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Rottura o continuità: questo è il dilemma Eiermann e Zumthor a confronto Studente_Stefania Toso matr.152564 Saggio I di carattere critico-storico Docente_ Prof. Pierre Alain Croset

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Rottura o continuità:questo è il dilemma

Eiermann e Zumthor a confronto

Studente_Stefania Toso matr.152564Saggio I di carattere critico-storicoDocente_ Prof. Pierre Alain Croset

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mente e riesaminarle in ogni momento, ma pensare ad un nuovo progetto di architettura significa elaborare nuove immagini, a partire proprio da quelle ‘vecchie’5.La memoria del sacroLo scenario che fa da teatro ad entrambe le opere prese in analisi, un complesso per il culto nel caso della Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche e un ‘museo per la riflessione’6 per ciò che riguarda il Ko-lumba DiözesanMuseum, è costituito da due icone di quella che fu una Germania lacerata, devastata e sconfitta al termine della Se-conda Guerra Mondiale. Nel primo caso, l’antica Chiesa della Com-memorazione si colloca nella Berlino Ovest degli anni Cinquanta, al termine della rimozione delle macerie, a ridosso dell’evento che avrebbe spaccato in due la città: la vicenda che accompagna la ri-costruzione dell’episodio edilizio tra i più importanti di quegli anni prende infatti avvio nel 1953, attraverso l’annuncio di un concorso aperto a soli nove architetti da parte della Fondazione per la ‘rico-struzione, manutenzione e amministrazione’ della chiesa stessa, e si conclude il 17 dicembre del 1961, appena qualche mese dopo la costruzione del muro. La chiesa originaria fu consacrata il 1 settem-bre del 1891, fortemente voluta dal Kaiser Wilheilm II e su progetto 1 2

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Rottura o continuità: questo è il dilemmaLa complessità del rapporto tra la rovina e il nuovo‘L’architetto ha la facoltà di trasmettere at-traverso le proprie opere quel magico dono dell’immortalità che l’uomo in sé non possiede’: le parole di Eupalino, personaggio animato dal pensiero di Paul Valery1, lasciano intendere il valore che l’opera di architettura custodisce in ogni sfera temporale, passato, presente e futuro, come testimonianza in eterno divenire delle produzioni dell’intelletto umano. Il con-cetto di rovina assume un nuovo significato: non maceria, ma rivelazione, racconto, percor-so, mnemosyne - dal greco mνημοσύνη, cioè dea della mitologia greca, personificazione della memoria2 -, consapevolezza del passato e responsabilità del futuro allo stesso tempo. La carica emozionale che la rovina trasmette va oltre la testimonianza storica puramente di-dascalica: è immagine, forma, presenza.Il difficile compito di modificare il paesaggio, frutto della stratificazione nel tempo delle di-verse società, spetta allora all’architetto che sa cogliere e osare, rispettare e decidere, conservare e distruggere: oggi più che mai, all’alba di nuove guerre, nuove distruzioni, nuove rovine, è necessario riflettere sul tema del rapporto con l’antico, con il passato, con la storia, non solo dal punto di vista etico e mo-rale, ma anche per ciò che concerne il linguag-gio e la forma architettonica. Separate da circa cinquant’anni e cinquecento chilometri di distanza, due opere parlano in modo differente delle possibili soluzioni a questo dialogo, tra ciò che è stato e ciò che continua a essere: la Kaiser Wilheilm Ge-dachtnis-kirche3, a Berlino, opera di uno degli architetti simbolo del Razionalismo tedesco, Egon Eiermann, e il Kolumba Diözesan Mu-seum4, nel centro storico di Colonia, firmato da Peter Zumthor, architetto svizzero contem-poraneo. É proprio parafrasando le parole di Zumthor che si può cogliere il vero significato di un lavoro di rilettura delle architetture del passato: noi ci portiamo dietro le immagini di architettura dalle quali siamo stati influenzati e possiamo rievocarle nell’occhio della nostra

1tratto da Valéry Paul, ‘Eupalino o l’architetto’, Biblioteca dell’Immagine, Milano, 1991 2definizione tratta da www.wikipedia.org 3Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche, Breitscheidplatz, 10789 Berlin (Charlottenburg) 4Kolumba DiözesanMuseum, Kolumbastraße 4 – D-50667 Cologne 5Zumthor Peter, ‘Pensare architettura’, Mondadori Electa, Milano, 2003 6definizione del museo tratta dal saggio di Katharina Winnekes: www.kolumba.de

fig1 Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche, 1934 fig2 Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche, 1945 fig3 Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche, 1965

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dell’architetto Franz Schwechten, vincitore anch’esso di un concorso indetto tra nove professionisti, a imitazione dello stile romanico e fu pesantemente danneggiata il 22 gennaio del 1943 durante un raid aereo, continuando però a rimanere un indiscusso landmark e una preziosa testimonianza per la coscienza della cittadinanza.Nel secondo caso, invece, la ricca stratificazione archeologica del sito complessifica ulteriormente il compito dell’architetto, vincitore anch’egli del concorso bandito nel 1996 dall’Archidiocesi di Colonia, che si trova a dover fare i conti con un’importante reliquia sacra: al di sopra delle rovine di una chiesa tardogotica a cinque navate, con più di cinquanta sepolcri, a sua volta sviluppatasi sui resti di antiche case di epoca tardoromana del II e III secolo, di un’abside del VI secolo e di una basilica romanica a tre navate, nel 1950 l’architetto Gottfried Böhm costruì la cappella ‘Madonna in den Trümmern’ -Madonna delle Rovine- al fine di custodire una statua della Vergine soprav-vissuta ai bombardamenti e lo stesso, nel 1957, progettò la cappella del Sacramento, ivi affiancata, dalle pareti in basalto, oggi protetta proprio all’interno del museo.Entrambi gli architetti quindi si ritrovano a dover scegliere quale at-teggiamento utilizzare di fronte alla necessità, esplicita o implicita, di conservare memoria del passato, come insegnamento ed eredità; le due vicende molto differenti tra loro svelano soluzioni finali distanti formalmente, ma vicine nel risultato etico. Inizialmente, il progetto di Egon Eiermann, risultato vincitore passando per due fasi7, che vedono una parziale modifica dello stesso, prevedeva la completa demolizione del vecchio campanile, il cosiddetto ‘der hohle Zahn’4 5

