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NUOVA SERIE - ANNO LX Pubblicazione trimestrale Fasc. 4 - Ottobre-Dicembre 2017 RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE FONDATA DA GIACOMO DELITALA DIRETTA DA ISSN 0557-1391 E. D O L C I N I M. G A L L O - A. C R E S P I - G. D E L U C A D. S I R A C U S A N O - M. P I S A N I - A. P A G L I A R O C. F. G R O S S O - G. L O Z Z I - F. M A N T O V A N I M. R O M A N O - E. A M O D I O - D. P U L I T A N Ò T. P A D O V A N I - E. M U S C O - A. G I A R D A F. C. P A L A Z Z O - C. E. P A L I E R O - G. G I O S T R A G. F I A N D A C A - G. U B E R T I S - R. O R L A N D I Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) © Giuffrè Editore - Copia riservata all'autore

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NUOVA SERIE - ANNO LX

Pubblicazione trimestrale Fasc. 4 - Ottobre-Dicembre 2017

RIVISTA ITALIANADI

DIRITTO E PROCEDURAPENALE

FONDATA DA

GIACOMO DELITALA

DIRETTA DA

ISSN 0557-1391

E . D O L C I N IM . G A L L O - A . C R E S P I - G. D E L U C A D. S I R A C U S A N O - M . P I S A N I - A. P A G L I A R OC . F. G R O S S O - G . L O Z Z I - F. M A N T O V A N IM . R O M A N O - E . A M O D I O - D. P U L I T A N ÒT. P A D O V A N I - E . M U S C O - A . G I A R D AF. C. P A L A Z Z O - C. E. P A L I E R O - G . G I O S T R AG. F I A N D A C A - G . U B E R T I S - R . O R L A N D I

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I contributi pubblicati in questa rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblicazioni, in qualunque forma.

Registrazione presso il Tribunale di Milano, al n. 4611 dell’8 aprile 1958R.O.C. n. 6569 (già RNS n. 23 vol. 1 foglio 177 del 2/7/1982)

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INDICE-SOMMARIO

DOTTRINA

ARTICOLI

PISANI M., Tommaso Natale e Cesare Beccaria ........................................................ 1255

VIGANÒ F., Legalità ‘nazionale’ e legalità ‘europea’ in materia penale: i difficiliequilibrismi della Corte di giustizia nella sentenza M.A.S. (“Taricco II”)...... 1281

COPPETTA M. G., La riparazione per l’ingiusta detenzione: punti fermi e disorienta-menti giurisprudenziali ...................................................................................... 1315

SOTIS C., Vincolo di rubrica e tipicità penale ............................................................ 1346

TRINCHERA T., Limiti spaziali all’applicazione della legge penale italiana e maternitàsurrogata all’estero............................................................................................. 1391

MUZZICA R., Sospensione del processo con messa alla prova e ‘materia penale’: traCorte Edu e Corte costituzionale nuovi scenari pro reo sul versante intertem-porale ................................................................................................................ 1432

NATALI K., Il reclamo giurisdizionale per la tutela dei diritti dei detenuti................ 1457

COMMENTI E DIBATTITI

“Ergastolo ‘ostativo’: profili di incostituzionalità

e di incompatibilità convenzionale. Un dibattito”

Contributi al seminario di studi svoltosi il 16 novembre 2017

presso l’Università degli Studi di Milano

GATTA G. L., Presentazione. Superare l’ergastolo ostativo: tra nobili ragioni e sanorealismo.............................................................................................................. 1495

DOLCINI E., L’ergastolo ostativo non tende alla rieducazione del condannato ......... 1500

FLICK G. M., Ergastolo ostativo: contraddizioni e acrobazie .................................... 1505

NEPPI MODONA G., Ergastolo ostativo: profili di incostituzionalità e di incompatibi-lità convenzionale ............................................................................................. 1509

CHIAVARIO M., Un’esigenza di civiltà ... senza dimenticare le vittime ...................... 1512

EUSEBI L., Ostativo del fine pena. Ostativo della prevenzione. Aporie dell’ergastolosenza speranza per il non collaborante ........................................................... 1515

PUGIOTTO A., Tre telegrammi in tema di ergastolo ostativo ...................................... 1518

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GALLIANI D., Una cinquina di problemi in materia di ergastolo ostativo ................. 1522

BONTEMPELLI M., Diritto alla rieducazione e libertà di non collaborazione ............. 1527

RASSEGNE DI GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE

A) DIRITTO PENALE

(a cura di M. D’AMICO e B. LIBERALI)

LIBERALI B., Sguardo d’insieme (ottobre - dicembre 2017) ........................................ 1531

- C. cost., sent. 12 ottobre 2017, n. 215 ................................................................. 1532

- C. cost., sent. 13 dicembre 2017, n. 265 .............................................................. 1533

B) DIRITTO PROCESSUALE PENALE

(a cura di G. GIOSTRA e C. GABRIELLI)

GABRIELLI C., Sguardo d’insieme (ottobre - dicembre 2017)...................................... 1534

- C. cost., sent. 15 novembre 2017, n. 239 ............................................................. 1535

- C. cost., sent. 6 dicembre 2017, n. 253 ................................................................ 1536

- C. cost., sent. 13 dicembre 2017, n. 263 .............................................................. 1536

RASSEGNE DI GIUSTIZIA PENALE SOVRANAZIONALE

A) CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

(a cura di G. UBERTIS e F. VIGANÒ)

BUZZELLI S., Molteplici e gravi violazioni da parte della Georgia ............................. 1539

BERTOLESI R., La Corte Edu alle prese con la rilevanza del mutamento giurispruden-ziale sopravvenuto della propria stessa giurisprudenza in materia di ergastolo. 1543

MARIOTTI M., L’interruzione dei trattamenti vitali per il minorenne: il caso CharlieGard ................................................................................................................... 1546

PRESSACCO L., Principio di immediatezza e reformatio in peius tra Strasburgo eRoma.................................................................................................................. 1552

GIALUZ M., Il controllo della Corte europea sulle procedure nazionali di riaperturadei processi, fra possibilità astratta e ostacoli concreti .................................... 1558

SORIO G., Diritto al doppio grado di giudizio e prevedibilità dei suoi limiti ............ 1563

MOSTARDINI C., Sull’uso letale della forza da parte degli agenti statali: tra obblighiconvenzionali e prospettive nazionali ............................................................... 1567

B) GIUSTIZIA PENALE E UNIONE EUROPEA

(a cura di S. BUZZELLI e L. MASERA)

BUZZELLI S., MASERA L., Sguardo d’insieme (giugno - agosto 2017).......................... 1571

BUZZELLI S., MAE e nozione autonoma di “processo terminato con la decisione”.. 1573

— II —

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C) CORTE PENALE INTERNAZIONALE

(a cura di C. MELONI)

CRIPPA M., MELONI C., La condanna del Sudafrica per mancata cooperazione con laCorte penale internazionale nel caso contro Omar al-Bashir .......................... 1576

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA(a cura di G.L. GATTA e O. MAZZA)

CARNEVALE S., FORLATI S., GIOLO O. (a cura di), Redefining organised crime: achallenge for the European Union?, Hart Publishing, Oxford and Portland,2017, pp. 408 (Riccardo Ercole Omodei)......................................................... 1579

CIVELLO G., Il principio del sibi imputet nella teoria del reato. Contributo allo studiodella responsabilità penale per fatto proprio, Giappichelli, Torino, 2017, pp.432 (Giovanni Caruso) ..................................................................................... 1580

DE FRANCESCO G., Punibilità, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 104 (AlessandraGalluccio) .......................................................................................................... 1582

DI LUCIA P., MANCINI L., La giustizia vendicatoria, Edizioni ETS, Pisa, 2015, pp. 294(Stefano Sammarco) .......................................................................................... 1583

DOVA M., Pena prescrittiva e condotta reintegratoria, Giappichelli, Torino, 2017,pp. 315 (Francesca Torlasco)............................................................................ 1585

FASSONE E., Fine pena: ora, Sellerio, Palermo, 2015, pp. 210 (Gian Luigi Gatta) .. 1586

RONCO M., Scritti patavini, Tomo I-II, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017, pp.1911 (Gabriele Civello) ..................................................................................... 1587

NOTIZIE

ORLANDO R., Traffici illeciti nell’area del Mediterraneo. Prevenzione e repressionenel diritto interno, europeo ed internazionale. (Corso di Formazione Interdot-torale di Diritto e Procedura Penale “Giuliano Vassalli” - Noto, 23/25 No-vembre 2017) ................................................................................................... 1589

— III —

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VINCOLO DI RUBRICA E TIPICITÀ PENALE

Il mondo era così recente che molte cose erano prive di nome,e per citarle bisognava indicarle col dito

G. Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine

Abstract

In questo saggio si propone che tutte le future fattispecie criminose debbano avereun nome, anche quelle previste nella legislazione complementare. L’idea poggiasull’assunto che se un reato deve essere denominato non potrà essere innominabile,e sono innominabili quelli sprovvisti di un disvalore (tendenzialmente) omogeneo,perció problematici in punto di tipicità. Per esporre i vantaggi che comporterebbesiffatta innovazione sulla formulazione delle fattispecie viene analizzato il legametra nomi del reato e tipicità penale in prospettiva storica e sul terreno dell’inter-pretazione.

The Names of Criminal Offenses and the Definition of the Offense

Abstract

This article argues that all new criminal offenses introduced in our legislationshould be given a precise name, even those governed by complementary legislation,i.e. outside of the criminal code. The rationale behind this proposal rests on theassumption that if an offense is to be given a name, then it cannot be ‘unnamable’.Furthermore, it is argued that the category of ‘unnamable offenses’ includes thosecrimes that, to a large extent, do not offend homogeneous values of particularimportance and, hence, raise issues with regard to the “Tatbestand” specifying acriminal wrong. To highlight the benefits that could derive from the proposedinnovation in the drafting of new offenses, the relationship between names ofoffenses and “Tatbestand” is analyzed from a historical perspective, as well as interms of interpretation of the criminal law.

SOMMARIO: 1. Incipit. — 2. Nomi, tipi, fattispecie: prospettiva storica. — a) Prima lezione: untipo non può fare a meno del nome - b) Seconda lezione: nessuno, da solo, può imporrei nomi - c) Terza lezione: l’estetica dipende dalla funzione. — 2.1. L’Ottocento e il“vincolo di rubrica” del codice Rocco. — 3. I benefici del vincolo di rubrica per tutti i

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reati. — 4. Una lista di corrispondenze tra problemi onomastici e problemi di tipicità -a) Pseudonimi - b) Doppi nomi - c) Patronimici - d) Nomi di famiglia - e) Grammelot -f) Soprannomi- g) Slogan. — 5. La questione del valore vincolante delle rubriche: unequivoco di fondo. — 5.1. La funzione intensionale delle rubriche. — 6. Il nome: “servoloquace”, “servo muto”, o “socio tiranno” della fattispecie? Qualche collaudo. — 6.1.“Maltrattamenti contro familiari e conviventi”. — 6.2. “Associazioni di tipo mafioso”. —6.3. “Tortura”. — 7. Chiusa.

1. Incipit. — La c.d. “Riforma Orlando” delega il Governo « all’at-tuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nellamateria penale (...) (1) ». Non è mia intenzione discutere qui del tema della« riserva di codice » (2). Questa previsione tuttavia offre lo spunto peravanzare una idea parzialmente diversa, ma, per quanto vedremo, ad essacollegata.

La proposta è che tutte le future fattispecie incriminatrici debbanoavere un nome, anche quelle previste nella legislazione complementare,estendendo a tutti i reati quel “vincolo di rubrica” oggi riservato, sistema-ticamente, solo a quelli contenuti nella parte speciale del codice penale.

L’idea poggia sull’assunto che se un reato deve essere denominato nonpotrà essere innominabile e sono innominabili quelli sprovvisti di undisvalore (tendenzialmente) omogeno, perciò problematici in punto ditipicità (3).

(1) Art. 1, comma 85, lettera q), della legge n. 103 del 23 giugno 2017 « Modifiche alcodice penale, al codice di procedura penale e all’ordina mento penitenziario ».

(2) Con il consueto garbo ed acume ha evidenziato sia le criticità, sia le apprezzabiliintenzioni connesse a questa previsione della riserva tendenziale di codice F. PALAZZO, Lariforma penale alza il tiro? Considerazioni sul disegno di legge A.S. 2067 e connessi, in Dir.pen. cont., 20 maggio 2016, p. 11. In prospettiva più generale sulla riserva di codice v. C. E.PALIERO, Riforma penale in Italia e dinamica delle fonti: una paradigmatica, in questa Rivista,2004, p. 1011 s. L idea della riserva di codice trova il suo precedente legislativo nel progettodi revisione costituzionale del 1997, luci ed ombre di questa previsione in M. DONINI, L’art.129 del progetto di revisione costituzionale approvato il 4 novembre 1997. Per una progres-sione “legale”, prima che “giurisprudenziale”, dei principi di offensività e di sussidiarietà inID., Alla ricerca di un disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia, Padova, 2003, p. 106 s.

(3) Sul legame tra tipicità penale e omogenità valutativa cfr. F. BRICOLA, La discrezio-nalità nel diritto penale, I. Milano, 1965, p. 201, ID., Teoria generale del reato in Nov. Dig.It. Torino 1973 ora in ID. Scritti di diritto penale, Vol. I, Tomo I, Milano, 1997, p. 664 e 807,C. PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, p. 30; nelladottrina più recente è in particolare Francesco Palazzo ad avere lumeggiato tale nesso cfr. ID.,Corso di diritto penale, Torino, 2016, sesta edizione, dove afferma testualmente: «è proprioquesta omogenità di disvalore a fondare la base del tipo legale, della fattispcie astratta» (ivi p.83), amplius ID., Il principio di determinatezza nel diritto penale; Padova, 1979, p. 350 s. ID.,Legge penale in Dig. Disc. Pen., 1993, in part. p. 342, 357 s., ID., Legalità penale:considerazioni su trasformazione e complessità di un principio ‘fondamentale’, in Principio dilegalità e diritto penale (per Mario Sbriccoli), Milano, 2007, p. 1311; v. inoltre G. DE

FRANCESCO, Diritto penale. I Fondamenti, Torino, 2011, seconda edizione, p. 106 s.; e, da

— 1347 —

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Però gli assunti vanno verificati. Prima di tutto occorre osservare ilrapporto tra nomi, tipi e fattispecie criminose nella sua dimensione natu-rale, quella in divenire, quindi in prospettiva storica (par. 2.). Ciò chiaritosarà possibile esporre i benefici che comporterebbe siffatta innovazionesulla formulazione delle fattispecie (par. 3.).

Questo ci condurrà ad una riflessione sul rapporto tra rubrica e tipicitàpenale sul terreno dell’interpretazione del diritto vigente. Per un versoosservando, “in negativo”, varie corrispondenze tra problemi di rubrica eproblemi di tipicità (par. 4.). Per altro verso chiedendoci, “in positivo”, sei nomi possano dare un contributo di tipicità. A tale scopo, dopo avereriflettuto su funzioni e vincolatività dei nomi in rubrica (par. 5.), effettue-remo qualche collaudo (par. 6.). Infine una breve chiusa (par. 7.).

2. Nomi, tipi, fattispecie: prospettiva storica (4). — « Rubrica »,etimologicamente “terra rossa”, deriva dall’ocra rossa che « serviva pertingere l’asticella centrale dei volumi e per segnare le prime lettere, i titoli,le segnature ed i richiami nei manoscritti » (5), segnando una tradizioneche ancora si osserva nelle scuole. Sin dal diritto romano classico in

ultimo, M. PAPA, Fantastic voyage. Attraverso la specialità del diritto penale, Torino, 2017passim e in part. p. 127.

(4) Urge, perlomeno nello spazio di una nota, un’avvertenza. In tema vi è poco o nulla.Questa ricognizione è avvenuta quindi in modo obliquo, viaggiando in una letteratura che miha (forse fin troppo) affascinato, dentro una produzione documentale e letteraria tantoseducente quanto variegata. Provare a condensare in qualche pagina vicende tutt’altro chelineari, che si snodano su un arco spaziotemporale del genere sarebbe puerile e del tuttoinidoneo allo scopo. A maggior ragione sarebbe farlo da parte di chi, come il sottoscritto, nonè uno storico del diritto. Nelle pagine che seguono sono quindi riportate solo le sensazioni acui sono giunto e qualche traccia di alcuni dei percorsi su cui poggiano.

Debbo poi confessare che mai mi era capitato di infilarmi in così tanti vicoli ciechi e difermarmi a contemplare così tanti paesaggi. Non avrebbe quindi alcun senso fare richiami atutto quello che “mi è passato tra le mani”. Tengo tuttavia a segnalare il debito di riconoscenzache ho contratto in particolare con la collana diretta da Sergio Vinciguerra Casi, Fonti e studiper il diritto penale, edita da Cedam, e con la raccolta del 2009, ad opera dei colleghimaceratesi, degli scritti non monografici di Mario Sbriccoli (Storia del diritto penale e dellagiustizia volume 88 della collana per la storia del pensiero giuridico moderno edita daGiuffrè). La sua Storia della Giustizia Penale non ha mai potuto vedere la luce, ma quei duevolumi restano uno scrigno per ogni penalista. Un’ultima notazione: su internet è possibilereperire ormai moltissime fonti documentali, ma certo non tutte. Ringrazio quindi l’Universitàdi Macerata per avermi messo a disposizione le inestimabili risorse del fondo Sbriccoli.

(5) T. DE MAURO (dir.), Grande dizionario dell’uso (voce: rubrica), 1999, Torino,Volume V, p. 778 s. In campo giuridico, la rubrica era la prima lettera in maiuscolo ed il titolo,scritto in rosso, di un testo giuridico, prima manoscritto e poi stampato. Cfr. ad esempio nelsito della Bayerische Sttatsbibliothek la Lectura super prima parte Digesti novi di Alessandroda Imola http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0005/bsb00059573/images/index.html?seite=00001&l=de.

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rubrica, cioè in rosso, si indicano anche i nomi degli istituti e oggi, perantonomasia, con rubrica si intende il nome dell’articolo di uno dei quattrocodici, che trova spazio dopo il numero e prima dell’enunciato. Sempre perantonomasia in penale con “rubrica del reato” si intende il nome del reato.

La storia del rapporto tra nomi e tipi di reato è quella di una perenneevoluzione, più che per distinte fasi occorre quindi procedere per archi ditempo. Il gioco tipico del linguaggio di richiami, intrecci e rincorse tra nomie fatti si vede infatti sin nel diritto romano classico (6), ma è con la c.d.« emersione del penale » (7), intorno al XIII secolo che prende le mossequel lunghissimo processo che, dalla frammentazione di ipotesi casisticheconduce all’emersione dei tipi, per giungere, infine, alle fattispecie codici-stiche (8). Di stratificazione in stratificazione mutano le funzioni dellasanzione (9) (risarcitoria, punitiva, più sovente un combinarsi tra le due),mutano le definizioni e le interpretazioni delle definizioni, e al contempo si

(6) V. ad esempio il caso dell’injuria in cui si assiste ad una profonda sistematizzazionedel termine descritto da J. M. CARBASSE, Histoire du droit pènal et de la justice criminelle,Parigi, seconda edizione, 2006, p. 63 s.

