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Urgenze gastroenterologiche in età pediatrica Le emorragie digestive Ingestione di corpi estranei Esperienza di 122 casi La chetoacidosi diabetica in età pediatrica Formazione nell’emergenza-urgenza pediatrica Il dolore addominale acuto Gestione al Pronto Soccorso EMERGENZA E URGENZA Periodico quadrimestrale di informazione e dibattito della Società Italiana di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP) Anno 3 - numero 1 riv ist a di PEDIATRICA 1

Rivista di Emergenza e Urgenza Pediatrica Anno III n 1

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Rivista di Emergenza e Urgenza Pediatrica

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Urgenze gastroenterologichein età pediatricaLe emorragie digestive

Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casi

La chetoacidosi diabeticain età pediatrica

Formazione nell’emergenza-urgenzapediatrica

Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

EMERGENZA E URGENZA

Periodico quadrimestrale di informazione e dibattitodella Società Italiana di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP)

Anno 3 - numero 1

rivista diPEDIATRICA

1

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Direttore ResponsabileAntonio Vitale

Direttore ScientificoGiovanni Cardoni

Comitato di RedazioneElisabetta Fabiani - Pietro FerraraGianni Messi - Nicola Monterisi

sommario

1

Anno 3 - n. 1 - dicembre 2008 - gennaio 2009

numero

EDITORIALEpag. 3

Il dolore addominale acutoGestione al Pronto SoccorsoGiovanni Cardoni - Elisabetta Fabiani - Massimo Vignini pag. 5

Urgenze gastroenterologiche in età pediatricaLe emorragie digestiveOttavio Adorisio - Emanuela Ceriati - Paola Marchetti -Francesco De Peppo - Massimo Rivosecchi pag. 40

Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casiAnna Maria Fisichella - Concetta Leonardi -Tiziana Sciacca - Antonio Russo pag. 35

Formazione nell’emergenza-urgenza pediatricaEmanuela Piccotti - Maria Cristina Diana pag. 18

La chetoacidosi diabeticain età pediatricaFrancesco Bellia - Massimo Soffiati pag. 25

EMERGENZA E URGENZA

Periodico quadrimestrale di informazione e dibattitodella Società Italiana di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP)

Registrazione al Tribunale di Napoli n. 79 del 1-10-2008

SIMEUP

rivista diPEDIATRICA SIMEUP

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione puòessere riprodotta o conservata in un sistema di recupero o trasmessa inqualsiasi forma, o con qualsiasi sistema elettronico, meccanico, permezzo di fotocopie, registrazioni o altro, senza un’autorizzazione scrittada parte dell’Editore.

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PresidenteAntonio Vitale

Vice PresidentePaolo Biban

Past PresidentGiovanni Cardoni

TesoriereGianni Messi

SegretarioFrancesco Pastore

ConsiglieriPietro Ferrara - Fortunata Fucà - Giuseppe Piras - Alberto PodestàAntonino Reale - Antonio Urbino

Revisori dei contiDomenico Perri - Roberta Piccinini - Salvatore Renna

Per invio contributi, commenti e richiesta ulteriori informazioni, si prega contattare la Direzione Scientifica:Tel. 071 5962009 - Fax 071 5962017e-mail: [email protected]

Direttore EditorialeRaffaele Cestaro

Direttore Marketing e ComunicazioneMarco Iazzetta

Ufficio PubblicitàStefania BuonavolontàAlessandro Curci

RedazioneAlessandra D’AngeloMauro Vassillo

AmministrazioneAndrea Ponsiglione

Realizzazione graficaSigismondo Spina

VideoimpaginazioneSalvatore Ruggieri

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2 | rivista di EMERGENZA E URGENZA PEDIATRICA ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

La rivista “EMERGENZA E URGENZA PEDIATRICA”, editada Lingo Communications Srl, pubblica articoliscientifici originali, clinici e sperimentali in linguaitaliana, su argomenti riguardanti l’emergenza e l’ur-genza in pediatria. Il board e il comitato redazionale si riservano il di-ritto di apportare correzioni al testo per assicuraremaggiore chiarezza e coincisione possibile. Ad ogniAutore verrà inviata una copia della rivista su cuil’articolo è stato pubblicato.

ISTRUZIONI GENERALILa lunghezza raccomandata per ogni articolo è dicirca 12000 battute totali (circa 5 pagine word). Le tabelle e le immagini vanno considerate comeparte integrante del testo, calcolando per ognunadi esse almeno 1500 battute.

Esempio:• Testo 9000 battute• 1 immagine 1500 battute• 1 tabella 1500 battute• Totale 12000 battute

TESTODeve essere riportato il titolo dell’articolo, l’Autore(nome, cognome), le affiliazioni e l’indirizzo com-pleto (con telefono, fax ed eventuale e-mail) per l’in-vio della corrispondenza.Indicare allo stesso modo anche gli eventuali col-laboratori.

ICONOGRAFIAL’iconografia è costituita da foto, disegni, tabelle,corredate di didascalie. Foto e disegni devono essere forniti in formato elet-tronico (con estensione .jpg, .bpm, .psf, .tif, .eps,di grandi dimensioni) con file attached o in file sal-vati su supporto magnetico. Le tabelle vanno impostate su file separati dal te-sto e devono recare in alto la scritta “Tabella”, se-

guita dal numero progressivo di citazione del testo.Didascalie delle figure: devono essere riportate inun foglio (file) separato.Si possono includere nei propri manoscritti grafici ofigure disegnate al tratto. Tali illustrazioni saranno pre-parate dalla casa editrice in computer grafica. Essedevono essere citate in ordine progressivo nel testo.

BIBLIOGRAFIADeve essere citata in ordine progressivo e redatta se-condo lo stile dell’Index Medicus, pubblicato dalla Na-tional Library of Medicine di Bethesda, MD, Stati Uniti. Per gli articoli fino a 6 Autori i nomi devono esserecitati tutti; per gli articoli con più di 6 Autori citaresolo i primi 3 seguiti da “et al”.

Esempio:Orlando RA, Redeer K, Authier F et al. Megalin isan endocytic receptor for insulin. J Am Soc Ne-phrol 1998; 9: 1759-66. (citazione di articolo)

LETTERA DI ACCOMPAGNAMENTODeve essere acclusa al lavoro con le firme degli Au-tori che dichiarano l’originalità del materiale.

MANOSCRITTO IN FORMATO ELETTRONICOIl manoscritto in formato elettronico (contenente laversione finale) deve essere inviato ai seguenti in-dirizzi:

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NOTE AGGIUNTIVESi possono riportare alla fine del lavoro.

Istruzioni per gli Autori

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rivista di EMERGENZA E URGENZA PEDIATRICA | 3ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

L’attuale crisi economico-finanziaria impone a tutti i cittadiniprofonde riflessioni su uno stile di vita condizionato da unconsumismo sfrenato, che si alimenta con l’attuale relativi-smo etico ed il connesso individualismo esasperato. Ciaccorgiamo che si è rotto un giocattolo che dava tutto a tuttie che ci permetteva di vivere al di sopra delle nostre possi-bilità: ci troviamo (quasi) tutti più poveri, con poche prospet-tive per il futuro, con delle forbici che allargheranno ancorpiù il divario tra i pochi benestanti ed i tanti poveri. Lo stessostato sociale, grande ammortizzatore a garanzia dei biso-gni primari dei cittadini, “scricchiola”, peraltro indebolito dauna gestione “allegra” e comunque poco responsabile,anche per miopia di una classe politica (di destra e di sini-stra) non lungimirante e che talora ha inseguito interessi diparte. La rinascita (inevitabile!) non può non partire dal“rispolvero” di valori sociali, etici ed anche religiosi, di cui sisente sempre il bisogno nei periodi di difficoltà.Attualmente si parla di necessità di riforme strutturali (sifaranno?) che riguardano soprattutto il pubblico impiego...Quindi probabilmente la Sanità! Il “pianeta Sanità” (per indi-care un mondo composito che tocca gli interessi non solodi salute di tanti cittadini) non può essere modificato se nonalterando un “equilibrio delicato e consolidato” dove si inte-grano opportunità di cure, di lavoro e di tutela di lobby e cor-porativismi.Alcune considerazioni potremmo pur farle, anche perchésappiamo che il problema più si allontana, più si ripresen-terà nella sua gravità.Il Sistema Sanitario Nazionale (da tanti decantato come ilmigliore fino a qualche anno fa) sta scivolando al 16° postonel mondo, pesando sempre più fattori negativi come visionetroppo “ospedalocentrica”, tasso di ospedalizzazione ele-vato, frammentazione e mancato rinnovamento gestionale-assistenziale e strutturale-tecnologico dei presidi ospeda-lieri, eccessivo rapporto posti letto/abitanti, carenza di pub-blicazioni e di ricerche scientifiche di vera qualità e, nonultimo, un rapporto medico e pe dia tra/paziente unico almondo! (Nonostante il continuo allarme delle società scien-tifiche sulla futura “carenza” di medici…). La tanto auspi-cata regionalizzazione delle cure ha “moltiplicato” i centri dicura specialistici che hanno quasi sempre assunto il carat-tere (spesso autoreferenziale) di eccellenza, senza tenerassolutamente conto che l’efficienza e l’efficacia gestionalidevono sempre considerare un adeguato bacino di utenzaa supporto di una necessaria casistica di pazienti trattati.Contemporaneamente, per motivi di campanilismo e “nonconvenienza politica”, non si è proceduto a quella raziona-lizzazione della rete ospedaliera e delle specifiche funzionisecondo livelli di assistenza, che doveva essere il primonecessario passo per la selezione dei presidi e per l’ammo-dernamento assistenziale e tecnologico. Il territorio, oltre anon assecondare il fondamentale compito di educazione eprevenzione sanitaria, non ha saputo o potuto o voluto orga-nizzare un necessario filtro, “ingolfando” l’ospedale e river-sando in esso tante prestazioni inappropriate di 1° livello.

L’auspicato e tanto “sventolato” spostamento del baricen-tro assistenziale dall’ospedale (luogo di cura per acuti) alterritorio (luogo di cura per cronici, soprattutto anziani) nonc’è stato e sono sempre prevalse logiche ormai storiche diopportunità e convenienza.Penso che oggi più che mai la Sanità abbia bisogno di unaridistribuzione di risorse e di una rivisitazione di molti pro-cessi assistenziali e che si debba definitivamente abbando-nare la perversa logica di cercare di risolvere i problemiaumentando le risorse sempre a disposizione. Agire sulmiglioramento del percorso assistenziale, vuol dire innanzi-tutto metterlo in discussione in termini di qualità percepitaed oggettiva (esito delle cure) ed affrontare alla base il pro-blema principale della Sanità: quello dell’appropriatezzadegli interventi. È d’altronde stimabile che l’inappropriatezza(considerando il luogo, il tempo e la modalità di esecuzione)raggiunga e superi ormai, a seconda dei vari ambiti, il30-40% delle prestazioni. Il settore pediatrico si allinea a questa percentuale, in uncontesto tra l’altro che non prevede grandi investimenti,stanti gli attuali dati sulla natalità e persistendo lo squilibriodemografico a favore della popolazione anziana. L’assi-stenza pediatrica deve particolarmente riconsiderare a livelloterritoriale l’intervento educativo-preventivo, cercando anchedi correggere uno stile di vita foriero di un costante incre-mento delle malattie cronico-degenerative ormai prevalentinell’adulto e che hanno costi elevatissimi. Si impone quindiuna razionalizzazione delle numerose pediatrie ospedaliere,per lo più con organico sanitario largamente insufficiente,che non possono operare ormai in condizioni di sicurezzaper il malato e di dignità per gli operatori sanitari: solo deter-minate e selezionate pediatrie ospedaliere possono garan-tire quella necessaria casistica ed esperienza, premessanecessaria per un’assistenza di qualità. Occorre un’ade-guata programmazione regionale per identificare poi i neces-sari centri di riferimento di 3° livello, che possono avereanche una valenza interregionale a seconda del necessa-rio bacino di utenza. Merita una considerazione a parte l’emergenza-urgenzapediatrica, data la peculiarità dell’ambito assistenziale chefa riferimento ad una patologia in età evolutiva prevalente-mente acuta. Qualsiasi rete pediatrica regionale non puònon considerare un centro di riferimento nell’emergenza-urgenza pediatrica, partendo innanzitutto dal dato di fattoche l’emergenza in questo settore, seppur più rara rispettoall’adulto, è spesso imprevedibile e progressiva e di difficiletrattamento. Tra le tante e variegate realtà dipartimentali, isti-tuite secondo i più disparati e talora sconcertanti criteri, èsempre più importante istituzionalizzare un Dipartimentod’Emergenza-Urgenza pediatrico, mancante in diverseregioni, che sia garante dei percorsi assistenziali più arischio e complessi, oltre che fondamentale polo formativoper gli operatori sanitari e laici impegnati nel difficile approc-cio alle criticità pediatriche.

Giovanni Cardoni

EDITORIALE

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La valutazione del dolore addominale acuto rappre-senta un problema reale e frequente per il Pedia-tra, data la necessità di discriminare la molteplicepatologia che questo sintomo può sottintendere. Lacomplessa problematica del dolore addominale,infatti, comprende sia patologie specifiche pedia-triche, sia patologie non altrettanto tipiche ma che,in ambito pediatrico, presentano una estrinseca-zione clinica variegata. La stessa variabilità e complessità della sintomato-logia associata al dolore addominale nei diversiperiodi dell’età evolutiva giustifica la facilità di incor-rere in errori di inquadramento diagnostico, nono-stante l’attuale supporto della diagnostica di labo-ratorio e per immagini.

È importante sottolineare che il sintomo doloreaddominale e la sua espressività clinica sonospesso in relazione, specie nei primi anni divita, a patologie che non interessano primiti-vamente l’apparato gastroenterico (ad esem-pio, patologie delle vie respiratorie, dell’appa-rato urinario).

Per il Pediatra di Pronto Soccorso, è fondamentaleche la prima valutazione del paziente considerisoprattutto la facies e le condizioni generali. Inol-tre, è fondamentale un’accurata indagine anamne-stica ed un attento esame obiettivo che devesoprattutto escludere le cause più urgenti, ovveroquelle chirurgiche. Un corretto inquadramento del dolore addominalein età pediatrica, tuttavia, prevede l’esistenza di unadeguato supporto culturale che tenga conto deiseguenti aspetti:

1. FrequenzaSecondo la nostra esperienza, la frequenza deldolore addominale, riferito ad una patologia

esclusivamente gastroenterologica, è dell’ordinedel 5% come sintomo isolato e raggiunge il 20%,se si considera come sintomo associato o se-condario ad altra patologia.

2. Difficoltà di tempestivo inquadramentodiagnosticoIn alcuni casi, soprattutto nei primi 3 anni di vita,è difficile porre una diagnosi tempestiva e pre-cisa, specie per chi non ha maturato una neces-saria esperienza nel settore.

3. Età come fattore discriminanteMolto importante, il criterio cronologico nell’in-sorgenza del dolore addominale: nei primi annidi vita, prevalgono le coliche gassose (primimesi), la gastroenterite acuta, le occlusioni inte-stinali da stenosi intrinseche, da megacolon con-genito, da difetti di inserzione mesenterica convolvolo; quindi l’invaginazione intestinale, l’erniainguinale strozzata e la torsione del funicolo.Rara in questo periodo l’appendicite acuta. Dai 2 ai 6 anni, predominano la gastroenteriteacuta e la stipsi, l’infezione delle vie urinarie, lelesioni traumatiche, l’appendicite acuta, la pol-monite basale, l’adenite mesenterica; meno fre-quenti la diverticolite di Meckel, la porpora diSchonlein-Henoch, l’invaginazione intestinale, lanefrolitiasi, la sindrome uremico-emolitica, le neo-plasie (neuroblastoma e tumore di Wilms), leepatiti, la chetoacidosi diabetica. Dopo i 6 anni prevalgono: la gastroenterite acutae la stipsi, la sindrome del dolore addominale ri-corrente, le lesioni traumatiche, l’appendiciteacuta, l’infezione delle vie urinarie, l’adenite me-senterica; meno frequenti le polmoniti, la malat-tia di Crohn e la colite ulcerosa, l’ulcera peptica,la colecistite, le malattie del pancreas, la che-

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Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

Giovanni Cardoni, Elisabetta Fabiani, Massimo VigniniDipartimento di Emergenza PediatricoPresidio Ospedaliero Materno-Infantile “G. Salesi” -Ancona

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

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toacidosi diabetica, la torsione di cisti ovarica efunicolare, le annessiti, la gravidanza.

4. Prevalenza delle forme funzionaliNella maggior parte dei bambini, il dolore addo-minale è di origine funzionale, le cui caratteristi-che sono riportate nella Tabella 1.

Espressione di queste forme funzionali sono la sin-drome dei dolori addominali ricorrenti e la stipsi. Ildolore addominale ricorrente è definito da Apleycome caratterizzato da almeno 3 episodi di doloreaddominale che si manifestano in un periodo di 3mesi. Tale quadro clinico interessa circa il 10-15%dei bambini in età scolare e si manifesta con epi-sodi di dolore periombelicale ed epigastrico, divariabile durata, intensità e rapporto con i pasti. Sulpiano psico-comportamentale, questi bambini sicaratterizzano per: tendenza al perfezionismo,ansietà, difficoltà ad esprimere la propria condizionedi disagio. Frequenti nell’anamnesi turbe gastroen-teriche familiari. La diagnosi di dolore addominale ricorrente su basefunzionale deve comunque basarsi sull’esclusionedelle forme organiche che possono interessare taleepoca della vita, ovvero:

a) malattie infiammatorie croniche dell’intestino(specie la malattia di Crohn): orientano in talsenso l’eventuale sede periferica del dolore,la presenza di una massa palpabile a livelloaddominale, la febbre, il rallentamento dellavelocità di crescita, l’aumento degli indici dellaflogosi;

b) la celiachia: il dolore addominale ricorrente puòinfatti rappresentare l’unica manifestazione diuna malattia celiaca; dirimente in tale senso èl’esito dei marcatori sierologici per la entero-patia da glutine;

c) affezioni a carico del tratto urinario (infezionedelle vie urinarie, reflusso vescico-ureterale,

idronefrosi): l’esclusione di tali patologie si fon-derà sia sul quadro clinico che sull’esito disemplici indagini (esame delle urine, urinocol-tura, ecografia renale e vescicale);

d) malattia peptica: sono orientativi in tal sensola sede fissa del dolore (epigastrio), la pre-senza di dolore notturno, vomito e/o emate-mesi. In questi casi, è fondamentale eseguireuna esofago-gastro-duodenoscopia.