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7La giuria stabilisce nel 1956 che nessuno dei progetti sia idoneo alla costruzione e stabilisce una seconda fase del concorso alla quale sono invitati a partecipare solo tre dei precedenti architetti selezionati. Nel marzo del 1957 il progetto di Egon Eiermann viene premiato come l’unico meritevole di es-sere realizzato. 8Si ricordi l’esempio della cattedrale di Coventry dell’arch.Basil Spence e uno dei progetti di Eiermann, St. Nicolai ad Amburgo,1953.

fig4 Il fronte sud della Chiesa di S.Kolumba, con la sacrestia e la casa parrocchiale, 1929-30 fig5 Le rovine della Chiesa di S.Kolumba, 1948 fig6 La cappella ‘Madonna in den Trümmern’ costruita dall’arch. Gottfried Böhm alla fine degli anni Quaranta fig7 Veduta aerea della Cappella della ‘Madonna in den Trümmern’, affiancata dalla Cappella del Sacramento dello stesso architetto nel 1957. fig8 Pianta del piano terra della Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche di Franz Schwechten fig9 Stratificazione storica delle costruzioni succedutesi sul perimetro del Kolumba Museum

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ovvero ‘il dente cavo’, definito tale a causa dei gravi danneggiamenti riportati soprattutto alla copertura, tagliata diagonalmente e ri-masta svuotata ed esposta alle intemperie. A vent’anni dalla fine della guerra ogni maceria era stata spazzata via e gli esempi di memen-to mori8 erano rari, non era permesso alcuno spazio libero e il volere dei proprietari terrieri determinava il rifiuto di ogni segno di degrado. L’architetto fin da subito asseconda questa filosofia e rivela la sua anima modernista: le prime due alternative che presenta infatti mo-strano una composizione di volumi, di forma rispettivamente parallelepipeda e cilindrica, collocati all’interno dell’isola di traffico, in sostituzione della rovina. Ma l’imprevista rea-zione popolare, che si scaglia contro il pro-getto ed esprime la volontà di preservare il campanile, forse più in memoria dei tempi pas-sati di prosperità e pace che come desiderio di eterna riflessione sulle cause e gli orrori della guerra, costringe ad una revisione del pro-getto, che però sembra non sconvolgere per nulla Eiermann. Quest’ultimo infatti dichiara di volere ‘comprendere coloro che hanno passato gli orrori della guerra, coloro per i quali la rovi-na rappresenta un testimone della loro stessa sofferenza’ ed esprime gratitudine verso quell’ ‘obbligo’ di permanenza del campanile come elemento che rende unico il progetto, che di-versamente sarebbe potuto essere collocato in qualsiasi altra parte del mondo. Il rapporto con l’antico, di origine forzata, diviene però nel tempo parte integrante della composizione di tutto il complesso, attraverso i cui dettagli Eier-mann opera continui rimandi e contrasti, con l’unico obiettivo di costruire un vero e proprio spazio sacro, capolavoro della sua vita.La scelta compositiva dell’architetto svizzero è invece radicalmente differente: egli infatti decide con coraggio di accostare, mattone su mattone, la costruzione contemporanea alla chiesa tardo-gotica, quasi a continuare la complessa, dal punto di vista storico e strut-turale, stratificazione nei secoli; senza remore instaura un legame, concreto ed astratto allo stesso tempo, con la rovina, senza eviden-ziarne le ferite, e con l’opera di chi prima di lui aveva già trovato una propria soluzione. Custodita come una gemma all’interno del mu-seo stesso si trova la Cappella della Madonna delle macerie, in parte integrata con la facciata del nuovo edificio, che gioca un ruolo ispira-

tore per l’atmosfera della hall in cui si trovano i resti archeologici e per il percorso tra essi che la stanza contiene.L’obiettivo comune è quello di ‘costruire’ uno spazio sacro, nel senso più alto del termine, e la rovina è partecipe in maniera rilevante del processo che porta alla composizione degli elementi architettonici, non solo in quanto contesto, rimanenze del passato, ma come spazi ancora vivi e anzi rivingoriti dal nuovo.Riprendendo una delle affermazioni di Eiermann, chiunque entrando all’interno di questi edifici dovrebbe sentirsi come in ‘un altro luogo’: non è in fondo il compito supremo dell’architetto quello di costruire uno spazio sacro, solamente attingendo agli elementi architettonici fondamentali?