(7) Il concetto, diffuso nel dibattito storiografico (cfr. R. MARTINAGE, Hystoire du droitpènal, coll. Que sais-je? Paris, 1998), si riferisce alla fase a partire dal XIII secolo in cui, suiniziativa dei comuni, si fa progressivamente strada l’autonomia della giustizia punitiva poichéalla pretesa risarcitoria della vittima si affianca per determinate offese un diritto/dovere dipunire che progressivamente si fa sempre più slegato dall’iniziativa della vittima. V. M.SBRICCOLI, « Vidi communiter observari ». L’emersione di un ordine penale pubblico nelle cittàitaliane del secolo XIII (1998), Giustizia criminale (2002), entrambi in ID., Storia del dirittopenale cit., rispettivamente p. 73 s. e 3 s.

(8) M. SBRICCOLI, Truffa (storia) (1992), ora in ID., Storia del diritto penale cit., p. 357s. individua tre meccanismi essenziali del processo di tipizzazione in età comunale: « i)frammentazione delle fattispecie penalistiche (definizione per elenchum delle figure di reato)che realizza un sistema definibile come casistico; ii) proliferazione dei tipi operata attraversol’elevazione delle circostanze ad elemento costitutivo del reato iii) ulteriore scissione difattispecie e tipi ottenuta a partire dal modus, dalla direzione della voluntas dell’agente, dallaqualità dell’autore, dalla natura (o valore) del bene protetto o da altri elementi estrinseci che,di volta in volta, vengono chiamati a supportare figure autonome di reato ». Nell’epocaimmediatamente successiva il processo di tipizzazione è accelerato dall’emersione della partegenerale che innesca una serie di processi (definizione degli elementi caratterizzanti la partespeciale, scollamento tra processuale e sostanziale ed è notevole osservare ai nostri fini chestrumento essenziale di questa razionalizzazione nel Tractaus di Tiberio Deciani è propriol’intelligentia terminorum. Cfr. M. PIFFERI, Generalia Delictorum. Il Tractatus criminalis diTiberio deciani e la “parte generale” del diritto penale, Milano, 2006, p. 150 a cui si rinviaanche in generale per la descrizione della tipizzazione al tempo del diritto penale egemone (sucui v. anche M. SBRICCOLI, Lex delictum facit. Tiberio Deciani e la criminalistica italiana nellafase del penale egemonico in ID., Storia cit., p. 225). Imprescindibile ovviamente A. GARGANI,Dal Corpus delicti al tatbetsand. Le origini della tipicità penale, Milano, 1997; v. anche lepagine su testo e tipicità di F. CORDERO, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Bologna, 1985,p. 124 s.

(9) V. M. SBRICCOLI, « Vidi communiter observari » cit. p. 73 s.

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realizzano delle spirali comunicative tra nomi, definizioni, fatti, liste, classi,elementi caratterizzanti e tipi.

A volte a restare costante è il nome e a mutare sono i fatti con essonominabili. Altre volte invece sono i fatti a trasmigrare di nome in nomefino a trovare una loro identità, affinando delle costanti e, quindi, dotan-dosi di un nome loro proprio. E ovviamente i movimenti sono intrecciati traloro, in modo tutt’altro che lineare. Una testimonianza di queste spirali larendono il furto, il colombicidio e la truffa.

Il furtum nelle dodici tavole (epoca decemvirale, c.a. 450 a.c.) aveva unanozione ristretta. Poi, come la storia mostra a più riprese, all’addolcimento dellareazione sanzionatoria corrispose, durante la giurisprudenza repubblicana, unagrande estensione, che finisce per designare come furtum una casistica ai nostriocchi del tutto disomogenea: dall’occupazione dolosa del fondo altrui, alla compli-cità nella fuga di un servo altrui; da varie condotte ingannevoli (alterazione di pesi,falsificazioni) ad altre abusive (il pascolo o il disboscamento senza autorizzazione).Ciò finirà quasi per rendere il furtum sinonimo di illecito civile (10). Successiva-mente (a partire dal II secolo d.c.) si afferma un tratto caratterizzante, cioè quellodi un materiale contatto tra agente e cosa e che porterà al frammento di Paolo nelDigesto (D. 47.2, I. 3 (Furtum est contrectatio rei fraudolosa lucri faciendi gratiavel ipsius rei vel etiam usus eius). Ovviamente non finisce qui, perché inizia uncammino che impegnerà i giuristi lungo tutto l’arco del tempo (11) su cosa debbae possa intendersi per contrectatio e sulla faticosa emersione di un tipo — il furtomoderno — caratterizzato dalla sottrazione e dall’impossessamento.

Quello che emerge ai nostri fini e si ricava dalla monografia di FedericoBattaglia è che il “pensare diversamente” i fatti appropriativi da quelli di sposses-samento dipenda dalla distinzione terminologica e concettuale tra furtum propriume furtum improprium (12). La dicotomia proprium/improprium induce a pensareuna differenza di disvalore e traccia il cammino che porterà dopo infiniti tornantialla definizione di distinte costanti criminologiche, ad esempio degli odierni tipi delfurto e dell’appropriazione indebita (13).

Facciamo ora un salto nel tempo fino al 1786. Questo legame tra nomi ecostanti, tra (ciò che è) proprium e (ciò che è) improprium lo mostra bene ilcolombicidio, neologismo punito (e descritto) nel XCII della Leopoldina. PietroFiorelli (14) ci segnala come sin dal XVI secolo nella Toscana granducale vi fosserobandi che punivano le uccisioni di colombi domestici. Quel nome però comparesolo con la Leopoldina, ed è accompagnato da gran discussioni nei lavori prepara-

(10) In questo senso B. ALBANESE, Furto (storia), in Enc. dir. vol. XVIII, 1969, p. 313 s.(11) Su cui v. il bel lavoro di F. BATTAGLIA, Furtum est contrectatio. La definizione

romana del furto e la sua elaborazione moderna, Padova, 2012.(12) F. BATTAGLIA, op. cit., in part. p. 74 s., 427 s.(13) Ibidem.(14) P. FIORELLI, Leopoldina quinque linguarum in ID., Intorno alle parole del diritto,

Milano, 2008, p. 458 s.

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tori sui suoi rapporti con il furto. Il XCII della Leopoldina alla fine distingue: lapena di scudi dieci « quando i colombi saranno ammazzati o presi all’aperto »;invece « si procederà con le regole e le pene prescritte per i Furti se alcuno liammazzasse o prendesse introducendosi nelle case o colombaie ».

Il caso è istruttivo: per un verso si dice « il Colombicio non è che unfurto » (15) e tutela pur sempre la proprietà privata; per altro verso, la “etologicavolatilità” della cosa mobile mette in crisi il proprium del furto, cioè la costantedella sottrazione/detenzione (torniamo indietro e ricordiamo che sin da Paolofurtum est contrectatio). Da qui, evidentemente, l’esigenza di un contenitorelinguistico specifico, perché non è scontato che uccidere un colombo che se lasvolazza libero sia contrectatio rei, quindi è improprio parlare di furto. Battezzatoil colombicidio però si crea il problema opposto per l’uccisione in colombaia,ovvero qualcosa che la mente ci dice di non nominare colombicidio perché qui lacontrectatio rei ci sta tutta: la volatilità dell’oggetto materiale viene meno, i colombitornano ad assomigliare a polli e galline, ad essere una tipica cosa mobile, sottrattaa chi la detiene. E infatti Leopoldo il saggio stabilisce che in questi casi non dicolombicidio, ma di furto si tratta.

Assai diversa da quella del furto è la storia di quella che solo dal 1889chiamiamo unanimemente truffa, cioè di quella miscela di inganno e quindi errore,da cui discende un atto di disposizione mediante cui ottenere un vantaggio ingiusto,con altrui danno. La truffa è il più giovane tra i delitti contro il patrimonio, dallagestazione lunghissima che si riflette in una spirale infinita tra definizione del tipoe individuazione del nome.

Sia la splendida sintesi di Mario Sbriccoli (16), sia la dettagliata ricostruzionedi Alberto Domenico Tolomei (17) illustrano bene questo intreccio tra sotto classidi fatti che si accomiatano da nomi per trovare una propria identità di disvalore,anche in virtù dell’intreccio con nomi sempre più appropriati, in grado di forgiarequell’identità. Nel diritto romano imperiale alcuni inganni per farsi consegnaredenaro (fingersi l’erede o il creditore o fingersi povero) erano considerati furtumimproprium, nelle varianti della già accennata contrectatio fraudolosa o dellavenditio fumi. Altre volte erano nominati crimina falsi, quando la falsificazione erafinalizzata ad ottenere un profitto.

Ma ce ne vuole affinché inganno, errore, atto di disposizione danno e profittoda essere semplici condimenti di altri illeciti divengano gli ingredienti principali diun tipo autonomo. La truffa emerge piano piano, attingendo e mettendo assiemeelementi distintivi (cioè costanti criminologiche) di altri illeciti: la lesione dal furto,la violazione della buona fede dall’appropriazione indebita, l’inganno e l’errore dalfalso e il nome dal famigerato crimen stellionatus (su cui v. più avanti) da cui,anche, si è attinta la natura patrimoniale della lesione.

(15) Così un auditore durante i lavori preparatori (Antonio Maria Cercigliani) cit. daD. ZULIANI, La riforma penale di Pietro Leopoldo, vol. II, Milano, 1995, p. 477 a sua volta cit.da P. FIORELLI, Leopoldina cit., p. 459 nt. 43.

(16) M. SBRICCOLI, Truffa (storia) in Enc. dir., vol. Milano, 1992 vol. XLV ora in M.SBRICCOLI, Storia del diritto penale cit., p. 355 s.

(17) A. D. TOLOMEI, Della truffa. E di altre frodi, Padova 1914, p. 32 s.

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Il grande storico del diritto maceratese ci mette in guardia (18) dal cercare diproporre una storia lineare ad un tortuoso percorso durato millenni, non vogliamoquindi cadere in questa trappola. Al contempo ci suggerisce (19) — e questo è in-teressante ai nostri fini — che il passaggio, all’epoca del diritto comune, dalla defi-nizione per elencum alla emersione dei tipi, sia avvenuto mediante una narrativa incui erano ben noti dei — diremmo noi — nomi per ‘tipo di autore’ (« furfanti, bir-bones, zuntatores, ganeones, nebulones »), che inducono a pensare diversamentespecifiche note modali di significatività penale.

A dimostrazione del legame tra nomen delicti e forma criminis è interessantenotare come la stabilizzazione tanto di un tipo quanto di un nome qui sia davverotardiva. Tolomei documenta come l’antica confusione tra falso e frode si riverberinel rincorrersi dei nomi della odierna truffa (20). La dottrina ottocentesca « con-tinua a preferire il nome classico di stellionato » (21). Il codice sardo-piemontesedel 1839 (e poi a seguire quello del 1859) usa truffa; il codice toscano del 1853 lanominava frode (mentre chiamava “truffa” l’attuale appropriazione indebita) ed èa Carrara (22) che si deve negli anni sessanta dell’800 la prima sistemazioneautonoma e differenziata su cui poggia il tipo che conosciamo oggi: si chiamaancora frode, ma si specifica dalle più generiche frodi venendo a perdere uno deglielementi originari dell’abuso di fiducia (23) e a caratterizzarsi per la c.d. mise enscene, cioè per l’inganno come costante essenziale e differenziale rispetto a furto,falso e appropriazione indebita. Ergo ricerca delle costanti criminologiche e delnome stanno e cadono assieme. Per usare le parole di Sbriccoli « non è senzamotivo che il reato che finirà per chiamarsi truffa non abbia ancora — nella dottrinae nelle prime leggi dell’Italia preunitaria — un nome comunemente accet-tato » (24).

a) Prima lezione: un tipo non può fare a meno del nome. — Insomma,certi fatti navigano di nome in nome per avvistare le proprie costanti eapprodare a nomi propri, altri nomi attraversano distese di fatti pertrovare nuove costanti o per diventare variabili. In entrambi i casi quelloche emerge con chiarezza è un primo essenziale insegnamento: per undiritto siffatto l’emersione dei tipi non può prescindere dall’emersione deinomi.

(18) M. SBRICCOLI, Truffa cit., p. 358.(19) Ibidem.(20) A. D. TOLOMEI, Della truffa, cit., p. 95 s.(21) Così M. SBRICCOLI, op. ult. cit., p. 366.(22) Lo afferma M. SBRICCOLI, op. ult. cit., p. 365 e lo riconosce anche A. D. TOLOMEI,

op. ult. cit., p. 89.(23) Così B. PETROCELLI, L’appropriazione indebita, Napoli, seconda ed., 1933, p. 56.(24) Così M. SBRICCOLI, op. ult. cit., p. 366.

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E si badi che i crimina extraordinaria e i crimina innominata costituiscono laconferma, e non la smentita (25), di quanto stiamo osservando. Entrambi sonostrutturalmente atipici e perciò richiedono l’arbitrium judicis e per entrambil’assenza del nomen ne è un tratto costitutivo. Per gli extraordinaria risulta evidentegià solo leggendo la loro definizione (26). Per gli innominata lo si comprendeavendo a mente che le condotte descritte sono quelle che « non semper fiunt cummaleficius » (27). Se quindi gli stessi comportamenti possono essere o non esserefatti cum maleficius, vuol dire che è da questo apprezzamento che dipende la pena.In altre parole le condotte degli innominata, quando sono descritte (28), lo sonosenza fare leva su elementi in grado di giustificare la pena ed essere sufficientementeparlanti da caratterizzarli come crimen ordinario o nominatus. Per questo sichiamano innominata e abbisognano dell’arbitrium iudicis.

Morale: assenza di nome, assenza di elementi dotati di univocità di disvalore,assenza di tipicità sono incatenate assieme.

Discorso parzialmente diverso va fatto per i crimina stellionatus (29). Ancheper questi si impone l’arbitrium iudicis e sono « descritti come categoria residualealla bipartizione tra reati nominati e innominati » (30). Tuttavia, pur nella varietàdi ipotesi che ci finiscono dentro, lo stellionato era un « generale vocabolum » (31),che poteva fungere da ‘vasca di decantazione’, dove fare salire in superficie alcunielementi che sarebbero poi divenute costanti. Sbriccoli lo dice chiaramente quandoafferma che in diritto romano « la condotta criminosa che non fosse compresa sottoun titolo speciale di reato poteva essere accolta nella denominazione generica di

(25) Non stiamo infatti qui osservando i rapporti tra nomi e condizioni del punire,bensì quelli tra nomi e condizioni della tipicità penale, quando è ovvio che la tipicità solo inseguito diviene condizione del punire.

(26) Massimo Meccarelli nel suo studio fondamentale sull’Arbitrium richiama ladefinizione di Crimina extraordinaria del Tractatus di Tiberio Deciani secondo cui sono quelliche « nullum habent titulum aut certum nomen nullamque poenam certa lege prescripta » (ID.,Arbitrium, Un aspetto sistematico degli ordinamenti giuridici in età di diritto comune, Milano,1998, p. 201 e nt. 12) segnalando come « su questa linea, nel solco della Communis opiniosi pone Farinaccio ». I Crimina innominata marcano questo aspetto poi sin dal loro nome.Riporto qui un sunto della articolata definizione che ne offre Farinaccio « Nominata suntdelicta quae a iure habent particulare et determinatum nomen ut furtum, adulterium (...).Innominata autem sunt delicta, ut puta verberare, domum ingredi et similia: sunt enim haecnomina actus et non delicti, cum possim percuotere et ingredi domum sine delicto », ivi, p.202 nt. 14.

(27) Ibidem.(28) Alberto Gargani richiamando la Pratica di Carpzov del 1635 fa alcuni esempi di

Crimina innominata e segnala come alcuni di questi fossero « nominati ». Però sono convintoche Gargani usi “nominati” come sinonimo di “previsti”. Come detto infatti alcuni innomi-nata erano previsti, nel senso che c’era la descrizione di una condotta di per sé nonunivocamente significativa (ad es. « puta verberare, domum ingredi ») v. la definizione diFarinaccio citata due note più sopra), ma un nome non ce lo avevano Cfr. A. GARGANI, DalCorpus delicti, cit., p. 117 s.

(29) Su cui v. M. MECCARELLI, op. cit., p. 205 s. e A. GARGANI, op. cit., p. 118 s.(30) Così M. MECCARELLI, op. cit., p. 205 s. che poi richiama le definizioni di stellionato

di Bossi, Farinaccio, Alciato e, infine, la formula di Ulpiano.(31) Così A. GARGANI, op. cit., p. 118.

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stellionato, purché concorressero inganno, animus lucrandi e praeiudicium alte-rius » (32) ed è da qui che infatti si innesta quella lunga linea evolutiva che, comeabbiamo visto, porta alla fattispecie ottocentesca di truffa (33).

b) Seconda lezione: nessuno da solo può imporre i nomi. — Come di-cevamo è con l’emersione del penale in età comunale e poi dal cinquecento,con il c.d. penale egemonico, che l’intreccio tra caso, classe, nome e tipo sifa sempre più intenso. Questo lungo arco di tempo è stato chiamato il “dirittopenale delle narrazioni” (34), in contrapposizione al “diritto penale dellefattispecie” (35). Sono i nomi a fondare sia la struttura del sistema (comevisto la distinzione fondamentale è nominata versus extraordinaria-inno-minata), sia la funzione, poiché essi permettono di pensare qualcosa comeproprium, garantendo continuità comunicativa: quando la lex è solo uno deivari anelli della catena di produzione del diritto (36) sono i nomi che, fis-sando l’oggetto della comunicazione, tengono assieme la catena.

Epoche e persone disputano su frammenti, glosse, e commenti, stabi-liscono communis opiniones, ma per farlo stipulano delle convezionilinguistiche, parlandosi avendo un oggetto in comune: i nomi. Questi nelcorso del tempo possono cambiare nei loro contenuti, ma per farlo,necessitano — evidentemente — di maggiore stabilità. Il nome può traci-mare, ed è il concetto di impropium a segnalare il “troppo pieno” e ainnescare la trasmigrazione, oppure possono entrare in azione le “vasche didecantazione” (37) (i crimina stellonatus ne sono un esempio), ma lasensazione netta che se ne ricava è che i contenitori linguistici fossero piùresistenti dei contenuti. I nomi dei reati funzionano se comunicano, circo-lano e prescrivono, devono quindi mettere in comunicazione non solo lecomunità dei giuristi, ma anche i vari attori sociali, i destinatari dellenorme, mostrando in questo quel legame indissolubile che c’è tra lingui-

(32) Così M. SBRICCOLI, op. ult. cit., 357 s.(33) Nello stesso senso M. MECCARELLI, op. cit., p. 205, nt. 22.(34) Così, poggiando sui lavori di George Flechter, F. PICINALI, Le narrazioni nella

giustizia penale in Dir. pen. cont., 15 ottobre 2013.(35) Cfr. in partt. D. BRUNELLI, Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino,

2011, passim che sin dal titolo “coglie nel segno”, offrendo un’analisi dal punto di vista dellaparte speciale attorno alla fattispecie come tratto caratterizzante il diritto penale. Sullacentralità della fattispecie v. M. PAPA, Fantastic voyage cit., p. 18 a cui si rinvia anche per iltema della dimensione narrativa del diritto penale delle fattispecie, (su cui volendo C. SOTIS,Il “fatto” nella prospettiva del divieto di doppia punizione in Ind. Pen., 2/2017, p. 470 s.).

(36) Così M. MECCARELLI, op. cit., p. 203.(37) Abbiamo già segnalato, riprendendo Sbriccoli, come una vasca di decantazione

dei tipi siano le circostanze, cfr. i contributi di Michele Pifferi e Roberto Bartoli in R. BARTOLI,M. PIFFERI (cur.), Attualità e storia delle circostanze del reato, Milano, 2016, rispettivamentep. 1 e 19.

