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RISCHI DI INQUINAMENTO
MICROBIOLOGICO
NELL’AFFINAMENTO DEI
VINI IN LEGNO
Raf faele Guzzon
Chimica Vit ienologica e Agroal imentare, Laboratorio di Microbiologia
Fondazione Edmund Mach - I st i tuto Agrario di San Michele al l ‘Adige
Via Edmund Mach 1 38121 San Michele al l ‘Adige (Trento) I ta l ia
raf faele.guzzon@fmach. I t
+39 3351544410
LA VINFICAZIONE,
UNA SUCCESSIONE DI GENERI
MICROBICI
Evoluzione della microflora enologica
in un ambiente “naturale”
Evoluzione della microflora
enologica in un processo di
vinificazione convenzionale
LO SVILUPPO MICROBICO
L’ORIGINE DEI MICRORGANISMI
I microrganismi sono introdotti in cantina con le uve e attraverso vettori quali ad esempio gli operatori e gli insetti.
Pertanto l’attenzione alla pulizia nelle prime fasi del processo di vinificazione è una strategia fondamentale per prevenire l’accumularsi di microrganismi contaminanti in cantina.
La popolazione microbiologica di cantina ha una composizione caratteristica e nettamente differente da quella di vigneto. S. cerevisiae domina la popolazione di cantina tanto che per questa specie è stata proposta la definizione
di “microrganismo addomesticato”.
In ogni caso altre specie sono isolabili da impianti enologici e superfici tra cui P. anomala, P. membranifiaciens, Candida spp., Cryptococcus spp. Alcune di queste specie sono strettamente aerobie (Rhodutorola, Cryptococcus e Debaromyces spp.) quindi il rischi di alterazioni della massa di vino in conservazione o fermentazione è limitato.
Al contrario P. membranifaciens, P. anomala e Candida spp. sono in grado di svilupparsi in vini non adeguatamente solfitati o lasciti a contatto con l’ossigeno formando film superficiali.
La presenza di questi lieviti filmogeni è stata più volte osservata anche su superfici di cantina ove residuino tracce di vino. Tali specie possono pertanto essere utilizzate come “indicatori” di igiene di cantina.
Dekkera/Brettanomyces, Z. bailii e S. ludwigii sono le specie di lievito dotate della maggiore attività alterativa ma il loro isolamento in cantina è del tutto saltuario.
Diversi lavori hanno infatti dimostrato come la loro incidenza, sul totale della popolazione microbica è inaspettatamente basso. È però possibile che tali risultati non corrispondano alla reale situazione di cantina ma siano dovuti alla difficoltà di isolare
queste specie, poco vigorose. Pertanto la scelta di adeguati metodi di indagine è fondamentale per ottenere dati rappresentativi del reale ecosistema di cantina.
Riguardo alla presenza di Dekkera/Brettanomyces e alle fonti di contaminazione i pareri sono contrastanti.
Alcuni autori ritengono che la principale nicchia ecologica di questo microrganismo siano i vasi vinari in legno e che solo un efficace sanitizzazione con mezzi chimici e fisici
ne garantisca un efficace controllo.
Altri lavori scientifici dimostrano come tali microrganismi siano spesso isolati in vigneto, soprattutto su uve con uno stato sanitario compromesso e che questo sia il principale
vettore di Brettanomyces in cantina.
In diversi casi è stato evidenziato come l’azione di insetti sia fondamentale quale veicolo di questa specie alterativa.
L’ORIGINE DEI MICRORGANISMI
I lieviti appartenenti al genere Zigosaccaromyces sono isolati con maggiori frequenza in cantine dedite alla produzione di vini rifermentati o comunque dove
si facci largo uso di mosti concentrati.
Tale osservazione pare dovuta alla notevole resistenza di questi lieviti ai comuni preservativi microbiologici impiegati nella conservazione di tali prodotti e alle alte
concentrazioni zuccherine.
Anche Saccharomycodes ludwigi è raramente isolato in cantina.
La sua presenza è stata più volte riportata in cantine ove si faccia uso di mosti mutizzati vista la notevole resistenza all’anidride solforosa.
Per lo stesso motivo la sua eliminazione dal vino appare piuttosto complessa e richiede solitamente trattamenti fisici.
