insussistenza dell'elemento psicologico, non potendosi, in loro presenza, ragionevolmente ritenere la sussistenza della consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria”; Cass. pen., n. 14 maggio 2010, n. 28743, in Cass. pen., 2011, 6, 2254. Per un’analisi di dettaglio dell’impatto della novellata disciplina dell’art. 644 c.p. in ambito penalistico, come pure della più recente giurisprudenza di legittimità in materia di reato di usura, si veda ampiamente MARCELLI, Le azioni legali e il rischio di usura dopo la sentenza Cass. pen. 46669/11. Prime riflessioni, in www.ilcaso.it. 79 Originariamente, invece, come si è avuto modo di dire, la disposizione del Codice civile del 1942 prevedeva che ove fossero pattuiti interessi usurari il mutuatario fosse comunque obbligato a corrispondere gli interessi sulla somma di denaro ricevuta a titolo di mutuo, seppur soltanto nella più ristretta misura del saggio legale.

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come vedremo, si sono trovati a dare soluzioni spesso difformi, spesso antitetiche: a partire dalla mancata individuazione normativa del momento valutativo dell’usurarietà della pattuizione degli interessi (momento genetico della pattuizione o dell’effettivo pagamento degli interessi da parte del mutuatario?) - che ha richiesto un apposito intervento di interpretazione autentica con L. n.24/200180 per contenere il fenomeno della c.d. “usura sopravvenuta” -, fino al problema delle voci di costo da includere nel TEGM quali costi del credito (interessi corrispettivi od anche moratori?)81.

Diversi ed interessanti, dunque, sono gli spunti di riflessione che nei successivi capitoli si andranno ad analizzare, sempre avendo un occhio di riguardo ai profili e alle questioni problematiche e controverse di più spiccato interesse civilistico.

80 L’intervento di interpretazione autentica attuato con L. n.24/2001, il fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse quale fenomeno sostanziale, oltre che di diritto transitorio, insieme alle soluzione adottate dalla giurisprudenza e prospettate dalla dottrina, saranno oggetto di specifica trattazione nel secondo capitolo della presente trattazione (§ 2.2.). 81 Analogamente, dell’inclusione (e, più a monte, della astratta possibilità di includere) gli interessi moratori nel TEGM, quale voce di costo, come pure degli orientamenti assunti dalla più recente giurisprudenza di merito, di legittimità e dell’Arbitro Bancario Finanziario si tratterà nel capitolo II del presente scritto.

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CAPITOLO SECONDO

2.1. Premessa: un primo inquadramento delle “questioni

irrisolte” in tema di usura e il loro rilievo pratico applicativo. –2.2. L’usurarietà sopravvenuta degli interessi: un solo nomem per due differenti fattispecie. – 2.2.1. La “usurarietà sopravvenuta” degli interessi quale fattispecie di diritto transitorio ed intertemporale. L’irretroattività della normativa anti-usura ex L. n. 108/1996. – 2.2.2. La “usurarietà sopravvenuta” degli interessi quale conseguenza di ordine sostanziale della variazione in diminuzione dei tassi-soglia nel corso del tempo: il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. –2.2.2.1. Profili storico - ricostruttivi dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse. Il legislatore tra l’incudine degli interessi del ceto bancario e il martello delle pronunce dei Giudici di legittimità. – 2.2.2.2. Le opiniones tradizionali di dottrina e della giurisprudenza sul fenomeno dell’usura sopravvenuta. – 2.2.2.3. Un excursus nella giurisprudenza più recente: nessun dubbio in ordine all’astratta configurabilità dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi. – 2.2.3. Analisi critica delle soluzioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di usura sopravvenuta: intollerabilità e non sistematicità della teoria negatoria del fenomeno. – 2.2.4. Le “clausole di salvaguardia” quale rimedio di autonomia negoziale privata: una possibile soluzione all’usura sopravvenuta? – 2.3. Tasso di interesse moratorio e tasso-soglia ex L. n.108/1996: tratti di disomogeneità del sistema normativo e necessità di un

L’usura e le Corti giudicanti. Questioni applicative controverse e

(pluralità di) orientamenti e soluzioni giurisprudenziali.

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intervenuto legislativo di riforma. – 2.3.1 Premessa. – 2.3.2. Un excursus giurisprudenziale tra Corte Costituzionale, Corte di Cassazione, Arbitro Bancario Finanziario e Tribunali di merito. – 2.3.2.1. L’apertura all’inclusione del tasso moratorio nel TEG da confrontare alla soglia: La sentenza n. 29/2002 della Corte Costituzionale. La Corte di Cassazione e la rilevanza del tasso di mora ai fini della verifica dell’usurarietà dei tassi di interesse. – 2.3.2.2. Gli interventi (chiarificatori?) della Autorità di Vigilanza: la comunicazione della Banca d’Italia del 3 luglio 2013. – 2.3.2.3. Illogicità, irragionevolezza ed inammissibilità della sommatoria del tasso di interesse corrispettivo e di quello moratorio ai fini dell’individuazione del TEG da raffrontare al tasso-soglia ex L. n. 108/1996. – 2.3.2.4. L’orientamento dell’Arbitro Bancario Finanziario a confronto con quello della giurisprudenza della Corte di Cassazione: l’esclusione degli interessi moratori dal tasso d’usura (in particolare, la decisione n. 1875/2014 del Collegio di Coordinamento). – 2.3.3. La discrasia di orientamenti tra Corte di Cassazione ed Autorità di Vigilanza dipende dall’incapacità del sistema normativo di garantire il rispetto del principio di simmetria ed omogeneità dei tassi messi a confronto. Una possibile soluzione in attesa di un auspicato intervento sistematico del legislatore.

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2.1. Premessa: un primo inquadramento delle “questioni irrisolte” in tema di usura e il loro rilievo pratico applicativo.

2.1.1. Il sopraggiungere della normativa antiusura di

cui alla Legge n.108/1996 e della successiva interpretazione autentica attuata con L. n. 24/2001 ha generato grande fermento sia nel panorama giurisprudenziale che in quello dottrinale.

Gli operatori del diritto, infatti, si sono trovati dinanzi a differenti e complessi problemi pratico-applicativi di non scarso rilievo, che imponevano attente riflessioni anche e soprattutto in considerazione che la scelta dell’una o dell’altra via interpretativa della normativa poteva condurre a corollari pratico-applicativi di grande impatto concreto.

Si tratta di questioni, peraltro, che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non pongono difficoltà e presentano risvolti sensibili esclusivamente in termini di conseguenze di carattere economico e finanziario, ma, prima ancora, sotto il profilo di un’analisi “di diritto” della fattispecie.

Va osservato, infatti, che la misura dell’impatto concreto della normativa antiusura, in termini strettamente economici, sul mercato finanziario, così come sul sistema bancario e sull’economia patrimoniale del debitore sovvenuto, non può prescindere da una previa attenta analisi giuridica della fattispecie.

Infatti, in via generale, la scelta da parte degli interpreti – e, in particolar modo, dei giudici -, dell’uno o dell’altro principio od istituto giuridico per la soluzione di

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un problema in materia di usura può portare con sé, innanzitutto, l’inclusione o meno della fattispecie concreta sottoposta ad analisi tra quelle sanzionate dalla L. n.108/1996: l’inclusione di un caso concreto nell’ambito applicativo della normativa antiusura, ad esempio, può dipendere dall’efficacia temporale che a tale legge si attribuisce, con la conseguenza che gli interpreti hanno dovuto interrogarsi, in primo luogo, sulla possibilità di un’applicazione reatroattiva della nuova disciplina in materia di usura.

Sotto diverso profilo, l’applicabilità della l. n.108/1996 dipende intimamente dall’inquadramento della fattispecie concreta all’interno di quelle rientranti nell’alveo applicativo della stessa, con la conseguenza che l’interprete deve operare, in primis, la previa valutazione dei requisiti di applicabilità della legge, preoccupandosi, al contempo, di fare chiarezza su quali debbano essere i parametri del confronto.

Come si dirà, infatti, in un sistema normativo basato sull’indicazione di un tasso-soglia quale parametro di valutazione dell’usurarietà o meno del tasso effettivo applicato nel rapporto contrattuale con il soggetto sovvenuto, è necessario che, nel vuoto legislativo, l’interprete intervenga a chiarimento dei profili dubbi, tra i quali assumono rilevanza focale, in particolare, l’individuazione dei valori che vanno a comporre il tasso-soglia stesso, i valori presi a riferimento dal sovvenuto ai fini del computo del tasso effettivo medio pattuito, la valutazione dell’omogeneità dei due tassi.

È chiaro, infatti – ma su questo punto, si avrà modo di concentrarsi infra –, che ove si addivenga ad un’erronea determinazione dell’uno o dell’altro valore, ci si troverebbe di fronte al confronto di due valori disomogenei, producendo effetti chiaramente distorsivi e

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potenzialmente forieri di gravi pregiudizi economici in danno di una delle due parti contraenti.

Sotto altro profilo, l’analisi “in diritto” della normativa antiusura può essere relativa alla individuazione della peculiare struttura rimediale di diritto civile da utilizzarsi nell’ipotesi di superamento della soglia. È evidente che l’applicazione di uno o dell’altro rimedio di diritto civile non è affatto indifferente: nell’ipotesi in cui si sostenga l’applicazione della disposizione di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., ad esempio, si graverebbe l’Intermediario di un onere economico (restituzione al sovvenuto di tutti gli interessi a qualsiasi titolo versati) evidentemente superiore a quello che si determinerebbe ove, in contrasto con tale tesi, si ritenesse di riportare il tasso effettivo applicato al minor valore percentuale definito dal legislatore quale tasso-soglia.

Le questioni “pratiche” che discendono dalla normativa antiusura di cui alla L. n. 108/1996 e successive modifiche, dunque, sono di primario interesse per l’interprete sotto un profilo di diritto prima ancora che per la, certamente correlata e senza dubbio molto rilevante, analisi economica dell’istituto.

2.1.2. Occorre quindi soffermare l’attenzione in questa sede sulle questioni che la disciplina antiusura ha concretamente posto nel panorama giuridico e sulle soluzioni, definitive e, per la maggior parte, ancora in divenire cui è cui gli interpreti e soprattutto la giurisprudenza sono giunti.

Tali questioni, sinteticamente riassunte appena di seguito in via introduttiva, saranno oggetto di un’analisi di dettaglio nel presente scritto.

(i) L’efficacia nel tempo della normativa antiusura

introdotta con L. n. 108/1996.

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L’attenzione della giurisprudenza della dottrina intorno alla tematica generale dell’usura nei contratti di credito tra cliente sovvenuto e Intermediario sono state catturate, in primo luogo, da un profilo che attiene all’efficacia della legge nel tempo, connesso alla possibilità che le disposizioni di cui alla l. n.108/1996 possano trovare applicazione retroattiva, in deroga all’art. 11, primo comma, delle Disposizioni sulla legge in generale (c.d. Preleggi) anche ove si controverta di rapporti contrattuali sorti antecedentemente all’entrata in vigore della medesima legge82.

In questo caso, peraltro, la questione controversa si declina in un duplice scenario.

Invero, la potenziale applicazione retroattiva della normativa antiusura deve essere valutata non soltanto con riferimento a rapporti di credito tra prestatore e soggetto finanziato sorti e conclusisi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 108/1996, ma anche con riferimento ai quei rapporti contrattuali che sono sorti anteriormente all’entrata in vigore della medesima legge e poi proseguiti sino ad un momento successivo.

E, una volta risolto questo primo profilo controverso, l’interprete sarà chiamato altresì ad indicare se dall’irretroattività della legge discenda l’assoluta impossibilità dell’applicazione della L. n.108/1996 ovvero un’impossibilità soltanto “relativa”, vale a dire riferita al solo periodo anteriore alla novella legislativa, con la conseguenza che la corresponsione di un tasso superiore alla soglia in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge in parola sarebbe legittima, mentre si dovrebbe avere riguardo alla soglia soltanto per la parte della durata 82 Come dianzi ricordato, l’entrata in vigore della L. n.108/1996 risale al 24 marzo 1996.

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effettiva del contratto e del relativo piano di ammortamento successiva all’entrata in vigore della novella.

(ii) L’astratta configurabilità della c.d. “usurarietà

sopravvenuta” del tasso di interesse effettivo applicato. Il secondo profilo problematico sul quale gli

interpreti hanno focalizzato l’attenzione è quella dell’astratta configurabilità della fattispecie della “usura sopravvenuta” del contratto di credito in essere tra il cliente sovvenuto e l’intermediario creditizio.

Com’è agevole intuire, tale ipotesi si configura nei casi in cui il tasso di interesse convenzionalmente pattuito all’atto della stipulazione del contratto tra cliente e Istituto bancario sia determinato, ab origine, in misura inferiore al tasso-soglia calcolato secondo i criteri all’epoca vigenti, ma, successivamente, (anche, ma, come vedremo, non solo) in conseguenza di variazioni in diminuzione dei tassi effettivi globali medi (TEGM) applicati sul mercato e rilevati trimestralmente dalla Banca d’Italia, tale tasso si trovi a violare il predetto limite così come tempo per tempo determinato sulla base della legislazione vigente.

Anche tale questione non è affatto di agevole soluzione, a meno che le argomentazioni intorno al “fenomeno” dell’usurarietà sopravvenuta del tasso di interesse si appiattiscano in un’analisi semplicistica del disposto della legge di interpretazione autentica n.24/2001, che non tenga nella dovuta considerazione i più generali principi fondanti l’ordinamento giuridico nel suo complesso.

In altri termini, come avremo modo di approfondire di seguito, non si tratta tanto di trovare la via per includere la fattispecie dell’usura sopravvenuta nel dettato normativo (facendo ricorso, magari, ai criteri civilistici dell’analogia),

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ma si tratta piuttosto di comprendere – ancor più a monte e pur in presenza di una legge di interpretazione autentica che considera ai fini dell’integrazione della fattispecie dell’usura i tassi così come determinati al momento della pattuizione -, se l’ordinamento possa tollerare la permanenza nel sistema di un contratto che preveda l’applicazione di interessi usurari, in violazione di norme a carattere certamente imperativo, in quanto all’evidenza poste a tutela di un interesse pubblicistico.

(iii) La “composizione” del tasso-soglia: oneri

inclusi, rilevanza del tasso moratorio e problema dell’omogeneità dei valori oggetto di raffronto.

Altra tematica fortemente controversa in dottrina e giurisprudenza è quella dell’individuazione degli oneri e dei costi che devono essere inclusi nel TEGM rilevato dal Ministero dell’Economia, alla luce delle indicazioni normative e dei chiarimenti forniti agli Intermediari creditizi dalla Banca d’Italia.

Lo specifico problema che rileva, sotto tale profilo, è quello di comprendere se e in che misura debba essere incluso nel TEGM rilevato trimestralmente il tasso di interesse moratorio, che, per definizione, è applicabile nella sola ed eventuale ipotesi patologica di inadempimento imputabile del prenditore.

A tal riguardo, infatti, si è andata consolidando una netta frattura tra le indicazioni della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale da sempre indica il tasso di mora quale componente del TEG da prendere in considerazione per il raffronto con la soglia, e le indicazioni fornite agli Intermediari creditizi dalla Banca d’Italia, la quale ha invece sempre ribadito l’esclusione del tasso moratorio, solo eventuale, dal calcolo del TEGM.

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Tale differenza di impostazione concettuale porta con sé conseguenze di ampio rilievo, ove si consideri che il sistema del tasso-soglia richiede ed implica, ai fini di una corretta applicazione, l’omogeneità di valori posti a raffronto. Ove ciò non si verifichi, infatti, il TEG applicato, comprensivo della mora, sarebbe nella parte più rilevante dei casi certamente superiore al tasso-soglia, essendo composto dalla sommatoria algebrica di voci ed oneri in numero superiore a quello che compongono il tasso-soglia medesimo.

Non solo. La difformità tra le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Banca d’Italia in ordine agli oneri da includere nella rilevazione del TEGM e, conseguentemente, secondo il meccanismo definito dalla legge, del tasso-soglia, comporta anche un problema, per così dire, collaterale, vale a dire la possibilità che possa imputata all’intermediario creditizio una responsabilità per aver posto in essere, in conformità con le istruzioni della Banca d’Italia (ovvero della “propria” Autorità di vigilanza di riferimento), ma in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Suprema Corte, un contratto di credito che preveda l’erogazione di denaro a tassi di interesse corrispettivi che, ove maggiorati della mora, si attestino su valori sopra-soglia, sì da inficiare la validità del contratto.

(iv) I rimedi civilistici applicabili con riferimento alle

pattuizione di interessi in misura usuraria. Da ultimo, la dottrina e la giurisprudenza si sono

confrontate con una terza dirimente tematica, vale a dire l’individuazione dei rimedi civilistici di volta in volta applicabili ai contratti che prevedano la corresponsione di tassi di interesse in misura usuraria, sia ab origine che

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quale evenienza sopravvenuta a seguito dell’oscillazione dei TEGM come tempo per tempo rilevati.

In altri termini, gli interpreti si sono interrogati su quale debba essere la sorte di un siffatto contratto, domandandosi se e in che misura il sovvenuto debba corrispondere interessi e, per altro verso, se possa imputarsi una responsabilità, risarcitoria ovvero restitutoria, in capo all’intermediario che abbia predisposto un piano di ammortamento del finanziamento in violazione (anche sopravvenuta) del tasso-soglia.

2.1.3. Si tratta, come si vede, di una serie di problematiche controverse, sulle quali – lo si rileva sin d’ora -, la giurisprudenza e la dottrina non hanno raggiunto un orientamento consolidato e con riferimento al quale si è venuto a definire un panorama assolutamente frastagliato, che vede spesso nettamente contrapposti la Suprema Corte e i Tribunali di merito, da un lato, e l’Arbitro Bancario Finanziario, sia nei Collegi Territoriali che nel Collegio di coordinamento, chiamato già in due casi ad intervenire per offrire ai singoli Collegi territoriali un fils rouge cui adeguarsi per prevenire l’insorgere di giudicati difformi.

E ciò senza contare che molta della “confusione” nelle soluzioni offerte dalla giurisprudenza è anche dovuta alle erronee e fuorvianti interpretazioni della normativa antiusura e degli stessi orientamenti espressi dalla Suprema Corte fornite dagli stessi operatori.

In questo capitolo della trattazione ci si soffermerà sull’analisi ai profili problematici di diritto intertemporale della normativa di cui alla L. n. 108/1996, della questione della configurabilità dell’usura sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionalmente pattuito per intervenuto successivo superamento del tasso soglia e dell’individuazione delle voci oggetto di rilevazione

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trimestrale e componenti il tasso-soglia (di cui ai punti i, ii e iii che precedono).

Tutti questi aspetti, infatti, costituiscono presupposti sostanziali per l’applicazione della normativa anti-usura conducono alla necessità per l’interprete di occuparsi della studio del profilo rimediale, di maggior interesse civilistico, al cui si dedicherà un apposito capitolo della presente trattazione.

2.2. L’usurarietà sopravvenuta degli

interessi: un solo nomem per due differenti fattispecie.

2.2.1. La “usurarietà sopravvenuta” degli interessi

quale fattispecie di diritto transitorio ed intertemporale. L’irretroattività della normativa anti-usura ex L. n. 108/1996.

Come si è dianzi accennato, la prima e più rilevante questione posta e non risolta dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 è connessa alla efficacia nel tempo della stessa normativa.

Si è da subito discusso, infatti, in ordine alla possibilità che le disposizioni normative ivi contenute potessero essere suscettibili di applicazione retroattiva in deroga all’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, vale a dire non soltanto ai rapporti creditizi sorti ed esauritisi anteriormente all’entrata in vigore della novellata disciplina, ma anche a quei rapporti di credito tra banca e debitore sovvenuto sorti anteriormente all’entrata in vigore della novellata normativa antiusura e proseguiti sino ad un momento successivo a tale momento.

La soluzione della questione dianzi prospettata non può che muovere, a livello interpretativo-esegetico, da

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un’analisi della normativa antiusura alla luce del criterio di interpretazione letterale di cui all’art. 12 delle cc.dd. Preleggi83.

A questo riguardo, deve immediatamente rilevarsi che la Legge n.108/1996 non contiene disposizioni in deroga al generale principio di irretroattività della legge cristallizzato nell’art. 11 delle medesime Disposizioni sulla legge in generale84.

E nemmeno l’intervento di interpretazione autentica operato dal legislatore con L. n. 24/2001 ne ha esplicitato una eventuale natura retroattiva.

In virtù di queste prime evidenti quanto dirimenti considerazioni, la giurisprudenza della Corte di Cassazione non ha mai dubitato nell’affermare – in un orientamento che potremmo definire, se non granitico, quantomeno consolidato –, l’irretroattività delle disposizioni contenute nella L. n. 108/1996.

Il Supremo Collegio ha infatti avuto modo di confermare, con una recentissima pronuncia, che è “principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità i criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni come nella specie anteriori alla relativa entrata in vigore, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, 83 Come è noto, la disposizione in questione stabilisce che, nell’applicare la legge, “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. 84 Per un’accurata ricostruzione delle problematiche connesse all’efficacia nella legge nel tempo e alla eventuale retroattività delle stesse, si veda CAPONI, La nozione di retroattività della legge, in Giur. cost., 1990, 1332 e ss.

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(conv., con modif., in L. 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale”85.

Ferma questa impostazione, la Corte di Cassazione ha sempre conseguentemente concluso nel senso che la pattuizione di interessi in misura elevata, anche per valori sopra-soglia, anteriormente all’entrata in vigore della L. n.108/1996, non comporta di per se stessa motivo di illiceità del negozio di mutuo, la quale potrà sussistere soltanto ove fossero ravvisabili nella fattispecie gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p., nella formulazione all’epoca vigente, vale a dire l’esorbitanza degli interessi convenuti, lo stato di bisogno del mutuatario e 85 Cass., 7 febbraio 2014, n. 2821, in www.expartecreditoris.it: la Suprema Corte, pur avendo rigettato, il ricorso straordinario per cassazione promosso dalla società, ha ribadito, in linea generale, il principio dell’irretroattività della disciplina in materia antiusura (la fattispecie sottoposta al vaglio della Corte era quella di una società che aveva proposto opposizione all’esecuzione e, successivamente, agli atti esecutivi, avverso la procedura esecutiva avviata da una Banca sulla base di un titolo relativo ad un credito da scoperto di conto corrente per sconto di cambiali e per due prestiti risalenti ai primi anni Novanta del secolo scorso). Per i precedenti giurisprudenziali di legittimità, in termini, si confrontino, ex multis, Cass., 25 settembre 2013, 21885, in Danno e resp., 2014, 2, 198; Cass., 22 marzo 2013, n. 7243, Danno e resp., 197; Cass., 25 gennaio 2011, n. 1748, in Guida al diritto, 2011, 11, 70; Cass., 13 dicembre 2010, n. 25182, in Giust. civ. Mass., 2010, 12, 1597; Cass., 3 aprile 2009, n. 8138, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 581; Cass., 17 dicembre 2009, n. 26499, in Giust. civ. Mass., 2009, 12, 1701; Cass., 17 luglio 2008, n. 19698, in Giust. civ. Mass., 2008, 7-8, 1165; Cass., 19 marzo 2007, n. 6514, in Giust. civ., 2008, 10, I, 2252; Cass., 25 marzo 2003, n. 4380, in Giust. civ. Mass., 2003, 600; Cass., 13 dicembre 2002, n. 17813, in Contr., 2003, I, 566; Cass., 24 settembre 2002, n. 13868, in Giust. civ. Mass., 2002, 1707.

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l’approfittamento di tale stato di necessità da parte del mutuante.

In questo quadro giurisprudenziale pressoché monolitico, si è tuttavia registrato un recente forte segnale di discontinuità, riconducibile alle sentenze nn. 602 e 603 dell’11 gennaio 201386. 86 Pubblicate in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 487, con nota di QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità; in Danno e resp., 2014, 2, 193, con nota di COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?; in Giur. comm., 2013, II, 647, con nota di MANCINI, Osservazioni su anatocismo e conseguenze civilistiche dell’usurarietà sopravvenuta; reperibile anche su www.ilcaso.it, con nota di DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta. Nella nota da ultimo citata, a pag. 2, l’Autore, nel sottolineare la novità della statuizione, rileva che “la sentenza in discorso risulta decisamente importante perché viene a spezzare un orientamento del Supremo Collegio, che ben poteva definirsi consolidato. Può infatti dirsi tradizionale, in quest’ambito, l’affermazione che “trattandosi di pattuizione anteriore all’entrata in vigore della legge 7 marzo 1996 n. 108 … i criteri in essa previsti non trovano applicazione, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1” (così, da ultimo, Cass. n. 8138/2009. Quanto alla decisione di Cass. n. 5324/2003 – che quella del 2013 richiama in termini di precedente conforme – non si può non esplicitare, d’altra parte, che la relativa indicazione risulta, in verità, alquanto forzata. La parte motiva della decisione del 2003, infatti, risulta così strutturata: “nella specie, siffatta normativa non trova applicazione, trattandosi di tassi convenuti prima della data della sua entrata in vigore mentre, d’altro canto, a tale data il rapporto si era completamente esaurito”. Non mancano, del resto, altre decisioni del Supremo Collegio che - alla statuizione di inapplicabilità della legge del ’96 per anteriorità del patto di interessi – pure aggiungono l’espressa definizione che, nel caso, l’esaurimento del rapporto era pure avvenuto prima della vigenza della nuova legge … : ma utilizzare qui l’argomento a contrario sembrava – e continua a sembrare – cosa troppo tirata”.

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Con le menzionate pronunce, infatti, il Supremo Collegio - nel confermare che “giurisprudenza ormai consolidata (Cass. n. 25182 del 2010) precisa che, come riferimento a fattispecie anteriore (come – pacificamente – nel caso che ci occupa) alla L. 108 del 1996 (disciplina anti-usura), in mancanza di una previsione di retroattività, la pattuizione di interessi ultralegali non è viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso di interesse superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta”, con la conseguenza che “l’illiceità si ravvisa soltanto ove sussistano gli estremi del reato di usura ex art. 644 c.p.” e, ove questi non sussistano, non si pongono questioni di nullità – ha però precisato che “… trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della L. n. 108 … va richiamata la L. n. 108 del 1996, art. 1 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti ministeriali), al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 2 e art. 1339 c.c., circa l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodo, dai tassi soglia”87.

In buona sostanza, con le sentenze in analisi, la Corte di Cassazione, pur muovendosi nel solco dell’orientamento tradizionale secondo cui la normativa antiusura ex L.

87 Cass., 11 gennaio 2013, n. 603, cit., relativa ad una fattispecie di finanziamento rateale; l’argomentazione sviluppata nella pronuncia in parola è assolutamente sovrapponibile alla sentenza “gemella” Cass., 11 gennaio 2013, n. 602, cit., riferita, invece, ad un’ipotesi di apertura di credito in conto corrente.

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n.108/1996 non è suscettibile di applicazione retroattiva, ha distinto due differenti ipotesi.

La prima è quella in cui il rapporto contrattuale tra intermediario creditizio mutuante e debitore sovvenuto è sorto e si è concluso anteriormente all’entrata in vigore della normativa antiusura ex L. n.108/1996.

In questo caso, sulla scorta dell’insegnamento della giurisprudenza consolidata di legittimità appena ricordata, nulla quaestio: non si pone alcun problema in ordine alla nullità od inefficacia della pattuizione sugli interessi convenzionali, come pure in ordine al rimedio civilistico applicabile, a meno che il fatto non rilevi penalmente e non si versi, dunque, in una fattispecie che integra gli estremi del reato di usura88.

Il secondo e diverso caso – e in ciò risiede il profilo di estrema novità dei provvedimenti in commento –, è quello in cui si controverta di un rapporto creditizio sorto anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 108/1996, ma non completamente esaurito entro tale data89: si tratta, 88 Fattispecie penalistica da intendersi nell’accezione “soggettivizzata” di cui all’art. 644 c.p., stante la formulazione vigente in epoca anteriore al 1996: deve trattarsi, dunque, di un’ipotesi in cui, oltre all’oggettiva sproporzione nella pattuizione degli interessi convenzionali, sussista anche lo stato di bisogno del sovvenuto e l’approfittamento di tale stato da parte del mutuante. 89 Quanto al momento dell’esaurimento del rapporto creditizio tra Intermediario creditizio e cliente sovvenuto, in dottrina (DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit.) si è affermato che, in linea generale, il “rapporto non esaurito, ma “chiuso” è quello in cui, terminata la fase fisiologica del rapporto (ché altrimenti il rapporto è ancora “aperto”), questo resta però ancora produttivo di una serie di effetti. Nei rapporti “esauriti”, invece, tutto è stato compiuto (nel caso dell’usura, l’attore, insomma, agisce in ripetizione”). Con riferimento a tale problematica, in giurisprudenza (Cass., 25 gennaio 2011, n. 1748,

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in buona sostanza, di un rapporto già iniziato anteriormente alla novella normativa e proseguito successivamente all’entrata in vigore della L. n. 108/1996.

In questa ipotesi, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, vigono le disposizioni della L. n. 108/1996 e i tassi-soglia ivi stabiliti, con la conseguenza che, ove la pattuizione degli interessi convenzionali intercorsa tra i contraenti si ponga in violazione della normativa in parola, gli interessi corrispettivi (ed, eventualmente, moratori) ulteriormente maturati devono essere considerati usurari90.

Come è stato opportunamente sottolineato dalla dottrina91, la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione in tema di efficacia irretroattiva della legge antiusura è mutuata per analogia e richiama quella proposta con riferimento all’incidenza dello ius superveniens sui

cit.), si è chiarito che la pendenza di una controversia giudiziale in ordine alle obbligazioni sorte in virtù del contratto di credito ed eventualmente rimaste inadempiute non comporta “che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua conclusione ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito”: scaduto il termine per l’adempimento e/o risolto il contratto, dunque, il rapporto contrattuale deve intendersi esaurito ai fini della soluzione del problema dell’applicazione intertemporale della normativa antiusura ex L. n.108/1996. 90 E, secondo le pronunce nn. 602 e 603 del 2013 del Supremo Collegio, dovranno essere automaticamente sostituiti, ai sensi degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c., dai tassi-soglia determinati ex lege. Lo specifico tema dei rimedi civilistici esperibili al verificarsi di una fattispecie usuraria sarà oggetto di approfondita trattazione nel seguente capitolo della presente trattazione. 91 QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, cit., 491 e ss.; DOLMETTA, La Cass., n.602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit.

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contratti di fideiussione omnibus stipulati prima dell’entrata in vigore della l. 17 febbraio 1992, n.15492.

La Suprema Corte ha escluso l’applicabilità dei limiti di valore posti dalla nuova normativa in materia alle fideiussioni omnibus già “chiuse” alla data dell’entrata in vigore della medesima legge, consentendola, tuttavia, per quelle ancora in corso e proseguite successivamente a tale data93.

92 In particolare, l’art. 10 della citata legge ha modificato la previsione di cui all’art. 1938 c.c., imponendo che tutti i contratti di fideiussione stipulati a garanzia di obbligazioni future e condizionali del debitore principale dovessero provvedere espressamente l’importo massimo del debito garantito dal fideiussore (anteriormente all’introduzione della L. 17 febbraio 1992, n. 154, la norma del Codice prevedeva esclusivamente, come è noto, che le fideiussioni potessero essere prestate per obbligazioni future, anche senza limiti di sorta). 93 La tesi dell’inapplicabilità della L. n. 154/1992 alle fideiussioni già chiuse alla data di entrata in vigore della stessa ha trovato il conforto della Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 204 del 27 giugno 1997 (edita in Giur. cost., 1997, 1949; in Foro it., 1997, I, 2033; in Riv. dir. comm., 1997, II, 263; in Corr. giur., 1998, 31, con nota di LOMBARDI, La Corte costituzionale si pronuncia sulla dibattuta questione della fideiussioni omnibus; in Dir. fall., 1998, II, 243; in Giur. it., 1998, 3, 866, con nota di NICOLA, La sorte delle fideiussioni omnibus contratte anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 152/1992 e VALCAVI, Spunti critici su una recente pronuncia della corte costituzionale in materia di disparità di trattamento tra fideiussori; in Riv. not., 1997, 1244, con nota di PASQUALINI, La fideiussione omnibus nel diritto transitorio dell’art. 1938 c.c.), ha statuito che tale previsione non contrasta con il principio costituzionale di uguaglianza in quanto l’applicazione della disciplina previgente non implica anche l’ultrattività della stessa, in quanto l’innovato limite di valore della fideiussioni omnibus non può tangere in alcun modo le obbligazioni principali sorte sotto il vigore della normativa

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precedente, ma si applica esclusivamente ai rapporti obbligatori che, anche se derivante da contratti perfezionati in epoca antecedente, siano sorti successivamente. Mutuando le parole della Corte costituzionale, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1938 c.c., sulla base della considerazione che, la L. n.154/1992, pur avendo valore innovativo e portata applicativa non retroattiva, non implica che la disciplina previgente “acquisti carattere ultrattivo … In altri termini, l’innovazione legislativa, che stabilisce la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo, non tocca la garanzia per le obbligazioni principali già sorte, ma esclude che si producano ulteriori effetti e che la fideiussione possa assistere obbligazioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti”. Nel senso della necessità che l’accordo fideiussorio divenuto contrastante con lo ius superveniens non può produrre effetti successivamente all’entrata in vigore dalla nuova normativa si vedano Cass. 22 novembre 2000, n. 15024, in Contr., 2001, 802; Cass., 28 gennaio 1998, n. 831, in Foro it., 1999, I, 770; Cass., 13 marzo 1996, n. 2013, in Foro it., 1997, I, 1939. Con riferimento alla possibilità che, nel contratto di durata, lo ius superveniens incida sugli effetti del contratto dalla data di entrata in vigore e sino alla scadenza cfr. Cass., 21 febbraio 1995, n. 1877, in Giust. civ. Mass., 1995, 394. Per la distinzione tra fideiussioni chiuse ed in corso, si confrontino, BRIOLINI, Fideiussioni omnibus non esaurite e legge sulla trasparenza bancaria, in Banca borsa tit. cred., 1996, I, 685; DOLMETTA, Fideiussioni “chiuse” e legge sulla trasparenza: una massima della Cassazione, in Banca borsa tit. cred., 1993, II, 240; PONTIROLI, Fideiussione omnibus, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 2000, (agg.), 378. Sull’irretroattività della L. n.154/1992, si vedano DOLMETTA, ult. op. cit., 240; PIAZZA, La fideiussioni illimitata: i problemi posti dal ius superveniens e dal recesso del fideiussore, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 412; BRIOLINI, ult. op. cit., 685; MARICONDA, Fideiussioni omnibus, irretroattività della novella, clausola a prima richiesta, in Corr. giur., 1993, 695; RIVOLTA, Le nuove disposizioni sulla fideiussione, in Riv. dir. civ., 1992, II, 673; FRANZONI, Fideiussioni omnibus e ius superveniens, in Contr. e impr., 1993,

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Allo stato, dunque, deve ritenersi consolidato l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui la disciplina antiusura di cui alla L. n. 108/1996 non può trovare applicazione ai rapporti di credito già chiusi alla data di entrata in vigore della medesima legge, ma soltanto a quelli in corso in tale momento.

È evidente, inoltre, che, poiché la statuizione del Supremo Collegio muove dal fermo punto d’origine dell’inapplicabilità retroattiva della normativa antiusura introdotta con L. n. 108/1996, la sanzione rimediale teorizzata dalla Corte di Cassazione – vale a dire l’automatica sostituzione della pattuizione degli interessi convenzionali usurari con i tassi-soglia tempo per tempo determinati sulla base dei parametri normativi -, deve trovare applicazione esclusivamente agli interessi maturati sul debito del soggetto sovvenuto in data successiva all’entrata in vigore della legge anti-usura.

La motivazione della Suprema Corte, infatti, non potrebbe essere interpretata secondo altro punto di vista.

Diversamente opinando, infatti, si ravviserebbe una evidente illogicità motivazionale, in quanto la Corte, pur affermando il principio della irretroattività della normativa antiusura, consentirebbe in ottica rimediale l’applicazione, quale parametro conformativo della pattuizione convenzionale degli interessi ai sensi del combinato disposto degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c., dei tassi-soglia normativamente determinati e divenuti vincolanti soltanto successivamente all’intervento del legislatore del 199694.

428; BOZZI, Fideiussione omnibus, in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1993, 5 e ss. 94 In questo senso, si veda DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit., 3; in giurisprudenza, cfr. Trib.

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L’attenzione degli interpreti – ma, prima ancora, degli operatori finanziari -, per il problema dell’efficacia nel tempo della L. 7 marzo 1996, n. 108 non muove, a ben vedere, dalla necessità di individuare un diritto transitorio ed intertemporale in difetto di una previsione legislativa espressa, ma, piuttosto dalla necessità di escludere un “fenomeno” in grado di arrecare danno all’equilibrio del sistema finanziario nel suo complesso, quale è l’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali comunemente praticati sul mercato finanziario in conseguenza dell’intervenuta limitazione dei saggi di interesse conseguente all’introduzione dei tassi-soglia determinati secondo i criteri stabiliti dalla L. n.108/1996.

È evidente, infatti, che l’applicazione retroattiva dei nuovi tassi-soglia in materia di usura avrebbe determinato l’esplosione di un “caso” di rilevanza sistemica, determinando la sopravvenuta invalidità di contratti di credito che, all’epoca della stipulazione, potevano dirsi,

Lecce, 2 dicembre 2013, in www.ilcaso.it, il quale ha statuito che “le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali per superamento del tasso soglia dell’usura non sono retroattive, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, conv. con modificazioni dalla l. n. 24 del 2001, norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte costituzionale”, precisando tuttavia che “in relazione ai contratti conclusi prima della entrata in vigore della legge 108/96, le clausole relative agli interessi passivi sono si valide, ma esse, con il sopraggiungere dei successivi tassi-soglia, divengono illegittime negli effetti, generandosi in tal modo un fenomeno di sostituzione automatica ex art. 1339 c.c. ed applicandosi da tale momento, in conseguenza, il saggio c.d. di soglia (in luogo del maggiore interesse contrattuale) limitatamente alla “porzione” di rapporto non ancora eseguita”.

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dal punto di vista civilistico, perfettamente validi ed efficaci, salva l’integrazione delle fattispecie di reati.

Come si è detto, il sentore di un siffatto rischio, di portata sistemica, era stato avvertito da più parti, al punto da spingere il legislatore ad intervenire direttamente con la legge di interpretazione autentica n. 24/2001, nella quale, proprio nella specifica ottica di evitare ogni dubbio, si è chiarito che ai fini della valutazione dello sforamento dei tassi-soglia deve farsi riferimento esclusivo ai tassi nel momento in cui gli stessi sono stati pattuiti o comunque promessi, e non già al momento in cui gli stessi vengono effettivamente corrisposti.

Tuttavia, come è stato efficacemente stigmatizzato in dottrina, “è scontato, ma è bene comunque esplicitarlo. Il problema dell’usura sopravvenuta non si pone solo come problema di diritto intertemporale … Si pone altresì (ma in fondo soprattutto, visto il tempo ormai passato) per i contratti stipulati successivamente al ’96, in cui gli interessi sono poi risultati – trimestre di maturazione per trimestre di maturazione - usurari”95.

Si individuano, pertanto, due diverse accezioni dell’espressione invalsa nella prassi di c.d. “usurarietà sopravvenuta”, riconducibili a due eventualità differenti sotto il profilo giuridico e fenomenologico.

Da un lato, infatti, “il termine … si utilizza, secondo una prima accezione, in relazione ai contratti che risultavano in corso al momento della entrata in vigore della l. 108/96, ma erano sorti in un periodo antecedente alla citata legge”.

Dall’altro lato, invece, in una seconda e diversa accezione, “si parla di usura sopravvenuta … in relazione 95 DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit., 3.

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alla pretesa necessità di procedere alla verifica di usurarietà delle condizioni contrattuali nel caso di tasso convenuto originariamente in misura lecita (ossia sotto soglia usura) ma che, per effetto di una sopravvenuta variazione in diminuzione del tasso soglia, sia divenuto successivamente superiore al tasso soglia rilevato di tempo in tempo”96.

Il “capitolo” sull’usurarietà sopravvenuta, quindi, è molto più ampio e non può essere quindi ricondotto e racchiuso in una minima quaestio di diritto transitorio.

Le stesse pronunce del Supremo Collegio nn. 602 e 603 del 2013 – ma, come si dirà, non solo -, nello stabilire che i tassi convenzionalmente pattuiti devono essere automaticamente sostituiti dai tassi-soglia tempo per tempo determinati secondo i criteri di legge, l’ammettono indipendentemente dall’efficacia retroattiva della legge e il dibattito, al riguardo, è acceso e fervente.

2.2.2. La “usurarietà sopravvenuta” degli interessi

quale conseguenza di ordine sostanziale della variazione in diminuzione dei tassi-soglia nel corso del tempo.

2.2.2.1. Profili storico-ricostruttivi dell’usurarietà

sopravvenuta dei tassi di interesse. Il legislatore tra l’incudine degli interessi del ceto bancario e il martello delle pronunce dei Giudici di legittimità.

Si è detto che il fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta del contratto di credito può dipendere non soltanto dall’applicazione retroattiva della novellata disciplina in materia di usura, ma anche, sotto diverso 96 CIVALE, Usura sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca-cliente, in www.dirittobancario.it, 2.

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profilo, dal sopravvenuto superamento dei tassi-soglia determinati per legge in un momento successivo alla pattuizione intervenuta tra i contraenti in virtù di una variazione in diminuzione del TEGM tempo per tempo rilevato per legge.

Il tema è stato affrontato nuovamente - e risolto in termini positivi - da alcune recentissime pronunce della Corte di Cassazione, che hanno riportato in auge il dibattito per lungo tempo sopito97.

Il problema dell’usura sopravvenuta nella sua seconda accezione sostanziale trae origine, innanzitutto, da una lacuna legislativa e, in particolare, dalla circostanza che la L. n.108/1996 non individua espressamente il momento temporale in relazione al quale l’interprete debba operare il raffronto tra i saggi di interesse contrattualmente previsti dalla parte nella loro piena autonomia negoziale e i tassi-soglia normativamente determinati98.

Per altro verso, la problematica dell’usurarietà sopravvenuta è naturalmente connessa alla nozione di “interesse usurario” e al sistema di determinazione del tasso-soglia introdotta dalla normativa anti-usura del 1996,

97 Si tratta di Cass., 11 gennaio 2013, n. 602, cit., Cass., 11 gennaio 2013, n. 603, cit., Cass., 11 gennaio 2013, in www.ilcaso.it, annotata da CIVALE, Usura sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca-cliente, cit.; Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in Banca borsa tit. cred., 2013, II, 498 e ss. 98 In tale aspetto, la normativa in materia di usura introdotta con la L. n. 108/1996 si differenzia, ad esempio, da quella francese. In Francia, infatti, la legge 28 dicembre 1966, n. 1010, successivamente modificata dalla legge 31 dicembre 1989 e trasfusa nel Code de consommation (l. 26 luglio 1993, n. 93-949), indica espressamente quale momento in relazione al quale il raffronto con il tasso soglia deve essere effettuato il momento della concessione del prestito (art. 313-3).

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che, come si è detto, è un criterio (oggettivo) che si basa sulla individuazione secondo parametri legislativi di un tasso-soglia e che qualifica l’usurarietà del saggio di interesse sulla base di un raffronto valoriale tra la soglia e il tasso convenzionalmente pattuito dai contraenti all’atto della stipulazione del contratto di credito.

Tale soluzione – o, meglio, “non soluzione” –, legislativa ha generato plurime e differenti soluzioni interpretative.

All’alba dell’entrata in vigore della L. n. 108/1996, infatti, si dibatteva in dottrina se l’usurarietà degli interessi convenzionalmente pattuiti dovesse essere valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della conclusione del contratto di credito ovvero si rendesse necessario operare un confronto ed adeguamento costante e continuo per tutta la durata del contratto tra il saggio di interesse ivi previsto e i tassi-soglia rilevati tempo per tempo.