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sticità (38) e « socialità » (39) del diritto. Se ne ricava una lezione: i nomidei reati sono potenti, ma è un potere nelle mani di tanti, perché da solo,nessuno può imporli, nemmeno Bartolo o Ulpiano, figuriamoci un legisla-tore di passaggio.

c) Terza lezione: l’estetica dipende dalla funzione. — I nomi ovvia-mente non sono immodificabili, la loro storicità li rende vitali. Possonoemergerne di nuovi, altri possono andare perduti, ma rispondendo alleregole del linguaggio, saranno quindi sempre il frutto di un’opera collet-tiva, orientata dalla specifica funzione comunicativa che i nomi dei reatisono chiamati a svolgere: trasformare una classe in un tipo indicandone glielementi caratterizzanti. In altre parole connotare. Istruttive in proposito lediverse sorti dell’appropriazione indebita, dello scrocchio e dell’abigeato.

Per la nascita di appropriazione indebita la spirale tra nominabilità, tipicità enominazione è ricostruita magistralmente da Biagio Petrocelli (40). Il Maestronapoletano illustra come una nozione autonoma sia germinata all’ombra delladottrina del furto improprio (41) poi, come per la truffa, anche qui il balletto tranomi e tipi si fa serrato nel corso dell’800.

I nomi (42) e le costanti del tipo (43) fomentano ognuno la definizionedell’altro. Se alcuni elementi essenziali del tipo preesistono alle autonome nomi-nazioni e sono da ricondursi già alla Carolina (44), è tuttavia la legislazionefrancese con il termine abus de confiance che per prima attribuisce un nome e unapena specifica. La definizione francese però è equivoca, ancora troppo incerta, essa— ci dice Petrocelli — « ebbe solo il merito di rendere più evidente l’autonomanozione già sorta » (45). Anche qui un passaggio chiave è quello del codice toscanodel 1853, che riflette bene il ribollire tra nomi, tipi e interpretazioni. Il codicetoscano nomina questo reato “truffa” e lo affianca ad uno ancor più specialenominato “indebita appropriazione di cose trovate”, la dottrina lo classifica come“furto improprio”, ma il delitto è nettamente distinto dalla frode perché l’atto didisposizione preesiste all’illecito (46). Nel corso dei codici preunitari italiani il reatocontinua ad essere nominato (e tipizzato) con nomi diversi. Tutto questo ha

(38) Cfr. W. HASSEMER, Fattispecie e tipo. Indagini sull’ermeneutica penalistica, Na-poli, 2007 (1968), in part. p. 130 s.

(39) Così P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma, Bari, 2003, p. 12.(40) B. PETROCELLI, L’appropriazione indebita, Napoli, seconda ed. 1933, p. 56 s.(41) Ivi p. 37 s.(42) ”Abus de confiance” nel code pénal del 1810, formula poi trasposta in numerosi

codici preunitari, “Unterschlagung des Anvertrauten” nel codice bavarese del 1913 redatto daFeurbach, “Truffa” nel codice toscano del 1853.

(43) In particolare quali titoli del possesso integrassero il reato, quale fosse l’oggettomateriale e quale fosse il rapporto tra inganno e infedeltà rilevante.

(44) Ivi p. 49.(45) Ibidem.(46) Ibidem.

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immediate ricadute sui lavori preparatori al codice del 1889, in cui definizione enominazione si sono intrecciate di progetto in progetto. Petrocelli ci segnala comei vari progetti abbiano intavolato discussioni e ripensamenti sul nome e sulladefinizione: “abuso di confidenza”, poi “truffa”, poi di nuovo “abuso di confidenza”per, infine, approdare a “appropriazione indebita”. Non era questione di campani-lismi linguistici, bensì di intendersi sulle costanti criminologiche del reato: truffa loiscriveva di ufficio ai reati a carattere fraudolento; la formula ed il nome francesinon centravano il bersaglio: troppo estesi per un verso e troppo poco per altro (noncontenevano le ipotesi in cui la cosa fosse stata ricevuta per errore o per casofortuito).

Per assaporare appieno l’impasto tra stabilizzazione del tipo e definizione delnome invito a leggere le pagine di Petrocelli, qui non si può che richiamare questopasso, particolarmente esplicito in tal senso: « In questo così vivo e marcatocontrasto di tendenze va riscontrata non soltanto una divergenza di carattereesteriore nella scelta di un titolo, bensì una diversa concezione del reato, esoprattutto (...) lo sforzo di sottrarre la configurazione del reato da una parte a unaqualificazione, sia pure largamente intesa, a carattere fraudolento, dall’altra aitermini angusti ed incerti della formula francese » (47).

Del tutto opposta la sorte dello scrocchio, previsto all’art 408 del codicepenale toscano del 1853. La disposizione descrive una particolareggiatissimaipotesi al crocevia tra truffa e usura. Commetteva scrocchio chi avesse consegnatoa persona in stato di bisogno in vece del denaro « altre cose che il ricevente fossecostretto a rivendere per fare denaro ». L’ho ritrovato anche nella Leopoldina del1786 al LXXX, dove, con una formula a maglie più larghe scrocchia chi dà mercie masserizie a chi cerchi danaro anche solo « per soddisfare le proprie voglie » (48).Dello scrocchio però dopo il codice toscano del 1853 non vi è più traccia nellalegislazione penale.

Il nome è bellissimo: evocativo, istantaneo, quasi onomatopeico. Però la suascomparsa dalla legislazione penale non ci deve rattristare più di tanto, poiché ètanto bello, quanto poco funzionale, cioè poco connotativo. Nel linguaggio comuneil lemma è a tutt’oggi largamente in uso (“scroccone”, “scroccare”, “andare ascrocco” ecc.), e si riferisce a uno spettro amplissimo di situazioni, accomunate almassimo da un generico approfittamento. Al contrario il reato di scrocchio eratanto specifico quanto instabile (nella Leopoldina si scrocchia anche su « chi vuolesoddisfare le proprie voglie », nel codice del 1853 non più). Insomma mischiandoassieme un fatto assai ristretto, una classe in crisi di identità tipologica e un nometanto evocativo quanto poco connotativo il divorzio era inevitabile: il lemma prende

(47) Ivi p. 62 s.(48) LXXX « (...) dichiariamo assolutamente Rei di Scrocchio, e soggetti alle pene qui

sotto espresse, tutti quelli i quali o a qualsiasi persona, che o per bisogno o per soddisfare leproprie voglie cerchi danaro, daranno scientemente sotto qualsiasi titolo in vece di danaro,merci, masserizie, gioje (...) » che nel secondo comma prevedeva anche uno ‘scrocchioimproprio’: « sarà parimente Reo di Scrocchio chiunque simulando di avere accomodato acambio danaro effettivo avrà dato altra qualunque specie ».

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la sua strada e fa fortuna in società (e all’estero (49), la classe si sparpaglierà traaltri tipi e l’irrilevanza penale. E a noi lo scrocchio ci regala una terza lezione (50):per i nomi dei reati l’estetica dipende dalla funzione.

Completamente diverso il funerale legale di abigeato. Qui tipo e nome hannoradici solide e antiche (ad es. all’abigeato sono dedicati non pochi frammenti delDigesto da de abigeis D.47.14.0. e s., D.48.19.16.7). Sono così radicati che ancoranella Leopoldina (51), cioè all’alba della codificazione, si può fare a meno didescrivere il fatto e si indica solo la soglia a cui scatta la pena (52), evidentementel’abigeato è così connotato che è “ragionevolmente prevedibile” al solo nominarlo.Tutti sappiamo cos’è, eppure nel giro di poco quel nome è scomparso dallalegislazione penale. Retrocesso al rango di circostanza, sia nel codice Zanardelli(art. 401 n. 6, art. 404 n. 12), sia nel codice Rocco (art. 625 n. 8 e ab externo art.638), quel nome continua a vivere (e connotare), ma da fuori-legge.

2.1. L’Ottocento e il “vincolo di rubrica” del codice Rocco. — Tuttoquesto aiuta a capire quanto avvenuto nel XIX secolo. Per arrivarci èd’obbligo uno sguardo (e un omaggio) al protocodice toscano del 1786, laLeopoldina, che anche sui nomi sta esattamente dove si trova ossia all’albadelle codificazioni (53). Essa infatti cammina in modo incerto sul filo delrapporto tra nomi e fattispecie. A volte sono descritti e puniti fatti senzache siano denominati (54), altre volte si punisce solamente indicando ilnome (55), più frequentemente i fatti puniti sono sia descritti, sia denomi-nati (56). Con le prime codificazioni le norme penali debbono invece

(49) Lo scrocchio, ripudiato in patria, si è infatti preso la non piccola rivincita diseminare il suo lemma in terra di Francia. Per il dizionario Larousse on line « Escroquer »deriverebbe dal nostrano “scroccare”. E oltralpe sin dal 1810 il delitto codicistico corrispon-dente alla nostra truffa si chiama “Escroquerie”.

(50) Confesso che l’amore a prima vista per lo scrocchio mi aveva istigato fantasienominalistiche di numerose incriminazioni vigenti, prima di rendermi conto che questa suacapacità di adattamento fosse un chiaro segnale di allarme: un nome bon à tout dire lo si mettein bocca, non nel codice penale.

(51) V. P. FIORELLI, Leopoldina cit., p. 454 s. che come un segugio segue le tracce neltempo e nello spazio lasciate dall’abigeato, anche di quelle insospettabili, come dell’inglesebreach of trust.

(52) LXXV « (...) Negli abigeati, nel peculato (...) basterà per andare alla pena deipubblici lavori che il valore arrivi a scudi venticinque ».

(53) « Monumento istorico di una vigorosa infanzia dell’arte legislativa » la definisceMori, cit. in A. CAVANNA, La codificazione penale in Italia. Le origini Lombarde. Milano, 1987,p. 26 a cui si rinvia anche per i rapporti tra Leopoldina e codificazioni. Per uno sguardo diassieme v. E. DOLCINI, Codice penale, in G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Studi di diritto penale,Milano, 1984, p. 3 s.

(54) Es. LXV: « dichiariamo puniti tutti quelli che con regali già tutti e indistintamenteda noi proibiti o con altri mezzi indiretti avessero corrotto i detti giudici, ministri (...) ».

(55) LXXIV « Il furto semplice (...) sarà punito (...) » LXXIX « Con le stesse regolefissate nella punizione del furto semplice si procederà nelle truffe con dolo a principio (...) ».

(56) Es. LXXII « Le ferite fatte con arme di qualunque specie con premeditazionesaranno punite (...) ».

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parlare il solo linguaggio delle fattispecie, i nomi smarriscono la lorofunzione e la loro collocazione si fa incerta. E infatti nel code pénalnapoleonico del 1810, e nel “Codice dei delitti e delle pene pel regno diItalia” del 1811 (57), è la descrizione dei fatti in fattispecie ad esseresistematica; i nomi sono eventuali (58).

Certo, il processo è lungo e non così lineare. Ricordano Alberto Cadoppi ePaolo Veneziani che « ancora in pieno ottocento (...) era talmente radicata questaidea del monopolio della dottrina in relazione alla configurazione dei reati che nonmancavano illustri autori che sconsigliavano ai legislatori di inserire in un codice ledefinizioni dei delitti: secondo Pellegrino Rossi sarebbe stato meglio che un codicesi fosse limitato a menzionare i « nomi » dei reati (...), senza descriverne i fattitipici. Tutti — intendendosi con « tutti », forse (59) più la dottrina che la gentecomune — conoscevano infatti il significato di tali nomi, e di tali delitti conosce-vano con precisione gli elementi costitutivi, senza bisogno che il legislatore lispecificasse nel codice » (60).

In seguito razionalità, forma-codice e centralità delle fattispecie sifanno progressivamente ancora più compiute, ma pur a fronte di marcatedifformità stilistiche e di struttura, nella nostra prospettiva non sembra didovere segnalare particolari differenze tra il codice del Regno delle DueSicilie del 1819 (61), quello per gli Stati di Parma e Piacenza del1820 (62), quello sardo piemontese del 1859 (63). I nomi possono essere

(57) Che del code pénal del 1810 costituisce la traduzione.(58) Cfr. S. VINCIGUERRA (a cura di), Codice penale dei delitti e delle pene pel regno

d’Italia (1811), Padova, 2002 p. 107, copia anastatica pubblicata in calce.(59) Concordo con gli illustri autori per il prudente inserimento dell’avverbio.(60) A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale. Parte speciale. Introduzione

ed analisi dei titoli, terza edizione, Padova, 2016, p. 60.(61) Consultato nella copia anastatica pubblicata a Napoli 1849 online su antropolo-

giagiuridica.it su cui v. A.M. STILE, Il codice penale del 1819 per lo Regno delle due Sicilie, inS. VINCIGUERRA (coord.), Diritto penale dell’ottocento. I codici preunitari e il codice Zanardelli,Padova, 1993, p. 183 s.

(62) Consultato nella copia anastatica pubblicata dalla Reale tipografia di Parma, 1850online su giustizia.it e su cui v. A. CADOPPI, Il codice penale parmenese del 1820, in ult. op. cit.,p. 196 s. Una curiosità: in questa ristampa del 1850 della tipografia Reale è presente in calceun interessante indice per materie, ma non è chiaro chi abbia redatto i nomi di questo indice.

(63) Consultato nella copia anastatica dell’originale Torino Stamperia reale 1859online su antropolgiagiuridica.it, su cui v. per la continuità stilistica con il codice previgenteS. VINCIGUERRRA, I codici penali sardo piemontesi del 1839 e del 1859, in ult. op. cit., p. 350s.; dello stesso avviso, pur segnalando le differenze tra i due testi sullo statuto penale dei dirittidi libertà dovute all’entrata in vigore dello Statuto albertino D. BRUNELLI, Il codice penaleRattazzi e il riconoscimento delle libertà costituzionali: riflessi sulle scelte di penalizzazione,in S. VINCIGUERRA (cur.), Il codice penale per gli stati del Re di Sardegna e per l’Italia Unita(1859), Padova, 2008, p. XXI s.

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indicati — nelle fattispecie, nei titoli delle sezioni e, ove presenti, deiparagrafi —, ma la loro presenza non è essenziale. La tipicità penale èfaccenda di fattispecie legale (64), punto. A leggerli uno appresso all’altrosembra un processo inarrestabile e irreversibile.

E invece non è così. Ad uscire fuori dal coro è il codice toscano del1853 (65) che è come se dicesse: “ben venga il diritto penale delle fatti-specie legali; legali e tipiche!”. E allora per evitare fattispecie atipiche, perbandire gli innominata, i nomi, evidentemente, ci vogliono. E, infatti, nelcodice toscano del 1853 i nomi dei reati ci sono. La denominazione avvienein due modi. In primis strutturando quasi sistematicamente le fattispeciesecondo uno schema ternario, in vece del classico schema binario delleconseguenze giuridiche: non “Se A (fatto) allora B (pena)”, ma “Se A(fatto) allora B (nome) quindi C (pena), dove B, si badi, non aggiunge nullaalla descrizione del fatto, ma assume la sola funzione di connotarlo,riconoscendogli un nome (66). In secundis nominando tutti i reati nell’in-dice, sia quelli posti nei titoli dei capi, sia quelli lì non indicati.

Arriviamo così al 1889, « punto di approdo » (67) di una riflessione cheha impegnato la “penalistica civile” per trenta anni. Il codice liberale (68),tanto meditato prima (69) quanto apprezzato poi, financo nella terra deicanguri (70), esprime al meglio l’idea di codice (71) e segna il trionfo deldiritto penale della fattispecie legale tipica. Si cercava sintesi, pulizia, ra-zionalità e non si poteva quindi riprendere quello schema ternario. Però

(64) Per tutti v. A. GARGANI, Dal Corpus delicti cit., passim e in part. p. 299 s.(65) Consultato nella copia anastatica dell’originale 1853 online su giustizia.it.(66) Questo schema ternario si presenta in due varianti: a) inserendo nel testo delle

fattispecie incriminatrici un inciso « come colpevole di » (es.: art. 367 « Chiunque in un attopubblico o (...) dolosamente attribuisce ad una persona fatti della natura (...) è punito, comecolpevole di libello famoso, con la carcere da due mesi a due anni »); b) dividendo il reato indue periodi o in due articoli (es. art. 280 « Chiunque, mediante violenza, abusa, per libidine,di una persona (...) commette il delitto di violenza carnale. art. 281 La violenza carnale sipunisce con (...) »).

(67) Così, M. SBRICCOLI, La penalistica civile. Teorie ed ideologie del diritto penalenell’Italia unita in ID., Storia cit., 493 s. p. 536.

(68) Per una riflessione sulle varie matrici ideologiche del codice Zanardelli (a partireda quella liberale, ma non solo) nello spettro del sistema sanzionatorio v. S. MOCCIA, Ideologiee diritto nel sistema sanzionatorio del codice Zanardelli in S. VINCIGUERRA (coord.), Dirittopenale dell’ottocento. I codici preunitari e il codice Zanardelli, Padova, 1993, p. 562 s.

(69) Ribatezzato perciò il « codice dei trent’anni » da S. VINCIGUERRA, Un nuovo dirittopenale all’alba del Novecento: il codice Zanardelli. Appunti di comparazione con il codice del1859 in ID., Il codice penale per il regno di Italia (1889), Padova, 2009, p. XI.

(70) Sull’influenza del codice Zanardelli sul codice penale dello Stato australiano delQueensland del 1899, e in generale sulle ragioni dell’influenza che ebbe in paesi di commonlaw, v. il gustoso lavoro di A. CADOPPI, Il codice Zanardelli e la codificazione nei paesi diCommon law, in questa Rivista, 1996, p. 1052 s., v. inoltre per l’influenza in altre parti delmondo ivi p. 1065 nt. 68.

(71) Ibidem.

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anche sui nomi il codice toscano, sottopelle, ha esercitato la sua in-fluenza (72), come abbiamo intravisto con le querelles nelle commissioni diriforma. Così, per salvare capra e cavoli il codice Zanardelli fa sua la secondastrategia del codice toscano del 1853. Troviamo perciò, fuori dal testo, ossianell’indice, i nomi dei reati, di tutti i reati: sia quelli già denominati nel testo,sia quelli che lì, un nome, non ce l’hanno.

Torniamo finalmente al codice del 1930. Qui, i nomi dei reati ci sono,sistematicamente, e vengono fatti sedere nel salotto buono, nel testo: dopoil numero di ogni articolo e prima dell’enunciato. “In rubrica” appunto.

Spontaneo chiedersi se questa scelta sui nomi del codice fascista sia“un carattere originario o un tratto permanente” del sistema penale ita-liano (73). Bella domanda, e per nulla scontata nella sua risposta, anche seio credo sia un po’ entrambe le cose. Ma per la fortuna del lettore esigenzedi sintesi impediscono di attardarcisi troppo e mi soffermo sul solo rilievoessenziale nell’economia del nostro discorso.

Con il tecnicismo giuridico l’oggetto della conoscenza del dirittopenale deve essere il solo diritto positivo (74), ben sapendo però che perpotere monopolizzare la scena questo deve essere sommamente completo ecoerente. Si realizza in questo modo quell’efficace tecnica di controllosociale mediante controllo anche sul diritto che caratterizza il codiceRocco, che con le “mani nella pasta e gli occhi al cielo” (75) è abilissimo,in virtù della sua eccellente fattura, nel cucire assieme opzioni autoritariee rispetto formale della legalità (76).

(72) T. PADOVANI, La tradizione penalistica toscana nel codice Zanardelli, in Dirittopenale dell’ottocento cit., p. 397 s. che di nomi non parla, ma dell’influenza del codice toscanosul codice Zanardelli sì.