L’ORIGINE DEI MICRORGANISMI
Stage della produzione Rischio Azioni preventive Frequenza
Grappoli danneggiati Fonte primaria di microorganismi contaminanti
Azioni agronomiche in vigneto
Selezione dei grappoli alla raccolta
Medio/alta
Mosto Produzione di off-flavours (etil-acetato da lieviti
apiculati ).
Abbattimento della temperatura Flottazione
Solfitazioni adeguate
Bassa
Mosto in fermentazione
Produzione di H2S, riduzione acidità totale, produzione di
acidità volatile, arresti di fermentazione
Utilizzo di colture selezionate
Adeguata nutrizione dei mosti
Controllo parametri fisici (temperatura)
Trattamenti post fermentativi
Medio/alta
Vino Produzione di acetaldeide da lieviti filmogeni
Protezione dall’ossigeno dei vini
Bassa
Vino in affinamento Produzione di fenoli volatili, acido acetico e altri off-
flavours da parte di Dekkera/Brettanomyces
Trattamenti post fermentativi
Igiene di cantina Prevenzione
contaminazioni incrociate
Medio/alta
STABILITA’ DEL VINO
Good Manufacturing Practices Igiene di cantina
Trattamenti di stabilizzazione (Filtrazioni, calore) Aggiunta preservanti (SO2, sorbato, DMDC)
Condizioni di stoccaggio (O2, temperatura, tipo di contenitore)
SUSCETTIBILITA’ DEL VINO
Caratteristiche del vino (Alcol, pH, zuccheri, ecc…)
Caratteristiche della materia prima Maturità
Incidenza grappoli affetti da avversità Aggiunta di mosti concentrati o rettificati
Solfitazioni
Microflora Lieviti fermentativi, lieviti
alterativi, lieviti contaminati, batteri
EVOLUZIONE DELLA MICROFLORA
NELLE BOTTI
EVOLUZIONE DELLA MICROFLORA
NELLE BOTTI
I MICROORGANISMI
ALTERATIVI
I LIEVITI
Lieviti tecnologicamente rilevanti.
Lieviti utilizzati per la produzione di alimenti o bevande fermentate. Possono essere aggiunti alle materie prime o presenti direttamente
nelle materie prime o nell’ambiente di produzione dell’alimento.
Lieviti contaminati innocui.
Lieviti in grado di sopravvivere nelle matrici alimentari ma non in grado di svilupparsi e quindi di alterare le caratteristiche qualitative del
prodotto.
Lieviti alterativi.
Lieviti in grado di causare alterazioni qualitative ad alimenti prodotti e confezionati in accordo con le buone pratiche di produzione
(Good Manufacturing Pratctices. GMP).
I LIEVITI
Rhodutorula spp. Brettanomyces bruxellensis Saccharomyces cerevisiae
LIEVITI APICULATI
In questa categoria tecnologica sono comprese tutte le specie aventi forma cellulare apiculata (limone).
Questi lieviti sono particolarmente frequenti sull’uva e nei primi stadi della vinificazione.
La loro presenza è spesso portata come evidenza di un elevata biodiversità che caratterizzerebbe in maniera positiva i vini ottenuti da fermentazioni spontanee.
Tuttavia questi microrganismi sono scarsamente alcol tolleranti e quindi hanno scarsa o nulla attività durante le fermentazioni, scomparendo dopo 2-3 giorni.
Possono essere facilmente eliminati con le buone pratiche enologiche.
Il rischio principale associato alla loro presenza è quello della produzione di aromi sgradevoli (es. acetato di etile) durante le fasi pre-ferementative (es. macerazione pellicolare), soprattutto nei vini bianchi.
LIEVITI FILMOGENI
Sono lieviti in grado di crescere sulla superficie del vino, sviluppando strutture pellicolari.
Tipicamente appartengono ai generi Pichia e Candida ma anche Saccharomyces cerevisiae e Zygosaccharomyces bailli sono stati isolati sulla superficie di vini alterati.
Per i generi Candida e Pichia l’attività filmogena è da mettersi in relazione con la loro natura fortemente
aerobica che ne limita lo sviluppo nella massa del vino, a favore di specie meno esigenti.
Lo sviluppo di questi lieviti è stato osservato al termine della fermentazione malolattica, quando il vino è poco protetto dall’anidride solforosa o in bottiglia in caso di
tappature difettose.
La principale alterazione dovuta all’azione di questi lieviti è la produzione di acetaldeide con un forte impatto,
negativo, sull’aroma del vino. Il controllo è facilmente attuabile mediante le buone pratiche enologiche delle
quali questi microrganismi sono pertanto degli utili indicatori.