Invero, “una delle questioni più importanti – in punto di equilibrio economico dei contratti di credito – attiene alla definizione del tempo di rilevanza del medesimo. … si tratta di stabilire se, per il giudizio di cui alla sproporzione, occorre fare riferimento al mercato corrente al tempo del patto del carico economico o al tempo del pagamento o ancora al tempo della scadenza di questo (c.d. periodo di maturazione degli interessi)”99.

Come si è avuto modo di osservare nella ricostruzione storico-normativa svolta in apertura della presente analisi, il potenziale dirompente dell’usura sopravvenuta era stato immediatamente avvertito, il quale era immediatamente intervenuto con legge di 99 DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit.

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interpretazione autentica (L. 28 febbraio 2001, n. 24, di conversione del d.l. 29 dicembre 2000, n. 394), a mente del quale debbono intendersi usurari solo quegli interessi che superano il tasso soglia stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento dell’intervenuto pagamento.

È opportuno premettere, al riguardo, che l’intervento legislativo attuato con L. n. 24/2001 non è stato affatto spontaneo, ma è stato (non a caso) caldeggiato e sollecitato delle associazioni bancarie - l’ABI in primis – e, in generale, dal ceto bancario, che si sono immediatamente mossa al fine di dare risposta alle voci contrastanti in materia di usurarietà sopravvenuta dei tassi di interessi, soprattutto in relazione ai contratti di mutuo a tasso fisso, che si andavano diffondendo anche all’esito delle primissime interpretazioni della norma fornite dalla Corte di Cassazione.

Successivamente all’emanazione della L. n.108/1996, infatti, si avvertì immediatamente una forte contrazione dei tassi di interesse a livello addirittura mondiale: in Italia, per quanto riguarda i mutui, nel periodo compreso tra ottobre 1996 e marzo 1997, i tassi di interesse applicati rilevati (TEGM) subirono un secco dimezzamento.

Un tale abbassamento dei tassi determinò l’immediata preoccupazione degli operatori del settore, che rischiavano di trovarsi esposti agli effetti, chiaramente assai negativi per il sistema creditizio e bancario nel suo complesso, dell’usura sopravvenuta: intervenne per prima l’ABI, con una circolare del 20 marzo 1997, che conteneva una raccomandazione agli Istituti di credito consociati a non procedere all’adeguamento dei contratti di credito in

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essere stipulati a tasso fisso in epoca anteriore all’introduzione della normativa antiusura del 1996100.

La prima circolare dell’ABI, peraltro, rimase sufficientemente isolata, anche in funzione del fatto che il Ministero del Tesoro, con decreto 24 marzo 2000, n. 110101, in adesione alla tesi della rilevanza dell’usurarietà 100 Circolare ABI, LG/002047 del 20 marzo 1997, in GIANFELICI, Le misure contro l’usura, Milano, 1998, 215, ove si legge che “… circa la sorte dei rapporti antecedenti, va detto … che essi non dovrebbero essere interessati dalla normativa di imminente pubblicazione qualora si tratti di operazioni regolate a tasso fisso ovvero a tasso indicizzato in base a parametri oggettivi prestabiliti … Tali operazioni, pertanto, ai fini del rispetto delle soglie di legge, non comportano l’obbligo di alcun intervento di adeguamento, anche se i relativi tassi effettivi globali dovessero risultare superiori alle soglie stesse”. 101 Decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, 24 marzo 2000, n. 110, in Gazz. Uff., 9 maggio, n. 106, “Regolamento recante disposizioni per la rinegoziazione dei mutui edilizi agevolati”. L’art. 2 del predetto decreto, rubricato “Determinazione del nuovo tasso e sua decorrenza” stabiliva, infatti, che “gli istituti interessati [dalla rinegoziazione], accertata la procedibilità della richiesta, individuano la misura del tasso di cui all’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, in vigore alla data di presentazione della domanda, procedono alla conseguente modifica del tasso applicato al mutuo e ne danno comunicazione al mutuatario ed all’ente. Il nuovo tasso viene praticato a decorrere dal primo intero rateo di interessi maturato successivamente alla data di presentazione della domanda di rinegoziazione. In sede di prima applicazione della legge il nuovo tasso viene praticato sul primo rateo intero di interessi maturato a decorrere dal 1° luglio 1999, a condizione che la domanda sia stata presentata nel periodo decorrente dalla data di entrata in vigore della legge stessa fino al trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore del presente regolamento. In tal caso il tasso è pari al minor tasso effettivo globale medio rilevato nel periodo”.

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sopravvenuta, aveva consentito la rinegoziazione dei tassi di interesse relativi ai contratti di mutuo a condizioni agevolate i cui tassi di interesse convenzionali si fossero attestati, in via sopravvenuta, su valori superiori al tasso soglia e aveva contestualmente previsto l’automatica sostituzione del tasso contrattualmente pattuito con il tasso soglia ex L. n.108/1996. La preoccupazione del ceto bancario fu inoltre alimentata dall’intervento nomofilattico della Corte di Cassazione, la quale, chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità del novellato art. 1815, secondo comma, c.c., al caso dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interessi corrispettivi, si pronunciò in senso affermativo con tre sentenze emesse tra il febbraio e il novembre del 2000102.

102 Si tratta di interventi del Supremo Collegio che hanno trovato ragione e sono stati sospinti anche dalle peculiari condizioni economico-finanziarie dell’epoca: nella seconda metà degli anni ’90 del Novecento, infatti, si è verificato un fenomeno generalizzato e mondiale di variazione in diminuzione dei tassi di interesse (al punto che, in alcuni casi, i Governi – ad esempio quello statunitense –, sono nel tempo intervenuti affinché i mutuatari potessero di volta in volta accedere ai benefici di tale abbassamento generalizzato). In controtendenza, invece, in Italia i tassi di interesse passivi si mantennero, a quell’epoca, su percentuali comprese tra il 10% e il 20% e i mutui prevedevano clausole che non consentivano ai mutuatari sovvenuti di usufruire dei vantaggi di una diminuzione dei tassi di interesse. In questo quadro e dinanzi alla ferma rigidità delle banche a ridurre i tassi di interesse ad importi percentuali quantomeno inferiori al 10%, la Suprema Corte si è orientata nel senso della salvaguardia del debitore, pronunciandosi positivamente in ordine alla rilevanza dello ius superveniens (come diffusamente illustrato in COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?, in Danno e resp., 2, 2014, 202 e ss.). La ratio e l’iter logico-argomentativo della

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Con la sentenza n. 1126 del 2 febbraio 2000103, infatti, la Suprema Corte ha avuto per la prima volta modo di affermare che “la sopravvenuta legge 108-1996, di per sé evidentemente non retroattiva, e dunque insuscettibile d'operare rispetto agli anteriori contratti di mutuo, … [è] di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso (secondo un principio altre volte espresso da questa Corte: v., in riferimento alla legge 17 febbraio 1992 n. 154, Cass. 19 marzo 1993 n. 3291)”. Analogamente, a due mesi esatti di distanza, la Suprema Corte ha ribadito il suddetto orientamento, con la sentenza n. 5286 del 2 aprile 2000104, la quale - dopo aver chiarito che “non v’è ragione per escluder[e] l'applicabilità [della L. n. 108/1996] anche nell'ipotesi di assunzione dell'obbligazione di corrispondere interessi

motivazione in ordine alla rilevanza dello ius superveniens è ripresa da Corte cost., 27 giugno 1997, n. 204, cit., con la quale il Supremo Collegio ha sostanzialmente rigettato la concezione monolitica del contratto, aderendo alla testi della sua permeabilità da parte della disciplina sopravvenuta. 103 Edita in Giust. civ. Mass., 2000, 211; e anche in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 620, con nota di DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996. 104 Edita in Giust. civ. Mass., 2000, 877; in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 620; in Dir. & Giust., 2000, 17; in Corr. Giur., 2000, 878, con nota di GIOIA, La disciplina degli interessi divenuti usurari: una soluzione che fa discutere; in Foro it., 2000, I, 2180; in Giur. it. 2000, 1665; in Riv. not., 2000, 1445, con nota di GAZZONI, Usura sopravvenuta e tutela del debitore; in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 129, con nota di SPANGARO, Tassi di interesse divenuti usurari alla luce della L. n. 108/1996: nullità sopravvenuta o inefficacia?, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 257, con nota di PONTI- FERRARI, Ancora in tema di retroattività della legge sull’usura.

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moratori, risultati di gran lunga accedenti lo stesso tasso soglia” -, ha ribadito che “la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della l. n. 108 del 1996 è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore della detta legge, e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello ormai divenuto usurario”. E ancora, con sentenza n. 14899 del 17 novembre 2000105, la Suprema Corte ha di nuovo affermato che “la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della legge n. 108 del 1996 è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito”. È evidente che tali decisioni, pur non affermando de plano l’applicabilità del disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c., con conseguente conversione del contratto di mutuo da oneroso a gratuito, si muovevano “pericolosamente” verso tale direzione. La dannosità per il sistema bancario e creditizio italiano nel suo complesso di un’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale è efficacemente riprodotta in una lettera inviata dal Governatore della Banca d’Italia, Fabio Fazio, al Ministero del Tesoro, Vincenzo Visco, nella quale è contenuto un accorato invito al Governo ad

105 Pubblicata in Giust. civ. Mass., 2000, 2357; in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 621, con nota di DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996; in Dir. & Giust., 2000, 45, 53; in Giust. civ., 2000, I, 3099, con nota di DI MARZIO, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità, inefficacia della clausola interessi.

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intervenire per neutralizzare l’impatto negativo della L. n.108/1996 sul sistema bancario106.

106 Il testo della lettera del Governatore della Banca d’Italia in data 4 dicembre 2000 è reperibile al seguente link www.tesoro.it/ufficio-stampa/comunicati/2000/comunicato_0283.html. Emblematiche per comprendere l’apprensione del ceto bancario per la novellata legislazione in materia di usura sono le parole utilizzate dal Governatore nel suo accorato appello volto a domandare un intervento legislativo e chiarificatore in materia: muovendo dalla premessa che in quel periodo la Suprema Corte si era pronunciata nel senso della “nullità delle clausole dei contratti di mutuo a tasso fisso recanti un saggio di interesse che risulta superiore alla “soglia” in vigore nel trimestre in cui ha luogo il pagamento della singola rata” – ha rilevato che “l’ipotesi che un saggio di interesse pattuito come fisso e non usuraio al momento della stipula del contratto possa configurarsi usuraio a seconda dell'andamento dei tassi di mercato può incidere pesantemente sull'andamento del sistema finanziario, determinando gravi disfunzioni. I mutui a tasso fisso diverrebbero - unico caso tra i paesi avanzati - una sorta di mutui a tasso variabile in cui lo stesso tasso può solo diminuire o, per effetto della legge sull'usura, addirittura azzerarsi; ciò ogni volta che il tasso del mutuo in essere risulti superiore al tasso soglia”. Conseguentemente, “in un contesto di variabilità dei tassi nel medio/lungo periodo, gli intermediari sarebbero tenuti a modificare - in senso a loro sfavorevole - il tasso di interesse tante volte quanto sia necessario per allinearlo alla nuova soglia; al contempo, un successivo innalzamento potrebbe indurre gli intermediari a chiedere la riapplicazione del tasso originariamente convenuto. Si innescherebbe una spirale di assoluta indeterminatezza delle condizioni che regolano i rapporti di credito. Verrebbero scardinati alcuni principi del buon funzionamento dei mercati, con riflessi gravi per la nostra economia. Verrebbe scalfita la tutela del risparmio. Gli operatori si ritrarrebbero dall'attività di prestito a lungo termine con danni per l'attività di investimento. … Per le banche, l'impatto economico della riduzione dei tassi di interesse sulle operazioni a tasso fisso sarebbe molto rilevante, data la difficoltà di ridurre analogamente

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L’attenzione (e la tensione del ceto bancario) che seguì gli interventi della Suprema Corte è testimoniata altresì dalla circostanza che, a soli dieci giorni di distanza, venne inviata al Governo una ulteriore lettera del Governatore della Banca d’Italia107, nella quale vengono i tassi sulle passività utilizzate per assicurare la provvista. L'ordine di grandezza dell'onere per il sistema bancario derivante dalla sentenza della Corte di Cassazione può essere stimato attorno a 15.000 miliardi di lire, nel caso si consideri praticabile l’ipotesi di ridurre i tassi dei mutui stipulati in passato al livello dei tassi-soglia; potrebbe arrivare fino a 50.000 miliardi di lire, se si dovessero annullare per intero gli interessi diventati nel tempo superiori ai nuovi limiti”. 107 Il testo della lettera del Governatore della Banca d’Italia al Ministro del Tesoro in data 14 dicembre 2000 è consultabile al link:www.tesoro.it/ufficiostampa/comunicati/2000/comunicato_0298.html. La comunicazione in parola si intrattiene a lungo sulle conseguenze che deriverebbero dall’applicazione della normativa antiusura di cui alla L.n.108/1996 ai contratti precedentemente stipulati, chiarendo che “l’applicazione retroattiva della legge intacca il principio della certezza contrattuale e inficia la funzionalità dei mercati. … La stima degli oneri per il sistema bancario, prospettata nella lettera del 1° dicembre scorso, è stata effettuata con riferimento a due possibili ipotesi. In base agli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, i tassi sui mutui stipulati in passato, divenuti nel tempo superiori al tasso-soglia previsto dalla legge 108/96, potrebbero essere ridotti al livello di quest'ultimo. In tal caso le banche dovrebbero restituire interessi percepiti negli anni 1997-2000 per circa 9.500 miliardi di lire; si aggiunge la perdita negli anni futuri sui contratti in essere valutabile in 5.500 miliardi di lire. L’ipotesi che avrebbe effetti più dirompenti sui mercati è quella che fa riferimento al secondo comma dell'articolo 1815 del codice civile - così come modificato dalla citata legge 108/96 - in base al quale, se gli interessi convenuti sono usurari, essi non sono dovuti in alcuna misura. Seguendo tale impostazione, gli oneri per le banche ammonterebbero a 32.500 miliardi di lire come restituzione di

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prospettate le conseguenze, in termini “numerici”, dell’eventuale applicazione retroattiva della novella legislativa in materia di usura. Di qui il celere e netto intervenuto del Governo con d.l. di interpretazione autentica n. 394/2000, convertito in L. n. 24/2001, con il quale si è normativamente acquietata la preoccupazione del ceto bancario limitando la portata applicativa del disposto dell’art. 1815, comma secondo, c.c. come novellato dalla L. n. 108/1996 alla sola ipotesi in cui il tasso di interesse sull’importo finanziato fosse pattuito in misura superiore alla soglia al momento della stipulazione del contratto108. interessi già percepiti; la perdita per gli anni futuri sui contratti in essere sarebbe di 20.100 miliardi di lire. Le banche in quanto intermediari prestano i fondi raccolti tra il pubblico, al quale garantiscono la restituzione del capitale e l'interesse pattuito. L’eventuale riduzione degli interessi a favore dei mutuatari renderebbe necessaria una corrispondente riduzione degli interessi corrisposti ai risparmiatori sulla raccolta a lungo termine a tassi correlati a quelli dei mutui. Per il futuro, le banche saranno indotte a remunerare in minor misura i depositi e a elevare i tassi sui nuovi prestiti, sia alle famiglie sotto forma di mutui sia alle imprese. Si verrebbero in tal modo a contrapporre le richieste dei mutuatari - i quali, a fronte degli elevati interessi pagati a causa dell'inflazione, hanno beneficiato della rivalutazione delle abitazioni - alle ragioni degli altri operatori economici, che dovrebbero fronteggiare il rialzo del costo del denaro, e dei risparmiatori, che vedrebbero ridursi gli interessi ad essi corrisposti”. 108 Con specifico riferimento all’intervento di interpretazione autentica ex L. n. 24/2001, cfr., ex multis, CONTI , La legge 28 febbraio 2001, n. 24. Dall’usurarietà sopravvenuta ai tasso di sostituzione: mutui senza pace, in Corr. giur., 2001, X, 1347 e ss; GIOIA, La storia infinita dei tassi usurari, in Corr. giur., I, 2001, 431 e ss.; CHESSA, Requiem per l’usurarietà sopravvenuta, in Riv. giur. sarda, 2013, II, 231 e ss.

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A seguito dell’intervenuto interpretativo dello stesso legislatore, erano dunque “salvi”, i contratti che erano non erano usurari all’atto della stipulazione, con la conseguenza che l’eventuale successivo versamento di interessi sopra-soglia al momento del pagamento della singola rata di rientro secondo il piano di ammortamento convenzionalmente predisposto non costituiva comportamento illegittimo e perseguibile in capo alla banca, né fonte di responsabilità – nemmeno restitutoria sotto il profilo pecuniario –, di alcun genere in capo allo stesso Istituto di credito109. 109 L’intervenuto legislativo è stato decisamente criticato da una dottrina, la quale ha sottolineato che “l’impressione è che si sia voluta colpire la L. 108/1996 rendendone ardua se non impossibile l’applicazione (come l’andamento delle successive sentenze della Cassazione dimostra) più che salvare il sistema economico. … La novella subisce il vaglio della Corte costituzionale per la supposta violazione degli artt. 3, 24, 35, 41, 47 e 77 della Costituzione … Da quel momento la Cassazione, sebbene la Corte costituzionale avesse statuito che la L. 24/2001 limitava la sua azione interpretativa all’applicazione della L. 24/2001 al caso dei mutui stipulati a tasso fisso …, ne dilata il campo sino ad abbracciare tutti i contratti di credito, inclusa l’apertura di credito in conto corrente. La conseguenza è di devitalizzare del tutto la L. 108/1996. D’altro canto, la preoccupazione di una catastrofe economica derivante da una rigorosa applicazione della L. 108/1996, paventata dalla Banca d’Italia ed avallata dal Governo … si appoggia ad un contrasto giurisprudenziale che non c’è poiché le pronunce della Corte di Cassazione in materia sono monolitiche” (COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?, cit., 208). Al riguardo, l’Autore segnala, peraltro, che totalmente differente è stato l’approccio della Corte costituzionale nella sentenza n. 78/2012 in tema di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, d.l. 29.12.2010, n. 225, convertito con modificazioni in L. 26 febbraio 2011, n. 10 (c.d. Milleproroghe): in quel caso, partendo da premesse simili a quelle che in questa sede ci

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2.2.2.2. Le opiniones tradizionali di dottrina e della giurisprudenza sul fenomeno dell’usura sopravvenuta.

Nel corso degli anni si sono venuti a creare in dottrina e in giurisprudenza due diversi orientamenti, i quali giungevano, sulla base di argomentazioni logiche speculari, a soluzione diametralmente opposte.

Vi era, innanzitutto, una parte della dottrina e della giurisprudenza che riteneva rilevante il fenomeno usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali che fossero risultati, al momento dell’effettiva

occupano, la Consulta ha statuito che “la normativa contenuta nei due periodi del comma 61 dell'art. 2 d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, come conv. dalla l. 26 febbraio 2011 n. 10, è costituzionalmente illegittima, perché viola l’art. 3, non rispettando i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza, nonché l'art. 117 comma 1, in relazione all'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo e in ragione del principio della preminenza del diritto e del concetto di processo equo” (cfr. Corte cost., 5 aprile 2012, n. 78, in Banca borsa tit. cred., 2012, 4, II, 423 e ss., note di DOLMETTA, Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2012 (retroattività di leggi bancarie, prescrizione della ripetizione per titolo invalido di versamenti in c/c e diritto vivente dell'anatocismo); di SALANITRO, Retroattività e affidamento: la ragionevolezza del comma 61 (art. 2 d.l. n. 225/2010, conv. l. n. 10/2011); con nota di SEMERARO, Retroattività e affidamento: la irragionevolezza del comma 61 (art. 2 d.l. n. 225/2010, conv. l. n. 10/2011) e con nota di TAVORMINA, Sull’applicazione delle sezioni unite n. 24418/2010 dopo la sentenza della corte costituzionale n. 78/2012: dinamiche processuali). L’Autore si spinge a prospettare la tesi per cui la L. n. 24/2001 di interpretazione autentica sarebbe suscettibile di disapplicazione in quanto in contrasto con la normativa antitrust dell’Unione Europea (cfr. COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?, cit., 214).

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corresponsione degli stessi, superiori al tasso-soglia normativamente determinati 110.

Secondo tale primo filone dottrinale la valutazione dell’usurarietà dei saggi di interesse convenzionali doveva essere eseguita avendo riguardo non già al momento perfezionativo e genetico del contratto originante la relativa obbligazione, ma, per contro, al momento temporale in cui gli interessi sul debito principale maturavano, ovvero, in una lieve variante interpretativa, al momento il cliente sovvenuto era chiamato a corrispondere gli interessi convenzionali pattuiti.

A sostegno della sopradetta tesi si è osservato, innanzitutto, che la percezione di interessi convenzionali in misura superiore al saggio usurario costituisce una fattispecie di rilevanza penale da cui conseguirebbe la nullità sopravvenuta per contrasto con la norma penale, imperativa e di ordine pubblicistico ovvero l’inefficacia

110 INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, in Banca borsa tit. cred., 1999, I, 257 e ss.; VANORIO, Il reato di usura e i contratti di credito: un primo bilancio, in Contr. e impr., 1999, 510; CARBONE, Interessi usurari dopo la l. n. 108/96, in Corr. giur., 7, 1998, 198 e ss.; GIOIA, Usura: nuovi ritocchi, in Corr. giur., 7, 1998, 805 e ss.; CONTI, Legge 28 febbraio 2001, n. 24. Dall’usurarietà sopravvenuta al tasso di sostituzione: mutui senza pace, in Corr. giur., 2001, 10, 1347. In giurisprudenza, si confrontino Trib. Benevento, 15 aprile 2008, in Il civilista, 2009, 49; Trib. Monza, 22 aprile 2003, in Giur. merito, 2004, 285; Trib. Bologna, 19 giungo 2001, in Corr. giur., 2001, 1347; Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Giur. it., 2000, I, 1665; Cass., 17 novembre 2000, n. 14899, in Foro it., 2001, 80; Trib. Milano, 15 ottobre 2005, in Giust. a Milano, 2005, 11, 75; Trib. Firenze, 10 giugno 1998, in Corr. giur., 7, 1998, 805; Trib. Milano, 13 novembre 1997, in Corr. giur., 4, 1998, 435 e ss.

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sopravvenuta della clausola di determinazione degli interessi originariamente lecita.

Mutuando le argomentazioni dal diritto penale si è osservato che il termine di prescrizione del reato di usura decorre, ai sensi dell’art. 644-ter c.p., dal momento dell’esecuzione dell’ultimo pagamento degli interessi da parte del debitore sovvenuto, sicché sarebbe illogico ritenere che, diversamente, in ambito civilistico, la fattispecie dell’usura sopravvenuta non rilevi in quanto connessa al solo momento genetico della pattuizione sugli interessi e non già a quello dell’effettiva corresponsione delle somme di denaro a tale titolo.

Al contempo, si è rilevato che l’applicazione di tassi di interesse in misura superiore al tasso-soglia ex L. n.108/1996 non è meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., come pure si pone in netto contrasto con il canone di buona fede oggettiva, che impone all’Istituto di credito un costante e continuo controllo dell’andamento dei tassi usurari al fine di verificare l’eventuale sopravvenuta usurarietà del saggio di interesse convenzionalmente pattuito e la loro riduzioni sino al limite tempo per tempo fissato dalla legge111.

Si è sottolineato, infatti, che “applicare interessi che sul mercato del giorno (rectius: del trimestre) risultano oggettivamente usurari non può essere considerato cosa meritevole di tutela ex art. 1322 c.c.: ancora una volta è il principio fissato dalla legge penale a fissare la sponda. Né la cosa potrebbe dirsi conforme al canone di buona fede oggettiva: non sembra corretto, in effetti, il comportamento di chi pretende il pagamento di una somma a titolo di interessi da chi per legge, in quel 111 DOLMETTA, La Cass. n. 603/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit., 5.

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momento, non potrebbe permettere quella somma. Corretto ed equo è, piuttosto, riportare tale richiesta al quantum che risulta in quel periodo mediamente normale (meglio, è una delle possibili varianti dell’equità): al TEGM corrente nel trimestre, dunque”.112

Secondo una tale impostazione gli interessi originariamente pattuiti in misura inferiore al tasso-soglia che superino durante il corso del rapporto contrattuale tale limite legislativo in funzione di una diminuzione del TEGM trimestralmente rilevato non debbono essere integralmente restituiti dall’Istituto di credito, essendo inapplicabile il rimedio di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., ma il tasso convenzionale esorbitante dovrebbe essere ridotto al tasso-soglia tempo per tempo rilevato, secondo il meccanismo conformativo di cui all’art. 1339 c.c.113.

In netto contrasto con la tesi interpretativa dianzi descritta si è sostenuto in dottrina che il momento rilevante ai fini della verifica dell’usurarietà delle clausole 112 DOLMETTA, ibidem. 113 Contra, in dottrina, si veda DI MARZIO, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità, inefficacia della clausola interessi, in Giust. civ., 2000, 3099 e ss., il quale sostiene che “se la soglia è superata al momento dell’obbligazione, per tutto quanto la superi cessa l’obbligo di adempimento …, la fonte che costituisce quel diritto diviene ineffettuale. Come si vede, in tema di clausola di interessi originariamente non usuraria, per ritenere la sua perdurante effettività nei limiti dei tassi soglia non è affatto necessario (ed è fuorviante) riferirsi a meccanismi legali di sostituzione”. Il tema delle conseguenze civilistiche derivanti dalla sopravvenuta usurarietà dei tassi è dirimente e ha portato alla configurazione di differenti soluzioni sul piano pratico-applicativo, tutte ispirate, come vedremo ad un principio di equità nella regolazione del rapporto contrattuale: sul punto ci si soffermerà diffusamente nel successivo capitolo del presente scritto.

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contrattuali determinative degli interessi convenzionali rispetto ai parametri normativi di cui alla L. n. 108/1996 dovesse essere effettuata esclusivamente avendo riguardo al momento genetico e perfezionativo del contratto di credito tra intermediario finanziario e debitore sovvenuto114. 114 Tra gli Autori che, più di recente, si sono espressi in senso molto critico nei confronti della tesi che dà rilevanza al fenomeno dell’usura sopravvenuta non può non segnalarsi TAVORMINA, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contr., 1, 2014, 85. Nel suo contributo, infatti, l’Autore si riferisce addirittura ad interventi della dottrina e della giurisprudenziali volti a produrre un rovesciamento di diritto e a marchiare “come usurario il sistema bancario, creando, giusto in tempo per l’ormai pluriennale crisi economica, un falso bersaglio per le masse, impoverite da ormai insostenibili dissipazioni pubbliche in pro’ di parassiti privati”. In verità, prosegue l’Autore, “banche e banchieri sono innocenti degli illeciti [di usura]. … Costretti però nell’insensato quadro regolatorio ormai sovranazionale del welfare state, si affiancano anch’essi alla pletora di parassiti (o fruitori di rendite), istituti do sovvenzionati dai vari livelli di governo, nel tenere in piedi un sistema monetario e creditizio che, giocando con denaro finto come a monopoli, istituzionalizza falsificazione di moneta, furto e appropriazione indebita a danno della minoranza non parassitaria della società; solo che, a differenza per esempio dei magistrati, non sono riusciti a persuadere il Governo della propria impunità”. E in tale scenario, secondo il Tavormina, “salvo … imprevedibili resipiscenza dei nostri giudizi e funzionari, è proprio e solo rivolgendosi alla Corte EDU che si può immaginare, sia pure nei tempi assai lunghi richiesti per una sua decisione di ripristinare uno stato di legalità nella materia in oggetto. L’usura oggettiva è infatti un delitto ed inoltre la perdita di ogni diritto agli interessi e, di fatto, se non de jure, anche al capitale, che ne consegue, supera senz’altro i limiti di una riparazione, per attingere quella veste di sanzione afflittiva che la Corte reputa sufficiente per applicare l’art. 7 della CEDU (nullum crimen e nulla poena sine lege). Si potrà quindi avere un più ponderato responso al quesito se, non

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Secondo tale orientamento interpretativo, ove il contratto fonte dell’obbligazione agli interessi sia validamente concluso ab origine, prevedendo nella relativa clausola il versamento da parte del debitore sovvenuto di potendo nessuno essere condannato per un’azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale, il diritto interno italiano colleghi dette conseguenze ad un comportamento non previsto dalla legge (pattuizione di interessi moratori) e comunque al superamento di un limite che, per stessa denuncia dei giudicanti, non è quello posto dalla legge (ma da una erronea rilevazione e pubblicazione di dati diversi da quelli previsti dalla legge”. In questo senso, si vedano, in dottrina, SEVERINO DI BENEDETTO, Riflessi penali della giurisprudenza civile sulla riscossione di interessi divenuti usurari successivamente all’entrata in vigore della l. n. 108 del 1996, in Banca borsa tit. cred., 1998, 524; MORERA, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso soglia e … usurario sopravvenuto, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, 522; GAZZONI, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. not., 2000, 1447 e ss; ZORZOLI, Interessi usurari e mutui stipulati anteriormente alla legge 108/96, in Contr., 1999, 589, PEDRAZZI, Sui tempi della nuova fattispecie di usura, in Riv. dir. proc. pen., 1997, 662. In giurisprudenza, cfr. Cass., 3 aprile 2009, n.8138, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 581; Cass., 17 luglio 2008, n. 19698, in Giust. civ. Mass., 2008, 7-8, 1165; Cass, 19 marzo 2007, n. 6514, in Giust. civ., 2008, 10, 2252; Cass., 30 novembre 2007, n. 25016, in Guida al diritto, 2008, 3, 65; Cass., 22 luglio 2005, n. 15497, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6; Trib. Busto Arsizio, 3 febbraio 2011, consultabile su www.ilcaso.it; Trib. Napoli, 12 febbraio 2004, in Giur. Napoletana, 2004, 137; Trib. Napoli, 11 ottobre 2002, in Giur. merito, 2003, 900; Trib. Bari, 27 febbraio 2007, in Guida al diritto, 2007, 37, 67; Trib. Trani, 4 settembre 2007, in giurisprudenzabarese.it, 2007; Trib. Roma, 4 giugno 1998, in Foro it., 1998, I, 2557; Trib. Torino, 27 novembre 1998, in Corr. giur., 1999, 454; Trib. Bari, 16 marzo 2005, in giurisprudenzabarere.it, 2005; Trib. Latina, 13 giugno 2003, in Giur. merito, 2003, 2137.

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interessi in misura inferiore al saggio legale, la validità ed efficacia di detto contratto non potrà essere successivamente inficiata dall’andamento dei tassi nel tempo e, in particolare, dalla diminuzione di tali tassi.

L’opinio favorevole all’irrilevanza del fenomeno dell’usura sopravvenuta fa perno su di una della normativa antiusura di tipo letterale e sul pedissequo riferimento all’art. 1 della legge di interpretazione autentica 28 febbraio 2001, n. 24, che, come è noto, proprio al fine di comporre il dibattito sorto a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 108/1996, ha espressamente indicato, quale momento determinante ai fini della valutazione dell’usurarietà del saggio di interesse convenzionale pattuito, quello in cui “gli interessi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”115.

L’interpretazione in parola si fonda, inoltre, sui contenuti della Relazione governativa al decreto-legge di interpretazione autentica, da quale emergerebbe, secondo tale impostazione, l’intenzione del legislatore di escludere l’ammissibilità di ipotesi di usura sopravvenuta con riferimento a contratto di credito stipulati tra il cliente e la

115 In questo senso si veda ABF Milano, 18 ottobre 2011, n. 2183, secondo la quale sono “irrilevanti, al fine di verificare se gli interessi applicati siano usurari, le eventuali variazioni che intervengono nella determinazione periodica dei tassi soglia”, con la conseguenza che “gli interessi, che al momento della stipula del contratto che li contempla non sono usurari, non possono in alcun modo divenirlo in un momento successivo” e, dunque, l’indagine in ordine all’usurarietà “deve essere condotta verificando la legittimità degli interessi che erano stati stipulati nel contratto”.

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banca successivamente all’entrata in vigore della normativa anti-usura del 1996 116.

La tesi dell’irrilevanza del fenomeno dell’usura sopravvenuta trova altresì conforto in ragioni di opportunità economica e di certezza nella gestione del rischio contrattuale, sia in chiave “ristretta”, ove si guardi ai rapporti tra banca e singolo creditore, sia in ottica più ampia e sistemica, ove si abbia riguardo, più in generale, agli effetti che il fenomeno dell’usura sopravvenuta dei

116 Cfr. Relazione di accompagnamento alla L. 28 febbraio 2001, n.24, concernente interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n.108, in Guida al diritto, 2001, 1, 87 e ss. La dottrina ha tuttavia sottolineato che il pedissequo riferimento alla normativa di interpretazione autentica dianzi citata non appare convincente, in quanto “risulta sin troppo meccanicistica. Al di là di ogni rilievo sulla sua natura intertemporale, in effetti, la legge n. 24/2001 viene unicamente a escludere l’applicazione della peculiare sanzione prescritta dal comma 2 dell’art. 1815 c.c. alle ipotesi di c.d. usura sopravvenuta. … Non già a negare ogni rilevanza della medesima”. Come è stato osservato in proposito, “se le finalità della legge sull’usura si possono riassumere nella necessità di razionalizzare il mercato del credito e nel conseguente abbassamento del costo del denaro […] circoscrivere la rilevanza e l’applicabilità della […] disciplina del fenomeno usurario al momento costitutivo dei rapporti di […] credito, significa contraddire e vanificare gli scopi della stessa legge” ... Per loro struttura, gli interessi compensativi maturano “giorno per giorno … in ragione della durata del diritto … Per loro funzione, essi vanno a remunerare le diverse, singole unità che compongono il periodo temporale per cui il creditore concede al debitore il godimento del capitale (il criterio coerente, pertanto, è quello della maturazione). Tutto meno che istantaneo, il fenomeno è casomai ciclico: occuparsi solo del giorno del patto sarebbe, in definitiva, come interessarsi di un giorno su mille. Preoccuparsi di un graffio e trascurare l’infezione” (cfr. DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, cit., 5).

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contratti potrebbe determinare nel sistema creditizio complessivamente inteso.

L’andamento nel tempo del tasso-soglia da raffrontare al saggio convenzionale degli interessi pattuiti dai contraenti, infatti, è elemento accidentale ed assolutamente indipendente dalla volontà delle medesime parti.

Ove si aderisse alla tesi della rilevanza dell’usura sopravvenuta, dunque, dovrebbe ritenersi che l’ente creditizio erogante il finanziamento sia onerato di sopportare il rischio di una variazione in diminuzione del TEGM, con conseguente necessità di restituire gli interessi corrisposti dal cliente sovvenuto sulla base di un contratto che, al momento della sua conclusione, era perfettamente lecito, valido ed efficace.

In altri termini, l’Istituto di credito non potrebbe mai avere certezza di poter ottenere la restituzione del capitale versato in quanto, in ogni momento, peculiari condizioni del mercato finanziario potrebbero mutare l’andamento dei tassi di interesse e dovrebbe accollarsi l’onere di sostenere, oltre al rischio naturalmente connesso ai contratti sinallagmatici di durata, anche l’alea dell’oscillazione dei tassi.

In dottrina si è poi sostenuto, in tema di mutuo, che l’obbligazione di pagamento degli interessi sorge in capo al mutuatario non già al momento della scadenza delle singole rate del mutuo stesso, ma istantaneamente e nel momento stesso della consegna da parte del mutuante al debitore sovvenuto della somma mutuata, sicché la verifica dell’usurarietà della pattuizione degli interessi non potrebbe che essere eseguita al momento della conclusione del contratto tra le parti, risultando irrilevante ogni

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successiva variazione in diminuzione del tasso-soglia tempo per tempo determinato ex lege117.

Ancora la tesi contraria all’ammissibilità dell’usura sopravvenuta trova linfa nelle istruzioni fornite agli Intermediari finanziari dalla Banca d’Italia per la rilevazione del TEGM118.

Dal punto di vista di un’analisi strettamente civilistica, inoltre, è stato sostenuto in dottrina che la ragione della necessaria esclusione del fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse deve essere ritrovata nella circostanza che il legislatore, allorquando ha introdotto la disposizione di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., avrebbe inteso porre un limite all’autonomia privata dei contraenti nella pattuizione dei saggi di interesse, parametrando tale limite al momento in cui l’autonomia negoziale si esplica, vale dire il momento della pattuizione e non già quello della corresponsione degli interessi119. 117 In questo senso, cfr. GAZZONI, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, cit., 1450; 118 Cfr. Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, 12 agosto 2009, Sez. C2, nota 9, p. 11, ove, nell’affermare che sono soggetti alla rilevazione solo i nuovi rapporti accesi nel periodo di riferimento, si legge che “i finanziamenti si intendono accesi all’atto della stipula del contratto”. 119 In questo senso, BUZZELLI, Mutuo usurario e invalidità del contratto, cit., 180 e ss, ove l’Autore aggiunge che “questa soluzione, appare … in linea con la relazione di identità che … intercorre sul piano strutturale tra la fattispecie negoziale disciplinata nella norma civilistica … e quella criminosa oggetto del divieto penale. La delineata identità strutturale si riflette infatti anche sul momento perfezionativo delle relative fattispecie venendo esso a coincidere per entrambe con quella della pattuizione usuraria, in forma reale (dazione) o consensuale

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In senso contrario all’ammissibilità dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse va poi registrata l’autorevole opinione della Banca d’Italia che, con comunicazione del 3 luglio 2013120, la quale ha distinto tra due tipologie di operazioni.

(promessa accettata). Sulla base dell’indicata conclusione deve risolversi anche la questione della rilevanza dell’eventuale variazione del tasso effettivo globale medio e particolarmente il problema che si pone nel caso in cui un interesse, di per sé non usurario perché inferiore alla soglia limite vigente al momento della stipulazione del mutuo, si riveli poi, nel corso del rapporto, di livello usurario per la diminuzione del tasso soglia successivamente rilevato … Non vi è dunque convenzione usuraria …” – prosegue l’Autore – “… per il semplice fatto che al momento delle singole scadenze delle rate di interessi, a seguito di un calo generalizzato dei tassi, risulti superato il livello determinato ai sensi dell’art. 2, legge n. 108, E ciò perché occorre avere esclusivo riguardo al momento della pattuizione e alla misura degli interessi con essa determinata. In quel momento si realizza la fattispecie disciplinata dall’art. 1815, 2° comma, c.c., cosicché se il tasso soglia in quello stesso momento non è superato irrilevante diviene l’usurarietà che in ipotesi si determina per effetto delle rilevazioni successive. Così come, all’opposto, l’usurarietà degli interessi esistente al momento della pattuizione non viene meno se, poi, all’atto della corresponsione, essi non risultano più tali per effetto del più elevato tasso soglia nel frattempo rilevato”. 120 Comunicazione della Banca d’Italia in data 3 luglio 2013, recante “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, reperibile nel suo testo integrale al seguente link: http://www.bancaditalia.it/media/chiarimenti/030713_antiusura.pdf. La circolare in parola è stata immediatamente oggetto di analisi da parte della dottrina: cfr., in particolare, MALVAGNA, A commento della comunicazione Banca d’Italia 3 luglio 2013: sull’usura sopravvenuta, in www.ilcaso.it; MARCELLI, I chiarimenti della Banca d’Italia in materia di applicazione della legge antiusura: uno sgarbo alla giurisprudenza, in www.ilcaso.it;

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In primo luogo, i “finanziamenti a utilizzo flessibile” – vale a dire, le aperture di credito in conto corrente, gli anticipi su crediti e sconti di portafoglio commerciale, il factoring e il credito revolving –, che, per loro natura “sono sensibili alle variazioni di mercato” e con riferimento ai quali “la Banca d’Italia ha dato indicazioni agli Istituti di credito di condurre una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti in ciascun periodo per tutti i finanziamenti di tale tipo in corso”121.

In secondo luogo, i finanziamenti con un piano di ammortamento predefinito – tra cui si annoverano, il credito personale, il credito finalizzato, il leasing, i mutui, i prestiti contro cessione del quinto e della pensione e gli altri finanziamenti –, avuto riguardo ai quali “la verifica sul rispetto delle soglie è compiuta solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura degli interessi è stabilita”122, senza che vi siano verifiche periodiche al riguardo123. DOLMETTA, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3.7.2013: usura e interessi moratori, in www.ilcaso.it. 121 Comunicazione Banca d’Italia, 3 luglio 2013, cit., pt. 3. 122 Comunicazione Banca d’Italia, 3 luglio 2013, cit., pt. 3. 123 L’impostazione della Comunicazione di chiarimento di cui si discute è stata censurata dalla dottrina (cfr. MALVAGNA, A commento della comunicazione Banca d’Italia 3 luglio 2013: sull’usura sopravvenuta, cit., 4), la quale ha sottolineato che non affatto chiaro quale sia l’argomentazione che giustificherebbe la disparità di trattamento ipotizzata dalla Banca d’Italia tra le due categorie di contratti, sicché, da un lato, è criticabile la patente d’immunità garantita ai finanziamenti con piano di ammortamento predefinito e, dall’altro lato, anche a volersi considerare la questione sotto il profilo delle esigenze di tutela coinvolte, “è quantomeno dubbio che ai finanziamenti del secondo gruppo si possa ricollegare una minore rilevanza del bisogno di controllo del carico economico”.

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2.2.2.3. Un excursus nella giurisprudenza più

recente: nessun dubbio in ordine all’astratta configurabilità dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi.

La descrizione appena sopra svolta dell’acceso e non

sopito dibattito intorno alla configurabilità dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse porterebbe a ritenere che, sul punto, regni ancora la massima incertezza.

In realtà, una siffatta considerazione è soltanto parzialmente corrispondente al vero, in quanto, analizzando le soluzioni adottate dalle più recenti pronunce in materia ci si rende conto che le Corti hanno da ultimo assunto un orientamento decisamente favorevole alla configurabilità dell’usura sopravvenuta, convenendo e concordando nel ritenere intollerabile il diniego di tutela per il debitore mutuatario che si trovi oggi a versare interessi in misura (anche di molto) superiore al tasso-soglia in virtù di una pattuizione convenzionale degli interessi corrispettivi (od anche moratori) che, tuttavia, non può dirsi illegittima poiché originariamente intra-soglia.

E la circostanza che, in quanto modo, rende tale recente convergenza di pensiero ancora più rilevante e sorprendente è che essa riguarda non soltanto i giudici della Corte di Cassazione – che, come si è avuto modo di dire, da sempre esprimono un orientamento in tal senso – ma anche, quantomeno ove se ne analizzi il contenuto da un angolo visuale che faccia perno sull’effetto in concreto conseguente al pronunciamento, la giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario124. 124 Come avremo modo di vedere nel prosieguo di questo capitolo ed anche nel successivo, infatti, non frequentemente l’Arbitro

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Come si è detto, il percorso di “ammissibilità” dell’usura sopravvenuta nel sistema giuridico italiano ha ripreso a svilupparsi con la sentenza n. 350 del 9 gennaio 2013 e con le pronunce “gemelle” nn. 602 e 603 dell’11 gennaio 2013.

In tale ultima sede, i Giudici di legittimità, per la verità senza soffermarsi più di tanto sulla motivazione di tale affermazione, hanno riammesso nel panorama giuridico la figura dell’usurarietà dei tassi di interesse convenzionalmente previsti dai contraenti125, semplicemente affermando che “che “trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della L. 108 … va richiamato l’art. 1 L. 108 del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia … al di sopra dei quali gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente

Bancario Finanziario ha espresso orientamenti in linea con quelli assunti dal Supremo Collegio ed anzi, come si dirà appena di seguito, in alcuni casi ha frontalmente contrastato le affermazioni della Suprema Corte (ad esempio, in materia di rilevanza dei tassi di interesse moratori ai fini della determinazione del TEG applicato e del suo raffronto al TEGM rilevato sul mercato e costitutivo della base di calcolo del tasso-soglia usurario). 125 Cfr. MUCCIARONE, Attendendo la decisione del collegio di coordinamento dell’ABF su usura e interessi moratori: ABF n. 77/2014 e ABF n. 125/2014, in dirittobancario.it, secondo cui le pronunce in questione hanno riammesso l’usura sopravvenuta “senza motivare, senza neppure dare atto di ribaltare un orientamento giurisprudenziale consolidatosi dopo la norma d’interpretazione autentica, posta dall’art. 1, c. 1, d. l. n.349/2000”. In senso analogo si è espresso anche CIVALE, Usura sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca-cliente, cit., 6, che parla di motivazione “alquanto abborracciata”, con cui “la Suprema Corte si è limitata di fatto a riproporre il tema, schierandosi a favore della rilevanza dell’usura sopravvenuta … con una motivazione davvero timida”.