La composizione nel contestoBerlino e Colonia, due città in parte ricucite dagli orrori della guerra, unite dal tentativo di recuperare la memoria storica di molte delle loro membra ferite. Contesti quindi in cui la volontà degli enti ecclesiastici9 fu fondamentale per riportare alla luce reperti, monumenti e fronti urbani: sia per quanto riguarda la Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche che per il Kolumba Museum, la Chiesa decide di non abbandonare le proprie roccaforti del passato e propone il recupero di due posizioni strategiche, una rappresentata da una vera e propria isola nel traffico, ma anche piazza centrale, alla quale rimanere ancorati per questioni di prestigio, l’altra costituita da un tassello urbano chiave del centro storico, a due passi

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9da una parte vi è la ‘Fondazione per la Kaiser Wilheilm Gedachtnis-kirche’, esistente tuttora e che continua a raccogliere fondi per il mantenimento dell’opera, soprattutto per l’antica rovina, in pericolo di cedimento strutturale e per questo sottoposta a continuo controlli ed interventi (www.ein-kirchturm-der-bewegt.de); dall’altra l’Arcidiocesi di Colonia, che gestisce da sempre la custodia delle opere d’arte sacra, anche nelle loro precedenti sedi.

fig10 Confronto tra il campanile vecchio e quello nuovo proposto da Eiermann

fig11 Il mattone ‘Kolumba’ di Zumthor continua gli antichi muri della cappella

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dalla Cattedrale, la più grande chiesa gotica del nord Europa. L’intervento di Eiermann riflette le ambizioni dei suoi committenti, posizionando l’intero complesso su di una piattaforma rialzata di sei gradini, assicurando accessibilità e allo stesso tempo stabilendo una certa distanza dalla laicità quotidiana del quartiere e dalla confusione generata dal traffico quotidiano dell’area: nonostante i primi sentimenti di ostilità al progetto dimostrati dalla cittadinanza, presto quest’ultimo diventa una vera e propria icona della Berlino Ovest, come difficilmente accade agli edifici di epoca moderna. L’intera planimetria è il manifesto del modernismo puro ed essenziale10: l’architetto con la sua poetica dà vita ad una composizione di volumi elementari, sviluppati dalle forme geometriche del rettangolo, dell’esagono e dell’ottagono, come a richiamare secoli di architettura sacra e di ricerca della perfezione. I due prismi di base ottagonale ed esagonale, rispettivamente della chiesa e del campanile nuovo, rimandano ad una tradizione di costruzioni sacre, a cui Eiermann stesso attinge, anche in conseguenza di un viaggio d’ispirazione fra battisteri e cappelle nel nord Italia, ma allo stesso tempo prendono a prestito la forma dallo stesso campanile vecchio, dal ‘dente cavo’. Il gioco di rimandi diretti continua nella similitudine delle scale interne a chiocciola, anch’esse prese in prestito all’antica rovina; i due parallelepipedi corrispondono ai volumi più bassi e sono gli edifici destinati da Eiermann a stabilire il rapporto fisico con il contesto al di là della piattaforma, su cui, invece, si attestano centralmente la chiesa, la rovina e il campanile. L’edificio della chiesa antica è stato riorientato da est a ovest, a causa di considerazioni dovute allo sviluppo urbano, e la torre, unico punto storico fisso, è stata circondata di nuovi elementi, la chiesa, la cappella, la torre campanaria e il foyer. L’entrata della nuova chiesa si ritrova così ad essere in direzione

diametralmente opposta rispetto a quella della precedente chiesa: il risultato è quello di contrapporre in maniera visibile le due entrate e di manifestare il confronto che Eiermann intende costruire, un dialogo tra presente e passato. La rovina rappresenta il ‘perno’ attorno al quale i nuovi edifici ruotano, verso la quale tutti rivolgono il proprio ingresso, senza perdere però la loro assoluta autonomia nella concezione dei volumi e dei contenuti. L’accesso ad ogni edificio avviene comunque sempre passando attraverso la piattaforma, recinto sacro del complesso religioso. L’intera piattaforma è una composizione sapiente di volumi dalle stesse forme di base, dall’arredo esterno alle scale interne, dai muri perimetrali dei singoli edifici al pulpito della chiesa. Molti altri simili paragoni possono essere effettuati tra i singoli elementi, per così dire ‘dal cucchiaio alla città’, in quella che si può definire una vera e propria ‘opera d’arte totale’: tutto è progettato dall’architetto, al fine di dare vita ad un luogo sacro, a 360 gradi. Lo stesso Eiermann ebbe occasione di affermare: ‘Mi prendo la libertà di dire che non permetterò in nessun modo l’inserimento all’interno della chiesa di alcun pezzo di arredamento che non sia stato progettato e modificato da me’11: questa affermazione, apparentemente dura, riflette l’impegno senza tregua che l’architetto mise nel concepimento di tutta l’opera, con il solo obiettivo di portare tutte le istanze spaziali, estetiche, economiche, strutturali e tecniche ad un’armonia finale ottimale. Nonostante l’evoluzione che il progetto subisce, passando attraverso le diverse forme del rettangolo, del cerchio e del poligono regolare, questa non incide sull’intuizione che Eiermann ha fin da subito per i prospetti 14

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10 La distruzione di una sequenza di volumi, un complesso di edifici, attorno ad un particolare campo, consentendo agli edifici di trovare le loro stesse dimensioni è una pratica architettonica che ha fatto parte della logica modernista fin dalla teoria modulare dell’architetto Jean Nicolas Durand (1760 - 1834).11 Anche se la chiesa non ha rispettato questa sua volontà in un caso, rimpiazzando l’altare con la figura del Cristo dello scultore K.Hemmeter.

fig12 Veduta aerea del quartiere fig13 Planimetria del complesso religioso progettato da Eiermann fig14 Seconda proposta, antecedente al progetto vincitore, con volumi cilindrici

