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159 Premessa Negli anni 1991 e 1997 il monastero di S. Salvato- re al Monte Amiata è stato oggetto di una serie di interventi di scavo archeologico finalizzati a getta- re nuova luce sulle vicende costruttive del grande complesso architettonico e sui cambiamenti d’uso degli spazi interni e delle volumetrie perimetrali della chiesa, nota dai documenti fin dall’VIII seco- lo. Una sintesi dei risultati degli scavi è stata recen- temente oggetto di pubblicazione; in quella sede si sono illustrati, attraverso la scansione cronologica per periodi, gli eventi susseguitisi sul pianoro su cui oggi sorge la grande abbazia, così come lo sca- vo li ha messi in luce 1 . È particolarmente significa- tivo rilevare la lunga durata d’uso del pianoro stes- so; il rinvenimento di un piccolo nucleo di stru- menti litici realizzati in selce e diaspro e di nume- rose schegge di lavorazione avvenuto nel corso delle indagini del 1997 inserisce Abbadia San Salvatore all’interno di una fascia territoriale montana che risulta insediata fin dal Paleolitico superiore, e che è significativamente connotata dalla presenza di sorgenti termali ed altri fenomeni legati alla natura vulcanica del massiccio amiatino 2 . Di assoluto interesse risulta anche la persistente valenza religiosa che connota l’uso della sommità della montagna certamente fin dall’epoca arcai- ca; datano infatti alla seconda metà del VI secolo a.C. i frammenti ceramici connessi ad un episo- dio che si è interpretato come un sacrificio. Que- sto sacrificio seguì un rituale nel quale figurano ceramiche di importazione (ceramiche attiche a figure nere ed anfore tirreniche), rinvenute fram- mentarie nel corso dello scavo, assieme a grani di cereali bruciati ed ossa animali combuste, fra le quali un dente di cinghiale. La tipologia delle ce- ramiche rinvenute qualifica il rito come un even- to di rango e solennità elevate; la datazione delle stesse anticipa di circa mezzo secolo le testimo- nianze relative all’esistenza di un importante san- tuario localizzabile presso Seggiano 3 . Gli elemen- ti raccolti rendono testimonianza di come il mon- te Amiata ed Abbadia San Salvatore in particolare rivestano un ruolo cruciale nello studio della geo- grafia religiosa di lungo periodo, che assegna una valenza particolare al monte. In essa al culto delle divinità ctonie preromane, evocate dalla presenza di fenomeni vulcanici e termali, si sostituisce nel tempo il culto di Juppiter (le folgori sono ancora oggi richiamate dall’arme dei monaci del Castello dell’Abbazia) e la fondazione altomedievale del- l’abbazia titolata al Salvatore. 1. L’ABBAZIA PRIMA DEL MILLE: I DATI DELLO SCAVO I saggi di scavo hanno evidenziato una serie di trac- ce riferibili alla storia più antica del monastero, pre- cedente alla costruzione della grande chiesa di XI secolo. Queste tracce sono emerse dai saggi condot- ti nel 1997 sul lato est del chiostro, nella cinquecen- tesca sala capitolare (area 7, ambiente VI), e in una piccola cantina contigua (area 5, ambiente IV), af- facciata sul chiostro attuale e delimitata a sud dal muro della cripta del S. Salvatore (Fig. 1). La valuta- zione di alcuni elementi emersi al termine dello sca- vo, in particolare la relazione di stretta contempora- neità evidenziata fra le murature semicircolari delle absidi più antiche e le murature rettilinee della crip- ta ed il diverso orientamento dell’asse delle muratu- re precedenti a quest’ultima, venute in luce parzial- mente all’interno dell’ambiente IV, ci fanno propen- S. SALVATORE AL MONTE AMIATA IL CANTIERE DI UN GRANDE MONASTERO ATTORNO ALL’ANNO MILLE* * Nel corso del convegno tenutosi a Vico Pisano nel No- vembre 2000 Franco Cambi e Luisa Dallai hanno proposto un intervento illustrativo dei dati relativi allo scavo del- l’Abbazia di S. Salvatore ed alle dinamiche insediative e religiose riscontrabili nel territorio amiatino. Una parte di quei dati sono stati pubblicati alcuni mesi dopo, sul XXVII numero di «Archeologia Medievale». Il presente contribu- to si propone un approfondimento specifico relativo ad al- cuni aspetti delle fasi di cantiere riconosciute nel deposito indagato negli scavi dell’abbazia, e ai dispositivi in uso ne- gli stessi. 1. Il contributo edito in «Archeologia Medievale» sintetiz- za le ricerche svolte sul complesso monumentale dell’Ab- bazia di S. Salvatore negli anni 1991 e 1997. Il territorio del Comune di Abbadia San Salvatore (SI) è stato sottopo- sto ad indagine topografica a partire dagli anni 1987-88, con l’avvio di ricognizioni promosse da R. Francovich; queste ricerche sono approdate alla redazione della Carta Archeologica, pubblicata nel 1996; cfr. CAMBI 1996. 2. Le dinamiche insediative di periodo preistorico e proto- storico per la montagna sono state recentemente delineate da Casi. Si veda CASI 1996, pp. 117-151. 3. Sulla valenza religiosa della montagna e sulla geografia sacra della Val d’Orcia si veda CAMBI 2000, pp. 201-203.