Candida spp.
Pichia spp.
BRETTANOMYCES/DEKKERA
Il genere è noto da molto tempo, le prime descrizioni risalgono agli anni ’50.
Peynaud (Università di Bordeaux) associa questa specie al carattere “mousy” nel 1956.
Solo nel 1986 è stata dimostrata la produzione di fenoli volatili da parte di
Brettanomyces in mosto d’uva, escludendo però l’attività in vino. Ancora nel 1993 la
presenza di Brettanomyces non era direttamente associata alla produzione di
fenoli volatili nel vino ma ad altre alterazioni.
Finalmente nel 1996 è stata proposta una descrizione completa di Brettanomyces e in
particolare è stata documentata l’attività decarbossilasica e la produzione di etilfenoli.
Brettanomyces spp.
B. custersianus
B. naardenensis
B. nanus
B. anomalus
B. bruxellensis
D. anomalus
D. bruxellensis
Principale specie isolata in ambiente enologico: B. bruxellensis (D. bruxellensis).
(Egli & Henick-Kling, 2001; Stender et al., 2001; Cocolin et al., 2004)
Isolamenti saltuari anche di B. anomalus (D. anomala) e B. custersianus.
(Querolet al., 1990; Esteve-Zarzoso et al., 2001)
BRETTANOMYCES/DEKKERA
I fenoli volatili sono prodotti per via enzimatica a partire dagli acidi idrossicinammici, naturalmente
presenti nei mosti.
Generalmente questi precursori sono legati all’acido tartarico o agli antociani ma l’azione enzimatica di
numerosi microrganismi (muffe) è in grado di liberare gli acidi idrossicinnamici nel mezzo di fermentazione.
Queste molecole hanno un’azione tossica su numerosi microrganismi. Brettanomyces/Dekkera ha sviluppato un sistema enzimatico che porta alla detossificazione
degli acidi idrossicinnamici.
Il primo passaggio della conversione è mediato dall’enzima cinnammato decarbossilasi, presente in
numerose specie microbiche di interesse enologico, tra cui S. cerevisiae.
Il secondo passaggio è mediato dall’enzima vinilfenol riduttasi. Questo enzima è meno frequente del
precedente ma comunque presente nell’ambiente enologico.
BRETTANOMYCES: EFFETTI SUL VINO
Brettanomyces è anche coinvolto nella produzione di acido acetico.
L’accumulo di acido acetico è dovuto ad una deviazione del processo fermentativo, in presenza di elevate concentrazioni di ossigeno.
L’instaurazione di un ambiente anaerobico è in grado di bloccare sia la produzione di acido acetico che la crescita di Brettanomyces senza tuttavia causarne la morte.
Brettanomyces è anche in grado di produrre alcuni acidi grassi volatili con un negativo impatto sulla frazione aromatica del vino.
Dal catabolismo della L-leucina, L-isoleucina e L-valina sono prodotti rispettivamente l’acido isovalerianico, metilbutirrico e isobutirrico.
Tra i tre è l’acido isovalerianico il prodotto con la maggiore rilevanza sensoriale, in grado di apportare al vino note rancide che sono frequentemente associate al cosiddetto “Carattere Brett”.
Non esiste una correlazione diretta tra questo metabolismo e quello dei vinilfenoli, tuttavia è dimostrato che l’acido isovalerianico stimola la percezione delle note fenoliche.
BRETTANOMYCES: EFFETTI SUL VINO
Brettanomyces risulta anche coinvolto, insieme ad alcune specie di batteri lattici nella comparsa di un carattere maleodorante definito comunemente “mousiness”.
Responsabili di questo carattere sono diverse molecole: 2-etiltetraidropiridina, 2-acetil-3,4,5,6-tetraidropiridina e 2-acetil-1,4,5,6-tetraidropiridina.
Precursore di queste molecole è l’aminoacido lisina in presenza di etanolo e di ossigeno, sebbene la correlazione di quest’ultimo sia di tipo indiretto.
Il risultato dell'’accumulo di questi composti, con concentrazioni nell’ordine di alcune centinaia di μg/L è la comparsa di note sgradevoli descritte come “pop-corn, amaro, tostato” la cui percezione è fortemente influenzata
dal pH del vino.