5. Prevalenza di forme secondarie o associate ad altre patologieParticolarmente frequenti le forme secondarie avirosi, specie quelle che seguono a processi in-fiammatori delle prime vie respiratorie. Questi ultimi, inoltre, possono provocare un au-mento di volume doloroso dei linfonodi mesen-terici con sintomatologia simil appendicolare. Ildolore correlato alle affezioni dell’apparato uri-nario non è sempre localizzato nella fossa lom-bare ed irradiato verso il dorso, come avvienenell’adulto; in particolare, nel bambino più pic-colo è frequente la localizzazione del dolore insede periombelicale.Per questo motivo, nei bambini che presentanodolori addominali ricorrenti, è fondamentale l’ese-cuzione di un esame delle urine, utile anche perinquadrare una nefrolitiasi, il coinvolgimento re-nale nella malattia di Schonlein-Henoch ed unapielonefrite. L’ecografia dell’addome presenta un debole va-lore diagnostico in bambini affetti da dolore ad-dominale ricorrente; peraltro, nel caso permettadi rilevare anomalie anatomiche, queste riguar-dano soprattutto l’apparato urinario.

6. Frequente evoluzione rapida e progressivadelle forme organicheL’evoluzione rapida e progressiva riguarda in ge-nere tutta la patologia rilevante ed acuta pedia-

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Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

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Tabella 1. Dolore addominale funzionale: peculiarità.

• Episodico

• Localizzazione periombelicale

• A carattere diurno

• Non in rapporto con i pasti e con l’esercizio fisico

• Familiarità positiva per disturbi gastrointestinali

• Crescita e sviluppo regolari

• Obiettività negativa

• Esami di laboratorio nella norma

• Particolari problematiche familiari e scolastiche

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trica ma, in particolare, l’appendicite acuta chenel bambino “brucia le tappe”: nel sospetto ditale affezione, tutt’ora fonte di frequente errorediagnostico, si raccomandano sempre una os-servazione clinica ripetuta ed una grande pru-denza diagnostica.

7. Localizzazione del doloreIn età pediatrica, a differenza di quanto avvienenell’adulto, la localizzazione del dolore non pre-senta un preciso valore indicativo diagnostico,

data l’obiettiva difficoltà di determinare il puntodi massima dolorabilità alla palpazione in unsoggetto spesso non collaborante e con dolorefrequentemente riferito in sede periombelicale.Tuttavia, la topografia del dolore addominaleacuto può risultare utile per effettuare un primoinquadramento diagnostico (Figure 1A e 1B).

Nella Tabella 2, sono riportati i segni e/o sintomi piùfrequentemente associati nelle principali patologiedi interesse gastroenterologico.

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Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Tabella 2.Il dolore addominale acuto e la diagnosi differenziale: importanza dei segni/sintomi associati.

• Appendicite: alvo tendenzialmente stitico

• Invaginazione intestinale: dolore intermittente, talvolta vomito e/o riscontro di sangue all’esplorazione rettale

• Gastroenterite: vomito e diarrea

• Infezione vie urinarie: disuria ed altri sintomi urinari

• Affezioni respiratorie: tosse

• Malattia peptica: melena ed ematemesi

Figure 1A e 1B.Dolore addominale acuto: topografia.

Appendicite retrocecalePielonefrite

Polmonite basaleEpatite acutaColecistite

Appendicite acutaNefrolitiasi

Ernia inguinale strozzataTorsione funicolo/ovaio

Gravidanza ectopica(adolescente)

PielonefritePolmonite basaleRottura splenica

StipsiNefrolitiasi

Ernia inguinale strozzataTorsione funicolo/ovaio

Gravidanza ectopica(adolescente)

PeritonitePancreatite acuta

Occlusione intestinaleStipsi

Coliche gassose

A B

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Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

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Clinica + Esami 1°livello NEGATIVI

Dimissione &eventuale follow-up

Dimissione & follow-up

Dimissione

Ricovero in Reparto Chirurgico

Esami di 1° livello: emocromo, proteina C-reattiva (PCR)-Glicemia ed esame urine*

Clinica e/o Emocromo +PCR POSITIVI

DOLORE ADDOMINALE ACUTO

Segni di Stipsi +Esami 1° livello

NEGATIVI

Clistere evacuativo

Sospetto di patologiachirurgica in atto

OSSERVAZIONE in PS

Consulenza chirurgica±

terapia antibiotica

Esami di 2° livello:• strumentali (eco addome, Rx diretta addome,

Rx torace, TAC addome**)• laboratorio (monitoraggio emocromo e PCR;

eventuale valutazione funzioni pancreatica,epatica, renale)

NOSI

Miglioramento clinico e degli esami ematochimico-strumentali

Figura 2.Il dolore addominale acuto: algoritmo diagnostico. * L’eventuale riscontro di alterazioni della glicemia e/o dell’esame delle urine depone per una patologia metabolica od urinaria.

** Può essere indicata, dopo consulenza chirurgica, se vi è persistenza di dubbio clinico e/o ecografico di complicanze di una appendicite acuta.

ANAMNESI• Età• Dolore• Vomito• Alvo• Riposo notturno• Trauma

ESAME OBIETTIVO• Facies• Polso• Temperatura• Resistenza e massa addominale• Problematiche extraintestinali (tosse, flogosi prime vie aeree,

chetoacidosi diabetica, disturbi urinari, artralgie, segni di vasculite)• Esplorazione rettale

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A completamento di quanto finora esposto, laFigura 2 riportata nella pagina precedente, proponeun algoritmo diagnostico per il dolore addominaleacuto, algoritmo che può costituire una buona lineaguida comportamentale per i Pediatri che operanoin un Pronto Soccorso.La nostra esperienza ci suggerisce di focalizzarel’attenzione soprattutto su due patologie di interessechirurgico e spesso di non facile inquadramentodiagnostico al Pronto Soccorso: l’appendicite acutae l’invaginazione intestinale.

Appendicite acuta

L’appendicite acuta rappresenta l’emergenza addo-minale più comune in età evolutiva, la cui diagnosiclinica è ancora oggi spesso impegnativa ancheper i chirurghi esperti, dato che il rischio di progres-sione verso la perforazione nei bambini è superiorea quello che si osserva nella popolazione adulta,variando dal 20 al 50%.Oggi peraltro l’affinamento dei mezzi diagnostici,unitamente ad una costante attenzione ai costi delleprestazione sanitarie, non può assolutamente pre-scindere da una condotta clinica molto prudenteche deve tendere sempre più all’appropriatezza dia-gnostica e a limitare un tasso ormai storico diappendicectomie non necessarie (fino a circa il40% dei casi, soprattutto in ospedali periferici dovel’osservazione specialistica non è possibile).L’incidenza dell’appendicite acuta è pari a 4 per1000 casi per anno nei soggetti in età scolare. Incirca un terzo dei bambini, generalmente di etàmaggiore, l’esordio è classico, ovvero caratteriz-zato da dolore addominale centrale diffuso seguitoda vomito e localizzazione della sintomatologiadolorosa alla fossa iliaca destra e febbre.

Nei bambini in età prescolare, la presentazione cli-nica dell’appendicite acuta è in genere più subdolacon conseguente diagnosi spesso non effettuata oposta tardivamente e con perforazione dell’appen-dice quale frequente riscontro all’esame laparoto-mico (fino al 90% dei casi). Pertanto, ancora oggila morbilità per appendicite nei bambini di età infe-riore ai 3 anni resta piuttosto elevata. In questipazienti infatti, l’immaturità anatomica, in partico-lare la mancanza di una adeguata barriera omen-tale, può contribuire alla rapida progressione versola perforazione e la peritonite. L’appendicite non raramente viene confusa con unagastroenterite, essendo una storia di diarrea pre-sente dal 33 al 41% dei casi; in questi casi, la diar-rea può rappresentare la modalità di presentazionedi una appendicite perforata. D’altronde, dato ilruolo ormai noto che eventuali pregressi episodi flo-gistici possono svolgere nella fisiopatologia dell’ap-pendicite acuta, è fondamentale prestare la mas-sima attenzione a quadri non sufficientemente“chiari” di infezione respiratoria, urinaria o gastro-enterica. Sono peraltro noti quadri clinici che simu-lano una appendicite acuta, tra cui quelli più fre-quenti sono riportati nella Tabella 3.Varie precisazioni sul piano anamnestico e del-l’esame obiettivo sono state proposte, inclusa quelladi porre una maggiore attenzione all’ordine di pre-sentazione dei sintomi, con una storia di doloreaddominale che precede il vomito considerata sug-gestiva di appendicite come opposta a quella diuna gastroenterite. Inoltre, la nostra esperienza sug-gerisce di porre attenzione anche alla deambula-zione del bambino, al valore anamnestico di unbuon riposo notturno (in relazione al tempo di esor-dio della sintomatologia dolorosa) ed alla rilevazionedi un importante parametro vitale (la frequenza car-diaca), dato che la tachicardia rappresenta la primarisposta ad una iniziale condizione di ipovolemia,

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Tabella 3.Le più comuni patologie extra-appendicolari che mimano una appendicite acuta nei bambini (da 27, modificata).

• Adenite mesenterica

• Torsione cisti ovarica

• Infezione vie urinarie

• Complicanze diverticolo di Meckel

• Malattie infiammatorie pelviche negli adolescenti (malattie infiammatorie croniche intestinali ed annessiti)

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quale frequentemente si riscontra nelle complica-zioni dell’appendicite acuta.Negli ultimi anni tuttavia, sebbene l’osservazioneclinica rappresenti il cardine della diagnosi, sonostati proposti degli schemi diagnostici di riferimento(score appendicolari), ancora non presenti nelnostro background culturale (Tabelle 4 e 5). Loscore appendicolare riportato nella Tabella 4, avente

un minimo di 0 ed un massimo di 32, è utilizzato perpredire la presenza o assenza di appendicite acuta.Il cut off per l’appendicite acuta è un punteggio ≥21che corrisponde ad una elevata probabilità diappendicite acuta, mentre il livello di cut off per unanon appendicite acuta è ≤15, punteggio in corri-spondenza del quale la probabilità di appendiciteacuta è bassa.

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Tabella 4. Score appendicolare (da 21, modificata).

Variabili Punteggio

• Sesso (maschi - femmine) 2 – 0

• Intensità dolore (severo - lieve o moderato) 2 – 0

• Riacutizzazione del dolore (sì - no) 4 – 0

• Dolore in fossa iliaca destra (sì - no) 2 – 0

• Vomito (sì - no) 2 – 0

• Temperatura corporea (≥ 37.5°C – <37.5°C) 3 – 0

• Difesa parete addominale (sì - no) 4 – 0

• Movimenti intestinali (assenti, tinkling o high-pitched-normali) 4 – 0

• Segno di Blumberg (sì - no) 7 – 0

TOTALE 30

Tabella 5. Il punteggio di MANTRELS (Alvarado) (da 30, modificata).

Segni e sintomi Punteggio

• Migrazione dolore quadrante addominale inferiore dx 1

• Anoressia 1

• Nausea e vomito 1

• Tenderness (resistenza) quadrante addominale inferiore dx 2

• Rebound dolore 1

• Elevata temperatura 1

• Leucocitosi 2

• Shift conta globuli bianchi a sn 1

TOTALE 10

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Pertanto, mediante la scelta dei due valori di cut offnel punteggio, i pazienti potrebbero essere divisi in3 gruppi:

1. gruppo non affetto da appendicite acuta(bassa probabilità di appendicite acuta – pro-ponibile per dimissione);

2. gruppo da osservare (probabilità intermediadi appendicite acuta – necessita di ulterioreosservazione);

3. gruppo con appendicite acuta (elevata pro-babilità di appendicite acuta – giustificatal’appendicectomia in urgenza).

Secondo tali autori, la rivalutazione clinica del bam-bino mediante utilizzo dello score e la sua integra-zione nel work-up diagnostico, soprattutto neipazienti con diagnosi dubbia e che necessitano dirivalutazione a determinati intervalli quale supportoclinico (dopo 3 e, se necessario, 6, 9 e 12 ore), con-sente di migliorare l’accuratezza diagnostica fino al92% e ridurre quindi il tasso di appendicectomienon necessarie.

Indagini ematochimicheL’esame emocromocitometrico per la conta dei glo-buli bianchi (GB) e la determinazione della proteinaC reattiva (PCR) rappresentano le indagini di labo-ratorio più comunemente usate quale supporto e acompletamento dei dati clinici nel processo deci-sionale, con riscontro di valori aumentati rispettiva-mente nella fase precoce dell’infiammazione (GB)e nella appendicite in fase avanzata (PCR). Tutta-via, la loro bassa specificità ed il loro basso valorepredittivo li rendono scarsamente attendibili nel con-fermare la presenza di una appendicite acuta;anche perché molte affezioni che mimano la stessasi associano anche ad una risposta infiammatoria(vedi Tabella 3). Numerosi studi riportano che il riscontro di valorinormali sia dei GB che della PCR consente di esclu-dere con elevata accuratezza (probabilità oltre il95%) una appendicite acuta anche nei bambini.Pertanto, l’esecuzione di questi test nei soggetti consospetto clinico di appendicite acuta potrebbe svol-gere un ruolo nell’incrementare l’accuratezza dia-gnostica. In particolare, come evidenziato sopra, èmolto improbabile che i soggetti con una appen-dice infiammata presentino valori normali sia dei GBche della PCR; in questi casi, anche in presenza diun sospetto clinico, potrebbe essere più ragione-vole ed opportuno procrastinare l’intervento chirur-gico e rivalutare il paziente nel tempo. Determina-

zioni ripetute dei marcatori di infiammazione potreb-bero dunque essere effettuate al fine di ridurre ilrischio di progressione verso la perforazione.Alcuni studi suggerirebbero che la PCR può esserepiù sensibile rispetto ai GB nell’individuare la per-forazione appendicolare, mentre i GB sarebbero piùsensibili rispetto alla PCR nel distinguere i pazienticon e senza appendicite. In particolare, Beltrán et al. avrebbero evidenziatoche i valori di PCR erano significativamente supe-riori nei pazienti con diagnosi di appendicite avve-nuta tra le 13 e le 24 ore dall’esordio dei sintomi,con raggiungimento da parte della PCR del suopicco circa intorno alle 40 ore. Inoltre, la valutazionedei GB e della PCR nei bambini con appendicitesemplice (evoluzione inferiore alle 48 ore) ed avan-zata (evoluzione superiore alle 48 ore) avrebbe evi-denziato che un aumento nella conta dei GB e neivalori di PCR dopo 48 ore dall’esordio dei sintomiera fortemente indicativo di perforazione appendi-colare. Pertanto, la PCR potrebbe essere utilizzata qualeindicatore per differenziare una appendicite sem-plice da una perforata; per quanto concerne i valoridei GB, invece, questi aumentano entrano le prime48 ore dall’esordio dei sintomi, dopodiché dato illoro sequestro nel tessuto infiammato, il numero deiGB circolanti si riduce.La determinazione dei valori dei GB e della PCRdovrebbe essere sempre utilizzata a supportodella diagnosi clinica di appendicite acuta e, aseconda del tempo intercorso tra l’esordio dei sin-tomi e la diagnosi, potrebbe consentire di differen-ziare i pazienti con e senza appendicite e discri-minare nei bambini l’appendicite semplice daquella perforata.

Indagini strumentaliL’ecografia addominale rappresenta l’indagine dia-gnostica radiologica di riferimento nella valutazionedei bambini con sospetta appendicite acuta (sen-sibilità 88-93%; specificità 96-97%). L’esito dell’indagine ecografica nella diagnosi diappendicite acuta può essere triplice: negativo,dubbio e suggestivo per appendicite. La valuta-zione dei segni secondari di appendicite in assenzadi evidenza dell’appendice potrebbe essere di uti-lità nel suddividere il gruppo con esito dubbio inquello positivo o negativo (Tabella 6). L’assenza dei segni secondari (con o senza visua-lizzazione dell’appendice normale) all’esame eco-grafico consente di escludere con sicurezza la dia-gnosi di appendicite acuta, mentre la presenza di

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segni secondari di appendicite senza evidenzadella stessa appendice è fortemente indicativo diappendicite acuta. La perforazione dell’appendiceè una delle cause di non visualizzazione appendi-colare.La Tabella 7 riporta alcuni “trabocchetti” nella dia-gnosi di appendicite acuta all’indagine ultrasono-grafica. La maggior parte degli Autori ritiene che la sensi-bilità, la specificità ed il valore predittivo di una taleclassificazione dei riscontri ecografici siano suffi-cientemente elevati per evitare radiazioni inutili dellaTAC nei bambini, anche nei casi dubbi, senzaaumentare la morbilità quale conseguenza di unaappendicite non diagnosticata.La riduzione della morbilità nei soggetti di età infe-riore ai 3 anni dipende principalmente dall’aumentodelle percentuali di diagnosi alla presentazione ini-

ziale, dal momento che la perforazione appendico-lare è generalmente associata con un ritardo dia-gnostico superiore a 36 ore.Secondo la nostra esperienza, nel sospetto diappendicite acuta, è l’indagine ecografica chedepone per la necessità di eseguire un esameradiografico diretto dell’addome, indagine quest’ul-tima disposta generalmente dal radiologo con com-petenza pediatrica. D’altronde, l’utilità dell’esecuzione di un esameradiografico diretto dell’addome nei bambini piùgrandi può essere controversa (ricerca segno dicarico fecale nel ceco che appare dunque disteso,segno che non è comune in altre patologie infiam-matorie) (Tabella 8) e, comunque, l’individuazionedi una ostruzione del piccolo intestino nei bambinidi età inferiore ai 3 anni è più suggestiva ed evoca-tiva verso la possibilità di un’appendice perforata.

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Tabella 7. L’indagine ecografica nell’appendicite acuta: “trabocchetti” (da 34, modificata).

• Numerose affezioni addominali possono mimare la presentazione clinica di appendicite

• Alcune condizioni si associano ad un aspetto anomalo dell’appendice (iperplasia linfoide)

• Sovrastima appendice distale infiammata, con appendice normale alla base

• Appendicite ricorrente a risoluzione spontanea

Tabella 8.Appendicite acuta ed esame radiografico diretto dell’addome: specificità (da 26, modificata).

• Presenza di immagine radiologica di carico fecale nel cieco in quasi tutti i pazienti con appendicite acuta

• Il segno radiologico rinforza la possibilità di appendicite acuta quando presente in pazienti con una diagnosi non stabilitadi dolore addominale acuto nei quadranti dx

• L’assenza di questo segno radiologico rende meno probabile la diagnosi di appendicite acuta

• L’esame radiologico è economico ed eseguibile in quasi tutte le strutture ospedaliere in qualsiasi momento e non è opera-tore-dipendente

Tabella 6.Ecografia ed appendice: quadri normali e segni secondari di appendicite acuta (da 34, modificata).