S. SALVATORE AL MONTE AMIATA IL CANTIERE DI UN ......162 un pluteo o ad una recinzione presbiteriale (Fig. 3). Queste decorazioni furono al contrario impiegate come semplice materiale

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Page 1: S. SALVATORE AL MONTE AMIATA IL CANTIERE DI UN ......162 un pluteo o ad una recinzione presbiteriale (Fig. 3). Queste decorazioni furono al contrario impiegate come semplice materiale

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Premessa

Negli anni 1991 e 1997 il monastero di S. Salvato-re al Monte Amiata è stato oggetto di una serie diinterventi di scavo archeologico finalizzati a getta-re nuova luce sulle vicende costruttive del grandecomplesso architettonico e sui cambiamenti d’usodegli spazi interni e delle volumetrie perimetralidella chiesa, nota dai documenti fin dall’VIII seco-lo. Una sintesi dei risultati degli scavi è stata recen-temente oggetto di pubblicazione; in quella sede sisono illustrati, attraverso la scansione cronologicaper periodi, gli eventi susseguitisi sul pianoro sucui oggi sorge la grande abbazia, così come lo sca-vo li ha messi in luce 1. È particolarmente significa-tivo rilevare la lunga durata d’uso del pianoro stes-so; il rinvenimento di un piccolo nucleo di stru-menti litici realizzati in selce e diaspro e di nume-rose schegge di lavorazione avvenuto nel corso delleindagini del 1997 inserisce Abbadia San Salvatoreall’interno di una fascia territoriale montana cherisulta insediata fin dal Paleolitico superiore, e cheè significativamente connotata dalla presenza disorgenti termali ed altri fenomeni legati alla naturavulcanica del massiccio amiatino 2.Di assoluto interesse risulta anche la persistentevalenza religiosa che connota l’uso della sommitàdella montagna certamente fin dall’epoca arcai-ca; datano infatti alla seconda metà del VI secoloa.C. i frammenti ceramici connessi ad un episo-

dio che si è interpretato come un sacrificio. Que-sto sacrificio seguì un rituale nel quale figuranoceramiche di importazione (ceramiche attiche afigure nere ed anfore tirreniche), rinvenute fram-mentarie nel corso dello scavo, assieme a grani dicereali bruciati ed ossa animali combuste, fra lequali un dente di cinghiale. La tipologia delle ce-ramiche rinvenute qualifica il rito come un even-to di rango e solennità elevate; la datazione dellestesse anticipa di circa mezzo secolo le testimo-nianze relative all’esistenza di un importante san-tuario localizzabile presso Seggiano 3. Gli elemen-ti raccolti rendono testimonianza di come il mon-te Amiata ed Abbadia San Salvatore in particolarerivestano un ruolo cruciale nello studio della geo-grafia religiosa di lungo periodo, che assegna unavalenza particolare al monte. In essa al culto delledivinità ctonie preromane, evocate dalla presenzadi fenomeni vulcanici e termali, si sostituisce neltempo il culto di Juppiter (le folgori sono ancoraoggi richiamate dall’arme dei monaci del Castellodell’Abbazia) e la fondazione altomedievale del-l’abbazia titolata al Salvatore.

