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M E T O D O RIVISTA DI ARCHITETTURA, POLITICA INTERNAZIONALE, STORIA, SCIENZE E SOCIETÀ M 32 Anno XXIX Marzo 2016 Antonio Sant’Elia – Stazione d’aeroplani e treni ferroviari con funicolari e ascensori su tre piani stradali, 1914 Autorizzazione del Tribunale di Pisa N. 13 dell’8 agosto 1988 ISSN 2531-9485

RIVISTA DI ARCHITETTURA, POLITICA INTERNAZIONALE, … · stile ciclopico, e così Licosura (Arcadia). Vanno ascritti a quella prima età anche molti tu- ... affreschi di Antonio Tempesta

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M E T O D ORIVISTA DI ARCHITETTURA, POLITICA INTERNAZIONALE, STORIA, SCIENZE E SOCIETÀ

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32Anno XXIX Marzo 2016

Antonio Sant’Elia – Stazione d’aeroplani e treni ferroviari con funicolari e ascensori su tre piani stradali, 1914

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ISSN 2531-9485

Il bisogno induceva gli uomini a mettersi al riparo dalle intemperie e dalle belve, e a pro-teggere ciò che possedevano. Secondo i luoghi geo-climatici, o sistemavano le grotte inmodo che diventassero un rudimento di abitazione, o erigevano capanne di legno e paglia,oppure padiglioni. Fino a quel momento era solo opera manuale, essa divenne arte quandogli uomini pensarono a consacrare dimore più degne in onore alla divinità. Erano semprespelonche, baracche, tende, ma più vaste ed ornate.

Creata dal sentimento e dalla necessità d’esprimere ideali religiosi ed estetici, l’architetturanon ebbe una nascita ben definita e localizzabile. Di quella, che propriamente si consideracome arte, le origini risalgono ai popoli più antichi, dal Nilo sino all’India, passando per lealture della Mesopotamia. Ma la scarsità di documenti, e soprattutto l’inesattezza della cro-nologia riguardo ad essi, non lascia determinare con precisione il progresso della scienzaarchitettonica. In genere i suoi passi sono stati tre: trogloditico, ciclopico e monumentale.

Carattere costante dell’arte primitiva è l’uniformità: solo col procedere dello sviluppocognitivo e cerebrale dell’uomo, essa acquistò molteplicità e varietà. Qualche primo accennoal senso della bellezza comparve fra i pre-ellenici Pelasgi, popolo antichissimo dei Balcanidel II mil. a.C. (probabili antenati degli Illiri, cfr. Spiro N. Konda, Albanët [shqiptarët] dheproblemi pellazgjik, in «Buletin i Universitetit shtetëror të Tiranës», Seria Shkencat shoqerore,Vol. 16, 1962.). I Pelasgi migrarono poi in Vicino Oriente, Africa ed in Italia; i suddetti ac-cenni estetici furono raccolti da essi nelle loro relazioni con Asia Minore ed Anteriore.

Appartengono ai primi tempi dell’architettura i lavori che nell’Argolide sono definitimura ciclopiche e che vanno attribuite ai Pelasgi e spesso s’incontrano in Arcadia e in Epiro.Sono di grosse pietre poligone irregolari, senza cemento, e talora neppure tagliate. Le portein parte piramidali, hanno le spalle d’un pezzo solo. Col tempo le pietre si squadrarono,non senza porre i suddetti poligoni, specie nelle fondamenta. Si ritiene i Pelasgi avesserodue stili: uno di pietre cubiche, come a Micene, e nelle città che la Bibbia chiama reali eOmero pòleis ; uno di pietre informi, per torri e fortezze, dette da Samuele rifugi, e da Omeroteichea. Caratteristici delle fortezze erano i sotterranei, per cui la leggenda fa abitare i Ciclopinelle grotte; e segno distintivo di tal genere è il tempio dei Giganti (Ġgantija) nella malteseGozo, ma costruito durante l’Età del Rame, o Neolitico finale (3500-2300 a.C.).

Le mura cingevano talvolta l’interà città, più spesso la fortezza; e il trovarne di simili inparti lontane fa credere che popoli differenti e in epoche diverse adottassero lo stesso mododi costruzione. Ciclopiche sono le mura di Tirinto in Argolide, di Gortino a Creta, di Mi-cene, ed altre, con macigni irregolari; ma tali sono anche le mura di Grande Zimbabwe inAfrica erette però dal sec. XI al XV d.C. Argo si vuole di quattrocento anni anteriore allostile ciclopico, e così Licosura (Arcadia). Vanno ascritti a quella prima età anche molti tu-muli, sepolcri, acquedotti, porti marini, attribuiti ad Ercole, Dedalo, ed altri eroi.

Quando gli Argivi cercarono di distruggere completamente le mura di Micene, dopo

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EDITORIALE

Origini e progressi dell’arte architettonica

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averla conquistata (468 a.C.), non poterono farlo per l’enormità delle pietre; e quelle di Ti-rinto destavano ammirazione quanto le piramidi d’Egitto. Le mura di Lilibeo (Marsala), in-vece, erano composte di massi tali, che non si sarebbero potuti smovere senza l’ausilo delladinamite, che a quel tempo non c’era. Per cui le armi di difesa erano superiori a quelle d’at-tacco, e ciò spiega assedî che potevano perpetuarsi per lustri. Sulla falsa riga furono eretti ipalazzi dei re, che sfoggiavano ornamenti metallici, come si legge in Omero. Parte singo-larmente notevole di essi erano i tesori, costruzioni in forma di cupole per custodire gli og-getti preziosi. Famosi i tesori di Minia, d’Atreo, di Augia e d’Irieo, costruiti, secondo il mito,da Agamede e Trifonio, gli architetti eroici figli di Ergino, re di Orcomeno, che già avevanoinnalzato il tempio di Apollo a Delfi. Il tesoro di Micene è composto di lastroni orizzontali,uniti a secco in modo da restringersi e chiudono la vòlta; può darsi fosse nell’interno rivestitodi lastre di bronzo, si notavano ancora i chiodi con cui erano affisse; e all’esterno era decoratodi mezze colonne e di tavolette di marmi colorati. Allo stesso modo si edificavano alcunecave (udoì) nei templi, e appartamenti (thálamoi) per le donne. La porta di Micene è l’operaciclopica più rifinita. Alcuni sostennero di aver trovato costruzioni ciclopiche nella parteinterna e montuosa dell’Asia verso oriente; di certo in Asia Minore. L’archeologo CiriacoPizzecolli detto anche Ciriaco d’Ancona (1391-1452) è forse il primo che le studiò. Nel 1436disegnò le mura megalitiche di Azilla nell’Epiro, luogo dove i fautori della teoria dei Pelasgireputano l’origine del flusso migratorio di quel popolo “misterioso” che giunse in Italia e sipropagò attraverso il Mediterraneo per poi sparire o confondersi con le altre etnie.

L’architettura si eleva a scienza quando si distacca dalle disposizioni di materiali informi,per innalzare monumenti regolari. Nel far ciò si riscontra un carattere comune presso popolilontani fra loro: Indiani ed Egizi, Celti ed Ebrei. Pur diversi in fatto d’arte, avevano in co-mune la posa dei sostegni verticali, e la loro unione con pietre orizzontali, di cui i primiportavano le due estremità delle seconde. La robusta costruzione si estendeva in lunghezzaper le pietre orizzontali, e offriva poca ampiezza al vano interno, a causa della presenza dicolonne, che, lungi dal figurare come ornamenti, risultavano necessarie alla struttura.

Si cercò di ovviare mediante l’arco, che voltando sopra l’architrave, dava profondità esfogo alle navate. Pare che gli Etruschi siano stati i primi a dare importanza alla vòlta, ch’èritenuta il più importante passo in avanti che l’architettura abbia mai concepito. Le primevòlte erano costituite di pietre regolari, ma senza cemento, sicché esercitando grande spintacontro i piedritti e i muri di sostegno, non potevano avere che dimensioni modeste. I Romaniadoperarono materiali più piccoli e leggeri, unendoli con cemento a presa, sicché poteronorendere più imponenti le volte, e meno spessi i muri. L’architettura greca con la quale iniziala storia dell’arte, tenne sempre presente l’insegnamento egizio riguardo alla parte esternadei templi, quella esposta al cospetto del popolo; ma variarono le proporzioni e gli accessoriin modo da creare le bellissime costruzioni che conosciamo. Nell’interno, chiuso alla massadei fedeli, fu introdotta anche la vòlta che risparmiava colonne di eccessive dimensioni.

Fonti dell’illustrazione in prima di copertina: https://commons.wikimedia.orgFonti dell’illustrazione in ultima di copertina: http://motherboard.vice.com/

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Si è ormai sedimentata nell’immaginario collettivo l’idea che la struttura di forma pen-tagonale dell’imponente sede del Dipartimento della Difesa statunitense sia unica nella suaoriginalità esclusiva mondiale. Il massiccio fortino neoclassico – un ginepraio di corridoiinterminabili e muraglie incrociate sulla superficie (600 kmq) disposta su cinque piani epari a più d’una volta e mezza il lago di Garda – campeggia sulla sponda destra del fiumePotomac, poco al di fuori dei confini della capitale Washington.

La costruzione dell’edificio, quartier generale diplomatico-militare del governo federaledell’Unione, fu avviata nel corso della II Guerra mondiale – l’11 settembre 1941 – e portataa termine a tempo da record nel gennaio del ’43, sotto la rigorosa direzione dell’architettoGeorge Bergstrom. All’epoca, un investimento complessivo di circa 80 milioni di dollari.

Il Pentagono per antonomasia, realizzato in acciaio e cemento armato per opporre re-sistenza al fuoco, è in grado di ospitare oltre quarantamila persone. Nel seminterrato, ovesono collocati magazzini e garage, ciascuna sezione è collegata a quella adiacente da doppivalichi di sicurezza dotati di porte ignifughe. Al primo piano, nonché all’interno degli archividigitali situati al livello del tetto, sono installati irroratori automatici; centinaia di tubazioni,idranti, cabine antincendio, sistemi di allarme e guardie addestrate affollano il complesso.Ovviamente, la progettazione dell’immane apparato burocratico in questione resta segreta.

I danni causati dall’11 settembre 2001 a distanza di sessant’anni esatti dalla concezionedell’opera su una parte della struttura in via di rifacimento, sono stati riparati avviando ilprogetto Phoenix. L’accesso diretto dalla stazione metropolitana al Pentagono è stato ri-mosso, inaugurando nel luglio 2002 un nuovo meccanismo, la Metro Entrance Facility. Entroil prossimo dicembre dovrebbero essere conclusi i lavori di ristrutturazione.

La colossale Army Library, evoluzione dell’ottocentesca biblioteca del Dipartimento dellaGuerra, fu completata nel 1944 radunando nella nuova destinazione il materiale di 28 col-lezioni governative conservate entro il distretto di Columbia. Si tratta della seconda biblio-teca più antica degli Stati Uniti – dopo quella del Dipartimento di Stato – e nei primi anniSessanta comprendeva oltre un milione di voci, 232mila libri, 773mila documenti e 1800abbonamenti a riviste. Visitatori al Pentagono? Fuori, out, raus! Bisogna stare alla larga:turisti e curiosi dovranno rassegnarsi a perdere un’esperienza unica nel suo genere. Vietatol’ingresso all’esclusivo palazzo pentagonale del potere interplanetario. Che disfatta, per gliItaliani in particolare – penultima ruota del carro dell’Unione europea, debitori cronici dellaBce, tassati e mazziati in patria – i fasti rinascimentali sono soltanto un ricordo.

Scusate, mi dicono adesso dalla regia che siamo in crisi ma, senza andare in là, l’America èqua. Ovvero, in Italia c’è il superbo palazzo del potere in pianta pentagonale. Non sto pro-nunciando eresia, tant’è vero che l’italico Pentagono fu commissionato dal cardinale Ales-sandro Farnese il Vecchio (1468-1549), divenuto papa Paolo III nel 1534, all’architettoAntonio da Sangallo il Giovane (1484-1546).

UTA ORAZI

Palazzo Farnese: il Pentagono italiano

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È la splendida fortezza di Caprarola – cittadina che sorge sul versante orientale dei montiCimini, in provincia di Viterbo – trasformata in villa principesca dal Vignola e conosciutaaltresì come Palazzo Farnese (1521-27; 1559-75 circa).

Capolavoro dell’arte rinascimentale, fu sede di eventi che segnarono quasi due secoli distoria. Inizialmente, la struttura munita di bastioni difensivi, ponti levatoi e fossato peri-metrale aveva l’aspetto e la funzione di una roccaforte. Il nipote di Paolo III – cardinaleanch’egli di nome Alessandro (1520-1589) – riprese i lavori affidando l’incarico a JacopoBarozzi da Vignola (1507-1573), uno fra i massimi esponenti del Manierismo: egli la reseuna sfarzosa residenza di rappresentanza. Pur conservando l’originario impianto penta-gonale, in luogo dei bastioni angolari l’architetto progettò ampie terrazze, inserendo, alcentro, un cortile tondeggiante con due porticati sovrapposti. Le volte ospitano magistraliaffreschi di Antonio Tempesta (1555-1630) – autore anche della nota Mappa di Roma(1593) nella Sala delle carte geografiche in Vaticano.

Si apportarono modifiche all’assetto urbanistico della cittadina, aprendo una strada – la

(www.didatticarte.it)

via Dritta – con finalità di raccordo prospettico, mentre l’adiacente collina fu tagliata a gra-doni e tramutata in un giardino incantato di stampo tardo-rinascimentale.

Palazzo Farnese, innalzato per celebrare la gloria del potente casato di rango europeo,si compone di cinque piani. Una mirabile scala elicoidale in peperino grigio – la Scala Regia,opera d’arte del Vignola – è sostenuta da trenta colonne doriche binate e adornata di em-blemi, paesaggi, motti e imprese; collega i sotterranei al piano dei Prelati, culminando alPiano Nobile in una cupola finemente decorata.