• Appendice normale (struttura compressibile a fondo cieco senza peristalsi e con diametro <6 mm)

• Appendice non evidente senza segni secondari di appendicite

• Appendice non evidente con uno dei seguenti segni secondari di appendicite (iperecogenicità tessuto adiposo mesente-rico, raccolta di liquido, ansa locale del piccolo intestino dilatata)

• Appendicite con evidenza di appendice infiammata (appendice non comprimibile con diametro ≥6 mm)

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Per quanto riguarda l’esecuzione della tomografiaassiale computerizzata (TAC), sebbene siano notila sua superiorità in termini di sensibilità e specifi-cità rispetto all’ecografia, molti studi sollevano il pro-blema dei rischi a lungo termine delle radiazioniionizzanti legati a tale indagine, specie nella popo-lazione pediatrica. Tuttavia, alcuni autori suggeri-scono di effettuare quest’esame, dopo un esitonegativo o dubbio dell’ecografia, al fine di incre-mentare l’accuratezza della diagnosi di appendi-cite, soprattutto se complicata. Secondo la cultura europea, in particolare quellaitaliana, l’uso della TAC nel work-up diagnosticodell’appendicite acuta è a tutt’oggi piuttosto limi-tato.La diagnosi di appendicite è una diagnosi chederiva dalla valutazione complessiva della storiaclinica e della sua evoluzione, dell’esame obiet-tivo, delle indagini di laboratorio e strumentali; sitratta, pertanto, di una affezione per la quale sononecessarie competenze multidisciplinari, che coin-volgono il pediatra, il chirurgo pediatra ed il radio-logo pediatra, competenze peraltro facilmente etempestivamente disponibili in un DEA pediatrico(Tabella 9).

Invaginazione intestinale

L’invaginazione intestinale è una emergenza chirur-gica relativamente comune in età pediatrica. L’inci-denza riportata è assai ampia e variabile, essendocompresa tra 0,66 e 4 casi per 1000 nati (in rela-zione anche all’area geografica considerata), conrapporto maschi/femmine pari a 2:1.L’invaginazione intestinale colpisce soprattutto ibambini nei primi 3 anni di vita, con un picco di inci-denza compreso tra i 5 e i 10 mesi di vita; tuttavia,

è riportato che in oltre il 50% dei casi l’età è infe-riore ad 1 anno e che in alcuni soggetti (meno del10%) l’età è superiore a 5 anni (l’incidenza di inva-ginazione intestinale nei bambini di età scolareviene riportata essere compresa tra l’1 ed il 6%). La sede più comune dell’invaginazione è quella incorrispondenza della flessura splenica, dovuta adinvaginazione ileocolica idiopatica. L’invaginazionea carico del piccolo intestino, invece, è relativa-mente meno frequente in età pediatrica (spessoviene evidenziata occasionalmente) e, nella mag-gior parte dei casi, presenta una risoluzione spon-tanea; si tratta comunque di forme idiopatiche e nonrichiedono ulteriore trattamento. Circa il 95% dei casi di invaginazione intestinaleche si verificano nella fascia di età tipica vengonodefiniti idiopatici senza alcun riscontro di un puntoprincipale patologico (pathologic leading point), masi associano in genere ad iperplasia del tessuto lin-fatico, spesso conseguente ad infezioni virali (ade-novirus, rotavirus, herpes virus). Nei soggetti con invaginazione intestinale ad esor-dio tardivo, ovvero di età compresa tra i 5 ed i 14anni, il rischio che tale affezione sia conseguenteall’esistenza di un punto di partenza patologicoarriva fino al 60%. È dunque importante, in questicasi, ricercare l’eventuale presenza di anomalieorganiche sottostanti, quali diverticolo di Meckel,polipo, cisti del piccolo intestino, ipertrofia nodularelinfoide, focus ectopico di tessuto pancreatico.L’ipertrofia del tessuto linfatico intestinale, spessosecondario ad infezioni virali, quale maggiore fat-tore causale dell’invaginazione intestinale idiopa-tica sembra essere a tutt’oggi l’ipotesi patogene-tica più accreditata. Altre ipotesi patogenetiche for-mulate includono:

a) maggiore sproporzione tra le dimensioni del-l’ileo e della valvola ileocecale nei bambinipiccoli rispetto a quelli di età superiore;

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Tabella 9.Diagnosi e trattamento dell’appendicite acuta: messaggi chiave (da 35, modificata).

• Contemporanea valutazione medica e chirurgica per qualsiasi paziente con sospetta appendicite acuta

• Qualsiasi intervento chirurgico dovrebbe essere effettuato quando la diagnosi clinica è inequivocabile

• Se incertezza diagnostica, dovrebbero essere effettuati, dopo breve intervallo di tempo (non superiore a parecchie ore)un periodo di idratazione e di rivalutazione clinica seriata

• Strutture e dipartimenti specialistici pediatrici consentono un ottimo outcome dei pazienti

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b) assenza della normale rotazione e fissazionedell’intestino quale fattore importante nel-l’eziologia dell’invaginazione intestinale idio-patica (sindrome di Waugh, ovvero associa-zione tra invaginazione e malrotazione);

c) aumento peristalsi intestinale e rilassamentovalvola ileocecale determinata dall’incremen-tata produzione di ossido nitrico a seguitodelle reazioni infiammatorie che generalmenteprecedono l’invaginazione intestinale.

Sono stati riportati casi di invaginazione intestinaleanche in seguito ad interventi chirurgici o a traumiaddominali chiusi.In alcuni casi è anche presente una ricorrenza fami-liare (gemelli, fratelli) e, dunque, è di notevole impor-tanza effettuare un’indagine anamnestica accuratain merito all’eventuale presenza di altri casi nelnucleo familiare. La presentazione clinica dell’invaginazione intesti-nale comprende una serie di segni e sintomi, tra cuiirritabilità, pianto intermittente, colica addominale,vomito biliare, emissione di feci ematiche gelatinosee massa addominale palpabile. La triade dolore addominale intermittente, vomito eriscontro di massa alla palpazione del quadranteaddominale superiore destro ha un valore predit-tivo positivo per invaginazione pari a circa il 93%;se a questa triade si aggiunge il sanguinamento ret-tale, tale valore predittivo positivo aumenta fino araggiungere il 100%. In questi casi, la diagnosi cli-nica di invaginazione intestinale è generalmentefacile, diagnosi che viene poi confermata dalle inda-gini radiologiche. Nei bambini più piccoli, il segno predominante èquello dell’associazione dolore addominale/irritabi-lità, seguito dal riscontro di feci ematiche. Il riscon-tro di letargia/irritabilità e/o di pallore/sudorazione,sebbene non siano segni classici di invaginazione,in un bambino con dolore addominale o vomitoandrebbero considerati nella diagnosi di invagina-zione. Esistono tuttavia altri casi in cui i tempi e le moda-lità di esordio dell’invaginazione intestinale sonoatipici, il che rende la diagnosi di tale affezione dif-ficile. Nei bambini di età scolare, infatti, il sintomoprincipale è rappresentato dal dolore addominale(riferito anche in sede periombelicale oppure infossa iliaca destra, elemento quest’ultimo che puòporre problemi di diagnosi differenziale con l’ap-pendicite), a carattere intermittente in molti casi;in questa fascia di età è raro osservare la classicatriade di dolore addominale, feci ematiche evomito.

La nostra esperienza ci dice peraltro che, stanteuna maggiore assistenza territoriale ed unaaumentata sensibilità genitoriale al sintomo dolore,questi bambini giungono sempre più tempestiva-mente alle strutture di riferimento dell’emergenza-urgenza pediatrica: questo comporta la scarsa evi-denziazione di sintomi normalmente tardivi, comeil vomito e le feci ematiche, che fanno comunqueriferimento ad una situazione di invaginazione sta-bilizzata. È importante altresì ricordare che, nel casoin cui la diagnosi venga posta in un bambino di que-sta età, dovrebbe essere attivamente ricercata unapatologia associata. Nei casi dubbi, è utile gestireil paziente in regime di osservazione breve, inmaniera tale da osservare le caratteristiche dei sin-tomi e la loro modalità di comparsa ed eseguireeventualmente lo studio radiologico.La conferma del sospetto diagnostico di invagina-zione intestinale viene posta mediante esecuzionedell’ecografia addominale che rappresenta l’inda-gine di elezione per la diagnosi, date le sue elevatespecificità e sensibilità unitamente alla non invasi-vità, all’assenza di radiazioni ed alla non necessitàdi sedazione. L’esame ecografico, inoltre, consente di evidenziarel’eventuale presenza di patologie organiche pree-sistenti (punti principali patologici) che possonosignificativamente influenzare il decorso dell’inva-ginazione intestinale sia in termini di progressionedei sintomi che del trattamento clinico e di fornirealcune informazioni sulla localizzazione dell’invagi-nazione (ileocecale vs ileoileale). Altri vantaggi dell’esame ecografico sono quelli dipoter effettuare una rivalutazione del soggetto condiagnosi di invaginazione intestinale dopo aver ten-tato di ridurla mediante clisma, di differenziare trauna riduzione incompleta ed un edema della val-vola ileocecale, nota anche come immagine “aciambella” post-riduzione. Il riscontro ecografico diuna lesione “a ciambella crescente” consente diconfermare la diagnosi di invaginazione, differen-ziando tale affezione da altre potenziali condizioniche possono mimarne l’aspetto ecografico insezioni traverse o longitudinali (ad es., qualsiasisituazione causa di ispessimento della parete inte-stinale, materiale fecale e lo stesso muscolo psoas,sebbene raramente, possono essere confusi perun’invaginazione). In un paziente con sospetto di invaginazione inte-stinale, il ruolo dell’ecografia non è semplicementelimitato alla diagnosi od alla esclusione di questaentità. Infatti, l’indagine ultrasonografica può essereestremamente efficace per documentare la pre-senza od assenza di punti di partenza patologici e

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per evidenziare altre patologie non correlate all’in-vaginazione. L’immagine ultrasonografica dell’inva-ginazione è molto caratteristica ed è riportata nellaTabella 10.Per quanto riguarda l’esame radiografico diretto del-l’addome, altro approccio diagnostico per l’invagi-nazione intestinale, il suo ruolo rimane tutt’ora con-troverso. I dati disponibili in letteratura suggerireb-bero che, laddove vi sia la possibilità di un ade-guato studio ecografico, nella maggior parte deibambini si può soprassedere all’esecuzione di unaradiografia diretta dell’addome, dato che le infor-mazioni fornite raramente modificano il trattamentodel paziente. Il ruolo più importante che l’esecu-zione della radiografia diretta dell’addome ha nel-l’ambito dell’invaginazione è quello di stabilire lapresenza di possibili complicanze, quali peritonitee perforazione intestinale, complicanze che rappre-sentano la principale controindicazione per la ridu-zione dell’invaginazione con clisma. Attualmente l’esecuzione di un clisma con mezzodi contrasto quale indagine primaria per determi-nare un’invaginazione intestinale non è raccoman-

data, mentre la tomografia assiale computerizzata(TAC) e la risonanza magnetica (RM) ne consen-tono la diagnosi con accuratezza; tuttavia, in etàpediatrica, l’uso della TAC e della RM dovrebbeessere riservato per la valutazione di pazienti sele-zionati, ovvero con complesse situazioni diagnosti-che (esame ecografico non conclusivo o atipico,oppure quando complicanze come il sospetto diuna patologia oncologica richiedono un ulterioreapprofondimento sul piano dell’imaging).Un’invaginazione intestinale non riconosciuta e,quindi, non adeguatamente trattata espone il sog-getto ad elevato rischio di severe complicanze,quali perforazione intestinale, peritonite e shock;l’intervento deve dunque essere il più tempestivopossibile. È importante altresì selezionare attenta-mente i pazienti al fine di individuare coloro nei qualila riduzione non chirurgica della invaginazione ècontroindicata (pazienti con segni di perforazioneintestinale, peritonite e shock). La Tabella 11 mostrauna serie di elementi clinici e di imaging indicativiper un probabile esito negativo della riduzione nonchirurgica.

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Tabella 10. Invaginazione intestinale ed ecografia: riscontri classici (da 17, modificata).

Piano trasversale

• Massa di diametro compreso tra 2,5 e 5 cm con tipica immagine di “crescent-in-doughnut” oppure a bersaglio (anelli concentrici multipli)

Piano longitudinale

• Immagine di “pseudorene”, “sandwich”, o “hay-fork” (visione longitudinale dell’immagine a “crescent-in-doughnut”) (invaginante ed invaginato + tessuto adiposo e vasi mesenterici)

Tabella 11.Riduzione non chirurgica della invaginazione intestinale: elementi suggestivi per un insuccesso (da 17, modificata).

• Esordio non recente della sintomatologia (maggiore è la durata dei sintomi, generalmente oltre 24 ore), minore è la probabilità di successo della riduzione non chirurgica

• Localizzazione rettale vs localizzazione colica

• Età atipica

• Disidratazione

• Ostruzione sintomatica del piccolo intestino

• Riscontro ecografico di presenza di liquido intraperitoneale e perforazione ileale

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sioni (diametro traverso <2 cm), coinvolgono unbreve tratto del piccolo intestino (<2.3 cm in lun-ghezza) e sono localizzate nella regione centroad-dominale o nei quadranti di sinistra, al contrariodelle invaginazioni ileocoliche. Il fatto che alcuneinvaginazioni presentano una riduzione spontaneasignifica che non tutte le invaginazioni diagnosti-cate all’indagine ecografica o TAC richiedono unariduzione terapeutica. Prima di effettuare il tentativodi riduzione, infatti, si dovrebbe stabilire se l’inva-ginazione sia ileocolica o limitata al piccolo inte-stino, se il paziente presenti o meno sintomi, e sepuò essere individuato un punto principale patolo-gico. Nei pazienti asintomatici con invaginazioni del pic-colo intestino e nessuna anomalia organica sotto-stante identificabile viene suggerita una osserva-zione conservativa.

Conclusioni

Il dolore addominale è uno dei sintomi più frequentiper il quale viene richiesta la visita al Pediatra diPronto Soccorso, il cui compito principale è quellodi verificare l’esistenza di una condizione di emer-genza-urgenza, ovvero una problematica di inte-resse chirurgico (appendicite acuta ed invagina-zione intestinale in primis). È importante tenere presente che, dopo i due annidi vita, la causa più frequente di dolore addominaleacuto di natura chirurgica è costituita dall’appendi-cite acuta, la cui evoluzione è spesso rapida e pro-gressiva. Il riscontro anamnestico di riposo notturnonon conservato e di rifiuto del cibo, una facies sof-ferente con resistenza della parete addominale edifficoltà alla deambulazione all’esame fisico,impongono una attenta valutazione clinica inambiente ospedaliero.È altresì importante valutare che episodi di piantoe di dolori ricorrenti, per i quali ovviamente sia l’in-dagine anamnestica che l’esame obiettivo nonhanno consentito di trovare una valida giustifica-zione, meritano di essere monitorati in regime diosservazione breve al fine di escludere una possi-bile invaginazione intestinale.La necessità di una adeguata osservazione clinicanel dolore addominale acuto è particolarmente rac-comandabile nei primi 3-4 anni di vita, quando sial’espressività che l’obiettività clinica sono spessoaspecifiche e sfumate, favorendo così l’errore dia-gnostico più comune che ribadisce come l’addomesia ancora oggi “la tomba del medico”.

La risoluzione dell’invaginazione intestinale avvienecon successo nella maggior parte dei casimediante clisma, modalità di trattamento che hanotevolmente migliorato l’outcome di questa con-dizione. Tale intervento terapeutico è economico,sicuro ed efficace con diversi studi che riportanopercentuali di successo variabili dall’80 al 92%. Nel caso in cui ad un primo tentativo di riduzionenon chirurgica dell’invaginazione intestinale sia con-seguita soltanto una riduzione parziale, in unpaziente comunque clinicamente ed emodinamica-mente stabile, la successiva ripetizione del clisma(a distanza di 30-60 minuti dal precedente) con-sente di ottenere la completa risoluzione dell’inva-ginazione fino al 50% dei casi. La maggior parte degli Autori, tuttavia, suggeriscedi effettuare almeno tre tentativi di riduzione non chi-rurgica prima di inviare il paziente all’attenzione delchirurgo.Le uniche ed assolute controindicazioni per la ridu-zione non chirurgica dell’invaginazione intestinalesono la peritonite e la perforazione.Il tasso di recidiva della invaginazione intestinaledopo avvenuta riduzione non chirurgica della stessavaria dal 5 al 20% con una media intorno al 10%;una invaginazione intestinale ricorrente presentaun’incidenza leggermente elevata di anomalie orga-niche sottostanti in circa l’8-9% dei casi. In circa lametà dei casi di recidiva, questa avviene entro le48 ore, ma sono stati riportati casi di recidiva anchedopo 18 mesi. La riduzione chirurgica di un’invaginazione intesti-nale è riservata a quei casi in cui sono falliti i ripe-tuti tentativi di riduzione non chirurgica in un bam-bino stabile o con instabilità emodinamica, segni diperitonite o di perforazione intestinale. La percen-tuale di recidiva nei casi di invaginazione intestinaleridotti chirurgicamente è ≤5% ed è verosimilmentesu base aderenziale.La riduzione spontanea di un’invaginazione non èun evento poco comune, dato che si riportaavvenga in circa il 17% di tutti i casi di invagina-zione; oltre la metà di questi casi sono asintomaticied il riscontro di un’invaginazione avviene casual-mente in corso di indagini effettuate per altre pro-blematiche, alcune delle quali possono predisporrealla formazione di queste invaginazioni transitorieperché possono influenzare lo spessore e la moti-lità della parete intestinale. Una riduzione spontanea dell’invaginazione intesti-nale può essere osservata anche nei bambini congastroenterite acuta. La maggior parte di queste invaginazioni a ridu-zione spontanea sono in genere di piccole dimen-

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Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

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Il tema della formazione, in un sistema assistenzialein evoluzione per le continue acquisizioni scientifi-che e per la crescente disponibilità di alte tecnolo-gie diagnostico-terapeutiche determinanti unagestione sempre più complessa, articolata ed inte-grata, ha assunto di recente un ruolo primario nel-l’organizzazione dei servizi del Sistema SanitarioNazionale. La formazione è più che mai la leva fondamentaleper un continuo adeguamento assistenziale, impo-sto anche dalle mutevoli esigenze di una utenzache pretende una risposta sempre più completa aibisogni di salute espressi. Naturalmente, l’ambito del sistema dell’Emergenza-Urgenza, che deve soddisfare i fabbisogni assisten-ziali primari, è quello più coinvolto nei programmiformativi che devono avere carattere di continuitàe di coinvolgimento comune medico-infermieristico,soprattutto per favorire quell’addestramento nelletecniche rianimatorie finalizzato a salvare la vita oquanto meno ad impedire devastanti esiti invali-danti.Le specifiche peculiarità fisio-patologiche del sog-getto in età evolutiva, soprattutto nei primi 2-3 anni,unitamente ad una non adeguata omogeneizza-zione funzionale-organizzativa dei servizi prepostia questo settore assistenziale, pongono inoltre ulte-riori problematiche assistenziali.Negli ultimi 10 anni, soprattutto grazie all’impegnodi diverse Società Scientifiche (Società ItalianaMedicina d’Urgenza - SIMEUP - e Società Italianadi Pediatria - SIP), è stato svolto un importantelavoro di sensibilizzazione sul problema dell’emer-genza-urgenza, nell’intento di rappresentare unpunto di riferimento organizzativo, culturale e scien-tifico per tutti gli operatori sanitari che, istituzional-mente o meno, si occupano di emergenza-urgenzapediatrica sia a livello ospedaliero che a livello ter-ritoriale, favorendo l’organizzazione di una Rete

Regionale dell’Emergenza. In Italia, infatti, una for-mazione pediatrica codificata nell’emergenza-urgenza a livello universitario è, a tutt’oggi, carente.Il Dipartimento di Emergenza ed Accettazione(DEA) Pediatrico, istituito soprattutto negli OspedaliPediatrici di Alta Specializzazione, assume un ruolocentrale nella promozione e coordinazione dell’Ur-genza Pediatrica, fondamentale per “mirare” gliinterventi formativi secondo livelli assistenziali pre-definiti.Da alcuni anni, in diverse regioni italiane, grazie aduna attiva collaborazione tra Dipartimenti di Emer-genza Pediatrica e Università, sono stati organiz-zati, con positivi riscontri, Corsi di Perfezionamentopost-specializzazione in Pediatria d’Urgenza e sonoin procinto di essere avviati i primi Master in Medi-cina di Urgenza Pediatrica.In ambito di società ed associazioni scientifiche inol-tre, grazie alla collaborazione tra SIMEUP ed ItalianResuscitation Council (IRC), si è assistito alla diffu-sione ad ampio raggio della formazione in Pedia-tric Basic Life Support (PBLS), che ha contribuito acreare un linguaggio comune tra pediatri ospeda-lieri, pediatri di famiglia ed operatori di area critica,costituendo una buona base per i corsi più artico-lati (PALS - Pediatric Advanced Life Support - esimulazione pediatrica avanzata).