1. L’ABBAZIA PRIMA DEL MILLE: I DATI DELLOSCAVO

I saggi di scavo hanno evidenziato una serie di trac-ce riferibili alla storia più antica del monastero, pre-cedente alla costruzione della grande chiesa di XIsecolo. Queste tracce sono emerse dai saggi condot-ti nel 1997 sul lato est del chiostro, nella cinquecen-tesca sala capitolare (area 7, ambiente VI), e in unapiccola cantina contigua (area 5, ambiente IV), af-facciata sul chiostro attuale e delimitata a sud dalmuro della cripta del S. Salvatore (Fig. 1). La valuta-zione di alcuni elementi emersi al termine dello sca-vo, in particolare la relazione di stretta contempora-neità evidenziata fra le murature semicircolari delleabsidi più antiche e le murature rettilinee della crip-ta ed il diverso orientamento dell’asse delle muratu-re precedenti a quest’ultima, venute in luce parzial-mente all’interno dell’ambiente IV, ci fanno propen-

S. SALVATORE AL MONTE AMIATA IL CANTIERE DI UN GRANDE MONASTERO ATTORNO ALL’ANNO MILLE*

* Nel corso del convegno tenutosi a Vico Pisano nel No-vembre 2000 Franco Cambi e Luisa Dallai hanno propostoun intervento illustrativo dei dati relativi allo scavo del-l’Abbazia di S. Salvatore ed alle dinamiche insediative ereligiose riscontrabili nel territorio amiatino. Una parte diquei dati sono stati pubblicati alcuni mesi dopo, sul XXVIInumero di «Archeologia Medievale». Il presente contribu-to si propone un approfondimento specifico relativo ad al-cuni aspetti delle fasi di cantiere riconosciute nel depositoindagato negli scavi dell’abbazia, e ai dispositivi in uso ne-gli stessi.1. Il contributo edito in «Archeologia Medievale» sintetiz-za le ricerche svolte sul complesso monumentale dell’Ab-bazia di S. Salvatore negli anni 1991 e 1997. Il territoriodel Comune di Abbadia San Salvatore (SI) è stato sottopo-sto ad indagine topografica a partire dagli anni 1987-88,con l’avvio di ricognizioni promosse da R. Francovich;queste ricerche sono approdate alla redazione della CartaArcheologica, pubblicata nel 1996; cfr. CAMBI 1996.2. Le dinamiche insediative di periodo preistorico e proto-storico per la montagna sono state recentemente delineateda Casi. Si veda CASI 1996, pp. 117-151.

3. Sulla valenza religiosa della montagna e sulla geografiasacra della Val d’Orcia si veda CAMBI 2000, pp. 201-203.

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dere per una datazione della cripta alla prima metàdell’XI secolo. Meno probabile appare, sulla base diquesti elementi, la datazione della medesima al IXsecolo, così come proposto da alcuni Autori sullascorta di una lettura attenta di documenti e sullabase di valutazioni storico-architettoniche 4; ciò nondi meno lo scavo ha fornito altri elementi di notevo-le interesse, riferibili ad un orizzonte temporale pre-cedente all’XI secolo.Il monastero di S. Salvatore al Monte Amiata, comenoto, è citato per la prima volta in un documentodel 762; si ritiene che esso sia stato fondato alla metàdell’VIII secolo, durante il regno di Astolfo, e con-sacrato al Salvatore, con dedicazione tipicamentelongobarda, alla fine degli anni sessanta dell’VIIIsecolo 5. In questa fase antica della sua lunga storia,la base territoriale del monastero era costituita dauna grande area boschiva ubicata sulle pendici orien-

Fig. 1 – Pianta del complesso abbaziale di S. Salvatore al Monte Amiata; le retinature indicano le aree sottopostead indagine fra il 1991 ed il 1997.