Diversi i saloni ricoperti per intero di affreschi. La Sala di Ercole, che illustra le fatichedell’eroe e la leggenda della creazione del lago di Vico, è arricchita da una fontana rusticain mosaico, con immancabili putti marmorei che versano acqua. Nella Cappella a piantacircolare, storie bibliche disegnano la volta e figure apostoliche si susseguono sulle pareti.Entrambe le opere, a cura di Federico Zuccari.

Seguono la Sala dei Fasti farnesiani – uno degli ambienti più sontuosi della villa, destinatoalla celebrazione del cardinale – la Sala del Concilio di Trento, la Sala degli Angeli con lacacciata di Lucifero dal paradiso e quella del Mappamondo.

Gli ultimi due piani, riservati al personale di corte – piano dei Cavalieri e degli Staffieri– non ospitano opere di rilievo artistico. Nel parco del Palazzo, lussureggianti spazi verdipreludono invece alle concezioni architettoniche del Barocco. Due ampie oasi pensili, igiardini d’Estate e d’Inverno, si trovano all’altezza del Piano Nobile a cui sono collegatedai rispettivi ponti. Al di sopra di essi si estendono suggestivi giardini all’italiana con statue,fontane, terrazze ellittiche e perfino un’elegante Palazzina dei Piaceri.

Non vi rimane che visitare l’imponente dimora Farnese, estranea alle miserie umane,impassibile dinanzi ai secoli – mentre del Pentagono d’acciaio e cemento, nella contea diArlington un giorno resterà... un gigantesco ecomostro.

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1. Le antichissime origini degli insediamentiFra i secc. II-III dC l’arrivo di grandi on-

date di migranti verso la regione di Saqiyaal-Hamra causò un importante cambia-mento demografico negli abitanti indigenidella regione dell’attuale Sahara Occiden-tale. Come risultato della successiva pre-senza romana, le tribù Sanhaja e Zenatainvasero la predetta zona portando con sé il cammello per sostituire il cavallo. Sul finiredel sec. VII e l’inizio dell’VIII arrivarono le prime spedizioni islamiche apportando cam-biamenti radicali nel corso della storia del territorio.

Nel corso del sec. XI una confederazione di tribù, i Sanhaja velati, costituirono lo StatoAlmoravide. Devoti Almoravidi – lasciato il Sahara Occidentale per recarsi a nord – con-quistarono il Marocco. Poi ci fu uno scisma: una parte di loro tornò nel deserto meridionale,mentre un’altra attraversò il Mediterraneo, invase l’Andalusia e si stabilì in Spagna, un’ul-teriore restò in Marocco, e un’altra nell’attuale Algeria. S’ebbe una grande esplosione cul-turale durante il regno, ma si persero i contatti col Paese d’origine e il loro antico modo divivere beduino.

Intorno al sec. XIV, con l’avvento nel territorio del Sahara Occidentale dei Banū Hilāl edei Banī Ḥasan, rami di antiche tribù provenienti dal sud-ovest della Penisola Arabica, ebbeinizio la fusione con il gruppo berbero dei Sanhaja che diede vita al futuro popolo di linguahassaniya e scrittura simile all’arabo classico: i Saharawi. In epoca precoloniale, la popola-zione sahariana si strutturò in diverse frazioni, le qabīla, di cui la più numerosa costituitadai guerrieri Erguibat, dislocati geograficamente fra il Río de Oro e la frontiera mauritana.Presero il nome da Sidahamed Erguibi, un discendente del Profeta Muḥammad giunto neldeserto nel 1503, così come altre tribù vantavano l’appartenenza alla stessa stirpe: la qabīlaToubalt, custode di antichi testi scritti delle tribù Arosien e Filala, entrambe di grande pre-stigio religioso e situate nelle zone intermedie e costiere.

A queste si aggiungevano Ulad Delim, guerrieri di lignaggio puro delle tribù Banī Ḥasane Ulad Bu Sba, altre qabīla guerriere giunte nel deserto dopo essersi ribellata nel 1672 alsultano marocchino. Nella regione vi erano inoltre varie frazioni berbere con legami di pa-rentela e origini comuni, come Izarguien e Ahel Berikallah. Contraddistinte dalla ricercad’indipendenza durante i secoli, queste genti fondarono la loro unità sociale sulla famiglia,attribuendone l’autorità ad un anziano e onorevole capo lignaggio, incaricato di arbitrarele dispute sotto la supervisione della al-ǧamā‘a, un’assemblea con la funzione di coordinarele tribù e dirigerle in caso di aggressioni esterne.

Il territorio a nord della provincia è il Saqiya al-Hamra, attraversato da un fiume che tra-

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FLORA LILIANA MENICOCCI

Repubblica Araba Saharawi Democratica: un popolo dietro sei muri

sporta sabbie rosse, zona ricca del fosfato concentrato nei giacimenti di Bu-Craa, oltre allaprobabile presenza di gas e petrolio; a sud il Río de Oro possiede invece zone costiere frale più pescose al mondo, un ampio e variegato banco di pesci, molluschi e crostacei. Riserved’acqua nel sottosuolo e pozzi sono situati al centro-ovest: oltre alle dune ed una pianuraalluvionale con alcune depressioni fertili e riserve saline, qui il paesaggio è dominato dalloHammāda, un esteso e brullo altopiano desertico; principale fonte di benessere del popolosaharawi è l’allevamento del dromedario, assieme a capre o pecore.

Nel Quattrocento, in seguito alla conquista spagnola delle isole Canarie, iniziarono leprime ricerche d’oro e schiavi nelle coste del Sahara. Come abbiamo visto gli antenati direttidi coloro che oggi sono i Saharawi erano perlopiù le tribù dello Yemen. Nel sec. XIV per-corsero l’Africa Settentrionale e, infine, si stabilironi nella regione di Saqiya al-Hamra, espan-dendosi verso sud, principalmente ad Adrar e Tiris-Zenmour (oggi entrambe in Mauritania),dove proclamarono la loro egemonia assoluta. In questo momento, il commercio trans-sa-hariano acquisì la sua pienezza; v’erano due canali: la via costiera del deserto e il transitoper il. Oltre a questo fondamentale commercio, i Saharawi svilupparono l’allevamento delbestiame, sfruttarono le ricche coste saline e praticarono agricoltura e artigianato.

Nei primi anni del sec. XV la corona di Castiglia incorporò le isole Canarie. Da questomomento tutta l’attività successiva della Spagna in Africa cercherà di proteggere il nuovopossedimento, che forniva una base importante come porta di navigazione verso sud, non-ché per la conquista dell’America.

Durante il Siglo de Oro (dai primi del Cinquecento a tutto il Seicento), nel 1583, il sultanomarocchino Abū l-‘Abbās Aḥmad al-Manṣūr (1549-78-1603), della dinastia Sadiana, cercòd’invadere il territorio. La motivazione era economica: il desiderio di sale insieme all’acquistodi oro e argento. I Saharawi respinsero naturale nella regione di al-Farciya, e il sultano deviòpassando per Tindūf (oggi Algeria). Nel sec. XVII, le spedizioni olandesi occuparono Ríode Oro, lasciando la regione agli inglesi nel 1665, infine, passò in mano francese nel 1727.

In una lettera datata 30 maggio 1767 e indirizzata al re di Spagna, Carlo III (17165-88)1,dal sultano marocchino Muḥammad aṯ-Ṯaliṯ bin ‘Abd Allāh al-Ḫaṭīb formalmente egli nonriconosceva alcun potere o autorità a sud del fiume Nun (oggi in Nigeria). Nel corso delsec. XVIII Saqiya al-Hamra divenne nota come la Terra dei Santi, un centro di apprendi-mento e misticismo che attirò molti fedeli musulmani in cerca di conoscenze profonde.

Più tardi, in un accordo firmato con la Spagna il 1° marzo 1799, il sultano del MaroccoMūlāy Sulaymān (1760-92-1822) riconobbe di non avere alcuna autorità o potere su Saqiyaal-Hamra. Il successore Mūlāy ‘Abd al-Raḥmān (1788-1822-58) fece la stessa affermazionein un accordo firmato il 9 settembre 1856.

In tale avvenimenti si formò il carattere del popolo dei Saharawi. A causa delle basse eirregolari precipitazioni, la regione era abitata solo da tribù nomadi. La propria fede era edè l’islamica, la legge è basata sui precetti e i costumi e dell Corano. Etnicamente e cultural-mente si distinguevano dalle popolazioni situate intorno a loro; si spostavano con le lorogreggi attraverso il deserto in una delle vie più o meno regolari, stabilite da stazioni, pozzio fonti. Non conoscevano confini o frontiere.

La società dei Saharawi – letteralmente originari del deserto – come molte altre in Africa, a

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quel tempo, era tribale, ma aveva alcunecaratteristiche specifiche. Era governatadall’Assemblea dei Quaranta, Ait Arbein,ognuno dei quali rappresentava una delletribù sahariane. Ogni tribù era divisa insotto-tribù.

Fino alla metà del sec. XIX, la terra sa-harawi, ad eccezione di sporadici tentativifalliti d’occupazione, era completamentepriva di presenza straniera. I rapporti conla Spagna si erano limitati perlopiù a que-stioni di pesca. L’interesse spagnolo nelterritorio fu determinato principalmentedal desiderio di proteggere le isole Cana-rie, nonostante le relazioni amichevoli egli scambi tra i Saharawi e gli eredi deiGuanci (Canariensi) del sec. XV.

2. L’inizio del colonialismo spagnoloNel novembre 1884, in coincidenza con l’inizio della Conferenza di Berlino (infra) una

spedizione guidata dal tenente di origine italiana, Emilio Bonelli Hernando (1855-1926), anome del governo della Spagna e come rappresentante della Sociedad Española de Africanistasy Colonistas prese possesso della piccola penisola di Río de Oro, costruendo sulla riva orien-tale una capanna di legno come primo stabilimento spagnolo, e battezzò la nuova posizionecon il nome di Villa Cisneros (dal 1975: al-Dāḫila).

Durante i primi mesi, lo stabilimentoiniziò a fare funzioni di stazione com-merciale diretto dalla Compañía MercantilHispano-Africana che agiva in monopolioconcesso dallo Stato, con il brigantinoInés, ancorato nella baia, quale magazzinoe deposito di merci. Al contempo inizia-rono i lavori di costruzione per un edifi-cio in muratura onde proteggere lostabilimento. Si ebbe solo personale ci-vile in quei primi tempi di contatti com-merciali con gli abitanti del deserto.

Tuttavia, nei primi mesi del 1885 lostabilimento fu attaccato dai Saharawi:due spagnoli risultarono uccisi, nonchedistrutti la capanna e l’edificio in costru-zione. Alla luce di questi sviluppi, le au-

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Il primo approdo spagnolo nelle coste del Sahara (1884)(«Scottish Geographical Magazine», Royal Scottish Geographical Society,

Volume I, Perth, 1885)

Situazione di Villa Cisneros (oggi al-Dāḫila) nella penisola di Río de Oro.In rosso, la linea dei fortini

(Luis Blanco Vázquez, cit. in nota 22, p. 162)

torità spagnole decisero d’inviare a metà anno un distaccamento militare formato dal IXGruppo Artiglieria di stanza a Tenerife e Gran Canaria, per proteggere l’attività dello sta-bilimento e la costruzione di un nuovo forte della Compañía Hispano-Africana. Inoltre, Ríode Oro passò a dipendere dal Ministero dell’Oltremare, e Bonelli fu nominato CommissarioRegio della Costa Occidentale d’Africa (autorità civile e militare del nuovo territorio). Edè proprio da allora che si ebbero i primi resoconti sulla zona: Bonelli elaborò una mappaterritoriale delle localizzazioni tribali, dislocando piccole imprese in vari punti del litoraleed alcuni fortini.

Gli spagnoli in seguito proclamarono il protettorato di Río de Oro (26 febbraio-10 luglio1885: da Capo Blanco a sud a Capo Bojador a nord) e – rivaleggiando col sultano del Ma-rocco – posero sotto il proprio controllo Saqiya al-Hamra, ossia le coste africane compresefra Capo Bojador a sud e a nord Capo Juby. Sino a quel momento erano stati sottoscrittisolo patti di amicizia con i nativi i quali accettarono la presenza iberica nel territorio. Nel1884-85, la Conferenza di Berlino sul Congo stabilì le regole per le potenze europee in me-rito alle coste africane e non per l’entroterra che si discusse negli anni successivi. E standoal Capitolo VI (Declaration relative to the essential conditions to be observed in order that new occupationson the coasts of the African continent may be held to be effective) gli Artt. XXXIV e XXXV del re-lativo trattato là concluso il 26 febbraio 18852, asseverarono nei princìpi l’occupazione spa-gnola dell’anno prima. Nel 1886, i negoziati cominciarono a definire i confini tra i possessifrancesi e spagnoli. Alla fine del sec. XIX, il capo politico-religioso, lo sceicco Mā’ al-‘AinainMuḥammad al-Muṣṭafā ibn Muḥammad Fādil al-Qalqamī aš-Šinqīṭī (1831-1910), fondò lacittà santa di as-Samāra, recandosi a vivere colà, centro spirituale e politico saharawi.

3. Il ventesimo secoloA inizio secolo la Francia era la potenza dominante in Africa nord-occidentale – già lì

nel 1830 in Algeria – prendendo posssesso della Mauritania a principio del Novecento.Essa cercò di conquistare il territorio sahariano in quanto la Spagna era incapace di imporrela propria colonizzazione, ma i Saharawi replicarono attaccando la guarnigione francese diTiyigya in territorio mauritano il 2 maggio 1905, alle 21:00. Nel marzo 1905 una delegazionedi capi tribali saharawi giunse a Las Palmas per negoziare con la Corona spagnola.