L’attuale sistema formativo in campo sanitario pre-vede, di fatto, modelli e aspetti che operano instretta sinergia: il modello universitario, che asse-conda la vocazione prevalentemente didattico-for-mativa e quello ospedaliero-territoriale, che asse-conda la vocazione prevalentemente assistenziale.

Modello universitarioLa formazione del medico, dello specializzandoe del personale tecnico ed infermieristico (lau-ree brevi) è di competenza dell’Università, men-

Formazione nell’emergenza-urgenza pediatrica

Emanuela Piccotti, Maria Cristina DianaU.O. Pronto Soccorso Medico e Medicina d’UrgenzaIstituto “Giannina Gaslini” - Genova

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tre il ruolo rivestito dall’ospedale è di integra-zione rispetto alla didattica universitaria (con-venzione Regione-Università). Alcuni settoridella sub-specialistica e della specialistica pe-diatrica si realizzano in ospedale attraverso unadidattica pratica ed applicativa. Importante intal senso il ruolo del Pronto Soccorso (PS) edella medicina d’urgenza (come del resto dellapediatria di famiglia e di comunità): grazie al-l’esperienza ospedaliera o a livello territoriale,lo studente e lo specializzando hanno possibi-lità di acquisire competenza e professionalità indiverse procedure. Nel caso della Medicinad’Urgenza sarà necessario un impegno straor-dinario nella didattica e nella formazione dellospecializzando. Dovranno essere individuateforme istituzionalmente riconosciute per valoriz-zare il ruolo dei PS e della Medicina d’Urgenzaaffinché l’impegno didattico sia costante e com-pleto.

Modello Ospedale-TerritorioSi realizza, per esempio, nel caso dell’assi-stenza domiciliare al malato cronico, con coin-volgimento di più specialità pediatriche (onco-ematologia, gastroenterologia, centri fibrosi ci-stica, etc.). In questi casi, i processi di forma-zione sono di sicuro più complessi e delicati, inquanto necessariamente coinvolgono, oltre agli“addetti ai lavori”, la famiglia del paziente che,in alcuni casi, acquisisce competenze di fattoassistenziali. Gli Ospedali Pediatrici, per la con-notazione polispecialistica di 3° livello e perl’ampia casistica presentata, hanno anche unavocazione formativa come Ospedale di insegna-mento che si esplica anche a livello territoriale,nell’ambito di una sempre più necessaria inte-grazione socio-sanitaria.Un esempio di collaborazione ospedale-territo-rio si è realizzato nel DEA dell’Istituto G. Gasliniin collaborazione con la Scuola Professionale“L. Gaslini” attraverso l’organizzazione di corsidi base di rianimazione cardio-polmonare (RCP)per le famiglie con bambini affetti da ALTE (Ap-parent Life Threatening Event). Il riscontro posi-tivo di questa e di analoghe esperienze haspinto la SIP, la SIMEUP, la Società Italiana diPediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) e la Fe-derazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) a farsipromotrici di una iniziativa a livello nazionalevolta alla prevenzione di una delle principalicause di morte in ambito pediatrico per inci-dente domestico: il soffocamento per ostruzioneda cibo o da corpo estraneo. In collaborazione

con PS ed ASL, i pediatri si faranno carico di in-segnare le tecniche per la disostruzione dacorpo estraneo ai genitori: una occasione po-trebbe essere il bilancio di salute che abitual-mente si fa all’età di 6 mesi. L’Ospedale si im-pegnerà ad istruire i genitori dei pazienti a ri-schio (ad esempio neurolesi) sulle tecniche ria-nimatorie salvavita attraverso corsi PBLS, cosìda assicurare maggior sicurezza nell’ambito do-miciliare.

Modello della Educazione Continua Medica (ECM)Presuppone un coinvolgimento di tutto il perso-nale sanitario, pubblico e privato. L’attività di ag-giornamento e formazione viene configuratadalla legge come un sistema permanente a ca-rico di tutti i professionisti che operano, a qual-siasi titolo, con il Servizio Sanitario Nazionale econsiste nell’acquisizione di un numero di cre-diti formativi prefissati dalla Commissione Na-zionale per la formazione continua. Pur essen-dovi variazioni di metodi tra paesi europei e none rispettivi sistemi sanitari, la maggior parte deiprogrammi di formazione continua in medicinasi basa su alcune caratteristiche comuni:

a) sistema di accreditamento ad ore, in cuiun’ora di attività educativa corrisponde ad uncredito formativo;

b) le attività educative tendono ad essere divisein 3 categorie: 1. “dal vivo” esterne (corsi, seminari, riunioni,

congressi, prestazioni audio/video),

2. “dal vivo” intra-aziendali (attività pratiche,conferenze, grand round, consulti conesperti e colleghi),

3. “a distanza” su supporto cartaceo (riviste)o magnetico (PC, CD-Rom), basati su unprogramma di studi, con prova di valuta-zione.

In alcuni stati l’ECM è strettamente legato alla recer-tification, cioè al rinnovo dell’abilitazione all’eserci-zio professionale, gestito direttamente dal sistemasanitario o dalle società scientifiche. Il processo può richiedere test e prove pratiche,oppure dipendere dal conseguimento di un certonumero di crediti formativi in un determinato inter-vallo. In altre realtà (Belgio e Francia), i programmi for-mativi sono supportati da incentivi finanziari o dialtro genere (ad esempio, pubblicazione dell’elencodi medici che hanno portato a termine il programmadi ECM; come avviene in UK e Canada).

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Il ruolo svolto dai provider (organizzazioni che sioccupano di erogare e quindi di “accreditare” leattività formative) è uno degli aspetti più delicati econtroversi di ogni programma di formazione, siain Europa che negli USA. Il nodo del problema è il ruolo diretto ed indiretto,come sponsor degli eventi, svolto dalle aziende far-maceutiche con implicazioni relative al conflitto diinteressi che, in maniera più o meno evidente, pos-sono alterare qualità e contenuti degli eventi for-mativi. Le norme per contrastare il conflitto di interessivariano da stato a stato, ma la tendenza generaleè quella di favorire provider “istituzionali” qualificatidal punto di vista didattico e senza interessi di lucro,come le società scientifiche, le aziende sanitarie ele Università. In questo contesto si inseriscono le riviste scientifi-che internazionali, molte delle quali sono organi disocietà scientifiche, che offrono una varietà di eventiformativi tramite le loro edizioni cartacee od on-line.Il loro ruolo è sempre più rilevante, in quanto rie-scono a conciliare l’esigenza della qualità scienti-fica a costi contenuti e diffusione capillare. Si èquindi orientati verso una vera e propria internazio-nalizzazione delle attività formative, con tutti i bene-fici (standardizzazione di processi formativi) ed irischi connessi (realtà differenti che comportanoun’adeguata analisi preventiva degli specifici biso-gni formativi).

Apprendimento attivo in sanità

I modelli didattici inerenti la formazione e l’aggior-namento non devono basarsi su un sistema chiuso,ma essere quanto più possibile flessibili ed inno-vativi. Nell’esperienza ospedaliera, specie in ambito diemergenza-urgenza, il sistema formativo e diaggiornamento è caratterizzato dall’essere aperto,basandosi soprattutto sull’esperienza pratica e sul-l’analisi dei bisogni formativi.L’apprendimento attivo, particolarmente nell’adultoe più ancora nel professionista, è un processo dina-mico di interazione, nel quale il comportamento el’esperienza del discente hanno un ruolo essenziale:l’allievo diventa artefice del proprio progresso. Nonsi tratta di imprimere conoscenze nella mente, madi far partecipare il discente al processo che rendepossibile l’acquisizione di un insieme di conoscenze,abilità pratiche e capacità comunicative che egli puòsperimentare quotidianamente nella loro validità.

Apprendere significa quindi cambiare, modificareil proprio modo di pensare, di sentire, di agire, dicomunicare. D’altro canto, per l’operatore sanitarioil saper cambiare rappresenta probabilmente laprima risorsa culturale in un’epoca in cui, per pro-muovere la salute, è necessario tener conto sia delrapido mutamento dei bisogni e della domandadella comunità, sia della rapidità del progressoscientifico.Grande importanza, soprattutto nei corsi di forma-zione di tipo teorico-pratico, è rivestita dalla com-petenza del docente sia sul versante clinico-scien-tifico che metodologico, didattico, psicologico erelazionale. Infatti, il forte coinvolgimento deldiscente professionista e l’interazione diretta siste-matica docente-discente mette alla prova compe-tenze formative decisamente diverse e più com-plesse di quelle richieste per interventi di tipo fron-tale a grandi gruppi.Il momento valutativo, utile ad ottenere la certifica-zione che attesta il raggiungimento degli obiettivieducativi, avviene, solitamente, attraverso l’utilizzodi test teorici a risposte multiple, riguardanti esclu-sivamente i contenuti trattati durante la lezione teo-rica, e prove pratiche dove viene richiesto di dimo-strare l’acquisizione di ciò che è stato illustratodurante il training pratico.In realtà, la valutazione è sempre presente durantetutto il percorso formativo: infatti, da parte deldiscente adulto avviene un continuo processo diautovalutazione, soprattutto durante le esercitazionipratiche, che, con l’aiuto del “feedback” (informa-zione sul livello di padronanza) fornitogli daldocente, gli consente di capire quali siano i risul-tati raggiunti e cosa debba ancora fare per arrivareall’obiettivo stabilito. La valutazione finale costituisce non solo ilmomento in cui si verifica il livello di apprendimentoraggiunto, ma un ulteriore momento formativo, dimotivazione, di riflessione sui cambiamenti delcomportamento. Inoltre è utilizzata come strumentodi valutazione del lavoro svolto dai docenti, comemezzo di rivalutazione e correzione delle tecnichedidattiche.Il coinvolgimento attivo del discente riveste unaparticolare importanza se lo si guarda come ele-mento di verifica dell’efficacia delle tecniche didat-tiche. Infatti, la buona riuscita di un corso in ter-mini di ottenimento di performances di livello daparte dei discenti, è sintomo di una formazionecondotta in modo efficace; al contrario, se ungruppo di discenti non raggiunge gli obiettivi pre-fissati, occorre prendere in considerazione unarevisione delle tecniche didattiche e delle strate-

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I risultati di queste verifiche vanno costantementepresi in considerazione ed i contenuti possonocostituire materiale per una ulteriore pianificazionedella didattica attraverso l’utilizzo della spirale del-l’educazione (Figura 1). Questa si è rivelata in moltissime occasioni comeun prezioso strumento che consente di adattare gliobiettivi educativi (ciò che i discenti devono impa-rare) e di personalizzarli sulla base dei bisogni deidiscenti e delle esperienze formative precedenti.

gie formative: se un gruppo di discenti non rag-giunge il livello minimo di performance stabilito, laprima causa è da ricercare nell’insegnamento onell’organizzazione della didattica più che nellecapacità o motivazione dei discenti.Allo stesso modo risultano particolarmente utili i”test di gradimento” che vengono somministrati aidiscenti al termine dell’evento formativo per valu-tare il corso ed i docenti e raccogliere suggerimentisu eventuali modifiche.

LA “SPIRALE DELL’EDUCAZIONE”

Figura 1.La “Spirale dell’educazione”.

PIANIFICAZIONE DI UN SISTEMADI VALUTAZIONE

DEFINIZIONE DEI COMPITIE DEGLI OBIETTIVI EDUCATIVI

PREPARAZIONE ED ATTUAZIONE DI UN PROGRAMMA EDUCATIVO

ATTUAZIONE DELLA VALUTAZIONE

Divulgazione dei risultati

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Così, un programma di formazione può esserecostruito a seconda delle sue finalità, a seconda diciò che vogliamo che i discenti imparino. Se le finalità si modificano nel tempo, anche il pro-gramma dovrà essere di conseguenza modificato,sposando quel fondamentale concetto di flessibi-lità formativa che segue il costante progressomedico-scientifico e la corrispondente organizza-zione dei diversi servizi sanitari.

Macrosimulazione e microsimulazione

Le nuove tendenze in ambito formativo hanno comeobiettivo la necessità di trovare un giusto equilibriotra parte teorica e parte pratica, nella consapevo-lezza che è più facile rendere interessante unapprendimento pratico e più difficile coinvolgere idiscenti nell’illustrazione dei contenuti teorici del-l’insegnamento. Le metodiche di formazione edaggiornamento più recenti si basano sulla macro-e sulla microsimulazione, attraverso le quali si rea-lizza un notevole potenziamento dell’integrazionetra parte teorica e parte pratica dell’insegnamento.La macrosimulazione prevede la gestione di unoscenario reale, con valorizzazione della manualitàdell’operatore attraverso procedure ed interventicon l’impiego di manichini altamente sofisticati. Aidocenti è richiesto un maggiore impegno sul pianoorganizzativo, vista la necessità di gestire, anchedal punto di vista informatico, il software del simu-latore, mentre al discente è richiesto maggior coin-volgimento e controllo dell’emotività. L’utilizzo dellamacrosimulazione in formazione consente di spe-rimentare la gestione di scenari complessi, di per-fezionare le tecniche di comunicazione nel lavorodi equipe e di acquisire abilità nell’utilizzo di tuttele risorse disponibili.Nella microsimulazione, invece, lo scenario è vir-tuale, creato grazie al sistema informatico. Viene ad essere valorizzata, con questa tecnica,soprattutto la capacità decisionale in funzione dialgoritmi e linee guida, presentate attraverso situa-zioni cliniche o situazioni assistenziali ambientali(per esempio microsimulazione di catastrofe).La simulazione offre un ambiente sicuro nel quale idiscenti possono sviluppare e migliorare abilità pra-tiche affrontando la gestione di casi complessi in

uno scenario realistico. Prevede 3 fasi: il briefing(introduzione all’ambiente ed al caso clinico), lo sce-nario (svolgimento del caso clinico) ed il debriefing(analisi guidata delle varie fasi, commenti, uso delvideo). Da sottolineare che lo scopo ultimo è l’apprendi-mento, non la valutazione. I possibili campi di applicazione, date le notevolipotenzialità dei simulatori attualmente sul mercato,includono la medicina d’urgenza ed emergenzapediatrica, la terapia intensiva, la cardiologia, labroncopneumologia, la neonatologia e la medicinadelle catastrofi.

Considerazioni conclusive

La formazione, strumento fondamentale per l’inno-vazione organizzativa e per assicurare il migliora-mento continuo della qualità in tutti i servizi sanitari,riveste una importanza strategica e necessiterà diinvestimenti e risorse crescenti.Il settore particolarmente delicato e cruciale dell’ur-genza-emergenza pediatrica vede impegnate lesocietà scientifiche che di essa si occupano nellaelaborazione di linee guida didattiche, nel processodi accreditamento delle stesse e nella loro diffu-sione.È auspicabile che i Dipartimenti di EmergenzaPediatrica proseguano ed intensifichino la collabo-razione con l’Università per garantire agli specializ-zandi un percorso con obiettivi formativi ben defi-niti (a questo proposito un ruolo trainante potrebbeessere assunto dall’Associazione degli OspedaliPediatrici Italiani - AOPI) in attesa che cresca, all’in-terno dell’Università, la componente dedicata all’ur-genza pediatrica.È auspicabile che si giunga ad una definizioneoggettiva (come avviene in altri paesi) delle abilitàe dei requisiti che deve possedere il pediatra chepresta attività, anche solamente per una percen-tuale del suo tempo-lavoro, in area critica.Le aziende sanitarie e ospedaliere devono occu-parsi di analizzare periodicamente i bisogni forma-tivi del personale (specie in area critica), garan-tendo formazione ed aggiornamento mirati alla sod-disfazione dei bisogni, alla crescita culturale e almiglioramento della qualità erogata dai servizi.

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12,96*Classe A

1-2 flaconcini/die

Adulto:

-1 flaconcino

richiudibile/die

Bambino:1 2

1. RCP.

* A tale prezzo vanno applicate le riduzioni temporanee previste dalla normativa in vigore.

0,8 mg/2 ml SOSPENSIONE PER NEBULIZZATORE

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1. NOME DELLA SPECIALITÀ MEDICINALEPRONTINAL 0,8 mg/2 ml sospensione per nebulizzatore 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA100 ml di sospensione sterile contengono: Principio attivo: beclometasone dipropionato 0,040 g.Per gli eccipienti, vedere 6.1. Non contiene conservanti.3. FORMA FARMACEUTICASospensione per nebulizzatore. Per aerosol.4. INFORMAZIONI CLINICHE4.1Indicazioni terapeuticheControllo dell’evoluzione della malattia asmatica e delle condizioni di broncostenosi. Riniti allergiche evasomotorie, affezioni infiammatorie ed allergiche delle cavità nasali e del tratto rino faringeo.4.2 Posologia e modo di somministrazioneAdulti: un flaconcino monodose per seduta 1-2 volte al giorno.Bambini: metà contenuto di un flaconcino monodose per seduta 1-2 volte al giorno.Il flaconcino reca una graduazione corrispondente a metà dose.Agitare energicamente prima dell’uso.Per l’utilizzo eseguire le seguenti operazioni:1) Flettere il flaconcino monodose nelle due direzioni.2) Staccare il flaconcino monodose dalla striscia prima sopra e poi al centro.3) Agitare energicamente scuotendo e rovesciando il flaconcino per rendere omogenea la sospensione.