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maturati vanno considerati usurari … e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli art. 1419, secondo comma, e 1339 c.c., circa l’inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia”.

In sostanza, la Cassazione non “spiega” l’usura sopravvenuta, ma la dà per presupposta126.

A tali sentenze della Suprema Corte ha immediatamente fatto seguito, di lì a pochi mesi, un’importante pronuncia dell’Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Napoli127, che, con riguardo ad una fattispecie relativa ad una carta di credito revolving che prevedeva tassi di interesse corrispettivi non eccendenti la misura del tasso soglia in vigore al momento

126 Mutuando le parole di un’autorevole dottrina, l’usura sopravvenuta è trattata dalla Cassazione “come cosa assolutamente scontata, al punto da non dedicarci neppure un cenno di motivazione”: così DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 501. Analogamente si veda Trib. Napoli, 16 ottobre 2013, (ord.), Rel. Dott. Antonio Casoria, in www.expartecreditoris.it, la quale, aderendo pedissequamente a quanto affermato dalla Cassazione nelle note sentenze nn. 602 e 603 del 2013, si è espressa nel senso che “a seguito del superamento, successivamente all’entrata in vigore di tale legge, dei tassi soglia antiusura per effetto dell’applicazione delle clausole di determinazione degli interessi, previste in un contratto validamente stipulato, soccorre l’autorità della Suprema Corte che ha statuito che debba ritenersi operare la sostituzione automatica dei tassi convenzionali con i tassi soglia applicabili ai diversi periodi”. 127 ABF Napoli, 3 aprile 2013, n. 1796, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 487, con nota di QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità; reperibile anche su www.ilcaso.it e in www.dirittobancario.it, con nota di SEMERARO, Interessi moratori e usura. A proposito di Abf Napoli, n. 125/2014.

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della stipulazione, ha accolto la domanda del ricorrente volta ad ottenere la restituzione delle somme versate in eccedenza.

Il Collegio, in questa occasione, ha precisato di essere ben consapevole “che il presupposto logico di siffatta conclusione risiede nell’attribuzione alla c.d. usura sopravvenuta di importanti conseguenze giuridiche”. Secondo gli Arbitri, infatti, “mette conto muovere dal rilievo che – a dispetto dell’opinione secondo la quale mutui non usurari al tempo della stipula conquisterebbero una sorta di patente d’immunità – indicatori di rilievo presenti nell’ordinamento sollecitano dubbi di non trascurabile momento sulla sua condivisione, legittimando con ciò percorsi interpretativi di segno diverso”.

Innanzitutto, dal punto di vista teleologico, “appare singolare circoscrivere la rilevanza del fenomeno al solo momento genetico del rapporto, sancendo così evidenti asimmetrie (e “doppie velocità”) nella razionalizzazione del mercato del credito che rappresenta lo scopo maggiormente significativo della disciplina anti usura”, dovendosi ritenere pertanto corretta l’impostazione su cui si è attestata, seppur con qualche carenza motivazionale, la Corte di Cassazione.

Sotto altro profilo, il Collegio ABF di Napoli si spinge sino a rilevare che, nel caso sottoposto alla propria attenzione, “a confortare l’avviso della rilevanza dell’usura sopravvenuta in punto di riconduzione degli interessi divenuti (nel corso del rapporto) usurari al tasso soglia sono le stesse prescrizioni della Banca d’Italia … che, con Comunicazione del 20 aprile 2010 … espressamente … prescrivono che gli intermediari assicurino, tramite le competenti funzioni aziendali, che le procedure operative e i sistemi di controllo garantiscano il pieno rispetto della normativa civilistica e di quella in

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materia di usura [sicché] l’assenza di specificazioni in ordine al momento del superamento del tasso soglia induce a ritenere l’ultrattività di tali prescrizioni rispetto alla (sola) fase di costituzione del rapporto, con conseguente inefficacia degli interessi così calcolati”128.

In altre parole, il Collegio di Napoli dell’ABF si è condivisibilmente espresso nel senso che la legge di interpretazione autentica n. 24/2001 rileva soltanto ai fini dell’applicabilità del disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c. e, dunque, ai fini di stabilire se il contratto di credito debba mutarsi da oneroso in gratuito, con sanzione per la banca mutuante e vantaggio esclusivo per il debitore sovvenuto.

Essa non rileva, invece, con riguardo all’efficacia nel corso del rapporto degli interessi divenuti nel tempo usurari, in una lettura del tutto coerente col rilievo che, in questo caso, non si versi “in gioco un’inammissibile ipotesi di invalidità sopravvenuta del contratto o di una sua specifica clausola quanto piuttosto una vera e propria inopponibilità al cliente di tassi eccedenti rispetto alla norma imperativa, non potendo l’ordinamento ammettere il pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia trimestralmente rilevato”129.

In senso analogo si è espresso anche il Collegio di Roma dell’ABF, sia con decisione n. 620 del 29 febbraio 2012130 che, più di recente, con il provvedimento n. 4374 del 9 agosto 2013131. In ambo i casi, infatti, il Collegio ha 128 ABF Napoli, 3 aprile 2013, n. 1796, cit. 129 ABF Napoli, 3 aprile 2013, n. 1796, cit. 130 ABF Roma, 29 febbraio 2012, n. 620, reperibile in versione integrale su www.arbitrobancariofinanziario.it 131 ABF Roma, 9 agosto 2013, n. 4374, Pres. Dott. Giuseppe Marziale, Estens. Prof. Avv. Marco Marinaro, reperibile su www.arbitrobancariofinanziario.it e in www.ilcaso.it.

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stabilito che il superamento del tasso soglia non determina la configurazione reato di usura, né comporta la nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, c.c.: tuttavia, occorre ritenere che “l’applicazione di tassi contrattuali superiori al tasso soglia si pone in contrasto con lo spirito della legge n. 108/1996”132 e, benché non sanzionabile, “sia tuttavia in contrasto con l’art. 2 della citata legge … , norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto, che impone l’adeguamento degli interessi a suo tempo stipulati in modo che non risultino in contrasto con la norma stessa”133, con la conseguenza che si impone una rideterminazione degli interessi, ai sensi dell’art. 1339 c.c., entro i limiti della soglia di usura134

Nel non uniforme quadro interpretativo sopra descritto, come pure nell’incertezza della disciplina normativa e dell’interpretazione giurisprudenziale in materia, proprio il Collegio di Napoli ha domandato l’intervento del Collegio di coordinamento dello stesso Arbitro Bancario Finanziario che è intervenuto per fare (forse) chiarezza intorno al tema dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi – ma, come vedremo, non solo –, con la decisione n. 77 del 10 gennaio 2014 135. La fattispecie rimessa all’attenzione del Collegio di coordinamento aveva ad oggetto un contratto di 132 ABF Roma, 9 agosto 2013, n. 4374, cit. 133 Roma, 29 febbraio 2012, n. 620, cit. 134 In questo senso di vedano, oltre alle decisioni già citate, anche ABF Collegio di Roma, nn. 2286/2012, 174/2013 e 1137/2013, tutte in www.arbitrobancariofinanziario.it. 135 Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n. 77, Pres. Dott. Giuseppe Marziale, Estens. Prof. Avv. Antonio Gambaro, reperibile nel suo testo integrale al seguente link: www.arbitrobancariofinanziario.it.

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finanziamento personale del valore che recava la previsione di un piano di rientro con ammortamento a rate mensili e con riferimento al quale il cliente assumeva di aver versato, per la pressoché totalità della durata del finanziamento, interessi eccedenti il tasso-soglia136. Nell’approccio alla soluzione del quesito postogli nell’ordinanza di rimessione, il Collegio di Coordinamento si è soffermato, in primo luogo, sull’analisi delle caratteristiche concrete del contratto oggetto di controversia tra cliente ed intermediario, confermando l’impostazione della difesa resistente secondo cui il TEG applicato era, al momento della stipulazione del contratto di finanziamento personale oggetto di controversia, inferiore al tasso-soglia così come determinati dal decreto ministeriale all’epoca vigente.

Al contempo, tuttavia, il Collegio di coordinamento ha altresì accertato che il piano di ammortamento del 136 In particolare, secondo l’impostazione attorea, la pretesa restitutoria del cliente trovava fondamento nelle disposizioni di cui alla L. n. 108/1996 e nella conseguente applicabilità al caso di specie del disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c., che avrebbe determinato la conversione del mutuo da oneroso in gratuito e un obbligo restitutorio in capo alla banca. Al perfetto opposto, l’impostazione difensiva dell’intermediario resistente trovava appiglio nell’argomentazione secondo cui al cliente non era stato addebitato alcun interesse usurario, atteso che, ab origine (rectius, alla data della stipulazione del finanziamento), il tasso pattuito tra le parti era inferiore al tasso-soglia al tempo in vigore e non sarebbe certamente stato possibile “postulare un’usura sopravvenuta, perché sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito, ai fini del relativo accertamento, hanno definitivamente assegnato rilievo solo al momento della pattuizione, giusta l’interpretazione autentica introdotta dall’art. 1 del d.l. n. 394/2000” (cosi, testualmente, Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n. 77, cit.).

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finanziamento contestato prevedeva l’applicazione, per la pressoché totale durata del contratto medesimo, di interessi computati sulla base di un TEG stabilmente superiore ai tassi-soglia. Fermi questi dati di fatto, ripercorsi brevemente i due orientamenti contrapposti in materia di usurarietà sopravvenuta di cui si è dato conto, il Collegio di Coordinamento passa ad analizzare le tematiche di diritto sottese al caso concreto sottoposto al suo esame: da un lato, i limiti di applicabilità degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c. così come interpretati dall’art. 1, comma primo, d. l. n. 394/2000 di interpretazione autentica della l. 7 marzo 1996, n. 108, convertito con modificazioni in l. n. 24/2001; dall’altro lato, il più complesso ed articolato problema dei rimedi civilistici eventualmente esperibili dal mutuatario che si veda applicare successivamente al momento della pattuizione interessi sopra-soglia. Per quanto attiene il primo profilo, che qui interessa, vale a dire i limiti di applicabilità della norma di interpretazione autentica della legge antiusura, il Collegio di Coordinamento si muove nel solco dell’insegnamento della Corte Costituzionale 137, che, nel fugare ogni dubbio circa la costituzionalità dell’art. 1, comma primo, d.l. n. 394/2000, ha confermato che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma secondo, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, statuendo altresì che restano, invece, “estranei all’ambito di applicazione delle norma impugnata gli ulteriori istituti

137 Cfr. Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, cit.

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e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”. Il Collegio di Coordinamento, dunque, dichiara espressamente di aderire alla tesi secondo cui la norma di interpretazione autentica di cui al d.l. 394/2000 è conforme al dettato costituzionale “nei limiti in cui non pregiudichi l’esperibilità di altri rimedi civilistici posti a tutela della posizione del mutuatario, diversi dalla nullità di cui all’art. 1815, 2° comma, e dalla nullità derivabile dalla contravvenzione all’art. 644 c.p.”. Aderendo a tale impostazione, il Collegio di coordinamento si è pronunciato nel senso che il superamento del tasso-soglia nel corso del rapporto di credito tra Istituto di credito mutuante e debitore mutuatario non determina di per se stesso l’illiceità della clausola pattizia dei saggi di interesse. In altre parole, secondo la decisione n. 77/2014 del Collegio di coordinamento ABF, “l’usura sopravvenuta, di per sé, non si dà: il superamento della soglia in corso di rapporto non determina l’illiceità della clausola ratione temporis, né, quindi, l’illiceità della pretesa, di per sé”138. Il Collegio di coordinamento, dunque, ha ritenuto che “non sia ingiustificato trattare diversamente, da un lato, il contratto che prevede, quando è concluso, interessi sopra la soglia e, dall’altro lato, il contratto in seguito saluto sopra la soglia dell’usura, e, perciò, che il superamento della soglia in corso di rapporto non determina illiceità della clausola e (per ciò solo) della relativa pretesa … Ammettere l’usura sopravvenuta … significherebbe” – infatti –, “alleviare il cliente del rischio che l’affare

138 MUCCIARONE, Attendendo la decisione del collegio di coordinamento dell’ABF su usura e interessi moratori: ABF n. 77/2014 e ABF n. 125/2015, cit.

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peggiori eccessivamente, mentre l’intermediario continuerebbe a subirlo: meglio, mentre il cliente verrebbe alleviato anche del rischio prevedibile, l’intermediario potrebbe giovarsi dello ius variandi solo in caso di peggioramento imprevedibile … e, allo stato, solo se si tratti di finanziamenti a termine con consumatore e microimpresa (art. 118 T.u.b.)”139 Una siffatta conclusione sembrerebbe smentire quanto si è affermato all’origine, vale a dire che l’ABF si è mosso in direzione parallela a quella della (favorevole) giurisprudenza di legittimità in materia di usurarietà sopravvenuta. Tuttavia, la motivazione del Collegio di coordinamento non si arresta e, nell’occuparsi del diverso profilo del rimedio civilistico concretamente applicabile al caso dell’usura sopravvenuta, conclude nel senso che, ove vengano richiesti tassi comunque superiori alla soglia tempo per tempo determinata, il soggetto finanziato può contestare alla banca erogante le somme mutuate la violazione del principio cardine della correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c., come pure la non conformità di un siffatto comportamento al generale principio di solidarietà sociale.

Invero, “è ormai riconosciuto il ruolo centrale della buona fede nella moralizzazione dei rapporti contrattuali ovvero nel dotare tali rapporti della flessibilità necessaria ad incorporare i valori etici dell’ordinamento giuridico. 139 MUCCIARONE, Attendendo la decisione del collegio di coordinamento dell’ABF su usura e interessi moratori: ABF n. 77/2014 e ABF n. 125/2015, cit.; cfr. anche SCIARRONE ALIBRANDI-MUCCIARONE, La pluralità di serie normative di ius variandi nel T.u.b.: sistema e fratture, in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato, Milano, 2012, 78 e ss.

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La Suprema Corte di Cassazione che ha assunto un ruolo guida in proposito ha insegnato che “il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la relazione al codice civile “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” – deve essere inteso in senso oggettivo in quando enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge”.

Il comportamento della banca mutuante che applichi costantemente un tasso di interesse divenuto nel tempo usurario e sempre superiore alla soglia non è dunque conforme a buona fede deve trovare sanzione nella doverosa imposizione all’intermediario di un obbligo di agire secondo il principio di buona fede, da intendersi in senso oggettivo.

In altre parole, a prescindere dalla sussistenza di obblighi espressamente previsti in contratto o dalla legge, vige su ciascuna parte un obbligo di preservare gli interessi dell’altra nell’esecuzione del contratto. Un comportamento difforme, infatti, comporterebbe l’insorgere di una responsabilità dell’intermediario per abuso del diritto, come pure una violazione del principio di solidarietà sociale che trova fondamento di rango costituzione nell’art. 2 Cost.

“Il ricorso al principio di buona fede appare il rimedio più congruo al fine di trasferire all’interno di un rapporto di durata poliennale i vantaggi economici derivanti da una discesa dei tassi di mercato senza

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alterare in modo eccessivo l’equilibrio contrattuale, ma armonizzando con la funzione equilibratrice propria di un sistema giuridico assiologicamente orientato”, con la conseguenza che “l’intermediario rifiutando di portare i tassi concordati al di sotto della soglia di usurarietà … in un contesto in cui i tassi erano prossimi alla soglia del tempo … non si è adeguato al canone di buona fede contrattuale e in ciò risiede l’antigiuridicità della sua pretesa”.

Muovendo da tale principio, ove “il tasso fisso pattuito [sia] collocato ab initio nello stretto margine inferiore del tasso soglia del momento” ed “avveratosi lo scenario di una discesa notevole e costante dei tassi di mercato non corrisponde al principio di solidarietà il non chiamare il prenditore a partecipare del vantaggio economico conseguente”, di talché, in accoglimento del ricorso presentato dal cliente, l’intermediario che abbia agito in violazione della buona fede contrattuale deve essere condannato a restituire le somme percepite a titolo di interesse in misura superiore alla soglia pro tempore determinata ex lege.

In buona sostanza, come efficacemente stigmatizzato dalla dottrina, “ex fide bona … il credito per interessi sopra la soglia dell’usura, secondo le circostanze del caso concreto, può essere inesigibile” 140

140 Così MUCCIARONE, Attendendo la decisione del collegio di coordinamento dell’ABF su usura e interessi moratori: ABF n. 77/2014 e ABF n. 125/2015, cit., 2. Secondo l’Autore, “la soluzione [n.d.r. del Collegio di Coordinamento] per quanto corretta, non sarà l’atto definitivo della vicenda. E non solo perché, all’evidenza, marca il problema di enucleare figure sintomatiche di pretesa contra fidem bonam d’interessi saliti sopra la soglia: col rischio di far rientrare dalla finestra … ma anche

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2.2.3. Analisi critica delle soluzioni dottrinali e

giurisprudenziali in materia di usura sopravvenuta: intollerabilità e non sistematicità della teoria negatoria del fenomeno.

Analizzate le principali tesi, sostanzialmente contrapposte, sviluppatesi in dottrina, come pure le soluzioni, parimenti antitetiche, proposte dalla giurisprudenza nel suo complesso, è giunto il momento di tirare le fila del discorso, al fine di (provare a) raggiungere una prima parziale conclusione in ordine alla configurabilità del fenomeno dell’usura sopravvenuta.

Si tratta uno step importante, in quanto esso fonda il presupposto in fatto che consente di spostare l’indagine sul diverso e altrettanto importante profilo della sanzione civilistica applicabile in ottica rimediale.

È quindi previamente necessario, sul piano logico, che, a fronte dell’inquietudine dimostrata dagli interpreti in ordine alla materia, si cerchi – nei limiti del possibile, in una serena e quanto più oggettiva valutazione dello stato dell’arte, in fatto e in diritto –, di addivenire ad un arresto sul punto della stessa “esistenza” del fenomeno che si vorrebbe sanzionare (vuoi con la nullità ex art. 1815, secondo comma, c.c., vuoi con la nullità parziale e conformazione automatica di clausole ex artt. 1419 e 1339 c.c., ovvero anche mediante riduzione della penale ex art. 1384 c.c.).

A parere di chi scrive, alla domanda sull’astratta configurabilità del fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse, non può che darsi risposta affermativa. perché resta il contrario arresto della Cassazione, seguito da qualche pronuncia di merito e approvato da autorevole dottrina”.

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Diversi sono gli argomenti che conducono ad esprimersi in tal senso e non altrettanto dirimenti – seppur pertinenti –, sono, invece, le considerazioni di coloro che vorrebbero negare il fenomeno.

Innanzitutto, merita attenzione il rilievo “in fatto”, che, come opportunamente rilevato da un’attenta dottrina141, l’usura sopravvenuta è un fenomeno assolutamente frequente nel sistema creditizio. La motivazione di tale frequenza va ricercata in primo luogo nella natura essenzialmente durevole dei rapporti creditizi di finanziamento, che strutturalmente comporta l’esposizione della pattuizione convenzionale degli interessi alle oscillazione dei tassi.

Sembra però che ci si dimentichi che, in verità, tante e diverse sono le cause scatenanti dell’usura sopravvenuta del saggio di interesse convenzionale e che, pertanto, anche in relazione a tali circostanze di fatto il fenomeno in parola deve essere analizzato e, quindi, in qualche modo sanzionato.

Si pensi al caso in cui lo sforamento del tasso-soglia sia determinato da un aumento delle voci di costo (ad esempio, spese e commissioni) gravanti sul cliente debitore; oppure al caso in cui la soglia sia superata per effetto dell’applicazione dei tassi di mora142 conseguente all’inadempimento del debitore. Ovvero quale conseguenza dell’esercizio da parte dell’Istituto di credito 141 DOLMETTA, Usura sopravvenuta per modifiche regolamentari della Banca d’Italia (quando non originaria). A proposito di Abf Roma, n. 4374/2013, in www.dirittobancario.it, 1. 142 In questa ipotesi, peraltro, si apre un altro tema, che sarà oggetto di trattazione appena di seguito, vale a dire quello dell’incidenza del tasso di mora tanto sul calcolo del TEGM (e, dunque, della soglia), quanto, corrispondentemente, sul TEG applicato in concreto.

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dello ius variandi ex art. 118 T.U.B. e della connessa variazione di tassi e commissioni praticati143; oppure ancora per modifiche di legge o regolamentari (si pensi alle Istruzioni di Banca d’Italia agli Intermediari) che vengano a incidere sulle fattispecie concreta. Da ultimo, per effetto della variazione in diminuzione del TEGM di riferimento dell’operazione in concreto considerata o per l’oscillazione dell’andamento del tasso variabile (a titolo esemplificativo, per effetto di valute o di cambi).

Il fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse, dunque, è ampio e ricco di sfaccettature e, soprattutto, può porsi in concreto in una serie di varietà che non possono non essere giudicate meritevoli di tutela nell’ordinamento.

Per sostenere questa tesi, infatti, occorrerebbe ammettersi – e non vi è chi non vede l’assurdità di una previsione di questo genere –, che l’aumento del costo del credito in conseguenza di una maggiorazione delle commissioni applicate, che conducesse oltre la soglia il tasso effettivo applicato, non dovrebbe essere affatto 143 Nell’ipotesi di esercizio dello ius variandi, peraltro, occorrerebbe svolgere una nuova verifica intorno alla legittimità del tasso unilateralmente proposto dalla banca, valutandolo, ovviamente, in funzione dei TEGM (e dei conseguenti tassi-soglia) in vigore al momento della variazione contrattuale (in questo senso, si veda DOLMETTA, Usura sopravvenuta per modifiche regolamentari della Banca d’Italia (quando non originaria). A proposito di Abf Roma, n. 4374/2013, cit., 4). Si discute, peraltro, se tale modifica sia fonte di usura sopravvenuta ovvero originaria: cfr., a tal riguardo, DOLMETTA, Ius variandi bancario. Linee evolutive, in AA.VV., Ius variandi bancario, Milano, 2012, ove l’Autore precisa che l’eventuale nullità della pattuizione degli interessi per usura originaria e, dunque, la sopravvenuta gratuità del mutuo potrebbe predicarsi soltanto per il periodo successivo all’esercizio dello ius variandi da parte dell’Istituto bancario.

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sanzionato. Parimenti, ove anche a seguito di un nuovo intervento regolamentare della Banca d’Italia una nuova voce di costo fosse inclusa nel calcolo del TEG applicato, tale circostanza potrebbe astrattamente mutare l’equilibrio tra tasso corrispettivo e/o moratorio convenzionale e tasso-soglia, determinando l’usurarietà sopravvenuta dei primi.

Si tratta chiaramente di astrazioni che, nella pratica, potrebbero trovare applicazione limitata: in sostanza, in relazione a fattispecie in cui il contratto di finanziamento stipulato tra il debitore mutuatario e la banca mutuante preveda tassi corrispettivi molto prossimi ai valori della soglia e con riferimento ai quali, pertanto, ogni minima variazione di uno o più condizioni iniziali potrebbe determinare il superamento del limite legislativo.

Non a caso, quindi, chi si schiera in senso contrario all’ammissibilità dell’usura sopravvenuta, sostenendo che quest’ultima non trova spazio nell’ordinamento giuridico italiano, omette di considerare che la stessa può derivare non soltanto dalla sopravvenuta variazione in diminuzione dei tassi di interesse mediamente praticati sul mercato, da cui poi dipende il valore del tasso-soglia.

La ragione di tale omissione è riconducibile alla necessità di trovare un appiglio giuridico per poter sostenere l’irrilevanza dell’usurarietà sopravvenuta e che, nella specie, la dottrina fautrice di tale ordine di idee ritrova nella legge di interpretazione autentica n. 24/2001 e, dunque, nelle indicazioni in quella sede fornite circa l’ambito di applicazione dell’art. 1815, secondo comma, c.c.

Ed, infatti, a ben vedere, questa sembra l’unica argomentazione di stampo squisitamente giuridico che sorregge tale via interpretativa, atteso che le ulteriori considerazioni a sostegno della tesi in parola sono legate, in essenza, a motivazioni di opportunità e ad esigenze

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economico-finanziarie di tutela del sistema bancario nel suo complesso, che, seppur suggestive in fatto, non sovvertono quelle contrarie – e maggiormente convincenti –, in diritto.

Ogni valutazione sull’ammissibilità dell’usura sopravvenuta, infatti, non può che muovere da un necessario contemperamento degli interessi in gioco, alla luce, in ultima istanza, dei principi complessivi che regolano l’ordinamento giuridico.

Orbene, nella fattispecie dell’usura sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali in corso di rapporto, la “vertenza” coinvolge, da un lato, le banche e l’opportunità di preservarle dal rischio di oscillazione dei tassi di interesse e, dall’altro lato, l’interesse dei debitori - in naturale posizione di inferiorità rispetto agli Istituti di credito in punto “di fatto”, sia in quanto privi di denaro e bisognosi di disporne sia in quanto svantaggiati da una condizione di oggettivo disequilibrio informativo –, a non vedersi applicare (e conseguentemente dover pagare) interessi in misura usuraria rispetto ai valori-soglia tempo per tempo determinata.

In questo caso – ove si voglia condurre un’analisi giuridica, senza farsi attrarre dal piano delle valutazioni storico-economiche, che sfuggono ed esulano dai confini di detta analisi per rientrare in quella della mera opportunità –, l’interesse preminente deve preferibilmente essere individuato in quello del debitore.

A spingere verso tale soluzione è un argomento di ordine sistematico, che muove da principi di ordine generale. Non è infrequente, infatti, che gli ordinamenti prevedano forme di tutela per i soggetti – per cosi dire – “deboli” nel rapporto contrattuale, quali, a titolo esemplificativo, le cc. dd. “nullità di protezione” previste a favore dell’investitore che stipuli contratti di negoziazioni

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in strumenti finanziari sul mercato (si pensi all’art. 23 T.U.F.).

E così, nella fattispecie dell’usura sopravvenuta, sembra ragionevole ritenere preminente l’interesse del sovvenuto che patisca l’effetto usurario sopravvenuto rispetto a quello della banca, che trarrebbe così beneficio dalla corresponsione di interessi in misura superiore a quelli tempo per tempo superiori alla soglia.

La soluzione interpretativa contraria alla configurabilità dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi, peraltro, contrasta frontalmente con la stessa ratio della legge antiusura n.108/1996 sotto più di un profilo.

Invero, in primis, non ammettendo l’usura sopravvenuta si verrebbe a determinare un’oggettiva disparità di trattamento tra la posizione un cliente che sia chiamato a corrispondere interessi in misura superiore alla soglia sulla base di una pattuizione originariamente intra-soglia e quella di un soggetto che, pur cliente della stessa banca, benefici della variazione in diminuzione del limite legislativo medio tempore intervenuta e, dunque, sia onerato di versamenti a tale titolo in misura inferiore144.

Per altro verso, l’impostazione concettuale in parola non è coerente e compatibile con la struttura e la ratio del sistema sanzionatorio predisposto dal legislatore del 1996 ritenere che la corresponsione di interessi in misura usuraria possa essere salvaguardata da una previsione di “tolleranza” ove il suo effetto si manifesti in forma sopravvenuta.

144 La validità di tale argomento è riconosciuta anche da chi, in dottrina, conclude per l’inammissibilità del fenomeno dell’usura sopravvenuta: cfr. CIVALE, Usura sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca-cliente, cit., 8.

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Se l’idea che ha mosso l’intervenuto legislativo del 1996 è quella di sanzionare la parte contraente che domandi la corresponsione di interessi in misura usurari, limitando l’applicazione della sanzione civilistica di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., ciò significa che la sopravvenienza del fenomeno non debba comportare alcun effetto – anche differenziato, in termini di rimedio civilistico –, sui rapporti di credito in corso.

Questa impostazione è anche aderente alla volontà del legislatore di oggettivizzare la fattispecie usuraria: diversamente opinando occorrerebbe ammettere che la L. n.108/1996 è incoerente con se stessa allorquando statuisce che gli interessi sono sempre usurari ove pattuiti in misura superiore al tasso-soglia normativamente tempo per tempo determinato e poi, all’atto pratico, non ne sanzioni in alcun modo la corresponsione in concreto nell’ipotesi di usura sopravvenuta.

Non sembra potersi predicare, infatti, alcuna compatibilità di sorta tra la disposizione di cui all’art. 1, comma primo, L. 108/1996, a mente del quale “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” e una previsione di inammissibilità e di non sanzionabilità del fenomeno dell’usura sopravvenuta.

Con la novella dell’art. 644 c.p., infatti, il legislatore del 1996 ha introdotto nell’ordinamento giuridico un divieto espresso a contenuto variabile, connesso alla rilevazione dei tassi di interesse operata dalla Banca d’Italia su base trimestrale.

In altri termini, con la L. n.108/1996, si è introdotto un limite all’autonomia negoziale dei contraenti che è parametrato alle rilevazioni periodiche dei tassi effettivi globali medi applicati sul mercato e che, in costanza di rapporto, comporta la sopravvenienza di un divieto legislativo, come pure, sotto il profilo civilistico,

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l’inesigibilità sopravvenuta di interessi in misura superiore al tasso-soglia tempo per tempo determinato dalla legge145.

Per contro, come opportunamente sostenuto in dottrina, “circoscrivere la rilevanza del fenomeno usurario al momento costitutivo non solo vanificherebbe gli scopi perseguiti dalla legge, ma risulterebbe in contrasto con i principi cardine del rapporto contrattuale, quali la meritevolezza, la buona fede oggettiva e soprattutto la proporzionalità” 146.

Ed ancora, si è a tal riguardo sottolineato che “il momento rilevante ai fini della valutazione [della] sproporzione va individuato nel tempo in cui il patto è destinato a trovare fisiologica applicazione ed esecuzione, ovvero il tempo della maturazione degli interessi. I frutti civili si acquistano infatti giorno per giorno in ragione della durata del diritto, sicché l’obbligazione di corrispondere gli interessi, pur rinvenendo la propria fonte e la propria ragione giustificativa nel contratto di mutuo, nasce non già nel momento costitutivo del rapporto, bensì alla scadenza dei singoli periodo in cui si articola il godimento da parte del mutuatario”147

Sulla base di questa nuova e diversa luce deve essere interpretata la legge di interpretazione autentica n.24/2001, con la conseguenza che l’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse non potrà essere mai ritenuta irrilevante, ma, 145 Cfr., in dottrina, INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, cit., 264. 146 Così QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, cit., 495. 147 QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, cit., 496; cfr. anche DOLMETTA, le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura, 635 e ss.

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all’opposto, essa deve essere intesa come un fenomeno comunque suscettibile di produrre una sproporzione da ricondurre ad equità.

Invero, quando è stato chiamato a pronunciarsi sull’efficacia della L. n. 108/1996, il legislatore ha espressamente inteso limitare gli effetti civilistici dell’art. 1815, secondo comma, c.c. al solo caso dell’usura originaria, stabilendo espressamente che soltanto in tale ipotesi avrebbe operato la conversione del mutuo oneroso in gratuito. Ciò equivale certamente ad escludere l’applicabilità del rimedio della non debenza degli interessi alle ipotesi di usurarietà sopravvenuta, ma in alcun modo nega che in tali fattispecie possa darsi corso ad altre e diverse strutture rimediali a tutela del contraente finanziato che versi interessi divenuti usurari.

E la rilevanza del fenomeno può evincersi anche dall’atteggiamento assunto dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, che, come si è detto, pur non ammettendo in astratto l’usura sopravvenuta, in verità tra le righe non solo la ammette, ma la tutela ex fide bona.

La restrizione della rilevanza del rimedio civilistico portato dalla L. n. 108/1996 al solo momento genetico della pattuizione sugli interessi, dunque, non esclude che possa comunque darsi tutela al mutuatario che, in conseguenza di una modificazione delle condizioni di mercato, sia chiamato a versare interessi in misura usurari.

Altro è comprendere quale debba essere la sanzione civilistica in tale ipotesi: ma questo è tutto un altro tema.

2.2.4. Le “clausole di salvaguardia” quale rimedio

di autonomia negoziale privata: una possibile soluzione all’usura sopravvenuta?

Affrontata e risolta in senso positivo la questione della rilevanza dell’usura sopravvenuta, è utile soffermarsi

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su una peculiare modalità attraverso la quale alcuni operatori del settore creditizio hanno cercato di regolare in via negoziale le fattispecie di sopravvenuto superamento del tasso-soglia ex L. n. 108/1996, che, nei limiti di cui si dirà, potrebbe rappresentare una soluzione almeno parziale del problema in parola.

Si tratta, in particolare, delle cc.dd. “clausole di salvaguardia” contenute nei contratti di mutuo ad ammortamento pluriennale, le quali prevedono, in buona sostanza, una limitazione espressa della misura degli interessi corrispettivi e/o moratori convenzionalmente pattuiti a quella prevista, tempo per tempo, dalla normativa antiusura, così come modificata con d.l. n. 70/2011.

Esemplificativamente, le clausole di salvaguardia trovano estrinsecazione in una pattuizione-tipo del seguente genere: “la misura degli interessi non potrà mai essere superiore al limite fissato ai sensi dell’art. 2, comma quattro, della legge 7 marzo 1996 n. 108, dovendosi intendere, in caso di teorico superamento di detto limite, che la misura sia pari al limite medesimo”148.

È evidente come una pattuizione di tal genere esclude in nuce la possibilità che il fenomeno dell’usura sopravvenuta si verifichi in concreto, in quanto prevede un meccanismo di “teorica” automatica sostituzione del tasso convenzionale divenuto superiore al limite ex L. n.108/1996 con il tasso-soglia medesimo.

E, proprio per tale ragione, le (per ora, poche) pronunce giurisprudenziali relative a giudizi nei quali gli

148 Una pattuizione di tal genere e struttura era prevista nei contratti di mutuo oggetto di alcune recenti pronunce dei Giudici di merito: si tratta, in particolare, di Trib. Napoli, 4 giugno 2014, (ord.), Giud. Est. Dott. Rossi, in www.expartecreditoris.it e Trib. Napoli, 9 gennaio 2014, (ord.), Giud. Est. Dott.ssa Cacace, in www.ilcaso.it .

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attori, pur in presenza di siffatte clausole, hanno lamentato di aver corrisposto alla banca interessi usurari sui mutui in via sopravvenuta, hanno affermato il principio per cui “la clausola di salvaguardia impedisce alla radice il superamento del tasso soglia ai fini della normativa in materia di usura”149 e, dunque, impone il rigetto delle domande del mutuatario (spesso poste, in via di opposizione, in procedimenti di esecuzione coattiva nei quali lo stesso debitore mutuatario si trovi a subire un’azione esecutiva sul proprio patrimonio).

Sotto il profilo strettamente civilistico, le clausole di salvaguardia impongono un obbligo contrattuale in capo all’Istituto di credito avente contenuto specifico, vale a 149 Trib. Napoli, 9 gennaio 2014, (ord.), cit. Nel caso preso in esame dal Tribunale partenopeo, il debitore mutuatario domandava la sospensione dell’esecuzione che un Istituto di credito aveva promosso avverso lo stesso debitore sulla base di un contratto di mutuo che, in punto di superamento del tasso soglia, espressamente prevedeva, all’art. 4, una clausola di salvaguardia la quale, nell’ipotesi di sopravvenuto superamento del tasso-soglia ex L. n. 108/1996, riduceva l’ammontare degli interessi convenzionali al limite del tasso-soglia. Analogamente si è espressa anche Trib. Napoli, 4 giugno 2014, (ord.), cit., la quale, dopo aver rilevato l’inadeguatezza e l’insufficienza delle allegazioni di parte in ordine al superamento del tasso-soglia, ha definitivamente statuito che “ad ogni buon conto e per dissipare ogni perplessità, la usurarietà del tasso di interessi moratori rimane esclusa in conseguenza della pattuizione della cd. “clausola di salvaguardia” nel mutuo in discorso: all’art. 6 (rubricato interesse di mora, si prevede, infatti, testualmente che “la misura di tali interessi non potrà mai essere superiore al limite fissato ai sensi dell’art. 2, comma quattro, della legge 7 marzo 1996 n. 108, dovendosi intendere, in caso di teorico superamento di detto limite, che la misura sia pari al limite medesimo” (sulla clausola di salvaguardia quale elemento che impedisce il superamento del tasso soglia, v. conforme Tribunale Napoli, ord. 28 gennaio 2014)”.

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dire il dovere di procedere ad un costante e continuo adeguamento delle previsioni contrattuali in rapporto all’andamento dei tassi dei tassi-soglia nel corso del tempo (e, quindi, a ben vedere, considerata la modalità di calcolo della limite legislativo ex L. n. 108/1996, all’andamento dei tassi medi praticati sul mercato dagli stessi Intermediari finanziari trimestralmente rilevati dalla Banca d’Italia).

In mancanza del corretto adempimento di tale obbligo di adeguamento della clausola contrattuale determinativa degli interessi convenzionali, infatti, l’inadempimento dell’Intermediario creditizio costituirebbe ragione giustificatrice di un’azione giudiziale da parte del mutuatario specificamente volta all’accertamento dell’inadempimento stesso, come pure diretta a ripetere le somme versate a titolo di interesse in misura superiore alla soglia ed anche a far valere una eventuale responsabilità risarcitoria dell’Istituto di credito verso il debitore150.

La clausola di salvaguardia potrebbe essere interpretata come una sorta di rimedio anticipato a matrice negoziale, che muove dalla volontà delle parti di procedere alla riduzione automatica dei tassi applicati sino al limite della soglia di legge ogniqualvolta questi si attestino, in concreto, su valori superiori al consentito: in questo senso, essa potrebbe essere intesa come espressione di

150 Potrebbe essere configurata anche una responsabilità risarcitoria in capo all’Intermediario creditizio “usuraio”, a titolo esemplificativo, nell’ipotesi in cui il mutuatario, per dover versare interessi accertati come usurari in misura particolarmente elevata, si sia reso inadempiente ad altre e diverse obbligazioni assunte verso un soggetto terzo, essendo stato conseguentemente costretto al pagamento di penali di rilevante importo.

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un’autonomia negoziale delle parti conforme alla ratio della L. n. 108/1996.

Di conseguenza, quantomeno con riferimento all’effetto concreto di tutela del mutuatario che la stessa produce, l’inserimento di una clausola di salvaguardia dall’oscillazione dei tassi di interesse nei contratti di credito potrebbe costituire una modalità di contenimento del fenomeno usurario (e sempre che si tratti di usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse e non già originaria, come si dirà a breve).

Peraltro, l’inserimento delle clausole di salvaguardia nei contratti di credito a durata pluriennale sarebbe idonea ad incidere in senso deflattivo sui livelli di contezioso tra Istituti di credito mutuanti e debitori mutuatari.

Salvo che l’Istituto di credito non provveda all’adeguamento dei tassi di interesse alla soglia – ed in questa ipotesi, si aprirebbe la strada, prima ancora che ad un’azione di ripetizione di quanto pagato in misura superiore alla soglia, ad un’azione volta ad ottenere l’adempimento, ovvero di risoluzione per inadempimento contrattuale imputabile alla banca ovvero ancora di risarcimento del danno –, dunque, il mutuatario non avrebbe titolo per agire in giudizio nei confronti della banca per far valere il sopravvenuto superamento del tasso-soglia, che, come detto, sarebbe escluso in radice dall’opera (obbligatoria) di adeguamento del testo contrattuale posta in essere dall’Intermediario creditizio.

E ciò soprattutto ove si consideri che il mutuatario che agisca facendo valere l’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse potrebbe ottenere, secondo gli orientamenti assunti dalla più recente giurisprudenza di merito e di legittimità che si avrà modo di illustrare in dettaglio nel prosieguo della trattazione, soltanto la declaratoria di nullità parziale ex art. 1419, secondo

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comma, c.c. e l’applicazione di interessi in misura inferiore al tasso convenzionale e pari al tasso-soglia ex L. n.108/1996, mediante sostituzione automatica ex art. 1339 c.c.. Con la conseguenza che l’eventuale instaurazione di una controversia avanti l’organo giurisdizionale non potrebbe comunque produrre per il mutuatario un esito più favorevole rispetto a quelli che si produce, di fatto, in conseguenza del corretto adempimento da parte dell’Intermediario creditizio sulla base della clausola di salvaguardia inserita nel contratto.

Per altro verso, deve osservarsi che le clausole di salvaguardia – analogamente, ad esempio, alle clausole di indicizzazione volte ad eliminare gli effetti pregiudizievoli del principio nominalistico e della svalutazione monetaria nelle obbligazioni pecuniarie –, sono certamente meritevoli di tutela nell’ordinamento, in quanto assolvono la funzione di porre i contraenti al riparo da eventi futuri (ed incerti) successivi al momento genetico del contratto e che possano incidere in vario modo sulla validità o sull’efficacia dello stesso.

In altri termini, esse cristallizzano la volontà dei contraenti di rispettare il precetto normativo di cui alla legge antiusura n. 108/1996, impedendo, di fatto, che nell’ipotesi, ex ante non prevedibile, che il saggio di interesse applicato divenisse superiore al limite di legge nel corso della fase esecutiva del rapporto di credito, il tasso convenzionale non sarà applicato se non nella misura ridotta dello stesso tasso-soglia.

Pur presentandosi prima facie idonee a tutelare in concreto la posizione mutuatario, come pure coerenti con la ratio della disciplina in materia di usura, le clausole di salvaguardia, se esaminate da un differente angolo visuale, presentano profili di criticità non irrilevanti.

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Esse, infatti, hanno portata applicativa rigorosamente riferibile in via esclusiva alla fattispecie dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale.

Nella distinta ipotesi in cui la pattuizione degli interessi convenzionali sia ab origine usuraria, prevedendo essa un saggio di interesse oltre soglia sin dal momento genetico del contratto, infatti, la clausola di salvaguardia si risolverebbe in una modalità non trasparente e non corretta di aggiramento della disciplina antiusura ex L. n.108/1996, volta a celare al mutuatario la violazione del precetto normativo imperativo da parte dell’Intermediario creditizio.

L’operatività della clausola in parola, inoltre, configurerebbe, di fatto, una manovra elusiva della L. n.108/1996, volta ad evitare l’applicazione del drastico ed economicamente gravoso rimedio della conversione del mutuo oneroso in gratuito ex art. 1815, secondo comma, c.c., impedendo al mutuatario di accedere alla forma di tutela all’uopo predisposta dal legislatore proprio per il caso in cui i tassi convenzionali siano stati pattuiti ab origine in misura usuraria.

Da tale angolo visuale, la clausola di salvaguardia sarebbe suscettibile essere dichiarata – oltre che vessatoria, in quanto fonte di un palese squilibrio contrattuale –, altresì nulla ex artt. 1418 e 1344 c.c., poiché convenuta in frode alla legge e al solo scopo di eludere la sanzione prevista dall’art. 1815, secondo comma, c.c., norma certamente imperativa ed inderogabile dai contraenti.

Peraltro, in questa ipotesi, la clausola di salvaguardia non potrebbe nemmeno adempiere alla propria specifica funzione, vale a dire porre le parti al riparo dagli effetti, eventualmente pregiudizievoli, che dipendano da eventi futuri ed incerti, difettando in toto dello stesso presupposto

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per la sua operatività, che deve reperirsi nell’incertezza della verificazione di un fatto dai cui effetti le parti intendono porsi al riparo (nella specie, l’oscillazione verso il basso dei tassi di interesse e, conseguentemente, il sopravvenuto superamento da parte dei tassi convenzionali del limite stabilito dalla soglia normativa).

Non si tratterebbe, infatti, di un’ipotesi in cui l’oscillazione di tassi di interesse nel corso del rapporto contrattuale produce l’usurarietà sopravvenuta del tasso convenzionale, ma, all’opposto, del caso in cui le parti, al momento della sottoscrizione del contratto – e, dunque, anche della clausola di salvaguardia ivi inclusa –, già sono a conoscenza del fatto che i tassi di interesse sono superiori alla soglia legislativa.