(73) Così M. SBRICCOLI, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penaleitaliano (1860-1990). in ID., Storia, p. 591 s. Sulle continuità discontinuità in particolare delcodice Rocco in un’ampia letteratura v. inoltre molte delle opere qui citate.

(74) Fondamentale ovviamente A. ROCCO, Il problema e il metodo della scienza deldiritto penale in ID., Opere giuridiche, Volume terzo, Roma, 1933, p. 263 s. Su cui oggi v. S.SEMINARA, Sul metodo tecnico-giuridico e sull’evoluzione della penalistica italiana nella primametà del XX secolo, in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, in part. p. 580 s.

(75) M. SBRICCOLI, Le mani nella pasta e gli occhi al cielo. La penalistica italiana neglianni del fascismo, in ID., Storia cit., p. 1001 s. Voglia perdonare il lettore questo uso nel testodi frasi tratte dai titoli dei lavori di Mario Sbriccoli, ma lo giudichi per quello che vorrebbeessere: un omaggio alla Sua memoria e un’invito alla lettura dei Suoi scritti.

(76) Si ritiene anche dai suoi più aspri detrattori che il Codice Rocco per questo siastato “salvato” nel dopoguerra dalla dottrina che si è appellata alla sua (apparente) continuitàliberale e al suo (nominalistico) rispetto della legalità, su cui v. le riflessioni critiche e iriferimenti al dibattitto di G. NEPPI MODONA, Principio di legalità e giustizia penale nel periodofascista in Principio di legalità e diritto penale (per Mario Sbriccoli), cit. p. 983, di A. CADOPPI,P. VENEZIANI, Elementi cit., p. 69 s., S. VINCIGUERRA, Dal codice Zanardelli al codice Rocco. Unapanoramica sulle ragioni, il metodo e gli esiti di una sostituzione, in ID. (cur.), Il codice penaleper il Regno d’Italia (1930), Padova, 2010, p. XXVII s. Sulla questione fondamentali inoltre

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Il vincolo di rubrica sembra incastrarsi perfettamente con questaoperazione, come si vede bene leggendo la Relazione del Ministro AlfredoRocco.

Il passo è un po’ lungo, però per afferrare il senso dell’operazione occorreriportarlo per esteso:

« A) Le ripartizione del codice sono fatte in base a criteri rigorosamentescientifici e conformi alla più progredita tecnica legislativa.

Le norme comuni a tutti i reati sono contenute nel libro I (parte generale);quelle concernenti i singoli reati (parte speciale) costituiscono i libri II (delitti) e III(contravvenzioni).

La classificazione dei reati in categorie più o meno vaste (titoli, capi, sezioni)è stata fatta in base al criterio dell’oggetto giuridico (interesse leso) dei reatimedesimi: elemento sistematico essenziale, col quale soltanto si può evitare l’em-pirismo di altri sistemi legislativi. La categoria maggiore (titolo) è costituita in basealla più generica considerazione dell’interesse tutelato (es. delitti contro la per-sona): la categoria intermedia (capo) si fonda sopra una specifica considerazionedell’interesse medesimo (es. delitti contro la libertà individuale), e la categoriaminore (sezione) è formata col criterio di una considerazione ancora più particolaredello stesso interesse (es. delitti contro la libertà morale).

Si perviene così all’unità elementare (articolo), nella quale l’interesse chequalifica tutta la classe è considerato in modo del tutto specifico e tale da nonconsentire ulteriori distinzioni.

B) Ogni articolo del codice è preceduto da una sua propria rubrica, che neindica sinteticamente il contenuto: innovazione, questa, che reputo praticamenteassai utile.

Queste rubriche, come quelle più generali dei titoli e dei capi, possono avereanche valore esegetico, nei limiti fissati dalle migliori trattazioni sulla interpreta-zione delle leggi in generale e delle leggi penali in particolare, e che qui è superfluorammentare (77) ».

Coerenza del diritto positivo dunque. Ma anche completezza, perchémettendoli in rubrica è il diritto positivo che offre i nomi dei reati. In pienasintonia con la sua strategia di controllo non solo tramite, ma anche suldiritto, il codice Rocco, con il vincolo di rubrica, dà dunque un colpo alcerchio e uno alla botte: un ancoraggio sociale alle opzioni legislative

C.E PALIERO, L’autunno del patriarca. Rinnovamento o trasmutazione del diritto penale deicodici?, in questa Rivista, 1994, p. 1220 s., G. MARINUCCI, L’abbandono del codice Rocco, trarassegnazione ed utopia, in G. MARINUCCI, E. DOLCINI (cur.), Diritto penale in trasformazione,Milano, 1985, p. 327 s.

(77) Relazione a S.M. il Re del Ministro Guardasigilli presentata alla Camera nel-l’udienza del 19 ottobre 1930 anno VIII n. 1938 n. 6, in vol. 1930-IX Codice penale, pubbl.ad opera del Ministero di giustizia e degli affari di culto, Roma 1930, p. 14.

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cercando al contempo di sottrarre all’esperienza qualunque margine dimanovra.

Però, e arriviamo al punto, il bello dei nomi dei reati è che nemmenoAlfredo Rocco può negargli di essere ciò che sono ossia linguisticitàgiuridica allo stato puro. I nomi dei reati in rubrica sono delle finestrelle traempiria e legalità che il legislatore può (e deve) ri-conoscere e sistematiz-zare, ma che non può inventare.

Lo si capisce mettendo in parallelo le rubriche degli articoli conun’altra grande operazione di positivizzazione del linguaggio effettuata dalcodice Rocco: le definizioni.

Il codice Rocco definisce molto, in evidente discontinuità con il codiceZanardelli (78). Anche la partita sulle definizioni, come quella sul vincolodi rubrica, è pienamente coerente con il tecnicismo giuridico ed è chiara-mente una partita sul potere (79), ma le due sono partite diverse. Normedefinitorie e rubriche stanno entrambe nel testo, ma su due livelli distinti.

Le norme definitorie si muovono sul piano della descrizione del fatto,e vengono implicitamente integrate nella norma incriminatrice (80), inregime di riserva di legge il legislatore ha quindi il potere di stabilire ledefinizioni di queste parole. Le rubriche invece sono parole che si muovonosul piano della nominazione. E come abbiamo visto, nessuno da solo,nemmeno il legislatore, può imporre queste parole.

Per capirci, il legislatore può imporre una proposizione semantica-mente scorretta, come: « agli effetti della legge penale, si considera cosamobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valoreeconomico ». Però, come sappiamo e come vedremo (infra par. 4., a)), nonpuò con un tratto di penna cancellare la storia e pretendere che si chiamiplagio « sottoporre una persona al proprio potere, in modo da ridurla intotale stato di soggezione ».

Il legislatore può riconoscere e sistematizzare i nomi dei reati, ma nonpuò imporli.

3. I benefici del vincolo di rubrica per tutti i reati. — Ergo i reati sononominabili non quando il legislatore si inventa oltre alle fattispecie pure i

(78) In questo senso A. CADOPPI, Il problema delle definizioni legali nel diritto penale.Presentazione in A. CADOPPI (coord.), Omnis definitio in iure periculosa? Il problema delledefinizioni legali in diritto penale, Padova, 1996, p. 15 s.

(79) Così F. BRICOLA, Le definizioni normative nell’esperienza dei codici penali con-temporanei e nel progetto di legge delega italiano in A. CADOPPI (coord.), ult. op. cit., p. 175s.

(80) Nello stesso senso, richiamando Giacomo Delitala, E. DOLCINI, Codice penale,cit., p. 21.

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nomi, ma, esattamente al contrario, quando scolpisce fattispecie (81) che siriferiscono a cose già pensate come simili (82), e sono tali solo quellenominabili.

Dopo il nostro excursus, mi sento allora di confermare, con rinnovatovigore, che il vincolo di rubrica un piccolo contributo di tipicità, perlomenoa contrario possa offrirlo, perché se un reato deve essere nominato dovràessere nominabile. Un reato è infatti innominabile quando descrive epunisce assieme “storie così diverse” (83) che “non ci sono parole” (84)con cui dargli un nome.

Un esempio.Il comma 6 dell’art. 12 della legge 40 del 2004 stabilisce che: « Chiunque, in

qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gametio di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesia due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro ». Qui il legislatore metteassieme in un’unica lista due tipi di accadimenti tra loro molto diversi. La dispo-sizione punisce tanto la commercializzazione di gameti o di embrioni, quanto lasurrogazione di maternità, sia a titolo oneroso, sia a titolo gratuito (85).

Faccio questo esempio perché, al di là delle personali convinzioni di tipo etico,la surrogazione di maternità e la commercializzazione di gameti o di embrionicostituiscono per chiunque diverse tipologie di fatti (86): sono gravati di vincolicostituzionali e sovranazionali diversi, hanno contesti criminologici diversi, tute-lano beni giuridici diversi, coinvolgono interessi e spettri di persone diversi, hanno

(81) Fondamentale C. E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in questa Rivista,1992, p. 849 s.

(82) Due opere cui debbo molto di quel che ho compreso sul nesso tra pensabilità,similarità e denominabilità sono M. FOUCAULT, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienzeumane, Milano, 2010 (1966), U. ECO, Vertigine della lista, Milano, 2009.

(83) Per restare nel campo semantico tracciato da Francesco Palazzo che nel suomanuale definisce le fattispecie criminose come dei « minuscoli racconti » in ID.,Corso, cit., p.81.

(84) Su cui v. l’interessante saggio di G. MANNOZZI, Le parole del diritto penale. Unpercorso ricostruttivo tra linguaggio per immagini e lingua giuridica, in questa Rivista, 2011,p. 1431 s.

(85) Il carattere patrimoniale come noto è un tratto essenziale poiché un ruolo centralein punto di liceità di atti di disposizione del proprio corpo è svolto dal principio, nazionale esovranazionale, di non commercializzazione; sul punto, anche per i riferimenti, sia consentitorinviare a C. SOTIS, « Trop précieux pour être vendu ». Le principe de non-patrimonialité enItalie, in B. FEUILLET-LIGER, (dir.), La réalité du principe de non patrimonialité du corpshumain. Panorama international, Bruylant, Bruxelles, Collection Droit, Bioéthique et societé(n. 17), 2016, p. 137 s.

(86) Che il disagio sia comune a qualunque interprete lo si può vedere raffrontando icommenti di autori che pur ponendosi su posizioni eticamente distanti sono però corali nelsegnalare la medesima disomogeneità e quindi difficoltà interpretativa di questa disposizionecfr. ad esempio C. CASINI, M. CASINI, M. L. DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004 n. 40, Torino,p. 186 e 192 s. 2004; A. VALLINI, Procreazione medicalmente assistita (diritto penale), in Enc.dir. Annali IX, Milano, 2016, p. 705 s.

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in definitiva un indiscutibile diverso disvalore. E quando si mischiano assieme fattidiversi non è individuabile il contenuto di disvalore ed i nodi vengono al pet-tine (87), perché diviene arduo ciò che in definitiva più conta, cioè garantire che sipossa sapere con ragionevole certezza cosa il legislatore ha stabilito essere « lecitoe cosa vietato » (88).

In altri termini, non essendo chiaro quali siano le costanti, poiché i diversi tipisono mischiati e puniti assieme in un’unica fattispecie, non si capisce quali siano ifatti tipici delle varie ipotesi. E da qui sorgono una serie di problemi. Ad esempio,non è più dato sapere a cosa debbano accedere delle condotte di partecipazione perintegrare un concorso nel reato (es.: non essendo per nulla chiaro se la pubbliciz-zazione a titolo gratuito d’informazioni sui centri in cui si organizzano surrogazionidi maternità a titolo gratuito effettuata all’estero sia un fatto tipico diviene a suavolta davvero impossibile capire quali siano i contributi penalmente rilevanti cheaccedono ad un fatto non tipico) (89). Insomma, mettendo assieme fatti cosìdiversi, diviene impossibile comprendere quale sia la “quidditas del reato”, per dirlacon Bartolo (90), o la « sostanza dell’incriminazione », per dirla con Stra-sburgo (91).

(87) Iperbolicamente, le difficoltà che comporta una disposizione innominabile che hamesso assieme storie diverse la si avverte apprezzando l’immane sforzo di un autore delcalibro di Antonio Vallini (che oltretutto è un grande esperto del tema), per provare adoffrirne una lettura “sensata” in ID., La schiava di Abramo, il giudizio di Salomone e unaclinica di Kiev: contorni sociali, penali e geografici della gestazione per altri, in Dir. pen. eproc., 7/2017, p. 899 s.

(88) Per dirla evocando le parole della Corte costituzionale nella sentenza 364 del1988 par. 8 del Considerato in diritto.

(89) Nel quadro di una ricerca in tema di non patrimonialità del corpo umano (Cfr. B.FEUILLET-LIGER, (dir.), La réalité du principe de non patrimonialité du corps humain. Pano-rama international, cit.) ho potuto constatare l’estrema volatilità e lo stato di incertezza concui venivano pubblicate le notizie da parte di una serie di associazioni No profit (ad esempioFamiglie arcobaleno, Associazione Luca Coscioni) in tema di gestazione per altri. Non èchiaro se si possa pubblicare notizie sulle strutture e associazioni estere presso cui sonoorganizzate delle gestazioni per altri a titolo gratuito e non è chiaro nemmeno se sia possibileindicare i link stranieri presso cui trovare informazioni. Non è chiaro insomma dove si entrinel penale, con il risultato che la decisione sarà rimessa in toto al magistrato che ci si trova difronte: l’antitesi di ciò che la tipicità pretenderebbe.

(90) Sulla quidditas, in particolare come fattore che ha contribuito a iniziare a pensarediversamente il penale sostanziale da quello processuale, v. M. PIFFERI, Generalia Delictorum,cit., p. 128 s.

(91) Senza in questa sede riflettere su vizi e virtù di questo concetto per afferrare il suolegame con la tipicità basti ricordare che la « substance de l’infraction » è il parametroutilizzato dalla Corte di Strasburgo per valutare se le progressive interpretazioni di una normada parte della giurisprudenza nazionale ne abbiano o meno compromesso la ragionevoleprevedibilità. Il leading case è S.W. c. Royaume-Uni del 22 novembre 1995 §§ 34-36,utilizzato poi tra le altre e Streletz, Kessler et Krenz c. Allemagne 22 marzo 2001, § 50, CorteEdu Radio France et autres c. France, 30 marzo 2004 § 20. Per la sua riconducibilitànell’alveo della determinatezza v. F. PALAZZO, Legalità e determinatezza della legge penale:significato linguistico, interpretazione e conoscibilità della regula iuris in G. Vassalli, (a curadi), Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, Milano, 2006, p. 75, v. anche V. MANES,

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La rubrica con questo discorso c’entra molto. Se infatti proviamo a doman-darci come questo reato potrebbe chiamarsi ci rendiamo conto che è impossibiletrovargli un nome, per la indiscutibile ragione che le parole sono fatte per tenereassieme cose assimilabili. Così il legislatore, se ci fosse un vincolo di rubrica sarebbeobbligato ad introdurre più fattispecie criminose, ognuna con un suo nome, ognunacon un suo fatto, ognuna con un suo bene giuridico, ognuna con un suo omogenoe specifico disvalore, ognuna, in definitiva, con delle costanti del tipo. Ognuno se lovorrà criticherà questa o quella di queste diverse opzioni politico criminali, ma dalpunto di vista tecnico il fatto di dovere costruire distinti reati permetterebbe di farevenire meno numerosi problemi che si pongono quando invece con un unico reatosi mettono assieme “storie diverse” (92).

Il nostro excursus ha mostrato come il legame tra nomi e tipi traalterne vicende e vari chiaroscuri attraversi tutta la storia del diritto fino adiventare una caratteristica della codificazione penale, elevando il vincolodi rubrica addirittura a suo tratto caratteristico. È con l’età della decodi-ficazione e nella legislazione complementare che la fattispecie criminosapretende di potere fare a meno dei nomi (93).

Si può allora comprendere il collegamento fatto in apertura tra vincolodi rubrica e « l’attuazione sia pure tendenziale del principio della riserva dicodice » stabilita nella legge 103 del 2017. Questa attuazione tendenzialeinfatti può realizzarsi operando su due versi: tanto “importando la legisla-zione complementare nel codice” (94), quanto “esportando il codice nellalegislazione complementare”. Ovvero, ove possibile, smussando le diffe-renze, tramite esportazione di caratteristiche dei reati codicistici a quelliextracodicistici, a partire, per l’appunto, dalla previsione del vincolo dirubrica per tutti i futuri reati.

Si può inoltre pensare che il vincolo di rubrica recherebbe con sé anchealtri benefici.

Renderebbe l’introduzione dei reati più costosa, perlomeno in termini

art. 7, in F. BARTOLE, P. DE SENA, V. ZAGREBELSKY, (cur.) Commentario breve alla Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, p. 281.

(92) Cfr. in questo senso M. PAPA, Le qualificazioni giuridiche multiple nel dirittopenale. Contributo allo studio del concorso apparente di norme, Torino, p. 44.

(93) Sulla decodificazione, le sue cause e sulle sue ricadute su struttura e funzionedella fattispecie criminosa la riflessione come sappiamo è in Italia particolarmente approfon-dita; cfr. nella nostra prospettiva innanzitutto C.E. PALIERO, « Minima non curat praetor ».Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, in part.p. 83 s.; M. PAPA, Fantastic voyage, cit., p. 105 s.

(94) In questo senso, nel quadro dei principi e criteri direttivi contenuti nella delega,è stato elaborato lo schema di decreto legislativo recante le disposizioni di attuazione delprincipio della riserva di codice nella materia penale, trasmesso al Senato per il parereparlamentare il 9 ottobre 2017. Atto 466 XVII Legislatura.

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metaforici (95). Se per prevedere un reato occorre, infatti, trovargli sempreun nome, non è implausibile immaginare che le scelte di penalizzazionesaranno un poco più meditate e visibili. Ricordiamo che l’humus privile-giato dei reati senza nome sono le disposizioni sanzionatorie di unadisciplina di settore in cui, ad opera di un ufficio legislativo, si mettonoassieme sotto un unico edittale di pena le violazioni a vari precetti conte-nuti nella stessa od in altre normative di settore. Questi reati innominatihanno una vocazione oleosa e risultano di lettura tutt’altro che immediataper usare un eufemismo (96).

È ragionevole pensare quindi che un vincolo di rubrica garantirebbeanche una maggiore intellegibilità ai reati.

Spostandosi sul lato dei costi io francamente non ne vedo. Nemmenoa dire che il vincolo di rubrica potrebbe portare acqua al mulino delsimbolismo penale (97), ribaltandosi da criterio di legittimazione negativa(nullum crimen sine nomine) in fattore di legittimazione positiva (ubinomen ibi crimen) (98).

Non è così. Rinviando a quanto accenneremo sugli slogan (par. 4.) quisegnalo che è innegabile che nomi fortememte evocativi stuzzichino gli in-gordi appetiti del populismo penale, ma questi sono del tutto slegati dallaposizione di un obbligo di nominare tutti i reati. Attualmente, infatti, i reatisi possono o non si possono denominare, a seconda di come meglio convengaal legislatore.