Ripetere questa operazione, finché l’intero contenuto non sia completamente ridisperso e mescolato.4) Aprire il flaconcino monodose ruotando l’aletta nel senso indicato dalla freccia.5) Esercitando una moderata pressione sulle pareti del flaconcino monodose far uscire il medicamento

nella quantità prescritta ed immetterlo nell’ampolla del nebulizzatore.6) In caso di utilizzo di metà dose, il flaconcino può essere richiuso capovolgendo e premendo il tappo. Il

flaconcino richiuso deve essere conservato a temperatura compresa fra 2 °C e 8 °C (in frigorifero) ela quantità rimasta deve essere utilizzata entro 12 ore dalla prima apertura.

4.3 ControindicazioniInfezioni virali e tubercolari attive o quiescenti locali. Soggetti con ipersensibilità individuale ai componen-ti. Generalmente controindicato in gravidanza e allattamento (v. par. 4.6).4.4 Speciali avvertenze e speciali precauzioni per l’usoLe infezioni delle cavità nasali o dei seni paranasali devono essere trattate con terapia appropriata, manon costituiscono controindicazioni specifiche all’uso del PRONTINAL. Benché PRONTINAL sia in grado dicontrollare nella maggior parte dei casi la rinite allergica stagionale, uno stimolo abnormemente elevatodi allergeni può richiedere appropriata terapia supplementare. Il trasferimento di pazienti in trattamentocontinuativo con steroidi per via generale alla terapia con PRONTINAL richiede precauzioni se vi è motivodi supporre che la funzionalità surrenalica sia alterata. Comunque inizialmente PRONTINAL va sommini-strato continuando il trattamento sistemico; successivamente questo va progressivamente ridotto control-lando il paziente ad intervalli regolari (in particolare vanno effettuati periodici esami della funzionalità cor-tico surrenale) e modificando la posologia di PRONTINAL a seconda dei risultati ottenuti. Durante i perio-di di stress o di grave attacco asmatico i pazienti, sottoposti a tale passaggio, dovranno avere un tratta-mento supplementare di steroidi sistemici. La terapia con PRONTINAL non ha finora dato luogo al riscon-tro di una riduzione dei livelli di cortisolo plasmatico.Tale riduzione è stata osservata solo in pazienti che ricevevano il doppio della dose massima consigliatadi beclometasone dipropionato somministrato mediante aerosol pressurizzato. Tenere il medicinale fuoridella portata e della vista dei bambini.4.5 Interazioni medicamentose ed altreNon note.4.6 Uso in gravidanza ed allattamentoNon somministrare nel primo trimestre di gravidanza. Nell’ulteriore periodo, durante l’allattamento e nellaprima infanzia PRONTINAL deve essere somministrato soltanto in caso di effettiva necessità e sotto diret-to controllo del medico.

4.7 Effetti sulla capacità di guidare e sull’uso di macchineNessuno.4.8 Effetti indesideratiA seguito della somministrazione di beclometasone dipropionato per via aerosolica, in alcuni pazienti puòcomparire candidosi della bocca o della gola. Pazienti con dati anamnestici o di laboratorio indicanti unaprecedente infezione possono sviluppare più facilmente tale complicazione. L’incidenza della candidosisembra essere in relazione con la dose somministrata. L’affezione risponde generalmente ad appropriataterapia antifungina topica senza interruzione del trattamento con beclometasone dipropionato. L’insorgenzadi tali infezioni fungine può essere minimizzata sciacquandosi regolarmente la bocca dopo ogni applicazio-ne. In pazienti con vie aeree molto sensibili l’uso del prodotto potrebbe dar luogo a tosse e raucedine.4.9 SovradosaggioI pazienti vanno tenuti sotto stretto controllo nel corso di trattamenti prolungati affinché, nell’improbabileevenienza che un uso eccessivo del preparato induca alterazioni della funzionalità surrenalica, il trattamen-to possa essere interrotto ed il paziente tempestivamente protetto dagli effetti della soppressione surrena-lica mediante opportuna terapia sistemica.5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE5.1 Proprietà farmacodinamichePRONTINAL contiene come principio attivo il beclometasone 17,21-dipropionato, cortisonico dotato di spic-cata attività antiinfiammatoria ed antiallergica topica sulla mucosa nasale e bronchiale. Il beclometasonedipropionato (BDP) è un corticosteroide di sintesi, di uso esclusivamente topico, con potente attività antiin-fiammatoria, ridotta attività mineralcorticoide ed assenza di effetti sistemici. Nel test di vasocostrizione cuta-nea secondo Mc Kenzie il BDP è 5000 volte più attivo dell’idrocortisone, 625 volte più attivo del betameta-sone alcool, 5 volte più attivo del fluocinolone acetonide e 1,39 volte più attivo del betametasone valerato.Possiede intensa e prolungata attività antiinfiammatoria nei confronti dell’edema da olio di croton, da car-ragenina, da formalina, da bianco d’uovo e da destrano e della reazione granulomatosa da corpo estraneo,con efficacia superiore a quella di altri corticosteroidi. Per via aerosolica PRONTINAL è indicato nella tera-pia dell’asma bronchiale, delle riniti allergiche e vasomotorie e delle manifestazioni infiammatorie delle affe-zioni rino-faringee. PRONTINAL è privo alle dosi consigliate di attività cortisonica generale: esso pertantonon dà luogo agli effetti sistemici ed alle controindicazioni ben note della corticoterapia.5.2 Proprietà farmacocineticheStudi di cinetica con beclometasone dipropionato marcato hanno dimostrato che dopo inalazione di unadose elevata solo il 20-25% viene assorbito. Una parte della dose somministrata viene deglutita ed elimi-nata nelle feci. La frazione assorbita in circolo viene metabolizzata per via epatica a monopropionato e abeclometasone alcool e successivamente escreta in forma di metaboliti inattivi nella bile e nelle urine.5.3 Dati preclinici di sicurezzaTossicità acuta: DL50 (topo per os) >4000 mg/kg; DL50 (ratto per os) >4000 mg/kg; DL50 (topo per i.m.)400 mg/kg; DL50 (ratto per i.m.) 420 mg/kg.Tossicità cronica: ratto per nebulizzazione (180 giorni), cane per nebulizzazione (90 giorni). La sommini-strazione non ha provocato alcuna alterazione del peso corporeo, della crasi ematica e del trofismo dellamucosa delle vie respiratorie. Le funzioni epatiche e renali si sono mantenute nella normalità.Tossicità genetica: la somministrazione per nebulizzazione a ratte e coniglie gravide non ha provocatosegni di tossicità né sulla madre, né sui feti, né aborti, né diminuzione del numero dei nati.6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE6.1 Elenco degli eccipientiSodio cloruro, Polisorbato 20, Sorbitan monolaurato, Acqua per preparazioni iniettabili6.2 IncompatibilitàNon note.6.3 Durata di stabilità a confezionamento integro2 anni. Tale periodo è da intendersi per il prodotto in confezionamento integro, correttamente conservato.6.4 Speciali precauzioni per la conservazioneConservare il prodotto in posizione verticale, come riportato sulla confezione. I flaconcini monodose fuoridalla busta di protezione si conservano fino a 3 mesi. In caso di utilizzo di metà dose, il flaconcino richiusova conservato a temperatura compresa fra 2 °C e 8 °C (in frigorifero) ed utilizzato entro 12 ore.6.5 Natura del contenitore e confezione Confezione interna: flaconcini monodose in polietilene con graduazione di metà dose, richiudibili, in busti-ne termosaldate di PET/Al/PE. Confezione esterna: astuccio in cartoncino stampato. Astuccio di 20 flacon-cini monodose da 2 ml 6.6 Istruzioni per l’usoV.par. 4.27. TITOLARE A.I.C.Dompé spa - Via Campo di Pile - 67100 L’Aquila8. NUMERO DI A.I.C.0327980239. DATA DI AUTORIZZAZIONE16.12.199910. ULTIMA REVISIONE TESTO: gennaio 2007TABELLA DI APPARTENENZA DPR 309/90Non pertinente.REGIME DI DISPENSAZIONE AL PUBBLICOSpecialità medicinale da vendersi dietro presentazione di ricetta medica.

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

0,8 mg/2 ml SOSPENSIONE PER NEBULIZZATORE

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Definizione

Si definisce chetoacidosi diabetica (DKA) un gravescompenso metabolico causato da una diminuzioneassoluta o relativa dei livelli circolanti di insulinaassociata ad un aumento degli ormoni contro-rego-latori quali glucagone, catecolamine, cortisolo eormone della crescita.La DKA rappresenta la causa più importante di mor-bilità e mortalità in soggetti in età pediatrica affettida diabete mellito insulino-dipendente (IDDM) e necostituisce la modalità di esordio nel 15-67% deicasi (Europa e Nord America). La frequenza della DKA diminuisce in modo signi-ficativo con l’aumentare dell’età: infatti passa da un36% nei bambini di età inferiore a 5 anni al 16% inquelli di età maggiore di 14 anni e non sembra cor-relare con fattori quali sesso ed etnia.

Il rischio di DKA in soggetti con IDDM già diagno-sticato è di circa 1-10% per paziente per anno. Talerischio risulta aumentato in soggetti con cattivo con-trollo metabolico o precedenti episodi di DKA, fem-mine adolescenti, soggetti con disturbi psichiatricie con problemi socio-familiari. La mortalità è legataprevalentemente all’insorgenza ed alla gravità del-l’edema cerebrale; altre possibili cause di mortalità(ipo-iperpotassiemia, ipoglicemia, sepsi, trombosi,ARDS, rabdomiolisi) sono decisamente più rare.

Fisiopatologia della DKA

Gli effetti dell’insulina e degli ormoni controregola-tori sul metabolismo glicemico, lipidico e proteicosono descritti nella Tabella 1.

La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

Francesco BelliaUnità Operativa di Pediatria e Pronto Soccorso PediatricoAzienda Ospedaliera-Universitaria Vittorio Emanuele, Ferrarotto, S. Bambino - [email protected]

Massimo SoffiatiU.O. Pediatria-Terapia Intensiva Pediatrica e NeonataleAzienda Ospedaliera di Verona-Ospedale Civile Maggiore - [email protected]

Tabella 1.Effetti degli ormoni sul metabolismo di: carboidrati, tessuto adiposo e proteine.

Substrato

Ormone

Glucosio Tessuto adiposo Proteine

Insulina >Sintesi del glicogeno >Lipogenesi >Sintesi proteica

<Gluconeogenesi <Lipolisi

>Utilizzo del glucosio

Glucagone >Glicogenolisi >Lipolisi

>Gluconeogenesi >Chetogenesi (fegato)

Catecolamine >Glicogenolisi >Lipolisi

G.H. e Glucocorticoidi >Gluconeogenesi >Chetogenesi (fegato)

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Come conseguenza dello squilibrio metabolico siha un aumento della produzione di glucosio attra-verso la glicogenolisi e la gluconeogenesi con risul-tante iperglicemia >200mg/dl (>11mmol/l), diuresiosmotica, perdita di elettroliti, disidratazione, dimi-nuzione della filtrazione glomerulare e iperosmola-rità. Contemporaneamente, la lipolisi determina unaumento dei livelli di acidi grassi liberi, l’ossida-zione dei quali facilita la gluconeogenesi e producechetoni (acido acetacetico e acido β-idrossibutir-rico). Ciò determina una acidosi metabolica, asso-ciata ad acidosi lattica come conseguenza dell’ipo-perfusione. La progressiva disidratazione, l’iperosmolarità, l’aci-dosi e le alterazioni elettrolitiche rappresentano unulteriore “trigger” per lo scompenso ormonale per-petuando e aggravando lo stato di alterazione meta-bolica.I criteri biochimici che caratterizzano la DKA sonorappresentati da:

• iperglicemia >200 mg/dl (>11 mmol/l);• pH venoso <7,3 o bicarbonati plasmatici

<15 mmol/l;• chetonemia e chetonuria.

La severità della DKA è definita dal grado di aci-dosi:

• lieve (pH venoso 7,2-7,3); • moderata (pH 7,1-7,2);• severa (pH <7,1).

La chetosi e l’acidosi sono le principali responsa-bili dello squilibrio elettrolitico, del vomito e delladisidratazione, mentre la chetonuria contribuisceall’ulteriore perdita di acqua ed elettroliti per viarenale.L’iperglicemia causa iposodiemia diluizionale,dovuta al passaggio di acqua dal compartimentointracellulare a quello extracellulare, pertanto lasodiemia misurata dal laboratorio può essere erro-neamente diminuita.

Formule per calcolare il sodio vero in mEq/ml in corso di iperglicemia:

Na+ corretto(mEq/l) = [sodio (mEq/litro) + 0,016 glicemia (mg/dl) - 100)]

Na+ corretto(mEq/l) = sodio + 2 [glicemia (mml/l) - 5,6]–––––––––––––––––––––––

5,6

Il potassio, a causa dell’acidosi metabolica, tendea spostarsi dal compartimento intracellulare a quelloextracellulare in quanto scambiato con ioni idro-geno.

La sua concentrazione ematica potrà essere nor-male o aumentata, nonostante le perdite urinarie.In corso di DKA però è sempre presente ipopotas-siemia intracellulare.La perdita dei fosfati è causata dall’acidosi e dallaiperglicemia, soprattutto per via renale. I fosfati sonocomponenti fondamentali del 2-3-difosfogliceratoeritrocitario (2-3DPG) e la loro carenza determinauna ridotta cessione di ossigeno ai tessuti, soprat-tutto nella fase di miglioramento dell’acidosi.Durante il trattamento della DKA, l’eccessiva som-ministrazione di fosfati alle soluzioni di infusione,può causare ipocalcemia.Nel paziente affetto da DKA si verifica un aumentodegli enzimi pancreatici (amilasi e lipasi) probabil-mente legato all’acidosi ed alla scarsa perfusionepancreatica. Lo sviluppo di una pancreatite puòcomplicarne il trattamento. L’acidosi comporta inoltre ridotta contrattilità car-diaca, con rischio di scompenso cardiaco e shock(eventi tuttavia rari nei pazienti pediatrici).

Caratteristiche cliniche della DKA

Manifestazioni cliniche quali polidipsia, poliuria, nic-turia, perdita di peso (fino a 6-7 kg nel giro di 3-4settimane) in genere anticipano di alcune settimanel’esordio della DKA.Il quadro clinico della DKA è caratterizzato da:

• disidratazione. In corso di DKA la disidrata-zione è sempre iper-osmolare e per valori>320 mOsm/l possono manifestarsi i primi se-gni neurologici quali obnubilamento del sen-sorio, perdita di coscienza fino al coma;

• respiro rapido, profondo (respiro di Kussmaul).L’iperventilazione rappresenta il tentativo dicompenso che l’organismo mette in atto pereliminare valenze acide attraverso le vie respi-ratorie;

• nausea, vomito e dolore addominale (il 2-3%dei pazienti giunge all’attenzione del chirurgoper sospetto addome acuto), sintomatologiada imputare all’aumento dei corpi chetonici cir-colanti;

• oligo-anuria (se la disidratazione è >10%);• astenia, crampi ed ipotonia muscolare, la

causa è spesso da ricercare nella ipokaliemiaintracellulare.

In base al grado di disidratazione e di compromis-sione dei parametri vitali distinguiamo una DKAlieve, moderata e severa (Tabella 2).

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Gestione della DKA

Il bambino con DKA dovrebbe essere gestito in unreparto pediatrico nel quale:

• il personale medico ed infermieristico possiedeadeguata competenza nella gestione dellaDKA;

• esistono linee guida scritte per il trattamentodella DKA;

• il laboratorio è in grado di rispondere tempe-stivamente alle frequenti indagini biochimiche,necessarie soprattutto nelle fasi iniziali di dia-gnosi e di trattamento.

Soggetti con DKA severa (lunga durata dei sintomi,compromissione del circolo o depressione del livellodi coscienza) o a rischio aumentato di sviluppareedema cerebrale (età inferiore a 5 aa, bassi livelliplasmatici di CO2 o alti livelli di azoto ureico),dovrebbero essere gestiti in un reparto di terapiaintensiva pediatrica dove possono essere messe inatto le procedure diagnostico-terapeutiche neces-sarie (intubazione con conseguente ventilazione,monitoraggio della pressione venosa centrale, pres-sione arteriosa invasiva). In particolare, gli obiettivi della gestione di unpaziente con DKA sono:

1. garantire il supporto di base delle funzioni vi-tali. Nei soggetti con alterazione dello statodi coscienza (Glasgow Coma Scale <8), delrespiro o del circolo, deve essere garantita lapervietà delle vie aeree, mantenendo unaadeguata ventilazione-ossigenazione eadeguato supporto del circolo (Airway,Breathing, Circulation). La somministrazionedi ossigeno è indicata per i pazienti che pre-sentano instabilità respiratoria e/o emodina-mica. Per i pazienti con GCS <8 è indicata laprotezione delle vie aeree mediante intuba-

zione e ventilazione. Una valutazione dei pa-rametri emodinamici (frequenza cardiaca, co-lorito, idratazione della cute, temperatura,tempo di riempimento capillare, polsi centralie periferici, pressione arteriosa) e respiratori(frequenza respiratoria, dinamica respirato-ria), ci guiderà nella somministrazione di bolidi soluzione fisiologica (10-20 ml/kg in15-20 min) fino al miglioramento del grado diperfusione a livello di cute e d’organo e aduna stabilizzazione della pressione arteriosasistemica nello shock scompensato. Il repe-rimento di una vena periferica si rende indi-spensabile già nelle prime fasi della valuta-zione del nostro paziente. Trattandosi spesso di pazienti gravemente di-sidratati o in stato di shock, può essere diffi-cile reperire un accesso periferico. In caso dishock, limitare il tempo per reperire una venaperiferica a 90-120 secondi e considerareuna vena centrale e/o l’accesso intraosseo.Può essere utile reperire più linee venose nelcaso di infusione continua di insulina ed altrifarmaci (ad es. vasoattivi). Un monitoraggio invasivo della pressione ar-teriosa può risultare indispensabile nella fasedi peggioramento del quadro emodinamico(shock ipovolemico); inoltre la linea arteriosaci dà la possibilità di frequenti prelievi ema-tici utili nel monitoraggio emogasanalitico,elettrolitico e della glicemia. Un catetere ve-noso centrale è raramente necessario e co-munque indicato per ottenere valori di pres-sione venosa centrale in caso di instabilitàemodinamica nonostante il trattamento ini-ziato (fluidi e farmaci vasoattivi). Da ricordareche cateteri venosi centrali aumentano ulte-riormente il rischio di trombosi nei pazienticon DKA.

Tabella 2.Forme di DKA.

DKA Lieve DKA Moderata DKA Severa

Grado di disidratazione 3-5% 6-9% 10-15%(deficit 30 cc/kg di acqua) (deficit 60 cc/kg di acqua) (deficit 90 cc/kg di acqua)

Segni clinici:

Refill Normale Normale o ridotto Ridotto

F.C. Normale Aumentata Aumentata

P.A. Normale Normale o ridotta Normale o ridotta

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2. Pesare il paziente. Il peso è importante percalcolare i fluidi da infondere al paziente:deve essere usato il peso riscontrato all’attodella visita e non dati precedenti riferiti daigenitori oppure derivanti da precedenti visitemediche.