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esterni dei volumi: la dignità e lo spirito delle grandi cattedrali gotiche si materializzano nella speciale tecnica escogitata al fine di ricreare una simile atmosfera, costituita da una fitta trama incastonata in spessi pannelli di calcestruzzo che accolgono ed organizzano una griglia di frammenti di vetro colorato. La trama alveolare, sovrapposta al colore blu dei vetri lavorati a mano, trasforma così in ambiente notturno ogni edificio, ed in particolare la chiesa, in vere e proprie ‘lanterne giganti che brillano come lucciole’12. Questa speciale pelle riveste interamente tutti i volumi e la composizione delle facciate è determinata dallo stacco cromatico tra il grigio dei pannelli dalla forma pressochè quadrata in calcestruzzo, suddivisi successivamente in quadrati minori costruendo una trama a nido d’ape, e il blu opaco della struttura portante in acciaio, che sottolinea altezze e proporzioni attraverso spesse fasce. Le relazioni tra le altezze risultano così scandite dal modulo minimo di circa 2,80 metri di lato dei pannelli, i quali, con il loro spessore di circa 20 cm, generano ombre decise e ben sagomate su tutte le facciate e costituiscono il filtro per il determinarsi delle proiezioni luminose interne.Al contrario, il contesto di fronte al quale l’ingegno di Zumthor si sprigiona è rappresentato non da un invaso centrale, ma bensì da un lotto ‘ricco’ di tracce del passato, dai reperti archeologici alle aggiunte di scarsa qualità postume erette per proteggere le rovine stesse, nel cuore del centro storico. Dalle strette vie adiacenti si ergono spesse mura di mattoni, quasi a costituire una fortezza inespugnabile, dove nuovo e antico si fondono in un’unica parete per lo più cieca, apparentemente sorda agli echi cittadini, solitaria: la relazione con la città sembra così venir meno nello scontro con la dura scorza del perimetro, in cui le uniche brecce aperte sono quelle dell’ingresso opaco alla cappella e dell’ampia entrata trasparente al museo vero e proprio. Per poi però riscoprire nuovi sguardi verso i tetti della città, tra i quali si nasconde anche la cattedrale, grazie a poche grandi cornici vetrate interne, che, da pavimento a soffitto, inondano di luce naturale e allo stesso tempo permettono il contatto con la realtà esterna, quasi come ulteriori quadri della collezione. Le ‘teche’ vetrate dalle ampie dimensioni si collocano tutt’attorno al massiccio edificio,

senza mai spezzarne gli angoli netti e ben definiti, trasformandosi quasi in finestre a nastro nella sommità dei due corpi più alti, che sbucano come torri dalla costruzione centrale13. Ecco quindi che il coronamento dell’edificio, spezzato dalle diverse altezze e dalla trasparenza delle aperture, si pone in forte contrasto, senza intermediazioni, con il basamento, costituito non solo dalla rovina, ma anche dalle nuove pareti, che, seppur abilmente bucate, sottolineano il modulo pieno del particolare mattone utilizzato, creato ad hoc. E’ grazie però alla foratura, che al contrario delle aperture vetrate ignora la solidità dell’angolo, che il castello contemporaneo si alleggerisce e addolcisce e la sua pelle si trasforma parzialmente in filtro per l’illuminazione naturale. Il parallelo con l’intervento di 15

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fig15 Planimetria del Kolumba Museum, in cui si mescolano le sagome delle antiche murature con quelle della nuova struttura fig16 Prospetti a nido d’ape della nuova chiesa di Egon Eiermann fig17 Basamento ‘duro’ e coronamento ‘leggero’ nell’opera di Zumthor

12 All’interno della Gedächtniskirche la hall ha una doppia parete con all’interno posizionati dei faretti che illuminano la cavità: alcuni critici hanno giudi-cato questa operazione simile ad un trucco, ma forse a volte il fine giustifica i mezzi.13 Sulla rivista Domus 909, dicembre/december 2007, nell’artcolo ‘La luce nel castello/Light in the castle’, il museo viene paragonato ad un castello a causa della sua ‘pesantezza’ d’aspetto.

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Eiermann è qui immediato: entrambi infatti utilizzano una nuova soluzione formale per il rivestimento esterno, in entrambi i casi studiata appositamente per il progetto, con l’obiettivo di dominare e controllare l’effetto luminoso negli ambienti interni, per ri-plasmare un’atmosfera sacra e spirituale. Sempre allo stesso modo, Zumthor riprende l’ escamotage delle fasce che corrono lungo il prospetto esterno, per ristabilire un rapporto proporzionale tra le altezze dei piani e dei corpi e quella complessiva dell’edificio, facendo anch’egli risaltare il modulo da lui utilizzato.Entrambi gli architetti decidono quindi di imporsi, senza retoriche o effetti speciali, sulla scena urbana, per determinare un nuovo spazio, un nuovo luogo, una nuova identità: da una parte ‘volumi nella luce’, dall’altra un oggetto compatto e forte, saldamente incastonati entrambi nel contesto in cui si troveranno a vivere plausibilmente per sempre. Esplicitando la filosofia dell’architetto svizzero, questi edifici sono stati sviluppati a partire da esigenze precise, da un proposito, pensati per il luogo in cui verranno collocati e per l’ambiente in cui emergeranno, diventando gradualmente una cosa sola con il contesto14.