Non operando in un contesto di oggettiva incertezza sull’andamento dei tassi di interesse, dunque, la clausola di salvaguardia non potrebbe in questo caso essere valutata come meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

Peraltro, ulteriori profili di criticità emergono ove si focalizzi lo sguardo sulla modalità con cui la stessa struttura della clausola di salvaguardia è costruita. Essa appare, infatti, fondamentalmente tautologica, in quanto prevede che, nell’ipotesi in cui si addivenga alla violazione della norma imperativa di cui alla L. n.108/1996 (avente portata non sono civilistica, ma, addirittura, penalistica), il mutuante si impegna ad adeguare il contratto al precetto inderogabile della legge, vale a dire all’esecuzione di una prestazione che egli è già tenuto ad eseguire, non in virtù delle disposizioni convenzionali del contratto, ma sulla base di un obbligo di legge a carattere imperativo di rango sovraordinato rispetto all’autonomia negoziale delle parti.

La clausola di salvaguardia, dunque, sembra celare un tentativo di far apparire come virtuosa una condotta che, in realtà, è per l’Intermediario creditizio obbligatoria

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sulla base di un inderogabile precetto normativo (e, peraltro, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità).

Così intese, dunque, le clausole di salvaguardia si rivelano sostanzialmente prive di una concreta funzione, come pure non trasparenti alla valutazione del mutuatario quanto al loro concreto funzionamento.

Invero, da un lato, non risulta chiaro come l’intermediario debba dare attuazione a detta clausola e, dall’altro lato, dal punto di vista squisitamente operativo, la clausola opererebbe nel senso di ridurre il saggio degli interessi soltanto allorquando il superamento del tasso-soglia si sia già verificato, vale a dire in un momento in cui la violazione della normativa in materia di usura si è già verificata.

Non sembra, dunque, che l’inclusione nel testo contrattuale di una clausola di salvaguardia del tenore di quelle sopra descritte possa costituire ragione di esclusione della responsabilità dell’Intermediario creditizio per l’intervenuta violazione della normativa in materia di usura (anche per l’ipotesi residuale di cui all’art. 1, comma quarto, L. n.108/1996, della c.d. usurarietà soggettiva in concreto).

Pur con le succitate (e, come anticipato, non irrilevanti) criticità e nei limiti descritti, le clausole di salvaguardia – se analizzate in una prospettiva pratico-applicativa ed avendo riguardo all’effetto concreto che esse determinano sul contratto di credito, in termini di tutela della posizione del mutuatario in riferimento all’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali –, potrebbero rappresentare, a parere di chi scrive, una possibile via per ridurre l’impatto del fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta degli interessi convenzionali, che, come si è avuto modo di dire, è

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particolarmente diffuso e produce un denso contenzioso in sede giudiziale.

2.3. Tasso di interesse moratorio e tasso-soglia ex L. n. 108/1996: tratti di disomogeneità del sistema normativo e necessità di un intervenuto legislativo di riforma.

2.3.1. Premessa. Sciolto il nodo della configurabilità dell’usurarietà

sopravvenuta dei tassi di interesse, occorre soffermarsi su un secondo e diverso profilo problematico che caratterizza la disciplina antiusura, vale a dire il rapporto tra tasso-soglia e tasso di interesse moratorio.

Volendo riassumere un tema che, per la sua importanza e per i suoi risvolti pratici, anche in funzione di alcune lacune normative di cui si dirà di seguito, difficilmente può essere ridotto ai minimi termini e risolto in poche righe, si tratta, da un lato, di capire se gli interessi moratori debbano o meno essere considerati quali voci di costo del credito suscettibili di essere inclusi nel TEGM e, dunque, nel tasso-soglia trimestralmente determinato dal Ministero e, dall’altro lato, se il tasso di mora medesimo debba essere incluso nel computo del TEG applicato in concreto da raffrontare alla soglia.

Va infatti ricordato che la corresponsione da parte del debitore di interessi al tasso moratorio non rappresenta una componente fisiologica, strutturale ed imprescindibile del contratto di mutuo ovvero delle altre forme di finanziamento, ma un evento a carattere soltanto eccezionale che trova la propria ragion d’essere nella

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patologia contrattuale data dall’inadempimento del contraente sovvenuto.

Tuttavia, la ratio e lo scopo perseguito dalla L. n.108/1996, ha imposto al legislatore di sanzionare ogni forma di usura, anche nelle sue componenti meramente eventuali (e, dunque, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito e di legittimità) anche con riguardo ai tassi moratori.

Proprio per tale ragione il legislatore, nell’individuare i “pesi” e i costi da computare ai fini della valutazione del superamento del tasso-soglia, ha utilizzato una formula il più possibile omnicomprensiva, stabilendo espressamente che debbono essere considerati a tal fine gli oneri o le altre “utilità” versati dal mutuatario al creditore mutuante a qualsiasi titolo151.

Tra gli oneri dovuti dal mutuatario “a qualunque titolo”, secondo l’orientamento della giurisprudenza maggioritario, è ragionevole ritenere che debbano essere inclusi anche gli interessi moratori152. 151 Come è noto, infatti, ai sensi dell’art. 1 L. n. 108/1996, “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”. 152 Si veda sin d’ora Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Giust. civ. Mass., 2000, 877, a mente della quale “non v’è ragione per escluderne l’applicabilità [n.d.r. della disciplina antiusura] anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3° comma, ha valore assoluto in tale senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall’art. 1224, 1° comma, del codice civile, nella parte in cui prevede che se prima

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La scelta operata di includere i tassi moratori nel computo del TEG applicato da raffrontare al tasso-soglia, seppur astrattamente ragionevole, porta con sé, tuttavia, serie problematiche di ordine pratico-applicativo.

Invero, i tassi di mora non sono inclusi nel computo del TEGM comunicato dal sistema bancario al Ministero ai fini della determinazione del tasso soglia: le Istruzioni fornite agli Intermediari finanziari dalla Banca d’Italia, infatti, sono molto nette nell’escludere il tasso di mora dagli oneri gravanti sui soggetti finanziati da considerarsi per la determinazione del costo del credito ai fini di usura.

Tale discrepanza tra le Istruzioni dell’Autorità di Vigilanza e gli orientamenti della giurisprudenza viene a determinare, tuttavia, una rilevante disomogeneità dei valori di riferimento, da cui consegue una sempre più elevata incidenza nella prassi del fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi.

Ove si raffronti il TEG del singolo contratto di credito, computato tenendo conto del tasso di mora, con il tasso-soglia determinato sulla base del TEGM che, invece, di tale mora non tiene conto, aumentano le possibilità che si concreti un’ipotesi di usurarietà sopravvenuta del tasso di interesse applicato al soggetto finanziato.

Il raffronto di valori percentuali non omogenei, determina infatti un disequilibrio nella valutazione del rapporto di credito, con conseguenti problematiche nella gestione delle controversie che, in concreto, sono state della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge”. Sono seguite numerose pronunce al riguardo, che saranno oggetto di analisi nell’excursus giurisprudenziale che sarà svolto nei successivi paragrafi.

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instaurate e continueranno ad essere incardinate tra mutuatario e mutuante avanti i Giudici di merito e di legittimità.

È evidente, dunque, l’interesse che il tema riveste per gli operatori del diritto.

Premessa una dettagliata rappresentazione dello stato dell’arte in punto di usura e tassi di interesse moratorio, ci si soffermerà sulle modalità mediante le quali il raffronto tra i valori percentuali del tasso moratorio e la soglia va operato, analizzando le (erronee, è opportuno sin da questo momento sottolinearlo) impostazioni adottate da taluni operatori del diritto153 e le soluzioni di volta in volta adottate dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, per provare a reperire nel sistema normativo una modalità di composizione dei dissensi in punto di rilevanza ai fini dell’usura dei tassi di interesse moratorio.

2.3.2. Un excursus giurisprudenziale tra Corte

Costituzionale, Corte di Cassazione, Arbitro Bancario Finanziario e Tribunali di merito.

2.3.2.1. L’apertura all’inclusione del tasso moratorio nel TEG da confrontare alla soglia: La sentenza n. 29/2002 della Corte Costituzionale. La Corte di Cassazione e la rilevanza del tasso di mora ai fini della verifica dell’usurarietà dei tassi di interesse.

Nella letteratura giuridica, la soluzione favorevole alla rilevanza degli interessi moratori ai fini della verifica dell’usurarietà dei tassi pattuiti tra Istituto di credito mutuante e soggetto finanziato è da sempre dibattuta. La soluzione favorevole all’inclusione degli stessi nel 153 In particolare, la mera sommatoria delle percentuale dai tassi corrispettivi e moratori quale valore di raffronto con il tasso-soglia.

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computo del TEGM sulla base del quale viene determinato il tasso soglia, inoltre, è molto discussa154.

La questione nasce da un passaggio argomentativo contenuto nella pronuncia n. 29 del 25 febbraio 2002 della Corte Costituzionale, che – chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma primo, d.l. n. 394/2000 di interpretazione autentica della Legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura e dichiarando inammissibili e comunque infondate le questione di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 35, 41 e 47 Cost. –, ha affermato che “il riferimento, contenuto nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”

155. 154 In questo senso, cfr. DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 503. Si vedano anche le fonti bibliografiche ivi citate e, in particolare, FAUCEGLIA, Del mutuo, in Comm. del codice civile, diretto da Gabrielli, Dei singoli contratti, Torino, 2011, 200 e ss; TATARANO, Il mutuo bancario tra sistema e prassi, in Quaderni della Rivista Impresa, Ambiente e Management, Napoli, 2012, 78 e ss; NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, in I contratti per l’impresa, a cura di Gitti, Maugeri e Notari, II, Bologna, 2012, 29. 155 Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, in Giust. civ. 2002, I, 869; in Giur. it., 2002, 997; in Foro it. 2002, I, 934, con nota di PALMIERI, Interessi usurari: una nuova partenza; in Dir. e Formazione, 2003, 371, con nota di CAMINITI, La legittimità dell'interpretazione autentica della legge sull'usura e l'applicabilità dell'art. 1815 c.c. agli interessi moratori; in Riv. pen., 2002, 537; in Giur. cost., 2002, 194; in Contr., 2002, 545, con nota di SCOZZAFAVA, Interpretazione autentica della normativa

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Nei confini dell’obiter dictum della Corte Costituzionale si è mossa la Corte di Cassazione, la quale, con la pronuncia n. 350 del 9 gennaio 2013, ha (nuovamente) ribadito che “al fine del riscontro di eventuale usurarietà dei tassi preveduti in un contratto di mutuo debbono essere computati anche gli interessi moratori convenzionalmente stabiliti” 156.

La fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione riguardava un mutuo ipotecario per l’acquisto di una casa di abitazione con riferimento alla quale il sovvenuto lamentava di aver corrisposto interessi in misura usuraria con esclusivo riferimento ad una rata del piano di ammortamento.

Il tasso effettivo applicato alla rata di mutuo oggetto di contestazione era pari, secondo le previsioni contrattuali, al 10,5%, mentre il TEGM rilevato dalla Banca d’Italia era pari – all’epoca del presunto “sforamento” della soglia, aprile-giugno 1998 –, all’8,29%, con la conseguenza che sia il Tribunale di prime cure che la Corte d’Appello in sede di impugnazione, sulla base di una semplice operazione

in materia di usura e legittimità costituzionale; in Giur. it., 2002, 1125, con nota di GENTILI, Usurarietà sopravvenuta e interpretazione autentica del diritto giurisprudenziale. 156 Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in Giust. Civ. Mass., 2013, 1; in Dir. & Giust., 2013, 10 gennaio, con nota di VAZZANA, Il tasso soglia fissato dal legislatore riguarda anche gli interessi moratori, in Guida al diritto, 2013, 7, 22; in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 498, con nota di DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali.

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matematica (maggiorazione del TEGM della sua metà), avevano escluso il superamento del tasso-soglia, rigettando la domanda dell’attore.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha sovvertito pronunce dei giudici del merito, accogliendo la censura di usurarietà dei tassi applicati al mutuo, affermando che “la stessa censura … è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell’atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tesso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”157.

In altri termini, in ordine al discusso profilo della computabilità dell’interesse moratorio ai fini della valutazione del superamento del tasso-soglia ex L. n.108/1996, la Suprema Corte conclude nel senso della rilevanza degli stessi, richiamando l’inciso contenuto nella pronuncia n. 29/2002 della Corte Costituzionale.

A ben vedere, l’orientamento della Corte di Cassazione in ordine alla rilevanza del tasso di mora ai fini della valutazione dell’usurarietà dei tassi convenzionali dei contratti di credito può dirsi consolidato.

Plurime sono, infatti, le pronunce del Supremo Collegio nelle quali si pone in luce la necessità che l’usurarietà del tasso concretamente applicato debba essere valutata anche alla luce del tasso moratorio pattuito ed indipendentemente dal verificarsi dal fatto scatenante 157 Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, cit.

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dell’inadempimento, in quanto “non v’è ragione per escludere l’applicazione [della nuova disciplina normativa dell’usura] … anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia” 158.

Molteplici sono, inoltre, le pronunce della Suprema Corte159 che danno per presupposta la ricomprensione 158 Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Giust. civ. Mass., 2000, 877; in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 620, con nota di DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996; in Corr. Giur., 2000, 878, con nota di GIOIA, La disciplina degli interessi divenuti usurari: una soluzione che fa discutere; in Foro it., 2000, I, 2180; in Giur. it. 2000, 1665; in Riv. not., 2000, 1445, con nota di GAZZONI, Usura sopravvenuta e tutela del debitore; in Giur. it., 2001, 311; in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 129, con nota di SPANGARO, Tassi di interesse divenuti usurari alla luce della L. n. 108/1996: nullità sopravvenuta o inefficacia?, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 257, con nota di PONTI-FERRARI, Ancora in tema di retroattività della legge sull’usura). Nei medesimi termini si è espressa anche Cass., 4 aprile 2003, n. 5324, in Giust. civ. Mass., 2003, 4, secondo cui “in tema di contratto di mutuo, l'art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori”; più di recente, e Cass., 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, in Danno e resp., 2014, 2, 193, con nota di COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?; anche in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 487, con nota di QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, sulle quale ci si soffermerà infra, a mente delle quali ai fini della valutazione del superamento del tasso-soglia “gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari”. 159 Cfr., ex multis, Cass, 26 giugno 2001, n. 8742, in Giust. civ. Mass., 2001, 1272; Cass., 22 luglio 2005, n. 15497, in Giust. civ. Mass., 2005, 6; Cass., 22 aprile 2010, n. 9532, in Giust. civ. Mass. 2010, 4, 582 ; Cass., 13 maggio 2010, n. 11632, in Giust. civ.

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degli interessi moratori nel calcolo del TEG applicato al caso concreto da rapportarsi al tasso-soglia, con la conseguenza che tale orientamento deve assumersi addirittura come granitico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.

In senso pedissequamente conforme all’insegnamento della Corte di Cassazione si è espresso, in epoca recentissima, un Giudice di Pace di Domodossola, che, allineandosi al principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione nelle predette pronunce ha ritenuto che gli interessi di mora debbano certamente essere considerati ai fini della valutazione del superamento del tasso-soglia ex L. n. 108/1996160. Mass., 2010, 5, 739. È possibile rinvenire anche un precedente anteriore all’entrata in vigore della L. n.108/1996: si tratta di Cass., 7 aprile 1992, n. 4251, in Vita not., 1992, 1137 e in Giust. civ. Mass., 1992, 4. 160 Giud. Pace Domodossola, 2 maggio 2014, n. 88, in www.ildirittobabancario.it, ove si afferma che “il vero nodo da sciogliere, però, riguardo l’aspetto fondamentale se il tasso sugli interessi di mora rientra o meno nel computo del TAEG o quanto meno se il tasso di mora debba sommarsi al TAEG per valutare se l’interesse calcolato corrisponda o meno a quello previsto dalla legge e se conseguentemente l’interpretazione della clausola sugli interessi debba o meno essere fatta considerando l’interesse di mora come sommato al TAEG e se si supera o meno il tasso soglia di cui all’art. 2 della Legge 108/1996. Sul punto innanzitutto si è già pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza 25.2.2002, n. 29 dove si legge, tra l’altro che “il credito azionato essendo costituito da rate di mutuo, è comunque comprensivo anche di interessi corrispettivi, pur essi eccedenti il tasso soglia, rispetto ai quali la rilevanza della questione è assolutamente pacifica. Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 200, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto,

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2.3.2.2. Gli interventi (chiarificatori?) della

Autorità di Vigilanza: la comunicazione della Banca d’Italia del 3 luglio 2013.

L’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione in ordine all’inclusione degli interessi moratori nel computo del TEG concretamente applicato da confrontare al tasso-soglia ex L. n.108/1996 è potenzialmente in grado di produrre un pregiudizio al sistema bancario e creditizio nel suo complesso.

Un siffatto approccio interpretativo, infatti, consentirebbe al debitore sovvenuto di eccepire l’usurarietà del saggio di interesse pattuito allorquando gli interessi corrispettivi e moratori (ovvero, sulla base di un’interpretazione, come vedremo, distorta161, la sommatoria algebrica dei predetti tassi) sia superiore alla soglia di cui alla normativa anti-usura.

Anche in virtù di tale ragione, la Banca d’Italia, nel fornire indicazione agli Intermediari finanziari, si è

del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”. In ultimo, con la nota sentenza 9 gennaio 2013, n. 350, la Corte di Cassazione ha pienamente confermato che gli interessi di mora devono essere tenuti in considerazione ai fini della valutazione del superamento o meno del tasso-soglia di cui alla Legge 108/1996 … Dunque, nell’applicare i tassi relativi al contratto di mutuo tra le parti, non può che ermeneuticamente trovare applicazione la vigente normativa ance e soprattutto a seguito della giurisprudenza costituzione e di legittimità che la riguarda”. 161 Sull’illogicità della tesi che ammette la sommatoria algebrica dei tassi di interesse corrispettivo e moratorio ai fini del raffronto col tasso-soglia ci si soffermerà infra.

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appositamente occupata di tale problematica, come una comunicazione di chiarimenti in data 3 luglio 2013162.

In ordine allo specifico profilo della rilevanza – o meglio, della irrilevanza –, dei tassi di interesse moratorio ai fini del calcolo del TEG ai sensi e per gli effetti della L. n.108/1996, la Banca d’Italia, nella comunicazione in parola, statuisce che “i TEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito. Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG”.

La ragione su cui si fonda l’esclusione dei tassi moratori dal computo del TEGM e, conseguentemente, dal tasso-soglia, viene individuata dalla Banca d’Italia nella circostanza che gli stessi “non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente”.

A motivo dell’esclusione degli interessi moratori dal calcolo del TEGM rilevante ai fini della determinazione della soglia di usura, vi è la circostanza che la stessa “evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. 162 Comunicazione della Banca d’Italia in data 3 luglio 2013, recante “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, cit., con commento, in dottrina, di MALVAGNA, A commento della comunicazione Banca d’Italia 3 luglio 2013: sull’usura sopravvenuta, cit.; MARCELLI, I chiarimenti della Banca d’Italia in materia di applicazione della legge antiusura: uno sgarbo alla giurisprudenza, cit.; DOLMETTA, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3.7.2013: usura e interessi moratori, cit.

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Per altro verso, sempre secondo la Comunicazione di chiarimenti oggetti di analisi “anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura … [ma] per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo”163.

2.3.2.3. Illogicità, irragionevolezza ed inammissibilità della sommatoria del tasso di interesse corrispettivo e di quello moratorio ai fini dell’individuazione del TEG da raffrontare al tasso-soglia ex L. n. 108/1996.

Come si è detto, il passaggio argomentativo della motivazione della sentenza n. 350/2013 della Corte di Cassazione ove si legge che debbono intendersi come usurari gli interessi “che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi

163 Vedremo di seguito come il valore percentuale rappresentativo della mora (2,1 %) non rappresenta in realtà, secondo lo stesso Arbitro Bancario Finanziario, un valido parametro di riferimento ai fini della valutazione dell’usurarietà del tasso moratorio: esso si riferisce, infatti, ad una rilevazione operata nei primi anni Duemila e, dunque, non più attuale e in linea con il mercato del credito.

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moratori”164, è stato interpretato da alcuni operatori del diritto in maniera fuorviante, dando luogo ad un folto contenzioso in sede civile.

In particolare, alcuni interpreti hanno ritenuto che, nell’affermare l’astratta possibilità di includere gli interessi moratori nel computo del TEG da raffrontare al tasso-soglia tempo per tempo determinato sulla base dei decreti ministeriali, la Suprema Corte avesse affermato il principio per cui ove la sommatoria algebrica del tasso di interessi corrispettivo e di quello moratorio avesse condotto ad un valore percentuale superiore alla soglia, il contratto avrebbe dovuto essere considerato usurario e, conseguentemente, invalido.

In questa ipotesi, dunque, i sostenitori di tale impostazione hanno provato a sostenere che la pattuizione convenzionale degli interessi fosse ab origine viziata da nullità ex art. 1815, secondo comma, c.c., con la conseguenza che il mutuatario non sarebbe tenuto al versamento degli interessi, in quanto non dovuti.

Di qui l’instaurazione di una serie di controversie giudiziali avverso gli Istituti di credito volte a ripetere le somme di sino a quel momento versate con riferimento al rapporto di credito in essere con la banca165.

164 Cfr. Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, cit., che riprende, come anche già rilevato, l’inciso della sentenza n. 29/2002 della Corte costituzionale nel quale si ammette che “il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”. 165 Il fenomeno ha riguardato - in particolare, ma non solo -, i mutui ipotecari per l’acquisto della “prima casa” di abitazione, atteso che nella parte più rilevante dei casi essi prevedevano un saggio di interesse moratorio che, se meramente sommato algebricamente a quello convenzionale relativo agli interessi corrispettivi, conduceva allo “sforamento” (in alcune fattispecie, anche molto netto) del

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Una siffatta interpretazione, tuttavia, è del tutto fuorviante e non rispondente al dettato normativo. L’irragionevolezza delle argomentazioni sollevate da chi aderiva a tale orientamento non è sfuggita alla giurisprudenza dei Tribunali di merito, i quali, nonostante la “novità” della questione e la brevità del tempo (meno di un anno e mezzo) trascorso dall’emanazione della pronuncia n. 350/2013 della Corte di Cassazione, si sono già trovati ad affrontare e risolvere domande giudiziali formulate dai clienti finanziati avverso le Banche che trovavano fondamento nella predetta impostazione concettuale. Le Corti di merito hanno rilevato, a tal riguardo, che “una siffatta ricostruzione dei fatti … [è] frutto di una fuorviante interpretazione della statuizione assunta dalla Corte di Cassazione con la nota pronuncia n. 350/2013 nella quale è stato testualmente sostenuto che “risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori” 166. Secondo la citata giurisprudenza, “tale motivazione merita una interpretazione adeguata e coerente con il sistema, laddove, pure affermando e ribadendo la stessa

tasso soglia così come determinato sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia. 166 Trib. Napoli, 15 aprile 2014, (ord.), Giud. Rel. Dott. Nicola Mazzocca, reperibile su www.expartecreditoris.it.

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un principio ormai riconosciuto e già sancito anche in altra importante sentenza della Corte Costituzionale (25-2-2002, n. 29) non può ritenersi che in essa risulti affermato niente altro se non che la disciplina relativa al tasso soglia, con le relative sanzioni, riguarda anche gli interessi moratori in sé considerati, con la conseguenza che anche rispetto ad essi deve verificarsi attentamente l’eventuale superamento del tasso soglia”167. La statuizione della Corte di Cassazione secondo cui occorre fare riferimento, ai fini della determinazione del TEG concretamente applicato, anche agli interessi moratori, non deve intendersi come una “affermazione di principio circa la necessità di effettuare una sommatoria tra i tassi corrispettivi e i tassi moratori in relazione al limite del tasso soglia”168. Tale conclusione trova giustificazione nella differente natura delle previsioni pattizie degli interessi corrispettivi e moratori, che “restano autonome l’una dall’altra e solo occasionalmente interdipendenti”, atteso che al saggio di interesse moratorio deve essere attribuita “natura sostitutiva e non additiva del tasso corrispettivo, venendo lo stesso in rilievo in via eventuale solo per l’ipotesi di inadempimento”169. Sempre in punto di rilevanza dei tassi moratori ai fini della determinazione del TEG da confrontare alla soglia, altra giurisprudenza ha rilevato che “le particolari caratteristiche degli interessi di mora (che non sono dovuti al momento della erogazione del credito, ma solo in seguito all’eventuale inadempimento del cliente utilizzatore) giustificano la maggior onerosità di questi

167 Trib. Napoli, 15 aprile 2014, (ord.), cit. 168 Trib. Napoli, 15 aprile 2014, (ord.), cit. 169 Trib. Napoli, 15 aprile 2014, (ord.), cit.

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ultimi (volti a compensare il soggetto finanziatore per il predetto inadempimento) e l’esclusione degli stessi dal conteggio del TEG” 170.

Va infatti ricordato – e in questo senso si è pronunciato il Tribunale di Napoli nel provvedimento citato – che “la diversa natura degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori, sembra consentire uno sganciamento ed autonomia delle relative previsioni pattizie, con la conseguenza che solo nella ipotesi di superamento del tasso soglia relativamente all’interesse moratorio in sé considerato … si porrebbe un problema interpretativo circa la sorte di entrambe le previsioni pattizie, sebbene ragionevole sarebbe riconoscere la validità della previsione degli interessi corrispettivi, con

170 Trib. Brescia, 17 gennaio 2014 (ord.), Est. Dott. De Lellis, reperibile su www.expartecreditoris.it. Negli stessi termini si è espresso anche ABF Napoli, 5 dicembre 2013, n. 125/14, cit., il quale ha rilevato che gli interessi moratori non possono venire rapportati al c.d. tasso soglia, in quanto non concorrono in alcun modo nella rilevazione periodica e, quindi, nella formazione dello stesso tasso-soglia. Per altro verso, segnala sempre la pronuncia dell’Arbitro Bancario, gli interessi moratori “si pongono su un piano profondamente diverso rispetto agli interessi corrispettivi e non sono determinanti nella concessione del credito. … [gli interessi moratori] assolvono, dal punto di vista del debitore, ad un ruolo essenzialmente dissuasivo, ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere, mentre, dal punto di vista del creditore, assumono un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato. Per il cliente, la concreta applicazione degli interessi moratori dipende, in definitiva, solo dal proprio comportamento e ciò conferma che si è al di fuori del fenomeno dell’usura”.

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sanzione di nullità della sola previsione del tasso moratorio ultra soglia”171. La pronuncia in analisi non rappresenta un orientamento isolato, ma, anzi, si pone in linea con la più recente giurisprudenza di merito, la quale ha avuto modo di chiarire che gli interessi corrispettivi ed interessi moratori - pattuiti come tassi diversi e alternativi, applicabili in ipotesi distinte ed alternative -, non possono essere cumulativamente valutati ai fini del superamento della soglia. Nel senso della non cumulabilità degli interessi corrispettivi e di quelli moratori ai fini del computo del tasso-soglia ex L. n. 108/1996 si è espresso il Tribunale di Verona, il quale – premettendo che, in aderenza all’insegnamento della Suprema Corte, da un lato, anche gli interessi moratori devono essere pattuiti nel rispetto del tasso soglia e, dall’altro lato, essi vanno cumulati a quelli convenzionali, sulla base del combinato disposto degli artt. 644, comma terzo, c.p. e 1815, secondo comma, c.c., a mente del quale rilevano gli interessi corrisposti “ a qualunque titolo” –, ha tuttavia rilevato “come la questione risulti più complessa e, perciò, bisognosa di articolata ricostruzione”172. Ciò a rimarcare che, come si è ricordato in precedenza, la ricostruzione operata dagli interpreti – soprattutto esponenti del ceto forense –, si è dimostrata troppo semplicistica, erronea e fuorviante. La Corte veronese, infatti, ha rimarcato che, pur potendosi dare “per assodato l’assoggettamento “anche” degli interessi di mora alla disciplina imperativa in tema

171 Trib. Napoli, 15 aprile 2014, (ord.), cit. 172 Trib. Verona, 27 aprile 2014, Est. Dott. Andrea Mirenda, in www.ilcaso.it.

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di usura, non altrettanto può ripetersi per l’ipotesi del loro cumulo con quelli corrispettivi; si osserva, al riguardo, che tale esito … in tanto potrebbe essere condivisa in quanto fosse dimostrata, in coerenza con la ratio legis, l’identità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi. … La conclusione cui perviene il Supremo Collegio, a sommesso avviso dello scrivente, non pare conciliabile con il dato normativo emergente dagli artt. 644 e 1815 cit. Ciò perché, al di là di ogni ragionevole dubbio, le norme menzionate – insuscettibili di interpretazione analogica –, fanno chiaro riferimento alle prestazioni di natura “corrispettiva” gravanti sul mutuatario (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse), tali intendendosi in dottrina quelle legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale. Restano, così, escluse le prestazioni accidentali (e perciò meramente eventuali sinallagmaticamente riconducibili al futuro inadempimento e destinate, in quanto tali, ad assolvere, in chiave punitiva, alla diversa funzione di moral suasion finalizzata alla compiuta realizzazione di quel “rite adimpletum contractum” costituente, secondo i principi, l’interesse fondamentale protetto (art. 1455 c.civ.)”173.

Ne consegue, secondo il Tribunale di Verona, “la conformità a diritto dell’indicazione metodologica seguita dalla Banca d’Italia la quale, nelle proprie Istruzioni destinate a rilevare il T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio) ai fini dell’art. 2 della L. 108/96, dispone espressamente che … i TEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito … [mentre] … gli 173 Trib. Verona, 27 aprile 2014, cit., 3.

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interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”.

Analogamente, il Tribunale di Treviso, in materia di leasing immobiliare, ha recentemente avuto modo di rilevare che “se è vero che la verifica del rispetto della soglia di usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora, con la conseguenza che ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia la pattuizione del primo sarebbe nulla ex art. 1815, II comma, c.c., è anche vero che, al fine della verifica del rispetto del tasso soglia, non possono cumularsi il tasso corrispettivo e il tasso di mora. Si potrebbe parlare di cumulo usurario di interesse corrispettivo e di interesse di mora soltanto nel caso in cui, in presenza di ritardato pagamento, il conteggio dell'interesse di mora sull'intera rata, comprensiva di interessi, sommato all'interesse corrispettivo, determinasse un conteggio complessivo di

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interessi che, rapportato alla quota capitale, si esprimesse in una percentuale superiore al tasso soglia, ipotesi, questa, di difficile verificazione” 174.

Ritenere applicabile il principio della mera sommatoria delle percentuali rappresentative dei tassi corrispettivi e moratori ai fini del confronto con il tasso soglia rappresenterebbe, infatti, un errore logico prima ancora che giuridico, con l’effetto che, pur in ipotesi di superamento del tasso-soglia fissato dalla normativa antiusura per effetto della sommatoria dei tassi corrispettivo e moratorio, ne conseguirebbe solo la mancata debenza degli interessi moratori e non, tout court, che non siano dovuti gli interessi corrispettivi, pattuiti entro la soglia di legge 175. 174 Trib. Treviso, 11 aprile 2014, (ord.), Giud. Est. Dott. ssa Rossi, in www.ilcaso.it. 175 Si veda, in questo senso, Trib. Trani, 10 marzo 2014 (Ord.), Giud. Rel. Dott.ssa Pastore, reperibile su www.expartecreditoris.it; in linea con l’orientamento assunto da tale pronuncia, si confronti anche Trib. Milano, 28 gennaio 2014 (Ord.), Giud. Rel. Dott.ssa Cosentini, anch’essa reperibile su www.expartecreditoris.it, a mente della quale la sentenza n. 350/2013 non ha di certo affermato che “tasso corrispettivo e tasso di mora vadano comunque e sempre cumulati al fine della verifica del tasso soglia”, ma solo che “la verifica del rispetto della soglia d’usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora … [con la conseguenza che] ove detto tasso risultasse pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto, la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla, ex art. 1815, comma 2, c.c. (e quindi non applicabile), con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potrebbero essere applicati interessi di mora, ma sarebbero unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso soglia”. Secondo la Corte meneghina, peraltro, “la circostanza che il tasso di mora nominale sia oggetto di autonoma verifica di rispetto del tasso soglia trova ragione nella sua autonoma e distinta funzione quale penalità per il ritardato

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Tale impostazione è stata da ultimo cristallizzata in una pronuncia del Tribunale di Milano, nella quale si chiarisce ulteriormente che “le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione nella richiamata sentenza n. 350/2013 non possono condurre alla interpretazione invocata … e, quindi, alla valutazione del superamento del tasso usurario previa operazione di addizione tra il tasso pattuito per gli interessi corrispettivi e per gli interessi moratori. A tale riguardo, giova richiamare il passaggio della sentenza predetta in cui la Corte di Cassazione, con principio che si condivide, precisa che “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”, così richiamando anche Corte Costituzionale sent. n. 29 del 25.2.2002. In altri termini, facendone applicazione nella fattispecie concreta, i giudici di legittimità hanno confermato che anche la pattuizione relativa al saggio degli interessi moratori deve essere oggetto di valutazione in ordine al superamento, con tale pattuizione, del tasso soglia, senza tuttavia aver espresso il principio … che i tasso pattuiti, con funzioni distinte ed

adempimento, fatto imputabile al mutuatario e solo eventuale, la cui incidenza va rapportata al protrarsi e all’entità dell’inadempienza”. In termini analoghi si veda anche Trib. Napoli, 28 gennaio 2014 (ord.), Giud. Rel. Dott. Ardituro, reperibile su www.expartecreditoris.it, secondo cui “allorché il contratto di mutuo preveda un tasso moratorio superiore al c.d. “tasso soglia”, ma l’interesse corrispettivo pattuito non superi detto limite, ad essere sanzionata con la nullità sarà solo la clausola riguardante gli interessi moratori e non anche quella degli interessi corrispettivi”, con la conseguenza che questi ultimi sono comunque dovuti perché pattuiti in misura inferiore al tasso usurario stabilito all’epoca della conclusione del contratto.

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autonome, a titolo di naturale remuneratività del denaro ed a titolo di mora, debbano essere considerati unitariamente” 176.

Secondo il citato provvedimento del Tribunale di Milano, infatti “anche a voler trarre dalla sentenza n. 350/2013 il principio della necessità del cumulo tra interessi corrispettivi ed interessi moratori, si tratterebbe di un principio che, anche ove così autorevolmente espresso, non potrebbe ad avviso del Tribunale essere condiviso, e ciò in relazione alla diversità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi che non ne consente il mero cumulo. Difatti, il tasso di mora ha una autonoma funzione quale penalità per il fatto, imputabile al mutuatario e solo eventuale, del ritardato pagamento, e quindi la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi”177.

Per altro verso, come è stato opportunamente sottolineato dalla giurisprudenza di merito, il cumulo degli 176 Trib. Milano, 22 maggio 2014, (ord.), Giud. Est. Dott.ssa Bisegna, in www.dirittobancario.it. 177 Trib. Milano, 22 maggio 2014, cit.: va peraltro osservato che, quanto al rimedio civilistico applicabile, il Tribunale osserva che, anche ove si volesse accedere alla tesi del debitore sovvenuto “non potrebbe trovare applicazione l’art. 1815 comma 2 c.c. invocato, bensì una riconduzione degli interessi di mora nei limiti del tasso soglia ai sensi degli artt. 1419, comma 2 e 1339 c.c., trattandosi di usurarietà al più sopravvenuta in corso di rapporto: l’art. 1815 comma 2 c.c. fa difatti riferimento a prestazioni di natura corrispettiva gravanti sul mutuatario, e dunque a prestazioni collegate allo svolgimento fisiologico del rapporto, collocandosi invece, come già rilevato, gli interessi moratori nella fase patologica conseguente all’inadempimento, solo eventuale, del mutuatario”.

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interessi corrispettivi e moratori ai fini della valutazione dell’usurarietà del TEG concretamente applicabile deriverebbe “una funzione abnorme, laddove, per l’ipotesi di inadempimento del contratto di mutuo e di mancato pagamento degli interessi corrispettivi, il tasso di mora, per non oltrepassare il tasso soglia dovrebbe essere contenuto nella differenza tra il tasso moratorio (calcolato come somma del corrispettivo e della maggiorazione per l’inadempimento) e il tasso corrispettivo”178, ciò che rappresenterebbe un irrazionale contenuto premiale riconosciuto in favore del contraente mutuatario a fronte dell’inadempimento del contratto da parte di costui.

Non a caso, anche in dottrina, si è sviluppato un orientamento particolarmente restrittivo in ordine alla possibilità di procedere alla mera sommatoria dei tassi di interesse corrispettivo e moratorio ai fini della verifica del tasso di usura.

In particolare, la dottrina si è dimostrata particolarmente critica verso gli operatori del diritto che hanno assunto un atteggiamento particolarmente aggressivo nei confronti degli Istituti di credito, provando a sostenere questa ardita tesi avanti le Corti giudicanti e promettendo rilevanti risultati, in termini economici, per i propri assistiti.

Si è addirittura affermato molto di recente che la mera sommatoria delle percentuale rappresentative di tassi rappresenta “un’emerita sciocchezza”, caratterizzata da una “assoluta inconsistenza tecnico-giuridica”, al punto che “si possono ravvisare nelle seriali azioni legali,

178 Trib. Napoli, 15 aprile 2014, Dott. Nicola Mazzocca, in www.expartecreditoris.it.

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avviate da taluni studi di millantata professionalità”179 gli estremi della lite temeraria passibile di sanzione ex art. 96 c.p.c.

2.3.2.4. L’orientamento dell’Arbitro Bancario

Finanziario a confronto con quello della giurisprudenza della Corte di Cassazione: l’esclusione degli interessi moratori dal tasso d’usura (in particolare, la decisione n. 1875/2014 del Collegio di Coordinamento).

Avuto riguardo alla specifica tematica oggetto di trattazione deve peraltro segnalarsi la convergenza tra gli orientamenti giurisprudenziali dianzi citati e le pronunce

179 Così MARCELLI, La mora e l’usura: criteri di verifica, in www.ilcaso.it, 3. L’Autore chiarisce, infatti, che, in quanto “non si può certo inferire che, nella verifica dell’usura per i mutui, si debba procedere a sommare l’interesse corrispettivo all’interesse di mora: l’operazione risulta del tutto priva di fondamento logico, matematico e giuridico. La circostanza che spesso il tasso di mora è espresso come maggiorazione del tasso corrispettivo pattuito, può aver ingenerato, in persone sprovviste di cultura finanziaria, la confusione”. Il Marcelli, peraltro, rileva come le cause per la ripetizione di indebito instaurate dai cc. dd. “avvocati d’assalto” prendono le mosse da una generalizzata disinformazione in ordine al tema dell’usura, che trova la sua causa anche nell’opera divulgatrice, imprecisa e scorretta, posta in essere dai mezzi di informazione, i quali, anche se di prestigio, si lasciando andare ad affermazione non supportate dal punto di vista sia giuridico che da idonee conoscenze di matematica finanziaria (l’Autore riporta un passaggio di un articolo pubblicato su IlSole24Ore Plus dell’11.1.2014, di L. Lucilla, intitolato “Mutui, stop ai tassi usurai”, che supportava la tesi della sommatoria dei tassi corrispettivi e moratori, poi smentito da un successivo articolo di F. Galimberti, pubblicato il 15.2.2013).

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dell’Arbitro Bancario Finanziario, sia nei suoi Collegi territoriali che nel Collegio di Coordinamento. I vari Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario hanno ribadito, infatti, che nel raffronto con il tasso soglia anti-usura ex L. n.108/1996, la sommatoria del tasso contrattuale degli interessi corrispettivi e di quello moratorio va esclusa in ogni ipotesi in cui dalle pattuizioni del contratto risulti che il tasso di mora non deve essere corrisposto in misura additiva rispetto a quello corrispettivo, ma si sostituisce al primo nell’ipotesi in cui il mutuatario si renda inadempiente180.

A testimonianza dell’interesse che il tema dell’usura suscita negli interpreti e dell’effetto concreto di incremento di contenzioso che lo stesso ha determinato non può non osservarsi che, pochi giorni dopo la pubblicazione della decisione n. 77/2014 del Collegio di Coordinamento, pure estremamente rilevante ai fini della materia di cui ci si occupa, il Collegio ABF di Roma, con ordinanza di rimessione n. 260/2014181, “attesa la particolare rilevanza della questione” e “al fine di prevenire eventuali decisioni contrastanti da parte di 180 ABF Napoli, decisione n. 21/2014 del 26 novembre 2013, Pres. Dott. Carriero, reperibile su www.expartecreditoris.it, la quale ha stabilito che “nel raffronto con il tasso soglia antiusura, la sommatoria del tasso contrattuale degli interessi corrispettivi e di quello moratorio va esclusa, ogni qualvolta risulti chiaro dalle prescrizioni contrattuali la sostitutività e non additività dei due tipo di interesse”. Cfr. anche ABF Napoli, decisione n. 5195 del 16 ottobre 2013, la quale ha chiarito che gli interessi di mora sono esclusi da calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. 181 ABF Roma, decisione n. 260/2014 del 29 novembre 2014-17 gennaio 2014, Pres. Dott. Marziale, Est. Prof. Avv. Sirena, in www.ilcaso.it.

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singoli Collegi territoriali” ha deliberato di rimettere all’esame allo stesso Collegio di coordinamento la questione della rilevanza degli interessi moratori ai fini del compute del TEG da raffrontare alla soglia.

Quattro sono i quesiti posti dal Collegio di Roma al Collegio di Coordinamento e, segnatamente:

(i) se le disposizioni di cui all’art. 644 c.p. e 1815, secondo comma, c.c. siano riferibili anche agli interessi moratori, posto che, secondo il Collegio remittente il tenore letterale della formulazione dell’art. 644 c.p.c sembrerebbe riguardare soltanto gli interessi corrispettivi che siano pattuiti in misura ultra legem, e non già quelli moratori.

(ii) se, stante la mancata previsione normativa della rilevazione di un tasso-soglia per gli interessi moratori, debba farsi riferimento al TEGM rilevato dalla Banca d’Italia quale criterio di valutazione degli stessi ovvero sia preferibile procedere alla rilevazione di un TEGM ad hoc per non incorrere nell’erroneità di un raffronto tra parametri disomogenei.

Secondo il Collegio ABF remittente, infatti, la diversità strutturale ed ontologica, sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista economico, tra gli interessi corrispettivi e moratori non ne rende possibile la sommatoria, la quale comporterebbe la comparazione di entità qualitativamente e quantitativamente disomogenee182.

182 In questo senso si è espressa la Banca d’Italia, nella comunicazione di chiarimenti agli Intermediari sottoposti alla sua vigilanza del 3 luglio 2013, i cui contenuti sono già stati oggetti di anali in precedenza.

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(iii) se le Corti giudicanti possano o meno procedere ad una riduzione degli interessi moratori manifestamente eccessivi a norma dell’art. 1384 c.c.;

(iv) se, in luogo della riduzione degli interessi moratori ex art. 1384 c.c., possa ricorrersi, in via alternativa, al rimedio della nullità parziale, con conseguente riduzione automatica degli interessi in applicazione del saggio legale.

Il Collegio di coordinamento, con la decisione n. 1875 del 28 marzo 2014183, ha cercato di mettere ordine tra i vari orientamenti assunti nel tempo, nel tentativo di ricostruire la disciplina applicabile anche alla luce dell’insegnamento della Corte di Cassazione.

Con riferimento alla prima questione sollevata – vale a dire in ordine all’applicabilità dell’art. 1815, secondo comma, c.c. agli interessi moratori, il Collegio di coordinamento innanzitutto che il superamento del tasso-soglia non consegue ad una mera “operazione aritmetica di sommare la cifra che indica il tasso di mora con la cifra che indica il tasso effettivo annuo, confrontare tale somma aritmetica con il tasso soglia del periodo e, da tale confronto ricavare l’effetto giuridico dell’azzeramento di entrambi”184.

Infatti, affinché possa trovare applicazione il disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c., con conseguente azzeramento degli interessi dovuti, occorre che gli interessi siano promessi o convenuti nel senso tecnico del termine, ovverosia con effetto giuridicamente vincolante per le

183 Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, Pres. Dott. Marziale, Est. Prof. Avv. Gambaro, in www.expartecreditoris.it. 184 Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., 10.