3. Eseguire esami di laboratorio: glicemia, elet-troliti, azotemia, creatinina, osmolarità pla-smatica, emogasanalisi, emocromo, calcio,fosforo, magnesio, emoglobina glicosilata(HbA1c), esame delle urine.

4. La presenza di febbre e la persistenza di leu-cocitosi con neutrofilia durante il trattamentodella DKA devono far pensare alla presenzadi un’infezione sottostante. In questi casi sonoindicate: colture (sangue, urine), proteina Creattiva, procalcitonina, radiografia del torace.

5. ECG, soprattutto in assenza della potassie-mia, per valutare eventuali alterazioni plasma-tiche dello ione.

Diagnosi differenziali

Se la diagnosi non è sicura o se sono necessariealtre indagini di laboratorio, campioni ematici

dovrebbero essere inviati in laboratorio per scree-ning tossicologici, ammoniemia, coagulazione,enzimi epatici e colture per considerare altre pos-sibili eziologie (Tabella 3).

Complicanze

Le complicanze associate alla DKA ed al suo trat-tamento possono essere:1. immediate (entro la prima ora dall’ammissione

in ospedale): • shock;• trombosi per grave disidratazione, embolia

polmonare;• insufficienza renale;• acidosi metabolica grave;

2. a breve termine (dopo 8-24 ore dall’inizio dellaterapia medica):

• grave ipopotassiemia (aritmie, arresto car-diaco);

• ipoglicemia;• polmonite da aspirazione;• edema cerebrale;• sepsi;• pancreatite.

28 | rivista di EMERGENZA E URGENZA PEDIATRICA

La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Tabella 3.DKA e possibili eziologie.

Sintomatologia iniziale Diagnosi differenziali

Acidosi metabolica Gastroenterite grave con ipovolemiaAvvelenamento da salicilatiAvvelenamento di ferro, isoniazide

Coma Ipoglicemia Overdose di sedativi ipnotici o narcoticiTrauma cranicoInfezioni a carico del SNC

Poliuria, Nicturia Dolori addominaliInfezioni delle vie urinarie

Iperglicemia Avvelenamento da salicilati (glicemia <300mg/dl)Tossicità da ferroIpernatriemiaStress Sepsi

Chetonuria senza iperglicemia GastroenteriteDigiuno protrattoAvvelenamento da salicilatiAnoressia di varia origine

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Edema cerebrale

L’edema cerebrale (EC) rappresenta la complicanzapiù temuta associata alla DKA, con una frequenzariportata in letteratura attorno allo 0,5-1% di tutte leDKA ammesse in ospedale ed una mortalità del20-30%. Nei pazienti sopravvissuti, esiti legati aldanno cerebrale variano a seconda delle popola-zioni studiate, con una frequenza variabile del10-25%. Altre possibili cause di mortalità e morbi-dità, legate alla DKA, includono l’ipo-iperkaliemiacon aritmia, ipoglicemia, sepsi, polmoniti da inala-zione, edema polmonare, ARDS, rabdomiolisi.

Fisiopatologia e fattori di rischio

Ipossia-ischemia: l’ipovolemia legata alla disidrata-zione, aggravata dai bassi valori di PaCO2 (conse-guenza dell’acidosi metabolica ed iperventilazione)determinano vasocostrizione con conseguenteischemia cerebrale, ipossia e aumentata permea-bilità capillare come causa di EC. Diversi autori sup-portano tale meccanismo, evidenziando che altilivelli di azoto ureico e bassi livelli di CO2 sono statitrovati in pazienti affetti da EC in corso di DKArispetto a controlli.

Stato iperosmolare e fluidi somministratiSecondo alcuni autori, come conseguenza dellostato iperosmolare sierico, le cellule cerebrali pro-teggono il loro volume producendo osmoli intracel-lulari attraverso vie metaboliche che partono prin-cipalmente da taurina e mioinositolo. I livelli di taliosmoli si riducono gradualmente nello spazio intra-cellulare man mano che l’osmolarità sierica siriduce. Una riduzione eccessivamente lenta di taliosmoli rispetto alla riduzione dell’osmolarità siericalegata alla terapia reidratante, favorisce il passag-gio di acqua dal compartimento vascolare alle cel-lule cerebrali.Rischi sono legati anche alla terapia con insulina, laquale abbassa i livelli di glicemia (e di conseguenzal’osmolarità sierica) e stimola la ripresa del passag-gio di ioni (sodio-idrogeno) attraverso la membranacellulare. Entrambe queste condizioni possono favo-rire il passaggio di acqua entro le cellule cerebrali.L’evoluzione legata a questa terapia (reidratante,insulinica) ha fatto ritenere che il trattamento fosseresponsabile dell’insorgenza dell’EC. Molti autori,tuttavia, pongono dubbi sul fatto che tali meccani-smi possano spiegare, quantomeno da soli, l’insor-genza dell’EC. A riguardo, recentemente in lettera-

tura, è stata evidenziata, mediante TAC encefalo inpazienti con DKA all’esordio, la presenza di EC“subclinico” nel 5% dei casi. Studi con RMN dell’encefalo, inoltre, pongonodubbi sulla natura, vasogenica o citotossica, del-l’EC in corso di DKA. Nel primo caso sono chiamatiin causa danni ipossici, ischemici, infiammatori,metabolici ed ossidativi che determinano un dannoa livello della barriera emato-encefalica. Nel se -condo, lo stato iperosmolare e la successiva tera-pia con fluidi ed insulina sono ritenuti i responsa-bili. Probabilmente non esiste un solo meccanismofisiopatologico e più epifenomeni concorrono adeterminare l’EC.

Bicarbonato di sodioIl rischio legato alla somministrazione di bicarbo-nato di sodio sembra dipendere dal diminuito rila-scio di O2 alle cellule cerebrali secondario allo shiftdella curva di dissociazione dell’O2 con conse-guente ipossia e acidosi paradossa. La sommini-strazione di bicarbonato di sodio è per molti consi-derata pericolosa e non dovrebbe essere usata, conl’unica possibile eccezione di una severa depres-sione miocardica legata all’acidosi.

Intubazione ed iperventilazioneAlcuni autori sostengono che l’intubazione e l’iper-ventilazione, messe in atto per trattare l’EC sinto-matico, rappresentano un fattore di rischio indipen-dente per un peggiore outcome neurologico. Ciò èprobabilmente dovuto al fatto che bassi livelli diPaCO2, legati all’iperventilazione, causano un dannoalla barriera emato-encefalica legato a vasocostri-zione ed ischemia, con conseguente edema vaso-genico. Altri autori pongono l’accento sul fatto chenei pazienti ventilati esiste il rischio che la ventila-zione meccanica determini un rapido incrementodei livelli di PaCO2 rispetto ai valori di ipocapnia dipartenza degli stessi pazienti (conseguenza del-l’iperventilazione spontanea) con effetto negativosulla circolazione cerebrale. In conclusione, vi èaccordo nel sostenere che quando necessaria, laventilazione meccanica dovrebbe garantire livelli diPaCO2 vicini ai valori iniziali pre-intubazione per evi-tare livelli troppo alti o troppo bassi di PaCO2.

Diagnosi

La diagnosi di EC è soprattutto clinica; il primosegno di EC può essere l’arresto respiratorio epupille midriatiche e fisse. È pertanto importante

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valutare e rilevare i primi segni e sintomi di un cam-biamento clinico del paziente: bradicardia, cefalea,aumento della pressione arteriosa, irrequietezza,sonnolenza.Muir et al. hanno proposto un utile sistema di criteridiagnostici maggiori e minori “bedside” per la dia-gnosi di CEDKA.

Criteri diagnostici• Anomala risposta motoria o verbale al dolore

• Postura decorticata o decerebrata

• Paralisi nervi cranici (soprattutto III, IV e VI)

• Alterazione pattern respiratorio (grunting, ta-chipnea, respiro di Cheyne-Stokes)

• Apnea

Criteri maggiori• Alterazione dello stato di coscienza

• Decelerazione della F.C. (>20b/min) non legataa miglioramento dell’emodinamica o riposo

• Incontinenza inappropriata per l’età

Criteri minori• Vomito

• Cefalea

• Stato letargico

• Pressione diastolica >90 mmHg

• Età <5aa.

Diagnosi differenziale

Nella diagnosi differenziale devono essere consi-derate altre patologie quali: ipoglicemia, intossica-zione da farmaci, infezioni (meningite, encefalite),trombosi, embolia, stroke, infarto cerebrale, idroce-falo ostruttivo, trauma.

Terapia dell’EC

MannitoloDose di 0,5-1 g/kg e.v. (2,5-5 ml/kg della soluzioneal 20%), in 20-30 minuti. In seguito potrà essere con-tinuato alla dose di 0,25 g/kg/h in infusione continua(1,25 ml/kg/h), oppure ripetuto in bolo ogni 4-6 ore.Il mannitolo può migliorare l’outcome dei pazienticon EC attraverso una diuresi osmotica ed una dimi-nuzione della viscosità ematica, migliorando così ilflusso ematico cerebrale ed il rilascio di O2.

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Soluzione salina ipertonicaL’uso di soluzione salina ipertonica previene omitiga l’iponatremia. Rispetto al mannitolo, non siassocia alla diuresi osmotica cui è legato il rischiodi ipovolemia e di ischemia cerebrale.

Intubazione ed iperventilazioneTali procedure trovano indicazione nella protezionedelle vie aeree nel soggetto in stato di coma.Intese nel trattamento dell’EC, si è già discussoprecedentemente dei rischi-benefici di tale tratta-mento.

Monitoraggio della pressione intracranicaIn letteratura sono riportati alcuni lavori che sugge-riscono il monitoraggio invasivo della pressioneintracranica in corso di CEDKA.

Prevenzione dell’EC

FluidiÈ indicata prudenza nella somministrazione di fluidi,evitando quantità eccessive, somministrazionitroppo rapide e l’uso di soluzioni ipotoniche. L’indi-cazione a boli di fluidi è rappresentata dall’instabi-lità emodinamica (tachicardia, refill >2”, estremitàfredde, oligo-anuria, ipotensione). Per il calcolo difluidi da infondere successivamente come mante-nimento, considerare un deficit del 5-7% del pesose non è presente shock, del 10-15% del peso inpresenza di shock.

InsulinaÈ raccomandata la dose di 0,1 U/kg/h o 0,05 U/kg/hnei bambini di età <5 aa. Boli di insulina non sonoraccomandati in età pediatrica. Se la glicemia diminuisce ad una velocità <50mg/dl/h o se la glicemia rimane stabile su valori ele-vati di partenza nelle prime 2-4 ore, aumentare ladose di 0,15 U/kg/h. Se la glicemia scende a valori <300 mg/dl o se dimi-nuisce ad una velocità >100 mg/dl/h, aggiungereglucosio nel rapporto di 4-5 g per unità di insulina.

Alterazioni elettroliticheCome detto precedentemente, non esiste una rela-zione sicura tra la caduta della sodiemia e l’insor-genza dell’EC. È comunque indicato l’uso di soluzioni isotoniche(sol. fisiologica 0,9%) per i boli di fluidi e come tera-pia iniziale per correggere il deficit di fluidi fino anormalizzazione di valori di sodio.

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

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Linee guida per il trattamento della DKA

Terapia reidratanteLa DKA è caratterizzata da un’importante perditadi acqua ed elettroliti, sia dal compartimento intra-cellulare che da quello extracellulare. Nonostantela disidratazione, i pazienti affetti presentano unconsiderevole output di urine fino al mantenimentodi un’adeguata perfusione renale. Gli obiettivi della terapia reidratante sono:

• ripristino di un adeguato volume circolante, disodio e liquidi intra ed extracellulari;

• normalizzazione della filtrazione glomerularecon aumentata clearance di glucosio e che-toni dal sangue;

• mantenimento di una stabilità emodinamicaevitando però di eccedere nella quantità difluidi somministrati.

A tale riguardo c’è unanimità in letteratura nel rite-nere importante non somministrare quantità ecces-sive di fluidi, fluidi somministrati troppo rapidamenteo l’uso di soluzioni ipotoniche. Il bolo di fluidi trovaindicazione nell’evidenza di instabilità emodinamica,usando soluzione fisiologica (0,9%) alla dose di10-20 ml/kg in caso di shock.

Da un punto di vista temporale è indicato infonderele seguenti quantità di liquidi:

• 1a ora: si infondono 8-10 ml/kg di soluzionefisiologica, con l’indicazione di non superarei 500 ml in questo arco di tempo;

• 2a-24a ora: soluzione fisiologica 0,9% per al-meno le prime 4-6 ore, continuando poi consoluzione salina a concentrazione non infe-riore allo 0,45%. La quantità di liquidi da in-fondere sarà di 1,5-2 volte il fabbisogno dimantenimento in base al peso o alla superfi-cie corporea (Tabelle 4, 5 e 6).

Metà della quota di mantenimento sarà sommini-strata dalla 2a alla 8a ora, mentre la restante quan-tità dalla 9a alla 24a ora. Il volume di liquidi da infon-dere è calcolato in base al fabbisogno giornalieroe non bisogna mai superare i 4 l/m2/24h.

Scelta dei liquidi da infondereLa composizione dei liquidi da infondere è basatasulla valutazione dei seguenti parametri:

• glicemia

• osmolarità plasmatica.

Tabella 4.Metodo per calcolare la quantità di acqua di mantenimento:fabbisogno giornaliero in base all’età, al peso ed alla superficie corporea.

• Età 3-6 anni (peso 14-21 kg) = 2200 ml/m2

• Età 7-9 anni (peso 22-29 kg) = 1800 ml/m2

• Età >10 anni (peso 30-55 kg) = 1500 ml/m2

Tabella 5.Metodo per calcolare la quantità di acqua di mantenimento:fabbisogno di acqua in base al peso.

Quantità nelle 24 ore ml/kg/ora

100 ml/kg/24 ore fino a 10 kg 4 ml/kg/ora

1000 ml + 50 ml/kg/24 ore per ogni kg tra 11 e 20 40 + 2 ml/kg/ora per ogni kg tra 11 e 20

1500 + 20 ml/kg/24 ore per ogni kg oltre 20 60 + 1 ml/kg/ora per ogni kg oltre 20

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

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Se la glicemia è superiore a 250 mg/dl o 14 mml/l– soluzione fisiologica isotonica (0,9%) quando

l’osmolarità è inferiore a 300 mOsm/l;– soluzione fisiologica ipotonica (0,45%)* se

l’osmolarità supera 300 mOsm/l.

Se la glicemia è inferiore a 250 mg/dl o 14 mml/l– soluzione fisiologica isotonica (0,9%) con glu-

cosio al 5% quando l’osmolarità è inferiore a300 mOsm/l;

– soluzione fisiologica ipotonica (0,45%)* con glu-cosio al 5% se l’osmolarità supera 300 mOsm/l.

Terapia con insulinaSebbene l’idratazione da sola determina una dimi-nuzione dei livelli di glicemia, la terapia insulinica èessenziale per normalizzare i valori glicemici e sop-primere la lipolisi e la chetogenesi. L’infusione di insulina viene iniziata dopo la primaora di infusione di soluzione fisiologica necessariaper espandere il volume circolante. La dose indi-cata è di 0,1 U/kg/h (0,05 U/kg/h se il bambino hameno di 5 anni) se la glicemia è maggiore di 250mg/dl (14 mml/l), 0,03-0,05 U/kg/h di insulina se laglicemia è minore di 250 mg/dl (14 mml/l).La riduzione consigliata della glicemia è di 50-75mg/dl/h. Se la riduzione della glicemia è maggioredi 100 mg/dl/ora, è indicato l’aumento della quan-tità di glucosio somministrato nei liquidi di infusione.Se al contrario la glicemia si abbassa molto lenta-mente (<50 mg/dl/h) si aumenterà la velocità di infu-sione insulinica passando a 0,15-0,2 U/kg/h.Dopo otto ore di trattamento, se la glicemia non èinferiore a 350 mg/dl (19 mml/l), oppure non si èridotta del 50% rispetto al valore iniziale, la dosed’insulina deve essere aumentata a 0,2 U/kg/h.La somministrazione di insulina va mantenuta finoalla riduzione dell’acidosi ed alla scomparsa dellachetonuria, che generalmente avviene dopo 24 ore.

La prima somministrazione di insulina sottocutedeve precedere di 30 minuti il termine dell’infusione,per impedire la ricomparsa di iperglicemia, inquanto l’emivita dell’insulina somministrata per viavenosa è di circa cinque minuti.

Supplementazione potassio Il deficit di potassio, nel corso di DKA, è dell’ordinedi 3-6 mmol/kg e riguarda in misura maggiore ilcompartimento intracellulare. La terapia insulinica e la correzione dell’acidosidetermineranno un passaggio del potassio nel com-partimento intracellulare, diminuendo ulteriormentei livelli sierici. Prima di aggiungere potassio all’infusione, bisognatuttavia controllare la potassiemia ed accertarsi chela diuresi sia presente.Per valori di potassemia:

– ≤3 mEq/l, si consiglia una concentrazione di po-tassio nei liquidi di infusione di 30-40 mEq/l:

– >3 e≤4 mEq/l, si consiglia una concentrazionedi potassio nei liquidi di infusione di 20-30mEq/l;

– >4 e≤5 mEq/l, si consiglia una concentrazionedi potassio nei liquidi di infusione di 15-20mEq/l;

– ≥5 mEq/l attendere e rivalutare la potassiemia.

Il potassio non deve essere infuso ad una velocitàmaggiore di 0,5 mEq/kg/h e si consiglia di nonsuperare i 5 mEq/kg/24 ore.

Tabella 6.Metodo per calcolare la quantità di acqua di mantenimento:fabbisogno di acqua in base all’età.

Età 0-2 anni 80 ml/kg/24 ore

3-5 anni 70 ml/kg/24ore

6-9 anni 60 ml/kg/24 ore

10-14 anni 50 ml/kg/24 ore

Adulti >15 anni 30 ml/kg/24 ore

* Formule per calcolare il sodio vero in mEq/ml in corso di iperglicemia:

Na+ corretto(mEq/l) = [sodio (mEq/litro) + 0,016 glicemia (mg/dl) - 100)]Na+ corretto(mEq/l) = sodio + 2 [glicemia (mml/l) - 5,6]–––––––––––––––––––––––

5,6

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

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Tabella 7.Insulina sottocute: somministrazioni.

Dopo 24-48 ore Insulina 0,8-1 U/kg/die

Mattina Rapida 16% della dose totale

Mezzogiorno Rapida 33% della dose totale

Sera Rapida 33% della dose totale

Ore 22.00 Intermedia 16% della dose totale

Nella prima giornata di trattamento della DKA valu-tare:

• ogni ora– glicemia capillare, parametri vitali e condi-

zioni neurologiche (GCS);

• ogni 4 ore– azotemia, glicemia, elettroliti, creatininemia,

ematocrito, chetonuria, glicosuria, calcolodell’osmolarità plasmatica (v.n. 275-285mOsm/l);

• ogni 4-8 ore– emogasanalisi.