L’esplorazione e il percorso: dentro l’architetturaLo studio della disposizione degli elementi e dei percorsi all’interno dei due edifici rappresenta uno dei punti chiave della lettura e del confronto tra gli stessi: pur differendo rispetto alle modalità di movimento, differenza determinata dalla destinazione funzionale, è evidente come per entrambi il percorso interno sia il risultato di un’attenta riflessione, il manifestarsi di un rito. Nel complesso religioso di Eiermann, l’edificio cardine tra tutti è rappresentato proprio dalla Chiesa ed è in questa che si manifesta il suo studio raffinato circa la collocazione di ogni oggetto, al fine di ottenere un controllo efficace dal punto di vista prospettico ed emozionale dell’intera stanza principale. Ad essa si accede attraverso un porticato, che rievoca quelli delle chiese italiane romaniche -un esempio tra tutti la Basilica di San Zeno a Verona-, sopra il quale si colloca internamente il soppalco per l’organo, la cui sistemazione delle singole canne è stata pensata da Eiermann stesso in accordo con il costruttore. Direttamente opposto all’entrata si trova l’altare, accompagnato dalla fonte battesimale e dal pulpito

e sovrastato dalla figura di Cristo, quest’ultima in sostituzione dell’orginale croce pensata anch’essa dall’architetto stesso: questo è il vero fuoco liturgico dell’intera chiesa, illuminata frontalmente al mattino e accesa posteriormente dal tramonto attraverso la preziosa tessitura dei luminosi frammenti di vetro colorato. L’ambiente interno è quindi pressochè di carattere circolare e la mente dello spettatore è spinta all’osservazione di ogni singolo dettaglio, progettato in armonia e in sintesi con tutto l’edificio. Direttamente connesso alla chiesa tramite un luminoso corridoio, si trova il foyer, che rappresenta il luogo in cui vengono svolte le maggiori attività di sostegno e aiuto cristiano: al piano terra si collocano infatti la sacrestia e le stanze per gli incontri di supporto ai fedeli e nel piano interrato si trova una bibioteca, aperta al pubblico, che prosegue in parte al di sotto della chiesa stessa.Pur rimanendo la chiesa l’elemento preminente della composizione di volumi al di sopra della piattaforma, vi è un altro edificio tra i quattro nuovi che mostra alcune interessanti variazioni di disegno: la cappella parrocchiale mostra infatti uno spostamento verso l’esterno della pelle a trama alveolare per fare spazio ad un

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fig18 Sezione passante per la nuova chiesa del complesso berlinese fig19 Pianta del piano primo del Kolumba Museum fig20 Pianta del piano secondo del Kolumba Museum

14 ‘Questo è il modo in cui vorrebbe che fossero gli edifici - sviluppati a partire da esigenze precise, da un proposito, pensate per il luogo in cui ver-ranno collocate e per l’ambiente in cui emergeranno, diventando gradualmente una cosa sola con il contesto e costruiti con materiali il più idonei possibili all’obiettivo, e alle volte al contesto. Queste sono le cose da cui la costruzione di un edificio deriva.’ P.Zumthor, ‘Three concepts’,Birkhauser, Berlino, 1997

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camminamento tra la stessa e il rivestimento trasparente vero e proprio. Questo spazio interstiziale risulta così una sorta di ulteriore filtro, costituito da aria e vegetazione, che ha come risultato intrinseco quello di generare all’interno uno spazio per la riflessione, fatto di quiete, pace e silenzio, in un’atmosfera quasi monastica e che richiama l’idea di chiostro al negativo. Così come per l’entrata alla chiesa, anche l’accesso alla cappella è composto da un lungo portico, in una quasi perfetta simmetria, sovrastato nuovamente da uno spazio per l’organo, e l’altare e il leggio sono frutto del progetto ‘totale’ dell’architetto. Insieme a quelli del vecchio e del nuovo campanile, gli ingressi degli edifici determinano il movimento nel cuore della piattaforma, tutto si svolge quindi nello spazio centrale, baricentro verso il quale ogni accesso è rivolto, quasi a risucchiare all’interno dei contenitori sacri le anime dei religiosi.A Colonia invece tutto si svolge nelle strette vie del centro storico e questo induce l’architetto a collocare l’ingresso principale del museo su quello che tra i due lati risulta essere sgombro dalla presenza delle rovine, determinando così una forte indipendenza degli ambienti di accesso al museo rispetto all’area archeologica. Nascosto dietro ad un’entrata alta e trasparente e dal telaio in accordo cromatico con la facciata, si apre uno stretto corridoio che conduce immediatamente agli angusti spazi della biglietteria per poi aprirsi ed illuminarsi attraverso un’analoga vetrata, ma questa volta rivolta verso l’intima corte interna15. Ma dalla stessa sala, dietro ad un alto portone, si apre l’ambiente più aulico e sacro del museo: gli scavi vengono alla luce al di sotto della ‘promenade archeologica’, la quale si insinua rispettosamente tra i resti e si accosta alla cappella del Sacramento e a quella della Madonna delle Macerie. Questo percorso si apre in alternativa a quello continuo della visita alle opere, chiuso in se stesso, al fine di condurre il visitatore all’interno di uno spazio autonomo e religiosamente mistico, contrapposto alla laica sacralità delle sale per l’esposizione delle opere d’arte e delle collezioni; la passerella dai toni accesi e caldi conduce ad una piccola nicchia esterna che custodisce un’opera contemporanea come nuova pietra di fondazione su ciò che rimane della prima sacrestia.

Il passaggio verso i piani superiori è costituito da un vano scale in lunghezza, monocromatico, racchiuso da due spessi muri continui in calcestruzzo e allo stesso tempo leggermente distaccato da essi tramite una sottile linea di vuoto. Ai piani superiori l’ambiente si fa fluido, così come i percorsi: questa continuità spaziale è determinata al negativo dai blocchi chiusi, al cui interno vengono collocate le funzioni accessorie, quali ascensori e servizi o sale di lettura, e gli spazi espositivi più raccolti. Al primo piano alcuni di questi si presentano addirittura privi di aperture, quindi di illuminazione naturale, i cosiddetti ‘kabinett’, ed ospitano preziose collezioni che mischiano presente e passato, opere d’arte e reperti storici; al secondo piano invece gli ambienti sono indondati di luce grazie 21

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fig21-22-23 Sezioni del Kolumba Museum, che mettono in rilievo la grande hall che custodisce i resti archeologici e la corte interna, accessibile dall’entrata, antistante la hall stessa.