4. Per le vicende costruttive della cripta e della chiesa so-prastante si rimanda in questa sede ai contributi specificisusseguitisi nel tempo. Si veda in particolare MUCH 1989,pp. 323-360; KURZE 1988, pp. 1-26; 1989a, pp. 33-48;1990, pp. 13-40; GIUBBOLINI 1988, pp. 59-81.5. KURZE 1989b, pp. 357-359.

tali dell’Amiata. Fra l’VIII ed il IX secolo, sotto i recarolingi, l’abbazia estese di molto la sua attività edaccrebbe la sua importanza, espandendosi in dire-zione delle pendici occidentali del Monte Amiata,nelle valli dell’Ente e dello Zancona, colonizzandonuovo territorio ed organizzando le forme dello sfrut-tamento della terra.Gli indizi relativi ad una fase di attività preceden-te quella edificatoria di XI secolo sono emersiesclusivamente dalle indagini condotte sul latoorientale del chiostro; nessuna traccia si è conser-vata, al contrario, nell’area indagata ad est delleabsidi della chiesa, laddove l’imponente operaedificatoria legata alla costruzione della strutturaa triconco ed i successivi frazionamenti dello spa-zio hanno del tutto asportato qualsiasi traccia diattività precedente all’XI secolo.Sul lato del chiostro, al contrario, nella stratigra-fia sopravvissuta alle operazioni di taglio ed aspor-tazione ed alle intense attività di cantiere, un’im-portanza particolare riveste il rinvenimento di al-cuni frammenti ossei con decorazione a cerchiellioculati, frammenti che, pur nella estrema fram-mentarietà, sono con molta probabilità riferibiliad un pettine (Fig. 2). I frammenti ossei trovano

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numerosi confronti riferibili al tardo VI-VII seco-lo; gli esemplari meglio conservati mostrano ladecorazione applicata al manico di pettini di va-ria lunghezza, con motivi geometrici alternati acerchielli 6. I frammenti ossei rinvenuti ad Abba-dia provengono da un contesto stratigrafico (US726) precedente le attività di cantiere che certa-mente sono riferibili alla prima metà dell’XI se-colo; tuttavia la natura del deposito, profonda-mente intaccato dalle fosse di spoliazione e daipiù moderni interventi di canalizzazione delle ac-que, rende problematico un più esatto inquadra-mento temporale. I frammenti tuttavia non pro-vengono da un contesto sepolcrale, ma da uno stratoche presenta anche numerosi carboni e piccolissi-mi frammenti ceramici di impasto grossolano.I tagli profondi della stratigrafia operati in antico,che hanno asportato una buona parte del depositoarcheologico, hanno determinato in questo ambien-te fosse dal profilo allungato (US 740, 743, 803),che raggiungono il terreno vergine. L’asportazionedei materiali è stata in molti casi totale; la fossa 803

tuttavia, a differenza delle altre, ha conservato i re-sti di una solida struttura muraria, forse un pilastro,dello spessore di circa 120 cm (Fig. 4). La presenzadi questo pilastro riveste grande importanza, poichéci permette di meglio interpretare le altre importan-ti asportazioni come spoliazioni sistematiche effet-tuate ai danni di preesistenti strutture in elevato,strutture pertinenti ad edifici esistenti sul pianoroprima della costruzione della chiesa della prima metàdell’XI secolo. Più difficile risulta determinare aspettoe funzioni dei muri e forse, come ad esempio perl’US 774, dei pilastri asportati. Ciò che appare evi-dente osservando l’allineamento delle fosse e valu-tando al contempo l’orientamento dei lacerti mura-ri rinvenuti all’interno del piccolo ambiente IV, con-tiguo all’area del capitolo (US 508), è come diversofosse l’asse di sviluppo delle volumetrie riferibili aglielevati che precedettero l’edificazione della cripta;tali murature furono smantellate in un periodo chela sequenza stratigrafica colloca fra la fine del X e laprima metà del XII secolo; i materiali dovettero es-sere riutilizzati (così si spiegano le fosse di ruberiadell’ambiente VI), e l’area divenne probabilmenteaperta, funzionale alle esigenze del cantiere dellanuova chiesa in edificazione.Pochissime furono dunque le sopravvivenze deglielevati di quest’area alla fase di cantiere; al mutaredegli spazi esterni alla chiesa e della loro destinazio-ne dobbiamo immaginare un analogo cambiamen-to nell’organizzazione degli spazi interni, legato allerinnovate esigenze del culto non meno che al muta-re di canoni stilistici ed influenze culturali. Forse èper queste ragioni che nella chiesa di XI secolo nontrovarono posto alcune decorazioni scultoree in usonell’edificio più antico, probabilmente pertinenti ad

6. Per il confronto della decorazione a cerchielli applicataa pettini ed altri strumenti in osso si veda MENIS 1990, p.40, n° I, 24d; p. 58, n° I, 51; p. 65, n° I, 58.