AlimentazionePer le prime 24-48 ore bisogna continuare l’infu-sione parenterale. Dopo tale periodo, se le condizioni generali delpaziente lo permettono, si inizierà la somministra-zione di insulina sottocute in quattro somministra-zioni giornaliere (Tabella 7) e contestualmente sipotrà introdurre una dieta leggera, ricca di carboi-drati (pane, pastina, fette biscottate, frutta) e poveradi grassi (evitare latte e formaggio).

Osservazioni utili nella gestione della DKA• I segni ed i sintomi iniziali nel paziente af-

fetto da DKA non sempre sono correlati con

la gravità dell’affezione, pertanto ogni pa-ziente che giunge al pronto soccorso consospetto di DKA deve essere considerato af-fetto dalla forma grave, fino a che la valuta-zione clinica e di laboratorio non provi il con-trario.

• I pazienti con DKA di difficile gestione (insta-bilità metabolica, emodinamica) o a rischiomaggiore di sviluppare complicanze (inmodo particolare EC) devono essere gestitida personale medico ed infermieristico chepresentano adeguata competenza ed espe-rienza nella gestione della DKA. Considerarein questi casi il trasferimento del pazientepresso una terapia intensiva pediatrica.

• La terapia migliore della DKA è sicuramentela sua prevenzione. Se la diagnosi tardiva diun diabete tipo 1 all’esordio è in genere lacausa di chetoacidosi diabetica in questi pa-zienti, nei soggetti con IDDM già diagnosti-cato, un episodio di DKA è legato, nella mag-gioranza dei casi, ad un voluto e coscienteipodosaggio di insulina somministrato dal pa-ziente stesso. In questi casi è mandatorio in-dagare su eventuali problematiche psico-so-ciali che ne possono essere la causa (tenta-tivo di perdere peso in adolescenti con pro-blemi alimentari, stato depressivo, conflittua-lità familiare).

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La chetoacidosi diabetica in età pediatrica

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Bibliografia essenzialeBibliografia essenziale

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Introduzione

Nell’ambito degli incidenti domestici l’ingestione dicorpo estraneo (CE) rappresenta un evento abba-stanza frequente in Pediatria. Sono soprattutto ibambini più piccoli ad essere ad alto rischio poi-ché, muovendo i primi passi alla scoperta dell’am-biente circostante, vengono a contatto con glioggetti più disparati ed utilizzano la bocca comeprimo mezzo di conoscenza (1).Secondo i dati epidemiologici del Ministero dellaSalute aggiornati al 2001 e riferiti a tutti i soggettiricoverati per ingestione di CE, la popolazionepediatrica, compresa fra uno e sei anni, costituisceall’incirca il 30%.Sebbene l’80-90% dei CE ingeriti transiti attraversoil tubo gastroenterico senza alcun problema (1,15), non mancano i possibili rischi: alcuni oggettiingeriti, per le loro dimensioni o caratteristiche diforma, potrebbero bloccarsi in aree di restringi-mento fisiologiche (il muscolo cricofaringeo in eso-fago o la valvola ileocecale) o in tratti di restringi-mento patologici nei bambini portatori di malfor-mazioni congenite provocando ostruzione o per-forazione (2, 3, 4). Inoltre, alcuni oggetti, tra cui le pile a bottone, pos-sono provocare erosioni della mucosa esofagea conformazioni di fistole tracheoesofagee ed erosioneaortica o con meccanismo elettrochimico o provo-cando una necrosi da pressione o rilasciandometalli tossici contenuti nella pila (4, 5, 9).Molteplici sono gli studi riguardanti l’ingestione diCE ma, mentre la maggior parte degli autori è con-corde nell’adottare un atteggiamento non invasivoper quei CE di piccole dimensioni (<3 cm) e consuperficie smussa, non ancora univoco è l’atteggia-mento per quanto riguarda l’ingestione di CE poten-zialmente lesivo quali le pile a bottone.

Obiettivi

Scopo di questo studio è confrontare i dati della let-teratura con la nostra esperienza clinica, maturataattraverso una valutazione retrospettiva degliaccessi con diagnosi di ingresso “ingestione dicorpo estraneo” avvenuti presso il PS Pediatricodell’Azienda “Cannizzaro” di Catania dal giugno2002 al febbraio 2006, nel tentativo di elaborare unalgoritmo decisionale in grado di ottimizzare i risul-tati e ridurre al minimo i rischi.

Risultati

La nostra casistica si compone di 122 bambini, 83maschi e 39 femmine. Il 6,8% dei pazienti aveva etàinferiore ad 1 anno, il 75,4% età compresa fra i 2 e i6 anni, il 17,6% fra i 7 e 14 anni. Si è osservata unaprevalenza del sesso maschile in tutte le fasce d’etàconsiderate (Figura 1).Dopo una accurata anamnesi circa l’ora, la circo-stanza dell’ingestione, l’ora dell’ultimo pasto e ladescrizione del CE, abbiamo valutato la sintomato-logia (dolore, scialorrea, cianosi, tosse) e, succes-sivamente, abbiamo verificato la diagnosi sottopo-nendo tutti i bambini a RX torace ed addome (conmezzo di contrasto nel caso di oggetti radiotraspa-renti). Nella nostra casistica, in 105 casi (86%) sitrattava di corpi radiopachi (32 monete, 27 biglie,11 pile a bottone, 5 ciondoli, 2 viti,1 rondella metal-lica, 1 linguetta di lattina, 1 forcina per capelli, 4anelli, 1 graffetta fermacarte, 2 spilli e 3 magneti, 1chiave, 1 molla, 2 fermagli per capelli, 11 frammentidi giocattolo), mentre i CE radiotrasparenti erano17 (14%) e costituiti da pezzi di vetro o frammentidi giocattoli.

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Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casi

Anna Maria Fisichella, Concetta Leonardi, Tiziana Sciacca, Antonio RussoU.O. Pediatria e Pronto Soccorso Pediatrico, A.O. “Canizzaro”, Catania

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La sede più frequente di localizzazione dei CE eragastrica nel 74% dei casi (80 casi), esofagea nel5% (5 casi) ed intestinale nel 21% (23 casi).Al momento dell’accesso in PS solo 4 bambini su122 presentavano sintomi: dolori addominali in unbambino che aveva ingerito una linguetta di lattinadocumentata in sede intestinale, disfagia in duebambini che avevano ingerito una moneta con sedeesofagea, disfagia e scialorrea in una bambina chepresentava un CE appuntito (crocifisso di rosario)in sede esofagea (Figura 2).I bambini con CE in sede gastrica o intestinale, dipiccole dimensioni smussi e potenzialmente nonlesivi (79%, 64 casi) furono inviati a domicilio conl’avvertenza di ritornare se il CE non fosse statoemesso con le feci entro 72 ore. Solo 10 di essi ritor-narono e solo in 8 fu necessaria la rimozione endo-scopica.Dieci bambini furono ricoverati perché, sebbene ilCE avesse oltrepassato lo stomaco, era potenzial-mente lesivo (vetro, spilli, forcine, linguette metalli-che). Questi bambini eliminarono spontaneamenteil CE senza alcuna complicanza.La rimozione endoscopica in urgenza venne ese-guita nei tre bambini sintomatici con CE in sedeesofagea (due che avevano ingerito una moneta eduna che aveva ingerito un crocifisso da rosario bloc-cato al terzo prossimale dell’esofago) ed in sei bam-bini con CE potenzialmente lesivo in sede gastricae che al momento erano a digiuno: si trattava in

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Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casi

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Figura 1.Caratteristiche demografiche del campione studiato.

0

1anno

(%)

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

3anni

5anni

7anni

9anni

11anni

13anni

Maschi Femmine

Figura 2.DN, 5 anni, sintomatica. Ingestione di crocifisso localizzato insede esofagea e rimosso endoscopicamente in PS.

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questi casi di pile a bottone (4 casi), di un magnetedi cm 4 x 1 (1 caso) e di una molla per pinza dabiancheria (1 caso) (Figura 3).La rimozione endoscopica non fu associata adalcuna complicanza chirurgica ed anestesiologicaed i piccoli furono dimessi ed inviati a domiciliodopo qualche ora dall’intervento.Fu tentata la rimozione endoscopica inurgenza in un bambino che aveva ingerito duespilli (Figura 4) anche se al momento era a sto-maco pieno ma, in questo caso, l’esame nonebbe successo per l’eccessiva presenza dicibo in sede gastrica e l’endoscopia fu inter-rotta per essere ritentata dopo svuotamentogastrico. Il piccolo venne ricoverato e monito-rato con RX seriate che mostrarono un pro-gressivo spostamento del CE nel lumegastrointestinale e successiva emissione deglispilli a distanza di 72 e 96 ore dall’ingestione,senza alcuna complicanza.Vennero ricoverati per la rimozione endoscopicain elezione perché asintomatici ed al momento nona digiuno, 2 bambini con CE in sede esofagea (sitrattava di un fermaglio per capelli e di unamoneta) e 12 bambini con CE in sede gastrica epotenzialmente lesivo (7 pile a bottone, 2 anelli, 1chiave, 1 ciondolo appuntito, 1 fermaglio percapelli) (Figura 5), ma il tempo necessario perorganizzare il ricovero, per espletare degli accer-tamenti di routine (esami ematochimici, ECG, visitacardiologica ed anestesiologica), l’attesa per ladisponibilità della sala operatoria per gli interventiin elezione nonché il tempo necessario per il com-pleto svuotamento gastrico furono provvidenziali,in quanto portarono alla progressione dei due CEdall’esofago allo stomaco con successiva elimina-zione ed alla progressione di 6 su 12 CE gastrici(di cui 4 pile a bottone) nel lume intestinale conemissione entro 48 ore. Negli altri sei casi fu eseguita la rimozione endo-scopica entro le 24 ore dall’ingestione.

ConclusioniNella nostra casistica si confermano i dati epide-miologici dell’ingestione dei corpi estranei riportatiin letteratura.Abbiamo constatato che, nel 90% dei casi, il CE dipiccole dimensioni (<3 cm di diametro) e smussoin sede gastrica o intestinale viene eliminato spon-taneamente e senza alcuna complicanza.La permanenza, anche prolungata, di monete euro-pee nello stomaco, non comporta alcuna tossicità,

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Figura 3.CG, 3 anni, asintomatico. Ingestione di tre pile a bottone loca-lizzate in sede gastrica e rimosse endoscopicamente.

Figura 4.PV, 4 anni, asintomatico. Ingestione di due spilli localizzati insede intestinale ed eliminati spontaneamente.

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a differenza di quelle americane che hanno un con-tenuto di zinco maggiore (8). L’eccessiva quantità di zinco, oltre ad un effetto cor-rosivo locale con formazione di ulcere e necrosidelle mucose, può comportare effetti sistemici qualianemie da emolisi, alterazione dei fattori emocoa-gulativi, disfunzioni pancreatiche con incrementodella amilasi, necrosi epatocellulare e necrosi tubu-lare acuta (8).Per i CE di piccole dimensioni, smussi e potenzial-mente non lesivi (biglie, monete, ecc.) localizzati in

esofago, in pazienti asintomatici, è opportuna unabreve osservazione di 8-16 ore (7) o addirittura di24-48 ore (5) prima di eseguire la rimozione endo-scopica, in quanto la progressione nello stomaco ela successiva eliminazione sono la regola.Diverso è il comportamento per ciò che riguarda lagestione del bambino con CE appuntito o batteriea bottone.Nel primo caso esiste il rischio, sebbene raro, diperforazione, per cui è opportuna la rimozione inurgenza o appena lo svuotamento dello stomaco loconsente.Per quanto riguarda le pile a bottone in sede eso-fagea, la letteratura è concorde alla rimozione nelpiù breve tempo possibile per l’elevata probabilitàdi erosioni della mucosa esofagea e delle relativecomplicanze (2, 3, 4, 5, 12, 13).Il danneggiamento della mucosa esofagea puòessere ricondotto a tre principali meccanismi:necrosi da pressione per lo stretto contatto dellapila con la mucosa in un piccolo lume come quelloesofageo, erosione per perdita di elettroliti, produ-zione di corrente elettrica in quanto anodo e catododella pila sono contemporaneamente a contatto conl’umidità della mucosa. Quest’ultimo meccanismopuò avvenire anche a pile scariche per la presenzadi carica residua. Un comportamento più conservativo è adottato,invece, per la localizzazione gastrica della pila abottone. Nei diversi studi è indicata un’attesa dialmeno 48 ore (4, 10, 11, 13). Nella nostra casistica abbiamo assistito all’inge-stione, isolata, di magneti (3 casi) e ci siamo com-portati come per i CE radiopachi e non potenzial-mente lesivi. In letteratura esistono numerosi studi che conside-rano questi CE innocui se ingeriti singolarmente,ma l’ingestione multipla è considerata particolar-mente grave in quanto i magneti dislocati in trattidiversi del piccolo intestino possono attrarsi l’un l’al-tro dando origine a necrosi da pressione con suc-cessive complicanze quali perforazioni, fistole odostruzioni (14, 15, 16).Nella nostra casistica nessuno dei bambini sotto-posti a rimozione endoscopica ha presentato com-plicanze chirurgiche o anestesiologiche.

Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casi

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Figura 5.CV, 1 anno, asintomatico. Ingestione di fermaglio per capellilocalizzato in sede esofagea ed eliminato spontaneamente.

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Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casi

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Introduzione

Le emorragie digestive (ED) in età pediatrica sonoun evento frequente ma, nella maggior parte deicasi, benigno. In base al segmento d’origine le EDpossono essere suddivise in emorragie del trattosuperiore (EDS) quando l’origine del sanguinamentosi localizzi al di sopra del legamento di Treitz edinferiori (EDI) quando la fonte si localizzi al di sottodel Treitz. Le ED che compaiono come primo ed a volte unicosintomo nel bambino, sono di solito sostenute dauna lesione primitiva del tratto gastrointestinale. Incaso di emissione di sangue con le feci occorrecomunque escludere cause sistemiche quali i defi-cit di coagulazione, leucemie, deficit vitaminici,vasculopatie come la porpora di Schöenlein-Henoch o l’assunzione di farmaci come aspirina osalicilati.Il sanguinamento, in base alle modalità di presen-tazione, può essere:

• Acuto: sanguinamento digestivo clinicamenteevidente a carattere di acuzie, solitamentespontaneo nel bambino con possibile com-promissione emodinamica.

• Acuto-ricorrente: ricorrenza nello stesso pa-ziente di più episodi emorragici con le stessecaratteristiche dell’episodio acuto.

• Occulto (cronico): sanguinamento non mani-festo clinicamente, ma scoperto tramite po-sitività del sangue occulto.

• Oscuro: sanguinamento persistente o ricor-rente di origine sconosciuta.

Ai fini diagnostici e di inquadramento generale èutile suddividere le ED in:

• Rigurgito ematico: emissione di sangue abocca piena, senza vomito.

• Ematemesi: vomito di sangue fresco, sel’emorragia è in atto, oppure “a posa di caffè”in caso di emorragia non recente.

• Enterorragia: sanguinamento spesso abbon-dante di colore rosso vinoso.

• Melena: emissione dall’ano di feci nere, pi-cee [digestione emoglobina (Hb) da partedegli enzimi intestinali e dalla flora batterica].

• Rettorragia: emissione di sangue rosso vivoo più scuro (coaguli) dall’ano, isolato o com-misto a feci e/o muco.

Da un punto di vista eziopatogenetico, le ED in etàpediatrica e neonatale possono essere causate da:

• lesioni mucosali (erosioni, ulcere)

• lesioni vascolari (varici, malformazioni artero-venose, vasculiti)

• difetti dell’emostasi primaria e secondaria

• lesioni organiche-malformative (invagina-zione, volvolo, mucosa eterotopica, duplica-zione gastro-intestinale).

L’eziopatogenesi e le manifestazioni cliniche sonocorrelate all’età d’insorgenza. In epoca neonatalela causa più frequente di EDS è rappresentata dallagastrite erosivo-emorragica dovuta a stress neona-tale, ventilazione meccanica o al posizionamentodi un sondino naso-gastrico. Meno frequentemente,in epoca neonatale, può verificarsi la comparsa diulcere gastriche.Le cause più frequenti di EDI in epoca neonatalesono: enterocolite necrotizzante (bambino prema-turo), ragadi anali, colite allergica, ingestione di san-gue con il latte materno per presenza di ragadi alseno.Nel lattante la causa più frequente di EDS è rappre-sentata da esofagite da reflusso gastro-esofageo

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Urgenze gastroenterologiche in età pediatricaLe emorragie digestive

Ottavio Adorisio, Emanuela Ceriati, Paola Marchetti, Francesco De Peppo, Massimo RivosecchiDipartimento di Chirurgia Pediatrica Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” Palidoro - Roma

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(RGE), mentre le cause più frequenti di EDI sono:colite allergica, ragadi anali e, meno frequente-mente, l’invaginazione intestinale, il diverticolo diMeckel, polipi del colon e le duplicazioni intestinali.Nel bambino in età pediatrica e adolescenziale leEDS sono in gran parte causate da esofagite daRGE, gastropatia emorragica, gastrite da farmaci,varici esofagee mentre le EDI sono più spessodovute a ragadi anali, infezioni, polipi-poliposi omalattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), inparticolare la retto-colite ulcerosa (RCU).L’approccio diagnostico alle ED in età pediatrica sifonda innanzitutto su un’accurata anamnesi e su unapprofondito esame obiettivo del piccolo paziente.I dati anamnestici di maggior rilievo sono l’età, lamodalità di presentazione del sanguinamento, pre-gressi traumi toraco-addominali, presenza di stipsio RGE. Un’anamnesi farmacologica può rivelarel’uso di farmaci che ledono la barriera gastrica edanneggiano la mucosa (es. aspirina, FANS). Èimportante rilevare la quantità e la durata dell’as-sunzione di queste sostanze.L’esame obiettivo, dopo la stabilizzazione dei segnivitali, comprende un attento esame del nasofaringe,per escludere un sanguinamento che origini dalnaso e dalla gola. Bisogna ricercare i segni di un trauma, specie delcapo, del torace e dell’addome. Gli angiomi stellati,l’epatosplenomegalia o la presenza di ascite indi-cano una malattia epatica cronica rendendo neces-saria l’esecuzione di un ecodoppler del circolo por-tale. Le malformazioni arterovenose, specie dellemucose, possono essere associate alla teleangec-tasia emorragica ereditaria (sindrome di Rendu-Osler-Weber), in cui angiomi multipli del trattogastro-intestinale si associano a emorragie episo-diche ricorrenti. L’ispezione anale e l’esplorazionedigitale del retto sono necessari per evidenziareragadi ed emorroidi o tumefazioni dell’ampolla ret-tale. Va anche valutato il colore delle feci (nere,rosse o marroni). Un esame chimico di un campionedelle feci per la ricerca del sangue occulto comple-terà la valutazione. Nei casi più gravi le condizionigenerali possono apparire compromesse con segnidi shock emorragico (ipotensione, tachicardia pal-lore e perdita di tono muscolare).La fase successiva prevede l’attuazione del piùappropriato iter diagnostico in relazione alla sinto-matologia. Un duplice accesso venoso è utile alripristino e al mantenimento delle funzioni vitali Tra gli esami da eseguire, spesso in regime d’ur-genza, vi sono: emocromo, gruppo sanguigno,prove crociate, funzionalità epato-renale, profilocoagulativo ed esami pre-anestesia.