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parti, non rilevando in nessun modo la possibilità che gli stessi interessi siano meramente “descritti” in contratto.

In altri termini, il Collegio di Coordinamento rileva che la mera sommatoria dei tassi degli interessi corrispettivi in uno con i tassi di interesse moratori non è conforme alla regola di diritto fissata dalla l. n. 108/1996 ed è logicamente errata, atteso che tale sommatoria può ipoteticamente “essere presa in considerazione solo se d essa corrisponde una somma di obblighi di pagamento”.

Rileva, infatti, il Collegio che “gli interessi corrispettivi sono, in quanto obblighi di concreto pagamento da adempiere in costanza del rapporto di credito programmato, alternativi rispetto agli interessi moratori che identificano gli obblighi di pagamento riferiti alle somme dovute susseguenti alla messa in mora non già cumulabili con questi ultimi”185.

Invero, il Collegio di Coordinamento sottolinea che, in realtà, in un sistema di rilevazione del fenomeno usurario fondato sul riferimento ad un c.d. tasso-soglia composto dalla sommatoria delle “voci di costo del credito” rilevate periodicamente, ciò che è determinante non è la diversità ontologica tra interessi corrispettivi ed interessi moratorio, quanto piuttosto “il solo fatto che questi ultimi non sono rilevati nel corso del procedimento 185 Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., 11. Il Collegio sottolinea, peraltro, che, nella specie, il contratto oggetto di controversia (apertura di credito) prevedeva una clausola di salvaguardia attraverso la quale le parti conveniva che il soggetto finanziato non potesse mai essere obbligato al pagamento di interessi in misura superiore al tasso-soglia per tutto il corso del rapporto di credito, con la conseguenza che il contraente-cliente non ha affatto assunto in concreto obblighi di pagamento di interessi, anche moratori, in misura superiore alla soglia usuraria determinata ex L. n. 108/1996.

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che identifica i tassi sogli e quindi non fanno parte dell’insieme delle voci di costo del credito che confluiscono nella identificazione dei tassi soglia”.

I valori in gioco non sono confrontabili e non devono essere confrontati, in quanto “ribadito il principio fondamentale della perfetta simmetria tra i due termini del confronto … discende che così come sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi pattiziamente convenuti per una data operazione di credito con i tassi soglia di una diversa tipologia di operazione creditizia … altrettanto risulta scorretto calcolare nel costo del credito pattuito i tassi moratori che non sono presi in considerazione ai fini della individuazione dei tassi soglia, poiché in tutti i casi si tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria” 186.

Dalla circostanza che deve essere garantita la perfetta simmetria tra i TEG concretamente pattuiti e il tasso-soglia discende che le voci di costo che debbono essere considerate quali oneri del credito ai fini della rilevazione del fenomeno usurario sono soltanto quelle che sono oggetto di rilevazione statistica.

Ciò che esclude, dunque, la rilevanza dei tassi moratori che, come già si è detto, non sono oggetto di rilevazione periodica da parte degli Intermediari e non sono inclusi nel TEGM trimestralmente rilevato dal sistema bancario secondo le Istruzioni della Banca d’Italia.

Stabilita l’infondatezza della domanda del ricorrente mutuatario, in quanto priva di base logico-giuridica adeguata e formulata sulla base di un meccanismo della sommatoria dei tassi assolutamente non condivisibile, il Collegio di coordinamento procede in ogni caso, astraendo 186 Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., 12.

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dal caso concreto, nel fornire una risposta agli interrogativi posti dal Collegio ABF remittente di Roma.

Quanto alla seconda questione posta alla Sua attenzione, vale a dire se il tasso-soglia ex L. n.108/1996 possa costituire o meno un limite all’esigibilità dei tassi moratori, il Collegio di Coordinamento si esprime in senso negativo.

Invero, la ricomprensione tra le voci di costo del credito degli oneri versati “a qualsiasi titolo” deve essere intesa nel senso che essa deve comunque essere limitata ai “pesi” che si considerano ai fini del computo del TEG e non può includere, in via ancora più generale ed ampia, il costo globale del credito: circostanza che, peraltro, determinerebbe l’innalzamento del TEGM e, di conseguenza, un aumento del tasso-soglia, a svantaggio dei mutuatari finanziati dagli Istituti di credito.

Peraltro, una siffatta impostazione concettuale si fonderebbe sull’equivalenza funzionale di interessi corrispettivi e moratori, da escludersi in quanto incompleta ed insostenibile sotto il profilo giuridico187. 187 Secondo ABF Collegio di Coordinamento, decisione n.1875/2014, cit., 17, “il quesito formulato dal Collegio Remittente prende consistenza solo quando di possa condividere l’assunto, che è stato sostenuto in dottrina, per cui sia gli interessi moratori che quelli corrispettivi avrebbero la stessa natura/funzione di remunerare lo spostamento di una somma di denaro da una sfera giuridica all’altra, sicché si può giustificare il ricorso a rilevazioni condotte in riferimento ai tassi corrispettivi anche per stabilire soglie massime riguardanti i tassi moratori. Tuttavia, si tratta di tesi incompleta perché muove dalla sola analisi della causa giustificatrice astrattamente considerata e trascura di considerare che gli interessi corrispettivi sono stabiliti in dipendenza di un equilibrio concordato che determina anche i termini temporali in cui lo spostamento di disponibilità di una somma di denaro da un soggetto all’altro abbia effetto. Al contrario, gli interessi moratori

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Con riferimento al terzo quesito formulato dal Collegio di Roma nell’ordinanza di rimessione n.260/2014, ovverosia se i Giudicanti possano o meno fare applicazione generalizzata del rimedio della riduzione della penale al fine di ridurre tassi di interesse moratori manifestamente eccessivi, il Collegio di coordinamento sottolinea come tale ipotesi rimediale non abbia carattere eccezionale, ma sia espressione di un potere-dovere di controllo da parte delle Corti.

D’altra parte, manca oggettivamente un parametro di riferimento per valutare la congruità e la non eccessività dei tassi moratori – tema sul quale sarebbe auspicabile l’intervento del legislatore volto ad introdurre nel sistema normativo l’obbligatorietà di specifiche rilevazioni statistiche dei tassi moratori e/o comunque della maggiorazioni dei tassi di interesse corrispettivi derivanti

compensano il creditore per la perdita di disponibilità di somme di denaro che esso non ha accettato, ma che solo subisce per effetto del ritardo nel pagamento che gli è dovuto e per un periodo di tempo non prevedibile. … Il punto è comunque risolto dal diritto positivo, posto che l’art. 1224 c.c. indica con chiarezza la specifica funzione degli interessi moratori e la loro radicale differenza rispetto agli interessi corrispettivi. Pertanto, alla luce dei dati positivi e della loro ratio la tesi della equivalenza tra interessi moratori ed interessi corrispettivi emerge come insostenibile. Né ragioni di sostegno emergono dal punto di vista valoriale, salvo che non si muova da pregiudizi contrari agli interessi su prestiti di denaro in generale”. Il Collegio di Coordinamento, peraltro, fa espresso riferimento, in via di interpretazione sistematica, alla direttiva 2011/7/UE, in tema di transazione commerciali, in cui si afferma l’iniquità della clausola di rinuncia ad esigere gli interessi moratori, ponendosene in risalto la funzione specifica, insostituibile e non assimilabile a quella degli interessi corrispettivi.

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dal ritardo nel pagamento188 –, sicché è rimessa all’equità del Giudice la valutazione di eccessività della pattuizione di interessi moratori.

È quindi ammissibile, secondo il Collegio di coordinamento, la riduzione ex officio della penale eccessiva. Ciò che manca – e che l’Arbitro Bancario Finanziario auspica –, è che vengano introdotti parametri uniformi per la valutazione del requisito dell’eccessività, di modo che si possa garantire la certezza del diritto, come pure la prevedibilità dell’esito dei giudizi eventualmente instaurati, evitando al contempo il proliferare di condotte degli Istituti di credito volte a frodare la legge mediante l’imposizione ai mutuatari di rigidi vincoli idonei a determinarne agevolmente il ritardo nell’adempimento e,

188 A tal riguardo, il Collegio di coordinamento rileva l’insufficienza del dato statistico preso in considerazione dalla Banca d’Italia quale parametro di valutazione dell’eccessività del tasso di interesse moratorio. Invero, va considerato che “la Banca d’Italia … non omette affatto di considerare (vien fatto di dire prudenzialmente) gli interessi di mora ai fini della L. 108/96, salvo disaggregarne opportunamente il dato rispetto a quello derivante dall’ordinaria rilevazione del TEGM. … In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura [e] Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo”.

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conseguentemente, l’applicazione di tassi moratori tanto elevati da superare il tasso-soglia ex L. n. 108/1996189.

189 In questa ipotesi, secondo il Collegio di coordinamento, deve trovare applicazione il disposto dell’art. 1344 c.c., che sancisce la nullità del contratto posto in essere in frode alla legge. Qualora la pattuizione di interessi moratori oltre soglia sia finalizzata alla elusione della disciplina antiusura ex L. n. 108/1996, inoltre, dovrà applicarsi la sanzione civilistica prevista dall’art. 1815, secondo comma, c.c., vale a dire la conversione del mutuo oneroso in mutuo gratuito. Afferma il Collegio, infatti, che “alcuni, intervenendo nel dibattito dottrinale suscitato dalla riferita sentenza della Cassazione, hanno argomentato che se gli interessi moratori fossero esentati dall’applicazione della disciplina sull’usura, diverrebbe facile aggirarla prevedendo meccanismi contrattuali grazie ai quali il debitore può essere agevolmente sospinto in posizione di morosità. Ciò, in effetti, corrisponde ad un rischio che si può prospettare in operazioni creditizie come quella in esame che prevedono aperture di credito a revoca. È quindi da osservare che al fine di neutralizzare tale possibile aggiramento, oltre all’appropriato rimedio già approntato in via generale dall’ art. 1344 c.c., la regola della riducibilità ex officio della penale eccessiva può fungere da regola tesa a disincentivare ulteriormente e con riferimento alla ipotesi specifica, le condotte in frode alla legge sicché questa potenzialità essendo posta al servizio della tutela dell’integrità dell’ordinamento merita di essere estesa e non circoscritta ... [tuttavia] la riducibilità degli interessi moratori eccessivi ex art. 1384 c.c. non esclude che ove ne ricorrano i presupposti possa trovare applicazione anche l’art. 1344 c.c. allorché la stipulazione di interessi moratori elevati ed oltre soglia si ponga come parte di un assetto negoziale destinato ad aggirare le disposizioni in tema di contrasto dell’usura ed in tale ipotesi però l’effetto non dovrebbe essere quello di ridurre il tasso moratorio pattuito al tasso legale, ma di dare effetto al disposto dell’art. 1815, 2° comma c.c.”. Diversamente, invece, il Collegio non ritiene applicabile il rimedio della nullità parziale con automatica sostituzione di clausole ex artt. 1419, secondo comma, e 1339 c.c., in quanto tale soluzione contrasta con l’esistenza nel

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2.3.3. La discrasia di orientamenti tra Corte di

Cassazione ed Autorità di Vigilanza dipende dall’incapacità del sistema normativo di garantire il rispetto del principio di simmetria ed omogeneità dei tassi messi a confronto. Una possibile soluzione in attesa di un auspicato intervento sistematico del legislatore.

Il mancato raggiungimento di un “punto fermo” da parte della giurisprudenza di merito, di legittimità e dell’Arbitro Bancario Finanziario intorno alla tematica dell’inclusione dei tassi di interesse moratorio tra gli oneri e i costi del credito rilevanti ai fini dell’usura ex L. n.108/1996 dipende, a parere di chi scrive, da una lacuna di fondo del sistema normativo approntato dal legislatore del 1996.

Tale lacuna consiste, essenzialmente, nell’incapacità della lettera della legge di garantire il rigoroso rispetto del principio cardine della simmetria tra i valori presi a raffronto per la verifica dell’usurarietà dei tassi di interesse.

Allorquando si è approntato, infatti, il sistema antiusura ex L. n. 108/1996, si è strutturato un meccanismo oggettivo di determinazione dell’usurarietà dei tassi che muove dal confronto, da un lato, del TEGM determinato dallo stesso ceto bancario quale media dei tassi applicati sul mercato del credito e, dall’altro lato, il TEG applicato

sistema giuridico di un rimedio generale quale la riduzione della penale eccessiva ai sensi dell’art. 1384 c.c.: sul punto, tuttavia, ci si soffermerà approfonditamente nel prossimo capitolo della trattazione.

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al soggetto finanziato che assuma di aver pagato interessi in misura superiore alla soglia di legge.

Non è questa la sede per soffermarsi sull’analisi dei dubbi legati alla lacunosità e inidoneità di un sistema normativo che fonda la determinazione del tasso di usura sulle rilevazioni trimestrali fornite dagli stessi operatori del sistema creditizio, consegnando il coltello dalla parte del manico alle banche (vale a dire coloro che dispongono del denaro e che lucrano interessi sull’attività di finanziamento), occorre soffermarsi brevemente sui presupposti del corretto funzionamento del sistema.

In assoluto, il primo e principale requisito affinché un sistema quale quello approntato dal legislatore del 1996 possa funzionare è che i valori di riferimento presi a raffronto siano composti esattamente dalle medesime componenti di costo.

In altri termini, le voci di costo che vengono inclusi nel TEGM trimestralmente rilevato dagli Istituti di credito secondo le Istruzioni fornite dalla Banca d’Italia devono essere perfettamente coincidenti con le voci computate nel calcolo del TEG concretamente applicato al contratto di credito stipulato dal soggetto finanziato che si assume essere usurario.

Ed è proprio il principio di perfetta simmetria ed omogeneità dei valori di riferimento che ha orientato la decisione del Collegio di Coordinamento n. 1875/2014, nella quale, come abbiamo visto, l’Arbitro Bancario Finanziario si è espresso nel senso della necessaria esclusione del tasso moratorio dal computo del TEG applicato al contratto di credito.

L’inclusione del tasso moratorio, escluso dal calcolo del TEGM sulla base delle Istruzioni di vigilanza, infatti, determinerebbe l’aggiunta al TEG di una voce di costo ulteriore rispetto a quelle considerate nel TEGM, con

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ampia possibilità che si dia luogo per tale via ad un superamento del tasso-soglia determinato dalla “disparità” degli oneri del credito presi a riferimento.

In effetti, dal punto di vista logico e tecnico-matematico, il ragionamento in parola è assolutamente condivisibile e corretto: il raffronto tra valori percentuali determinati sulla base di addendi non omogenei condurrebbe a risultati non soltanto non equilibrati, ma addirittura abnormi.

Dal punto di vista giuridico, tuttavia, ritengo che – muovendo sempre dall’assunto del requisito della simmetria ed omogeneità degli oneri compositivi dei valori percentuali di TEGM e TEG –, si debba concludere non già per l’esclusione del tasso di interesse moratorio dal calcolo del TEGM, ma, tutto all’opposto, per l’inclusione anche di detta voce.

Il dettato della legge, infatti, è sufficientemente chiaro nello stabilire che rientrano tra le voci di costo rilevanti ai fini delle rilevazioni trimestrali in materia di usura ex L. n. 108/1996 tutti gli onere, i costi e le remunerazioni versate dai soggetti finanziati a qualsiasi titolo.

Orbene, è certamente vero che il tasso di interesse moratorio rappresenta un onere per il mutuatario di tipo non corrispettivo e soltanto eventuale, che non prende vita nel momento genetico del rapporto di credito, ma, per converso, sorge esclusivamente in un momento, successivo, in cui il contratto stesso entra in una fase patologica a seguito dell’inadempimento o quantomeno del ritardo nell’adempimento da parte del soggetto finanziato.

Interesse corrispettivo e moratorio, dunque, sono nozioni concettualmente diverse, ontologicamente e teleologicamente non assimilabili. Hanno infatti funzioni totalmente differenti: i primi remunerano lo spostamento

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del denaro dal mutuante al soggetto finanziato; i secondi sanzionano il ritardo nell’adempimento imputabile al mutuatario che non adempia nei tempi ai propri obblighi restitutori.

Tali ragioni, tuttavia, non devono far propendere per l’esclusione del tasso di interesse moratorio dal computo del TEGM e, conseguentemente, dal tasso-soglia, ma, tutto all’opposto, dovrebbero spingere il legislatore a colmare la lacuna normativa in essere, imponendo agli Intermediari creditizi di predisporre apposite rilevazioni periodiche ad hoc, riferite dunque ai tassi moratori mediamente applicati dal ceto bancario190.

Una tale iniziativa, auspicata dallo stesso Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, consentirebbe, infatti, di adeguare il sistema normativo definito dalla L. n.108/1996, rendendolo peraltro conforme al dettato della giurisprudenza di legittimità, con l’esito di diminuire sensibilmente anche i livelli di contenzioso in materia.

Invero, le discrasie di fondo del sistema, unite alle divergenze di orientamenti che si sono manifestati nella giurisprudenza di merito, di legittimità e dell’Arbitro Bancario Finanziario, hanno aumentato le frizioni tra soggetti sovvenuti ed Istituti di credito, dando luogo ad 190 Si tratterebbe di una soluzione assimilabile alla rilevazione “separata” della c.d. “commissione di massimo scoperto” (CMS), che, anche se da sempre rilevata separatamente secondo le Istruzioni di Banca d’Italia, pure deve essere ricompresa nel computo del TEG ai fini antiusura ex L. n.108/1996. Si veda, in giurisprudenza, a questo specifico riguardo, Corte d’Appello di Cagliari, Sez. dist. Sassari, 31 marzo 2014, in www.dirittobancario.it, ove si chiarisce che la CMS va ricompresa tra gli oneri rilevanti ai fini della rilevazione dell’usura ex L. n.108/1996.

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una miriade di contenziosi seriali, volti ad ottenere la ripetizione degli interessi pagati in misura superiore al tasso-soglia e che, tramite un semplice intervento legislativo, potrebbero essere composti d’un colpo191. 191 Dal canto suo, la stessa giurisprudenza di merito si è rivelata particolarmente critica e dura verso coloro che sulla base della forzatura delle affermazioni della Corte di Cassazione hanno proposto azioni infondate, condannando i debitori mutuatari a rifondere agli Istituti di credito le spese di giudizio e liquidandoli in importi anche molto elevati. Di frequente, inoltre, i Tribunali hanno adottato politiche sostanzialmente deflattive del contenzioso bancario in materia di usura nei contratti di conto corrente adottando orientamenti molto rigorosi in ordine all’onere di allegazione e della prova gravante sul mutuatario che voglia far valere nei confronti dell’Istituto di credito finanziatore la violazione della normativa antiusura, domandando la restituzione (integrale ex art. 1815, secondo comma, c.c. ovvero soltanto parziale, con riduzione ex art. 1384 c.c. o sostituzione ex artt. 1419 e 1339 c.c. nei limiti del tasso-soglia) delle somme pagate a titolo di interesse. In particolare, la giurisprudenza di merito ha sancito in maniera netta il principio per cui colui che agisca al fine di far valere l’usurarietà del TEG applicato in un dato periodo di tempo è onerato, innanzitutto, di produrre in giudizio i decreti ministeriali portanti l’evoluzione dei tassi soglia nell’arco temporale considerato, di indicare i tempi e modi del superamento del tasso-soglia, senza che possa sopperire in nessun caso l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio. Cfr., a tal riguardo, Trib. Ferrara, 5 dicembre 2013, n. 1223, Giud. Est. Dott.ssa Anna Ghedini in www.ilcaso.it, secondo la quale “colui che agendo in giudizio deduca l’applicazione di un tasso usurario ha l’onere di allegare ed indicare i modi, i tempi e la misura del superamento del cd. tasso soglia”; in termini, anche Trib. Nola, 9 gennaio 2014, Dott.ssa Caterina Costabile, in www.expartecreditoris.it, secondo cui “nel momento in cui il Giudice emette il provvedimento con cui dispone la verifica, da parte del CTU, dei tassi soglia, ha l’obbligo di pronunciarsi in merito alla verifica relativa all’onere della prova e cioè della produzione, della parte che intende avvalersene,

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In via generale e sistematica, non appare corretto escludere in toto il tasso di interesse moratorio da un raffronto con il tasso-soglia usurario ex L. n.108/1996.

In effetti, pur negando che, sulla base della normativa attualmente vigente in materia di usura portata dalla L. n.108/1996, i tassi moratori debbano essere inclusi nel computo del TEGM, lo stesso Collegio di coordinamento dell’ABF, nella recente decisione n. 1875/2014, predica la riducibilità dell’interesse pattuito sopra-soglia ex art. 1384 c.c., come pure, sotto altro profilo, per il caso in cui il tasso moratorio sia pattuito in misura abnorme al fine di eludere la normativa antiusura quanto agli interessi corrispettivi, afferma la nullità di tale pattuizione per frode alla legge ex art. 1344 c.c. e conseguente conversione in mutuo gratuito ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, c.c.

In altre parole, la soluzione adottata dall’Arbitro Bancario Finanziario, da un lato, nega l’inclusione del dei decreti ministeriali previsti dalla legge 108/1996”. Parimenti, si veda Trib. Latina, 28 agosto 2013, n. 19154, Giud. Rel. Dott. Raffaele Miele, in www.expartecreditoris.it, ove si chiarisce che “la parte che deduce la violazione dell’usura bancaria e dunque l’applicazione di tassi superiori a quelli previsti dalla Legge 108/1996, ha l’onere di dimostrare l’avvenuto superamento dello specifico tasso soglia rilevante, tra l’altro anche mediante la produzione dei decreti e delle rilevazioni della Banca d’Italia”. La contestazione in tal senso, infatti, secondo la citata giurisprudenza, “non può essere generica e, in mancanza, non può essere ammessa alcuna consulenza tecnica atteso che la stessa non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto si assume violato” (il Tribunale di Latina, muovendo dal presupposto che la consulenza tecnica non rappresenta un mezzo istruttorio in senso proprio, afferma che la stessa può essere legittimamente negata ove sia volta a supplire ad una deficienza delle allegazioni di parte ovvero meramente esplorativa alla ricerca di elementi di fatto o circostanze non provate).

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tasso di mora nel calcolo del TEGM, ma, dall’altro lato, si preoccupa di garantire, utilizzando gli ordinari rimedi di diritto civile, che il tasso di interesse moratorio non superi mai il tasso-soglia normativamente determinato.

In effetti, questo è, a mio parere, il vero nodo della questione: in un sistema strutturato per sanzionare il fenomeno usurario in ogni sua forma e modalità, che fonda la rilevabilità del fenomeno usurario su di un parametro a carattere oggettivo e (tempo per tempo) predeterminato, non può ammettersi che alcune varianti di costo del credito, pur eventuali, non siano contemplate nel tasso-soglia preso a riferimento.

Non è ammissibile, in altri termini, che il tasso di interesse di mora sfugga al raffronto con il tasso-soglia ex L. n. 108/1996, perché ciò consentirebbe agli Istituti di credito di applicare, seppur soltanto in caso di mora del debitore discendente da inadempimento o ritardo nell’adempimento imputabile allo stesso soggetto finanziato, un tasso superiore al livello giudicato come oggettivamente tollerabile dall’ordinamento ed oltre il quale, ai sensi dell’art. 644 c.p., si configura il reato di usura.

Peraltro, sotto un profilo più squisitamente civilistico, un’interpretazione che escluda i tassi moratori dal computo del TEGM violerebbe, come già a suo tempo rilevato dalla Corte di Cassazione192, il principio di equiparazione del trattamento degli interessi di cui all’art. 1224, primo comma, c.c., a mente del quale, come è noto, nelle obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di denaro sono dovuti gli interessi legali dal giorno della mora (anche se precedentemente non erano dovuti e il creditore non ha patito alcun danno) e, al contempo, se 192 Cfr. Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, cit.

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prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.

È allora imperfetta, ma condivisibile la scelta operata da quella giurisprudenza dianzi citata la quale afferma che, dinanzi alla pattuizione di tassi moratori in misura superiore al tasso-soglia, gli stessi non sono dovuti ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, c.c. (ove si tratti di pattuizioni ab origine usurarie) ovvero devono comunque essere ridotti alla misura della soglia, restando tuttavia ferma l’obbligazione del mutuatario di versare in favore del mutuante quanto dovuto a titolo di interesse corrispettivo, in quanto validamente e lecitamente pattuito entro il tasso-soglia ex L. n.108/1996.

La soluzione trascura il principio di simmetria dei tassi oggetto di raffronto, procedendo al confronto di un tasso tarato sugli interessi corrispettivi (TEGM) con un tasso moratorio che nemmeno contempla la mora tra le proprie voci costitutive, ma rappresenta comunque una via di equilibrio e ragionevolezza che impedisce di acconsentire all’applicazione di tassi, seppur di mora, superiori alla massima soglia consentita dalla L. n. 108/1996.

Resta fermo, in ogni caso, che, se un confronto tra TEGM e TEG comprensivo della mora deve essere effettuato, questo debba essere svolto secondo criteri logicamente e matematicamente corretti, vale a dire senza che si addivenga a prospettazioni a dir poco avventurose quali quella della sommatoria delle percentuali dei tassi corrispettivi e moratori ai fini del computo del TEG concretamente applicato.

Una siffatta prospettazione, inammissibile sotto logico, prima ancora che tecnico-matematico, è, da un lato, foriera di rilevanti effetti distorsivi e, dall’altro lato,

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determina un effetto “svilente” sul dibattito intorno ad una questione – la rilevanza degli interessi moratori ai fini della rilevazione dei tassi usurari –, che andrebbe affrontato con maggior attenzione e rigore, senza farsi guidare dalla volontà di aprire nuovi filoni di contenzioso con le banche.

Data la giovane età del contenzioso avviatosi sulla scorta della fuorviante interpretazione dell’insegnamento della Suprema Corte con sentenza n. 350/2013, la giurisprudenza non ha ancora potuto offrire una risposta esauriente in ordine a tale questione (anche perché, a ben vedere, considerata la palese erroneità dell’impostazione concettuale attorea, spesso i Tribunali di merito si sono limitati a concludere per il rigetto delle pretese attoree senza spingersi ad ulteriori approfondimenti).

Si tratta, in ogni caso, di soluzioni in nuce imperfette, suscettibili di essere criticate in quanto non pienamente coerenti col principio di omogeneità e di simmetria dei valori di riferimento, come pure, per altro verso, per l’inidoneità a porre in luce e trasporre in concreto la diversità strutturale ed ontologica dei tassi corrispettivi e moratori193.

193 A tal riguardo, si segnala che esiste un orientamento della giurisprudenza di merito che ha riferito il disposto sanzionatorio dell’art. 1815, secondo comma, c.c., indistintamente agli interessi corrispettivi e moratori, sulla scorta dell’assunto che la norma in questione non opera distinzioni di sorta: si tratta, in particolare, di Corte App. Venezia, 28 febbraio 2013, n. 342, Pres. Dott. Silvestre; Est. Dott.ssa Zampolli, in www.ilcaso.it, ove la Corte ha stabilito che “l’art. 1815, comma 2°, c.c., esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e a seguito della revisione legislativa operata dall’art. 4 della legge 7/3/96 n. 108 e dalla legge 28/2/01 n. 24 … esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all’esigenza di

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maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie, connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della “soglia” di cui all’art. 2, IV comma, della stessa legge n. 108/96. … Diversamente da quanto dedotto nella motivazione della sentenza impugnata, la sanzione così stabilità dell’abbattimento del tasso di interesse applicabile si applica a qualunque somma fosse dovuta a titolo di interesse, legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori, con la sola esclusione del caso in cui i rapporti contrattuali presupposti dall’applicazione degli interessi fossero già esauriti alla data dell’entrata in vigore della legge n. 108/96”. In questo senso, cfr. anche Trib. Padova, 13 maggio 2014, (ord.), in dirittobancario.it, ove l’Organo giudicante ha ritenuto, rilevata l’usurarietà della pattuizione degli interessi moratori, ha dichiarato la nullità della clausola determinativa degli interessi per violazione del tasso-soglia ex L. n.108/1996 e, in applicazione del disposto di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., ha sancito che il prenditore nulla debba alla banca a titolo di interesse. La pronuncia si fonda, tuttavia, a parere di chi scrive, su di un’interpretazione eccessivamente omnicomprensiva del disposto normativo: la circostanza che la legge non espliciti una netta distinzione tra interessi corrispettivi e moratori può essere interpretata nel senso che il tasso-soglia funga da parametro per la determinazione della misura massima di ambo tali tipologie di interessi, ma non può fondare l’opinione per cui l’usurarietà di uno dei due tassi di riferimento possa comportare anche la nullità della clausola determinativa dell’altro. Ad una tale soluzione deve addivenirsi anche sulla base dell’argomento che il legislatore del 1996 ha espressamente sancito che dall’usurarietà del tasso di interesse deriva la nullità della relativa “clausola”: orbene, dovendosi intendere per clausola quel periodo del testo contrattuale che traspone la volontà negoziale delle parti, è chiaro che la clausola relativa alla misura degli interessi corrispettivi, che rappresenta la remunerazione dell’attribuzione del capitale alla sfera patrimoniale del prenditore, non può essere equiparata a quella – spesso anche distinta nel corpo del testo (ma, è bene sottolinearlo, senza che tale circostanza contingente sia determinante) –, relativa all’ammontare

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Tuttavia, si tratta quantomeno di un idoneo tentativo – certamente comunque più accorto rispetto alla sommatoria dei tassi percentuali degli interessi corrispettivi e moratori –, idoneo ad evitare l’applicazione di oneri eccessivamente gravosi per il mutuatario, nel rispetto della normativa antiusura attualmente vigente.

È chiaro, però, che si tratta di vie interpretative la cui efficacia deve essere verificata caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche in concreto assunte, in un panorama estremamente variegato, dal contratto di credito oggetto di analisi.

Non ci si può esimere dal segnalare, in via conclusiva, che, anche in considerazione della rilevanza economico-giuridica del tema, si impone un intervento – costruttivo, sistematico e ragionato – del legislatore volto ad affinare un sistema che, pur presentando alcune carenze di fondo (ci si riferisce alla determinazione del tasso-soglia sulla base del TEGM rilevato dal Ministero del Tesoro sulla base dei dati forniti dagli stessi Istituti di credito), è comunque sufficientemente funzionale allo scopo di assicurare la tutela dei soggetti finanziati sul mercato del credito.

della mora, che, invece, funge da calibro della penale per il ritardo nell’adempimento del prenditore rispetto a quanto previsto dal piano di ammortamento. Dalla diversità tra le relative clausole, sotto il profilo ontologico e strutturale, discende, a mio parere, l’impossibilità di una declaratoria di non debenza degli interessi corrispettivi per usurarietà della misura del tasso di mora (il caso opposto sembra dover essere molto raro, atteso che la misura degli interessi di mora è normalmente più elevata del tasso corrispettivo, sicché è improbabile che, sancita l’usurarietà del tasso di interesse corrispettivo, anche la mora non sconti la medesima qualificazione).

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CAPITOLO TERZO

3.1. Una breve premessa sui confini e i contenuti dell’analisi. – 3.2. Una prima struttura rimediale: nullità parziale del contratto e conformazione della clausola degli interessi ai sensi del combinato disposto degli art. 1339 e 1419, secondo comma, c.c. – 3.2.1. La soluzione del Supremo Collegio: nullità parziale della clausola degli interessi convenzionali ex art. 1419, secondo comma, c.c. e sostituzione automatica con il tasso-soglia ex art. 1339 c.c. – 3.2.2. Un’autorevole critica al modello rimediale della nullità parziale: il Collegio di coordinamento “boccia” la scelta della Corte di Cassazione. – 3.3. Segue. Il rimedio della riduzione della penale ex art. 1384 c.c.: il contemperamento di interessi dell’ABF, tra equilibrio del mercato finanziario e doveri di diligenza dell’Intermediario finanziario – 3.3.1. Le soluzioni proposte dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario nelle decisioni n. 77/2014 e 1875/2014: la percezione di interessi corrispettivi in misura usuraria costituisce violazione della buona fede contrattuale; con riferimento agli interessi moratori, deve procedersi alla riduzione della penale a norma dell’art. 1384 c.c. – 3.3.2. Una prima critica di tratto sistematico all’impostazione concettuale dell’Arbitro Bancario

L’usura nella giurisprudenza e rimedi di diritto civile: nullità, conformazione

della clausola degli interessi e riduzione della penale tra diritto,

mercato e principio di equità. Pro e contro in un’analisi ragionata delle

soluzioni possibili.

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Finanziario: la difficile convivenza tra l’accertamento del difetto di diligenza dell’intermediario, l’equità del giudice e l’usura in senso oggettivo. – 3.4. Il vero focus del problema: la misura della riduzione degli interessi usurari quale conseguenza in concreto del rimedio civilistico prescelto. Una questione di equità tra sanzione dello “Intermediario-usuraio” e contenuto illegittimamente premiale per il debitore. – 3.4.1. Uno sguardo dall’alto: il novero delle strutture rimediali possibili. Luci e ombre. – 3.4.2. La visione d’insieme: strutture rimediali “calibrate” quali sfaccettature di un medesimo principio di equità.

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3.1. Una breve premessa sui confini

e i contenuti dell’analisi. Il presente capitolo della trattazione è volto ad

approfondire lo studio delle strutture rimediali di diritto civile che consentano al prenditore che pattuisca o comunque sia chiamato a corrispondere interessi in misura superiore al tasso-soglia di tutelare le proprie ragioni creditorie nei confronti del prestatore erogante le somme a titolo di mutuo.

Giova premettere, sotto il profilo metodologico, che – in linea con l’intento che ha mosso chi scrive lungo tutto il corso della trattazione –, anche la predetta tematica sarà affrontata in chiave pratico-applicativa, vale a dire dando spazio all’analisi delle soluzioni rimediali che sono state in concreto vagliate dagli interpreti, nel solco tracciato dalla giurisprudenza, prendendo le mosse e seguendo l’iter argomentativo proprio delle riflessioni da questa svolte nelle più recenti pronunce in materia.

Da tale premessa consegue, innanzitutto, che l’analisi si concentrerà esclusivamente sui mezzi rimediali di cui la giurisprudenza stessa ha confermato l’applicabilità alla fattispecie dell’usura, come pure che ci si muoverà nell’analisi partendo dagli stessi presupposti che costituiscono la base degli orientamenti espressi dalle Corti giudicanti.

Primo tra tutti, il rilievo dell’inadeguatezza dell’istituto della rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. del contratto usurario, che, seppur nell’intenzione del legislatore del 1942 rappresentasse la disposizione per

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eccellenza connessa alla fattispecie usuraria194, non ha successivamente trovato concreto seguito, quale rimedio civilistico idonea a sanzionare il fenomeno usurario, in giurisprudenza195. 194 Invero, allorquando il legislatore del 1942 ha introdotto nel Codice civile l’azione generale di rescissione di cui all’art. 1448 c.c., ha inteso costituire un corrispondente civilistico del reato di usura (così, in dottrina, FERRI, Interessi usurari e criterio di normalità, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1975, 9-12, 289: nel corso della trattazione, lo stesso Autore nella sua trattazione chiarisce che “non a caso nella nuova e del tutto autonoma … fisionomia che il legislatore ha voluto dare all’istituto della rescissione, egli ha fatto riferimento, per ciò che concerne l’azione generale di rescissione per lesione (di cui all’art. 1448 c.c.), proprio a quel nesso di conseguenzialità tra vantaggi di un contraente e l’approfittamento dello stato di bisogno dell’altra, che costituisce il fondamento del reato di usura configurato nell’art. 644 c.p.”.). L’intento del legislatore è peraltro esplicitato nella Relazione al Codice, ove si conferma che “al codice penale quello civile si ricollega fino al punto da lasciare presumere che si sia voluto dare una precisazione dei presupposti civilistici della sanzione comminata nell’art. 644 c.p. e questa anzi la portata prevalente dell’azione generale di lesione introdotta con l’art. 1448, in quanto saranno rari i casi … in cui l’azione stessa potrà operare al di fuori dell’ambito della norma penale”. Cfr. anche Relazione al Re, n. 125, ove si legge che “volendo provvedere ai contratti usurari si è assorbita in un’azione di ampio e più rigido contenuto quella di lesione già prevista per la vendita”. 195 In materia di rapporto tra usura e rescissione per lesione si vedano ex multis, in dottrina, i seguenti contributi: PERLINGIERI, Sui contratti iniqui, in Rass. dir. civ., 2013, 2, 480; SASSI, Esegesi e sistema del contratto usurario, in Riv. dir. civ., 2010, 2, I, 247; GRANDI, Usura e rimedi civilistici, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 10, I, 991; COLAVINCENZO, Rescissione per lesione e nullità parziale del contratto sproporzionato usuraio, in Obbligazioni e Contratti, 2008, 5, 438; TALLARO, La rescissione:

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Il secondo punto cardine da cui l’analisi prenderà le mosse è l’indiscusso limite applicativo della gravissima sanzione prevista dall’art. 1815, secondo comma, c.c.196: la conversione del contratto di credito usurario in gratuito può operare, a seguito dell’intervenuto di interpretazione autentica ex L. n.24/2001, solo ed esclusivamente ove il prestatore e il prenditore pattuiscano interessi in misura riflessioni in materia alla luce anche dell'art. 644 c.p. e del principio, di derivazione comunitaria, di proporzionalità, in Studium iuris, 2006, 4, 409; SCHIAVONE, Usura: pluralità di fattispecie e rimedi civilistici, in Obbligazioni e Contratti, 2006, 4, 337; TROPEA, Il contratto usurario e la rescissione per lesione dopo l'emanazione della legge n. 108/1996, in Dir. e formazione, 2005, 12, 1639; LOPILATO, Rescissione, nullità e usura, in Dir. e Formazione, 2005, 7, 991; NAPOLI, Usura reale e rescissione per lesione, in Riv. dir. civ., 2004, 3, I, 401; OPPO, Lo “squilibrio” contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, 5, I, 533; MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contr. e impr., 1999, 2, 410; MINERVINI, La rescissione del contratto, in Rass. dir. civ., 1997, 4, 764; QUADRI, La nuova legge sull'usura: profili civilistici, in Nuova giur. civ. comm., 1997, 1, II, 62. 196 A sottolinearne il carattere di eccezionale gravità e di novità nel panorama giuridico delle sanzioni civilistiche, INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso-soglia della disciplina antiusura e al divieto dell’anatocismo, in Banca borsa tit. cred., 1999, I, 260, ove l’Autore conferma che “nella esperienza sino ad ora sviluppata nel nostro ordinamento, nel campo dei controlli sui prezzi e sui corrispettivi pattuiti dai privati, si tratta della sanzione probabilmente più grave che sia mai stata applicata e la ragione è da ricondurre alla particolare considerazione della gravità del fenomeno dell’usura, in tutte le sue implicazioni economico-sociali”. Sugli effetti potenzialmente dissestanti sul sistema bancario nel suo complesso dell’applicazione prolungata nel tempo del rimedio dell’art. 1815, secondo comma, c.c., cfr. ROCCHIO, La rilevanza dell’accordo ai fini del giudizio di usurarietà, in Giur. merito, 2006, VII-VIII, 1665.

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superiore al tasso-soglia sin dal momento genetico del contratto.

Il campo dell’indagine è espressamente confinato, dunque, alla trattazione della struttura rimediale civilistica applicabile alle fattispecie di usurarietà sopravvenuta del tasso di interesse.

3.2. Una prima struttura rimediale: nullità parziale del contratto e conformazione della clausola degli interessi ai sensi del combinato disposto degli art. 1339 e 1419, secondo comma, c.c.

3.2.1. La soluzione del Supremo Collegio: nullità

parziale della clausola degli interessi convenzionali ex art. 1419, secondo comma, c.c. e sostituzione automatica con il tasso-soglia ex art. 1339 c.c. Al fine di garantire il miglior bilanciamento dei contrapposti interessi di prestatore e prenditore, come pure di non frustrare l’esigenza del mutuatario di ritenere ed utilizzare il denaro richiesto ed ottenuto a titolo di mutuo è stata prospettata, in dottrina e nella giurisprudenza di legittimità, la possibilità di ricorrere al rimedio della nullità parziale del contratto ex art. 1419, secondo comma, c.c. 197, a mente del quale, come è noto, la nullità di una

197 Si confrontino, in dottrina, nella sterminata produzione dottrinale sulla nullità parziale, senza alcuna pretesa di esaustività, MIRABELLI, Dei contratti in generale, Comm. UTET, Torino, 1980, 492; FEDELE, Della nullità del contratto, Codice civile - Libro delle obbligazioni, I, Firenze, 1948, 682; CATAUDELLA,

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singola clausola (nell’ipotesi di cui si discute, quella relativa agli interessi) non comporta anche la nullità del contratto (nella specie, di mutuo o, comunque, altro genere di finanziamento) nella sua interezza, ove le clausole nulle siano sostituite di diritto da norme imperative.

Invero, l’applicazione del rimedio civilistico della nullità dell’intero contratto di finanziamento in essere tra Istituto di credito e mutuatario non sarebbe per contro idoneo ad assicurare un’adeguata tutela degli interessi delle parti. Tale soluzione, infatti, imporrebbe in prima istanza al mutuatario di restituire, in unica soluzione, l’intero ammontare delle somme ricevute a mutuo, detratte le rate già versate sulla base del piano di ammortamento, privandolo così della possibilità di fruire della liquidità che lo aveva spinto alla stipulazione del contratto medesimo. In altri termini, ove venisse dichiarata la nullità del contratto di mutuo ex art. 1418 c.c. nella sua interezza, il mutuatario certamente non sarebbe onerato del pagamento delle somme dovute a titolo di interessi, ma perderebbe il proprio diritto a restituire con dilazione il capitale mutuato198. Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, 181; CASELLA, Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole, Milano, 1974, 16. Si noti che, affinché possa operare il disposto dell’art. 1419, secondo comma, c.c., è necessario che possa individuarsi una norma imperativa vigente il cui contenuto sia suscettibile di essere sostituito alla clausola nulla del contratto (nella specie, di mutuo). 198 Beneficio che, nel complessivo assetto di interessi del contratto di mutuo, rappresenta un elemento essenziale del negozio. Non va dimenticato, infatti, che la stessa possibilità di concludere l’operazione economica di mutuo, avente carattere straordinario per il mutuatario, fa perno sulla predisposizione di un piano rateale di rimborso e sulla relativa pattuizione della misura degli interessi, di talché solo mediante tale modalità lo stesso mutuatario prevede di essere in grado di restituire nel tempo le somme mutuate secondo il

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Per tale ragione, il rimedio della nullità (totale) del contratto di mutuo, per illiceità della causa ex artt. 1343 e 1418, secondo comma, c.c., come pure per violazione di norma imperativa ex art. 1418, primo comma, c.c., non rappresenta un mezzo idoneo alla tutela e al contemperamento degli interessi in gioco.

La nullità oggetto della presente analisi, invece, riguarda la singola clausola determinativa degli interessi e, dunque, deve essere singolarmente dichiarata nulla per contrarietà al disposto alla L. n.108/1996.

Come è noto, la nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c. costituisce esplicazione del generale principio della conservazione del contratto e risponde all’antico brocardo latino secondo cui “utile per inutile non vitiatur”. Essa mira a consentire la prosecuzione del rapporto contrattuale, a prescindere dalla volontà delle parti in tal senso, mediante l’inserzione nel contratto di un contenuto, sostitutivo di quello convenzionale, che sia predeterminato dal legislatore in una norma imperativa, inderogabile dai contraenti, e, pertanto, va letta in stretta connessione con il disposto dell’art. 1339 c.c.199. proprio ciclo economico. Così, INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, cit., 257, ove l’Autore correttamente sottolinea che “la disciplina del contratto [n.d.r. di mutuo] … quando, all’art. 1819 c.c., prende in considerazione la restituzione rateale, manifesta una estrema consapevolezza di quanto rilevante sia per il mutuatario, nell’assetto degli interessi del contratto di mutuo, la dilazione contrattualmente stabilita nella restituzione del denaro”. 199 Per un inquadramento dell’istituto dell’inserzione automatica di clausola e per un commento all’art. 1339 c.c. si vedano, ex multis, BIANCA, Diritto civile. Il contratto., III, Milano, 2000; CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1956; CARRESI, Il contratto, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1987, OSTI, Contratto, in Noviss. Dig.