Il diritto penale — che, giova ricordarlo, è sempre irriducibilmente po-litico (99) e nella stigmatizzazione trova immancabilmente la sua cifra (100)

(95) Con un’espressione che da cittadino e da dipendente pubblico mi fa venirel’orticaria debbo però riconoscere che il vincolo di rubrica sarebbe realmente una “riforma acosto zero”, non come l’introduzione di nuovi reati che “non costa nulla” per un misterocostituzionale che ritiene che le fattispecie incriminatrici sono tra le poche norme su cui nongrava il vincolo della copertura di bilancio. Sui costi da nuovo reato v. infatti C. E. PALIERO,Il principio di effettività nel diritto penale, in questa Rivista, 1990, p. 440.

(96) Tutti abbiamo a mente tantissimi esempi. Giusto per citarne qualcuno (e decisa-mente non tra i peggiori) si pensi all’art. 55, secondo comma, del d.lgs 91 del 2008 « Nei casiprevisti al comma 1, lettera a), si applica la pena dell’arresto da quattro a otto mesi se laviolazione è commessa:a) nelle aziende di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d),f) e g) »; o il quarto comma del medesimo articolo: « È punito con l’ammenda da 1.000 a2.000 euro il datore di lavoro che adotta il documento di cui all’articolo 17, comma 1, letteraa), in assenza degli elementi di cui all’articolo 28, comma 2, lettere a), primo periodo, ed f) ».

(97) Su cui fondamentale il classico di C. E. PALIERO, Il principio di effettività nel dirittopenale cit., p. 430 s. nonché nel dibattito più recente v. i vari contributi in AA.VV., La societàpunitiva. Populismo, diritto penale simbolico e ruolo del penalista. Un dibattito promossodall’Associazione italiana professori di diritto penale, in Dir. pen. cont., 21 dicembre 2016.

(98) Cfr. M. PAPA, Fantastic voyage, cit., p. 14.(99) A. SESSA, “Ostinata criminalizzazione della clandestinità e tenuta democratica

del sistema: fondamento e limiti alle opzioni della politica criminale simbolica”, in AA.VV., Lasocietà punitiva cit., p. 20 s.

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— finisce però per potere differenziare le sue opzioni incriminatrici tra no-minata e innominata. Il diritto penale, insomma, dato che svolge sempreun’ineliminabile funzione qualificatrice (101), credo sia meglio che con que-sta faccia sempre i conti nella maniera più possibile uniforme. In tal sensol’obbligo di dovere sempre denominare i reati sarebbe un piccolo inibitoredi quella “schizofrenia legislativa” (102) che affligge un legislatore vittimadel suo potere di scegliere come più gli aggrada tra usi della pena a voltesimbolico/espressivi altre volte tecnico/esoterici (103).

Insomma, il vincolo di rubrica ha qualche beneficio e nessun costo, németaforico né finanziario. È testo di legge che limita il legislatore nell’eser-cizio del potere punitivo, imponendogli di rispettare un criterio di validitàesterno come il linguaggio e che darebbe alla legislazione penale un poco dismalto e una caratterizzazione maggiormente unitaria (104). E funzione-rebbe come “regola di prevenzione del rischio” di atipicità della fattispecie:se i reati devono essere denominati non ce ne saranno di innominabili, sei reati sono innominabili saranno sprovvisti di omogeneo disvalore, se ireati sono sprovvisti di omogeneo disvalore difetteranno di tipicità, se unafattispecie non è tipica sarà in contrasto con i principi di legalità e diproporzione.

(100) Cfr. C. E. PALIERO, A. TRAVI, La sanzione amministrativa. Profili sistematici,Milano, 1988, p. 22; A. VISCONTI, Contenuti “informativi” della sanzione penale e coerenzadel “sistema”, in G. FORTI, G. VARRASO; M. CAPUTO (cur.), “Verità” del precetto e dellasanzione alla prova del processo; Napoli, 2014, p. 446 s. (e ivi la ampia ricognizionebibliografica effettuata in nota 3 della letteratura sul tema della stigmatizzazione come trattocaratterizzante la sanzione penale criminale).

(101) Così. F. PALAZZO, Sulle funzioni delle norme definitorie in A. CADOPPI (coord.),Omnis definitio cit., p. 381 s. La letteratura in tema è molto ampia. Personalmente trovoessenziale per affrontare il delicatissimo rapporto tra diritto penale e sue funzioni qualifica-trici della realtà F. STELLA, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, 2006 passim; di quest’ultimoscritto in particolare penso alla citazione in cui si riportano le parole di un sopravvissuto dellatragedia di Stava che aveva perso la moglie, i suoi bambini, i fratelli ed i genitori e che dice:« Io non voglio più niente, rifiuto il risarcimento del danno, non voglio neppure che gliimputati siano puniti, perché nulla potrà ripagarmi delle perdite subite. Sono rimasto solo equello che cerco è solo un pò di solidarietà, che peraltro vedo completamente assente » (ivi.p. 20). Questo passo mi è sempre rimasto impresso e in quel civilissimo grido di dolore e diaiuto leggo il perdurante monito del Maestro milanese a non confondere bisogni di qualifi-cazione e legittimazione a punire.

(102) L. EUSEBI, L’insostenibile leggerezza del testo: la responsabilità perduta dellaprogettazione politico criminale, in questa Rivista, 2016, p. 1672.

(103) Su questi due poli, oltre ai già citati classici di Carlo Enrico Paliero (Consensosociale cit. e Il principio di effettività cit.) v. G. MANNOZZI, Le parole del diritto penale. cit., p.1431 s.

(104) È ben noto, e segnalato da più voci, come la differenziazione stia segnando unapreoccupante tendenza del diritto penale del tempo presente cfr. G. FIANDACA, Prima lezionedi diritto penale, Bari, 2017, p. 185 s.

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Per quanto concerne la modalità di introduzione del vincolo poiché questasarebbe una norma sulla legislazione futura l’eventuale previsione con legge ordi-naria non sarebbe formalmente in grado di garantire il rispetto del vincolo (lexposterior derogat priori). Tanto vale allora prevedere il vincolo in un atto sublegi-slativo, come la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla falsarigadella felice esperienza degli anni ’80 del secolo scorso, in cui vennero prodotte ledue note Circolari contenenti, rispettivamente, i criteri di distinzione tra sanzionipenali ed amministrative e tra delitti e contravvenzioni (105). Un atto come lacircolare permetterebbe infatti di indicare anche i criteri di denominazione, legit-timandosi per questa via e, come per la circolare del 1983, ambendo ad assumereuna portata generale. I primi destinatari di questo vincolo sarebbero inoltre gli ufficilegislativi dei ministeri, quindi la forma della circolare della Presidenza del Consi-glio sarebbe conferente con i destinatari a cui il vincolo è indirizzato. Certo, laprevisione di nuovi reati innominati può avvenire anche su iniziativa parlamentare,ma la vicenda delle circolari del 1983 e 1986 insegna che l’osservanza delle normesulla legislazione dipende in buona misura dallo loro persuasività. Di conseguenza,una circolare che contenesse criteri persuasivi e fruibili andrebbe verosimilmente asedimentare una prassi che coinvolgerebbe anche i disegni di legge di iniziativaparlamentare, perlomeno quelli con chances di essere approvati.

4. Una lista di corrispondenze tra problemi onomastici e problemi ditipicità. — Quando si riflette su un tema si rischia sempre di sopravvalu-tarlo. Mi è chiaro quindi che non si debba credere a particolari virtùtaumaturgiche delle rubriche: i problemi delle norme penali sono (e devonorestare) problemi che, anzitutto e soprattutto, si giocano sul terreno dellafattispecie.

Le rubriche possono dare un piccolo contributo, mettendo al riparodalla previsione dei reati innominabili e quindi sprovvisti di tipicità, manon è detto che assicurino anche del contrario. Cioè se le fattispecieinnominabili sono disomogenee, non è automatico che quelle denominatesiano omogenee. L’obbligo di un nome, in altri termini, minimizza il rischiodi inventare fattispecie criminose innominabili, ma non garantisce di per séche quelle denominate siano tipiche.

Se la rubrica non va sopravvalutata, non si deve però nemmeno fare ilcontrario, perché la funzione che essa svolge in termini di tipicità non siesaurisce nella nominabilità, in quanto può intervenire, e non poco, anchesulla qualità della nominazione. Sfogliando il codice in questa prospettivaci si trova a stilare una variopinta lista di bizzarri nomi di reati: pseudo-

(105) Cfr. Circc. Pres. Cons. Min. 19 dicembre 1983 n. 7611 « Criteri orientativi perla scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative » (GU Supplemento ordinario n. 22 del23-1-1984) e 5 febbraio 1986, n. 7611 « Criteri orientativi per la scelta tra delitti econtravvenzioni e per la formulazione delle fattispecie penali » GU Serie Generale n. 64 del18-3-1986.

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nomini, nomi doppi, patronimici, nomi di famiglia, grammelot, sopran-nomi, slogan.

Tutti reati che in rubrica hanno problemi onomastici e, puntualmente,in fattispecie presentano connessi problemi di tipicità. Facciamo un esem-pio per ogni voce della lista.

a) Pseudonimi. — L’esempio forse più noto del legame tra vizi dirubrica e vizi di tipicità è quello del plagio. In una tra le più importantisentenze in diritto penale, la n. 96 del 1981, il giudice della legge hadichiarato l’illegittimità del delitto di plagio in violazione dell’art. 25,secondo comma, della Costituzione, chiarendo che la prevedibilità di unanorma non dipende esclusivamente dalla precisione degli elementi di segnolinguistico di cui si compone (106), ma, per l’appunto, anche dalla suadeterminatezza (107).

Ai molti che hanno letto la sentenza forse tornerà a mente che quellacosì importante motivazione, in cui si costituzionalizza il canone delladeterminatezza (108), prende le mosse da un lungo excursus sul nome delreato (109). La Corte dedica ben cinque delle quindici pagine del Consi-derato in diritto a ricostruire l’uso del termine “plagio” nella storia deldiritto, per giungere ad affermare che nel codice Rocco quel nome è usatoin modo improprio, per “descrivere” “accadimenti” che non corrispondono

(106) Cfr. G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano, 2001, p. 164.(107) La sentenza 96 del 1981 abbraccia e tesse assieme le varie facce della determi-

natezza, quella ontologica, quella epistemologica, quella empirica (e quello, financo, delladeterminatezza/ragionevolezza). Non è qui il caso di indugiare su questi differenti profili,basti però segnalare che indeterminatezza ontologica e incapacità di trovare un nome sonodue aspetti tra loro intrecciati, perché se una cosa non esiste, per forza un nome non ce l’ha.E valga anche il contrario: il primo formidabile potere delle parole è quello di creare la realtàe stabilire il visibile dall’invisibile.

Sulle varie dimensioni della determinatezza nella sentenza 96 del 1981 v., in prospettivenon pienamente coincidenti D. PULITANÒ, Giudizi di fatto nel controllo di costituzionalità dellenorme penali, in questa Rivista, 2008, p. 1004 s., G. FIANDACA, Sui giudizi di fatto nelsindacato di costituzionalità in materia penale, tra limiti ai poteri e limiti ai saperi, in Studiin onore di Mario Romano, I, Napoli, 2001, p. 280 s., F. PICINALI, Tra concetto e prova: leinterazioni del diritto penale con l’epistemologia giudiziaria, PhD Thesi, Università di Trento,2001 (online) in partt. p. 210 s. F. PALAZZO, Legalità e determinatezza della legge penale: cit.in G. VASSALLI (a cura di), Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, cit., p. 61 s. che parlaespressamente di canone della determinatezza come « interpretabilità cioè di possibilità dipervenire attraverso gli ordinari canoni ermeneutici (...) all’individuazione del disvalore tipicodella fattispecie » (ivi. p. 69).

(108) Fondamentali F. C. PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale cit.,S. MOCCIA, La “promessa non mantenuta”. Ruolo e prospettive del principio di determina-tezza/tassatività nel sistema penale italiano, Napoli, 2001.

(109) Cfr. paragrafi da 3 a 8 del Considerato in diritto della sentenza 96 del 1981 e,di questi, quelli da 3 a 6 sono interamente dedicati alla ricostruzione dell’uso del termineplagio nella storia.

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nella tradizione e nell’esperienza a ciò che fino al 1930 si è chiamato“plagio”. L’imputata di indeterminatezza è ovviamente la fattispecie. Ènotevole, tuttavia, che l’illegittimità costituzionale del fatto di plagio, cioèdella norma incriminatrice, venga sostenuta anche sottolineando l’usoimproprio del nome in rubrica, poiché quel nome nei secoli è statochiamato a connotare altri fatti, puniti altrimenti. Cioè con la dichiarazioned’illegittimità costituzionale della fattispecie si afferma un legame traindeterminatezza della norma e usurpazione del nome. La Corte ci fa capireche quella descrizione in realtà sarebbe innominabile. Insomma, smasche-rare lo pseudonimo è operazione rivelatrice di un fatto artificiale, irriduci-bilmente carente di un contenuto di disvalore omogeneo (110) e sprovvistodi un nome proprio.

b) Doppi nomi. — Non è infrequente che il codice in rubrica presentidue nomi tenuti assieme con la disgiuntiva, che si riferiscono a distinti reatiautonomi con distinti edittali previsti nei vari commi (111). Questa tecnicanon sarà una gran bellezza, ma non tradisce problemi onomastici: ognireato ha il suo nome ed è questo che conta. Il problema può sussistereinvece quando la disgiuntiva incolla assieme i nomi di due tipi diversicompressi in un unico reato. In questi casi il doppio nome può rivelarsil’unico modo per denominarli. L’indisponibilità di parole in grado diriferirsi ad entrambi tradisce l’impossibilità di assimilazione, ergo è rive-latrice dell’assenza di un omogeno disvalore.

Pensiamo all’art. 580 c.p. « Istigazione o aiuto al suicidio » che rag-gruppa due tipologie di fatti assai diverse per disvalore. La disgiuntiva inrubrica (istigazione o aiuto) è rivelatrice della disomogeneità tra duemodalità tra loro così diverse (112), dell’assenza di parole per nominarleassieme (113). Una diversità di disvalore fissata definitivamente dallaCostituzione, ma causa ed effetto di problemi applicativi che emergono sul

(110) Il reato di plagio, ricorda la Corte cost. 96 del 1981, par. 13 sarebbe potenzial-mente applicabile a situazioni di dipendenza psichica sprovvisto, secondo il nostro modo disentire, di alcun disvalore, come « il rapporto amoroso, (...) quello tra sacerdote e credente »ecc.

(111) Es. art. 473 c.p. « Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintiviovvero di brevetti, modelli e disegni ».

(112) L’equiparazione delle varie condotte descritte nell’art. 580 è definita incongruada S. SEMINARA, Riflessione in tema di suicidio e di eutanasia, in questa Rivista, 1995, p. 725.

(113) A scanso di equivoci è forse il caso di aggiungere che per ovvie esigenzesistematiche termini come concorso e contributo non possono essere utilizzati perché occu-pano già nel codice uno spazio disciplinare (e quindi di significato giuridico) differente. Nel580 c.p. non si punisce un concorso nel reato, cioè in un fatto illecito, bensì si punisce ladeterminazione, istigazione e aiuto alla realizzazione di un fatto non illecito. Sui rapporti traconcorso e 580 c.p. v. F. GIUNTA, Diritto di morire e diritto penale. I termini di una relazioneproblematica, in questa Rivista, 1997, p. 85.

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terreno della dogmatica penale, primi fra tutti quelli causali segnalati datempo dalla dottrina (114) e che si ripropongono puntualmente. Ogginell’imputazione per Marco Cappato per istigazione e/o aiuto nel suicidiodi Fabiano Antoniani (115). La lettura dell’ordinanza del g.i.p. di Mi-lano (116) tradisce infatti l’insostenibilità dogmatica della pretesa fungibi-lità causale tra condotte eterodeterminate (istigazione) e autodeterminate(aiuto) (117).

c) Patronimici. — L’art. 323 c.p. « Abuso di ufficio ». La legge n. 234del 1997 ha sostituito la precedente condotta descrivendo il fatto non piùin termini di condotta abusiva, ma di condotta illecita, al contempo tuttaviagli ha lasciato in rubrica il nome del suo giovane genitore. Abuso oillecito (118)? Illecito ovviamente. Però, come ben noto, la valutazione diabusività cacciata dalla porta tenta in continuazione di rientrare dallafinestra, ad esempio argomentando che integri il fatto anche la condotta inviolazione di norme generali e programmatiche, come l’art. 97 dellaCostituzione (119). Ora, l’art. 323 c.p. si trova in una posizione struttu-ralmente scomoda in quanto fattispecie sussidiaria, posta a chiusura delmicrosistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica ammini-strazione, dipende da lei la definizione di quando debba attivarsi il con-trollo penale sull’attività della pubblica amministrazione. Ed è questa suaposizione strutturale a esercitare una forte pressione sul testo; il nome

(114) Ad esempio il diverso atteggiarsi di istigazione o aiuto a seconda che il suicidiosia o meno nel dominio causale della persona che intende la sua vita volga al termine cfr. S.SEMINARA, op. ult. cit., p. 721 s.

(115) In tema, anche per l’offerta di una soluzione assai innovativa e interessante v. G.SORRENTI, Il giudice soggetto alla legge... in assenza di legge: lacune e meccanismi integrativi,in gruppodipisa.it 24 novembre 2017, p. 37 s.; che la vicenda di Marco Cappato mostri benele difficoltà di una norma come l’art. 580 c.p. lo mette in luce R. E. OMODEI, L’istigazione eaiuto al suicidio tra utilitarismo e paternalismo: una visione costituzionalmente orientatadell’art. 580 c.p. in Dir. pen. cont., 10/2017.

(116) Ordinanza del g.i.p. di Milano, 10 luglio 2017 imp. Cappato in Dir. pen. cont,18 luglio 2017 con commento di Pietro Bernardoni.

(117) Sul punto v. ora per tutti, anche per i necessari riferimenti A. VALLINI, Causesopravvenute da sole sufficienti e nessi tra condotte. Per una collocazione dell’art. 41 comma2 c.p. nel quadro teorico della causalità “scientifica”, in Studi in onore di Franco Coppi,Torino, 2011, in part. p. 382 s.

(118) Sull’evoluzione, dall’originario abuso innominato fino al vigente abuso di uffi-cio, osservata nel prisma della diade abuso/violazione v. M. BOSI, La rilevanza penaledell’abuso del diritto, Tesi di dottorato, Università di Macerata, 2017, p. 155 s., online.

(119) Su cui immediatamente dopo l’entrata in vigore della riforma v. i lucidi rilievi diV. MANES, Abuso di ufficio, violazione legge ed eccesso di potere, in Foro it., II, 1998, p. 390s., poi in tema funditus A. TESAURO, Violazione di legge e abuso di ufficio. Tra diritto penalee diritto amministrativo, Torino, 2002, p. 5 s. Per una rassegna degli indirizzi giurispruden-ziali v. M. GAMBARDELLA, Art. 323, in G. LATTANZI, E. LUPO (cur.), Codice penale, Milano, 2010,p. 311 s.

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c’entra poco. Poco però non vuol dire nulla. Invero non è implausibileritenere che lasciare “il nome del padre” ad una fattispecie radicalmenteriformulata, non più come condotta abusiva, ma come condotta illecita,abbia avuto qualche effetto, almeno in termini di mancato contributo aribadire la discontinuità della nuova formulazione rispetto a quella dellafattispecie previgente. Insomma, se alla sostituzione del fatto si fosseproceduto anche con quella del nome (ad es. “violazione dei doveri diufficio” o “ingiusto vantaggio mediante violazione dei doveri di ufficio”)non sarebbe stato possibile pensare la nuova fattispecie come “abuso diufficio” e, forse, le interpretazioni tese a fare rientrare dalla finestra ciò chela riforma ha messo fuori dalla porta avrebbero avuto una minorepresa (120).

d) Nomi di famiglia. — Nel codice alla rubrica dell’articolo spetta diassegnare il nome. Ai capi e, se presenti, alle sezioni spetta invece ilcompito di assegnare il nome di una stessa famiglia di fattispecie criminose,cioè il cognome dei reati. A volte però il legislatore ha confuso il nome conil cognome e quest’ultimo gli è sfuggito nell’articolo, che in questo modonon denomina più un reato, ma, per l’appunto, una famiglia di reati. Equesto errore può non essere privo di conseguenze.