15 La piccola corte interna custodita tra le mura antiche e non del Kolumba Museum si presenta come un piccolo giardino ‘zen’, popolato da alberi da piccolo fusto e piccole opere d’arte esposte tra una seduta e l’altra. I toni delle sculture e della ghiaia utilizzata come pavimentazione riprendono le sfumature dei materiali utilizzati per il rivestimento del museo. Il muro nuovo che avvolge una parte della corte è in calcestruzzo a vista, anch’esso caratterizzato dalle stesse tonalità.

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alle grandi vetrate, dal telaio esterno, che si aprono verso la città. Dallo spazio centrale ci si muove quindi nei diversi ‘kabinett’ e da questi si accede successivamente alle cosiddette ‘torri’, illuminate dall’alto attraverso finestrature opache; ogni cambiamento di stanza o ambiente è marcato poi dal particolare dettaglio utilizzato da Zumthor al fine di sottolineare l’autonomia dei singoli spazi, il taglio ‘vivo’ a filo pavimento, che produce una sorta di scalino fatto d’ombra e genera cesure delicate, ma evidenti.L’intero edificio è pensato molto attentamente e i percorsi sono ideati per condurre a sale espositive e ‘nicchie’ ben precise e per catturare lo sguardo del visitatore in spazi determinati, pur lasciando intere aree libere all’esplorazione: tutto questo senza mai rinnegare una delle filosofie spaziali proprie del lavoro di Zumthor, il permanente controllo della prospettiva, che pilota implicitamente la percezione dei luoghi e degli interni16.

Luce e materia: l’essenza dello spazio

La corrente modernista ha sempre mostrato un forte desiderio per la trasparenza e traslucentezza e quest’opera fa di Eiermann uno dei migliori esponenti del movimento moderno tedesco di quegli anni. Gli edifici del complesso religioso sono sorretti da veri e propri scheletri di acciaio, con supporti aggiuntivi interni che assicurano rigidità all’intera struttura; l’utilizzo di questo materiale permette così una libertà e ampiezza di spazi interni, come nel caso della chiesa, mantenuta completamente vuota, e consente all’architetto di concentrarsi sulla pelle esterna, dalla complessa lavorazione e dallo spirito indipendente rispetto alla struttura stessa. ‘Voglio che l’edificio rimanga aperto per far sì che coloro i quali sono senza conforto in questa città tormentata possano qui trovare pace. E spero per me stesso e per tutti noi che le ombre della paura non

cadano mai più attarverso la luce sognante di questo vetro.’ L’obiettivo di Eiermann, quello di riportare un senso mistico di pace e serenità all’interno della comunità sopravvissuta agli orrori della guerra, viene perseguito e raggiunto grazie alle vetrature: la facciata, di ispirazione gotica, fonda il suo essere sullo studio della luce e di come questa va a posarsi nell’ambiente interno, essenziale e accurato. Tutti gli elementi interni infatti non fanno altro che sottolineare il potere straordinario che assume la facciata, non solo semplice filtro, ma dispositivo pulsante: il pavimento della chiesa e della cappella alterna mattonelle di ceramica smaltate e non e il soffitto è una membrana neutrale, acusticamente efficiente, entrambi tali da direzionare l’attenzione tutta verso gli effetti luminosi determinati dalle pareti. La facciata si rivela quindi l’elemento chiave attraverso cui leggere tutta l’architettura del complesso sacro: come nelle sue ultime opere di carattere laico, i layers utilizzati nella stratigrafia delle facciate sono costituiti da chiusure spaziali, percorsi per la manutenzione ed elementi di ombreggiamento allo stesso tempo, formando così una vera e propria sezione multistrato. Ogni strato ha la sua funzione, dalla protezione contro gli agenti climatici esterni, alla manutenzione e pulizia e alla protezione dall’abbagliamento, attraverso l’uso di sistemi di ombreggiamento integrati; la distanza tra i due strati, quello più esterno

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fig24 Particolare del taglio ‘vivo’ a filo del pavimento tra un ambiente e l’altro, che divide le stanze grazie al chiaroscuro che ne deriva fig25 Vista interna del vano scale continuo, ricavato tra due pareti in calcestruzzo

fig26 Vista interna del cavedio di 2,70 metri, in cui si vede l’ossatura portante d’acciaio dell’interno edificio

16 ‘Per sottolineare questo layout informale, vi è un percorso modellato molto attentamente che porta sia a punti predeterminati, ma lascia anche altre aree libere all’esplorazione.[...] La prospettiva è sempre controllata.’ P.Zumthor, ‘Three concepts’,Birkhauser, Berlino, 1997