BRETTANOMYCES: EFFETTI SUL VINO
La proliferazione di Brettanomyces può portare anche al decadimento del colore nei vini rossi.
La prima ragione di tale fenomeno è da ricercarsi nell’attività glucosidasica tipica di questa specie.
La maggior parte dei pigmenti antocianci è infatti presente nei mosti in forma glicosidata.
L’attività enzimatica di Brettanomyces tende a separare lo zucchero dalle molecole antocianiche ottenendo antocianine libere con una minore intensità colorante.
Una seconda teoria è stata avanzata di recente e riguarda gli effetti di Brettanomyces su pigmenti maggiormente stabili, formatisi durante le fasi di affinamento del vino.
È infatti noto che diversi microrganismi enologici sono in grado di produrre vinilfenoli che, combinandosi con la malvidina, possono dare forma a molecole stabili e con buona attività
colorante.
L’attività di Brettanomyces che tende a produrre vinilfenoli, riducendoli però poi a etilfenoli potrebbe ridurre la quota di vinilfenoli presenti nel mezzo compromettendo le reazioni di formazione dei
vinilfenoli piroantociani.
BRETTANOMYCES: EFFETTI SUL VINO
L’attività decarbossilasica di Brettanomyces può esplicarsi a carico di alcuni aminoacidi con la formazione di ammine biogene ed il loro accumulo nel vino.
È stata verificata l’abilità di Brettanomyces nel produrre diverse ammine biogene: etanolamina, metilamina, triptamina, putrescina, cadaverina, histamina, agmatina e
2-feniletilamina.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi le concentrazioni misurate rasentano i limiti di rilevabilità e non rappresentano un significativo rischi sanitario.
È però da tener presente la notevole variabilità nell’attività decarbossilasica riscontrata da diversi ceppi e i limiti legali imposti in alcuni paesi, spesso ben al di sotto del reale
rischi per la salute umana.
BRETTANOMYCES: EFFETTI SUL VINO
BATTERI LATTICI
BATTERI LATTICI,
VARIABILI TECNOLOGICHE
BATTERI LATTICI,
VARIABILI TECNOLOGICHE
BATTERI ACETICI
Acetobacter Gluconobacter
Alcol deidrogenasi
Aldeide deidrogenasi
I principali composti prodotti dai batteri acetici in vino sono l’acido acetico, l’acetaldeide e l’etilacetato.
Questi composti derivano, nel caso dei batteri acetici, dall’ossidazione dell’etanolo mediata da due enzimi
legati alla membrana batterica: alcol deidrogenasi (da etanolo ad acetaldeide) e aldeide deidrogenasi (da
acetaldeide a acido acetico).
Le dosi di accettabilità di questi composti sono molto variabili e strettamente dipendenti dalle caratteristiche
del vino.
Generalmente si considerano fastidiose dosi di acido acetico superiori agli 0.5 g/L, di acetaldeide superiori agli 0.5 mg/L e di etilacetato superiori agli 0.75 mg/L.
I descrittori di tali composti sono diversi. Si osserva una forte diminuzione delle componenti fruttate con la comparsa di odori pungenti, di solvente, associati a prodotti caratterizzati da forte ossidazione come lo
Sherry o, appunto, l’aceto.
BATTERI
ACETICI
I batteri acetici possono metabolizzare anche il glucosio presente nel mosto/vino. Tra le diverse specie è Gluconobacter quella più attiva nel consumo di glucosio. Nel genere Acetobacter sono state osservate
inibizioni della crescita dei batteri in un ambiente contenete solamente glucosio come fonte di carbonio. I metaboliti derivati dalla degradazione del glucosio sono l’acido Gluconico e l’acido acetico, la cui produzione
può arrivare fino a 120 g/L nel caso di Gluconobacter.
L’accumulo di acido gluconici e ketogluconici altera la qualità del vino e influenza le pratiche enologiche. Questi composti possono infatti legare l’SO2 in maniera molto efficiente.
La proliferazione di batteri acetici nel vino può portare anche alla produzione di polisaccaridi che possono causare notevoli problemi di filtrazione del vino. I batteri acetici possono degradare altri componenti del vino
tra cui gli acidi organici.
Es. Ceppi di Acetobacter aceti sono stati in grado di ridurre da 4.7 a 1.8 g/L la concentrazione di acido malico e da 230 a 147 mg/L la concertazione di acido citrico.