La rubrica dell’art. 416-bis c.p. « Associazioni di tipo mafioso, anchestraniere » non contiene il nome di un delitto, ma quello di una classecomposta da due distinti e autonomi reati (partecipazione e organizza-zione) previsti e puniti, rispettivamente, nei commi primo e secondo.Questa denominazione alimenta, come suggerisce di recente MassimoDonini (121), problemi di tipicità in relazione al concorso nel reato asso-ciativo. “Ex 110 e 416-bis c.p.” si traduce infatti nel linguaggio del dirittopenale italiano con “concorso (eventuale o esterno) in associazioni di tipomafioso”. Quindi quel “nome di famiglia” finisce indirettamente per malnominare le ipotesi di concorso, perché nel nostro sistema penale non sipuò concorrere in una classe di reati, ma in un singolo reato. SempreDonini ci fa capire come quella rubrica getti benzina sul fuoco dei problemidi tipicità del c.d. concorso eventuale, alimentando la confusione sulladeterminazione dell’evento/reato su cui condizionalisticamente accertare il

(120) Una precisazione si impone perché non vorrei mai che a chi dovesse leggerequeste righe venisse a mente di trovare nel patronimico in rubrica dell’art. 323 c.p. un nuovoargomento a favore dell’integrazione del sintagma « violazione di legge » anche in caso diviolazione di norme di principio. Come vedremo più avanti la rubrica, quando può avere unruolo normativo, sarà nei limiti di indicare una lettura intensionale della fattispecie ed è quindiescluso in radice che essa possa svolgere una qualche minima funzione estensionale (cfr. par.5.).

(121) M. DONINI, Il concorso esterno “alla vita dell’associazione” e il principio ditipicità penale, in Dir. pen. cont., 13 gennaio 2017, in part. p. 7 s.

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contributo del concorrente (122): nel nostro sistema non si concorrenell’associazione di tipo mafioso, bensì ad uno specifico tra gli autonomireati previsti e puniti nei distinti commi dell’articolo 416-bis c.p. Assaimeglio quindi sarebbe indicare i due nomi dei due reati, ad esempiochiamandolo, “partecipazione ovvero organizzazione di associazioni di tipomafioso, anche straniere”. Sull’art. 416 bis c.p. torneremo poi nel prossimoparagrafo.

e) Grammelot. — Ovvero quei giochi linguistici in cui si snoda unarapida successione di termini il cui senso è affidato più al ritmo e alleassonanze che al loro significato (123). Decisamente più appropriata peretichettare i problemi onomastici che stiamo per vedere sarebbe quellavariante dei grammelot sprovvisti anche di senso, che Ugo Tognazzi, neipanni del Conte Mascetti ha battezzato in un capolavoro del cinemaitaliano (Amici Miei) con un neologismo imperituro, ma qui, davvero, nonripetibile.

Un esempio è l’art. 122 c.p.m.p. « Violata consegna da parte dimilitare preposto di guardia a cosa determinata », reato militare dichiaratoillegittimo dalla Corte costituzionale per l’eccessiva ampiezza della corniceedittale (da 2 a 24 anni di reclusione ai sensi dell’art. 26 del codice penalemilitare di pace). La Corte (124) esordisce dicendo che ad una tale diva-ricazione edittale non corrisponde una parallela divaricazione nella gravitàdei fatti riconducibili, anche su base sistematica, alla fattispecie. Al con-tempo, però, il giudice della legge sottolinea come in fattispecie era scrittoche si era puniti “per il solo fatto della mancata consegna”, e che la violataconsegna come reato di pura condotta è già punita da altre fattispecie delc.p.m.p. di varia gravità. Il risultato, come segnala sempre la Corte (125),è che tale delitto, per un verso aveva quell’edittale abnorme, e per altroverso, in virtù dell’inciso, concorreva con i reati del codice penale militaredi pace e con quelli del codice penale comune. Insomma, più che ladisomogeneità, la causa di quell’abnorme cornice sembra essere la carenzadi significatività degli elementi del fatto. E non credo che una disposizionecosì poco meditata sul piano del precetto e della pena presentasse per purocaso quella rubrica. Anche qui i conti tornano: c’è una fattispecie pensatae ritagliata male, incapace di indicare elementi davvero caratterizzanti, conuna comminatoria da pena extraordinaria e un grammelot in rubrica.Ricorda i crimina innominata.

(122) Ivi p. 9.(123) Due esempi sono le Fanfòle di Fosco Maraini e Mistero Buffo di Dario Fo.(124) Corte cost., 299 del 1992 par. 5 del Considerato in diritto.(125) Ivi par. 1 s.

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f) Soprannomi. — L’art. 612-bis c.p. « Atti persecutori », da tuttichiamato, anche in dottrina, stalking.

I suoi problemi di determinatezza sono noti, in particolare per il primoevento alternativo costitutivo del reato, il « perdurante e grave stato diansia o di paura », e per il terzo, « l’alterazione delle proprie abitudini divita ».

Anche qui il nome ci dice qualcosa. Parte dei problemi di determina-tezza possono infatti essere risolti addensando tipicità tramite il dolo,escludendo cioè la configurazione del delitto nelle forme del dolo even-tuale, e la fonte di tale ricostruzione sta proprio nella rubrica: negli « attipersecutori ». L’orizzonte di senso tracciato dalla “persecuzione”, infatti,sembra richiedere qualcosa in più di semplici molestie che dovessero allaprova dei fatti essersi rivelate causa di quegli eventi. Gli « atti », infatti perconnotarsi come « persecutori », richiedono una volizione sul corso degliaccadimenti che non sembra compatibile con la consapevolezza della meraeventualità che le cose sarebbero anche potute andare come poi effettiva-mente sono andate (126).

Ora, si può essere o meno persuasi da questa ricostruzione, non èimportante. Ciò che importa è che non si dovrebbe prescindere dall’offertadi senso indicata dalla persecuzione (127) quando si ricostruisce questodelitto, perché quel concetto è in rubrica, quindi nel testo (sul punto v.infra nel prossimo paragrafo). Nondimeno avendo il soprannome preso ilposto del nome, il contributo che questo potrebbe dare in termini dideterminatezza risulta compromesso perché questo reato lo si pensa come“stalking” non come « atti persecutori ».

g) Slogan. — Abbiamo intravisto nell’excursus storico come nomi efatti si nutrano reciprocamente, dando vita a spirali comunicative da cuiemergono le costanti e quindi i tipi; è socialmente fisiologico che ciòavvenga, quindi lo è pure che si impongano nomi nuovi (128). Nella nostraepoca l’esempio più noto, e tra i più studiati (129), è senza dubbio quello

(126) Volendo avevo proposto, invero fugacemente, questa lettura, facendo leva sullarubrica nel mio Formule sostanziali e fruibilità processuale: i concetti penalistici come“programmi di azione”, in Dir. pen. e proc., 9/2009, p. 1149 s.

(127) Un segnale in tale senso arriva proprio dalla Corte costituzionale che nellasentenza n. 172 del 2014, in cui ha giudicato non fondata l’illegittimità costituzionale diquesto delitto, ha tuttavia fatto riferimento, parlando di dolo, « all’intrusione rappresentatadall’attività persecutoria », così par 5. del Considerato in diritto (corsivo aggiunto).

(128) Più in generale sul tema v. le preziose chiavi di lettura offerte da G. MANNOZZI,Le parole del diritto penale cit. p. 1431 s.

(129) Per tutti v. B. CLAVERO, Genocide or etnocide (1933-2007). How to make, unmake and remake law with words, Milano, 2008, in part. p. 40, 90 s. Il genocidio vienenominato e pensato da R. LEMKIN, Axis rule in occupied Europe, Washintgton, 1944 (consul-

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del genocidio, nome tanto espressivo, quanto connotativo, drammatica-mente perfetto (130).

Con slogan non mi riferisco a questo fenomeno fisiologico, ma a quellevicende patologiche in cui si assiste ad una perdita di equilibrio tra nomi efatti. L’effetto è che la spirale comunicativa s’inceppa, non si sedimentanocostanti e quindi non emerge un tipo. Le regole del discorso pubblicodopano infatti quelle del linguaggio: i nomi al posto dei fatti, si nutrono dise stessi, imboccati dal loro riflesso mediatico (131), vanno in autopoiesi,si chiudono all’esperienza e smarriscono, letteralmente, il senso dellarealtà.

Il risultato è che addensano un bisogno di pena senza definizione deglielementi caratterizzanti, e quindi, in fondo senza definizione di se stessi.Così facendo gli slogan diventano reati autonomi senza però riflettere untipo, circolano, sono usati, si impongono senza che però sia chiaro cosasignifichino.

Un esempio è l’art. 589 bis c.p. « Omicidio stradale », che ha adden-sato bisogno di pena attorno a se stesso, rivendicando autonomia, specifi-cità, univocità, promettendo ordine, per poi rendersi conto di avere sepa-rato cose simili e messo assieme cose diverse (132). Cioè l’esatto contrariodi quello che un nome dovrebbe fare.

tato in copia anastatica online), nel capitolo “IX-Genocide” in cui si spiegano proprio glielementi sul piano modale (disvalore di azione) e dell’enormità dei risultati (disvalore dievento) che caratterizzano in modo tale quelle atrocità descritte che debbono essere punite,pensate e nominate in modo proprio e autonomo. Per uno sguardo di assieme al crimine digenocidio nella giustizia penale internazionale v. E. FRONZA, in E. AMATI E AL., Introduzione aldiritto penale internazionale, Milano, 2010, p. 377 s.

(130) « Circa l’origine della parola genocidio (composta di geno — razza e cidio, dacaedere, uccisione (...) la sua trovata è merito di Lemkin, il promotore della Convenzione sulGenocidio del 1948 (...) che si disse ispirato dalle riflessioni di Gorge Eastman per la parola“Kodak” (primo è breve, secondo non si presta ad errori di pronuncia, terzo non assomiglianulla nell’altre e non può essere associato che alla Kodak) » così S. POWER, Voci dall’Inferno— L’America e l’era del genocidio, Milano, 2004, p. 75.

(131) Similmente, usando la chiave del phantasma platonico, G. MANNOZZI, Le paroledel diritto penale cit. in questa Rivista 2001, p. 1439 s.

(132) L’omicidio stradale trova infatti la sua unica cifra distintiva, per l’appunto, nellastrada. Questo supposto ‘disvalore di situazione’ ha finito per separare delle situazioni deltutto simili per gravità della colpa (disvalore di azione). Per altro verso, avendo come unicacifra distintiva la strada, questo delitto ha finito per mettere assieme condotte tra lorodiversissime proprio in punto di disvalore di azione: commette omicidio stradale sia chicagiona la morte di una persona perché distratto alla guida da un bambino che sul sedileposteriore non smette di piangere, sia chi cagiona la morte perché andava completamenteubriaco a 250 Km/h in contromano in autostrada (l’articolo come noto presenta infatti dicomma in comma un vertiginoso climax sanzionatorio, oltretutto gravido di incoerenze al suointerno), cfr. M. MANTOVANI, In tema di omicidio stradale, in Riv. trim. Dir. pen. cont., 2-2015,p. 153 s.

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Dal pasticcio dell’omicidio stradale sembra però che il legislatore abbia trattola lezione che per le morti per colpa differenziare comporta inevitabilmenteseparare tragedie che hanno lo stesso disvalore di evento. La differenziazione alloranon può che avvenire facendo leva sull’unico tratto in grado di distinguere undeterminato tipo colposo (133) ossia le peculiarità della nota modale. Il disvalore diazione per capirci.

In questa direzione si muove, non a caso anche in punto di nominazione, l’art.590 sexies c.p. « Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambitosanitario ». Qui, in fondo, si rinuncia — con intelligenza — alla pretesa di metterein rubrica un enunciato che abbia la pretesa di differenziare le vittime. Il delittoinfatti non si chiama “omicidio o lesioni sanitarie”, mettendo invece al centro il suoautentico tratto caratterizzante: la responsabilità del sanitario, che è il riflesso dellasua peculiare nota modale, cioè la c.d. “colpa medica”.

E tutto questo induce una riflessione più generale su come il nome dei reaticolposi e di quelli omissivi impropri sia il chiaro riflesso della loro relativagiovinezza e, di conseguenza, di un processo di maturazione tutt’altro che concluso.Riconosciuti come tipi autonomi (134), sono però a tutt’oggi degli innominati,mutuando il nome dalla loro matrice commissiva dolosa. Anche qui, come la storiaci ha mostrato, la nominazione autonoma sarà causa ed effetto dell’emersione diuna loro tipizzazione geneticamente autonoma. Da questo punto di vista l’art. 590sexies c.p. « Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambitosanitario » costituisce probabilmente il primo reato colposo di evento pensato cometipo autonomo di reato e non per mutuazione del corrispondente commissivodoloso.

5. La questione del valore vincolante delle rubriche: un equivoco difondo. — Facciamo il punto. Abbiamo visto che il vincolo di rubrica sigiustifica perché i reati senza nome sono il terreno di coltura degli inno-minabili, che sono tali per cronica assenza di omogeneità di disvalore,condicio sine qua non della tipicità. Poi, nel paragrafo precedente, ci siamospostati dal piano della formulazione a quello dell’interpretazione e ab-biamo registrato una corrispondenza, in negativo, tra problemi di nomi eproblemi di tipicità della fattispecie.

Sempre sul piano dell’interpretazione occorre però ancora chiedersise, in positivo, il nome del reato possa indicare soluzioni di tipicità.

Può o deve? Il nodo alla fine arriva al pettine, perché riflettendo sullefunzioni per forza si finisce a fare i conti con la questione del valore

(133) Su cui v. ora la magistrale voce di C. PIERGALLINI, Colpa (diritto penale), in Enc.dir., Annali, 2017, in part. p. 227 s. a cui si rinvia anche per gli ulteriori essenziali riferimenti.

(134) G. MARINUCCI, Il reato come “azione”. Critica di un dogma, Milano, 1971, inpart. p. 91 ss., 123 ss.; di recente, per un quadro di assieme, nonché una revisione critica G.DE VERO, Disvalore di azione e imputazione dell’evento in un’aggiornata costruzione separatadei tipi criminosi, in E. DOLCINI, C. E. PALIERO (cur.), Studi in onore di Giorgio Marinucci,Milano, 2006, p. 1487 s.

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vincolante delle rubriche (135), che con il “vincolo di rubrica” evidente-mente condivide qualcosa di più di una mera assonanza.

Lo dico sin d’ora: credo che la questione non possa essere risolta senon si ha chiaro quali siano le funzioni che le rubriche legislative sonochiamate a svolgere in diritto penale. Ma procediamo con ordine.

Come evidenziato da tempo (136), occorre distinguere la questionedel valore della rubrica sul piano delle fonti da quello dell’interpretazione.

Sul piano formale delle fonti è indiscutibile che la rubrica legis siaprevista per legge e che non è quindi possibile dedurre un differente rangoformale alla rubrica rispetto all’enunciato contenuto nell’articolo (137).Partire da questa ovvietà non è ozioso, perché fissa un punto chiave: larubrica è testo di legge.

Al contempo il diritto penale, per vincolo costituzionale, deve espri-mere le sue opzioni incriminatrici mediante le fattispecie legislative, fa-cendo uso di locuzioni precise, determinate e tassative, in modo da risultarecomprensibili ai destinatari del precetto (138). L’oggetto dell’interpreta-zione è quindi la fattispecie incriminatrice e la norma incriminatrice ilrisultato (139) di questa interpretazione.

(135) Su cui rinvio al quadro, riassuntivo del dibattitto in diritto costituzionale, civilee penale, tracciato da C. PARODI, Mobbing e maltrattamenti alla luce della legge n. 172/2012di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote. Ovvero: sul valore della rubricadella norma ai fini della sua interpretazione, in Dir. pen. cont., 19 novembre 2012, inparticolare p. 2 s.

(136) A. BELVEDERE, Il problema delle definizioni nel codice civile, Milano, 1977, p.116. Il caveat è poi ripreso da vari autori successivi, ad esempio G. TARELLO, L’interpretazionedella legge, Volume 1, t. 2 di (A. Cicu, F. Messineo), Trattato di diritto civile e commerciale,Milano, 1980, p. 207.

(137) Così A. BELVEDERE, op. ult. cit., p. 116, G. TARELLO, op. ult. cit, p. 207, V.CRISAFULLI, Disposizione (e norma), in Enc. dir., Milano, 1964, p. 205.

(138) Il nullum crimen impone infatti che le fattispecie siano formulate in modopreciso, determinato e tassativo anche nel senso che siano in grado di rivolgersi direttamenteai destinatari del precetto, senza concretizzazione da parte del giudice (cfr. C. cost. 364/1988par. 8 e G. VASSALLI, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Dig. Disc. pen., 1994, p. 306,in particolare quando pone in parallelo art. 1 c.p. e 25 secondo comma Cost.). Assai efficacesul punto la già citata immagine delle fattispecie criminose come « minuscoli racconti » (F.PALAZZO, Corso cit., p. 81). Questa esigenza dell’autosufficienza narrativa delle fattispecietende ad essere data per ovvia tanto è radicata nella nostra tradizione illuministica, ma ovvianon è, poiché una fattispecie potrebbe essere precisa, determinata e tassativa nel senso dicercare di offrire all’interprete la massima possibilità di operare con razionalità, senza alcontempo essere comprensibile ai destinatari del precetto, se non tramite la mediazionedell’interprete (si v. la legislazione penale inglese, ad esempio il Brybery act del 2010, questenorme non si propongono come dei minuscoli racconti, ma sono idonee ad essere interpretaterazionalmente da parte del giudice). Sul tema delle funzioni narrative della fattispecie giàfondamentale M. PAPA, Fantastic voyage cit., in part. p. 16 s., 56 s.

(139) Così R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, in Trattato didiritto civile e commerciale, Milano, 2004, p. 99 s.

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La rubrica quindi si situa in una dimensione davvero particolare: nonè l’oggetto dell’interpretazione (140), però, in quanto testo, è fonte quali-ficata dell’interpretazione, non un suo semplice argomento. Ergo “deve”essere utilizzata, non “può” essere utilizzata, o, per meglio dire, in quantofonte se può, per ciò solo deve essere utilizzata.

A questo punto l’obiezione che ci si può aspettare è che questodiscorso, che dissocia fonti ed oggetto dell’interpretazione, non porti danessuna parte, perché delle due l’una: o la rubrica ha piena corrispondenzacon il significato già autonomamente attribuibile all’oggetto, cioè allafattispecie, e allora non ha alcuna utilità, o questa corrispondenza non c’è,e allora non sarebbe utilizzabile, perché non può prendere il posto dell’og-getto.

Questa obiezione non centrerebbe il bersaglio, perché frutto di unequivoco (141) in punto di funzione che la rubrica è chiamata a svolgere indiritto penale. Invero, non si deve leggere il testo-rubrica con le stesse lenticon cui si legge il testo-fattispecie.