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La ratio ispiratrice del combinato disposto delle norme in questione deve essere rintracciata nella propensione dell’ordinamento a consentire la conservazione del contratto in essere tra le parti, quantomeno in tutte quelle ipotesi in cui la modificazione contrattuale richiesta non sia tale da renderne ingiustificato il mantenimento: in questi termini, la nullità totale del contratto rappresenta una via rimediale a carattere

It., IV, Torino, 1959; RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969; ROPPO, Il contratto, Milano, 2001; SACCO-DE NOVA, Il Contratto, in Trattato Sacco, II, Torino, 1993; SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972; SARACENI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971. Tra i contributi dottrinali più recenti, anche relativi a fattispecie peculiari di applicazione della norma, si vedano ROSITO, L’inserzione automatica della clausola revisionale negli appalti pubblici tra rinnovo e proroga contrattuale, in Rass. dir. civ., 2013, 2, 578 e ss.; RISPOLI, Asimmetrie contrattuali e limiti all'eterointegrazione normativa, in Giur. it., 2012, 7, 1560; ASTONE, Accordi gravemente iniqui e interventi correttivi del regolamento negoziale, in Rass. dir. civ., 2010, 4, 1013; DI MARZIO, Deroga abusiva al diritto dispositivo, nullità e sostituzione di clausole nei contratti del consumatore, in Contr. e impr., 2006, 3, 673 e ss.; RICCIO, Inserzione automatica di clausole e invalidità delle clausole difformi, in Contr. e impr., 2005, 1, 63 e ss.; SCODITTI, Mutui a tasso fisso: inserzione automatica di clausole o integrazione giudiziale del contratto?, in Foro it., 2001, 3, I, 919; VITIELLO, Nullità di una clausola contrattuale ex art. 79 l. 392/78 ed inserzione automatica di norme imperative nei contratti di locazione ad uso non abitativo, in Il Nuovo Diritto, 1996, 11, II, 1043 e ss.; DI MAURO, In tema di integrazione legale del contratto ex art. 1339 c.c., in Giust. civ., 1992, 1, 246 e ss.

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eccezionale rispetto alla regola che, per contro, è costituita dalla conservazione del contratto200. Secondo una dottrina più risalente201, la sostituzione automatica di clausole ai sensi del combinato disposto degli artt. 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c., poteva operare esclusivamente nel caso in cui la norma imperativa vigente, oltre a sanzionare con la nullità la pattuizione contrattuale contraria alla legge, ne disponesse espressamente la sostituzione ex lege mediante inserzione del precetto contenuto nella norma inderogabile stessa, al fine di eliminare ogni difformità della pattuizione in discorso con la previsione di legge. 200 In questo senso si vedano, in dottrina, CARIOTA-FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1952, 351; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1943, 486; in giurisprudenza cfr. Cass., 27 gennaio 2003, n. 1189, in Giust. civ. Mass., 2003, 186; Cass., 5 maggio 2003, n. 6756, in Giust. civ. Mass., 2003, 5; Cass., 19 luglio 2002, n. 10536, in Giust. civ. Mass., 2002, 1279; Cass., 8 aprile 1983, n. 2499, in Giust. civ. Mass., 1983, 4; Cass., 11 febbraio 1978, n. 624, in Vita not., 1978, 481. 201 Cfr. CRISCUOLI, La nullità parziale del negozio giuridico, Milano, 1959, 96; in giurisprudenza, cfr., Cass., 11 giugno 1981, n. 3783, in Giust. civ. Mass., 1981, 6, che, in una fattispecie relativa alla vendita immobiliare in cui l’acquirente aveva assunto su di sé l’onere di versare l’imposta di sull’incremento di valore delle aree fabbricabili, ha statuito che “l’art. 1419 comma 2 c.c., per il quale la nullità delle singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, si riferisce all’ipotesi in cui specifiche disposizioni, oltre a comminare la nullità di determinate clausole contrattuali, ne impongano anche la sostituzione con una normativa legale, mentre tale disposizione non si applica qualora il legislatore, nello statuire la nullità di una clausola o di una pattuizione, non ne abbia espressamente prevista la sostituzione con una specifica norma imperativa”.

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Dunque, nessuna sostituzione del patto dichiarato nullo dalla legge sarebbe potuta avvenire in difetto di un’espressa disposizione del legislatore in tale senso202.

A tale orientamento, che tuttavia deve oggi ritenersi desueto e comunque minoritario, ha aderito anche una parte della giurisprudenza di legittimità203. Dottrina e giurisprudenza più recenti, per contro, si sono espresse nel senso che non è necessaria un’espressa previsione di sostituzione della clausola contrattuale nulla

202 In tali ipotesi, secondo tale prima impostazione concettuale, avrebbe dovuto trovare applicazione non già il disposto dell’art. 1419, secondo comma, c.c., ma, all’opposto, il disposto del primo comma della medesima disposizione di legge, che, come è noto, predica che dalla nullità della singola pattuizione contrattuale consegua l’inefficacia dell’intero contratto, ove risulti questo non sarebbe stato concluso in mancanza di siffatte clausole convenzionali: in questo senso, cfr., in giurisprudenza, Cass. 12 gennaio 1995 n. 217, in Riv. dir. agr., 1995, II, 238. 203 Cass., 28 giugno 2000, n. 8794, in Giur. it., 2001, 1153; Cass., 7 agosto 1981, n. 4890, in Foro it., 1982, I, 34; Cass., 25 giugno 1979, n. 3551, in Foro it., 1979; Cass. 25 giugno 1979 n. 3551, in Giust. civ. Mass., 1979, 6, e, in materia agraria, Cass. 4 settembre 1980 n. 5100, in Giust. civ. Mass., 1980, 9, “l’art. 23 l. 11 febbraio 1971 n. 11 prevede soltanto l'invalidità delle rinunce e transazioni, che hanno per oggetto diritti dell'affittuario derivanti dalla presente legge e da ogni altra legge nazionale o regionale, ma non detta alcuna disciplina sostitutiva, in quanto la perdurante soggezione del rapporto agrario alla legislazione vincolistica consegue all'eliminazione di ogni effetto della rinuncia a seguito del suo annullamento e non alla sostituzione di effetti diversi da quelli che la rinuncia avrebbe prodotto senza l'annullamento; conseguentemente alla clausola di rinuncia alla proroga legale non è applicabile il disposto del comma 2 art. 1419 c.c. per il quale la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostitutive di diritto da norme imperative”.

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affinché possa operare il disposto degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c., in quanto l’effetto sostitutivo si produce in via automatica e meccanica, in quanto verte su elementi necessari del contratto o comunque aspetti essenziali e tipici del rapporto contrattuale con riferimento ai quali la legge ha apprestato una propria disciplina a carattere imperativo ed inderogabile. Secondo tale differente impostazione concettuale, l’interpretazione del lemma utilizzato dal legislatore (“quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”) non deve essere inteso in senso eccessivamente restrittivo, ma, per converso, l’interprete è chiamato a considerare la struttura complessiva della legge, la sua ratio ispiratrice e l’eventuale sussistenza di un principio di inderogabilità di tutte le norme ad essa pertinenti al fine di inferirne la natura certamente imperativa della norma.

Ove i suddetti requisiti sussistano, deve ritenersi dunque ammessa l’inserzione automatica delle disposizioni portate dalla norme imperative in luogo delle pattuizioni convenzionali nulle, atteso che l’espressione utilizzata dal legislatore (“sono sostituite di diritto”) non impone, secondo la più recente e maggioritario impostazione dottrinale e giurisprudenziale, l’esistenza di una previsione espressa della sostituzione, ma predica l’automaticità della stessa con riferimento ad elementi necessari del contratto (o, comunque, aspetti tipici del rapporto) con riferimento ai quali la legge non ammette una sistemazione convenzionale in deroga alla legge204.

204 Si veda, in giurisprudenza, Cass., 21 marzo 2011, n. 6364, in Giust. civ., 2011, 11, I, 2607, la quale ha statuito che “ai fini dell’operatività della disposizione di cui all’art. 1419 cod. civ., comma 2 il quale contempla la sostituzione delle clausole nulle di

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Qualora operi l’inserzione automatica di clausole ex artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c., peraltro, l’invalidazione del contratto nella sua interezza non può verificarsi nemmeno nell’ipotesi in cui si invochi la sussistenza di un vizio del consenso motivato da errore essenziale di diritto avente ad oggetto la clausola nulla in un contratto contrastanti con norme inderogabili, con la normativa legale, non si richiede che le disposizioni inderogabili, oltre a prevedere la nullità delle clausole difformi, ne impongano e dispongano - altresì - espressamente la sostituzione. Infatti, la locuzione codicistica (‘sono sostituite di diritto’) va interpretata non nel senso dell'esigenza di una previsione espressa della sostituzione, ma in quello dell'automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina”. Si vedano anche, in termini, Cass. 21 agosto 1997 n. 7822, in Arch. civ., 1997, 1206; Cass. 25 maggio 2001 n. 6956, in Giust. civ., 2002, I, 454; Cass. 5 dicembre 2003 n. 18654, in Giust. civ., 2004, I, 1273; in dottrina, cfr. TADDEI ELMI, Contratto e norme imperative sopravvenute: nullità o inefficacia successiva e sostituzione di clausole, in Obbligazioni e contratti, 2006, I, 36; CASELLA, Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole, cit., 55; PUTTI, La nullità parziale, Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, 146 e ss.. In dottrina si è precisato, a tal riguardo, che, in ogni caso, l’applicazione della disposizione postula l’esistenza e l’applicabilità di una disciplina legale (o quantomeno regolamentare) che possa sostituire la pattuizione convenzionale nulla, senza che si possa ammettere alcuna forma di intervento innovativo della giurisprudenza volto a creare ex novo regole sostitutivo: in questo senso, si vedano, seppur in materia di disciplina antitrust e libera concorrenza, LIBERTINI, Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust, in Danno e resp., 2005, 248; CASTRONOVO, Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, 473; CASTRONOVO, Ingiustizia del danno ed evoluzione dell’ordinamento, in La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 190, nt. 166.

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relazione alla norma imperativa che il legislatore ha predisposto per la sua sostituzione: in questa ipotesi, infatti, l’essenzialità della clausola ai fini della stipulazione del contratto, che ne giustificherebbe la declaratoria di nullità totale quale eccezione espressa prevista dall’art. 1419, primo comma, c.c., è esclusa dalla stessa possibilità della sostituzione con una clausola, legislativamente predeterminata, posta a tutela di un preminente interesse collettivo e pubblico205.

In dottrina si è sottolineato, peraltro, come il riferimento all’istituto rimediale dell’inefficacia nella specie della nullità sia, in realtà, meramente descrittivo, poiché, ponendo l’art. 1419, secondo comma, c.c., in stretto rapporto con l’art. 1339 c.c., il legislatore ha fatto sì che la sostituzione automatica delle clausole pattuite in violazione di norme imperative operi in via di prevenzione della stessa nullità206. 205 Cfr. Cass., 29 settembre 2005, n. 19156, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 961; e in Giust. civ. Mass., 2005, 7/8; e in Vita not., 2006, 1, 280; la quale, in una fattispecie relativa alla previsione pattizia di esclusione o rinuncia del conduttore al suo diritto di prelazione e di riscatto dell'immobile locato ad uso non abitativo, ha statuito espressamente che “la disposizione dell'art. 1419, comma 2, c.c., a norma della quale la nullità di singole clausole contrattuali non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, impedisce che al risultato dell’invalidità dell'intero contratto possa pervenirsi in considerazione della sussistenza di un vizio del consenso cagionato da errore di diritto essenziale, avente ad oggetto la clausola nulla in rapporto alla norma imperativa destinata a sostituirla, poiché l'essenzialità di tale clausola rimane esclusa dalla stessa prevista sua sostituzione con una regola posta a tutela di interessi collettivi di preminente interesse pubblico”. 206 In questo senso, si veda, in dottrina, NUZZO, Utilità sociale ed autonomia privata, Milano, 1975, 136; RODOTÀ, Le fonti di

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Di qui, come anticipato, l’irrilevanza di ogni giudizio in ordine all’estensione del vizio che determina la nullità, con la conseguenza che la clausola pattuita in violazione di norma imperativa di legge, infatti, è da intendersi sostituita ex lege anche se rientra nella volontà delle parti quale clausola essenziale ai fini della conclusione del contratto stesso207, come pure se le parti si siano specificamente vincolate a non proseguire il rapporto contrattuale in essere a fronte dell’eventuale nullità di una singola pattuizione208.

Come anticipato, la struttura rimediale civilistica della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c. integrazione del contratto, cit., 53; BARCELLONA, Intervento statale ed autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Milano, 1969, 156 e ss. 207 Cfr., in questi termini, DUVIA, La sostituzione automatica di clausole nell’art. 1419, comma 2, cod. civ., in Riv. dir. priv., 2008, 793; MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in Trattato a cura di Roppo, IV, 117; DI MAJO, Il contratto in generale, Trattato a cura di Bessone, XIII, 7, 108; PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Comm. Schlesinger, 267 e ss.; FILANTI, Nullità, I) Diritto civile, Enc. Treccani, XXI, Roma, 1990, 8; INZITARI, Autonomia privata e controllo pubblico nel rapporto di locazione, Napoli, 1979, 157; MIRABELLI, Dei contratti in generale, Comm. UTET, Torino, 1980, 492; ROPPO, Nullità parziale del contratto e giudizio di buona fede, in Riv. dir. civ., 1971, I, 717; SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, Trattato a cura di Grosso-Santoro-Passarelli; IV, 2, 499; FEDELE, Le invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino-Varese, 1943,151. 208 In questo caso, infatti, deve predicarsi la nullità o comunque l’inefficacia anche della pattuizione che imporrebbe l’interruzione del rapporto contrattuale, in quanto a sua volta contrastante con la norma imperativa “sostitutiva”: così D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2007, 80 e ss.; SCOGNAMIGLIO, Il contratto in generale, a cura di Gabrielli, in Trattato Rescigno-Gabrielli, 1164.

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della clausola pattizia di interessi in misura usuraria, con contestuale inserzione automatica, ex art. 1339 c.c., in luogo degli stessi, dei valori del tasso-soglia tempo per tempo determinati dalla legge – i cui profili disciplinari principali sono stati dianzi brevemente tratteggiati –, è stata fatta propria dal Supremo Collegio in alcune recenti pronunce.

Si tratta, in particolare, delle già accennate sentenze nn. 602 e 603 del 9 gennaio 2013209, le quali hanno statuito che, ove la misura degli interessi convenzionali consentite dalla L. n. 108/1996, gli interessi, corrispettivi od anche moratori, maturati o versati in eccedenza rispetto al tasso-soglia devono essere considerati usurari e, pertanto, automaticamente sostituiti, in relazione ai diversi periodi, dal limite massimo stabilito dalla legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c.

La soluzione prospettata dal Supremo Collegio appare, anche ad un’approfondita analisi, equilibrata e di solido fondamento giuridico.

Stante l’inapplicabilità del (grave) rimedio della conversione del mutuo oneroso in gratuito a mente dell’art. 1815, secondo comma, c.c., espressamente sancita dal legislatore con legge di interpretazione autentica n.24/2001, come pure stante l’inopportunità dell’applicazione de plano della nullità per violazione di norma imperativa ex art. 1418, primo comma, c.c., la Corte di Cassazione propende per la nullità della sola clausola determinativa degli interessi convenzionali per contrasto

209 Cass., 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, in Danno e resp., 2014, 2, 193, con nota di COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?; anche in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 487, con nota di QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità.

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con la normativa antiusura e per la riconduzione del tasso convenzionale usurario nei limiti di legge.

La scelta interpretativa della Corte muove dal presupposto che non può seriamente ritenersi sussistente in capo al mutuatario l’obbligo di corrispondere in favore del mutuante interessi ad un tasso che, al momento della corresponsione, siano divenuti usurari.

Ciò in quanto il pagamento di interessi in tale misura è contraria alla normativa antiusura vigente e cogente al momento della materiale esecuzione della prestazione contrattuale: per tale ragione, la prestazione degli interessi dovrà essere ricondotta nei limiti della legalità, vale a dire nei limiti del tasso-soglia ex L. n.108/1996.

Nell’orientarsi in questa direzione interpretativa, la Corte ha avallato la tesi della più attenta dottrina, la quale, interrogandosi sulla struttura rimediale civilistica più idonea a garantire il rispetto della normativa antiusura, aveva sottolineato che – nell’ipotesi in cui “pur essendo stato inizialmente pattuito un tasso di interessi più basso del tasso soglia del primo rilevamento, successivamente, per effetto della progressiva diminuzione del costo del danaro, il tasso di interessi pattuito si manifesti come eccedente il tasso soglia e, quindi, suscettibile di essere definito come usurario” – rilevava come la disciplina della L. n.108/1996 prevedesse un “adeguamento, attuato in via amministrativa, dell’originario divieto legislativo … che … comporta l’inesigibilità di interessi superiori ad un certo ammontare [di talché si determina così la] sopravvenienza di un divieto che contrasta con quanto le parti hanno convenuto precedentemente, allorquando, non esistendo ancora un divieto, la loro volontà aveva

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legittimamente convenuto un certo ammontare di interessi”210.

In altre parole la problematica della sanzione civilistica dell’usurarietà dei tassi di interesse deve essere ricondotta all’alveo della sopravvenuta inesigibilità della prestazione, atteso che il divieto di legge – che viene a mutare di contenuti a seconda delle rilevazioni trimestrali operate dalla Banca d’Italia –, rende inesigibile la prestazione degli interessi in misura superiore allo soglia, quantomeno per la parte eccedente il tasso-soglia stesso.

Già ben prima dell’intervento di interpretazione autentica attuato dal legislatore con la L. n. 24/2001, dunque, la succitata dottrina ravvisava l’esigenza che, in ogni caso in cui l’accertamento amministrativo del tasso-soglia facesse emergere un contrasto con i tassi convenzionali pattuiti nell’autonomia contrattuale dei contraenti, il mutuante, pur avendo originariamente pattuito un tasso superiore infra-soglia sulla base di un patto valido ed efficace, avrebbe dovuto limitare le proprie pretese a titolo di interessi ad una somma non eccedente la soglia211.

In altre parole, la sopravvenienza del divieto derivante dall’abbassamento del tasso-soglia nel corso del rapporto contrattuale impone la riconduzione a liceità della pattuizione degli interessi, pur se originariamente valida e lecita212. Nella fisiologica attuazione ed esecuzione del contratto, la riscossione degli interessi validamente pattuiti 210 Cosi INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, cit., 262. 211 Cosi INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, cit., 264. 212 Nella dottrina più recente, cfr. MANCINI, Osservazioni su anatocismo e conseguenze civilistiche dell’usurarietà sopravvenuta, cit., 660.

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è dunque legittima – o, meglio, lecita –, soltanto sino alla concorrenza del tasso-soglia.

Ne consegue che occorre propendere, quanto alla struttura rimediale di diritto civile applicabile all’usurarietà sopravvenuta, per la nullità parziale e sostituzione automatica di clausole ai sensi del combinato disposto degli artt. 1419, secondo comma, e 1339 c.c., mediante inserzione del tasso-soglia in luogo di quello convenzionale213.

213 INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, cit., 264. L’Autore giunge a tale conclusione operando un pregevole raffronto tra la scelta legislativa sperimentata in materia di usura (conversione del mutuo oneroso in mutuo gratuito e completa non debenza degli interessi da parte del mutuatario ex art. 1815, secondo comma, c.c.) e quella, diversa e più raffinata, operata dallo stesso legislatore in materia di locazione di immobili urbani, la quale comportava non già la drastica e gravemente punitiva sanzione della gratuità coattiva del contratto, ma soltanto la riduzione del canone pattuito alla misura stabilita dalla legge, proprio secondo un meccanismo di declaratoria di nullità parziale e inserzione automatica di clausola ai sensi del combinato disposto degli artt. 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c. In particolare, secondo l’Autore, “deve essere considerato, inoltre, che la struttura della più volte citata l. n.108/1996 segue una tecnica differente da quella sperimentata, ad esempio, nel settore dalla disciplina del canone di locazione degli immobili urbani, o dei fondi rustici, nei quali la legge determinava una serie di criteri attraverso cui concretamente veniva d’imperio stabilito il canone dovuto. Nella disciplina dell’equo canone, infatti, la contrarietà della convenzione tra i privati con il canone stabilito d’imperio, si risolveva attraverso le ormai sperimentate modalità della sostituzione automatica di clausole di cui all’art. 1339 c.c., o della nullità parziale con sostituzione della clausola nulla con quella prevista d’imperio, di cui all’art. 1419, comma 2°, c.c. (ben lungi da una qualsiasi previsione di repressione penale): cioè, attraverso quelle norme e principi che, con grande sensibilità

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3.2.2. Un’autorevole critica al modello rimediale della nullità parziale: il Collegio di coordinamento “boccia” la scelta della Corte di Cassazione.

L’impostazione argomentativa secondo cui la struttura rimediale più adeguata a sanzionare, sotto il profilo civilistico, il fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse deve essere individuata nella declaratoria di nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c. della clausola pattizia degli interessi convenzionali, con contestuale sostituzione degli stessi ex e consapevolezza delle modificazioni dell’autonomia privata, il legislatore del codice del 1942 ebbe la lungimiranza di prevedere e che tanto sono state utilizzate particolarmente dagli anni 60 in poi. La tecnica scelta dal legislatore per combattere il fenomeno dell’usura è diversa e sicuramente meno raffinata: non viene previsto il prezzo o meglio il tasso che imperativamente deve essere osservato, bensì viene previsto che, nel corso del tempo, quel creditore che pretenderà il pagamento di un tasso superiore a quello accertato dallo stesso legislatore, con cadenza trimestrale, violerà la legge, con conseguenze sul piano penale e sul piano civile: queste ultime consistenti nella modificazione d’imperio della natura onerosa in natura assolutamente gratuita del contratto. In altre parole, per il locatore che aveva pattuito un canone superiore all’equo-canone, la conseguenza era semplicemente la riduzione del canone e la restituzione di ogni soma incassata in eccedenza (cfr. art. 79 l. 27 luglio 1978, n. 391). Nella disciplina antiusura, considerata la diversa costruzione del divieto quale reato, il cui metro, per valutare l’antigiuridicità, è singolarmente costituito da un indice trimestralmente mutevole, il mutuante che continui a richiedere, anche successivamente all’intervenuto divieto, una misura di interessi superiore a quella del tasso soglia, subisce sul piano del diritto civile la sanzione della modificazione ex lege del mutuo da oneroso a gratuito, mentre, al contrario, in tutte le ipotesi sino ad ora verificatesi il mutuante subisce unicamente una modificazione del contenuto del contratto”.

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art. 1339 c.c. con i tassi-soglia tempo per tempo determinati – avallata dalla più recenti pronunce di legittimità214 e sopra sinteticamente riassunta –, è stata criticata dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario nella già ricordata decisione n. 77/2014.

Secondo il massimo Organo decisionale dell’ABF, infatti, in un sistema di rilevazione dell’usurarietà dei tassi basato sulla predeterminazione di un tasso-soglia – a sua volta dipendente da un preciso algoritmo matematico, che opera sulla base, variabile, del TEGM –, affinché non si determinino disfunzioni del mercato del credito è necessario che il valore-soglia sia determinato, momento per momento, mediante rilevazioni costanti, e, soprattutto, che il metodo di calcolo del TEG effettivo sia perfettamente coincidente con quello utilizzato per la rilevazione dei tassi medi di mercato operati dalla Banca d’Italia ai sensi della L. n. 108/1996 (TEGM).

In altri termini, come efficacemente rilevato dal Collegio, è assolutamente necessario “mantenere la perfetta simmetria tra il rilevato, il pattuito e il dovuto”, in quanto, diversamente opinando, “non vi sarebbe più perfetta simmetria tra i calcoli eseguiti per le rilevazioni rispetto ai calcoli eseguiti per determinare gli interessi convenzionali se i due calcoli fossero eseguiti in riferimento a tempi storici diversi” 215. 214 Il riferimento è, in particolare, a Cass., 11 gennaio 2013, n. 602, in Danno e resp., 2014, 2, 193, con nota di COLANGELO, Legalizzazione dell’usura?; anche in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 487, con nota di QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, come pure a Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in Banca borsa tit. cred., 2013, II, 498 e ss. 215 Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n. 77, Pres. Dott. Giuseppe Marziale, Estens. Prof. Avv. Antonio Gambaro,

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Dal punto di vista funzionale-applicativo, nell’opinione del Collegio di coordinamento dell’ABF, tale argomentazione impone di predicare l’inadeguatezza al caso dell’usura sopravvenuta del rimedio civilistico dell’automatica sostituzione del tasso pattuito con il tasso-soglia così come pro tempore determinato per legge, secondo il principio di sostituzione automatica di cui all’art. 1339 c.c.

E ciò per una dirimente ragione di ordine logico-economico, vale a dire poiché “il meccanismo della sostituzione automatica di clausole applicato alle ipotesi di usura sopravvenuta finirebbe con l’incidere in modo asimmetrico sulla tipologia di finanziamenti … [atteso che] … i contratti di finanziamento a tasso variabile sono normalmente immuni dal rischio di usura sopravvenuta perché incorporano in sé un meccanismo di adeguamento ai tassi di mercato … [mentre, all’opposto] … i finanziamenti a tasso fisso sono invece quelli esposti alla possibilità di usura sopravvenuta proprio perché sono contratti in cui il prenditore assume il rischio dei tassi discendenti e il prestatore assume il rischio di tassi crescenti”216.

reperibile nel suo testo integrale al seguente link: www.arbitrobancariofinanziario.it. Si tratta, è bene notarlo, dello stesso principio di simmetria e omogeneità dei valori di riferimento che spinge il Collegio di coordinamento a predicare la non inclusione del tasso di interesse moratorio nel calcolo del TEG effettivamente applicato (in considerazione della circostanza, che, in sede di determinazione del TEGM, le Istruzioni agli Intermediari fornite dalla Banca d’Italia prescrivono che il tasso di mora non venga ivi contemplato). Sugli effetti distorsivi connessi al mancato allineamento e alla disomogeneità dei parametri oggetto di raffronto (TEGM e TEG effettivo) ci si soffermerà infra. 216 Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n.77, cit., 11.

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In altri termini, chiosa il Collegio di coordinamento, “applicando il rimedio di cui all’art. 1419 c.c. si frantumerebbe detto equilibrio esponendo il prestatore al rischio di tassi crescenti senza il vantaggio di poter profittare dei tassi decrescenti e con ciò si disincentiverebbe il modo drastico la stipulazione di finanziamenti poliennali a tasso fisso”217.

In conclusione, l’ABF censura il rimedio civilistico dell’inefficacia (sopravvenuta) parziale della pattuizione usuraria degli interessi ex art. 1419, secondo comma, c.c. e della sostituzione automatica della stessa con i tassi-soglia ex L. n.108/1996, in quanto essa inciderebbe, di fatto, in maniera non uniforme sul mercato del credito e sulle parti del contratto di mutuo/finanziamento, gravando il prestatore di denaro dell’onere di sopportare il rischio dell’innalzamento dei tassi di interesse senza corrispondentemente ammetterlo a godere del beneficio di un abbassamento dei tassi medesimi.

Trattasi, ancora una volta, di un’impostazione concettuale fondamentalmente ispirata (anche) alla tutela dell’interesse gli interessi del contraente “forte” del rapporto di credito e che sembra dimenticare con L. n.108/1996, norma avete efficacia precettiva imperativa ed inderogabile dai contraenti, il legislatore ha imposto un preciso limite alla misura degli interessi convenzionali, sicché non si vede come una pattuizione divenuta usuraria possa essere considerata valida ed efficace se (anche successivamente) entrata in rotta di collisione con la disciplina antiusura.

217 Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n. 77, cit., ibidem.

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A meno di non cadere nell’erronea convinzione, pur diffusa in dottrina, che con l’intervenuto legislativo di interpretazione autentica attuato con L. n.24/2001 il legislatore abbia inteso limitate la portata precettiva dell’intero corpus della L. n.108/1996 alla sola ipotesi della c.d. usura originaria. Ciò che non è sostenibile per tutte le motivazioni che sono già state oggetto di trattazione nel secondo capitolo del presente scritto e che si richiamano in questa sede218, sulla base delle quali si è concluso che l’intervenuto di interpretazione autentica ha realizzato l’esclusivo fine di escludere l’applicazione del rimedio di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., all’ipotesi dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse, così sancendo in detta ipotesi, anche su pressione del ceto bancario e in virtù delle conseguenze politico-economiche che ne sarebbero potute derivare, l’inapplicabilità di un rimedio (la conversione del mutuo oneroso in mutuo gratuito) ingiustificatamente premiale per il debitore mutuatario ed eccessivamente gravoso per il sistema bancario.

3.3. Segue. Il rimedio della riduzione della penale ex art. 1384 c.c.: il contemperamento di interessi dell’ABF, tra equilibrio del mercato finanziario e doveri di diligenza dell’Intermediario finanziario.

3.3.1. Le soluzioni proposte dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario nelle 218 Cfr. cap. II, § 2.2.3.

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decisioni n. 77/2014 e 1875/2014: la percezione di interessi corrispettivi in misura usuraria costituisce violazione della buona fede contrattuale; con riferimento agli interessi moratori, deve procedersi alla riduzione della penale a norma dell’art. 1384 c.c.

In via alternativa alla struttura rimediale della nullità

parziale e sostituzione del tasso-soglia a quello convenzionale ex art. 1419, secondo comma, e 1339 c.c., il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, nella sua funzione – per così dire, nomofilattica –, ha proposto, in due recentissime decisioni219, una lettura interpretativa differente, che fa perno, da un lato, sul principio di buona fede oggettiva e, per altro verso, sulla riduzione ex officio della penale esorbitante ex art. 1384 c.c.

In via riassuntiva, il massimo Organo giudicante dell’Arbitro Bancario Finanziario fa derivare dal principio di buona fede oggettiva un obbligo in capo al prestatore di diminuire i tassi degli interessi corrispettivi (almeno) fino ad un valore corrispondente al limite del tasso-soglia ex L. n.108/1996 e, quanto agli interessi moratori, predica, quanto alla struttura rimediale di diritto civile in concreto esperibile, la possibilità di procedere alla riduzione del tasso sulla base dei poteri officiosi attribuiti all’organo giurisdizionale a mente dell’art. 1384 c.c.

Nel primo dei due provvedimenti in parola (n.77/2014) – venendo a soffermarsi sull’articolato profilo dei rimedi sanzionatorio di ordine civilistico esperibile da

219 Si tratta di Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n.77, cit., e Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, Pres. Dott. Marziale, Est. Prof. Avv. Gambaro, in www.expartecreditoris.it.

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parte del mutuante che si trovi a dover corrispondere all’Intermediario creditizio interessi che, seppur originariamente non usurai, hanno nel corso del rapporto contrattuale assunto valori superiori alla soglia – il Collegio di coordinamento fissa, innanzitutto, quale punto di partenza del proprio iter argomentativo, una premessa di ordine metodologico.

Secondo l’ABF non può condividersi il convincimento di una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina che “ha inseguito la ricerca del rimedio civilistico più adatto a proteggere l’interesse del mutuante prima di esplicitare i limiti in cui tale interesse è riconosciuto e protetto all’interno del moderno sistema di contrasto al fenomeno dell’usura”220.

Per contro, sotto il profilo metodologico, è necessario muovere, in via preliminare, da “un controllo sulla fondatezza dell’assunto per cui è inammissibile che il mutuante sia tenuto a versare gli interessi in una misura che, al momento in cui essi devono essere corrisposti, si pone al di sopra della soglia di usurarietà vigente”221. Siffatta valutazione, secondo il Collegio di Coordinamento, deve essere svolta prendendo a riferimento la stessa finalità della Legge n.108/1996, la cui finalità deve essere reperita, stante il sistema oggettivo di individuazione del fenomeno usurario sulla base di un tasso-soglia a sua volta legato a rilevazioni di mercato, nella necessità di evitare discriminazioni e disparità

220 Si tratta di Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n.77, cit., 7. 221 Si tratta di Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n.77, cit., ibidem.

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nell’accesso al credito tra individui o gruppi di individui222.

Dall’altro lato, l’individuazione normativa di un tasso-soglia oltre il quale gli interessi devono sempre qualificarsi come usurai – quale è quello costruito dalla L. n. 108/1996 –, funge da “calmiere” rispetto alla erogazione del credito e impedisce che le singole negoziazioni possano determinare un innalzamento del “prezzo” del credito stesso, alterando gli equilibri di mercato.

La stessa ratio della normativa antiusura ex L. n.108/1996 impone, dunque, affinché non si determinino disequilibri nel mercato, che trovi applicazione un criterio (di determinazione del TEGM, del tasso-soglia e dei TEG in concreto applicati) che garantisca una perfetta coincidenza, in termini di consistenza numerica, tra “il rilevato, il pattuito e il dovuto”, in quanto, diversamente opinando, “non vi sarebbe più perfetta simmetria tra i calcoli eseguiti per le rilevazioni rispetto ai calcoli eseguiti per determinare gli interessi convenzionali se i due calcoli fossero eseguiti in riferimento a tempi storici diversi” 223. 222 In questo senso si spiega, secondo il Collegio di coordinamento ABF l’intervento d’interpretazione autentica attuato con L. n. 24/2001, che è ispirato al principio per cui le finalità antidiscriminatorie del divieto di usura, così come modernamente definito, si consumano al momento della stipulazione. 223 Sugli effetti distorsivi connessi al mancato allineamento e alla disomogeneità dei parametri oggetto di raffronto (TEGM e TEG effettivo) ci si soffermerà infra. Giova ricordare, peraltro, che dalla centralità del principio di omogeneità e simmetria dei tassi di riferimento il Collegio di coordinamento, come si è visto nel precedente paragrafo, trae argomenti a sfavore dell’applicabilità alla specie del rimedio civilistico della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c. con inserzione automatica del tasso-soglia in luogo di quello convenzionalmente pattuito in misura usuraria.

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Da ciò non può inferirsi, tuttavia, che il mutuatario che si trovi a corrispondere tassi di interessi divenuti nel tempo usurari sia sprovvisto di ogni forma di tutela civilista.

Invero, la posizione del mutuatario che patisca gli effetti pregiudizievoli ed illegittimi dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse può trovare efficace tutela mediante la struttura rimediale della riduzione della penale ex art. 1384 c.c. – che costituirebbe una giusta calibrazione della sanzione civilistici, in grado di soddisfare la ratio della normativa antiusura senza determinare l’insorgere di effetti distorsivi sul mercato –, la cui applicabilità si giustifica, secondo il Collegio di coordinamento, nel riferimento al principio cardine della correttezza e buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c., come pure la non conformità al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. del comportamento dell’Istituto bancario che, pur conscio del sopravvenuto superamento del tasso-soglia, prosegua nell’applicare e nel percepire interessi a tassi usurari.

Invero, “è ormai riconosciuto il ruolo centrale della buona fede nella moralizzazione dei rapporti contrattuali ovvero nel dotare tali rapporti della flessibilità necessaria ad incorporare i valori etici dell’ordinamento giuridico. La Suprema Corte di Cassazione che ha assunto un ruolo guida in proposito ha insegnato che ‘il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la relazione al codice civile ‘richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore’ – deve essere inteso in senso oggettivo in quando enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua

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rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge”224.

Il Collegio di coordinamento, dunque, individua il giusto contemperamento tra i contrapposti interessi nel rapporto contrattuale di mutuo nella doverosa imposizione all’intermediario di un obbligo di agire secondo il principio di buona fede, da intendersi in senso oggettivo.

In altri termini, il Collegio di Coordinamento, nella decisione di cui si tratta, stabilisce che, a prescindere dalla sussistenza di obblighi espressamente previsti in contratto o dalla legge, vige su ciascuna parte un obbligo di preservare gli interessi dell’altra nell’esecuzione del contratto. Un comportamento difforme, infatti, comporterebbe l’insorgere di una responsabilità dell’intermediario per abuso del diritto, come pure una violazione del principio di solidarietà sociale che trova fondamento di rango costituzione nell’art. 2 Cost.

Infatti, conclude il Collegio di coordinamento nella decisione n. 77/2014, “il ricorso al principio di buona fede appare il rimedio più congruo al fine di trasferire all’interno di un rapporto di durata poliennale i vantaggi economici derivanti da una discesa dei tassi di mercato senza alterare in modo eccessivo l’equilibrio contrattuale, ma armonizzando con la funzione equilibratrice propria di un sistema giuridico assiologicamente orientato”, con la conseguenza che “l’intermediario rifiutando di portare i tassi concordati al di sotto della soglia di usurarietà … in un contesto in cui i tassi erano prossimi alla soglia del 224 Così Collegio di coordinamento ABF, 10 gennaio 2014, n.77, cit., 12.

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tempo … non si è adeguato al canone di buona fede contrattuale e in ciò risiede l’antigiuridicità della sua pretesa”.

In altri termini, secondo l’orientamento in parola, ove si verifichi un sopravvenuto abbassamento dei tassi di interesse che determini il superamento del valore-soglia di liceità degli interessi, non corrisponde ai principi di buona fede contrattuale oggettiva e di solidarietà il non chiamare il prenditore-mutuatario a partecipare del vantaggio economico conseguente225.

Ne consegue l’obbligo in capo all’operatore creditizio che abbia agito in violazione della buona fede contrattuale di restituire le somme percepite a titolo di interesse in misura superiore tempo per tempo determinata ex lege.

Nella successiva decisione (n. 1875/2014), emessa a soli tre mesi di distanza dalla prima, il Collegio di coordinamento dell’ABF è tornato sull’argomento della struttura rimediale applicabile all’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse, soffermandosi, sulla riducibilità ex art. 1384 c.c. degli interessi moratori226.

Nella decisione in commento, il Collegio di coordinamento muove dal presupposto che la riducibilità della penale è rimedio a carattere non eccezionale227, bensì 225 E ciò, in particolar modo, chiosa il Collegio di coordinamento nella decisione in parola, ove l’Intermediario creditizio abbia applicato sin dall’origine del rapporto un tasso collocato per lunghi periodi senza in stretta prossimità della soglia massima consentita. 226 227 In questo senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno sottolineato che il potere di riduzione ad equità è attribuito al giudice ai sensi dell’art. 1384 c.c. a fini di tutela dell’interesse generale dell’ordinamento e può essere esercitato d’ufficio allo scopo di ricondurre ad equità l’autonomia

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essa è “espressione di un più generale potere-dovere del giudice di controllo sulla congruità di qualunque clausola contrattuale atta a predeterminare la pena gravante sulla parte inadempiente, così da garantire la sua proporzionalità e la sua eventuale riconduzione ad un ammontare tale da essere meritevole di tutela e pertanto l’art. 1384 c.c. risulta applicabile agli interessi di mora convenzionalmente stabiliti dalle parti”228.

Posto, dunque, che il rimedio di cui si discute è espressione della funzione di controllo dell’organo giudicante sull’autonomia privata dei contraenti e prevede l’attribuzione in capo allo stesso di un potere officioso nell’interesse non già del singolo individuo, ma della collettività nel suo complesso, posto a presidio e salvaguardia dell’interesse generale per l’esercizio di una funzione correttiva di riequilibrio contrattuale o di adeguatezza della sanzione229, ciò che importa indagare è, contrattuale ove questa appaia comunque meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico: cfr. Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, in Dir. e formazione, 2005, 1432; in Corr. merito, 2005, 11, 1171; in Foro it., 2005, I, 2985; in Resp. civ. e prev., 2006, 1, 56, con nota di SCHIAVONE, Funzione della clausola penale e potere di riduzione da parte del giudice; in Giust. civ. Mass., 2005, 6; in Eur. e dir. priv., 2006, 1, 353; in Riv. giur. edilizia, 2006, 1, I, 68; in Foro it., 2006, 1, I, 106, con nota di PALMIERI, Supervisione sistematica delle clausole penali: riequilibrio (coatto e unidirezionale) a scapito dell'efficienza?; in Foro it., 2006, 2, I, 432, con nota di BITETTO, Riduzione “ex officio” della penale: equità a tutti i costi?; in Giur. it., 2006, 12, 2279. 228 Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., 19. 229 Cfr. Cass., 5 novembre 2002, n. 15497, in Giust. civ. Mass., 2002, 1909; Cass., 29 marzo 1996, n. 2909, in Foro it., 1996, I, 1621; Cass., 7 agosto 1992, n. 9366, in Giust. civ. Mass., 1992, 8-9.

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secondo il Collegio di coordinamento, se sussistano o meno parametri di giudizio idonei a valutare l’eccessività e l’oggettiva sproporzione della misura degli interessi tale da giustificare l’intervento di riduzione ex officio.

Orbene, secondo il Collegio di coordinamento, tanto la valutazione di manifesta sproporzione degli interessi di mora quanto la misura della susseguente riduzione non possono “prescindere dal rapporto quantitativo intercorrente tra i tassi corrispettivi e quelli moratori convenzionalmente predefiniti … [che, insieme], … incorporano la stima del sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di denaro dalla propria sfera patrimoniale nella sfera di disponibilità altrui”230.

Sacrificio che, tuttavia, deve essere valutato in proporzione all’onerosità del medesimo contratto di credito in capo al prenditore, che funge viene in rilievo come antitetico metro di giudizio, con la conseguenza che la previsione della corresponsione di tassi di interesse moratorio non può mai sfociare nell’inclusione nel testo contrattuale di clausole penali che, in ottica soltanto sanzionatoria, si prestino esclusivamente allo scopo di “suscitare panico nel debitore”231.

230 Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., 21. 231 Cosi, testualmente, Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., ibidem. A tal riguardo, si segnala che anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha in più occasioni avuto modo di affermare che la pattuizione di clausole penali esorbitanti è pratica illegittima, che non rientra nel normale e tollerabile esercizio dell’autonomia privata dei contraenti e che trova un limite nel potere del giudice di ridurre l’ammontare della penalità pattuita avendo riguardo all’effettiva incidenza della penale stessa con riguardo all’equilibrio delle prestazioni

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Nell’ipotesi in cui ciò accada, vale a dire quando “la funzione assegnata alla misura pattizia degli interessi moratori sia completamente scollegata dalla stima del sacrificio illecitamente imposto al prestatore di denaro per assumere quelli di atterrire il debitore”232, la riduzione si impone.

corrispettive delle parti contrattuali. Si veda, con riferimento al tema dell’eccessività della penale, Cass., 10 maggio 2012, n. 7180, in Giust. civ., 2012, 10, I, 2336 e in Foro it., 2013, 4, I, 1205, con nota di PALMIERI, Art. 1384 c.c. e sopravvenienze: ulteriore arretramento della funzione sanzionatoria della clausola penale, la quale ha avuto modo di confermare che “l’apprezzamento sulla eccessività dell'importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonché sulla misura della riduzione equitativa dell'importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l'entità del danno subito”; Cass. 16 febbraio 2012, n. 2231, in Dir. e Giust., 2012, 30 maggio; Cass., 16 marzo 2007, n. 6158, in Giust. civ. Mass., 2007, 3; Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, cit.; Cass. 18 marzo 2003, n. 3998, in Giust. civ. Mass., 2003, 547; Cass., 26 giugno 2002, n. 9295, in Giur. it., 2003, 450, con nota di GALLARATI, La clausola penale: funzione deterrente e risarcitoria; Cass., 8 maggio 2001, n. 6380, in Giust. civ. Mass., 2001, 940; Cass., 23 maggio 2003, n. 8188, in Giust. civ. Mass., 2003, 5; in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 553, con nota di PALASCIANO, La riducibilità ex officio della clausola penale tra equità delle sanzioni e principio della domanda. 232 Cosi, testualmente, Collegio di Coordinamento ABF, decisione n. 1875 del 28 marzo 2014, cit., ibidem.

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3.3.2. Una prima critica di tratto sistematico all’impostazione concettuale dell’Arbitro Bancario Finanziario: la difficile convivenza tra l’accertamento del difetto di diligenza dell’intermediario, l’equità del giudice e l’usura in senso oggettivo.