Fig. 4 – Sala capitolare; pianta di fine scavo. In evidenzala fossa per la gettata della campana ed il disco relativo

al miscelatore per malta.

Fig. 3 – Pluteo o pontile frammentario condecorazione a treccia viminea.

Fig. 2 – Frammenti ossei con decorazione a motivigeometrici alternati a cerchielli.

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un pluteo o ad una recinzione presbiteriale (Fig. 3).Queste decorazioni furono al contrario impiegatecome semplice materiale inerte nell’ambito dei la-vori di cantiere che interessarono l’area a ridossodella cripta, e sono state recuperate nel corso delloscavo dell’ambiente IV. Si tratta di due frammentimarmorei, rettangolari e contigui, della lunghezzadi circa 50 cm; sul lato privo di decorazione un in-cavo allungato doveva favorire l’inserzione degli ele-menti decorativi in supporti. Sul lato principale ladecorazione, una treccia a tre vimini combinata conmatasse tripartite intrecciate ad anelli lenti, rimandaad analoghe decorazioni diffuse nella toscana cen-tro-meridionale fra l’VIII ed il IX secolo 7. Immagi-niamo che le decorazioni ornassero la chiesa dellaflorida abbazia quando essa, nella prima metà delIX secolo, ospitava oltre cento monaci.

2. LA CHIESA DI WINIZO

Più ricca è la documentazione relativa alla fase divita dell’abbazia alla prima metà dell’XI secolo,corrispondente alla fase di rinnovato vigore eco-nomico e politico vissuta dal monastero dopo ilcritico periodo ottoniano durante il quale sul pa-trimonio del S. Salvatore, già ridimensionato periniziativa imperiale, avevano vantato diritti mem-bri della famiglia comitale degli Aldobrandeschi.Quella che a buon diritto è stata definita una vera“rinascita” dell’abbazia ebbe nel marchese Ugo diToscana un sostenitore dei diritti vantati dal mona-stero, che egli dotò di nuovi beni in Val di Paglia.Insieme al marchese Ugo la storia del monastero dellaprima metà dell’XI secolo è segnata dalla figura del-l’abate Winizo, interprete principale della riconqui-sta dei diritti vantati dall’abbazia fin dall’VIII seco-lo, ed in parte compromessi dalle mutate condizionipolitiche. Assieme ad una tenace difesa di tali dirit-ti, acquisiti e ribaditi nel tempo dai re longobardi ecarolingi, Winizo fu capace di attrarre sul monaste-ro molte nuove donazioni, maturate nel clima di in-tenso fervore spirituale che caratterizzò i decenni acavallo del millennio e produsse un’ondata di nuovefondazioni monastiche nate per iniziativa di fami-glie nobiliari 8.In questi anni l’abbazia di S. Salvatore conobbeuna nuova prosperità economica che ebbe chiaroriflesso nella progettazione di imponenti lavori di

ampliamento del complesso e produsse la grandechiesa con torri in facciata, che è in buona misuraancor oggi visibile. Si è giustamente notato che lacostruzione di una chiesa più ampia non fu soloconseguenza dell’accresciuto benessere del mona-stero, ma che essa debba anche vedersi legata allenuove esigenze liturgiche, alle più ricche e frequen-ti preghiere che furono il portato della nuova on-data di spiritualità di matrice cluniacense, ragio-ne prima delle molte donazioni effettuate a favo-re dei monasteri.La costruzione della chiesa attuale si data in granparte agli inizi dell’XI secolo; le notizie storiche cihanno conservato l’anno di consacrazione dell’edi-ficio, il 1035. A tale data la chiesa non era forse deltutto ultimata ma senza dubbio in avanzato stato dicostruzione 9. La pianta della chiesa, a crocepatibulare, si compone di una navata unica seguitada un transetto coronato da tre absidi, i resti dellequali sono tornati in luce nei saggi di scavo archeo-logico. La chiesa era arricchita dalla cripta ornata dacolonne con splendidi capitelli figurati e da due tor-ri poste in facciata, allineate al corpo dell’edificioabbaziale, che hanno suggerito, seppure con note-voli cautele, paragoni con i cosiddetti Westwerke, icorpi occidentali dell’architettura d’oltralpe 10.Del cantiere di questa nuova chiesa la registrazio-ne di scavo ha conservato alcune testimonianzesignificative; si tratta della fossa per la gettata dellacampana (US 794, 800), e dei resti, sufficiente-mente ben conservati, di una vasca per la produ-zione della malta (US 804, 805).La fossa da campana (Fig. 4) non differisce in so-stanza dagli esempi di fornaci rinvenute all’internoo nelle immediate vicinanze di chiese in Toscana 11.Le dimensioni (la fornace, di forma ellittica, misu-ra m 1×1,6, ed è profonda circa 1 m) sono simili aquanto noto negli esempi di S. Lorenzo a Vaiano,dei SS. Giovanni e Reparata a Lucca, di S. Lorenzoa Cerreto 12 da ciò possiamo inferire la dimensionedella campana prodotta in questa fornace, del dia-metro compreso fra 80 cm ed 1 m.La fornace di Abbadia, del tipo a tiraggio verticale,si è conservata solo parzialmente. La camera di com-bustione, infatti, fu tagliata dall’edificazione del cam-panile che venne affiancato alle due torri di facciata,intervento costruttivo che si data alla fase di vita ci-