La fattispecie ha una funzione classificatoria (142); è chiamata aselezionare i comportamenti penalmente rilevanti in una logica binaria,come imposto dalla riserva di legge. I fatti debbono essere descritti con lamassima precisione possibile (143), quindi secondo la sintassi dell’aut-aut.

La rubrica invece non può e non deve svolgere alcuna funzioneclassificatoria in forma ridotta. È il titolo del reato, non il suo riassunto. Sela leggessimo nello stesso modo in cui leggiamo la fattispecie è chiaro chein caso di non corrispondenza in rubrica di un elemento di fattispeciedovrebbe prevalere quest’ultima, che dell’interpretazione è e resta l’og-

(140) V. CRISAFULLI, op. ult. cit. p. 205 suggerisce che la rubrica non sia qualificabilecome disposizione e il suggerimento va accolto perché quello che occorre sottolineare è ladifferenza di piani della rubrica. Su disposizione e norma in prospettiva penalistica v. M.DONINI, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurispru-denza fonte, Milano, 2011, p. 87 s.

(141) Credo l’equivoco dipenda anche dalla disposizione dei rapporti tra rubrica etesto dell’articolo del codice civile offerta da A. BELVEDERE, Il problema delle definizioni cit.,p. 115 s. (e poi ripresa anche da G. TARELLO, L’interpretazione cit., p. 207), secondo cui larubrica è il definiendum e l’articolo il definiens. Questa diade finisce infatti per veicolare l’ideache le rubriche siano dei puri consumatori di significato della fattispecie. Così, se veicoliamoquesta immagine davvero non potrebbero nulla dire alla fattispecie, se non sovvertendo ilrapporto tra chi definisce e chi viene definito. È quindi equivoco rappresentare la rubricacome definiendum del definiens in fattispecie, perché così facendo si descrive un confrontofrontale, che in caso di non corrispondenza finirebbe per forza di cosa nel tradursi in unconflitto frontale. Mentre, per quanto dirò, rubrica e fattispecie si muovono su due pianidiversi. Non possono quindi realizzare antinomie.

(142) Su cui, e con questa terminologia, v. G. CARUSO, La discrezionalità penale. Tratipicità classificatoria e tipologia ordinale, Padova, p. 77 s., R. ALAGNA, Tipicità e riformula-zione del reato, Bologna, 2007, in part. 245 s.

(143) G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Corso cit., p. 119 s.

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getto. Ma non è così: la rubrica contribuisce a connotare la fattispecie, cioèad offrirle una lettura intensionale, evitando che gli elementi della fattispe-cie vengano diluiti tramite “semiosi illimitata” (144).

5.1. La funzione intensionale delle rubriche. — Rubrica e fattispeciesi muovono su piani diversi e la rubrica induce un secondo piano di letturadella fattispecie, di tipo intensionale (145).

Una funzione riconoscibile in quella che la Corte costituzionale ha im-posto per rintracciare la determinatezza dell’art. 434 c.p. (146). Per « l’altrodisastro » gli elementi caratterizzanti debbono essere rintracciati in via si-stematica, seguendo il filo rosso omogeno che attraversa e lega i vari disastrinominati contro l’incolumità pubblica (147). Segnala inoltre la Corte (148)che un’indicazione in tal senso la offre anche il nome del capo che li contiene(« Delitti di comune pericolo mediante violenza »). Come a dire, insomma,che quel disastro innominato non può che andare a cercare il proprio DNAtra i parenti prossimi e nel “nome di famiglia”, cioè negli elementi caratte-rizzanti della classe.

Affermazione non di poco conto questa della Corte costituzionale,perché intanto ci dice che in una fattispecie in cui nome e descrizione delfatto sono quasi coincidenti non è certo il sostantivo “disastro”, di per séassai poco connotato, a offrire indicazioni utili, bensì è l’aggettivo “altro”.Ci dice cioè che queste indicazioni debbono essere rintracciate nel cotesto,segnatamente nei disastri “nominati” e nella rubrica del capo. Allora, se inun caso davvero al limite occorre procedere in questo modo, a fortiori,qualora indicazioni in tal senso fossero contenute direttamente nel testo —compreso quello della rubrica dell’articolo —, sarebbe doveroso prenderlein considerazione. In altre parole la Corte costituzionale conferma indiret-tamente che anche la rubrica dell’articolo, che è parte del testo, se puòconnotare la fattispecie, allora deve connotare la fattispecie.

(144) M. DONINI, Il concorso esterno cit., p. 5.(145) Intensione e connotazione in teoria del diritto sono considerate sinonimi ed io,

per non fare confusione con termini in uso così farò quando mi riferirò alle proprietà di untermine. Quando mi riferirò all’attività interpretativa farò comunque riferimento al soloconcetto di intensione cfr. sul punto con una ricostruzione della questione e riferimenti ancheal dibattito in filosofia del linguaggio L. LANTELLA, Pratiche definitorie e proiezioni ideologichenel discorso giuridico, in A. BELVEDERE, M. JORI, L. LANTELLA, Definizioni giuridiche edideologie, Milano, 1979, p. 43 s.

(146) Corte cost. n. 327 del 2008.(147) Filo rosso omogeneo che è poi la Corte stessa a tessere ad esempio attorno al

piano dimensionale e offensivo (cfr. Corte cost. n. 327 del 2008 par. 6 del considerato indiritto) e a cui va aggiunto quello dell’unisussistenza dell’evento di disastro.

(148) Corte cost. n. 327 del 2008 par. 5.

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Ovviamente la rubrica non è l’unico fattore di connotazione della fattispecie. Vene sono molti altri, ben più importanti, alcuni interni e altri esterni, che intessono unavarietà di rapporti con la fattispecie (es. il bene giuridico, l’interpretazione sistema-tica, ecc.) (149). A mio avviso, però, quelli legislativi, propri ed esclusivi della fat-tispecie, ma esterni ad essa sono due: la comminatoria edittale, che è di gran lungail più importante (150), e la rubrica dell’articolo.

Insomma, se parlare di rubriche vuol dire parlare di funzione inten-sionale (151) e di omogeneità del disvalore, ci si rende conto che essecontribuiscono — ripeto: in quanto testo di legge — ad individuare il tipocriminoso legale. Ovvero quel concetto che, dopo la lettura classificatoriache dispone la fattispecie in modo binario (o si sta dentro o si sta fuori ladescrizione), ne impone anche una che la riorganizzi in modo graduali-sta (152) (un « nucleo centrale » (153) che soddisfa al massimo grado glielementi caratterizzanti del tipo e attorno le ipotesi distribuite a cerchiconcentrici, a seconda che corrispondano più o meno alle caratteristicheessenziali del tipo) (154).

(149) V. innanzitutto v. D. BRUNELLI, Il diritto penale delle fattispecie cit., p. 1 s. cheoffre preziose coordinate in tale senso nel quadro di una lettura del diritto penale — non acaso — organizzata attorno alla fattispecie criminosa come suo tratto caratterizzante.

(150) Su cui innanzitutto v. T. PADOVANI, La disintegrazione attuale del sistemasanzionatorio e le prospettive di riforma. Il problema della comminatoria editale, in questaRivista, 1992, p. 431 s., W. HASSEMER, Fattispecie e tipo cit., p. 162 s.

(151) Nella letteratura penalistica v. ora M. PAPA, Fantastic voyage cit., p. 8.(152) Sul gradualismo e la distinzione tra concetti ordinali e classificatori, v. C.

BEDUSCHI, Tipicità e diritto, Padova, 1992, passim, e in part. p. 85 e le ricostruzioni di R.ALAGNA, Tipicità cit., in part. 245 s. e G. CARUSO, La discrezionalità cit. p. 77 s., G. CARLIZZI,Sull’ermeneutica giuridica di Winfried Hassemer, in W. HASSEMER, Fattispecie cit., p. 28. Sulgradualismo in action v. la solida costruzione attorno al nucleo dell’esiguità del tipo bagatel-lare di C.E. PALIERO, « Minima non curat cit., p. 693 s.

(153) Così F. PALAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, inScritti Marinucci cit., p. 535.

(154) Un esempio può aiutare a chiarire la doppia lettura. La frutta ha una definizionedi tipo classificatorio, redatta secondo la logica dell’aut-aut (« Frutta: Nome collettivo deifrutti commestibili » che a suo volta rimanda a « Frutto: L’ovario delle angiosperme accre-sciuto che contiene i semi maturi (derivati dagli ovuli), e le parti del fiore che persistono dopola fecondazione e racchiudono i semi fino alla loro maturità » cosi Il Treccani, Roma, 2003).Nella vita di tutti i giorni però ragioniamo con in testa quello che in filosofia del linguaggio èchiamato « effetto di tipicità » E. LALUMERA, Cosa sono i concetti, 2009, Bari-Roma, p. 44 s.;che è un test di tipo gradualista. Così, se pensiamo a dei tipi di frutti ci vengono subito a mentei “campioni della categoria”: la mela, la pera, la banana ecc. Più difficilmente ci verrà a menteil pomodoro, e, meno che mai, penseremo all’oliva. Questo perché, di pasto in pasto, abbiamoelevato alcune qualità costanti degli esemplari paradigmatici (es. l’immediata edibilità, ladolcezza, la succosità), a tratti caratterizzanti del tipo ‘frutta’. Poi, sulla base di questeesperienze, valutiamo se, e in che misura, queste costanti ci siano nelle specie di vegetali cheall’occorrenza ci capitano tra le mani. Questo giudizio di corrispondenza ci porterà a dire che‘la mela è più frutta del pomodoro’ e che ‘l’oliva non è un tipo di frutta’, che sono invece

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Sarà quindi tipico solo il fatto concreto che soddisfa il minimo comunedenominatore tracciato prima dalla lettura classificatoria, poi dalla letturaintensionale della fattispecie. Abbondo nel corsivo per sottolineare che lalettura intensionale indicata anche (155) dalla rubrica si aggiunge, non sisostituisce, a quella classificatoria. Non si può sostituire per vincolocostituzionale di riserva di legge penale. Ma, la rubrica, in quanto testo dilegge, per quanto abbiamo detto, si deve aggiungere (156).

Di conseguenza, il fatto che la vincolante funzione intensionale siaggiunga comporta che le rubriche non svolgono mai alcuna autonomafunzione estensionale.

Il risultato della doppia lettura è quindi che l’insieme dei fatti che lasoddisfano sarà per forza di cose minore dell’insieme dei fatti che soddi-sfano solo quella classificatoria (157). Per capirci, è come per l’offesa,secondo cui i fatti sia conformi alla descrizione in fattispecie, sia offensividel bene giuridico sono per forza di cose un sottoinsieme dei primi.

6. Il nome: “servo loquace”, “servo muto”, o “socio tiranno” dellafattispecie? Qualche collaudo. — Fino a qui la teoria. Facciamo oraqualche esempio, anche perché risulta chiaro che non tutti i nomi dei reatisiano in grado di assolvere questa funzione con uguale modalità e misura.Occorre quindi chiedersi se e quando i nomi siano — per prendere aprestito la celeberrima metafora di Tullio Padovani (158) — il “servo

affermazioni senza senso dal punto di vista classificatorio. L’oliva quindi è frutta dal punto divista classificatorio, ma non secondo quello gradualista, poiché non soddisfa « l’effetto ditipicità ». A riprova che la realtà supera sempre la fantasia R. PETRILLI, La lingua ordinaria deldiritto, p. 32, in ID. (cur.), Rappresentazioni del diritto. Paradigmi, 1-2016, p. 32 s. riportanotizia di un caso statunitense di decenni orsono che ha posto il giudice di fronte alla sceltatra lettura classificatoria e gradualisita proprio della frutta occorrendo valutare se applicare aduna partita di pomodori il regime fiscale previsto per l’importazione delle verdure.

(155) Come già detto ciò che qui interessa è indicare la funzione della rubrica, noncerto pretendere che eserciti da sola la funzione intensionale.

(156) Sempre la Corte costituzionale, nella citata sentenza sul disastro innominato (inuna questione davvero al limite) è attenta a ribadire che la connotazione da sola non potrebbein alcun modo sanare l’indeterminatezza della fattispecie: « 6. La conclusione ora prospettata(necessaria omogeneità tra disastro innominato e disastri tipici) non basterebbe peraltroancora a consentire il superamento del dubbio di costituzionalità. Rimane infatti da acclararese, dal complesso delle norme che incriminano i « disastri » tipici, sia concretamente possibilericavare dei tratti distintivi comuni che illuminino e circoscrivano (...) », così Corte cost. n.327 del 2008 par. 6 del Considerato in diritto.

(157) Cfr. in questo senso la fondamentale intuizione di W. HASSEMER Fattispecie etipo, cit., in part. p. 183.

(158) T. PADOVANI, Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni antisto-riche sulle dimensioni processuali della legalità penale, in Ind. Pen. 1999, p. 529, in cui,riferendosi alle trasformazioni del ruolo del processo sul diritto penale, viene offerta ancheuna quarta immagine qui non ripresa, quella del “socio paritario”. Prima, in nuce, la felice

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loquace”, il “servo muto”, se non, addirittura, rischiare di assumere le vestidel “socio tiranno” della fattispecie.

6.1. “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”. — Un casoevidente di rapporto tra nome e fattispecie è l’art. 572 c.p. Qui gliingredienti ci sono tutti: 1) una fattispecie strutturata a lista; 2) un nome inrubrica composto di termini corrispondenti alle sole due prime voci dellalista; 3) un problema al crocevia tra contenuto della fattispecie e quellodella rubrica. Segnatamente se “maltrattare una persona sottoposta allapropria autorità” debba essere interpretato solo ricostruendo il significatoproprio di queste parole o se invece quel nome in rubrica imponga dieffettuare una seconda lettura della fattispecie che ne circoscriva ulterior-mente l’area di significato. Come noto da ciò dipende la definizione di qualirapporti di lavoro, in cui si assume siano avvenute condotte c.d. dimobbing, siano penalmente rilevanti ex art. 572 c.p.

In proposito si è affermato (159) che la rubrica « Maltrattamenticontro familiari e conviventi » non possa certo escludere la sussunzione aivari rapporti non familiari e di non convivenza elencati nella fattispecie (“persona sottoposta alla propria autorità, affidata per ragioni di educazione,istruzione cura ecc.”), di conseguenza questa rubrica contraddicendo lafattispecie non può dire nulla e va messa da parte.

Questa argomentazione, apparentemente ineccepibile, risulta peròviziata dall’equivoco di leggere la rubrica come se fosse una mini-fattispe-cie e di confrontarla con la fattispecie, quella “vera”. La rubrica invece ciimpone di rileggere la fattispecie con lenti connotative: così la lista diipotesi non si presenta più “in colonna” (un elenco di ipotesi una accantoall’altra), ma “a cipolla”, con un bulbo contornato da vari strati. In questomodo il fatto tipico si riferisce solo alle ipotesi che, oltre a soddisfare l’areadi significato degli elementi di fattispecie dal punto di vista estensionale, lesoddisfino anche dal punto di vista intensionale, cioè che presentino glielementi caratterizzanti il tipo criminoso legale.

La rubrica dell’art. 572 c.p. fa proprio questo: ci segnala come il reatosia caratterizzato da quel peculiare e omogeneo disvalore che connota lerelazioni tra autore e vittima particolarmente intense in cui si condivide lospazio e il tempo; e la cosa ha senso perché è in questa tipologia di relazioni

metafora viene più ampiamente sviluppata in ID., La disintegrazione attuale cit., in questaRivista, 1992, p. 431 s.

(159) C. PARODI, Mobbing e maltrattamenti, in Dir. pen. cont., 19 novembre 2012, p.5. Le nostre ricostruzioni sono agli antipodi, ma sono grato a Carlo Parodi per questo suoscritto, raro e prezioso momento di riflessione sul tema delle rubriche dei reati.

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che le vessazioni si fanno peculiarmente devastanti (160). E di questerelazioni quelle nominate in rubrica contro conviventi costituiscono il casoparadigmatico. La rubrica indica quindi nella “paraconvivenza” (161)quella costante che garantisce la tipicità della fattispecie (162).

Per afferrarlo è sufficiente pensare che se la rubrica non ci fosse, la listacontenuta nell’art. 572 c.p. perderebbe la rotta. Perciò, anche se stilistica-mente « maltrattamenti contro familiari e conviventi » non sia una bellezza,dal punto di vista funzionale, invece, va detto che è un nome decisamenteben fatto. Il paradigma del “servo loquace”.

Questo esempio è evidente perché si compone di una fattispecie a lista,quindi genuinamente classificatoria, e di una rubrica che, per sineddoche,connota quella lista. Spesso però le cose non stanno così e la funzioneconnotativa della rubrica si rivela scarsa, se non nulla, e al nome spetteràgiusto il compito di garantire (che, come confido di avere mostrato, non ècerto poca cosa) la nominabilità del reato. Ciò detto stabilire quando larubrica resti “muta” non è così evidente. Anche nomi che non si comprendecome possano dare un contributo di tipicità alla fattispecie, possono averequalche cosa da dire.

6.2. “Associazioni di tipo mafioso”. — Nonostante la prima partedel nome dell’art. 416 bis c.p. si sia fatta notare per i suoi problemionomastici (supra par, 4. (lett. d)), la seconda invece sembra averequalcosa di buono da dire.

Il sintagma “tipo mafioso” svolge infatti due (piccole, ma non inesi-stenti) funzioni. Una di metodo, ribadendo l’esigenza di individuazione diun tipo; il « tipo mafioso » per l’appunto, l’altra di merito, chiudendo laporta a nomignoli o soprannomi vari in uso, come “mafioso tipo” o“stampo mafioso”.

(160) Sul punto si v. per tutti F. COPPI, Maltrattamenti in famiglia, Perugia, 1979, p.213 s.

(161) Resta ovviamente da capire quali siano i criteri attraverso cui verificare laparaconvivenza. Ma questo è un problema che attiene all’accertamento e non all’interpreta-zione. Ad esempio l’assunto che quel contesto relazionale tra autore e vittima particolarmenteintenso sia sistematicamente escluso nelle imprese di dimensioni medio grandi può essere alpiù un’inferenza probatoria, e dal valore euristico relativo, ma non è il concetto. Insomma ladimensione dell’azienda è un’inferenza, che potrà essere più o meno valida, la paraconvivenzainvece è un elemento del fatto tipico. Cfr. R. BARTOLI, Fenomeno del mobbing e tipo criminosoforgiato dalla fattispecie di maltrattamenti in famiglia, in Dir. pen. cont, 28 ottobre 2011, inpart. par. 5.

(162) Similmente cfr. la argomentata riflessione, successiva alla modifica del 2012, diA. VALLINI, Nuove norme a salvaguardia del minore, della sua libertà sessuale (integrità)sessuale e del minore della famiglia, in Dir. pen. e proc., 2013, p. 152 in cui viene propostaun lettura intensionale della normativa riformata anche segnalando (prudenzialmente) che« per quel che vale corrobora questa ipotesi la rubrica ».

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Il 416 bis c.p. è tra le disposizioni più complicate in assoluto. I rapportitra legge, giudice e società sono continuamente messi sotto stress, ancheperché la fattispecie è ritagliata attorno ad una « forte connotazione socio-logico ambientale » (163), quella del radicamento delle mafie storiche neiloro territori di appartenenza. L’applicazione di questo reato nel Nord delPaese è quindi operazione estremamente complessa, poiché occorre com-prendere cosa si debba accertare per ritenere soddisfatta fuori contesto unafenomenologia ritagliata su altre realtà territoriali. Pensiamo alla delicatis-sima questione della rilevanza di un metodo mafioso meramente poten-ziale (164) (la c.d. “mafia silente” (165) fuori contesto (la “mafia al Nord”).Il « tipo mafioso » scolpito dal terzo comma dell’art. 416-bis c.p. si carat-terizza attorno a una nota modale (l’esercizio di una forza intimidatrice) euna nota causale (il risultato di assoggettamento e omertà). E il tipo (166)in una qualche misura sopporta una logica di proporzionalità inversa: unassoggettamento in atto rende più agevoli le modalità intimidatrici; se peròlo stato di assoggettamento non si è ancora realizzato, solo una attuale, ef-fettiva capacità intimidatrice, sarà quella idonea a determinarlo. Insomma,in una qualche misura, se sale l’uno l’altro scende e viceversa.