Come si è appena visto, il Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, chiamato a fornire una linea guida per tutti i collegi territoriali del medesimo Organo giudicante, nella decisione n. 77/2014 recentemente resa ha concluso nel senso che gli interessi corrispettivi versati dal mutuatario in misura (sopravvenuta) superiore al tasso-soglia devono essere restituiti al prenditore dall’Intermediario creditizio, in quanto quest’ultimo, in violazione del canone di buona fede oggettiva contrattuale (artt. 1175, 1176 e 1375 c.c.) e del principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., ha dapprima fissato il tasso convenzionale degli interessi corrispettivi in una misura assai prossima alla soglia e, nel momento successivo dell’esecuzione del contratto, verificatasi la diminuzione dei tassi di mercato, non si è attivato per ridurre in proporzione gli oneri gravanti sul mutuatario: di qui, secondo il Collegio stesso, l’antigiuridicità del fatto da cui discende l’obbligo restitutorio in capo della Banca.

L’iter argomentativo del Collegio di coordinamento nella decisione in parola è senza dubbio apprezzabile, come pure lo sforzo ermeneutico compiuto dallo stesso Organo dell’ABF al fine di trovare adeguata collocazione nel panorama giuridico alle pretese del prenditore che si veda addebitare interessi in misura superiore alla soglia, prendendo in debita considerazione, in parallelo, le esigenze di corretto funzionamento del mercato del credito.

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A parere di chi scrive, tuttavia, la scelta compiuta dal Collegio di coordinamento lascia comunque aperto qualche spiraglio a critiche233.

In primo luogo, merita osservare che l’Organo giudicante dell’ABF fonda la propria decisione sulla circostanza che, nella fattispecie specificamente sottoposta alla sua analisi, l’Intermediario creditizio aveva applicato tassi di interesse corrispettivi assai prossimi alla soglia sin dall’origine del rapporto e per la durata del contratto stipulato con il prenditore.

Una siffatta condotta potrebbe non essere considerata un’idonea fonte di responsabilità in capo al mutuante: invero, la convenzione degli interessi corrispettivi tra i contraenti è certamente avvenuta, con patto in forma scritta e secondo le formalità richieste dalla legge, in misura ultralegale, ma, comunque, inferiore al limite massimo stabilito dalla L. n.108/1996.

E ciò anche in considerazione della circostanza che, ai fini dell’individuazione del fenomeno usurario, come anche chiarito dal legislatore con legge di interpretazione autentica n. 24/2001, rileva soltanto il momento della pattuizione degli interessi.

Potrebbe dunque sostenersi che non sia reperibile una condotta imputabile all’Intermediario creditizio posta in essere in violazione della L. n.108/1996 e che abbia abbia 233 Si tratta, è bene evidenziarlo, di una possibile censura che trae origine dall’assunto della non contestabilità agli Intermediari creditizi di responsabilità di sorta per l’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse e che, dunque, perde valore critica ove si aderisca all’opposta – e preferibile –, impostazione concettuale, avallata anche dalla Corte di Cassazione e, seppur secondo un diverso iter argomentativo, anche dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, della configurabilità, della rilevanza e della necessità di sanzione civilistica del fenomeno medesimo.

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valenza causale rispetto al prodursi dell’usurarietà sopravvenuta, anche in virtù del fatto che essa, in punto di disciplina dell’usura, è sempre modellato sulle Istruzioni all’uopo fornite dall’Autorità di vigilanza234. 234 A tal riguardo, si noti che la giurisprudenza di merito ha avuto modo di statuire che dall’osservanza delle istruzioni riportate nelle circolari inviate dalla Banca d’Italia agli operatori del mercato del credito in vigore nel corso del rapporto di finanziamento comporta la legittimità della condotta della banca (così, Trib. Torino, 17 febbraio 2014, n. 1244, in www.expartecreditoris.it). In particolare, secondo la citata pronuncia di merito, è inesigibile a carico dell’Istituto di credito erogante il finanziamento un comportamento difforme dalle istruzioni fornite dalla Banca d’Italia (ad esempio, quanto alle voci di costo e agli oneri del credito da includere nella determinazione del TEGM: si pensi, in primo luogo, agli interessi moratori, di cui si è detto nel precedente capitolo della trattazione). Si segnala, per converso, che altra giurisprudenza ha osservato come, seppur le Istruzioni di vigilanza comportino la non censurabilità, sotto il profilo di un’eventuale responsabilità civilistica, della condotta della banca, esse non sono affatto vincolanti per gli organi giurisdizionali che si trovino a giudicare controversie in materia di usura. Si veda, a tal riguardo, Corte App. Milano, 14 marzo 2014, in www.ilcaso.it, che, nel confermare che nel TEGM deve essere incluso il costo della polizza assicurativa stipulata contestualmente al finanziamento, precisa che “l’interpretazione dell’art. 644 c.p. prescinde … dalle istruzioni emanate dalla Banca d’Italia in quanto esse, non essendo fonti normative, non hanno carattere vincolante per l’autorità giurisdizionale”. In termini, anche Corte App. Torino, 20 dicembre 2013, in www.ilcaso.it, ove si statuisce che le Istruzioni fornite dalla Banca d’Italia agli Intermediari creditizi non hanno efficacia precettiva nei confronti dell’organo giurisdizionale nell’ambito dell’accertamento del TEG in concreto applicato e sono disposizioni non suscettibili di derogare alla legge; cfr., da ultimo, Corte App. Milano, 22 agosto 2013, in www.ilcaso.it.

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Nell’impossibilità di individuare una condotta imputabile al mutuante difforme rispetto al precetto della legge e dalle Istruzioni ricevute dall’Organo di vigilanza, come pure, al contempo, in presenza di un orientamento della giurisprudenza assolutamente non univoco e in oscillazione tra soluzioni contrapposte ed antipodiche in ordine alla rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse –, potrebbe comunque sostenersi che non rappresenta un comportamento contrario a buona fede contrattuale la percezione di interessi pattuiti in misura ab initio non usuraria e successivamente divenuta tale in conseguenza della diminuzione, certamente non prevedibile dal singolo Intermediario creditizio, dei tassi di interesse, corrispettivi e moratori, sul mercato.

Di qui la possibilità che i fautori della dottrina dell’irrilevanza dell’usurarietà sopravvenuta addivengano a criticare l’assunto di fondo da cui muove il Collegio di coordinamento per condannare il prestatore a restituire gli interessi percepiti oltre la misura della soglia, vale a dire l’esistenza stessa di uno specifico obbligo di un dovere di correttezza e di lealtà di condotta di portata tanto ampia da imporre all’Istituto di credito di ridurre il tasso di interesse validamente convenuto oltre il tasso-soglia all’atto della stipulazione del contratto al parametro-limite di legge.

Ciò a meno che il mutuatario che agisca per la restituzione degli interessi indebitamente corrisposti in misura superiore alla soglia riesca a fornire la prova, sul piano processuale, che il soggetto erogante il finanziamento era si dall’origine ben consapevole che, di lì a breve, i tassi di interesse avrebbero assunto valori sensibilmente inferiori235. 235 Si tratterebbe, peraltro, di una prova eccessivamente gravosa, se non addirittura diabolica, per il mutuatario, al punto che potrebbe

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La decisione di cui si discute, peraltro, sembra troppo legata alla peculiarità della fattispecie concreta sottoposta all’analisi dell’Arbitro Bancario Finanziario e, in particolare, della prossimità, in specie, tra il tasso corrispettivo convenzionale e il tasso-soglia ex L. n.108/1996, sulla quale il Collegio di coordinamento sembra appoggiarsi per costruire una sorta di presunzione di non correttezza del comportamento della banca in violazione della buona fede oggettiva.

Il dubbio che la scelta del Collegio di coordinamento ABF è riassumibile in un interrogativo: quid iuris nell’ipotesi in cui il tasso convenzionale degli interessi sia pattuito in misura sensibilmente inferiore alla soglia, ma nel corso del rapporto di credito sopravvenga ugualmente il superamento del tasso-soglia ex L. n.108/1996?

Anche in questo caso si configura una condotta lesiva della buona fede contrattuale del prestatore e l’obbligo di restituire al mutuatario quanto percepito, in maniera non corretta, in esecuzione del contratto in misura superiore alla soglia?

Dubbi pone, poi, anche la decisione n. 1875/2014 del Collegio di coordinamento ABF e la scelta ivi operata della struttura rimediale della riduzione ex art. 1384 c.c.

giustificarsi un’inversione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. in funzione del generale principio della c.d. vicinanza della prova (si veda, a tal riguardo, Cass., Sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Il civilista, 2010, 11, 61; in Giust. civ. Mass., 2001, 1826; in Dir. e Formazione, 2001, 1013; in Corr. giur., 2001, 1565, con nota di MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; in Danno e resp., 2002, 318; in Contr., 2002, 113, con nota CARNEVALI, Inadempimento e onere della prova; in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 349, con nota di MEOLI, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova).

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degli interessi moratori divenuti usurari nel corso dell’esecuzione del contratto. Sulle criticità di tale via interpretativa, che attengono alla mancanza di un rigido parametro di riferimento per la riduzione della misura degli interessi moratori e sulla mancanza di coerenza con un sistema normativo che punta all’oggettivizzazione del fenomeno usurario, ci si soffermerà infra236.

3.4. Il vero focus del problema: la misura della riduzione degli interessi usurari quale conseguenza in concreto del rimedio civilistico prescelto. Una questione di equità tra sanzione dello “Intermediario-usuraio” e contenuto illegittimamente premiale per il debitore. 3.4.1. Uno sguardo dall’alto: il novero delle strutture rimediali possibili. Luci e ombre.

Si è avuto modo di illustrare, nel presente capitolo della trattazione, le soluzioni che giurisprudenza e dottrina hanno proposto e concretamente applicato per dirimere controversie nelle quali il debitore sovvenuto eccepiva l’usurarietà della misura degli interessi corrisposti alla Banca in adempimento del contratto di finanziamento. Assodata l’inadeguatezza della declaratoria di inefficacia del contratto di finanziamento nella sua interezza ex art. 1418, primo comma, c.c. per contrarietà a norma imperativa, come pure della rescissione del 236 Cfr. il successivo § 3.4.1.

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contratto ex art. 1448 c.c., si è altresì osservato che sia il rimedio della riduzione della penale per manifesta eccessività della stessa ex art. 1384 c.c., pur se ragionevole e corretta sul piano strettamente giuridico, fa dipendere la riduzione del tasso di interesse, tanto corrispettivo quanto, eventualmente, moratorio, da una valutazione rimessa all’equità del giudice e, in secondo luogo, presuppone che si accerti la violazione da parte dell’Intermediario della buona fede contrattuale. Al contempo, si è rilevato che anche la soluzione proposta dalla Corte di Cassazione – vale a dire l’inefficacia parziale del contratto ex art. 1419, secondo comma, c.c. con contestuale effetto conformativo del contratto mediante inserzione automatica di clausole ex art. 1339 c.c. –, è censurabile per motivi di opportunità, in quanto potenzialmente idonea a generare un disequilibrio nel sistema di mercato e una disparità di trattamento tra mutui a tasso fisso e finanziamenti a tasso variabile. D’altra parte, a parere di chi scrive, l’analisi intorno all’adeguatezza del rimedio civilistico e la conseguente sorte della pattuizione di interessi in misura usuraria, originaria o sopravvenuta, deve essere svolta secondo un approccio di tipo funzionalistico e pratico, vale a dire avendo riguardo alla capacità della sanzione civilistica di reprimere adeguatamente il fenomeno usurario, in ossequio alla ratio di cui alla normativa antiusura ex L. n.108/1996, di garantire l’equilibrio del sistema bancario e, in primis, di tutelare la parte “debole” del contratto di credito, ossia il mutuatario. Da questo punto di vista, non può non osservarsi che, seppur entro i limiti dianzi cennati, entrambe i rimedi di diritto civile sopradetti (nullità parziale e conformazione del contratto ex artt. 1419, secondo comma, e 1339 c.c., da un lato, e riduzione della penale ex art. 1384 c.c dall’altro)

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costituiscono modalità “tecniche” sanzionatorie del fenomeno usurario idonee a garantire un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco e, sotto altro profilo, un’adeguata protezione del mutuatario quale contraente debole del rapporto di credito. Invero, ciò che rileva non è tanto, a mio parere, l’adeguatezza dell’istituto di diritto civile in sé e per sé considerato a tutelare le parti del contratto, quanto piuttosto le conseguenze che dall’applicazione del rimedio civilistico si fanno derivare sul contratto di credito, in particolare in relazione all’entità della “incisione” della prestazione del versamento degli interessi gravante sul debitore finanziato. In altri termini, il vero punto non è individuare il miglior mezzo di tutela per il mutuatario tra i rimedi offerti dal diritto civile, quanto, piuttosto, quello di calibrarlo correttamente negli effetti.

Occorre stabilire in concreto, in buona sostanza, se, nell’ipotesi di pattuizione e successivo versamento da parte del mutuatario di interessi in misura superiore al tasso-soglia, trovi applicazione il disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c. ovvero se gli interessi siano comunque dovuti e, soprattutto, in che misura.

Si tratta di comprendere quale sia la misura del tasso sostitutivo degli interessi, corrispettivi e moratori, da applicarsi in caso di declaratoria di nullità parziale della clausola degli interessi ai sensi del combinato disposto degli artt. 1419, secondo comma, e 1339 c.c.

Ovvero, ove si propenda per il rimedio della riduzione della penale ex officio ai sensi dell’art. 1384 c.c., occorre che l’interprete soffermi la propria indagine sulla quantificazione della riduzione medesima.

In via riassuntiva, la domanda cui occorre rispondere è la seguente: qual è la misura degli interessi che il

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mutuatario è obbligato a versare in favore dell’Istituto di credito mutuante nell’ipotesi in cui si accerti l’esistenza di una pattuizione di interessi usurari?

Tralasciando l’ipotesi più “semplice”, vale a dire quella della pattuizione degli interessi in misura usuraria ab origine, cui trova pacificamente applicazione il disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c., con nullità parziale del contratto e conversione del mutuo oneroso in gratuito (e, dunque, nulla quaestio), reali problematicità sorgono ove si controverta di usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse.

Come sottolineato dalla più attenta dottrina in materia, all’analisi di tali profili – pur indubbiamente noti a dottrina e giurisprudenza, ed oggi in auge sulla scorta delle più recenti pronunce di legittimità in materia di usura (e, soprattutto, di usura sopravvenuta) –, non è stata dedicata sufficiente attenzione237.

Lo spettro delle soluzioni possibili è ampio. 237 Cfr. DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, in www.ilcaso.it, 7, ove l’Autore giustamente nota che “si tratta di profilo conosciuto … occorre subito aggiungere, tuttavia, che lo stesso non appare realmente affrontato nel risconto di attenzione che sta vivendo attualmente l’usura sopravvenuta. Per constatarlo, è sufficiente rilevare che la pur attenta motivazione della pronuncia del Collegio di coordinamento non viene a porsi alternative di sorta rispetto alla soluzione che accoglie e che consiste nel far scendere i tassi colpiti da usura fino al livello massimo consentito nel corrispondente periodo temporale”. L’Autore esplicita peraltro in questa sede una profonda critica all’iter motivazione della decisione n. 77/2014 del Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, rilevando che quest’ultimo si è limitato ad esplicitare la struttura rimediale prescelta per l’ipotesi dell’usura sopravvenuta solo in sede di dispositivo, sicché, in sostanza, la scelta in parola rimane priva in toto di sostegno argomentativo.

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(i) La riduzione dei tassi convenuti in misura

usuraria al limite del tasso-soglia ex L. n. 108/1996. La prima possibilità che si prospetta è quella,

sostenuta per diversa via argomentativa sia dal Collegio di coordinamento che dalla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, di ridurre il tasso di interesse, corrispettivo e/o moratorio alla misura massima consentita dalla L. n.108/1996 e, dunque, di ridurre gli interessi ex art. 1384 c.c. sino al valore del tasso-soglia tempo per tempo normativamente determinato ovvero, secondo l’iter motivazionale della Suprema Corte, di dar corso alla conformazione eteronoma dalla clausola pattizia degli interessi ex art. 1339 c.c. mediante sostituzione del tasso-soglia ai tassi convenzionali.

La soluzione della riduzione dei tassi di interesse accertati quali usurari al livello massimo consentito dalla legge nel corrispondente momento temporale si espone, tuttavia, ad una serie di censure di carattere strutturale e, al contempo, funzionale.

In primo luogo, sotto il profilo della struttura rimediale, deve notarsi che, nella specie, non sussiste alcuna norma positiva idonea a consentire “il transito della decisione di autonomia dal livello vietato a quello del limite ammesso … non c’è [infatti] alcuna norma che faccia da ponte: che provveda, insomma, alla ‘sostituzione di diritto’ della decisione usuraria. Come pur sarebbe, all’evidenza, necessario”238.

Sotto altro profilo, la riduzione del tasso convenzionale dalla misura convenuta e divenuta usuraria nel corso dello svolgimento del rapporto di credito al 238 DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 8.

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valore massimo ammesso dalla normativa antiusura non può trovare giustificazione nella volontà espressa dalle parti in sede contrattuale. Essa, in particolare, manca, in primis, nella figura del creditore mutuante, che trae vantaggio economico dalla corresponsione di interessi in misura usuraria e che, ove non manifesti spontaneamente l’intenzione di rimediare al superamento sopravvenuto del tasso-soglia, estrinseca così la propria volontà di non mutare lo stato delle cose, manifestando il proprio intento di mantenere in essere la violazione della normativa, imperativa e inderogabile, di cui alla L. n.108/1996239.

Ed ancora, la riduzione del tasso convenzionale divenuto usurario con il valore massimo degli interessi consentito dalla legge non collima ed anzi si scontra nettamente con il principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto (che pure rappresenta il fulcro della decisione del Collegio di coordinamento n. 77/2014).

Infatti, da un lato, il canone di buona fede oggettiva è eteronomo, per definizione in contrasto con il principio di autonomia negoziale delle parti e, dall’altro lato, esso impone la riduzione dei tassi che prenda a riferimento non già i valori della soglia ex L. n. 108/1996, ma, in linea generale, i valori di normalità del mercato, vale a dire i tassi mediamente praticati sul mercato per operazioni analoghe o del medesimo genere240. 239 DOLMETTA, ibidem. 240 Cosi testualmente DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 9: “quella del carico ridotto alla misura del limite massimo consentito, in effetti, è struttura rimediale che si viene proprio a scontrare con detto principio [n.d.r. il principio di buona fede oggettiva]. E non solo perché la buona fede oggettiva è canone per eccellenza eteronomo. Ma anche perché coerente con il criterio della buona fede è – pur

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Non può non rilevarsi, inoltre, che la scelta delle Corti giudicanti di ridurre il tasso di interesse pattuito in misura usuraria è suscettibile di critica anche sotto il profilo funzionale.

Invero, la riduzione dei tassi convenzionali al tasso-soglia rende indifferente, in sostanza, per l’Intermediario finanziatore intervenire spontaneamente a ridurre i tassi lungo il solco tratteggiato dalla soglia normativa ex L. n.108/1996 ovvero lasciare che il mutuatario prosegua nella corresponsione di interessi in misura superiore ai limiti consentiti dalla legge.

In altre parole, come efficacemente stigmatizzato dalla dottrina più attenta, “portare la struttura rimediale del contratto colpito da usura sopravvenuta al limite consentito dalla soglia significa, oggettivamente, rendere l’intermediario inutile (e inopportuno, anzi, sotto il profilo dell’agire d’impresa) la scelta di tenere un comportamento virtuoso nei confronti del contratto medesimo … Adottare la struttura rimediale del massimo consentito significa, in sostanza, incentivare l’opportunismo del creditore che dell’usura si avvantaggio”241.

La riduzione del tasso di interesse al limite della soglia si atteggia come sistematicamente e teleologicamente non coerente con la stessa ratio della L. n.108/1996: invero, la declinazione della struttura rimediale in parola finisce per allontanarsi dallo scopo anche dedotta dalla stessa … ogni linea solidaristica e/o interventista –, un carico economico che si attesti sul livello di normalità del mercato. Sul medio corrente, insomma: non certo verso le zone di confine estremo, in cui esoso e tollerato vengono insieme a confondersi”. 241 Così, testualmente, DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 10.

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ultimo della norma (ridurre l’incedere del fenomeno usurario) e per incentivare un comportamento non corrispondente a buona fede da parte degli Intermediario creditizi, che, pur consci del superamento sopravvenuto del tasso-soglia, saranno naturalmente portati a non intervenire spontaneamente a riportare la situazione in condizioni di normalità giuridica, ma, tutto all’opposto, tenderanno naturalmente ad un comportamento omissivo a tale riguardo242.

In conclusione, se, da un lato, la norma imperativa di cui alla L. n. 108/1996 consente alle Corti giudicanti di riferirsi ad un valido e univoco parametro normativo allorquando si pronunci la conformazione della clausola pattizia degli interessi sulla somme mutuate in conto capitale243, dall’altro lato, essa non sembra poter essere un

242 Sempre che – e qui la potenziale soluzione del problema dell’usura sopravvenuta prospettata nel secondo capitolo della presente trattazione emerge in tutta la sua rilevanza – il contratto non includa tra le sue pattuizioni una c.d. clausola di salvaguardia, che impongo l’obbligo in capo all’Intermediario finanziario di adeguare i tassi convenzionali al limite della soglia tempo per tempo determinata dalla legge. In questo caso, l’Intermediario creditizio sarebbe portato ad intervenire sul contratto per adeguarlo alle soglie, con pieno soddisfacimento dello scopo concreto della normativa antiusura: pena l’inadempimento agli obblighi assunti in sede contrattuale, la restituzione di quanto indebitamente versato a titolo di interessi in misura superiore alla soglia, eventuale risoluzione del contratto e risarcimento del danno patito dal debitore mutuatario. 243 Ed anzi, più precisamente, è proprio l’esistenza di tale parametro normativo che rende applicabile la struttura rimediale civilistica – prescelta dalla prevalente e consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr., a titolo esemplificativo, Cass., 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, citt.) – della nullità parziale con inserzione automatica del tasso-soglia in luogo di quello

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coerente riferimento per la conformazione della pattuizione convenzionale degli interessi, atteso che si produrrebbe così un ingiustificato effetto premiale in favore dell’Intermediario creditizio che, in difformità alla norma imperativa antiusura, omettesse di adeguare la pattuizione al limite di legge, cercando di profittare dell’eventuale inerzia del debitore – soggetto per definizione in posizione di debolezza –, che non rilevi il superamento del tasso-soglia.

Ipotizzare la riduzione dei tassi di interesse accertati come usurari al limite del tasso-soglia significherebbe, in via riassuntiva, premiare l’Intermediario creditizio “furbo”, che tenti di giovarsi di interessi che sa essere corrisposti in misura superiore al limite di legge, e punire il debitore mutuatario che ignori la circostanza del superamento della soglia ovvero che – sulla scorta di una valutazione di opportunità legata al proprio bisogno di credito ovvero in virtù di una ponderata rappresentazione dei costi, tempi e potenziali benefici –, si renda inerte e non incardini nei confronti della Banca un giudizio volto all’accertamento dell’usurarietà dei tassi e alla conseguente restituzione di quanto versato indebitamente a titolo di interessi sulle somme mutuate in conto capitale.

(ii) La riduzione dei tassi convenuti in misura

usuraria al limite del tasso-soglia ex L. n. 108/1996. convenzionale pattuito in misura usuraria ai sensi del combinato disposto degli artt. 1419, secondo comma, e art. 1339 c.c.: invero, l’automatica sostituzione della clausola pattizia degli interessi, come si è già rilevato, può avvenire tanto in quanto esista una norma imperativa di riferimento che, pur non contemplando l’espressa sostituzione della clausola contra legem, rechi un contenuto precettivo inderogabile, idoneo, appunto, a sostituire il regime convenzionale pattuito dai contraenti.

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In alternativa al criterio sopra descritto, potrebbe ipotizzarsi la via della riduzione del tasso di interesse convenuto in misura usuraria (sempre, è bene ricordarlo, sopravvenuta) alla misura degli interessi legali.

A sostegno di una tale impostazione può ravvisarsi il disposto dell’art. 1284, secondo e terzo comma, c.c., che riporta, come è noto, la misura degli interessi convenzionali di cui non è pattuita la misura ovvero degli interessi ultralegali non pattuiti per iscritto a quella del saggio legale ex art. 1284, primo comma, c.c.

La struttura rimediale che opti per la riconduzione degli interessi pattuiti in misura usuraria al saggio legale non appare tuttavia convincente.

Invero, occorre considerare che l’integrazione eteronoma del contratto – e, in particolare, della clausola relativa agli interessi nei contratti di mutuo o, più in generale, di finanziamento –, sulla base del disposto degli artt. 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c. con sostituzione automatica del tasso di interesse legale in luogo di quello convenzionale, si porrebbe in netto contrasto con la volontà delle parti espressa nella sede di conclusione del contratto.

Ciò che non può e non deve verificarsi, in quanto “l’integrazione eteronoma del contratto non deve sovrapporsi a quanto dalle parti voluto, benché configurarsi quale sua proiezione”244.

Orbene, è evidente che allorquando le parti hanno convenuto la misura degli interessi, essi – e, in particolare,

244 Così MANCINI, Osservazioni su anatocismo e conseguenze civilistiche dell’usurarietà sopravvenuta, cit., 660; si veda anche il contributo ivi citato dall’Autrice: DELL’UTRI, Art. 1339, Commento, in Rescigno (a cura di), Codice civile, 2010, Milano, 2580.

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il debitore finanziato –, hanno espresso una precisa volontà di pattuire gli stessi in misura certamente superiore al tasso legale e, conseguentemente, la volontà di escluderne l’applicazione. Da ciò discende che deve ritenersi maggiormente conforme alla volontà della parti l’applicazione mediante inserzione ex art. 1339 c.c. di un tasso che sia superiore al saggio legale degli interessi, ma che comunque si attesti in una misura consentita dalla legge: misura che deve essere individuata, appunto, nel tasso-soglia ex L. n.108/1996.

In altre parole, “il tasso soglia è espressione di un tasso superiore a quello legale, avente funzione dirimente tra legalità ed illiceità della pattuizione … [sicché] la riconduzione della clausola nell’alveo della liceità deve seguire il percorso logico-giuridico maggiormente conforme alla volontà espressa dalle parti con la sottoscrizione del contratto”245.

Sotto altro profilo, non può non evidenziarsi che l’eventuale scelta di sostituire il tasso di interesse convenzionale usurario con il tasso legale condurrebbe ad un effetto uguale e contrario rispetto all’inserzione del tasso-soglia ex L. n.108/1996 in termini di ingiustificata premialità, questa volta, per il mutuatario.

È evidente, infatti, che, se si optasse per una siffatta calibra della struttura rimediale civilistica, ne deriverebbe un illegittimo ed ingiustificato vantaggio per il soggetto finanziato inadempiente, il quale sarebbe naturalmente portato a porre in essere tutti quei comportamenti idonei a far ricadere in patologia il rapporto contrattuale in essere con l’Intermediario creditizio al fine di beneficiare di un tasso di interesse – quello legale –, avente una misura 245 MANCINI, Osservazioni su anatocismo e conseguenze civilistiche dell’usurarietà sopravvenuta, cit., 661.

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inferiore rispetto al tasso-soglia ex L. n. 108/1996, come pure in riferimento a qualsivoglia tasso convenzionale infrasoglia che avrebbe potuto essere legittimamente pattuito.

Invero, l’applicazione del tasso legale produrrebbe un ingiustificato vantaggio economico in capo al mutuatario che si renda inadempiente agli obblighi restitutori nascenti dal contratto, ciò che all’evidenza rappresenta una scelta normativa sistematicamente e logicamente non coerente non solo con la normativa antiusura in sé considerata, ma, più in generale, con i principi informatori dell’ordinamento giuridico.

In altri termini, per tale via si rischierebbe di premiare il mutuatario che, furbescamente, pattuisca interessi convenzionali in misura consapevolmente molto prossima al tasso-soglia di legge per poi eccepirne, in caso di sopravvenuta usurarietà, la misura esorbitante rispetto ai valori di cui alla L. n.108/1996 ed ottenerne la riduzione sino al valore, davvero minimo, del tasso legale.

In questo caso, si noti, difficilmente potrebbe essere individuata una condotta illegittima in capo al mutuatario, che si limiterebbe ad accettare l’imposizione di interessi in misura molto prossima al tasso-soglia.

Altrettanto difficilmente, dunque, potrebbe individuarsi una responsabilità in capo allo stesso per aver posto in essere un comportamento “strategicamente” preordinato ad eccepire l’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse nel corso del rapporto contrattuale ed ottenere così il beneficio di una riduzione del tasso convenzionale alla misura del saggio legale.

Impossibile sarebbe, inoltre, ipotizzare la sanzione civilistica di una siffatta capziosa condotta in termini di innalzamento dei tassi convenzionali fino ai valori del tasso-soglia, che non troverebbe fondamento normativo.

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(iii) Un’altra via interpretativa intermedia: il

riferimento al TEGM. Un giusto contemperamento di interessi?

In medio tra le conformazioni della struttura rimediale civilistica dianzi illustrate, può individuarsi una terza possibilità, vale a dire quella di riferirsi “al carico economico al livello contrassegnato dal tasso globale medio dell’operazione, così come rilevato per i periodi di riferimento”246.

In altri termini, la concezione interpretativa in parola prevede la sostituzione del tasso di interesse corrispettivo convenzionale pattuito in misura usuraria con il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) rilevato per analoghe categorie di operazione creditizia e finanziaria.

In effetti, un tale criterio di determinazione del “tasso sostitutivo” di quello usurario appare certamente equilibrato ed ispirato ad un parametro di normalità sul mercato, idoneo a garantire la tutela della posizione di naturale “minorità” del debitore mutuatario al cospetto degli operatori bancari e, al contempo, di non pregiudicare il corretto andamento del mercato del credito.

Lo scopo di riportare il carico degli interessi ad una corretta “normalità economica”, dato dal TEGM e non certo da una soglia di “non usura” sarebbe così soddisfatto247.

In verità, a parere di chi scrive, il criterio in parola non è esente da pecche. 246 DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 7. 247 Così DOLMETTA, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, 168. La soluzione in parola che riconduce i tassi di interesse usurari al TEGM è esplicitata in FERRONI, Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, Napoli, 2002, 81.

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O meglio, l’affermazione va precisata. Esso è certamente funzionale al suo scopo: è un criterio di equilibrio sistematico, che persegue sia la tutela del contraente “debole” nel rapporto creditizio – che oppone il mutuatario al mutuante, come Davide a Golia –, che l’esigenza, di opportunità, del corretto funzionamento del mercato.

Tuttavia, non ci si può esimere dall’esprimere qualche dubbio – che poi è lo stesso dubbio che si è espresso in ordine al sistema di determinazione del tasso-soglia d’usura ex L. n. 108/1996 –, in ordine al criterio in parola in dipendenza dalla circostanza che esso finisce in sostanza per rimettere la misura del tasso sostitutivo di quello convenzionale usurario alla mercé delle stesse Banche che operano e determinano i meccanismi di funzionamento del mercato.

Ciò significa, in altri termini, attribuire agli operatori istituzionali del credito la possibilità di (pre)determinare l’ammontare massimo del rischio che essi stessi patirebbero in virtù dell’eventuale declaratoria di nullità parziale della clausola pattizia degli interessi convenzionali ex artt. 1419, secondo comma, e 1339 c.c. ovvero in conseguenza della riduzione della misura degli interessi ex art. 1384 c.c.

Sarebbe, dunque, opportuno, a parere di chi scrive, in linea generale ed anche con riferimento allo specifico caso della taratura del rimedio civilistico al caso concreto, che il sistema di determinazione del TEGM prevedesse un intervento attivo – o, quantomeno, una possibilità di intervenuto o, al più, di monitoraggio delle rilevazioni comunicate dagli Intermediari alla Banca d’Italia –, da parte del Ministero, volte a ridurre al minimo le chances che gli operatori del mercato procedano a variazioni ad hoc dei tassi di interesse, corrispettivi e (auspicabilmente)

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moratori, intese a diminuire il rischio economico di causa nell’ipotesi che le contestazioni giudiziali formulate dai mutuatari con riferimento a tassi di interesse sfocino in pronunce di accertamento dell’usurarietà dei tassi medesimi.

V’è chi ha ipotizzato, quale variazione sul tema del presente criterio (ed anche, a ben vedere, rispetto al criterio della riduzione del tasso convenzionale al saggio legale, di cui si è detto sopra), la possibilità che il tasso di sostituzione sia calcolato in base al disposto dell’art. 117, comma settimo, d.lgs. n. 385/1993, che, come è noto, riguarda i contratti bancari privi della prevista forma scritta, che modula il tasso nominale sulla base del valore dei buoni ordinari del tesoro annuali (o altri titoli similari) emessi nei dodici mesi precedenti alla conclusione del contratto ovvero o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione, ovvero, sulla base degli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto (o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso)248.

248 In particolare, l’art. 117, comma settimo, T.U.B. stabilisce che “in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è

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La più autorevole dottrina, tuttavia, tende ad escludere l’applicabilità di tale soluzione sulla base del rilievo che il criterio ivi indicato muove dal carattere carattere afflittivo e sanzionatorio della norma che trova giustificazione nella carenza di forma scritta del contratto bancario, ciò che ne renderebbe inopportuna l’applicazione in via analogica alla specie dell’usura sopravvenuta249, non prevedibile dall’Intermediario creditizio al tempo della conclusione del contratto di finanziamento.

3.4.2. La visione d’insieme: strutture rimediali

“calibrate” quali sfaccettature di un medesimo principio di equità.

I pro e i contro di ognuna delle prospettazioni rimediali esposte, come pure delle scelte in ordine alla misura del tasso di sostituzione (ovvero del parametro della riduzione ex art. 1384 c.c.) su cui si è diffusamente soffermati nel precedente paragrafo disvelano, da un lato, una parziale sovrapposizione delle strutture rimediali proposte – quantomeno con riferimento al risultato concreto perseguibile e perseguito dalle Corti giudicanti nelle controversie in materia di usura sopravvenuta e nel riferimento ai principi di buona fede oggettiva e di solidarietà costituzionale –, come pure, dall’altro lato, quanto alla misura degli interessi da applicarsi in luogo di quella usuraria, una componente ispiratrice comune, da ritrovarsi in via di ultima istanza nel criterio ispiratore del canone dell’equità sostanziale.

effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto”. 249 Cfr. DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 7, nt. 11.

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Il compito del Giudice che si trovi a decidere una controversia in materia di usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse è, dunque, in estrema sintesi, quello di reperire la giusta declinazione, sulla base delle caratteristiche peculiari della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, del criterio di equità.

Invero, come sottolineato dalla dottrina più attenta, “se la prospettiva del tasso legale sembra rispondere alla scelta sistematicamente tradizionale del nostro ordinamento, quella connessa al TEGM intende proporre un approccio più diretto (e prossimo alla realtà economica che viene considerata”250.

Tuttavia, si tratta in ogni caso “di semplici varianti interne di un unico ceppo ideale, fondato sull’equità”251, che possono fungere da parametro di riferimento, da linea-guida per la conformazione della clausola pattizia degli intessi divenuta usuraria, sulla base della lettura, condotta secondo l’equo apprezzamento del giudice, della fattispecie concreta252.

250 DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 12. 251 DOLMETTA, ibidem. 252 In questo senso, si veda, ancora, DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, cit., 12, ove l’Autore osserva che “posto … che si tratta di varianti interne di un’unica idea, com’è per l’appunto quella della sostituzione equitativa, potrebbe forse non essere azzardato ipotizzare di leggerle – non come schemi normativi tra loro contrapposti e rigidamente vincolanti – quanto piuttosto come semplici linee indicative: come sponde di ausilio, dunque, per una determinazione conformativa comunque affidata a un’opera di lettura equitativa della fattispecie concreta (secondo le ‘circostanze’ proprie di questa) e che è compito del giudice venire ad effettuare”. Si noti peraltro che, nel passaggio immediatamente successivo del proprio contributo, lo stesso

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Ciò che, tuttavia, come sempre accade ove vi sia un seppur minimo margine di discrezionalità nella scelta del rimedio, apre la porta all’incertezza del diritto e presta il fianco a disparità di trattamento.

Sicché in un siffatto quadro, in via prudenziale, non può che propendersi per l’unica soluzione che, in specie, consente di ancorare la scelta del mezzo rimediale da un rigido e fermo parametro normativo, vale a dire per la tesi, che nell’incertezza appare maggiormente equilibrata, della necessaria riconduzione del tasso al massimo livello della liceità rappresentato dal tasso-soglia ex L. n.108/1996.

Autore condivisibilmente scarta l’ipotesi di individuare il “prezzo corrente” nel tasso legale degli interessi.

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CONCLUSIONI L’analisi giuridica trasposta nella presente trattazione, come si è da subito anticipato, è stata condotta ripercorrendo, secondo un approccio critico e problematico, le quaestiones interpretative che, sin dall’epoca immediatamente successivamente all’entrata in vigore della normativa antiusura contenuta nella L. n.108/1996, si sono poste nella prassi del mercato del credito e, una volta degenerate nel contenzioso giudiziale tra Intermediario creditizio e cliente-mutuatario, sono state scandagliate dalla giurisprudenza e dalla più attenta dottrina.

Non si è peraltro trascurato di condurre, in via preliminare e seppur per sommi tratti, uno studio storico-evolutivo della normativa antiusura, dedicando altresì attenzione alle reazioni delle parti sociali coinvolte nel periodo immediatamente alla novella legislativa.

Grazie a tale approfondimento, da un lato, è stato possibile evidenziare gli antecedenti storici e politici che hanno indotto il legislatore de1 1996 a novellare la normativa in materia di usura con la L. n. 108/1996, e, dall’altro lato, si è avuto modo di porre in luce le ragioni di opportunità e di politica economica che, anche su sollecitazione del ceto bancario nel suo complesso, hanno indotto lo stesso legislatore ad intervenire con immediatezza sul testo normativo novellato con la legge di interpretazione autentica n. 24/2001.

Ragioni che devono essere ricondotte, in ultima istanza, alla volontà del legislatore di limitare la portata applicativa del rimedio sanzionatorio, estremamente gravoso e potenzialmente foriero di danno per il complessivo sistema bancario, della conversione del

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mutuo oneroso in gratuito di cui al novellato art. 1815, secondo comma, c.c., alle sole fattispecie in cui la misura degli interessi fosse ab origine stata pattuita in un valore esorbitante il tasso-soglia di legge, avendo quindi esclusivo riguardo al momento genetico del contratto e non alla sua successiva esecuzione mediante il pagamento degli interessi maturati sul capitale mutuato.

Dunque, nell’ottica di oggettivizzare la fattispecie usuraria, prescindendo dall’elemento soggettivo della situazione economico-finanziaria e personale del debitore ed ancorandola ad un parametro normativo predeterminato ed univoco, il legislatore ha dapprima introdotto un sistema di rilevazione del fenomeno usurario basato sull’individuazione trimestrale di una soglia massima ed inderogabile di legge degli interessi, calcolata secondo un preciso algoritmo matematico a partire dal dato risultante dalla rilevazione periodica da parte del Ministero del Tesoro, sentita la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano Cambi, dei tassi di interesse mediamente praticati sul mercato per macro-categorie di operazioni finanziarie. Al contempo, poi, con la legge di interpretazione autentica del 2001, lo stesso legislatore è intervenuto espressamente a specificare che il momento rilevante ai fini della configurazione del reato di usura deve essere individuato esclusivamente in quello della pattuizione, senza che possa rilevare quello, successivo, dell’effettiva corresponsione degli interessi stessi. Dal che consegue che, la previsione sanzionatoria civilistica della conversione del mutuo oneroso ed accertato quale usurario in contratto avente natura gratuita ex art. 1815, secondo comma, c.c., deve trovare applicazione soltanto alla c.d. “usura originaria”, vale a dire all’ipotesi in cui la misura degli interessi espressione della volontà negoziale delle

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parti sia sin dall’atto della stipulazione del contratto superiore alla soglia massima consentita. (i) Di qui l’apertura di un ampio e rilevante dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, intorno alla prima quaestio sull’analisi della quale ci si è soffermati nella presente trattazione: quid iuris nell’ipotesi in cui il saggio degli interessi fosse validamente pattuito in misura inferiore alla soglia all’atto della conclusione del contratto, ma divenga successivamente superiore a detta misura per fatti sopravvenuti (variazioni in diminuzione del TEGM e del tasso-soglia, inclusione di nuove voci di costo nel TEG, modifiche normative e regolamentari)?

Si trattava di comprendere, in altri termini, se il fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse convenzionali fosse astrattamente configurabile, giuridicamente rilevante e, da ultimo, se meritasse tutela (civilistica) da parte dell’ordinamento giuridico la posizione del prenditore che si trovasse a corrispondere interessi divenuti in via sopravvenuta superiori ai limiti di legge. Il dibattito trae origine, come si è avuto modo di sottolineare nel corso della trattazione, dalla circostanza che la nuova Legge n.108/1996 non dedica alcuna disposizione al regolamento della sorte, in termini di validità ed efficacia civilistica, delle clausole determinative della misura degli interessi che divengano usurarie nel corso dell’esecuzione del rapporto creditizio tra prestatore e prenditore di denaro.

La novellata disciplina dell’usura, dunque, è apparsa sin da subito viziata da una disattenzione di fondo del legislatore.

Da un lato, infatti, essa non si attaglia perfettamente ai contratti che regola, omettendo di considerare che i rapporti creditizi sottoposti alla disciplina antiusura sono

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di norma contratti di durata, che prevedono obblighi restitutori in capo al prenditore che si sviluppano sulla base di piani di ammortamento pluriennali, sicché il riferimento del legislatore in via di interpretazione autentica al solo, singolo ed istantaneo, momento genetico della pattuizione degli interessi appare assai riduttivo e non logicamente coerente con la struttura contrattuale regolata.

Per altra via, è agevole rilevare come appaia incoerente la scelta del legislatore di introdurre ex novo una disciplina normativa sanzionatoria del fenomeno usurario per poi cingerlo nello stretto confine del momento genetico della pattuizione relativa al saggio di interesse, tollerandolo di fatto ove questo si presenti come sopravvenuto, sulla base (anche, ma non solo) di una variazione in diminuzione dei tassi di interesse mediamente praticati sul mercato.

All’esito dell’analisi delle motivazioni addotte dalle due antitetiche scuole di pensiero di dottrina e giurisprudenza – l’una, evidentemente, volta a negare la configurabilità del fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse, e, l’altra, diametralmente contrapposta, propensa a ritenere che il predetto fenomeno sia non solo configurabile e giuridicamente rilevante, ma anche meritevole di sanzione di ordine civilistico –, si è concluso nel senso che pregnanti e decisivi argomenti convincono della prevalenza della tesi affermativa. Il profilo controverso in parola, peraltro, è stato affrontato in questa sede da una duplice prospettiva.

Da un lato, si è avuto riguardo all’usurarietà sopravvenuta come fattispecie di diritto intertemporale, profilo con riferimento al quale si è avuto modo di concludere nel senso dell’irretroattività della novellata normativa antiusura di cui alla L. n.108/1996.

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Si è rilevato, tuttavia, che da tale circostanza non consegue che i contratti di credito conclusi anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge siano in toto fatti salvi dal rispetto del precetto normativo inderogabile contenuto nella normativa antiusura: come messo in luce dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, ove il rapporto negoziale tra prestatore e prenditore di denaro non si sia esaurito prima della summenzionata data, per il successivo arco temporale di sviluppo del piano di ammortamento, troverà applicazione la disciplina della L. n. 108/1996 e, pertanto, il debitore sarà onerato di corrispondere interessi in misura non superiore al tasso-soglia.

Dal un punto di vista sostanziale, si è sottolineato come l’impostazione contraria alla configurabilità del fenomeno usurario sopravvenuto non sia affatto coerente col dettato normativo e con la stessa ratio della novella legislativa del 1996, orientata a ridurre l’incedere del predetto fenomeno e sanzionare condotte del prestatore riconducibili alla fattispecie penalmente rilevante.

In presenza di un fermo divieto di legge che preveda l’adeguamento periodico del limite quantitativo degli interessi (tasso-soglia) sulla base delle rilevazioni trimestrali del TEGM da parte del Ministero del Tesoro, infatti, non può predicarsi in alcun modo tollerabile che il prenditore sia chiamato a versare interessi in misura superiore al limite massimo di legge, senza che possa essere invocato, a tal riguardo, l’intervento di interpretazione autentica di cui alla L. 24/2001 che, come anche dimostrato dall’analisi storico-ricostruttiva condotta nel presente studio, è volto soltanto al limitare la portata applicativa dell’art. 1815, secondo comma, c.c.