I confini del Sahara Occidentale furono regolati da: Trattato di Parigi del 27 giugno 1900;Convenzione di Parigi il 3 ottobre 1904; Convenzione di Madrid del 27 novembre 1912, itre fra Spagna e Francia, e sanzionarono le frontiere fra i possedimenti spagnoli e francesiin Africa occidentale; ma in realtà la Francia si approfittò della debolezza economica e mi-litare spagnola di quel tempo, per sottrarre terra ai territori africani di Madrid.

Contro il comune disegno imperialistico di Spagna e Francia sulle rispettive aree d’in-fluenza nella fascia desertica all’altezza del Tropico del Cancro, sorse il movimento antico-loniale saharawi. V’era una forte resistenza antifrancese, e i Saharawi corsero in aiuto deiloro vicini marocchini, guidati da Aḥmed al-Hiba, il Sultano Blu (1876-1919), figlio dellosceicco Mā’ al-‘Ainain; tra il marzo e il settembre 1908 si ebbero 125 scontri tra le truppefrancesi e la resistenza saharawi.

In risposta alla devastazione di as-Samāra, avvenuta per mano francese nel 1913 e alla

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dispersione dell’originario patrimonio culturale ad opera degli spagnoli, si sollevarono letribù guerriere Ulad Delim ed Erguibat: le ostilità si conclusero però nel 1934 con la lorosottomissione al governo di Madrid che occupò totalmente i territori, ed il successivo in-sediamento di un’amministrazione che attribuì stato civile e documenti d’identità alla po-polazione; dopo di che si cominciò a utilizzare la denominazione Sahara spagnolo. Questofortificò il sentimento d’appartenenza al Sahara Spagnolo, segnando il declino della strutturatribale indigena e la disgregazione delle varie al-ǧamā‘a, assorbite da un’Assemblea Generaledel Sahara creata dal governo spagnolo quando fu stabilito che la colonia divenisse unaprovincia spagnola (10 gennaio 1958). L’occupazione effettiva di tutto il territorio del Saharaoccidentale da parte dell’amministrazione spagnola era avvenuta totalmente nel 1936, anchese la Spagna era ormai già da oltre mezzo nella regione.

Finita la II Guerra Mondiale l’Assemblea Generale dell’ONU con Ris. 66-I del 14 di-cembre 19463, stabilì un elenco di 74 territori non autonomi, amministrati da otto Paesi:Australia, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Paesi Bassi e StatiUniti d’America; mancavano Portogallo e Spagna, e questi ultimi furono ammessi il 14 di-cembre 1955, assieme ad altri quattordici Stati4. Per cui il 24 febbraio 19565, il SegretarioGenerale, Dag Hammarskjöld (1905-61, SG: 1953-61), domandò ai sedici nuovi membrise amministrassero territori non autonomi: la Spagna non rispose; però nel novembre 1958replicava di non possedere territori non autonomi, in quanto considerava i suoi territori inAfrica come province6. Quando l’8 novembre 1960 l’India – a nome proprio e di Afgha-nistan, Birmania (oggi Myanmar), Ceylon (oggi Srī Lanka), Ghana, Guinea, Nepal e Nigeria– propose un progetto di risoluzione7 inteso a considerare le amministrazioni oltremarineportoghesi e spagnole come territori non autonomi, Madrid assunse un’attitudine conci-liante, assicurando che avrebbe fornito informazioni sui territori spagnoli «qu’ils soient si-tués dans la péninsule ou outremer»8, per cui il gruppo degli otto accettò di togliere dalprogetto di risoluzione9 , ogni riferimento ai seguenti territori spagnoli: Ifni (oggi in Ma-rocco), Sahara Occidentale, Fernando Poo e Río Muni (oggi Guinea Equatoriale). Fu unsuccesso per la diplomazia spagnola, mirato a guadagnare tempo.

Intanto la cooperazione tra Francia, Spagna e Marocco (indipendente dal 1956) si con-cluse in quell’anno. I combattenti saharawi, che avevano sostenuto e sostenevano maroc-chini, mauritani e algerini nelle lotte di liberazione contro la Francia, chiesero aiuto peremanciparsi dal giogo spagnolo ancora permesso dall’ONU. I marocchini fecero orecchioda mercante, e la Spagna, per compenso, cedé al Marocco nel 1958 l’attuale provincia diTarfaya, abitata da saharawi (Capo Juby), che era iberica stando alla Convenzione del 1912.

Nel 1963 il Comitato speciale per la decolonizzazione includeva le “province” spagnolenella lista preliminare delle regioni del mondo che dovevano raggiuntere l’indipendenza frai «territori non autonomi per i quali vengono comunicate informazioni dalle potenze inte-ressate»10. Però l’AG il 16 dicembre 1965 approvò la Ris. 2072 che:

Urgently requests the Government of Spain, as the administering Power, to take immediatelyall necessary measures for the liberation of the Territories of Ifni [poi annesso dal Marocco nel 1969]and Spanish Sahara from colonial domination and, to this end, to enter into negotiations on theproblems relating to sovereignty presented by these two Territories11.

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Fino agli anni Sessanta i territori furono affidati ad un prefetto e alcune unità militari esi cercò la collaborazione dei Saharawi per lo sfruttamento dei giacimenti di fosfato, at-tuando varie riforme. Lo spirito d’indipendenza saharawi non si era comunque estinto: il17 giugno 1970, si manifestò apertamente, e il movimento di liberazione del Sahara sottola guida di Mohamed Sidi Brahim Basir (n. 1942, scomparso nel 1970), fu soffocato inbreve tempo da una sanguinosa repressione. I Sahrawi decisero di prendere le armi e com-battere. Il 5-10 maggio 1973, si celebrò il Congresso Costituente del Frente Popular de Libe-ración de Saguía el Hamra y Río de Oro (POLISARIO)12 e diretto da al-Wālī Muṣṭafā Sayyid(1948-76). Fra l’aprile e il giugno 1975, una Visiting Mission delle Nazioni Unite raggiunseil territorio saharawi, le popolazioni misero al corrente i componenti della Commissioneche v’era pericolo d’invasione da parte di Marocco e Mauritania: «The Mission noted thatalmost everyone it encountered within the territory was categorically for independence andagainst the territorial claims of Morocco and Mauritania»13. Oltre al fatto che «El FrentePOLISARIO, pese a haber sido considerado un movimiento clandestino hasta la llegadade la Misión, parecía ser la fuerza política dominante en el Territorio. La Misión fue testigode manifestaciones masivas de apoyo al movimiento en todo el Territorio»14. Singolare chequesto passo espresso nel rapporto della Visiting Mission fu omesso nell’annuario delle Na-zioni Unite del 1975, sicuramente per non urtare la suscettibilità di Rabat e Nouakchott.

Sempre nel 1975, in coincidenza con il processo di transizione spagnola che ebbe iniziocon la morte del reggente spagnolo Francisco Franco (1892-1939-75), il governo di Madridconsegnò la propria amministrazione a Marocco e Mauritania. Il 31 ottobre si scatenaronobattaglie tra l’Ejército de Liberación Popular Saharaui e le forze armate marocchine. Il 6 no-vembre 1975 prese il via la Marcia Verde (infra) da parte del Marocco. La Mauritania, a suavolta, mandò il proprio esercito dal sud in un piano organizzato col Marocco per dividersireciprocamente il territorio. In tal modo iniziò l’invasione e la fuga di massa di civili saharawiattaccati col napalm e il fosforo bianco da parte dell’aviazione marocchina. In seguito, il 5agosto 1979 la Mauritania rinunciò alle sue pretese sul territorio e firmò di un accordo dipace con il Fronte POLISARIO e più tardi riconobbe la RASD (infra). Il POLISARIO fu

appoggiato da organizzazioni spa-gnole antifranchiste e sostenutodalla vicina Mauritania, e rivendicòl’indipendenza completa del SaharaOccidentale. A quel punto dovettedifendersi anche dalle aggressionidell’ambizioso Ḥassan II (1929-61-99), determinato ad annettere i ter-ritori sahariani nel progetto delGrande Marocco, assieme alla totalitàdella Mauritania, buona parte delterritorio algerino e le regioni nord-occidentali del Mali.

Nel 1975 una moltitudine di ma-

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rocchini (circa 350mila) oltrepassò la frontiera meridionale, ciascuno armato di Corano ebandiera verde: una plateale dimostrazione di superiorità che incentivò la rinuncia spagnolaal Sahara la cui posizione africana era degradata al punto tale che la guardia personale delcapo di Stato della Guinea Equatoriale – a cui «[n]el 1968 [la Spagna] accordò precipitosa-mente l’indipendenza»15 – era composta da soldati marocchini piuttosto che da spagnoli.

Nel frattempo, l’AG delle Nazioni Unite aveva sollecitato con varie risoluzioni il governodi Madrid affinché giungesse alla liberazione del territorio: nel 1974 Madrid informò il Se-gretario Generale dell’Onu, Kurt Waldheim (1918-2007, SG: 1972-1981; pr. austr.: 1986-92) dell’intenzione di tenere un referendum nel primo semestre del 1975 perl’autodeterminazione del popolo saharawi secondo i termini della Ris. 3162 (XXVIII) del14 dicembre 197316. Fu dunque indetto un censimento nel 1974 che individuò 73.497 sa-harawi, 20.126 europei e 1.396 di altri Paesi africani17.Ḥassan II minacciò di ricorrere alle armi se la Spagna avesse proseguito nell’intento,

quindi nonostante l’impegno preso, nell’ottobre del 1975 – penultimo mese di vita del cau-dillo Franco – in seguito alla predetta Marcia Verde il ministro spagnolo José Solís Ruiz (1913-90) consegnò, come abbiamo visto, il Sahara Occidentale nelle mani di Marocco eMauritania (accordo tripartito del 14 novembre 1975). Con la ritirata spagnola dal territorio,il 27 febbraio 1976 fu proclamata dal Fronte POLISARIO – che allora beneficiava in se-greto del sostegno militare della Libia e palese dell’Algeria (che irradiava in arabo e spagnolol’emittente radio del POLISARIO), la Repubblica Araba Saharawi Democratica (RepúblicaÁrabe Saharaui Democrática, RASD; al-Ǧumhūriyya al-‘Arabiyya as-Sahrāwiyya ad-Dīmuqrātiyya),con presupposti fondamenti territoriali gli ex spagnoli: Sahara, annesso nel 1976 dal Ma-rocco e costituente le province di Boujdour, La’youn ed Es-Semara; e Río de Oro, annessosempre dal Marocco nel 1979 (già amministrato dalla rinunciante Mauritania col nome diTiris al Garbya) e costituente la provincia marocchina di Oued-Eddahab. La RASD fu ri-conosciuta il 22 febbraio 1982 come cinquantunesimo membro dall’Organizzazione del-l’Unità Africana (dal 2002 Unione Africana) con 26 voti su 50, e da numerosi Stati nonsolo del Continente nero (infra).

La Mauritania aveva abbandonato stremata la contesa nel 1979, mentre il Marocco – ap-poggiato da Stati Uniti e Francia – perseverò nell’occupazione, noncurante della grave crisieconomica interna provocata dalla stessa guerra contro il Fronte, e perfino degli squilibrisociopolitici che avevano visto susseguirsi dai primi anni Settanta una minacciosa serie ditentati colpi di Stato militari, brogli elettorali e violenze culminate nell’assassinio del Co-mandante Supremo delle Forze Armate marocchine, Aḥmed Dlimi (1931-83).

Dal 1981 al 1986 furono costruiti nel Sahara Occidentale sei muri, estesi per 2.800 chi-lometri, all’ombra dei quali Ḥassan II fece insediare una nuova ondata di coloni marocchini– oltre 200mila – deportando allo stesso tempo migliaia di giovani saharawi. Nel 1991 sicostituì la Missione delle Nazioni Unite per l’Organizzazione di un Referendum nel SaharaOccidentale (Ris. CdS 690 del 29 aprile: Mission des Nations Unies pour l’Organisation d’un Ré-férendum au Sahara Occidental, MINURSO), con il compito di compilare le liste elettorali se-condo l’originario censimento spagnolo.

L’ex Segretario di Stato americano James Baker (n. 1930) fu incaricato di riconciliare le

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parti in causa, e il 14-16 settembre 1997 si giunse alla firma degli Accordi di Houston circail criterio di identificazione dei votanti, il rilascio dei prigionieri ed il ritiro delle truppe, fis-sando il referendum al luglio del 2000. In realtà, come vedremo meglio, le negoziazioni in-ternazionali per un piano di pace su cui fondare il referendum sono ancora in corso, poichéil governo di Rabat continua ad esercitare pressioni, indicando stime numericamente su-periori ai votanti riconosciuti dalla RASD. Il rimpatrio dei rifugiati si trova nelle mani del-l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, le cui valutazioni indicavano nel 1998 circa105mila saharawi nella zona desertica di Tindūf, altri 10mila rifugiati in Mauritania e 5milain altri Paesi. Nei mesi di novembre (7-12, 29-30) e dicembre (1-2) 1998, il Segretario Ge-nerale delle Nazioni Unite, Kofi Annan (n. 1938, SG: 1997-2007), si recò in visita nel SaharaOccidentale18. Il Fronte accettò il pacchetto di misure presentato dal SG in funzione delreferendum. Nel frattempo la Commissione preposta aveva concluso il 2 settembre il pro-cesso di identificazione degli elettori, individuando un totale di 147.350 persone da sotto-porre a valutazione19. La situazione però si aggravò per il fatto che il Marocco sostenevaesserci oltre 50mila (presunti) saharawi; ma essi però non appartenevano alle famiglie re-gistrate dal referendum spagnolo del 1974, ossia i gruppi H41, H61 e J51/52, dati controi quali si opponeva il POLISARIO20.