7. Decorazioni a treccia, semplice e con bottoni, sono dif-fuse in molti edifici della toscana centro meridionale. Peralcuni confronti si veda CELUZZA, FENTRESS 1994, pp. 601-615; MARRUCCHI 1998, pp. 117-120.8. KURZE 1989b, pp. 366-371.

9. Ibidem, p. 366.10. GIUBBOLINI 1988, pp. 64-68.11. QUIRÓS CASTILLO 1998, pp. 44-55.12. Per una sintesi sui dati editi relativi a fosse per campa-ne in Toscana ed Italia centrale si veda QUIRÓS CASTILLO1998. Una sintesi del processo di produzione delle campa-ne descritto dal frate Teophilo tra la fine dell’XI ed il XIIsecolo in WARD PERKINS 1978, pp. 108-110. Riferimenti allafornace di Abbadia in CAMBI, DALLAI 2000, pp. 206-208.

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stercense del complesso, ed ha nel 1227, data nellaquale si ebbe il passaggio del monastero dai Bene-dettini ai monaci bianchi, il proprio terminus postquem. A questo nuovo corso religioso e politico del-la storia dell’abbazia, ed agli effetti del disastrosoterremoto del 1287, si devono cambiamenti struttu-rali che interessarono diversi punti della chiesa. Leabsidi semicircolari furono murate, vi furono rifaci-menti dei transetti e sopraelevazione della navata eduna parziale distruzione della cripta, che aveva neltempo perduto gran parte delle sue prerogative efunzioni. L’intervento di edificazione del campanileè estremamente utile ad inquadrare l’epoca di rea-lizzazione della fossa per campana; dovendo natu-ralmente preesistere al campanile, e dunque esserelegata all’esistenza di altre torri campanarie, la for-nace si lega necessariamente alle due torri di faccia-ta e si inquadra all’interno delle attività edilizie dellaprima metà dell’XI secolo, culminate nella consa-crazione dell’abbazia avvenuta nel 1035.Minori confronti trova invece l’altro apprestamentoda cantiere rinvenuto a breve distanza dalla fossa,e cioè la vasca per la produzione della malta, per laquale vi sono pochissimi confronti editi, nessuno