La maggior parte delle ED si arresta spontanea-mente (ad es., i sanguinamenti del tratto GI supe-riore si arrestano spontaneamente in circa l’80% deipazienti non affetti da un’ipertensione portale). L’ematocrito (Htc) rappresenta un buon indice dellaperdita ematica, ma può non essere accurato se ilsanguinamento si è verificato da poco, poiché ilcompleto ripristino della volemia attraverso l’emo-diluizione può impiegare diverse ore. Solitamentesi eseguono delle trasfusioni per mantenere l’Htcintorno a 30 se Hb <7 g/dl.Dopo il ripristino di un’adeguata volemia, il pazientedeve essere continuamente osservato per la com-parsa dei segni di un ulteriore sanguinamento (es.un aumento della frequenza cardiaca, una diminuitapressione arteriosa, una nuova ematemesi di san-gue rosso vivo, la ricorrenza di feci liquide e picee).In alcuni casi potrà essere utile il posizionamentodi un sondino naso-gastrico (SNG) per detenere lostomaco e monitorizzare la presenza di ristagnoematico.

EDS di interesse chirurgico

Varici esofageeLe varici dell’esofago sono dilatazioni patologichedelle vene del terzo inferiore dell’esofago. Le variciesofagee compaiono a seguito di malattie cronichedel fegato come l’atresia delle vie biliari, la cirrosiepatica primitiva o per un ostacolo al deflusso por-tale come nella trombosi portale (cavernosa) gene-ralmente secondario all’esecuzione del cateterismoombelicale alla nascita. Questa condizione deter-mina un rigonfiamento della rete venosa del terzodistale dell’esofago che va a configurarsi come unavia di fuga, permettendo al sangue del circolo por-tale di raggiungere la vena cava superiore evitandoil fegato. Le varici esofagee non danno sintomi, mapossono rompersi dando origine a gravi sanguina-menti, con ematemesi, melena e shock ipovolemico.Nei pazienti affetti da trombosi portale, l’ematemesicompare intorno al secondo-terzo anno di vita ed èspesso massiva.La diagnosi è endoscopica o ecografica, mentre laterapia deve puntare all’eradicazione tramite inie-zioni ripetute di sostanze sclerosanti o alla legaturaper via endoscopica oppure alla modificazione chi-rurgica del circolo portale, con creazione di unacomunicazione (shunt) tra vena porta e vena cava.La terapia d’urgenza, in corso di emorragia, si basasull’uso di un palloncino (detto di Sengstaken-Bla-kemore), che viene gonfiato al fine di tamponare

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l’emorragia; oppure si ricorre alla somministrazioneper via endovenosa di somatostatina per ridurre lapressione sanguigna nel circolo portale.

Duplicazioni intestinaliSi tratta di malformazioni relativamente rare rileva-bili a qualsiasi livello del tubo digerente, ma più fre-quentemente a livello gastrico (Figura 1) o ileo-cecale (Figura 2) più raramente a livello pilorico(Figura 3) o anale (Figura 4). Sono di forma canalicolare o cistica, costituite dauna tonaca muscolare liscia rivestita da mucosasimile a quella della porzione di viscere a cui èadesa e nel 20% dei casi comunicano con il lumeintestinale.

Molto spesso costituiscono un reperto occasionalein corso di esami eseguiti per altre patologie. La sin-tomatologia clinica, quando presente, è rappresen-tata da dolori addominali, occlusione intestinale osanguinamento. La terapia è chirurgica e basatasull’asportazione della duplicazione spesso asso-ciata alla resezione del tratto intestinale cui è adesa.

EDI di interesse chirurgico

Invaginazione intestinaleL’invaginazione intestinale (intussuscezione) è rap-presentata dalla penetrazione di un segmento diintestino nel tratto immediatamente a valle con un

Figura 2.Duplicazione ileale.

Figura 1.Duplicazione gastrica.

Figura 4.Duplicazione anale.

Figura 3.Duplicazione pilorica.

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meccanismo a telescopio. È responsabile di unostacolo al transito intestinale con possibile occlu-sione e necrosi del segmento invaginato. È idiopa-tica nel 92-98% dei casi ed è tipica dell’età dellosvezzamento; talvolta è secondaria a situazioni ana-tomiche favorenti come la presenza di un diverti-colo di Meckel, adenite mesenterica, porpora diSchöenlein-Henoch e si verifica in età diverse daquella precedentemente indicata. L’incidenza è di1:4 per 1000 nati vivi; il rapporto maschio-femminaè 4:1, con un picco stagionale primavera-autunnocorrelato ad infezione da adeno-virus tipo 40/41.La sintomatologia è caratterizzata da rettorragia consangue misto a muco (“gelatina di ribes”), dolore(tipo colica) intenso ed intermittente e vomito.La diagnosi è basata sul reperto ecografico diun’immagine “a bersaglio” (Figura 5). In presenza di un’ecografia dubbia associata aduna sintomatologia clinica sospetta si rende neces-saria l’esecuzione di un Rx Clisma Opaco mediantesomministrazione di mezzo di contrasto idrosolu-bile che ha una duplice valenza diagnostica e tera-peutica. È necessario disporre di un buon accesso venosoperiferico per prevenire fenomeni di disidratazionee shock durante la procedura.Il clisma opaco consente di evidenziare un’imma-gine a tenaglia (Figura 6) ed il mezzo di contrastosomministrato può contribuire alla riduzione idro-statica dell’invaginato. La riduzione può essere anche ottenuta mediantesomministrazione di aria (riduzione pneumatica)sotto controllo fluoroscopico o ecografico. La per-centuale di successo varia nelle casistiche dellaletteratura medica dal 40 al 90% e dipende dall’etàdel paziente, dal tempo intercorso dall’inizio deisintomi, dall’esperienza del radiologo e dalla pre-senza del chirurgo pediatra durante l’esecuzionedella procedura. La percentuale di recidiva a 72ore è del 10%.In caso di fallimento dei trattamenti conservativi l’al-ternativa è rappresentata dalla riduzione chirurgica-manuale dell’invaginazione che può giungere sinoalla resezione e anastomosi termino-terminale qua-lora il segmento intestinale sia necrotico e sede diun diverticolo di Meckel.

Diverticolo di MeckelIl diverticolo di Meckel è un’anomalia congenitadovuta alla presenza di un residuo del dotto onfa-lomesenterico, che si organizza come un diverti-colo, un sacco a fondo cieco a localizzazione ileale.La struttura del sacco vitellino da cui il diverticoloorigina, regredisce di solito tra la V e la VII settimana

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Figura 6.Rx clisma opaco che dimostra la presenza di immagine a“tenaglia” da invaginazione intestinale ileo-cecale.

Figura 5.Immagine ecografia a “bersaglio” relativa ad invaginazioneintestinale ileo-cecale.

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di vita fetale. Il ventaglio delle anomalie embriolo-giche a carico del processo di regressione del dottoonfalo-mesenterico include il Meckel, una cordafibrosa che traziona l’ileo distale verso la pareteaddominale, fistole entero-ombelicali, cisti, senoombelicale. Il diverticolo di Meckel è presente in circa l’1-2%della popolazione generale, misura 3-5 cm ed èlocalizzato a livello ileale entro 100 cm dalla valvolaileocecale, più spesso tra i 45-60 cm prossimali, sulversante antimesenterico (Figura 7). Poiché le cellule vitelline sono pluripotenti, esso puòcontenere, circa nel 50% dei casi, tessuto eteroto-pico, più spesso gastrico (50%), pancreatico (5%)e altro (mucosa colica, biliare, endometriosi). Unpaziente portatore di diverticolo di Meckel ha il 4-6%di rischio in più di sviluppare complicanze addomi-nali. La presentazione clinica può essere caratte-rizzata più spesso da emorragie (25-50%) acute ocroniche-recidivanti, per ulcerazione della mucosaileale adiacente alla mucosa gastrica eterotopica.Altre complicanze sono: ostruzione, intussusce-zione, infiammazione (meckelite), perforazione.Raramente sintomatica dopo i 10 anni, più spessol’emorragia colpisce i bambini al di sotto dei 2 anni,mentre l’ostruzione è più comune negli adulti. Lecomplicanze sono più frequenti nel maschio, conrapporti che vanno da 1,8:1 a 3:1. L’ostruzione può essere causata da volvolo, intus-suscezione, erniazione (ernia di Littre), compassoarterioso, diverticolite cronica, litiasi, bande fibrose,tumori. La meckelite rappresenta il 20% dei casi sin-tomatici.

Il quadro clinico può essere spesso confuso con unaappendicite acuta. La perforazione avviene perdiverticolite, ulcerazione secondaria a mucosagastrica, corpi estranei, bezoari, trauma, tumore. Ladiagnosi è basata sulla sintomatologia clinica e sul-l’esecuzione di una scintigrafia intestinale me dian -te Tecnezio 99 Pertecnetato in grado di marcare lecellule relative alla mucosa eterotopica di tipogastrico (Figura 8), mentre più recente è l’impiegodella videocapsula per eseguire una ileoscopia.

Urgenze gastroenterologiche in età pediatricaLe emorragie digestive

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Figura 8.Scintigrafia intestinale che evidenzia la presenza di undiverticolo di Meckel.

Figura 9.Immagine intraoperatoria di diverticolo di Meckel.

3

1

M

*

*

**4

2

Figura 7.Localizzazioni tipiche del diverticolo di Meckel.

La terapia è chirurgica e consiste nella resezionecuneiforme del diverticolo o nella resezione deltratto di ileo che ne costituisce la base d’impiantoe conseguente anastomosi termino-terminale. L’ap-proccio può essere chirurgico tradizionale o video-assistito con estroflessione del diverticolo dall’inci-sione ombelicale, sua asportazione e confeziona-mento di anastomosi termino-termino-terminale(Figura 9).

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Sanguinamento cronico

Un sanguinamento cronico (SC) occulto può origi-nare in qualunque punto del tratto GI e può essereevidenziato dall’esame chimico di un campione difeci ed essere causa di anemizzazione, prostra-zione del piccolo paziente.

SC del tratto digestivo superioreEsofagiteL’esofagite è uno dei disturbi più frequentementeassociati al reflusso. È un’infiammazione dell’eso-fago ed è causata dal contatto tra l’acido risalitodallo stomaco e la mucosa esofagea.Il reflusso provoca la risalita in esofago di materialeacido proveniente dallo stomaco. Quando l’acidoarriva nell’esofago entra in contatto con la superfi-cie che lo riveste. Il contatto tra acido ed esofagoè dannoso perché l’esofago (al contrario dello sto-maco) non sopporta la presenza di acido al suointerno. L’esofagite può essere più o meno grave aseconda del grado di infiammazione che provoca.L’acido irrita l’esofago e provoca infiammazioni edulcerazioni. Più lungo è il tempo di contatto tra acidoed esofago e più gravi saranno i danni provocati.I principali sintomi sono rappresentati da sanguina-mento, ulcere, stenosi del lume del viscere concomparsa di disfagia. La diagnosi è endoscopica.La terapia è basata sull’impiego di farmaci in gradodi contrastare l’azione del RGE come gli inibitoridella pompa protonica. La terapia chirurgica èattualmente riservata a quei pazienti affetti da formesevere di RGE (tipiche dei pazienti con grave defi-cit neurologico) e consta del confezionamento diuna valvola antireflusso secondo la tecnica di Nis-sen che prevede il posizionamento del fondogastrico a circondare la giunzione esofago-gastrica.

GastriteLa gastrite in età pediatrica era considerata fino apochi anni fa una patologia rara. L’estensione del-l’uso della esofagogastroduodenoscopia anche inquesta fascia d’età ha portato ad una migliore defi-nizione della gastrite in ambito pediatrico.È caratterizzata da uno stato infiammatorio dellamucosa gastrica ad eziologia varia.Nel neonato e nel lattante è quasi sempre dovuta astress. La gastrite può essere causata, quindi, dainfiammazioni, irritazioni o infezioni e può esserelocalizzata in un’area ristretta oppure interessaretutto lo stomaco.I sintomi della gastrite sono correlati all’età. Nel neo-nato e nel lattante si manifesta con crisi di pianto,

inappetenza e scarso accrescimento, mentre ildolore epigastrico è tipico dell’età più avanzata. Ildolore si presenta in forma di attacchi acuti, anchese non è affatto infrequente che essi evolvano in undisturbo cronico. Possono anche verificarsi episodidi diarrea e febbre.La comparsa di sangue nel vomito o nelle feci, puòindicare un’emorragia nello stomaco: in questocaso, la gastrite può celare un’irritazione severadella mucosa gastrica, che richiede un’immediataattenzione medica più specifica. Al contrario diquella acuta, la gastrite cronica è in genere silente:i sintomi più evidenti sembrano essere i disturbidella digestione.Una delle complicazioni più diffuse nei casi digastrite cronica è appunto l’anemia megaloblastica. Questa patologia è dovuta a una carenza di vita-mina B12, causata da un’insufficiente produzioneda parte della mucosa gastrica del fattore intrinsecoo antianemico, la sostanza necessaria al suo assor-bimento. La gastrite cronica può essere di tipo atro-fico, per cui si evidenzia una riduzione dello spes-sore della parete gastrica, oppure di tipo ipertro-fico, in cui certe zone della mucosa risultano ispes-site. La terapia della gastrite è oggi basata sull’im-piego di farmaci inibitori della pompa protonicaassociati ad antibiotico-terapia atta ad eradicare lasovrainfezione da Helicobacter Pylori (amoxicillinao claritromicina per 7-15 giorni).

SC del tratto digestivo inferiorePolipi giovanili o amartomatosiI polipi giovanili sono di tipo amartomatoso. Essinon originano dalle cellule delle ghiandole delcolon, ma dal tessuto che si trova alla base di que-ste cellule.Un amartoma è quindi un polipo benigno, il terminegiovanile deriva dal fatto che sono relativamentecomuni nei bambini. Sono di aspetto rosso chiaro,possono sanguinare o, se localizzati nel retto, pos-sono a volte prolassare dall’ano (Figura 10). Pos-sono presentarsi come polipo singolo o in numerosuperiore a 5 e allora si parla di Poliposi Giovanile(Figura 11). In tale affezione, i polipi possono loca-lizzarsi a livello del tenue, del colon retto e dellostomaco ma, in genere, solo quelli del colon dannosintomi: sanguinamento, diarrea, crampi addomi-nali e anemia; in questi casi è consigliato l’inter-vento chirurgico. Esiste un piccolo ma significativorischio di sviluppare il cancro nei pazienti con Poli-posi Giovanile; ciò è dovuto principalmente allapossibilità che i polipi si trasformino in tessuto ade-nomatoso. È utile pertanto il ricorso all’intervento

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chirurgico se il numero di polipi fosse troppo ele-vato. In caso di polipo singolo la sua asportazioneendoscopica con ansa diatermica risulta suffi-ciente.

Rettocolite ulcerosaLa rettocolite ulcerosa o RCU è una malattia infiam-matoria cronica dell’intestino crasso a eziologia sco-nosciuta. Fattori di varia natura sono stati ritenutiresponsabili dell’insorgenza della malattia e del suoandamento cronico. Le teorie infettiva e alimentarenon sono state supportate da evidenze scientificheconvincenti. Negli ultimi anni hanno destato grande interesse lericerche immunologiche le quali hanno permesso

di confutare la primitiva ipotesi che la malattiapotesse derivare da una allergia alle proteine dellatte vaccino. È stato dimostrato che le alterazioniimmunitarie svolgono un ruolo determinante nell’am-plificarsi e nel perpetuarsi del danno tissutale inte-stinale. Il retto è sempre coinvolto, almeno a livelloistologico, e le lesioni tendono ad estendersi inmodo continuo e uniforme fino a poter interessaretutto il colon (Figure 12-13).

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Urgenze gastroenterologiche in età pediatricaLe emorragie digestive

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

Figura 12.Immagine endoscopica di RCU.

Figura 11.Poliposi giovanile.

Figura 13.Immagine endoscopica di RCU.

Figura 10.Immagine endoscopica di polipo amartomatoso.

Il sanguinamento rettale è il sintomo più costante eil decorso è cronico intermittente. I tassi di incidenzae prevalenza più elevati sono quelli riscontrabili neiPaesi a maggior sviluppo industriale. Per quanto

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riguarda l’Italia, la distribuzione della malattia nonsembra differire rispetto a quella degli altri Paesi euro-pei. La RCU colpisce indifferentemente maschi efemmine. L’esordio clinico avviene solitamente in etàgiovanile con un picco di incidenza fra i 25 e i 40anni, ma può insorgere in qualsiasi età.Il sanguinamento rettale è sempre presente quandovi sono lesioni attive. Tipo, entità e modi dipendonodall’estensione e dalla severità delle lesioni. Ipazienti con lesioni limitate al retto (proctite) lamen-tano la perdita di sangue rosso vivo separato dallefeci o striato su feci normali.

Quando la malattia si estende oltre il retto il sangueè commisto alle feci. Il trattamento della RCU è ini-zialmente farmacologico e basato sull’impiego difarmaci quali Cortisone, Azatioprina e Salazopirinao Infliximab. Il trattamento chirurgico, riservato ai casi in cui laterapia medica risulti inefficace, consiste nellacolectomia totale associata a mucosectomia rettale.Nella nostra esperienza questa evenienza si è resanecessaria nel 23,7% dei casi trattati. Nei casi di sanguinamento massivo si rende neces-sario il trattamento chirurgico in regime d’urgenza.

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Urgenze gastroenterologiche in età pediatricaLe emorragie digestive

ANNO 3 - numero 1 | dicembre 2008 - gennaio 2009

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CONGRESSI 2009

9° Congresso Nazionale Società Italiana Infettivologia Pediatrica26-27 Marzo 2009Firenze

Palermo Pediatria 2009: quello che il Pediatra dovrebbe sapere in …27-28 Marzo 2009Palermo

Third ESPGHAN Capri Meeting “Colonic Diseases Problems and Progress”2-4 Aprile 2009Capri

11° Congresso Nazionale SIAIP “Punti fermi e virgole mosse”15-18 Aprile 2009Roma

7° Congresso Nazionale SIMEUP22-24 Ottobre 2009Napoli

65° Congresso Nazionale Società Italiana di Pediatria27-30 Novembre 2009Padova

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Urgenze gastroenterologichein età pediatricaLe emorragie digestive

Ingestione di corpi estraneiEsperienza di 122 casi

La chetoacidosi diabeticain età pediatrica

Formazione nell’emergenza-urgenzapediatrica

Il dolore addominale acutoGestione al Pronto Soccorso

EMERGENZA E URGENZA

Periodico quadrimestrale di informazione e dibattitodella Società Italiana di Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP)

Anno 3 - numero 1

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