L’identificazione dei richiedenti individuali dalle tre anzidette tribù, ebbe comunqueinizio il 15 giugno 1999, e fu completato dalla MINURSO il 30 dicembre, analizzando la

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(fr.academic.ru)

posizione di 51.220 persone. Ciò portava il numero dei candidati analizzati dal principiodell’identificazione iniziato nel 1994, a un totale di 198.469 persone. La fase successiva fuvarata dalla Commissione il 17 gennaio 2000, quando la seconda parte dell’elenco provvi-sorio dei richiedenti il voto era stata comunicata dal Rappresentante Speciale per le dueparti, William Lester Eagleton (1926-2011). Il documento conteneva i nomi di 2.135 can-didati su 51.220 delle tre tribù. Assieme ai già 84.251 richiedenti ammissibili (selezionati da

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Aargub

Tagarzimat

MOROCCO

ALG

ERIA

MAURITANIA

MAURITANIAWestern Sahara

Zag

Tiznit

Agadir

Tan-Tan

Tarfaya

Hawza

BoucraaBoujdour

Las Palmas

Guelta Zemmur

Chalwa

BaggariAd Dakhla

Dougaj

ZugTichlaBir Gandouz

Guerguerat

La Guera

NouadhibouBou Lanuar

Bir Mogrein

Zouérate

Choum

Atar

Bentili

Al Farcia

Sidi Ifni

Goulimine

Aargub

Imlily

Bir Anzarane

Tagarzimat

Zbayra

Aridal

As-Sakn

Al Ga’daJdiriya

Santa Cruz de Tenerife

Lanzarote

Fuerteventura

Gran Canaria

Tenerife

La Palma

Gomera

Hierro

CANARY ISLANDS

Oued Drâa

Oue

d Al

Kha

tt

ATLANTIC OCEAN

SubkhatDoumasSubkhat

Tidsit

Sebkha deChinchane

Subkhat Tah

SubkhatAghzoumal

Sebkhet Oumm edDrous Telli

SubkhatTanwakka

SebkhetIjill

16o 14o 12o 10o

10o 12o 14o 16o

20o

22o

24o

26o

28o

30o 30o

26o

24o

22o

20o

8o

8o

Liaison office

Medical unit

UN team site

Berm

0

0

50 100 150 200 km

50 100 mi

Paved road

The boundaries and names shown and the designations used on this map do not imply official endorsement or acceptance by the United Nations.

Department of Field SupportGeospatial Information Section (formerly Cartographic Section)

M I N U R S OApril 2016

Map No. 3691 Rev. 80 UNITED NATIONSApril 2016 (Colour)

Laayoune

TindoufMahbas

Bir LahlouTifaritiMehaires

Oum Dreyga

AwsardAgwanit

Mijek

Smara

HQ MINURSO

LO

LO

BANGLADESHLO

quelli dei 147mila delle tribù saha-rawi diverse dalle H41, H61 eJ51/52), il numero degli aventi di-ritto al voto nel referendum era di86.386 elettori21; un conteggio checorrispondeva strettamente e pro-porzionalmente, trascorsi ormaiventisei anni, al censimento spa-gnolo del 1974. A quel punto, il Ma-rocco, visto che il proprio pianod’inserire cittadini marocchini ca-muffati da saharawi – per avere lameglio nel referendum – era fallito,da allora ha rinviato sine die la con-sultazione.

In seguito gran parte dei Saha-rawi scappò dal Sahara Occidentaledurante l’occupazione marocchina,per andare a rifugiarsi nei campiprofughi allestiti dal Fronte, le ten-dopoli dello Hammāda su cui sorgeTindūf, e dove si estende per moltichilometri l’ultima base militare al-gerina. Si tratta in realtà del confinetra RASD e Algeria, poco distantedal centro direzionale di Rabuni:una zona completamente desertica,spazzata da impietosi venti di sci-rocco in cui le sporadiche precipi-tazioni danno luogo ai widyān, fiumiche evaporano in breve tempo ovengono rapidamente assorbiti dalterreno. In queste sfavorevoli con-dizioni ambientali sono stutturati icampi profughi, dislocati in un rag-gio di circa un centinaio di chilome-tri: le necessità primarie sonosoddisfatte dal governo, che rifor-nisce in egual misura ogni famiglia,

distribuendo i beni provenienti perlopiù dagli aiuti umanitari.La RASD de nomine estesa sull’intero Sahara Occidentale, dal momento della sua creazione

ad oggi ha acquisito il riconoscimento internazionale o attestazioni di solidarietà della mag-

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PAESI CHE HANNO RELAZIONI DIPLOMATICHE CON LA RASDO SOSTENGONO IL SUO DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE

Algeria (6.3.1976); Angola (11.3.1976); Argentina (5.10.2004); Ar-menia (13.10.2006); Austria (21.2.2014); Bahama (13.10.2006); Bel-gio (30.1.2010); Belize (18.11.1976); Benin (11.3.1976-21.3.1997,4.2.2015); Bolivia (14.12.1982); Bosnia-Erzegovina (20.9.2012);Botswana (14.5.1980); Brasile (5.10.2004); Capo Verde (4.7.1979-27.7.2007, 6.2.2012); Ciad (4.7.1980-9.5.1997, 17.7.2007); Cile(5.10.2004); Cipro (16.9.2010); Colombia (27.2.1985-dicembre2000, 5.10.2004); Rep del Congo (Brazzaville) (3.6.1978-13.9.1996,7.10.2010); Rep. Pop. Dem. della Corea (16.3.1976); Costa Rica(30.10.1980-22.4.2000, 28.5.2000); Costa d’Avorio (13.10.2006);Croazia (13.10.2006); Cuba (20.1.1980); Danimarca (13.10.2006);Rep. Dominicana (24.6.1986-23.5.2002, 5.10.2004); Ecuador(14.11.1983-18.6.2004, 8.2.2006); El Salvador (31.7.1989-aprile1997, 6.6.2009); Estonia (13.10.2006); Etiopia (24.2.1979); Figi(13.10.2006); Finlandia (13.10.2006); Georgia (13.10.2006); Ger-mania (13.10.2006); Ghana (24.8.1979); Giamaica (4.9.1979); GranBretagna (2.4.2008); Grecia (13.10.2006); Guatemala (5.10.2004);Guinea-Bissau (15.3.1976-marzo 1997, 26.5.2009-30.3.2010,16.12.2010); Guyana (1.9.1979); Honduras (11.11.1989); Iran(27.2.1980); Irlanda (7.2.2010); Islanda (13.10.2006); Italia(13.10.2006); Kenya (25.6.2005-20.7.2006, 6.1.2014); Laos(7.5.1979); Lesotho (9.10.1979); Lettonia (13.10.2006); Liberia(31.7.1985-5.9.1997, 30.10.2012 o prima); Libia (15.4.1980); Lie-chtenstein (13.10.2006); Malawi (16.11.1994-5.1.2003, 2.2.2008-16.9.2008, 15.2.2012); Mali (4.7.1980); Mauritania (27.2.1984);Maurizio (1.7.1982-17.1.2014, 23.11.2015); Messico (8.9.1979);Mozambico (13.3.1976); Myanmar [Birmania] (13.10.2006); Na-mibia (11.6.1990); Nicaragua (6.9.1979-21.7.2000, 12.1.2007); Ni-geria (11.11.1984); Norvegia (14.11.2006); Nuova Zelanda(13.10.2006); Ossezia Meridionale (26.9.2010); Paesi Bassi(13.10.2006); Panamà (23.6.1978-20.11.2013, 7.1.2016); Perù(16.8.1984-9.9.1996, 5.10.2004); Polonia (13.10.2006); Portogallo(1.3.2011); Romania (13.10.2006); Ruanda (1.4.1976); Russia(25.6.2013); Salomone (12.8.1981-gennaio 1989, 13.10.2006);Sierra Leone (27.3.1980-16.7.2003, 20.6.2011); Siria (15.4.1980);Slovacchia (15.4.2007); Slovenia (20.4.2013); Spagna (15.2.2012);Sudafrica (15.9.2004); Sudan Meridionale (9.7.2011); Svezia(11.9.2011); Svizzera (13.10.2006); Tanzania (9.11.1978); TimorOrientale (20.5.2002); Trinidad e Tobago (1.11.1986); Tunisia(17.5.2013); Uganda (6.9.1979); Ungheria (13.10.2006); Uruguay(26.12.2005); Vanuatu (27.11.1980-24.11.2000, 9.8.2008); Vene-zuela (3.8.1982); Vietnam (2.3.1979); Zambia (12.10.1979-29.5.2011, 21.11.2012); Zimbabwe (3.7.1980)

Fonti: www.rasd-state.ws/reconocimientos_rasd.htm; https://de.wikipedia.org/wiki/Internationale_Anerkennung _der_Demo-kratischen_Arabischen_Republik_Sahara; https:// en.wikipedia.org/wiki/Foreign_ relations_ of_the_Sahrawi_Arab_Democra-tic_Republic; www.arso.org/03-2.htm; www.un.org/press/en/2006/gaspd348.doc.htm

gioranza degli Stati africani, ri-conoscimento negato da Fran-cia e Stati Uniti, e nonammesso da alcun paese dellaComunità Europea. Molti de-putati del Parlamento Europeoe di molti Paesi extraeuropei,appoggiano il diritto all’autode-terminazione del popolo saha-rawi, condannando la vio -lazione dei diritti umani perpe-trata dal Marocco, le cui pretesed’annessione furono giudicateprive di legittimità dalla CorteInternazionale di Giustiziadell’Aia, il 16 ottobre 1975, laquale stabilì né si trattasse il Sa-hara Occidentale di terra nullius,né sussistesse alcuna sovranitàdi Marocco e Mauritania, e che quindi si sarebbe dovuto proseguire il processo di decolo-nizzazione per portare a compimento il diritto di autodeterminazione del popolo sahrawi22.Appare però improbabile che il CdS dell’ONU, unico garante internazionale in zona dal1991, raggiunga l’unanimità indispensabile al riconoscimento della RASD: dal 18 settembre1998 al al 28 aprile 2015 ben 43 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza hanno prorogato ilmandato della MINURSO senza otterere esiti concreti.

Attualmente la RASD controlla il 20-25% dell’originale territorio ex spagnolo di 266milachilometri quadrati. Nel corso della propriastoria la RASD ha ottenuto il riconosci-mento diplomatico di 84 Stati. Però, sia peril venir meno del bipolarismo Stati Uniti-Unione Sovietica che per l’àlacre attività di-plomatica marocchina, alcuni Paesi hannosuccessivamente ritirato il riconoscimento.Per quanto riguarda, invece, il Continenteafricano: su 53 Stati (non compreso, natu-ralmente, il Marocco), riscuote il riconosci-mento o la solidarietà di 31 Paesi; Rabat èriuscita a convincere di far cessare le rela-zioni diplomatiche con la RASD a: BurkinaFaso, Burundi, Guinea Equatoriale, Mada-gascar, São Tomé e Príncipe, Seicelle, Swa-ziland e Togo.

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PAESI CHE HANNO RITIRATO IL RICONOSCIMENTO ALLA RASD

Afghanistan (26.5.1979-11.7.2002); Albania (29.12.1987-11.11.2004); An-tigua e Barbuda (27.2.1987-16.8.2010); Barbados (27.2.1988-13.2.2013);Burkina Faso (4.3.1984-54.6.1996); Burundi (1.3.1976-5.5.2006,16.6.2008-25.10.2010); Cambogia (10.4.1979-4.8.2006); Dominica(1.9.1979-22.7.2010); Grenada (20.8.1979-16.8.2010); Guinea Equatoriale(3.11.1978-maggio 1980); Haiti (22.11.2006-2.10.2013); India (1.10.1985-26.6.2000); Jugoslavia (28.11.1984-4.1.2003, poi Serbia-Montenegro:4.1.2003-28.10.2004); Kiribati (12.8.1981-15.9.2000); Madagascar(28.2.1976-4.7.2005); Nauru (12.8.1981-15.9.2000); Papua Nuova Guinea(12.8.1981-2.4.2011); Paraguay (9.2.2000-25.7.2000, 11.8.2008-4.1.2014);Sain Kitts e Nevis (26.2.1987-16.8.2010); Saint Lucia (1.9.1979-16.8.2010); Saint Vincent e Grenadine (14.2.2002-15.2.2013); São Tomée Príncipe (22.6.1978-23.10.1996); Seicelle (25.10.1977-17.3.2008); Suri-name (11.8.1982-9.3.2016); Swaziland (28.4.1980-4.8.1997); Togo(7.3.1976-18.6.1997); Tuvalu (12.8.1981-15.9.2000); Rep. Dem. Pop. delloYemen (2.2.1977-22.5.1990 estinta)

Fonti: www.rasd-state.ws/reconocimientos_rasd.htm; https: //de.wikipe-dia.org/wiki/Internationale_Anerkennung_der_Demokratischen_Arabischen_Republik_Sahara; https://en.wikipedia.org/wiki/Foreign_rela-tions_of_the_Sahrawi_Arab_Democratic_Republic; www.arso.org/03-2.htm; www.un.org/press/en/2006/gaspd348.doc.htm

4. ConclusioniNonostante la stragrande maggioranza dei Paesi della comunità internazionale non abbia

mai ufficialmente riconosciuto la sovranità su quel territorio, il regno del Marocco occupae amministra gran parte del Sahara Occidentale con il solo uso della forza e dell’arroganzaed in totale contrapposizione al diritto internazionale. La dimostrazione di questo sono: lacontinua e sistematica violazione delle libertà civili e dei diritti fondamentali ai danni deicittadini saharawi che vivono nelle zone occupate dalle forze marocchine; e il vergognosomuro di cui abbiamo già parlato costruito da Rabat per tenere lontani dal Sahara Occiden-tale i legittimi abitanti, profughi nel deserto algerino.