Al contempo, si è osservato che la tesi che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta non è coerente con

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la corretta analisi fattuale del fenomeno stesso, in quanto imporrebbe di non considerare sanzionabili tutte le fattispecie in cui la stessa usura sopravvenuta si sostanzia e che non siano riconducibili ad una (imprevedibile) variazione in diminuzione dei tassi di interesse sul mercato: a titolo esemplificativo, l’ipotesi in cui si verifichi l’inclusione nel TEG di una nuova voce di costo ovvero la variazione in aumento del valore di un costo già incluso nel computo del TEG stesso.

Risolto così in senso positivo il nodo intorno alla configurabilità sul piano giuridico della fattispecie, si è indagata la possibilità che l’inclusione ad opera dei contraenti di una clausola di salvaguardia nel contratto di credito – volta ad imporre all’Intermediario creditizio l’obbligo di adeguare i tassi di interesse convenzionali al limite all’ammontare massimo consentito dalla L. n.108/1996 – possa costituire un efficace rimedio al fenomeno usurario sopravvenuto. A tal riguardo, la giurisprudenza – soffermando lo sguardo sul profilo dell’effetto conseguente all’obbligo generatosi in capo al prestatore con l’inserimento della clausola di salvaguardia, espressione di un’autonomia negoziale dei contraenti conforme alla ratio della norma di cui alla L. n. 108/1996 –, ne ha sottolineato, in positivo, la capacità di impedire in nuce il verificarsi del fenomeno usurario sopravvenuto negli effetti, concludendo, dunque, per la meritevolezza di tutela della clausola in parola. La focalizzazione e l’approfondimento dell’analisi sul punto ha tuttavia consentito di individuare nella stessa struttura della clausola di salvaguardia alcuni profili di criticità. Deve notarsi, infatti, che essa presenta un contenuto essenzialmente tautologico, gravando l’Intermediario creditizio di un obbligo di adeguamento della pattuizione degli interessi al tasso-soglia ex L.

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n.108/1996 asseritamente nascente dal contratto (e, dunque, dalla volontà dei contraenti espressa in sede di stipulazione), ma che, in realtà, rappresenta un adempimento necessario in funzione di una norma imperativa ed inderogabile di legge. Al contempo, si è detto che la stessa clausola di salvaguardia può trovare spazio, nel senso proposto dalla giurisprudenza di merito, esclusivamente al caso dell’usurarietà sopravvenuta degli interessi, senza che ad essa possa attribuirsi qualsivoglia efficacia sanante nell’ipotesi, del tutto diversa, dell’usurarietà originaria della misura degli interessi convenzionali, siano essi corrispettivi o moratori: in tale ipotesi, infatti, la clausola in parola deve considerarsi nulla, in quanto pattuita in violazione della L. n. 108/1996, come pure ex art. 1344 c.c., in quanto inserita nel testo contrattuale dal prestatore in frode alla legge, al solo di fine di sfuggire alla grave sanzione civilistica della conversione del mutuo oneroso in gratuito a mente dell’art. 1815, secondo comma, c.c. (ii) Reperita la risposta al primo quesito, l’analisi si è mossa verso l’approfondimento, sempre con sguardo critico, di una profonda e per vero ancora non risolta problematica insita nella novellata disciplina dell’usura introdotta dal legislatore del 1996

La questione è quella della sorte degli interessi di mora che il prenditore si sia obbligato a versare in favore dell’Intermediario creditizio nell’ipotesi di ritardo nel pagamento delle rate previste nel piano di ammortamento pluriennale ovvero in caso di integrale inadempimento.

In questa ipotesi, gli interessi moratori debbono essere considerati ai fini del computo del TEGM e, conseguentemente, della determinazione da parte del Ministero del tasso-soglia ex L. n.108/1996? E ancora: gli interessi moratori, pur se esclusi dalle voci di costo prese

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in considerazione per la determinazione del tasso-soglia, sfuggono al limite della misura degli interessi imperativamente stabilito dalla legge?

Si tratta di un tema che incide in maniera rilevante sulla verifica dell’usurarietà dei tassi di interesse e che è intimamente connesso con il fenomeno dell’usura sopravvenuta, in quanto può costituire ragione del verificarsi della stessa conseguente non già alla variazione in diminuzione del saggio praticato sul mercato, ma all’inclusione di una nuova voce di costo nel computo del TEG da confrontare alla soglia massima di legge.

Una parte della dottrina e, come abbiamo visto, la giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario (dec. n. 1875/2014) propende per la soluzione negativa, ritenendo che gli interessi moratori non possano costituire un onere rilevante ai fini dell’usura in quanto non connessi all’ottenimento del credito. Essi, secondo tale orientamento interpretativo, non possono essere inclusi nel TEGM in quanto rappresentativi di un costo soltanto eventuale e connesso ad una situazione patologica del contratto, derivante dal ritardo nell’adempimento ovvero, nei casi più gravi dall’inadempimento totale della prestazione restitutoria da parte del prenditore-mutuatario.

Tale soluzione è altresì ispirata al rispetto del principio di c.d. simmetria e omogeneità dei valori di riferimento (TEGM, tasso-soglia e TEG) ai fini della rilevazione del fenomeno usurario: poiché sulla base delle Istruzioni di vigilanza fornite dalla Banca d’Italia agli Intermediari creditizi, il TEGM (e, di conseguenza, il tasso-soglia) non include tra le voci di costo, gli oneri e le remunerazioni del credito, gli interessi moratori, allora è necessario che anche il TEG non li includa; in caso contrario, infatti, si determinerebbe un effetto distorsivo da cui potrebbero conseguire disequilibri tali da alterare, se

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considerati sul larga scala, il corretto funzionamento del mercato.

In contrapposizione con l’orientamento descritto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, invece, nel solco tracciato da un obiter dictum della pronuncia (n. 29/2002) con cui la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità costituzionale della L. n. 24/2001 e sulla base di una interpretazione massimamente omnicomprensiva del dettato normativo (che si riferisce alle remunerazioni e agli oneri richiesti dal prestatore “a qualunque titolo” –, ha sempre affermato la rilevanza del tasso di interesse moratorio, pur se meramente eventuale, ai fini del computo del TEG.

A tal riguardo, l’analisi giurisprudenziale e dottrinale condotta nel presente studio ha consentito di concludere nel senso della condivisibilità dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte – coerente con la ratio e il dato testuale della L. n.108/1996 – e, dunque, per la rilevanza dell’onere derivante in capo al prenditore sulla base del saggio di interesse moratorio ai fini della rilevazione dell’usurarietà del tasso di interesse.

Quanto poi alle concrete modalità con cui tale rilevanza deve essere fatta valere in giudizio, si è visto che una consolidata e quantomai condivisibile giurisprudenza di merito ha avuto modo di sottolineare che il tasso di interesse corrispettivo e quello moratorio non possono essere oggetto di mera sommatoria in valore percentuale ai fini del confronto con il tasso-soglia, in quanto una siffatta operazione algebrica è inammissibile, illogica ed irragionevole.

Altrettanto condivisibile è, inoltre, la tesi giurisprudenziale secondo cui il tasso di interesse moratorio non sfugge alla disciplina contenuta nella L.108/1996: invero, nonostante si tratti di un valore

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strutturalmente e ontologicamente non omogeneo a quelli presi a riferimento per la determinazione del tasso-soglia, esso non può in ogni caso superare la misura massima degli interessi, la quale è stabilita dalla legge senza alcuna distinzione di sorta tra interessi corrispettivi ed interessi moratori.

Il tasso moratorio convenzionale, dunque, al pari di quello corrispettivo, ove ab origine pattuito in misura superiore al tasso-soglia ex L. n. 108/1996, non sarà dovuto dal prenditore, dovendo trovare applicazione il disposto dell’art. 1815, secondo comma, c.c.; ove, invece, sia stato originariamente pattuito entro il valore massimo di legge, dovrà subire una riconduzione a liceità (con la modalità tecnica di volta in volta prescelta dal giudicante, di cui si dirà), con conseguente riduzione del valore sino al valore massimo consentito dalla legge, pari allo stesso tasso.

La nullità della pattuizione intorno agli interessi moratori ex art. 1815, secondo comma, c.c., con conseguente obbligo restitutorio in capo al prestatore di quanto ottenuto a titolo di interesse moratorio, non può tuttavia coinvolgere anche la pattuizione degli interessi corrispettivi, che saranno comunque dovuti.

(iii) Il problema centrale in materia di usura, peraltro riguarda il profilo della struttura rimediale di diritto civile applicabile al caso della pattuizione di interessi in misura usuraria: a tale aspetto si è pertanto dedicato un apposito capitolo della trattazione.

Assodata l’inadeguatezza del rimedio della rescissione per lesione ex art. 1448 c.c e ferma l’applicabilità della sanzione della conversione del contratto di credito oneroso in gratuito di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., alla sola pattuizione degli interessi usurari al momento della genesi del negozio –, il problema

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concerne, in buona sostanza, l’individuazione della struttura rimediale di diritto civile applicabile alle fattispecie di usurarietà sopravvenuta degli interessi.

A questo riguardo, non si ritiene che la principale e più opportuna soluzione rimediale possa essere reperita in una di quelle prospettate dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario nelle recenti decisioni nn. 77/2014 e 1875/2014, vale a dire: con riguardo agli interessi corrispettivi, il riferimento alla violazione del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto di finanziamento con conseguente declaratoria di restituzione di quanto ottenuto a titolo di interessi sopra la soglia; per altro verso, quanto agli interessi moratori, la riduzione della penale eccessiva ex art. 1384 c.c.

Si tratta di uno sforzo interpretativo di certo apprezzabile e, da un punto di vista di stretto diritto, sicuramente pregevole, ma che non coglie nel segno.

Una tale affermazione non sta a significare che le soluzioni argomentative cui il Collegio di coordinamento è pervenuto non siano corrette sul piano del diritto. Esse, peraltro, si pongono, a parere di chi scrive, quali strutture rimediali “di secondo livello”, da eccepirsi gradatamente rispetto alla prioritaria via rimediale che l’ordinamento appronta per sanzionare l’usurarietà della pattuizione sugli interesse, vale a dire la radicale nullità della convenzione determinativa degli interessi stessi ex art. 1419, secondo comma, c.c.

In altri termini, si tratta di strutture rimediali secondarie, che rappresentano la trasposizione a valle del divieto imperativo posto a monte dalla legge L. n.108/1996 e che in esse trovano fondamento.

Invero, la percezione di interessi corrispettivi in misura superiore al tasso-soglia ex L. n.108/1996 è qualificata dal Collegio di coordinamento come condotta

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del prestatore contraria al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cui all’art. 1175, 1176 e 1375 c.c., proprio in quanto la convenzione delle parti intorno agli interessi supera il limite stabilito imperativamente dalla legge; l’obbligo restitutorio sorge in capo al prestatore proprio in virtù dell’esistenza del tasso-soglia e nella misura della differenza tra il tasso convenzionale e il limite massimo di legge.

Al contempo, la riduzione ad equità della penale eccessiva sulla base del potere attribuito ex officio al giudicante dal disposto dell’art. 1384 c.c. si giustifica proprio in quanto la misura degli interessi di mora convenzionalmente pattuita dai contraenti, pur in via sopravvenuta, è esorbitante rispetto ai limiti inderogabilmente fissati dal legislatore (e, si noti, può operare solo entro i confini della differenza tra la il tasso divenuto usurario e la soglia massima di legge).

In presenza di una disposizione normativa inderogabile quale quello contenuta negli artt. 1 e 2 della L. n. 108/1996, dunque, il riferimento operato dal Supremo Collegio dell’Arbitro Bancario Finanziario alle strutture rimediali civilistiche gradate appare, in essenza, superfluo e, a ben vedere, tende a svilire la portata precettiva e la ratio della stessa normativa antiusura, che ha inteso oggettivizzare la fattispecie usuraria collegandola al superamento del tasso-soglia, con ciò sancendo l’illegittimità della percezione da parte del prestatore di interessi in misura superiore.

Più corretta, equilibrata e rispondente al dettato della legge è, invece, la struttura rimediale civilistica – avallata dalle recenti pronunce della Corte di Cassazione e dalla più attenta dottrina –, della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., della pattuizione convenzionale degli interessi.

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Essa, infatti, costituisce la prima, più immediata – e per così dire, “naturale” –, conseguenza di ordine civilistico dell’applicazione del precetto imperativo di cui alla L. n.108/1996, che individua un limite oggettivo ed invalicabile della misura degli interessi e che necessariamente deve essere interpretata, in chiave finalistica e sistematica, nel senso dell’impossibilità per il mutuante (certamente di) pattuire, ma anche di percepire in concreto nel corso dell’esecuzione del contratto di credito, interessi convenzionali, corrispettivi ovvero anche moratori, in misura superiore al tasso-soglia determinato secondo i criteri legislativi ivi delineati.

Deve concludersi, dunque, che è dunque coerente con il dettato normativo in materia di usurarietà degli interessi procedere all’integrazione eteronoma ex art. 1339 c.c. del contratto di credito, dichiarando la nullità del patto frutto dell’autonomia negoziale delle parti – non meritevole di tutela, in quanto contrario alla massima misura quantitativa imperativamente fissata dal legislatore –, con automatica sostituzione del tasso-soglia ex L. n.108/1996 in luogo del saggio d’interesse convenzionale, divenuto illegittimo nel corso di esecuzione del contratto tra prestatore e prenditore.

Senza che tali argomentazioni possano essere in alcun modo scalfite dalle critiche mosse a tale struttura rimediale dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, il quale – rilevando che l’applicazione di tale rimedio civilistico produrrebbe, in concreto, un disequilibrio nel mercato del credito, disincentivando la stipulazione di contratti a tasso fisso, nei quali graverebbe sul prestatore il rischio dell’aumento dei tassi, ma questi non potrebbe profittare della loro diminuzione –, si muove sul piano delle valutazioni di opportunità, che prescindono da quelle di ordine giuridico

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e attengono, in via più generale, a scelte di politica economico-finanziario che, per definizione, competono al legislatore.

Così individuato il rimedio civilistico più idoneo a riequilibrare il rapporto contrattuale tra prestatore e prenditore di denaro nell’ipotesi di usurarietà dei tassi di interesse convenzionali, l’approfondimento degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza e dalla dottrina ha consentito di concludere che, a ben vedere, il vero fulcro attorno al quale deve incentrarsi l’attenzione degli interpreti non è rappresentato tanto dalla modalità tecnico-giuridica da utilizzare, quanto piuttosto dalla individuazione del criterio quantitativo sulla base del quale debba essere operata la riduzione degli interessi divenuti usurari.

Infatti, conducendo l’indagine da una prospettiva di tipo funzionalistico, avendo riguardo agli effetti che la giurisprudenza ha ricollegato alla struttura rimediale di volta in volta prescelta, non può non notarsi che sia l’applicazione dell’istituto della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., sia il riferimento alla violazione dei doveri di correttezza e buona fede contrattuale, sia, da ultimo, il presidio civilistico della riduzione ex officio della penale ex art. 1384 c.c., raggiungono di fatto il medesimo risultato concreto in termini di tutela del prenditore che si trovi a dover versare interessi convenzionali che, pur se originariamente pattuiti entro i limiti del tasso-soglia ex L. n. 108/1996, siano successivamente divenuti usurari per le più varie ragioni.

In ambo i casi, infatti, il tasso convenzionale, sia esso corrispettivo o moratorio, viene ricondotto a liceità attraverso la riduzione del suo valore entro i limiti massimi consentiti dalla legge.

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Dunque – al di là delle argomentazioni che rendono preferibili l’una o l’altra struttura rimediale di cui si è fatto cenno nelle righe che precedono –, il vero nodo della questione è rappresentato, a parere di chi scrive, dalla necessità di calibrare adeguatamente il rimedio prescelto nella misura, vale a dire individuare a quale misura gli interessi divenuti usurari debbono essere ridotti.

In altri termini, sia che si propenda per la declaratoria di nullità parziale ex artt. 1419, secondo comma, c.c. e 1339 c.c. sia che si opti per la riduzione degli interessi ex art. 1384 c.c., la questione in ultima istanza sottesa agli sforzi interpretativi degli interpreti è quella di individuare un parametro oggettivo da prendere a riferimento per modificare e ricondurre a giustizia la misura degli interessi pattuita dai contraenti.

Sul punto, si è detto che la giurisprudenza di merito, di legittimità e dell’Arbitro Bancario Finanziario ha univocamente identificato il parametro quantitativo da prendere a riferimento per l’eliminazione degli effetti dell’usurarietà sopravvenuta (con conformazione eteronoma del contratto ovvero intervento di riduzione ex officio del giudicante adito ex art. 1384 c.c.) nel tasso-soglia ex L. n.108/1996.

Secondo tale impostazione concettuale, con la novella del 1996, il legislatore ha indicato il preciso limite degli interessi che il prestatore può lecitamente percepire: di talché deve giudicarsi necessaria, oltre che opportuna e condivisibile, la riduzione della misura degli interessi esorbitanti la soglia massima di legge entro il valore di quest’ultima.

L’opzione interpretativa in parola, tuttavia, non è rimasta esente da critiche: invero, in dottrina, è stato posto in evidenza, da un lato, che sul piano testuale non sono reperibili norme che dispongano la sostituzione di diritto

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della convenzione usuraria predisposta nella loro autonomia negoziale dalle parti; dall’altro lato, come un tale effetto non possa essere ricollegato alla volontà negoziale delle parti (e, in particolare, del mutuatario, che dall’usurarietà dei tassi trae vantaggio economico).

Ancora, si è rilevato che la riduzione del saggio degli interessi divenuto usurario al valore massimo consentito dalla L. n.108/1996 renderebbe indifferente per l’Intermediario contenere i tassi convenzionali entro la soglia di legge, dimostrandosi non coerente con la ratio e la finalità della norma di ridurre il diffondersi del fenomeno usurario ed incentivando un comportamento del prenditore contrario a buona fede consistente nell’applicare tassi usurari nella speranza di profittare dell’inerzia del debitore nell’eccepirne la misura esorbitante rispetto a quella riconosciuta come lecita e tollerabile dall’ordinamento giuridico.

Nonostante i profili di criticità appena evidenziati, tuttavia, gli studi (per vero, allo stato, non molto diffusi ed articolati) della dottrina in ordine al criterio quantitativo di riferimento per l’adeguamento dei tassi di interesse divenuti usurari non sono approdati, a parere di chi scrive, a miglior esito

Chi indaghi la possibilità di riferirsi alla misura del saggio legale degli interessi, richiamando il disposto dell’art. 1284, comma secondo e terzo, c.c., non potrà non rilevare, infatti, che siffatta opzione interpretativa non è conforme alla volontà negoziale espressa in sede di stipulazione del contratto dalle parti, le quali hanno in quella sede manifestato l’intenzione di determinare convenzionalmente la misura degli interessi in un valore percentuale comunque già superiore al saggio legale.

Al contempo, la riduzione della misura degli interessi divenuti usurari al saggio legale indurrebbe il prenditore a

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comportamenti in violazione della correttezza e della buona fede contrattuale di portata uguale e contraria a quelli di cui si è detto con riguardo al criterio quantitativo riferito al tasso-soglia. Invero, esso spingerebbe il mutuatario a pattuire un tasso convenzionale degli interessi, corrispettivi ovvero moratori, quanto più prossimo alla soglia, al fine di poter beneficiare, ove si presentasse una discesa anche minima dei tassi di interesse di mercato, dell’applicazione del tasso legale, estremamente favorevole in quanto di molto inferiore a quelli mediamente praticati sul mercato del credito (e, ancor più, dunque, rispetto al tasso-soglia ex L. n.108/1996).

Chi prospetti, invece, la possibilità di riferirsi al parametro dei tassi mediamente applicati sul mercato per operazioni finanziarie similari, proponendo di riferirsi ad un parametro di adeguamento coincidente con il TEGM, quale espressione di normalità economica del mercato stesso, invece, si scontra con il rilievo critico per cui tale valore si fonda sulla mera rilevazione da parte del competente Ministero dei tassi di interesse mediamente operati dagli Istituti di credito nell’erogazione del credito.

In ultima istanza, quindi, una siffatta via interpretativa difetterebbe, innanzitutto, di un qualsivoglia ancoraggio normativo anche di tipo analogico e, per altro verso, consentirebbe agli Istituti di credito di poter predeterminare il rischio connesso all’eventuale declaratoria di nullità ex art. 1419, secondo comma, c.c. ovvero riduzione ex art. 1384 c.c. della clausola determinativa degli interessi, con anche l’eventualità di poter variare ad hoc i tassi a danno del debitore che si trovi nella necessità di accedere al credito.

L’analisi e l’approfondimento dei singoli criteri quantitativi cui potenzialmente l’interprete potrebbe

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riferirsi nella rideterminazione della misura degli interessi divenuti usurari in conseguenza dell’oscillazione dei tassi di interesse ha consentito di individuare negli stessi un sostrato comune.

La matrice di base di tutte le soluzioni prospettate è individuabile, infatti, nella volontà degli interpreti di ricondurre ad equità – o, quantomeno, nell’alveo delle liceità, costituito dal valore del tasso-soglia –, la misura degli interessi che, nel corso dell’esecuzione del rapporto di finanziamento, siano divenuti usurari in conseguenza della variazione in diminuzione dei saggi d’interesse mediamente applicati sul mercato.

Secondo un’autorevole dottrina, infatti, proprio il principio di equità sostanziale e le prospettive di tutela ad esso sottese, nel cui “ceppo” si incardinano tutte le varianti interpretative appena analizzate, dovrebbero orientare il giudice verso la scelta dell’uno o l’altro criterio di riquantificazione degli interessi divenuti usurari, avendo anche riguardo alle peculiarità della fattispecie concreta.

D’altra parte, non può sottacersi che – ove il legislatore non dia corpo ad un solido ed univoco parametro normativo di riferimento (che sarebbe quantomai opportuno, se non coerentemente necessario, strutturare nell’ambito di un sistema di rilevazione del fenomeno usurario improntato all’oggettivizzazione della fattispecie) –, il rischio è che, all’interno del perimetro costituito dal riferimento ad “interessi legali, TEGM e tassi-soglia”, l’equità applicata al caso concreto trascenda in discrezionalità o, ancor peggio, in arbitrio, seppur limitatamente, quanto alla misura, nella sola differenza tra i valori del perimetro.

Il rischio è, in altri termini, quello di cadere nell’incertezza del diritto, di rendere più probabile il conflitto di giudicati e, in ultima istanza, di determinare

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l’insorgere di nuove controverse giudiziali tra creditore mutuante e debitore mutuatario.

In questa prospettiva, la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione di riferirsi alla misura massima degli interessi ex L. n.108/1996, quale limite legislativo alla meritevolezza di tutela della volontà manifestata dai contraenti nel libero esercizio della propria autonomia negoziale, rappresenta, dunque, la più equilibrata tra le vie interpretative possibili.

Essa, infatti – se applicata in combinato con la struttura rimediale della nullità parziale ex art. 1419, secondo comma, c.c., con sostituzione automatica del tasso-soglia ex L. n. 108/1996 in luogo del tasso convenzionale divenuto usurario ex art. 1339 c.c., che pure, come si è detto, costituisce la più apprezzabile via rimediale civilistica tra quelle prospettate dalla dottrina e dalla più recente giurisprudenza –, è coerente con la struttura e la ratio della normativa antiusura, come pure è idonea a dare a quest’ultima equilibrata attuazione, contemperando adeguatamente le esigenze di tutela e garanzia della posizione di naturale inferiorità del prenditore e, in parallelo, quella del prestatore a vedersi corrispondere un ammontare di interessi sufficiente a remunerarlo per l’attribuzione patrimoniale eseguita in favore del primo (o, nel caso degli interessi moratori, per il ritardo nell’adempimento e, dunque, nel restituire alla propria sfera patrimoniale le somme erogate a titolo di mutuo).

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• DE FRANCISCI, Sintesi storica del diritto romano, Roma, 1968;

• DE POLI, Costo del denaro, commissione di massimo scoperto ed usura, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 10, 2, 351;

• DEGNI, Ancora sulla repressione dell’usura nel diritto privato, in Riv. dir. comm., 1927, II, 342;

• DEGNI, Ancora sulla repressione dell’usura, in Riv. dir. comm., 1911, II, 79;

• DEGNI, I limiti della libertà contrattuale e l’usura nel diritto privato, in Riv. crit. dir. e giur., 1908, II, 1;

• DEGNI, Riflessi civilistici del nuovo codice penale, in Riv. dir. comm., 1932, I, 11;

• DELL’UTRI, Art. 1339, Commento, in Rescigno (a cura di), Codice civile, 2010, Milano, 2580;

• DI GIOVANNI OLIVI, Trattato sulle usure, Bergamo, 1998;

• DI GIOVANNI OLIVI, Un trattato di economia politica francescana: il De emptionibus ed venditionibus, de usuris, de restitutionibus, a cura di Todeschini, Roma, 1980;

• DI LANDRO, La Cassazione penale include la commissione di massimo scoperto nel tasso di interesse usurario: la l. n. 2/09, le questioni intertemporali e un’inedita ricostruzione dell'elemento soggettivo, in Il Foro italiano, 2010, 7-8, II, 390;

• DI MAJO, Il contratto in generale, in Trattato Bessone, XIII, 7, 108;

• DI MARZIO, Deroga abusiva al diritto dispositivo, nullità e sostituzione di clausole nei contratti del consumatore, in Contr. e impr., 2006, 3, 673;

• DI MARZIO, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità, inefficacia della clausola interessi, in Giust. civ., 2000, I, 3099;

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286

• DI MARZIO, Illiceità penale della condotta e invalidità del contratto, in Contr., 2013, 3, 307;

• DI MAURO, In tema di integrazione legale del contratto ex art. 1339 c.c., in Giust. civ., 1992, 1, 246;

• DI VITO, Usura sopravvenuta e inesigibilità della prestazione, in Corr. giur., 2002, 4, 511;

• DOLMETTA, “Scoperti senza affidamento” e usura, in Contr., 2013, 12, 1140; QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, 2, 491;

• DOLMETTA, A commento della Comunicazione Banca d’Italia 3.7.2013: usura e interessi moratori, in www.ilcaso.it;

• DOLMETTA, Carte di credito revolving: inadempimento di singole rate, “oneri economici” ed usura civilistica, in Contr., 2010, 11, 1061;

• DOLMETTA, Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2012 (retroattività di leggi bancarie, prescrizione della ripetizione per titolo invalido di versamenti in c/c e diritto vivente dell'anatocismo), in Banca borsa tit. cred., 2012, 4, II, 423;

• DOLMETTA, Fideiussioni “chiuse” e legge sulla trasparenza: una massima della Cassazione, in Banca borsa tit. cred., 1993, II, 240;

• DOLMETTA, Ius variandi bancario. Linee evolutive, in AA.VV., Ius variandi bancario, Milano, 2012,

• DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta in www.ilcaso.it

• DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/1996, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 620;

• DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 498;

• DOLMETTA, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, in www.ilcaso.it;

• DOLMETTA, Usura sopravvenuta per modifiche regolamentari della Banca d’Italia (quando non originaria).

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A proposito di Abf Roma, n. 4374/2013, in www.dirittobancario.it;

• DUVIA, La sostituzione automatica di clausole nell’art. 1419, comma 2, cod. civ., in Riv. dir. priv., 2008, 793;

• FADDA, Le usurae quae officio iudicis praestantur (1886-1887), in Studi e questioni di diritto, I, Napoli, 1910, 231;

• FALCONE, Interventi delle banche a contrasto dell’usura e nuove figure di “mutuo di scopo”, in Riv. dir. impr., 1999, 105.

• FASCIANO, L’inapplicabilità della disciplina anti-usura di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108 ai contratti di mutuo stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, in Dir. fall. e delle società commerciali, 2011, 3-4, II, 237;

• FAUCEGLIA, Del mutuo, in Comm. del codice civile, diretto da Gabrielli, Dei singoli contratti, Torino, 2011;

• FEDELE, Della nullità del contratto, Codice civile - Libro delle obbligazioni, I, Firenze, 1948;

• FEDELE, Le invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino-Varese, 1943;

• FERRARI, L’usura nel diritto, nella storia e nell’arte, Napoli, 1924;

• FERRI, Interessi usurari e criterio di normalità, in Riv. dir. comm., 1975, I, 275;

• FERRONI, Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, Napoli, 2002;

• FERRONI, La nuova disciplina civilistica del mutuo ad interessi usurari, Napoli, 1997;

• FIANDACA-MUSCO, I delitti contro il patrimonio, Dir. pen., Parte speciale, 1996, 180;

• FIENGO, Clausola penale per il ritardo ed usura, in Giurisprudenza di merito, 2012, 10, 2041;

• FILANTI, Nullità, I) Diritto civile, Enc. Treccani, XXI, Roma, 1990, 8;

• FILICE, L’usura raddoppia le pene e diventa un delitto, in Guida al Diritto, 2012 19, 85;

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• FLORIO, L’usura (esame strutturale, problemi interpretativi e limiti di applicabilità della fattispecie ex art. 646 c.p.), in Critica pen., 1995, 3;

• FORMICA, I profili civilistici dell’usura alla luce delle innovazioni introdotte dalla l. 7 marzo 1996, n. 108, in Nuova giur. ligure, 2002, 197;

• FRANZONI, Fideiussioni omnibus e ius superveniens, Contr. e impr., 1993, 428;

• GALLARATI, La clausola penale: funzione deterrente e risarcitoria, in Giur. it., 2003, 450;

• GALLO, L’usura nell’evoluzione dei tempi fino agli ultimi provvedimenti normativi, in Dir. pen. proc., 1995, 3, 298;

• GAZZONI, Usura sopravvenuta e tutela del debitore in Riv. not., 2000, 1445;

• GENTILI, Usurarietà sopravvenuta e interpretazione autentica del diritto giurisprudenziale, in Giur. it., 2002, 1125;

• GIAMPICCOLO, Comodato e mutuo, in Trat. Grosso-Santoro-Passarelli, Milano, 1972, 89 e ss.;

• GIANFELICI, Le misure contro l’usura, Milano, 1998, 215 • GIANZANA, Codice civile coll’aggiunta delle leggi

complementari, vol. 1, 1883, 119; • GIOIA, La disciplina degli interessi divenuti usurari: una

soluzione che fa discutere, in Corr. Giur., 2000, 878; • GIOIA, La storia infinita dei tassi usurari, in Corr. giur., I,

2001, 431; • GIOIA, Usura: nuovi ritocchi, in Corr. giur., 7, 1998, 805; • GIOMARO-MOROSINI, Mutuo nel diritto romano,

medievale e moderno, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 584;

• GRANDI, Usura e rimedi civilistici, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 10, I, 991;

• GRASSANI, voce Mutuo (dir. civ.), in Noviss. Dig. it., X, Torino, 1963, 1053;

• GRINDATTO, Sul computo della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso usurario, in Giur. it., 2010, 11, 2410;

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• GROSSO, voce Usura (diritto penale), in Enc. Dir., Milano, 1992, XLV, 1125;

• INZITARI, Autonomia privata e controllo pubblico nel rapporto di locazione, Napoli, 1979, 157;

• INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso soglia della disciplina antiusura e il divieto di anatocismo, in Banca borsa tit. cred., 1999, I, 257;

• INZITARI, La moneta, in Tratt. dir. comm. e pubbl. econ., VI, Padova, 1983, 272;

• INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2011;

• LA ROCCA, Usura, interessi moratori e regolamentazione del rapporto, in Rass. dir. civ., 2004, 2, 519;

• LENOCI, Commissione di massimo scoperto ed usurarietà del tasso di interesse, in Giur. mer., 2011, 4, 983;

• LIBERTINI, Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust, in Danno e resp., 2005, 248;

• LIBERTINI, voce Interessi, in Enc. dir., Milano, 1972, 130; • LOCATELLI, Osservazioni alla nuova legge “antiusura”,

in Fisco, 1996, 5256; • LOMBARDI, La Corte costituzionale si pronuncia sulla

dibattuta questione della fideiussioni omnibus, in Corr. giur., 1998, 31;

• LOPILATO, Rescissione, nullità e usura, in Dir. e form., 2005, 7, 991;

• MAGRO, Il divieto di usura e i doveri di solidarietà umana, in Arch. pen., 3-4, 1997, 283;

• MALVAGNA, A commento della comunicazione Banca d’Italia 3 luglio 2013: sull’usura sopravvenuta, in www.ilcaso.it;

• MANCINI, Osservazioni su anatocismo e conseguenze civilistiche dell’usurarietà sopravvenuta, in Giur. comm., 2013, II, 647;

• MANIACI, Nuova normativa in materia di usura (commento alla l. 28 febbraio 2001, n. 24), in Contratti, 2001, 393;

• MANNA, La nuova legge sull’usura, Torino, 1997, 4;

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• MANNA, voce Usura (la nuova normativa sull’), in Dig. disc. pen., (agg.), 2000, Torino, 648;

• MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in Trattato Roppo, IV, 117;

• MANTOVANO, Usura e Commissione di Massimo Scoperto: profili di indeterminatezza della fattispecie, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 3, 1558;

• MARCELLI, I chiarimenti della Banca d’Italia in materia di applicazione della legge antiusura: uno sgarbo alla giurisprudenza, in www.ilcaso.it;

• MARCELLI, La mora e l’usura: criteri di verifica, in www.ilcaso.it;

• MARCELLI, Le azioni legali e il rischio di usura dopo la sentenza Cass. pen. 46669/11. Prime riflessioni, in www.ilcaso.it;

• MARCELLI, Le commissioni di massimo scoperto e le soglie d'usura. La Cassazione penale ridimensiona la Banca d'Italia, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2010, 4, 1, 709;

• MARCELLI, Soglie d’usura. Prime riflessioni sui parametri di determinazione, in www.ilcaso.it;

• MARICONDA, Fideiussioni omnibus, irretroattività della novella, clausola a prima richiesta, in Corr. giur., 1993, 695;

• MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro, in Corr. giur., 2001, 1565;

• MARINETTI, voce Interessi (dir. civ.), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 863;

• MASCHI, La gratuità del mutuo classico, in Studi in onore di Balladore Pallieri, I, Milano, 1978;

• MASULLO, A due anni dalla riforma del delitto di usura; una riflessione sulla nuova scelta strategica, in Cass. pen., 1998, 2205;

• MAZZA, Una fattispecie precaria: l’usura impropria, in Riv. Polizia, 1996, 73;

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• MAZZACANE, voce Usura (dir. romano), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971;

• MEOLI, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 349;

• MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contr. e impr., 1999, 414;

• MESSA, Del contratto di mutuo, Milano, 1900; • MESSINA, Usura e negozio usurario, in Scritti giuridici,

Milano, V, 148; • MESSINEO, Dottrina generale del contratto, Milano, 1944,

248; • MICHELETTI, Una verità negata: la modificazione mediata

dell’usura, in La Giustizia Penale, 2012 fasc. 3, pt. 2, pp. 138 – 146;

• MINERVINI, La rescissione del contratto, in Rass. dir. civ., 1997, 4, 764;

• MIRABELLI, Dei contratti in generale, Comm. UTET, Torino, 1980;

• MIRABELLI, La rescissione del contratto, Napoli, 1962; • MOLINTERNI-PALMIERI, Tassi Usurari e razionamento:

repressione e prevenzione degli abusi nel mercato del credito, nota a Trib. Roma, 10 luglio 1998, in Corr. giur., 1999, 1022;

• MONASTERO, La nullità sopravvenuta, in Dir. e form., 2003, 10, 1460;

• MONTEL, La rescissione del contratto, nota a Trib. Milano, 12 febbraio 1937, in Foro it., 1937, I, 560;

• MORERA, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso soglia e … usurario sopravvenuto, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, 522;

• MUCCIARONE, Attendendo la decisione del collegio di coordinamento dell’ABF su usura e interessi moratori: ABF n. 77/2014 e ABF n. 125/2014, in dirittobancario.it;

• NANULA, Misure di contrasto all’usura: il fondo di solidarietà per le vittime ed il fondo per la prevenzione del fenomeno, in Fisco, 1998, 1345;

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• NAPOLI, Usura reale e rescissione per lesione, in Riv. dir. civ., 2004, 3, I, 401;

• NICOLA, La sorte delle fideiussioni omnibus contratte anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 152/1992, in Giur. it., 1998, 3, 866;

• NIVARRA, Il mutuo civile e l’usura, in I contratti per l’impresa, a cura di Gitti, Maugeri e Notari, II, Bologna, 2012, 29;

• NUZZO, Utilità sociale ed autonomia privata, Milano, 1975, 136;

• OSTI, Contratto, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1959; • PACIFICI-MAZZONI, Istituzioni di diritto civile italiano,

V, Firenze, 1921; • PACIFICO, Il fondo di solidarietà per le vittime

dell’estorsione e dell’usura, in Nuove leggi civ., 1999, 822; • PALASCIANO, La riducibilità ex officio della clausola

penale tra equità delle sanzioni e principio della domanda, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 553;

• PALMIERI, Art. 1384 c.c. e sopravvenienze: ulteriore arretramento della funzione sanzionatoria della clausola penale, in Foro it., 2013, 4, I, 1205;

• PALMIERI, Interessi usurari: una nuova partenza, in Foro it. 2002, I, 934;

• PALMIERI, Supervisione sistematica delle clausole penali: riequilibrio (coatto e unidirezionale) a scapito dell'efficienza?, in Foro it., 2006, 1, I, 106;

• PALMIERI, Usura e sanzioni civili: un meccanismo già usurato?, in Foro it., 1998, 1607;

• PANDOLFELLI - SCARPELLO - STELLA RICHTER - DALLARI, Codice civile illustrato con i lavori preparatori, Milano, 1942, 517;

• PANDOLFINI, L’usura sopravvenuta sopravvive ancora?, in Giur. it., 2003, 1, 93;

• PANZANI, Interessi usurari, ius superveniens e questioni di costituzionalità, in Contr., 2002, 3, 281;

• PASQUALINI, La fideiussione omnibus nel diritto transitorio dell’art. 1938 c.c., in Riv. not., 1997, 1244;

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• PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Comm. Schlesinger, 267;

• PEDRAZZI, Sui tempi della nuova fattispecie di usura, in Riv. dir. proc. pen., 1997, 662;

• PERDUCA, Appunti sull’usura e sulla collaborazione europea in materia, in Fisco, 1998, 9984;

• PERETTI GRIVA, Mutuo, Roma, 1931, 87; • PERLINGIERI, Sui contratti iniqui, in Rass. dir. civ., 2013,

2, 480; • PERTILE, Storia del diritto italiano, IV, Torino, 1893; • PETRAGNANI-GELOSI, Il “nuovo” delitto di usura

impropria previsto dal D.L. n. 306 del 1992 convertito nella L. n. 356/1992, in AA.VV., Mafia e criminalità organizzata, Torino, 1995, 896 e ss.

• PIAZZA, La fideiussioni illimitata: i problemi posti dal ius superveniens e dal recesso del fideiussore, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 412;

• PICA, voce Usura (dir. pen.), in Enc. dir., Agg., VI, 1997; • PICA, voce Usura (diritto penale), in Enc. Dir., Milano,

2002, VI, 1137; • PIRASTU, L’usurarietà sopravvenuta tra validità e

responsabilità, in Rivista giuridica sarda, 2009, 3, 1, 749; • PIRENNE, Storia economica e sociale del Medio Evo,

Milano, 1972; • PISA, L’individuazione dell’interesse usurario, in Dir. pen.

proc., 1996, 418; • PISA, Mutata la strategia di contrasto al fenomeno

dell’usura (commento alla l. 7 marzo 1996, n. 108), in Dir. pen. proc., 1996, 4, 410;

• PISU, Aspetti problematici della disciplina dei mutui usurari, in Contr. e impr., 2002, 3, 1259;

• PISU, La sorte dei negozi usurari a seguito della riforma del reato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 3, 887;

• PLATAMURA, Il delitto di usura presunta: quale etica per il mercato del credito?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 779;

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• POLLIDORI, Usura e banche: un rapporto controverso. La questione delle commissioni di massimo scoperto, in Questione Giustizia, 2011, 6, 188;

• PONTI-FERRARI, Ancora in tema di retroattività della legge sull’usura, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 257;

• PONTIROLI, Fideiussione omnibus, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 2000, (agg.), 378;

• PROSDOMICI, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium iuris, 1996, 771;

• PUTTI, La nullità parziale, Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002;

• QUADRI, La nuova legge sull’usura ed i suoi diversi volti, in Corr. Giur., 1996, IV, 363;

• QUADRI, Profili civilistici dell’usura, in Foro it., 1995, V, 338;

• QUARANTA, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, Banca borsa tit. cred., 2013, 5, II, 487;

• RAGAZZINI-RAGAZZINI, Breve storia dell’usura, Bologna, 1995;

• RICCIO, Ancora sulla usurarietà sopravvenuta, in Contr. e impr., 2003, 1, 11;

• RICCIO, Gli interessi moratori previsti dalla disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e le norme sull'usura, in Contr. e impr., 2004, 2, 554;

• RICCIO, Inserzione automatica di clausole e invalidità delle clausole difformi, in Contr. e impr., 2005, 1, 63;

• RISPOLI, Asimmetrie contrattuali e limiti all’eterointegrazione normativa, in Giur. it., 2012, 7, 1560;

• RIVOLTA, Le nuove disposizioni sulla fideiussione, in Riv. dir. civ., 1992, II, 673;

• ROCCHIO, La rilevanza dell’accordo ai fini del giudizio di usurarietà, in Giur. merito, 2006, 7-8, 1663;

• RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969;

• ROPPO, Il contratto, Milano, 2001; • ROPPO, Nullità parziale del contratto e giudizio di buona

fede, in Riv. dir. civ., 1971, I, 717;

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295

• ROSITO, L’inserzione automatica della clausola revisionale negli appalti pubblici tra rinnovo e proroga contrattuale, in Rass. dir. civ., 2013, 2, 578;

• ROSSI, Il nuovo provvedimento legislativo in materia di usura, in Impresa, 2001, 192;

• ROTONDI, Vecchie e nuove tendenze per la repressione dell’usura, in Riv. dir. civ., 1911, 239;

• SACCO-DE NOVA, Il Contratto, in Trattato Sacco, II, Torino, 1993;

• SALANITRO, Retroattività e affidamento: la ragionevolezza del comma 61 (art. 2 d.l. n. 225/2010, conv. l. n. 10/2011), in Banca borsa tit. cred., 2012, 4, II, 443 e ss.;

• SALVINI, L’usura, un dramma sempre attuale, in Civiltà cattolica, 1996, II, 32;

• SANGIOVANNI, Contratto di apertura di credito, calcolo del tasso effettivo globale medio e usura civilistica, in Corr. Merito, 2013, 2, 148;

• SANTARELLI, Sei lezioni sull’usura, Pisa, 1995; • SARACENI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali,

Milano, 1971; • SASSI, Esegesi e sistema del contratto usurario, in Riv. dir.

civ., 2010, 2, I, 247; • SCHIAVONE, Funzione della clausola penale e potere di

riduzione da parte del giudice, in Resp. civ. e prev., 2006, 1, 56;

• SCHIAVONE, Usura: pluralità di fattispecie e rimedi civilistici, in Obbligazioni e Contratti, 2006, 4, 337;

• SCIALOJA, Unciarum fenus, 1923, in Studi giuridici, II, 2, Roma, 1934, 237;

• SCIARRONE ALIBRANDI-MUCCIARONE, La pluralità di serie normative di ius variandi nel T.u.b.: sistema e fratture, in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato, Milano, 2012, 78;

• SCODITTI, Mutui a tasso fisso: inserzione automatica di clausole o integrazione giudiziale del contratto?, in Foro it., 2001, 3, I, 919;

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296

• SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, Trattato a cura di Grosso-Santoro-Passarelli; IV, 2, 499;

• SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972;

• SCOGNAMIGLIO, Il contratto in generale, a cura di Gabrielli, in Trattato Rescigno-Gabrielli, 1164.

• SCOZZAFAVA, Il problema dell’adeguatezza negli scambi e la rescissione del contrato per lesione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 331;

• SCOZZAFAVA, Interpretazione autentica della normativa in materia di usura e legittimità costituzionale, in Contr., 2002, 545;

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