Ma che succede se non vi è uno stato di assoggettamento e di omertà(nota causale) e non vi sono condotte dotate di capacità intimidatoria (notemodali), però vi sono comportamenti e riti che echeggiano quelli dellemafie storiche? Possono questi comportamenti surrogare la nota modale,mettere sullo sfondo la nota causale e essere qualificati e puniti ex art.416-bis, secondo comma?

(163) Così, G. FIANDACA, Introduzione in AA.VV., L’espansione della criminalità orga-nizzata in nuovi contesti territoriali, 2017, Milano, p. 14.

(164) Su cui v. la ricostruzione di C. VISCONTI, Mafie straniere e ‘Ndrangheta al Nord.Una sfida alla tenuta dell’art. 416 bis?, in Diritto penale contemporaneo - Riv. trim., 1/2015,in part. p. 367 s.

(165) Costantino Visconti ci fa riflettere sul carattere « linguisticamente accattivante »di “mafia silente”, che « disegna immaginari in grado di catturare pezzi di realtà che magarisfuggirebbero alla sintassi ordinaria » così ID., La mafia è dappertutto. Falso!, Bari, 2016, p.16. Sul potere delle metafore in letteratura penalistica si rinvia a G. MANNOZZI, Le parole deldiritto penale cit., in questa Rivista, 2001, p. 1437 s., M. PAPA, Fantastic cit., p. 38 e passim,e a G. CAROFIGLIO, Con parole precise Bari, 2015, p. 21 s.

(166) Proprio questo diverso rapporto tra passato e futuro, tra mezzi e risultatimodella il tipo mafioso rispetto all’associazione per delinquere ‘semplice’. Nel 416 c.p. ci siassocia per commettere delitti, nel 416-bis c.p. i delitti già commessi realizzano quell’assog-gettamento che sono il mezzo per l’ulteriore aggravamento e realizzazione dello stato diassoggettamento e di omertà, in questo senso cfr. M. RONCO, Precomprensione ermeneuticadel tipo legale e divieto di analogia, in Studi Marinucci cit., p. 702.

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Il problema è emerso in un processo per costituzione di una nuova ‘ndrinaligure (167). Costantino Visconti in un suo piccolo gioiello (168) ci racconta che« il giudice genovese se per un verso accerta nel processo che « gli imputati siincontrano e si riuniscono nel rispetto delle tradizioni ‘ndranghetiste, partecipanoal conferimento di cariche proprio del sodalizio e ne seguono i rituali » per altroverso non rinviene prove sufficienti per potere affermare che costoro in Liguriaabbiano riprodotto le caratteristiche operative, né tanto meno, che agiscano neirapporti con l’ambiente esterno come appartenenti ad un’associazione mafiosa ». Alcontrario, per la Corte di Cassazione, occorre « accontentarsi anche in questi casidi accertare una capacità intimidatoria « solo potenziale » divenendo altrimentiimpossibile « configurare l’esistenza di associazioni mafiose in regioni refrattarie,per una serie di ragioni storiche e culturali, a subire metodi mafiosi ».

L’eterno conflitto tra oggettivismo e soggettivismo. Tra punire « peressere ‘ndranghetista o per fare lo ‘ndranghetista » (169).

E quel sintagma in rubrica, pur “sottovoce”, su tutto questo qualcosadice. Intanto ribadisce che il disvalore del reato dipende dalla connotazionedel “tipo mafioso”, secondo le indicazioni del terzo comma. Poi, nel meritomarca la irriducibile differenza, costituzionale e linguistica, tra “mafiosotipo” e “tipo mafioso”. Last but not least ci impone di pensare il reato conil suo nome legislativo, non con il soprannome giornalistico. Perché un’as-sociazione può avere lo stampo di quelle mafiose, ma non solo per questoessere anche di tipo mafioso.

Morale: anche in questo caso in cui la fattispecie, con il terzo comma,non sembra davvero riservare alcuno spazio di ulteriore funzione intensio-nale al nome, questo invece non è del tutto “muto”. Quel sintagma ci ronzanell’orecchio di non spezzare il filo della tipicità che lega assieme legalità eproporzione, portando a chiederci quale omogeneità di disvalore vi sia traorganizzare un’associazione di tipo mafioso e una di stampo mafioso.

Un’ultima domanda, la più rognosa: ma un nome in rubrica dotato diuna autonoma, intensissima carica connotativa, non finisce per dismettere

(167) In una già cospicua letteratura sul punto v. in primis C. VISCONTI, Mafie stranieree ‘Ndrangheta al Nord. cit. in part. p. 361 s.; F. SERRAINO, Espansione della ‘Ndragheta al Norde problemi di configurabilità del reato di associazione di tipo mafioso in AA.VV., L’espansionedella criminalità organizzata cit., in part. p. 50 s.; v. l’importante ricerca, focalizzatasull’attività della Procura di Milano dal 2003 al 2015, a cura di A. ALESSANDRI, Espansionedella criminalità organizzata nell’attività di impresa al Nord, Torino, 2017.

(168) C. VISCONTI, La mafia è dappertutto, cit. p. 11 in cui in sintesi riprende quantoespresso in forma più articolata nel suo scritto citato in apertura della nota precedente in cuia p. 362 s. e alle note 8 e 9 richiama le sentenze citate (inedite). V. anche la recentissima Cass.pen. sez II, 24851/2017 del 4 aprile 2017 (inedita) che ha annullato con rinvio la sentenza diassoluzione della Corte di appello di Genova.

(169) Per dirla con il chiasmo perfetto del giudice ligure cit. da C. VISCONTI, Mafiestraniere e ‘Ndrangheta al Nord cit., p. 363.

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le vesti del “servitore più o meno loquace” per assumere quelle del “sociotiranno” della fattispecie? Il caso più evidente è quello di tortura.

6.3. Tortura. — Tutti associamo la tortura (170) all’inflizione diatroci sofferenze cagionate da detentori del monopolio nell’esercizio dellaviolenza legittima, che lo pervertono, per estorcere informazioni (171).Attorno a questo nucleo forte si pone poi il problema di valutare se, e finoa quando, sia ancora tortura l’estorcere informazioni, il seviziare e cagio-nare sofferenza, l’abusare nell’esercizio del potere, il privare della libertàpersonale. La storia della tortura (172) è infatti anche quella delle esten-sioni (173) di ciò che si intende per “tortura” (174).

Il nucleo originario è costituto senza dubbio dalla tortura giudiziaria,« nella pretesa ricerca di verità cò tormenti » (175). Attorno a questonocciolo si addensa un più ampio cerchio di condotte (176), in cui pur in

(170) Leggere sulla tortura è un’attività che accompagna un penalista per tutta la suavita. Per scrivere queste righe una lettura su tutte è quella verso cui ho contratto il maggiordebito: T. PADOVANI, Giustizia criminale. Radici, sentieri, dintorni, periferie di un sistemaassente. Vol. 3 Tortura, a.a. 2006/2007, Pisa, 2015.

(171) Cfr. in questo senso l’incipit di T. PADOVANI, Tortura cit., p. 7 s.(172) Su come e perché il termine tortura si sia affermato rispetto ai vocaboli concorrenti

(ad esempio tormentum, martyrium, quaestio per tormenta, carnificina, cruciatus, supplicium)v. P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, due voll., Milano, vol. 1, 1953, p. 181s. Connotazione ed etimologia coincidono: l’emersione del termine tortura è avvenuta perchéesso è l’unico a contenere sia il significato di piegare (la volontà), sia quello di estorcere (se-viziare), mettendo così al centro del significato di tortura quella giudiziaria così G. SERGES, Ildiritto a non subire tortura, ovvero: il diritto di libertà dalla tortura, in M. RUOTOLO, S. TALINI

(cur.), I diritti dei detenuti nel sistema costituzionale, Napoli, 2017, p. 338 s.(173) Da qui anche la distinzione in partizioni e sottopartizioni: tortura giudiziaria,

tortura pena, tortura comune, tortura mezzo, tortura fine. Cfr. in questo senso G. SERGES, op.cit., p. 338.

(174) Il nome tortura potrebbe e dovrebbe essere indagato anche per testare ilrapporto tra rubriche, fattispecie e norme sovranazionali, intese come fonti giuridiche, nonlinguistiche dei plurimi livelli di significato di una parola globale. Ma per ragioni di spazio edi economia del discorso asciughiamo l’esempio, limitandoci al rapporto tra descrizione infattispecie e connotazione del nome, lasciando in secondo piano le definizioni di matriceinternazionale, su cui si rinvia, anche per i richiami a P. LOBBA, Punire la tortura in Italia.Spunti ricostruttivi a cavallo tra diritti umani e diritto penale internazionale, in Dir. pen.cont., 10-2017 p. 181 s. A. COLELLA, La repressione penale della tortura: riflessioni de iurecondendo, in Dir. pen. cont., 22 luglio 2014. Per l’analisi olistica del rapporto tra nome, suastoria, fonti internazionali e nazionali di altri ordinamenti, anche se antecedente all’introdu-zione dell’art. 613 bis c.p. v. T. PADOVANI, Tortura cit., p. 9 s.

(175) Così P. VERRI, Osservazioni sulla tortura e sulla peste che devastò Milanonell’anno 1630, Milano, 1804, VIII, cpv.

(176) Tullio Padovani segnala (op. ult. cit., p. 39 s.) come il nucleo ristretto dellatortura stia nella sua funzione di “istituto finalizzato nell’ambito di un processo a ottenere unadichiarazione utile all’accertamento” (così ivi p. 41). Spiegando in questo modo il filo che legaassieme il primo cerchio con il secondo. La tortura giudiziaria con quella definita da Voltaire

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assenza di perversione del potere pubblico, quindi anche tra privati,l’elemento caratterizzante resta la ricerca di informazioni per il mezzo disevizie di particolare crudeltà, inflitte su una vittima privata della libertàpersonale.

Quando però viene via la costante originaria della perversione del poterefinisce per venire via anche la seconda costante della finalità di estorcereinformazioni (177). In quanto reato comune non ha infatti più senso distin-guere, se, ad esempio, si sequestra e sevizia una persona per sapere se ha unamante, per punirla perché un amante in effetti lo ha o per pura crudeltà. Ergose la tortura diviene reato comune, e salta quindi la costante della perversionedi potere pubblico, salta anche quella della ricerca di informazioni, cosicchéle costanti della tortura divengono la particolare acutezza dellesevizie/sofferenze inflitte e la privazione di libertà.

Se invece la tortura resta reato proprio, mantiene cioè la costanteoriginaria della perversione del potere pubblico, questa costante in unabuona misura finisce per caratterizzare anche la particolare acutezza dellesevizie/sofferenze. In quanto reato proprio ciò che caratterizza le sevizie/sofferenze inflitte come tortura è innanzitutto il fatto di essere illegali (lapena è sofferenza, ma legittima). Discorso non così dissimile si può fare sela perversione riguarda l’esercizio di un potere non pubblico, ma comun-que normativizzato (es. una guardia privata, un infermiere di una casa diriposo, un badante). Quindi quando è un soggetto qualificato, pubblico oprivato, che abusa del suo potere anche violando i suoi doveri, possonoessere sevizie/sofferenze che assumono le tinte della tortura anche com-portamenti come minacce e, addirittura, anche delle omissioni.

Arriviamo al punto. Il legislatore, come sappiamo, all’art. 613 bis c.p.primo comma, ha descritto la tortura come un reato comune. Lo ha fattoperò mettendo assieme in un unico reato i vari elementi che si sonosedimentati nel connotare la tortura, ora come reato comune, ora comereato proprio, secondo la tecnica di stabilire in alternativa i vari elementidel fatto, che possono così incastrarsi dando vita ad uno spettro davveroampio di combinazioni. Basta leggere la fattispecie per avvedersene.

Art. 613 bis « Tortura - Chiunque, con più atti di violenza o di minaccia,ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, ovvero me-diante omissioni, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una personaprivata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura

nel suo dizionario filosofico, secondo cui « questa fu inventata da dei ladri che fecero soffriremille tormenti ad un avaro per farsi dire dove nascondesse il suo tesoro ». Cioè un suppliziotra privati per estorcere informazioni.

(177) Lo illustra bene T. PADOVANI, Audizione alla Camera. Commissione II Giustizia,resoconto stenografico seduta del 22 ottobre 2014, p. 4, reperibile sul sito della Camera.

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o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito conla reclusione da tre a dieci anni ».

Ipotizziamo ora il caso di un giovane adulto che, a varie ripresenell’arco di un mese, in un parco pubblico, prende a calci e pugni, taglia icapelli e ricopre di insulti e di scherni un compagno di scuola di 16 annidislessico e molto introverso. Ipotizziamo che tutto questo cagioni allavittima un profondo stato depressivo e acuti attacchi di panico. Un orrendofatto di “bullismo” insomma. Nessun dubbio che questo fatto sia merite-vole di pena, ma è “tortura”?

Se rispondiamo sommando le aree di significato offerte dai varienunciati contenuti nella fattispecie che si candidano a descrivere questofatto la risposta sembrerebbe essere positiva (« Chiunque, con più atti diviolenza o di minaccia, (...) cagiona acute sofferenze (...) psichiche ad unapersona (...) che si trovi in una condizione di minorata difesa »).

Se invece pensiamo a quel nome la risposta si fa più dubbiosa. Ma nonpuò certo il nome escludere direttamente la sussunzione di un accadimentoper il semplice fatto che gli elementi di fattispecie non corrispondono a ciòche riteniamo essere tortura. Il nome non è mica un elemento normativo difonte etico sociale; non gli spetta questa funzione, perché, come detto,l’oggetto dell’interpretazione è la fattispecie. Il nome indica una chiave dilettura intensionale degli elementi di fattispecie. Segnala all’interprete che“questa fattispecie si chiama per legge tortura”, che è diverso dal dirgli“tortura è quella descritta in fattispecie”.

Insomma, ciò che il nome in rubrica fa è offrire senso contribuendo aorganizzare le costanti descritte in fattispecie. Quindi in primo luogo ilnome « tortura » contribuisce a indicare che i vari elementi di fattispeciedevono corrispondersi, e non possono essere interpretati ognuno per contoproprio. In secondo luogo il nome « tortura » ci indica quali tra gli elementinei vari incastri possibili sono quelli maggiormente caratterizzanti. In terzoluogo, così facendo, il nome « tortura » stabilisce l’ordine delle corrispon-denze, cioè quali elementi si trovano al centro e quali debbono stareassieme ai primi. E non è poca cosa (178).

(178) Un caveat. Io sto provando a delimitare la funzione della rubrica in qualità difonte dell’interpretazione. Ora, pur nell’estrema difficoltà di tracciare il confine tra fonti edargomenti, in generale, ed ancor più su un tema come questo dei nomi in rubrica, su cui lariflessione è davvero rara, resta comunque ovvio che il significato dei nomi dei reati in rubricapuò offrire solidi argomenti a sostegno di un’interpretazione.

Si pensi alla concussione. In proposito G. GATTA, La minaccia. Contributo allo studiodelle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013, p. 82 e 219, allo scopo dioffrire una caratterizzazione della minaccia penalmente rilevante, e quindi tracciare i confinianche delle modalità della costrizione, nota modale del delitto di concussione, richiama unpasso del Programma di Francesco Carrara sul significato di concutere, cioè, letteralmente“scuotere un albero”: come si scuote un albero per fare cadere una mela così si deve scuotere

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Ad esempio indica che in periferia ci sta la « minorata difesa » e che ledeve essere attribuito un significato coerente con il dato letterale, ma anchecon gli altri elementi descritti in alternativa, in modo tale da renderlaassimilabile agli altri stati di soggezione descritti in fattispecie. Si arrivacosì ad affermare che la “minorata difesa” deve riferirsi oggettivamente asituazioni in cui è “molto difficile sottrarsi”, cioè analoghe a quelle piùcaratterizzanti descritte in alternativa. Situazioni di “paracustodialità” miverrebbe da dire. Con relativa esclusione quindi dell’applicazione del reatoa fatti, pur assolutamente ripugnanti e giustamente puniti da altre fattispe-cie del codice, come quello che abbiamo ipotizzato.

7. Chiusa. — Le parole hanno un formidabile potere (179), deci-dono il pensabile dall’impensabile, ciò che è simile da ciò che è di-verso (180). Un potere però che è nelle mani di tanti e che, nel loro piccolo,riguarda anche le rubriche dei reati: fonti legislative su cui il legislatore nonè sovrano, strumento qualificato di produzione della norma penale senzaesserne l’oggetto, si situano davvero in una bizzarra posizione. SecondoCarnelutti, la rubrica « agevola il maneggio degli articoli proprio come ilmanico serve al maneggio degli oggetti » (181), e stava parlando di pro-cesso civile. In diritto penale sappiamo bene che “l’oggetto da maneggiare”è « un’arma a doppio taglio » (182), e a brandire una lama siffatta senza unmanico si finisce con il menare fendenti alla rinfusa a chiunque dovessetrovarsi nei paraggi.

Credo quindi che le rubriche dei reati meritino un poco di attenzione.In particolare ora, in un’epoca di cambio di paradigmi (183) queste fine-strelle tra legge e società possono offrire un piccolo, ma utile contributo

la vittima affinché vi sia concussione. Ergo l’aggressività/prevaricazione costituisce l’indefet-tibile elemento caratterizzante delle modalità della concussione, quindi della sua condotta dicostrizione, quindi della minaccia come forma minima necessaria di costrizione, nella piena-mente persuasiva argomentazione facente leva sul significato del nome offerta da GianluigiGatta.

(179) Cfr., M. PAPA, Fantastic voyage cit., p. 8 s.(180) Nella letteratura di mia conoscenza v. innanzitutto M. FOUCAULT, Le parole e le

cose, cit. passim.(181) F. CARNELUTTI, Intorno al progetto preliminare del codice di procedura civile,

Milano, 1937, p. 11.(182) Mi riferisco ovviamente alla celeberrima metafora di Franz von Listz: la pena « è

un’arma a doppio taglio; tutela di diritti attraverso lesione di diritti » ID., La teoria dello scoponel diritto penale, Milano, 1962 (1882), p. 46.

(183) Seguendo il monito di Domenico Pulitanò secondo cui « La perdita di antichecertezze, e/o la mancanza di condizioni ideali di contesto, aprono la strada ad un rischio cheè particolarmente grave nella materia penale: quello del soggettivismo, del sentirsi più liberie in qualche misura creatori del diritto » ID., Sull’interpretazione e gli interpreti della leggepenale in Scritti Marinucci cit., p. 675.

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affinché l’attività legislativa non perda il contatto con la realtà, ribadendoal contempo “l’insostituibile centralità del testo” (184). Possono fare poco,ma nella direzione giusta: tenere assieme legalità e proporzione, i duepilastri della tipicità.

CARLO SOTIS

Associato di Diritto penaleUniversità della Tuscia

(184) Per parafrasare la parafrasi di L. EUSEBI, L’insostenibile leggerezza del testo, cit.,p. 1672.

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