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e quello più interno, è di circa 2,70 metri, spessore sufficiente a far sì che la facciata adempia a tutte le funzioni sopra elencate. Per quanto riguarda lo strato esterno, il sistema a griglia utilizzato mostra come esso sia frutto di una lunga riflessione da parte dell’architetto: i blocchi in calcestruzzo a nido d’ape posti verso l’esterno risultano essere 25, mentre verso l’interno il loro numero raddoppia e quindi essi stessi si fanno di dimensioni minori, proprio per far sì che l’effetto visivo che si ha dall’esterno, e quindi a distanza, sia simile a quello che si ha all’interno della chiesa. Allo stesso modo, mentre all’interno i moduli sono formati da 8x7 campi in vetro volti a fornire uno slancio verticale alla struttura, verso l’esterno questi divengono quadrati. Questa sua abilità e flessibilità nel modificare il modulo scelto a seconda della prospettiva voluta avvicina molto il suo pensiero a quello di Zumthor per ciò che riguarda lo stretto controllo delle visuali, ma al tempo attirò le critiche dei contemporanei, secondo i quali egli non avrebbe rispettato l’onestà dei canoni estetici dell’architettura.La tecnica speciale elaborata per la lavorazione dei pannelli in calcestruzzo e del vetro di colore blu è stata elaborata dall’architetto in sinergia con il lavoro artigianale di Gabriel Loire e del suo atelier in Chartres ed essa esplicita il pensiero di Eiermann stesso circa il suo lungo lavoro volto alla concezione di uno spazio sacro: ‘Luce e colore nell’interno spazioso e libero da supporti sono le cose che più creano

l’esatta atmosfera volta ad aiutare il visitatore a dirigersi verso Dio in preghiera e ascolto’.La stessa coerenza di pensiero e filosofia, volta alla progettazione di uno spazio conciso ed essenziale, si manifesta anche nell’opera di Zumthor, intento nella creazione di un ‘luogo’ per il museo, in cui l’ottimo e sapiente studio della luce artificiale e soprattutto naturale, la cura nella scelta e nell’utilizzo dei materiali e la definizione di spazi differenti e articolati hanno dato vita ad un organismo unitario e compatto. Nessun ornamento superfluo adorna gli spazi museali e tutto si gioca sugli spazi vuoti, la cui determinazione è data da materia e luce. ‘I materiali degli architetti, i nostri materiali. Li conosciamo. E ancora non li conosciamo del tutto. Per poter progettare, inventare architettura, dobbiamo imparare a maneggiarli con consapevolezza. Questa è ricerca; questo è il lavoro del ‘ricordarsi’. L’architettura è sempre una questione concreta. L’architettura non è astratta, è concreta. [...] L’architettura ha bisogno di essere costruita. Solo allora il suo corpo comincia ad esistere. E questo suo corpo è sempre sensuale.’17. Attraverso queste poche sentenze è possibile abbracciare la poetica di Zumthor e cogliere i molti dettagli disseminati nelle sue architetture. Gli ambienti assumono colori e sfumature differenti e la luce colpisce o accarezza, viene riflessa o imprigionata: l’eterogeneità non spaventa l’architetto, che anzi con padronanza sfoggia una moltitudine di materiali in stretto dialogo e contrasto. Le stanze si dipingono di tonalità di grigio calde e chiare per dare alle opere esposte il massimo risalto; le pareti sono rivestite di intonaco di argilla per poter facilmente nascondere i segni dei diversi allestimenti; i pavimenti sono costituiti in alternanza di marmo di Carrara, di pietra calcarea della Baviera, utilizzata nel foyer, o di semplice malta, nei kabinett e nelle torri. Alla pietra si accosta il legno con le sue venature, da quello del guardaroba di pero alla reception in eucalipto, dal legno di Padouk della passerella al mogano che riveste la sala di lettura. La luce che proviene dalle grandi vetrate, filtrata da lunghi tessuti, o quella che attraversa le stanze dall’alto delle aperture in policarbonato si adagia sulle pareti, sprigionando calde sfumature dai colori fondamentali - giallo, rosso e blu - che richiamano quelle dello stesso speciale ‘mattone kolumba’, inventato

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fig27 Vista interna della nuova chiesa di Eiermann dell’altare e del Cristo, con le vetrate ci colorazione blu illuminate

fig28 Particolare della facciata della nuova chiesa fig29 Disegno tecnico della facciata a doppia pelle fatta di moduli di calcestruzzo e vetrature artigianali

17 Citazione tratta dal testo di P. Zumthor, ‘Pensare architettura’ , Electa, Milano, 2003

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ad hoc per il progetto e che costituisce il tamponamento dell’intero edificio. La grande hall che custodisce i reperti storici è però la sala che tiene incastonati in una particolare trama, al di sopra degli antichi muri, quelli contemporanei costituiti appunto dai cosiddetti ‘Kolumba Stein’, i mattoni, frutto di diversi anni di studio materico e cromatico, realizzati a mano nell’inconsueto formato di 4x21x54 centimetri, ideali per la realizzazione del completamento delle mura medioevali spesse ben 60 centimetri che perimetrano l’edificio. Dal punto di vista strutturale, un sistema statico misto sorregge il peso degli ambienti soprastanti, formato da muri portanti e sottili pilastri di acciaio simili ad ‘aghi’ rivestiti di cemento, che raggiungono gli strati rocciosi al di sotto delle rovine per una profondità di dodici metri; ogni sei metri inoltre sono presenti micro fratture distribuite ovunque per consentire le dilatazione e maggiore flessibilità alla parete muraria, tecnica utilizzata anche negli antichi edifici in laterizio.A rompere la continuità e lo spessore materico delle mura appare, nella penombra del grande vuoto che accoglie le rovine, un vero e proprio ‘Filtermauerwerk’ 18, che lascia penetrare l’aria e filtra la luce naturale, proiettando su tutte le superfici circostanti un disegno a macchie in perenne movimento. Le vibrazioni luminose investono quindi non solo gli oggetti, ma anche la passerella in legno dal color ramato e con essa i visitatori, attratti a loro volta dal tessuto etereo e luminoso, fatto di polvere e aria, che impregna lo spazio e si mescola all’odore umido degli scavi, ricreando quell’atmosfera sacra propria della laica memoria della storia. Emblema questo di come la luce all’interno dei progetti di Zumthor venga trattata come elemento generatore del progetto fin dal principio. ‘Progettare l’edificio come una massa pura fatta di ombra e poi gettare la luce come a scavare il buio, come se la luce fosse una nuova massa gocciolante’: scegliere i materiali in base a come questi riflettono la luce e comporre l’architettura in base alle considerazioni

che ne derivano. ‘Pensando alla luce naturale e a quella artificiale devo ammettere che la luce del giorno, la luce sulle cose, mi tocca così tanto che la sento quasi come una qualità spirituale’.