Al contrario è dimostrata la produzione di acido succinico (specialmente da parte di Gluconobacter spp.) e acido propionico. Caratteristico è anche l’accumulo di acetoino, responsabile di aromi lattici, rancidi.
Anche altri carboidrati, sia pentosi che esosi possono essere metabolizzati dai batteri acetici in assenza di glucosio o etanolo.
BATTERI ACETICI
In condizioni di scarsità di ossigeno i batteri acetici restano in una fase di latenza, ma tuttavia sono da considerarsi attività e potenzialmente dannosi.
Basta una piccola ossigenazione, dovuta per esempio ad un travaso o ad un’omogeneizzazione della massa per fornire ai batteri l’ossigeno necessario ad attivare vie metaboliche alterative.
EVOLUZIONE DEI BATTERI ACETICI DURANTE LA
MATURAZIONE DEL VINO
EVOLUZIONE DEI BATTERI ACETICI DURANTE LA
MATURAZIONE DEL VINO
METODI DI
SANIFICAZIONE
VAPORE
La disinfezione mediante vapore è potenzialmente molto efficace ma in pratica le sue potenzialità si riducono di molto.
Prima di tutto occorre utilizzare vapore ad alta pressione per poter raggiungere elevate temperature. Infatti il comune vapore acqueo non raggiunge una temperatura sufficientemente
elevata per garantire risultati soddisfacenti.
Se la superficie da trattare è altamente contaminata è probabile che la presenza di materiale organico abbia un effetto protettivo e il vapore perda di efficacia.
Analogo effetto si può osservare in caso di materiali termoisolanti (legno, cemento) o di strutture complesse che causino raffreddamenti del vapore.
La condensa generatasi dal vapore può addirittura stimolare lo sviluppo microbico.
RAGGI UV
La radiazione UV è prodotta da lampade a vapori di mercurio a bassa pressione.
L’azione della radiazione non è influenzata da parametri ambientali quali il pH o la temperatura.
Non si osservano alterazioni di sapore o odore se applicati all’acqua mentre su alcuni alimenti si possono osservare fenomeni ossidativi spinti.
L’applicazione di radiazione UV genera sottoprodotti, per esempio ozono, dei quali occorre considerare la potenziale azione alterativa sugli alimenti.
Purtroppo le caratteristiche fisiche del materiale da trattare e la scarsa penetrazione possono ridurre sensibilmente l’azione di questo agente antimicrobico, limitandone di fatto le possibilità
di applicazione in campo enologico.
Per espletare la loro azione i raggi UV devono colpire direttamente le cellule, non avendo potere di
penetrazione all’interno di matrici opache.
L’uso è quindi imitato a trattamenti superficiali, ambientali (aria) o di liquidi limpidi.
Ad oggi sono impiegati nel trattamento di acque sia utilizzate come ingredienti alimentari sia come liquido
tecnologico.
L’efficacia è dipendente dalle caratteristiche spettrali del bulbo, dal tempo di esposizione, dalla distanza dalla
fonte di radiazione e dalla presenza di sostanze protettiva.
L’applicazione al trattamento di botti, suggerita in enologia, desta notevoli perplessità.
RAGGI UV
Diversi disinfettanti chimici sono utilizzabili nell’industria alimentare. In linea generale quanto più è elevata la loro concentrazione più è alto il potere biocida.
L’attività di questi agenti chimici è però decisamente sopravalutata.
In generale disinfettanti chimici hanno un basso potere di penetrazione ed una rapida degradazione a contatto con la sostanza organica. Pertanto microrganismi che
si trovassero in fessure o fossero protetti da accumuli di sporco possono risultare resistenti al trattamento.
L’accoppiamento con un adeguato trattamento di pulizia è perciò fondamentale al fine di garantire la migliore efficacia di questi prodotti.
DISINFEZIONE CHIMICA
FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTIVITA’
DEI DISINFETTANTI
TEMPO DI ESPOSIZIONE
La morte della popolazione microbica segue in andamento geometrico. Ciò vuol dire che se il 90% della popolazione viene eliminato in un intervallo di tempo, il 90% della popolazione residua verrà eliminato applicando il trattamento solo per un secondo,
analogo intervallo.
Il tempo necessario ad un disinfettante per causare un danno ad una popolazione microbica dipende dalla concertazione di quest’ultima, dal suo stato fisiologico, dalla
possibilità di formare spore e da altri fattori fisiologici.