La resistenza e la lotta per l’indipendenza hanno provocato un elevato numero di perditemai determinato esattamente. Abbiamo visto che l’esercito marocchino ha impiegato anchebombe al fosforo e al napalm. Esistono poi le vittime indirette dell’invasione: generalmenteanziani e bambini sopraffatti dalle malattie, dalla fame, daile faticosissime condizioni di vitanel deserto. Amnesty International ha più volte documentato l’uso delle torture da parte del-l’esercito marocchino, mentre il numero dei scomparsi è stimato in molte centinaia23.

Dal 1975 circa 200mila Saharawi vivono in campi profughi vicino a Tindūf, nel desertodello Hammāda, uno dei più inospitali della terra, dove la temperatura in luglio e agostosupera i 45-50°C e d’inverno va sino a -5°C. Nei campi profughi il popolo daharawi hadato vita a esperienze organizzative e di progresso sociale e civile. Pur con le precarietàdelle strutture, i Saharawi hanno realizzato nelle zone liberate tale modello in campo am-ministrativo, sociale, sanitario, scolastico di quello che sarà eventualmente in tutto il realefuturo Stato indipendente e non solo de nomine come adesso nelle regioni occupate.

La popolazione dell’intero territorio della RASD è suddivisa formalmente in quattro wi-lāyāt (province): al-‘Uyūn (El Ayoun, la capitale), al-Dāḫila, as-Samāra (Smara), Awsārd(Aousserd); ogni wilāya comprende sei dā’ira (comuni): al-Dāḫila ne comprende sette. Ognidā’ira è divisa in quattro quartieri, ed è gestita da cinque Comitati popolari nei settori di Sa-nità, Educazione, Giustizia, Alimentazione, Artigianato.

La famiglia e la donna rappresentano il fondamento della società saharawi. Sono le donneche, quotidianamente, mantengono viva l’esperienza organizzativa dei campi profughi, acausa dell’impegno degli uomini nella lotta di liberazione al fronte. Le donne hanno ancheruoli di primo piano all’interno di Fronte POLISARIO e dell’Unión Nacional de Mujeres Sa-harauis-National Organization of Saharawi Women, associazione presente in molte federazionifemminili internazionali: ed è una delle istituzioni cardine della RASD.

Intanto decine di migliaia di Saharawi vivono nelle pietose condizioni in cui versano gliaccampamenti nell’estremo lembo di sabbia in cui sono confinati da oltre quarant’anni:spesso polizia e coloni marocchini effettuano violente irruzioni nei campi profughi distrug-gendo migliaia di tende. E si reiterano nuove vittime di un ancestrale conflitto24.

Note

1 Duca di Parma e Piacenza, Carlo I (1731-35), re di Napoli, Car1o VII, (1734-59), re di Sicilia, CarloIII (V) (1735-59), re di Spagna (1759-88).

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2 Article XXXIV: Any Power which henceforth takes possession of a tract of land on the coasts ofthe African continent outside of its present possessions, or which, being hitherto without such possessions,shall acquire them, as well as the Power which assumes a Protectorate there, shall accompany the respectiveact with a notification thereof, addressed to the other Signatory Powers of the present Act, in order toenable them, if need be, to make good any claims of their own; Article XXXV: The Signatory Powers ofthe present Act recognize the obligation to insure the establishment of authority in the regions occupiedby them on the coasts of the African continent sufficient to protect existing rights, and, as the case maybe, freedom of trade and of transit under the conditions agreed upon (in www.blackpast.org/global-afri-can-history-primary-documents).

3 Approvata con 27 favorevoli, 7 contrari e 13 astensioni («Year Book of the United Nations», I [1946-47], pp. 210-211).

4 Albania, Austria, Bulgaria, Cambogia, Ceylon (dal 1972 Srī Lanka) Finlandia, Irlanda, Giordania, Italia,Laos, Libia, Nepal, Romania e Ungheria.

5 «Yearbook of the United Nations», X (1956), pp. 290-293.6 Maria Vismara, Le Nazioni Unite per i territori dipendenti e per la decolonizzazione 1945-1964, CEDAM, Pa-

dova, 1966, p. 155.7 A/C.4/L.649 presentato alla 1040ª seduta della IV Commissione («Revue des Nations Unies», N. 11,

p. 69; «International Organization», XV [1961], p. 131).8 «La Comunità Internazionale», XVI (1961), p. 91.9 Poi Ris. 1542 (XV)-15 dicembre 1960, ivi.10 Vismara, cit., p. 227.11 «Yearbook of the United Nations», XIX(1965), p. 585.12 Alfio Brandi, Il Fronte Polisario, movimento di liberazione nazionale e partito di Stato. Dall’Atto Costitutivo al

sesto congresso generale (1973-1985), in «Africana», Rivista di Studi Extraeuropei, X (2004), p. 53.13 «Yearbook of the United Nations», XXIX (1975), p. 177.14 Naciones Unidas-Consejo de Seguridad, Informe de la Misión Visitadora de las Naciones Unidas al Sáhara

Español, 1975, Universidad de Santiago de Compostela (a cura di Carlos Ruiz Miguel, Cattedratico diDiritto Constituzionale), in www.umdraiga.com/documentos/ONU_informesmision/Informe_Mision_Visitadora_AG_1975_es.htm

15 John D. Fage, Storia dell’Africa, Società Editrice Internazionale, Torino, 1995, p. 477.16 «Year Book of the United Nations», XXVIII (1974), p. 794.17 Jarat Chopra, Peace-Maintenance. The evolution of international political authority, Routledge. London-New

York, 1999, p. 167.18 «Year Book of the United Nations», XLII (1998), p. 197.19 Ivi, p. 194.20 Ivi, p. 190.21 Report of the Secretary-General on the situation concerning Western Sahara, 17.2.2000, S/2000/131, p. 2.22 International Court of Justice. Reports of Judgments, Advisory Opinions and Orders, Western sahara.

Advisory opinion of 16 october, 1975, in www.icj-cij.org/docket/files/61/6195.pdf23 Amnesty International. Medio Oriente e Africa del Nord, Rapporto 2015-2016: Marocco e Sahara Oc-

cidentale, in http://rapportoannuale.amnesty.it/sites/default/files/2016/Marocco.pdf24 Bibliografia storica essenziale: Mara Cristina d’Addato, Il Sahara Occidentale: case study, Tesi di laurea,

Relatore: Matteo Pizzigallo, Libera Università degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma, AA 2004-05; Amigos del Sahara libre, Breve reseña histórica, in www.amigosdelsahara.net/puebo-saharaui/historia/;Luis Blanco Vázquez, Vestigios del pasado colonial español en Río de Oro (Sahara Occidental. La línea de Fortines deVilla Cisneros, «Hispania Nova», Revista de Historia Contemporánea, Separata, X (2012), pp. 158-180.

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Recentemente m’è capitato di leggere due importanti articoli di storia elettorale di PierLuigi Ballini e Sergio Bonifazi1. Gli scritti, condotti pregevolmente dall’attentissima venaricercatrice degli Autori, mi offrono lo spunto per approfondire lo sprettro elettorale delPaese dall’Unità a prima dell’avvento del fascismo.

Innanzitutto ciò che ferisce l’occhio dello studioso nell’elencazione ordinale delle con-sultazioni è che la legislatura inaugurale del Regno d’Italia non sia ufficialmente consideratala I – come tutti si attenderebbero – bensì l’VIII! Ciò perché i Savoia vollero “contare” iParlamenti dall’Unità d’Italia sino al 1939, in continuità con quelli eletti dalle prime settelegislature del Regno di Sardegna (1848-1860).

L’Italia, secondo i Savoia, almeno dal punto di vista del potere legislativo non era altroche un’espansione territoriale (colonia) del Piemonte. D’altronde il primo re d’Italia e ultimodi Sardegna, Vittorio Emanuele II non volle mutare l’ordinale in I, pesantissimo imbarazzoche il figlio Umbertò cercò di cancellare definendosi I, e non II come invece prevedeval’albero genealogico di quella famiglia francese. Però, dopo la morte di Umberto I, l’eredeal trono Vittorio Emanuele scelse l’ordinale III e non I, in onore alla schiatta, e in indiffe-renza al Paese. Tant’è.

Le prime elezioni dell’Italia unita si svolsero il 27 gennaio ed il 3 febbraio 1861, quasiun trimestre dopo il plebiscito effettuato nelle Marche e nell’Umbria (4 e 5 novembre 1860).Però mentre ai plebisciti erano stati ammessi i cittadini maschi che avessero 21 anni d’etàe che godessero dei diritti civili – alle elezioni del 1861 in conformità alla legge sarda (l. 17marzo 1848 n. 680, l. 17 dicembre 1860 n. 4513) avevano diritto al voto i cittadini maschiche avessero compiuto 25 anni, non fossero analfabeti, e contribuissero per un censo an-nuale di imposte dirette non minore di lire 40.

Del requisito censitario erano esentati coloro che possedessero speciali titoli di capacità:i componenti effettivi, residenti e non residenti delle Accademie, i professori, i funzionarie gli impiegati civili e militari in servizio o a riposo, i membri degli ordini equestri del Regno,i laureati ed altre categorie.

Le prime elezioni politiche del Regno d’Italia si svolsero, per giunta, in condizioni diverse.In Sardegna fu conservato il voto agli analfabeti che erano già elettori: e qui si riscontrauna fra le tante sospette incongruenze, come meglio vedremo. Per tali motivi il diritto divoto lo si riconobbe all’1,9% degli abitanti dell’Italia del Nord, all’1,6% di quelli del Centro,all’1,9% di quelli del Sud, ma in Sardegna al 3,4%.

Ballini, nel suo saggio, fa riferimento a due notissimi storici. Pasquale Villani afferma:

La distribuzione territoriale degli elettori al momento dell’unificazione dipese non soltanto‘dalla varia distribuzione della proprietà fondiaria, ma anche dai diversi sistemi di catastazione ed’imposta’. Accertamenti più rigorosi e aliquote più alte facevano aumentare il numero degli elet-

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MARCO DENISONI

Le diciannove legislature sabaude del periodo prefascista (1861-1921)

tori, i quali, inoltre, proprio per la selezione censitaria, erano più numerosi nei centri, urbani orurali che fossero, che non negli insediamenti sparsi nelle campagne. A un’evidente sperequazionefiscale, oltre che alla struttura della proprietà, va attribuito il fatto che in Sardegna, ad esempio, sicontassero 35 elettori per 1000 abitanti, più che in ogni altra regione del Regno»2.

Per cui, è palese come la Sardegna, quale dépendance già settecentesca della dinastia, do-vesse avere un peso maggiore delle regioni (colonie) conquistate con l’appello nominale ai“referendum”. A sua volta Federico Chabod, sugli elettori, scrive:

[...] un corpo scelto: sui 27 milioni di italiani circa, fra cui 7 milioni di maschi maggiorenni, ap-pena 528.932 – vale a dire l’1,9% – godevano nel 1870 del diritto di voto. Una élite; un paeselegale tanto ristretto di fronte al paese reale [...].Una élite, che dimostrava come, ad unità compiuta,la partecipazione alla vita pubblica avvenisse su basi non già più estese, bensì assai più ristrette diquanto non fosse avvenuto nel periodo di formazione, delle lotte, dei plebisciti: perché in tutta laLombardia v’erano, nel 1870, 68.371 elettori iscritti, ma quando s’era trattato, nel ’48, di votar lafusione col Piemonte, erano stati 661.626; nell’Emilia, gli elettori iscritti sommavano ora a nonpiù di 42.248, ma quando s’era trattato del plebiscito per l’annessione, avevan votato ben 426.764,e così via. Che era una contraddizione intima sostanziale, e bastava a spiegar il distacco fra cetodirigente – cioè oligarchia – e paese3.

Qui la malafede dei Savoia, per utilizzare un consenso elettorale e non, creato ad arte, èvisibile in tutta l’organizzazione farsesca delle consultazioni. Non solo.

La percentuale degli elettori rispetto agli abitanti, fra le Legislature VIII (1861) e XIV (1880),si stabilizzò attorno al 2,0%. Però è bene fare attenzione che la percentuale dei votanti alprimo scrutinio (su 100 elettori con diritto di voto) si mantenne su cifre risibili, toccando ilminimo storico nell’XI Legislatura (20 e 27 novembre 1870) con il 45,5% (240.974 su 530.018).O meglio l’“intero” popolo italiano – all’indomani della breccia di Porta Pia e all’annessionedi Roma e di tutto il Lazio – “elesse” il proprio Parlamento con soli 177.339 voti validi su240.974 espressi nel totale di 27.299.883 cittadini al censimento del 31 dicembre 1871.

La situazione restò tale sino al 24 settembre 1882, quando passò il Testo Unico n. 999– voluto dal presidente del Consiglio, Agostino Depretis – che stabilì a 21 anni (rispetto aiprecedenti 25) il limite d’età per l’elettorato attivo; fu invece mantenuto il requisito del-l’analfabetismo; il criterio del censo non costituì più il titolo principale per l’ammissionedel cittadino all’esercizio del suffragio. In base alla riforma, gli elettori passarono da 621.896a 2.017.829, pari al 6,96% della popolazione. Negli anni precedenti gli elettori iscritti percenso erano quasi l’80%; dopo la riforma dell’82 gli elettori iscritti in base alle capacità co-stituivano il 65,3%, e si abbassò al 34,7 la percentuale dei censitari.

Le conseguenze dell’allargamento videro più della metà degli elettori dello Stato (53,3%)concentrati in tre sole regioni (Piemonte, Lombardia e Liguria, aventi il 27,4% degli abitantidel Paese)4. Nel complesso – e lo si comprende dalle forze lavoratrici delle regioni più in-dustrializzate – la chiamata maggiore alle urne della popolazione, contribuì ad estendere lebasi dello Stato e a favorire un’«evoluzione di un certo tipo del movimento operaio in Italianel decennio che precede il Congresso di Genova»5 di fondazione del Partito Socialista. In

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questo periodo – Legislature XV (1882)-XVIII (1892) –l’astensionismo si mantenne moltoelevato con una punta minima dei votanti nella XVII (1890) con il 53,7%.