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fig30 Particolare delle alte e continue vetrature opache delle torri del Kolumba Museum fig31 Interni del museo, le cui pareti e pavimentazioni risultano illuminate dalle ampie aperture da pavimento a soffitto

fig32 Riflessi causati dalle bucature delle pareti della hall sulla cappella della ‘Madonna delle macerie’ fig33 Trama della tessitura delle pareti forate, realizzate grazie al particolare modulo del mattone ‘Kolumba Stein’ ideato da Zumthor

18 La definizione è ripresa dall’articolo di Chiara Baglione, ‘Un museo per contemplare/A museum for contemplation’, Casabella 760, novembre/november 2007

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Passato e futuro: i due tempi dell’architettura

Eiermann e Zumthor: due personalità forti, spesso criticate proprio per la radicalità delle loro idee, separate da mezzo secolo, ma unite dalla stessa coerenza e sincerità verso e per l’architettura. I valori di cui si fa portatore Eiermann, come appartenente alla seconda generazione di architetti tedeschi modernisti, sono affini a quelli delle avanguardie della Repubblica di Weimar e fondano le loro radici su concetti chiave quali: giustizia verso i materiali, fedeltà costruttiva, precisione fino al dettaglio architettonico, assenza di decorazioni, tecnologia come espressione di modernità. Zumthor, architetto contemporaneo vincitore del premio Pritzker 2009, è fondatore di una nuova scuola svizzera, verso una nuova architettura della purezza e della semplicità, quasi contro i fronzoli parametrici e le stramberie artistiche della contemporaneità, ormai senza maestri nè motti.Per questo la loro architettura si fa concreta, tangibile, parte e si conclude nelle cose, nella gravità degli oggetti. Zumthor parla di una rivelazione come di un vero e proprio tesoro: ‘le idee non esistono, eccetto che all’interno degli oggetti’. Edifici pensati proprio a partire dal luogo in cui verranno collocati e per l’ambiente in cui emergeranno, con il cui contesto diventeranno plausibilmente una cosa sola, costruiti con i materiali più idonei. L’architettura che ne deriva è paragonabile ad un’arte, quella cioè di creare un tutto intriso di significato, che è però il risultato di un assemblaggio di parti, di dettagli architettonici, di elementi autonomi ma armonici tra di loro. La qualità complessiva che ottiene così l’edificio è in realtà la qualità dei suoi giunti, delle sue connessioni e delle sue geometrie: quest’ultima afferra lo spazio, lo fa vibrare e brillare, grazie alla legge delle superfici piane e delle linee. Questo rigore di pensiero e di fatto costituisce il grande legame tra i due architetti e tra le loro architetture, pensate e costruite ad hoc, a partire dall’ossessione per la scelta della stratigrafia dei materiali rivolta sempre alla creazione di una determinata sensazione, in questo caso quella propria dello spazio sacro, di stupore e meraviglia e contemplazione, fino al progetto quasi maniacale delle forme, con l’obiettivo di conferire una qualità emozionale intensa e

unica. La concretezza di questa filosofia è specchio dell’esperienza e della consepavolezza della necessità di maneggiare i materiali ‘degli architetti’: l’architettura rifiuta ieri come oggi di essere astratta e si dichiara immanente e permanente.Più ancora, quando si trova ad avere a che fare con la permanenza della memoria storica, questa architettura delle cose si apre al dialogo, alla condivisione, alla compenetrazione, alla sinergia di volumi, colori, luci e ombre. La memoria viene mantenuta quindi non solo attraverso l’azione del preservare, ma anche e soprattutto attraverso quella del reinterpretare in chiave contemporanea antichi spazi andati perduti, con l’atteggiamento fresco e coraggioso di chi osa reinventare l’immagine di ciò che è stato in passato, e lo è stato con successo.La capacità di reinventare l’antico si apre alla tecnologia, non quella retorica dell’innovazione fine a se stessa, ma quella che parte dall’anima del materiale e cerca di svelarne nuovi significati, anche attraverso tecniche già note, come per il mattone ‘Kolumba’ o il vetro artigianale usati rispettivamente da Eiermann e Zumthor. L’intensità della materia è qui talmente forte da rappresentare la più importante chiave di lettura per entrambe le opere e svela un messaggio: solo la reale matericità della buona architettura può condurre alla vita eterna degli edifici e solo la veridicità e la semplicità dei contenuti che porta con sè possono costruire un vero e proprio spazio immateriale tangibile, un’atmosfera tanto palpabile quanto invisibile.L’eredità del passato si mescola con l’eredità del presente, la rovina dell’architettura di un tempo si trasforma nell’architettura delle rovine, che in piena autonomia e protagonismo rispetta e accoglie: la maturità del linguaggio poi genera un’eleganza ormai d’altri tempi, capace di incantare e stupire ancora, in una società della comunicazione mediatica e consumistica che cerca di ingannare e ammaliare attraverso le atmosfere digitali.Insomma, un efficace e coraggioso imperativo: andate e toccate l’architettura!

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fig34 Egon Eiermann fig35 Peter Zumthor

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Bibliografia

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