Il tempo di contatto e la concertazione massima ammissibile dovrebbero essere indicati dal produttore.
Per quanto riguarda la concentrazione è meglio utilizzare la massima ammissibile perché nel processo di lavaggio sono frequenti diluizioni involontarie.
TEMPERATURA
Tasso di crescita cellulare e mortalità microbica dovuta al contatto con un agente chimico, tendendo ad aumentare con la temperatura in un intervallo variabile a secondo della specie di
microrganismi e dell’agente chimico.
La velocità di azione di un disinfettante è solitamente maggiore della velocità di crescita di un microrganismo. Gli effetti cinetici dell’aumento della temperatura sono quindi solitamente
positivi.
In generale l’aumento della temperatura riduce la viscosità e la tensione superficiale, favorendo la penetrazione del disinfettante.
Esistono eccezioni per composti come gli iodofori che tendono ad evaporare già a temperature modeste (50°C). L’aumento della temperatura aumenta il potere corrosivo verso elastomeri e
guarnizioni. Un intervallo prudenziale di esercizio dovrebbe aggirarsi tra i 21 e i 35°C.
FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTIVITA’
DEI DISINFETTANTI
CONCENTRAZIONE La concertazione di un disinfettante è direttamente proporzionale al suo potere biocida.
pH. L’attività degli antimicrobici può variare nettamente al variare del pH anche in un intervallo limitato. Per esempio i composti del cloro e dello iodio perdono generalmente
efficacia all’aumentare del pH.
Grado di pulizia. L’inadeguata pulizia può ridurre l’efficacia dei composti a base di cloro, iodio e in generale dei disinfettanti ossidanti che reagiscono in maniera aspecifica con la
sostanza organica riducendo così la disponibilità di disinfettante per l’azione verso i microrganismi.
FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTIVITA’
DEI DISINFETTANTI
DUREZZA DELL’ACQUA I disinfettanti sono influenzati dalla composizione dell’acqua. In particolare la
eccessiva durezza può inattivare i disinfettanti o diminuirne l’efficacia tamponando il pH. I composti dell’ammonio quaternario sono incompatibili con sali di calcio e
magnesio e non dovrebbero essere utilizzati con acqua contenente concertazioni di calcio superiore a 200 ppm senza l’impiego di un chelante.
POPOLAZIONE MICROBICA
I disinfettanti non possiedono la stessa efficacia nei confronti di tute le tipologie di microrganismi. Le spore sono più resistenti delle forme vegetative e i batteri inclusi
in un biofilm sono più resistenti delle forme in sospensione.
FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTIVITA’
DEI DISINFETTANTI
OZONO
L'ozono è una molecola composta da tre atomi di ossigeno, agisce come un efficace ossidante e disinfettante andando ad alterare i doppi legami presenti in diverse macromolecole essenziali
alla vita cellulare con reazioni di tipo radicalico.
È un germicida ad ampio spettro di azione, con attività decisamente superiore a quella di altri agenti disinfettanti tra cui il cloro.
Essendo una molecola instabile non può essere trasportato ma deve essere prodotto in loco mediante appositi generatori che negli ultimi anni hanno visto una notevole riduzione dei costi
e delle dimensioni.
Pur degradandosi in breve tempo è un gas altamente tossico anche l'uomo e deve quindi essere trattato con cura e da personale esperto. Presenta un odore caratteristico che però va a scomparire in breve tempo senza residuare negli alimenti che con esso fossero trattati.
Può esser utilizzato come gas o iniettato in acqua. In questo caso occorre ricordarsi che l’acqua dovrà essere pulita altrimenti la sostanza organica presente andrà a degradare rapidamente l’ozono. Il migliore intervallo di pH è tra 6 e 8,5. La solubilità e funzione della temperatura.
Sta trovando diverse applicazioni tra cui il trattamento di celle frigorifere, di impianti di imbottigliamento, di vasche e contenitori, di botti e anche di prodotti vegetali o animali.
ESPERIENZA PRATICA DI SANIFICAZIONE
PIANO DEI TRATTAMENTI DI SANITIZZAZIONE
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GRAZIE
DELL’ATTENZIONE
Raffaele Guzzon
Chimica Vitienologica e Agroalimentare, Laboratorio di Microbiologia
Fondazione Edmund Mach - Istituto Agrario di San Michele all‘Adige
Via Edmund Mach 1 38121 San Michele all‘Adige (Trento) Italia
+39 3351544410