La crescita progressiva del corpo elettorale dal 1882 al 1892, fu arrestata dalle disposizionidel presidente del Consiglio, Francesco Crispi, col beneplacito della Corona (l. 11 luglio1894, n. 286).

A causa della relativa revisione delle liste elettorali, gli elettori passarono da 2.934.445 a2.120.185, cioè da 9,4 rispetto a 100 abitanti del 1892, al 6,7%. Il provvedimento, graditodal sovrano, era diretto a rafforzare la maggioranza governativa e a colpire i partiti e gruppidell’opposizione.

Infatti per quanto riguarda la composizione qualitativa della popolazione elettorale, glielettori iscritti – nelle liste del 1895 rispetto a quelle del 1890 – per titolo di capacità dimi-nuirono del 24,9% mentre quelli per il titolo del censo del 15,8%. In totale si cancellarono623.473 nomi, appartenenti a: istruzione elementare (i maestri e maestre portatori di ideesovversive), «cittadini che pagano una pigione», affittuari di fondi rustici, ecc. Su questifondamenti (poi coordinati dal TU 28 marzo 1895 n. 83) si svolsero le elezioni dalla XIXLegislatura (1895) alla XXIII (1909): con una punta massima, nel 1909 (7 e 14 marzo), deivotanti pari al 65,0% degli elettori aventi diritto (pure a causa di un costante allentamentodel non expedit)6.

Con le leggi 30 giugno 1912 n. 665 e 22 giugno 1913 n. 648 (poi in TU 26 giugno 1913n. 821) si chiuse una fase decisiva della legislazione elettorale: fu approvato il suffragio uni-versale maschile. Le nuove disposizioni, auspicate dal presidente del Consiglio, GiovanniGiolitti – conscio della forza dei movimenti operaio e cattolico – estendevano il diritto divoto ai cittadini maschi di oltre 30 anni, anche se analfabeti, e fra i cittadini dai 21 ai 30anni che fossero in possesso dei requisiti stabiliti dalle leggi precedenti e a coloro che aves-sero prestato servizio militare per un certo periodo. Coloro che avevano diritto al votonelle elezioni dei 26 ottobre e 2 novembre 1913 (XXIV L.), passarono da 2.930.473 (1909)a 8.443.205; dall’8,3 al 23,2% della popolazione, con un aumento che favorì soprattutto ilMeridione7.

Le elezioni dell’immediato dopoguerra (16 novembre 1919: XXV L.), videro introdottoper la prima volta il sistema proporzionale con scrutinio di lista (l. 15 agosto 1919 n. 14019).A ciò si univa il riconoscimento del diritto al suffragio a tutti i cittadini maschi che avevanocompiuto i 21 anni al 31 maggio 1919 e a coloro che avevano prestato servizio nell’esercitomobilitato (TU 2 settembre 1919 n. 1985).

Gli elettori passarono dai suddetti 8.443.205 a 10.239.3268. Fu una svolta di portata epo-cale in quanto favorì la formazione del sistema di partiti così come lo conosciamo oggi.Nelle successive elezioni del 15 maggio 1921 (XXVI L.) il corpo elettorale giunse a11.447.210, corrispondente al 28,7% degli abitanti9.

La precedente legislazione elettorale restò in vigore sino al 1923, quando fu mutata dalla“legge Acerbo” sulla quale Bonifazi ha ampiamente trattato sull’articolo in nota. Aggiungosolamente che con la legge 17 maggio 1928 n. 1019 seguita dal TU 2 settembre 1928 n.1993, s’iniziò a parlare del voto a cui avevano diritto i diciottenni, ma solo se ammogliaticon prole (XXVIII Legislatura: 24 marzo 1929).

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Note

1 Pier Luigi Ballini, Le elezioni politiche nel Regno d’Italia. Appunti di bibliografia, legislazioni e statistiche, «Qua-derni dell’Osservatorio Elettorale», Regione Toscana, Firenze, N. 15/Luglio 1985, pp. 141-220, Cfr. dellostesso autore: Le elezioni nella storia d’Italia dall’Unità al fascismo: profilo storico-statistico, Il Mulino, Bologna,1988. Sergio Bonifazi, 1922-1942: le elezioni, «Rinascita», Roma, 14 gennaio 2007.

2 Pasquale Villani, Gruppi sociali e classe dirigente all’indomani dell’Unità, in AA.VV, Storia d’Italia. Annali. 1.Dal feudalesimo al capitalismo, Einaudi, Torino, 1978, p. 906.

3 Federico Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Laterza, Bari, 1976, Vol. II, p. 86.4 Nord: 53,1%; Centro: 15,7%; Sud: 21,3%; Isole: 9,9%.5 Alberto Caracciolo, Stato e società civile. Problemi dell’unificazione italiana, Einaudi, Torino, 1960, p. 138.6 Corpo elettorale nel 1909: Nord: 56,5%; Centro: 16,4%; Sud: 19,1%; Isole: 8,0%.7 Corpo elettorale nel 1913: Nord: 45,8%; Centro: 17,3%; Sud: 24,4%; Isole: 12,5%.8 Corpo elettorale nel 1919: Nord: 43,6%; Centro: 16,7%; Sud: 26,2%; Isole: 13,5%.9 La frequenza alle urne nell’ultimo periodo prefascista fu: 60,4% (1913); 56,6% (1919); 58,4 (1921).

Legisl. Data elezioni Elettori iscritti

Abitanti %

Elettori votanti

Elettori%

Seggi Sistema elettorale

Partiti

VIII 27.I-3.II.1861 418.696 1,9 239.583 57,2 443 (a) - IX 22-29.X.1865 504.263 2,0 271.923 53,9 493 (a) - X 10-17.III.1867 498.208 1,9 258.243 51,8 493 (a) - XI 20-27.XI.1870 530.018 2,0 240.974 45,5 508 (a) - XII 8 -15.XI.1874 571.939 2,1 318.517 55,7 508 (a) 2 XIII 5-12.XI.1876 605.007 2,2 358.258 59,2 508 (a) 2 XIV 16-23.V.1880 621.896 2,2 369.624 59,4 508 (a) 3 XV 29.X-5.XI.1882 2.017.829 6,9 1.223.851 60,7 508 (b) - XVI 23-30.V.1886 2.420.327 8,1 1.415.801 58,5 508 (b) - XVII 23-30.XI.1890 2.752.658 9,0 1.477.173 53,7 508 (b) - XVIII 6-13.XI.1892 2.934.445 9,4 1.639.298 59,9 508 (a) - XIX 26.V-2.VI.1895 2.120.185 6,7 1.251.366 59,0 508 (a) 4 XX 21-26.III.1897 2.120.909 6,6 1.241.486 58,5 508 (a) - XXI 3-10.VI.1900 2.248.509 6,9 1.310.480 58,3 508 (a) 5 XXII 6-13.XI.1904 2.541.327 7,5 1.593.886 62,7 508 (a) 6 XXIII 7-14.III.1909 2.930.473 8,3 1.903.697 65,0 508 (a) 7 XXIV 26.X-2.XI.1913 8.433.205 23,2 5.100.615 60,4 508 (c) 12 XXV 16.XI.1919 10.239.326 27,3 5.793.507 56,6 508 (c) 12 XXVI 15.V.1921 11.477.210 28,7 6.701.496 58,4 535 (c) 15

QUADRO SINOTTICO DELLE ELEZIONI PER LA CAMERA 1861-1921(il Senato era di nomina regia)

Legenda: (a): sistema maggioritario per collegi uninominali; (b): sistema maggioritario a scrutinio di lista;(c): sistema proporzionale a scrutinio di lista

(Fonte: P.L. Ballini, cit., pp. 196, 204-211, 214-217, 219-220)

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La belle époque era il periodo in cui la società europea sembrava essere convinta di averraggiunto un punto di sicurezza, tranquillità, progresso che giustificasse anche quei feno-meni i quali nella seconda metà dell’Ottocento e sino al primo Novecento avevano il pesopiù grave: l’imperialismo e il colonialismo. Ossia l’idea di portare la civilizzazione agli altripopoli ritenuti inferiori sotto le dottrine razzistiche di matrice e scuola anglo-sassone. Labelle époque era tutto quest’insieme: fede nella scienza e nella tecnica; ottuso e tronfio otti-mismo; convinzione di essere il migliore dei mondi possibili sino ad allora realizzati; equindi pure il diritto di occupare e rubare alle genti ogni spazio del pianeta per “migliorarlo”.In effetti la bell’epoca crollò e fu soffocata dal carnaio del primo conflitto mondiale.

L’incertezza attorno a questi disvalori cominciò molto prima di Sarajevo, in quanto iprodromi della crisi organizzativa e del disfacimento morale della società europea e dellapropria borghesia si concretizzarono in anni in cui Spengler non ancora aveva iniziato ascrivere il suo capolavoro1, e tutto pareva immutabile al pari dei versi di Franz Grillparzer.Gustav Mahler, però, fu il primo a cogliere il tempo.

Il filosofo Adorno (1903-69) pur non precisando un inizio, parla di «ballate della disfatta»,perché presto «sarà notte». Ballate che anticipano «terribilmente con mezzi passati ciò chedeve venire»2. A parere di coloro che scrivono, le note mahleriane diventano annuncio dellafine a cominciare dai primi minuti della Quinta Sinfonia3, quale grande e tragica previsionedel futuro prossimo che incombeva sul Continente. La Decima chiuderà la belle époque.

Era il 1910 e nell’attuale Italia – allora lembo meridionale della Felix Austria a Toblach,oggi Dobbiaco – Mahler iniziò a scrivere la tormentata e inconclusa Decima Sinfonia, dedicataalla giovane moglie A.F.V.F. Schindler (1879-1964) dalla quale lo separavano ben vent’anni.

Egli mi attirò a sé – ma veramente non mi ero mai staccata del tutto. Ora era geloso di tutto edi tutti. Egli che aveva sempre dimostrato per l’innanzi un’indifferenza addirittura offensiva versoquesto genere di sentimenti. La porta tra le nostre camere, che erano attigue, doveva restar sempreaperta. Doveva sentirmi respirare. Spesso mi svegliavo per vederlo in piedi, al buio, accanto almio letto. Ne provavo spavento come di fronte allo spirito di un trapassato4.

Mahler trascorse quella estate presso il cottage dobbiacense, immerso nello splendido pae-saggio dolomitico. Fu proprio allora che – in barba al mito del limite invalicabile di novesinfonie – iniziò a lavorare instancabilmente alla Decima. Mahler aveva terrore del concettodi Nona Sinfonia, in quanto né Beethoven e neppure Bruckner, suo maestro, avevano rag-giunto la Decima. Scrisse per orchestra e voci soliste, Das Lied von der Erde (Il Canto dellaTerra) in un primo tempo come Nona Sinfonia, poi cancellò il numero e quando conclusela reale Nona affermò: «Veramente è la Decima, perché Das Lied von der Erde è la mia Nona»5,lanciando una sfida alla sorte in tal senso. E quando elaborò e cominciò la Decima, la moglieaffermava egli pensasse: «Ora il pericolo è passato per me!»6.

PIERO SBRANA

La Decima Sinfonia di Mahler: trenodia di un’illusione alla fine

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Sebbene gravemente ammalato nonché afflitto dalla tragica e prematura scomparsa diMaria Anna, figlia primogenita, Mahler si accingeva a superare perfino il suo venerato pre-decessore di Bonn, il quale morendo aveva lasciato ai posteri alcuni schizzi di una X Sinfonia,su cui successivamente si tratterrà Adorno7.

Come ebbe modo di appurare nel 1959 il musicologo britannico Deryck Cooke (1919-1976) – che ricostruì magistralmente l’ultima opera mahleriana e curò per la Bbc il pro-gramma nel centesimo anniversario dalla nascita del compositore austro-boemo – adifferenza della beethoveniana incompleta, la Decima non presentava alcuna interruzione.

L’intera linea melodica, oltre alla quasi totalità del contrappunto e dell’armonia eranostati creati dal pugno di Mahler. Cooke ne orchestrò una versione interamente eseguibileindicando sempre con estrema precisione le proprie aggiunte nella partitura. I principaliinterventi riguardarono la seconda parte del primo Scherzo, l’orchestrazione parziale delterzo movimento (Purgatorio) e totale dei successivi due: l’Adagio iniziale – introdotto daespressivi intervalli affidati alle viole – era l’unico movimento posto in forma eseguibiledallo stesso Mahler. In tale introduzione, caratterizzata da sonorità atipiche, convergono iflutti asimmetrici di due temi opposti e inconciliabili che il Maestro era solito distinguerein movimenti a sé stanti. Con intenso lirismo egli esternava il proprio addio alla vita: unasorta di catarsi seguita dalla quiete ascendente dei toni finali.

Però proprio quando tutto sembrava volgere verso il naturale, inevitabile compimento,si palesò l’intervento di un destino dal ghigno beffardo: nella Decima Sinfonia il caratterequasi demoniaco del successivo Scherzo. Nella vita del compositore, un evento a dir pocosconvolgente.

La giovane moglie in quella stessa estate partì solitaria da Dobbiaco, lasciando il consortealla «attività senza requie e senza sosta esplicata da quel motore titanico che era lo spiritodi Mahler»8 ed alla compagnia di fedeli domestici. Otto giorni dopo il suo rientro dalla tra-sferta, giunse una lettera a lei indirizzata che inspiegabilmente recava sulla busta l’indica-zione «al signor Direttore Mahler». Una lettera in cui Walter Gropius (1883-1969)9 –spasimante frequentato proprio a Tolbach – chiedeva la mano della bellissima Alma – ce-lebre per gli uomini che si innamoravano di lei: Klimt, Kokoschka, Werfel – pregandola diabbandonare tutto e fuggire con lui!