dall’area toscana. In una prima valutazione dell’im-pianto avevamo ipotizzato un suo possibile riusoin connessione al funzionamento della fornace percampana. Una nuova valutazione dei dati di scavoci spinge a valutare i resti della vasca per malta comeesclusivamente pertinenti a tale attività di cantiere.La vasca si presenta come un piano di calce com-patta, di forma rotonda, del diametro di circa 2 m(Fig. 5). Il piano non è stato scavato, dunque nonpossiamo stimarne lo spessore; tuttavia una partedi esso è stata asportata dallo scavo di una fossaper deporre un inumato (US 732); dall’osserva-zione di questa sezione possiamo misurare unospessore del disco di circa 25-30 cm. La sepolturaha tagliato la fossa lungo il diametro, giungendofino al centro del disco; questo ci impedisce dicogliere la presenza di alcuni elementi chiarifica-tori del sistema di funzionamento dell’impiantoI resti rinvenuti ad Abbadia trovano paralleli evi-denti con quanto noto per la torre civica di Pavia 13,per il complesso di S. Vincenzo al Volturno 14, e pernumerosi esempi di strutture di produzione dellamalta documentate nella Svizzera tedesca, in Ger-mania e Polonia 15.La comparazione dei miscelatori di malta rinve-nuti presso il monastero di Zurigo, a Lindenhof,Wellin, Schutten, Monchengladblach, Pose,Wisliza, esempi ai quali possiamo aggiungere i dueitaliani già citati ed il rinvenimento di Abbadia,rende evidente che esiste una precisa tipologiadella struttura, il cui funzionamento è ricostruibi-le a partire dal piano in malta che è spesso l’unicoresto chiaramente individuabile in fase di scavo.I “mescolatori meccanici per malta”, secondo la piùtecnica definizione tedesca, erano costituiti da unavasca al centro della quale era infisso un palo. I bor-di rialzati della vasca, che non si conservano mai,dovevano essere realizzati con l’uso di argilla e vimi-ni; tracce di questo tipo di materiali sono venutealla luce durante lo scavo della vasca di S. Vincenzoal Volturno 16. Il palo centrale fungeva da perno peruna struttura in legno che si è supposta costituita dadue o quattro pali portanti; attraverso il movimentocircolare si produceva l’azione di mescolamento dellecomponenti presenti nella vasca. Il mescolamentovero e proprio era realizzato mediante una serie dipali, o denti che lasciano in molti casi un’improntain negativo sul piano di malta superstite, come nelcaso di Abbadia. I cerchi concentrici rinvenuti sulpiano circolare non sono altro infatti che la tracciadi un grande pettine che ha ruotato più volte, me-scolando la calce ed i frammenti di pietra e laterizio

13. WARD PERKINS 1978, pp. 77-120.14. HODGES 1993, pp. 206-209.15. GUTSCHER 1980, pp. 178-188.16. HODGES 1993, p. 206.

Fig. 6 – Castello di Montemassi (Roccastrada, GR);particolare del disco relativo al miscelatore per maltarinvenuto negli strati di cantiere della prima metà del

XIV secolo.

Fig. 5 – Sala capitolare; dettaglio del disco relativo almiscelatore per malta.

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dentro la vasca. Segni analoghi sono stati rinvenutiin molti degli esempi scavati oltralpe, ed in generalepossiamo aspettarci di trovarli in tutti i contesti incui la malta solidificatasi abbia uno spessore ed unacompattezza tali da preservare una traccia altrimen-ti labile.La tipologia di struttura schematizzata da Gutschered accettata anche per l’esempio di miscelatore rin-venuto a S. Vincenzo al Volturno, presuppone l’esi-stenza di una impalcatura lignea con pali di suppor-to infissi all’intorno della vasca17. Le numerose bu-che di palo rinvenute ad Abbadia, in fase con la strut-tura, possono forse essere ad essa correlate non sol-tanto in quanto parte delle attività di cantiere, comegià ipotizzato, ma anche perché ad essa funzional-mente legate.La tipologia di miscelatori proposti sulla base delleattestazioni si distingue in due varianti; la prima,con palo centrale, presenta il perno direttamenteallettato al centro della vasca. La seconda avrebbedovuto presentare una margella in pietra al centrodella quale era infisso il palo. Nel caso della vascadi Abbadia tale distinzione non è purtroppo docu-mentabile, poiché, come accennato in precedenza,la sepoltura ricavata nel piano di malta ha compro-messo la leggibilità della parte centrale del disco.Le caratteristiche del rinvenimento e gli stringen-ti confronti bibliografici sembrano dunque risol-vere il dubbio della funzione del piano circolarerinvenuto presso la fornace da campana. Ciò cheal contrario propone qualche riflessione ulterioreè la datazione che i molti esempi propongono,poiché in tutti i casi ci si riferisce sempre ad unambito cronologico carolingio-ottoniano, mentreinequivocabilmente l’impianto rinvenuto ad Ab-badia non può datarsi prima dell’inizio dell’XI se-colo, essendo connesso ai lavori della chiesa cheipotizziamo legati alla figura di Winizo. A questopunto occorre introdurre qualche altro elementodi valutazione.L’originalità del sistema di mescola della malta conl’uso della vasca e del pettine non trova confrontinel mondo classico; per questa ragione si è ritenutoche essa rappresenti una acquisizione tecnica origi-nale del periodo carolingio; ciò tuttavia non escludeche il suo impiego si sia protratto nel tempo, a di-mostrazione della bontà del metodo. A riprova diciò possiamo analizzare quanto emerso nel corsodella stagione di scavo 2001 da poco conclusasi nelcastello di Montemassi, in provincia di Grosseto 18.