La scoperta sconvolse profondamente il compositore, la cui disperazione finì col trapelarenell’intero manoscritto. A margine del quale, numerose invocazioni ed annotazioni enun-ciavano la sua sofferenza... Un’angosciosa e imprevista crisi coniugale che lo spinse alla re-pentina partenza alla volta di Leida, in Olanda. Là si trovava Sigmund Freud: «ConoscoSua moglie. Essa amava suo padre e può cercare e amare solo quel tipo di persona. La Suaetà, che Lei teme, è proprio ciò che La rende attraente a Sua moglie. Non si preoccupi!»10.Il dottore, padre a sua volta della psicoanalisi, era nel giusto: per Alma, come riportato daisuoi stessi scritti «Mahler era e rimaneva il punto centrale della mia esistenza»11. Non avrebbepotuto immaginare una vita senza di lui «meno che mai, poi, con un altro uomo»12.

Subito dopo l’incontro con Freud, Mahler si recò a Monaco di Baviera per allestire iltrionfo dell’Ottava «dei Mille»: «in questa sinfonia Mahler, assurto ad altezze sovrumane,soggioga masse immani e le trasforma in fonti di luce»13. Seguì un’intera stagione invernale

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di concerti Oltreoceano: la bozza della Decima si trovava ancora a metà. Purtroppo, le con-dizioni di salute del Maestro intanto si aggravarono; finché a Vienna, nella tempestosa nottedel 18 maggio 1911, morì a cinquantun anni.

Per lungo tempo Alma pose un divieto sulla pubblicazione del materiale esistente. Soloa partire dal 1924 l’editore viennese Paul Zsolnay ne poté riprodurre una tiratura limitatadi copie. Nuove pagine dell’originale manoscritto relative al primo Scherzo emersero piùtardi, e furono date anch’esse alle stampe nell’edizione del 1951 – Decima sinfonia di Mahlerdella Associated Music Publisher (Andante-Adagio e il Purgatorio in un’edizione curata daErnst Křenek, Franz Schalk e Alexander von Zemlinsky).

Due anni prima Alma aveva mostrato il manoscritto per intero ad Arnold Schönberg ea Jack Diether. Schönberg declinò l’invito a “ricostruirla”. Diether, al contario, fu entusiastadel progetto, e offrì l’incarico al sovietico Dmitrij Šostakovič (il massimo erede del sinfo-nismo del sec. XX), che non se la sentì.

Diether proseguì i vani sforzi con l’inglese Joe Wheeler, l’americano Clinton Carpentere il tedesco Hans Wollschläger. Sino a che, nel ’59, il predetto Cooke si prese l’onere. In-tanto, i condizionamenti di Bruno Walter, a favore dell’originalità e intoccabilità del mano-scritto, inducevano Alma a negare il consenso alla pubblicazione. Però quando Cookemostrò ad Alma una prima ricostruzione con accanto il manoscritto stesso, ella appena lavide si commosse fino alle lacrime. In seguito alla scomparsa di Walter il 17 febbraio 1962,Alma dette il permesso l’8 maggio 1963.

Con i buoni uffici di Anna Mahler (seconda figlia del Maestro) e di Henri-Louis de LaGrange, Cooke studiò ulteriori quarantaquattro pagine di manoscritto non presenti nellacopia in facsimile del 1924, riprese il lavoro e completò la Decima. Il 13 agosto 1964, pressogli Henry Wood Promenade Concerts della BBC, la London Symphony Orchestra diretta da BertholdGoldschmidt diresse la partitura interamente rinata.

Il lavoro di Cooke ha contrari e sostenitori. Fra i primi: Erwin Ratz e Bruno Walter; inItalia: Ugo Duse, Giuseppe Pugliese, Gianfranco Zàccaro14. Favorevoli: Henri-Louis de LaGrange, Egon Gartenberg, Heinrich Ritter Kralik von Meyrswalden, Donald Mitchell,Charles Reid, Egon Wellesz. A sostegno dei favorevoli va pure detto che l’intero mano-scritto originale è eseguibile al pianoforte, ed infatti Mahler una volta lo suonò per interoad Alma. Anche noi siamo per la rinascita della Decima e propendiamo con quanto sostenutodal grande musicologo Quirino Principe:

[...] l’alternativa tra il lasciare un’opera come la Decima ibernata e inudibile, chiusa sotto chiave daun severo culto filologico per l’esistente, e la considerazione di un possibile e verosimile artistico ca-pace di agire come tradizione nel senso in cui un allievo pittore completava le linee del maestronella sua bottega, mi sembra suggerire una scelta senza esitazioni. Scelgo la seconda via, che fa vi-vere un’opera invece di seppellirla semiviva15.

Dopo la Decima, la sinfonia come la intendevamo tra Sette e Ottocento – fra Mozart eBeethoven, Brahms e Bruckner – non avrà più senso. Sì, ascolteremo Mjaskovskij (1881-1950), Malipiero (1882-1973), Hartmann (1905-63), Šostakovič (1906-75); udiremo in essi

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gli impianti monumentali del sinfonismo tardoromantico di Mahler, e ci sembreranno“strani” sol perché hanno seguito i canoni di una forma musicale seppellita per sempre aGrinzing.

Note

1 Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente (Der Untergang des Abendlandes), 1918-1922. La crisi franco-tedesca di Agadir del 1911 (o Seconda Crisi marocchina) innescò nell’Autore la decisione di intraprenderele proprie esaurienti indagini sulle origini e il corso futuro della civiltà occidentale.

2 Theodor Wiesengrund Adorno, Mahler in Wagner, Mahler, due studi, Einaudi, Torino 1966, pp. 138-287(passim).

3 Primo movimento: Trauermarsch. In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt, edizione Leonard Bern-stein, 1988.

4 Alma Mahler, Gustav Mahler. Ricordi e lettere, Il Saggiatore, Milano 1960, p. 1695 Ivi, p. 114.6 Ibidem.7 Th.W. Adorno, Beethoven. Filosofia della musica, Torino, Einaudi, 2001. I primi scritti di Adorno riguardo

a Beethoven sono del 1934, i progetti di un libro dedicato al compositore risalgono al 1937. Però il volumenon fu nemmeno mai iniziato. Il testo dell’Einaudi comprende frammenti di un lavoro che pur non finito,accompagnò il francortese per un quarantennio. Cfr. pure di Federica Gradoli, X Sinfonia di Beethoven:Wagner e Mahler, Analogie musicali esistenti con la IX Sinfonia e l’Incompiuta, attraverso l’analisi di Adorno., § III deIl Beethoven di Adorno. Un confronto con il romanticismo, con Fichte ed Hegel, Tesi di laurea,Università mdegli Studidi Perugia, Facoltà Lettere e Filosofia, A.A. 2002-03.

8 Alma Mahler, cit., p. 168.9 Nel 1915 durante una licenza militare dal fronte, Gropius sposa A.F.V.F. Schindler. Insieme i due eb-

bero una prima figlia cui diedero il nome di Manon; affetta da poliomielite, morì nel 1935 a soli diciottoanni. Alban Berg a lei dedicò il concerto per violino e orchestra Alla memoria di un angelo uscito nel 1935,anno della morte pure dello stesso Berg.

10 Ivi, p. 171.11 Ivi, p. 170.12 Ibidem.13 Ivi, p. 175.14 Ugo Duse, Gustav Mahler, Einaudi, Torino 1973; Giuseppe Pugliese, Gustav Mahler... il mio tempo verrà,

Nuove Edizioni, Milano 1976; Gianfranco Zàccaro, Gustav Mahler. Studio per un’interpretazione, Sansoni-Ac-cademia, Milano 1971.

15 Quirino Principe, Mahler, Rusconi, Milano 1983, p. 822.

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GIOVANNI ARMILLOTTA

Gli Stati africani e l’origine dei loro confini

1. IntroduzioneLo sviluppo ottocentesco della conquista dell’Africa – “toccata” a Ceuta per la prima

volta dai Portoghesi nel 14151 – era non solo un bisogno per il capitalismo, ma in ciò essonecessitava dell’aiuto dei governi. Del resto, le etnie afroasiatiche, e specie quelle del Con-tinente nero «potevano essere sottoposte a uno sfruttamento più spietato ancora del peg-giore che fosse politicamente possibile in paesi abitati da popolazioni bianche omogenee»2.

Al contempo bisogna considerare che i Britannici avevano conquistato l’egemonia inOriente, ma al contempo le Americhe iniziarono a opporsi all’imperialismo extracontinen-tale all’indomani del 1824, anno della Costituzione dell’Impero del Brasile.

Dal 1884 in poi – come vedremo – l’Africa iniziò a diventare l’obiettivo delle grandi po-tenze europee, però in base ad un principio diplomatico d’equilibrio. In ogni zona africanain cui due Stati si ponessero quali rivali, ogni conquista territoriale dell’uno doveva corri-spondere ad una pari acquisizione dell’altro.

Esempio emblematico in tal senso fu la fine del sogno lusitano di congiungimento bio-ceanico Angola-Mozambico, conclusosi con la tradizionale “amica” Gran Bretagna attra-verso il trattato dell’11 gennaio 1891; a favore del sogno più forte inglese (realizzatosi dopola fine della I Guerra Mondiale) di unire “parallelamente” il Mediterraneo e il Capo diBuona Speranza sotto lo stesso Impero. Il Portogallo fu compensato con l’ampliamentoterritoriale delle sue grandi colonie; passo che determinò la nascita di confini ulteriori inAfrica meridionale3. A quel punto la fissazione di confini – concetto estraneo alla tradizionetelluro-tribale dell’Africa – determinò l’eredità geopolitica delle successive cosiddette indi-pendenze del sec. XX. Si giunse alla vigilia della I Guerra Mondiale con il Continente com-pletamente spartito, ad eccezione della Liberia, protégé dal 1847 degli Stati Uniti d’America;l’impero cristiano dell’Etiopia, contro il quale cozzarono nel 1896 le velleità colonialisticheitaliane; e dal 1910 l’Unione Sudafricana, dominion dell’Impero Britannico secondo la defi-nizione coniata nel 1926 dalla Dichiarazione Balfour:

They are autonomous Communities within the British Empire, equal in status, in no way su-bordinate one to another in any aspect of their domestic or external affairs, though united by acommon allegiance to the Crown, and freely associated as members of the British Commonwealthof Nations4.

2. Brevi cenni sui colonialismiUna delle cause principali della conquista dell’Africa fu il proposito del tedesco, Otto

von Bismarck (1815-98, canc. 1871-90) di espandere la Germania in Europa ed indurre lealtre Potenze verso liti terzi per nuovi territori e prestigio, in maniera da poter agire libera-mente nel Vecchio Continente, e creare utili tensioni fra Stati avversari altrove.

D’altro canto in Gran Bretagna – dal ritorno al potere dei conservatori nel 1866 conEdward Smith-Stanley (1799-1869, p.m. 1852, 58-59, 66-68) – sino al termine del sec. XIX«la passione per l’Impero crebbe continuamente, assumendo forme talvolta criminose,spesso ridicole e sempre disgustose»5. I britannici resero la colonizzazione tipicamente mer-cantil-razzistica, praticando un aparheid di fatto, dividendo con disprezzo i costumi e le tra-dizioni locali – col manto del rispetto a distanza – dal nucleo amministrativo bianco chedirigeva lo sfruttamento interno e i commerci. Mai un/a colonizzatore/trice britannico/aavrebbe pensato di unirsi ad una/o nera/o in coniugio e prendere il tè alle 17:00.

Per quanto riguarda la colonizzazione transalpina, essa – più lontana dell’inglese – miravaa fare del colonizzato africano un cittadino francese e i risultati del lungo periodo, si inizianoa sentire pesantemente oggi. La tedesca, di poca durata, tendeva a rendere gli amministratidisciplinati ed economicamente redditizi. Quella portoghese ignorava il razzismo, favorendol’ibridazione etnica attraverso l’unione del sangue nero con quello lusitano, secondo il prin-cipio della loro appartenenza alla nazione cristiana. La spagnola fu residuale, l’italiana sten-tata e breve, ed il ricordo lasciato meno peggiore degli altri per la durata inferiore.

3. Le premesse della spartizioneIl periodo che ha preceduto la dilatazione europea in Africa fu contrassegnato da tre se-

coli di schiavismo via mare. Ciò aveva significato la fine di quello interno al Continente,portando alla cessazione degli introiti da parte dei potentati posti sulle piste del Sahara. Fuvarata la zona guineana, ossia occidentale, in prossimità dei porti ove si organizzava la tratta.Però a principio del sec. XIX la Gran Bretagna era diventata antischiavista. O meglio, lacrociata inglese6 contro la tratta degli schiavi francese, portoghese, e di altri, era volta uni-camente ad impedire che transalpini, ecc., non facessero affari lucrosi: lungi, quindi, dalletanto sbandierate etica e democrazia inglesi. Ovvero la schiavitù non era più vantaggiosaper i Britannici, mercé la rivoluzione industriale, e questi, al contempo, iniziarono ad im-porre ai Cinesi con violenze e conflitti l’acquisto dei propri stupefacenti, prodotti in India(guerre dell’oppio 1839-1842 e 1856-1860). Uno degli atti più atroci e criminali della storiauniversale. Dall’altra parte dell’emisfero, invece, con la retorica dei “diritti umani”, si mo-stravano avversi al commercio degli schiavi, in quanto ormai contrario agli interessi dellaCorona, sia in senso attivo (sviluppo delle macchine), sia passivo (se lo praticavano gli altri).

Per cui la fine dello schiavismo legato alla presenza europea in Africa, resettò i giochi.Siccome il traffico umano era stato ritenuto obsoleto, il sistema per sfruttare il lavoro deineri fu rovesciato: da prelevarli e portartli oltroceano, era meglio occupare direttamente leloro regioni le quali, guarda caso, erano anche ricche di materie prime.

Da lì presero piede i presupposti di divisione continentale, con altri principi che il colo-nialismo imperial-capitalista dipinse attraverso necessita “etiche”, affinché il liberalismo dacattivo senza colpe, diventasse buono con meriti. Promozione della civiltà fra i selvaggi –definiti tali per le note questioni relative a sacrifici umani, antropofagia, nudità e promiscuitàfamiliare, a cui già l’Islam cercò di porre rimedio nella parte orientale del Continente – lottaalla schiavismo (praticato proficuamente sino all’altro ieri), ospitalità ai viaggiatori europei,finanziamenti ai missionari, diffusione dello spirito umanitario, presenza di personale me-

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dico, moltiplicazione di scuole che insegnassero a leggere e scrivere le lingue dei colonialisti,invio di missioni scientifiche e cartografiche.

Tutto questo affinché l’opinione pubblica della filantropica belle époque non scorgesse checiò, al contrario, portava solo un attivo ai Paesi coinvolti, in maniera che la differenza fracivilizzare e sfruttare divenisse invisibile a favore della prima.

4. Nascita di confini e tecnica di divisionePerò, per agire in tal senso, bisognava essere d’accordo fra i Paesi interessati, in modo

che la guerra evitata sul suolo di casa non si trasferisse in Africa, e ognuno potesse trarrevantaggi a proprio comodo secondo il summenzionato principio di equilibrio. La questionedei confini iniziò dal Congo – visto però inizialmente come fiume concentrante le acquedi una grande regione, estesa quanto l’Europa dal Portogallo alla Polonia.

Il re belga Leopoldo II (1835-65-1909) – «la sua reputazione era così scandalosa» e «lasua mentalità era quella di un bucaniere o di un capo mafioso»7 – iniziò a prepararsi sulCongo creando associazioni, comitati, compagnie e società imprenditoriali a ragione socialeinternazionale e con scopi il fare del bene. Per cui organizzò un convegno scientifico dipretto spirito umanitario contro la tratta degli schiavi, e d’impostazione internazionale, se-condo il summenzionato principio d’equilibrio. Nacque la Conferenza geografica di Bru-xelles (12-14 settembre 1876). Vi parteciparono ad essa – da Austria-Ungheria, Belgio,Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Russia – benefattori, studiosi, viaggiatori, e uo-mini d’affari e mercanti, questi ultimi pochissimi, per gettare fumo negli occhi.

I temi più importanti dei lavori erano: l’apertura all’Africa centrale della civiltà europea;l’istituzioni di basi operative sull’isola di Zanzibar e nella foce del Congo; creazione di po-stazioni per l’accoglienza a chi si trovava in zona; inoltre le “stazioni”, avrebbero svoltoanche una funzione scientifica, ossia ricercare dati sui territori e sulle popolazioni. E sì fa-cendo l’ultimo giorno fu fondata l’Association internationale africaine, a cui presero parte anchei Paesi Bassi. La Gran Bretagna snobbò l’iniziativa, e la Francia si mosse piantando la suabandiera su due stazioni da essa create invece per conto dell’AIA. Solo la Germania, fra iPaesi più autorevoli, fu l’unica a versare una modesta quota associativa per le note ragioni.Il fine di Leopoldo II era acquisire una colonia, col permesso delle grandi potenze. L’AIAaprì la strada alla creazione del cosiddetto Stato Libero del Congo. Leopoldo si era costruitola facciata di monarca idealista e illuminato. Fra Bruxelles 1876, la creazione del Comité d’étu-des du Haut-Congo 1878, l’Association internationale du Congo 1882, e Berlino 1884-1885, il so-vrano si creò lo Stato-giocattolo personale.

Il governo leopoldino dello SL del Congo (infra), fu fra i più efferati e genocidi della sto-ria, al punto che Henri Wesseling definisce il re «sommo manigoldo colonialista»8. A talecriminale coronato, si devono la morte di oltre undici milioni di nativi fra trucidati, mutilatie decessi avvenuti nel corso delle deportazioni e in miniere e piantagioni9. Un massacro dicui non parla mai alcuno e che va a eterna infamia del colonialismo belga, checché Leopoldofosse stato costretto a cederlo alla madrepatria solo il 15 novembre 1908, una volta chel’opinione pubblica mondiale s’indignò – ma non quella belga10 – sapute le atrocità ivi per-petrate senza scrupolo alcuno.

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5. Ufficializzazione, zone d’influenza e spartizioneIl 24 aprile 1884, la Germania iniziò ad avere il proprio impero coloniale con la nascita

dell’Africa Sud-Occidentale tedesca (oggi Namibia). Nell’agosto-settembre dello stessoanno Bismarck discusse con Parigi, Londra e Lisbona onde indire una conferenza cheavrebbe trattato: i) libertà commerciale sul e nei pressi del fiume Congo; ii) libertà di navi-gare sui fiumi Congo e Niger secondo le stesse regole adottate per il Danubio; iii) vari proforma da seguire nei confronti dell’acquisione delle coste africane. La proposta fu accolta ela Conferenza sul Congo (Kongokonferenz o Westafrika-Konferenz) si aprì il 15 novembre 1884.Accolsero l’invito: Austria-Ungheria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Italia,Impero Ottomano. Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Stati Uniti d’America e Regno Unitodi Svezia e Norvegia.

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Il territorio del Congo dopo la Conferenza di Berlino (Wesseling, cit., p. 165)

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L’Africa nel 1912, dopo la presa italiana di Tripolitania e Cirenaica (Johnston, cit., At end)

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Nel corso della conferenza fu sancita la nascita dello Stato Libero del Congo. LeopoldoII assieme ad Henry Morton Stanley (1841-1904) aveva tracciato sulla carta i confini, poicorretti: i primi di uno Stato africano moderno. Lo SL del Congo (2.600.000 kmq) ottenneil riconoscimento di: Stati Uniti (10 aprile 1884, bandiera dell’AIC), Germania (8 novem-bre), Gran Bretagna (16 dicembre), Francia (5 febbraio 1885, in cambio ottenne un terri-torio sulla riva settentrionale del fiume: corrispondente pressappoco agli attuali Rep. delCongo [Brazzaville] e Gabon), Portogallo (15 febbraio, e in cambio ottenne un territoriodi 7.270 kmq., detta Congo portoghese, oggi Cabinda, enclave dell’Angola). I lavori si chiu-sero il 26 febbraio 1885. A questo punto va detto che la Conferenza sul Congo non ha af-fatto diviso l’Africa fra i pretendenti, come spesso erroneamente si legge e ode, però èdivenuta l’emblema della distribuzione territoriale; ed essa non ha nemmeno imposto regolespartitorie. Le questioni concernevano solo le coste dell’Africa, non l’interno del Continenteche fu affrontato anni dopo attraverso trattati fra le parti e prima con gli indigeni. A Berlinola tematica riguardante l’entroterra non fu mai affrontata11.

6. ConclusioniTerminata la Conferenza sul Congo, di lì a pochi anni la spartizione prese piede attraverso

prese di titoli effettuate mediante “trattati” con i regoli delle zone d’interesse. Esse carteerano conquiste di posizioni potenziali – e mancanti assolutamente di confini. Non impli-cavano alcuna “stazione” o base, alcuna manifestazione politica: erano solo dei pro forma.

La Conferenza sul Congo aveva operato unicamente la questione dei litorali, corrispon-denti ad una piccola parte di territorio occupato da una delle potenze. E man mano, le cittàsulla costa, in crisi nel sec. XIX dopo l’abolizione della tratta, assunsero all’indomani diBerlino, caratteristiche di centri amministrativi diretti dalle Metropoli, fino a diventare, gros-somodo, la capitali degli Stati indipendenti africani del sec. XX.

Fu da queste città che allora s’irradiarono le esplorazione e le guerre verso l’interno chepoi, per mezzo dei trattati internazionali fra potenze – in pace in Europa, ma in rivalità inAfrica (1884-1914) – determinarono i confini che conosciamo: «È stato calcolato che il30% dei confini in Africa è costituito da linee rette e che il 44% in Africa tropicale è statotracciato seguendo linee astronomiche»12.

In effetti in Africa l’idea di Stato , come abbiamo già scritto, non esisteva. Si erano avutiImperi dalle frontiere approssimate ed elastiche con influenze esterne temporanee; governie “pòlis” di sofisticate e raffinate amministrazione e cultura – però mai nazioni africaneposte in regioni ben precise, delimitate da confini determinati e fissi. Vigeva il senso dellatribù, della casta professionale, del gruppo linguistico, i quali spesso vivevano affianco maa livelli gerarchici differenti.

È naturale che quando le famose squadre e righe disegnarono il Continente in numero-sissimi lotti, separassero una stessa etnia (ad es. i baKongo fra Congo e Angola) e unisserorazze nemmeno simili se non rivali o in odio atavico (che poi furono una delle cause dellacreazione dei partiti africani del sec. XX).

Non per nulla l’esito geografico del colonialismo fu legittimato dall’Organizzazionedell’Unità Africana (1963-2002), che nell’Art. III, co. 2, si riferiva ad ogni eventuale istanza

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di rivendicazione territoriale quale estremo d’una ingerenza: «interference in the internalaffairs of State»; per cui il co. 3, recitava: «Respect for the sovereignty and territorial integrityof each State and for its inalienable right to independent existence», e in caso di divergenze,il co. 4 parlava al massimo di «Peaceful settlement of disputes by negotiation, mediation,conciliation or arbitration». Termini recepiti poi nell’Art. IV dell’Unione Africana (f. 2002);ma non per questo l’Africa ha smesso di amministare oggi i problemi confinari pendentigià fra i Paesi colonizzatori13.

Note

1 John D. Fage, Storia dell’Africa, SEI, Torino, 2001, 2ª ed., p. 213.2 Bertrand Russell, Storia delle idee del secolo XIX, Einaudi, Torino, VI ed, 1970, p. 578.3 Per una disamina su origini delle velleità portoghesi ed esiti, cfr. Francesco Tamburini, Il ruolo dell’Italia

nella vertenza anglo-portoghese sui territori dell’Africa Australe. Dal mapa côr-de-rosa al Barotseland (1886-1905),in «Africana», Rivista di Studi Extraeuropei, Lucca, XX (2014), pp. 165-198.

L’Africa oggi dopo la recente indipendenza del Sudan Meridionale nel 2011(Codifica Stati: ISO 3166-1 alpha-3 a cura della Redazione)

4 Campbell MacLachan, Foreign Relation Law, Cambridge University Press, Cambridge 2014, p. 67; trad.:«Esse sono Comunità autonome in seno all’Impero Britannico, di pari condizioni, non subordinate l’unaall’altra in quasiasi aspetto dei loro affari interni o esteri, sebbene unite da una comune fedeltà alla Corona,e liberamente associate quali membro del Commonwealth Britannico delle Nazioni».

5 Russell, cit. p. 593.6 Trattato anglo-olandese del 1814 e Congresso di Vienna del 1815.7 Henri Wesseling, La spartizione dell’Africa 1880-1914, Corbaccio, Milano 2001, pp. 114-115.8 Ivi, p. 129.9 Harry Hamilton Johnston, A History of the Colonization of Africa by Alien Races, University Press, Cam-

bridge 1913, p. 352. «I metodi con i quali furono accumulati questi enormi profitti erano molto semplici.Ogni villaggio riceveva dalle autorità l’ordine di raccogliere e portare una certa quantita di gomma: tantaquanta gli uomini potevano raccogliere e portare trascurando tutti i lavori per il sostentamento proprio.Se non portavano la quantità richiesta, le loro donne venivano prese e tenute come ostaggi nei recinti onegli harem degli impiegati governativi. Se questo metodo falliva, venivano mandati nel villaggio bande diindigeni, molti dei quali cannibali, a spargervi il terrore, se necessario uccidendo qualche uomo; ma alloscopo di evitare spreco di cartucce essi avevano l’ordine di riportare una mano destra per ogni cartucciasparata. Se sbagliavano il colpo, o adoperavano le cartucce per la caccia grossa, tagliavano le mani dellagente viva per raggiungere il numero necessario» (Russell, cit., p. 585). Cfr. anche cfr. Elikia M’Bokolo,Afrique centrale: le temps des massacres, in Marc Ferro (a c. di), Le livre noir du colonialisme. XVIe-XXIe siècle: del’extermination à la repentance, Robert Laffont, Paris, 2003, pp. 433-445.

10 John D. Fage, Storia dell’Africa, SEI, Torino 2001, p. 392.11 Wesseling, cit., pp. 178-179.12 Francesco Tamburini, La Striscia di Agacher. La questione confinaria tra Mali e Burkina Faso, in «Africana»,

cit., XXI (2015), p. 167.13 Sull’argomento cfr. Mariangela Barbarito, Libia, Ciad e Striscia di Aouzou. Fra vertenza confinaria e ambi-

zioni di conquista, in «Africana», cit, XXI (2015), pp. 61-90, e Tamburini, La Striscia..., cit., pp. 167-190.

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Antonio Sant’Elia (1888-1916) – La città nuova, studio, 1914

M E T O D ORIVISTA DI ARCHITETTURA, POLITICA INTERNAZIONALE, STORIA, SCIENZE E SOCIETÀ

EDITORIALE Origini e progressi dell’arte architettonica –

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Democratica: una popolo dietro sei muri – MARCO DE-

NISONI Le diciannove legislature monarchiche del pe-

riodo prefascista (1861-1921) – PIERO SBRANA La Decima

di Mahler: trenodia di un’illusione alla fine – GIOVANNI

ARMILLOTTA Gli Stati africani e l’origine dei loro confini

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