Al di sotto di un piano di calce compatto ed estre-mamente tenace che ha permesso la conservazionedi una stratigrafia altrimenti fragile, si è rinvenutouno strato di calce dalla singolare forma arrotonda-ta; tale strato, in connessione con la traccia di aspor-tazione delle strutture connesse, cioè l’alzato dellavasca stessa ed il perno centrale, testimonia ciò cheresta di una macchina per la produzione della calceassimilabile per tipologia e dimensioni a quanto de-scritto nei casi già citati. L’impianto risulta parzial-mente spoliato e tagliato da due fosse, anch’esse in-terpretabili come azioni di asportazione di materia-le lapideo. Al centro della struttura l’alloggiamentooriginario del palo è stato trasformato in una fossache è stata utilizzata come discarica per materialiorganici (si sono rinvenute in particolare ossa anchedi grandi dimensioni, probabile scarto di macella-zione) e carboni, a riprova evidente che la strutturaera nel frattempo completamente caduta in disuso.L’impianto per la produzione della malta è in fasecon un mucchio residuo di grassello, localizzato nel-l’area di nord-est del saggio.La fase di cantiere che costituisce senza dubbio iltratto distintivo caratterizzante l’area indagata nel-la prima metà del XIV secolo (ad essa va vista lega-ta anche la fase d’uso della macchina per calce), siimposta sulla rasatura di una poderosa muratura,della quale sono attualmente visibili l’angolo di sud-ovest e una porzione dello sviluppo murario in di-rezione ovest-est. Negli strati di obliterazione dellestrutture sono largamente attestati i materiali cera-mici, fra cui acrome depurate, grezze e maiolichearcaiche; ciò consente di datare questa fase d’usoalla prima metà del XIV secolo; la muratura sullacui rasatura si imposta la macchina per la calce èriferibile ad un orizzonte cronologico successivoalle distruzioni causate dall’assedio del 1328. Lamuratura risulta tuttavia uno degli edifici più anti-chi, probabilmente da mettere in relazione con l’esi-stenza di una chiesa, della cui esistenza restano trac-ce archeologiche assai rilevanti.

I molti confronti esaminati evidenziano come ilmacchinario per la miscelazione della calce fossecomunemente alloggiato in aree di cortile, aperteed adatte ad ospitare le diverse attività del cantie-re. Questo particolare rafforza l’interpretazionedata della ex sala capitolare del complesso di Ab-badia San Salvatore come di un possibile spazio por-ticato, un chiostro, che ospitò nei secoli numerosesepolture. Il rinvenimento della macchina per cal-ce risulta inoltre di notevole interesse poiché inse-17. GUTSCHER 1980, pp. 185-186.

18. I riferimenti alla macchina per calce di Montemassi sonouna estrapolazione dei dati raccolti nella stagione di scavo2001 sul castello da poco conclusa. Lo scavo è stato curatodalla scrivente e dai responsabili: J. Bruttini, F. Grassi, A.Luna, sotto la direzione scientifica di Roberto Parenti (Uni-versità degli Studi di Siena), che ringrazio per i suggeri-

menti forniti in merito ai sistemi di produzione della maltae relativa bibliografia. Per un approfondimento sulle vicendestoriche ed archeologiche del castello di Montemassi si vedaBRUTTINI et alii 2002, pp. 189-207.

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to risulta inoltre estremamente interessante per-ché ripropone un analogo modo di organizza-zione del cantiere non più in ambito monasticoma riferito ad una struttura castrense, a riprovadi una circolazione di maestranze e manodoperaspecializzata che in Toscana opera indistintamen-te su edifici religiosi e civili, così come eviden-ziato in recenti contributi di studio delle tecni-che murarie 19.

LUISA DALLAI

19. Su questo tema si veda, a titolo esemplificativo, il con-tributo di G. Bianchi, sempre in questo volume, nel qualesi offrono numerosi esempi di comparazione fra i saperiapplicati all’edificazione di edifici religiosi e civili nell’areadella Val di Cornia.

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