44
Quaderni della Consolata / I Santi – 5 San Massimo «Primo Vescovo della città di Torino»

San Massimo, Vescovo di Torino

  • Upload
    consoto

  • View
    243

  • Download
    0

Embed Size (px)

DESCRIPTION

brevi spunti biografici di una grande figura della prima chiesa piemontese

Citation preview

Page 1: San Massimo, Vescovo di Torino

Quaderni della Consolata / I Santi – 5

San Massimo

«Primo Vescovo della città di Torino»

Page 2: San Massimo, Vescovo di Torino

2

EDIZIONI LA CONSOLATA Torino, maggio 2009

Page 3: San Massimo, Vescovo di Torino

3

SAN MASSIMO DI TORINO

Vescovo di Torino dal 380 al 420 ca.

1. AMBIENTAZIONE STORICA

La più antica testimonianza della

presenza cristiana in Piemonte è la chiesa di

santa Maria di Testona (Moncalieri – nella

foto), del 160 d.C. Secondo l’abate cistercense

Federico Ughelli, che nel 1648 pubblicava a

Venezia la sua «Italia Sacra», frutto della

descrizione dettagliata di numerose visite accurate in tutte le Diocesi d’Italia,

la consacrazione di questa prima chiesa nei pressi di Torino, dedicata alla S.S.

Vergine, avvenne per mano del santo papa Pio I. Sappiamo, d’altronde, che è

con il 313 che l’imperatore Costantino, con l’editto di Milano, ammette il

Cristianesimo come religione «lecita» in tutto l’Impero, ponendo fine alle

persecuzioni dei periodi precedenti. Anzi, è proprio nei dintorni di Torino

che lo stesso imperatore Costantino si scontra con il figlio di Massimiano,

Massenzio, il quale dal 306 al 312 aveva tentato il colpo di mano,

impadronendosi dei territori d’Italia e d’Africa, mentre la Gallia e la Britannia

fin dal 308 avevano nominato Costantino come Cesare.

In Valle di Susa, sotto il monte Musinè, c’è stato il primo scontro con le

truppe dell’usurpatore, salite da Roma per sbarrargli la strada, e

probabilmente qui può essere ambientata la famosa visione di Costantino, la

scritta nel cielo «in hoc signo vinces», «con questo segno vincerai», riferito alla

croce, simbolo dei cristiani.

Page 4: San Massimo, Vescovo di Torino

4

Costantino si farà battezzare solo sul letto di

morte, ma comunque la sua vittoria

definitiva su Massenzio, il 28 ottobre del 312

a Ponte Milvio (Roma) contribuirà a

consolidare l’affermazione del

Cristianesimo, già da tempo praticato in

quelle regioni subalpine.

Un’altra testimonianza concreta della

antichità della pratica di culto cristiana è

data dai ritrovamenti di resti dell’epoca

romana, soprattutto da una epigrafe

ritrovata a Revello (nella foto), nei pressi di Saluzzo (CN), datata al 341.

Ma come si presentava il contesto storico-geografico della città di

Torino, nel tempo in cui si trovò ad operare il santo vescovo Massimo, ossia

all’incirca dal 360-370 al 420? Il panorama è sconfortante, la città è spaurita e

i suoi abitanti si ritrovano a dover difendere la propria vita giorno dopo

giorno. Le distruzioni e i saccheggi delle truppe Visigote di Alarico erano

ormai una costante.

I Goti «nobili» (Visigoti), o Goti dell’Ovest, per distinguerli dagli

Ostrogoti (Goti dell’Est), provenivano dalla Germania e si erano stanziati

nell’Europa orientale. Spinti dall’invasione degli Unni entro i confini

dell’Impero, per un po’ di tempo furono assoggettati e vassalli dei Romani.

Nel 395 avevano nominato loro re Alarico, iniziando una serie di conquiste

territoriali (Bulgaria, Macedonia, Grecia del nord), per poi rientrare in Italia e

saccheggiare Roma per tre giorni (24 agosto 410).

Distrutta la capitale dell’Impero, che ormai si stava sfaldando,

risalirono la penisola, distrussero a più riprese Torino e la Val di Susa (411)

Page 5: San Massimo, Vescovo di Torino

5

per stabilirsi per un certo tempo a Tolosa (412), nella Gallia meridionale.

Spinti in seguito verso sud dai Franchi, si stabilirono a Toledo, per svanire

completamente al tempo della conquista dei Mori, ossia i Berberi della

Mauretania (Marocco) e della Numidia (Algeria), guidati dagli Arabi, nel 711.

Torino si presentava a queste popolazioni come una città fatta di case di

legno, sparse tra i ruderi superstiti delle architetture romane che, come in

ogni epoca di povertà, distruzioni ed invasioni, venivano riutilizzati per

edificare gli unici edifici reputati degni di avere una consistenza duratura: gli

edifici di culto. E’ ragionevole pensare che il credo cristiano, in pieno

sviluppo, avesse bisogno di luoghi adatti in cui i fedeli potessero incontrarsi e

praticare il culto. I vecchi monumenti romani erano a quel tempo vere e

proprie «cave» dalle quali asportare marmi, mattoni, fregi, fusti e capitelli di

colonne, da rimettere in opera, senza troppo badare che il risultato fosse di

una certa omogeneità oppure no. Questo spiega come mai, in una città

romana come Augusta Taurinorum (Torino) non si siano conservati che

Page 6: San Massimo, Vescovo di Torino

6

1. Resti del teatro romano di Torino accanto al Duomo di san Giovanni Battista

pochissime vestigia del tempo romano, in cui i templi e gli altari a tutte le

divinità dell’Olimpo romano (Giove-Giunone, Minerva, Mercurio-Apollo,

ecc.) e orientale (Attis, Serapis, Magna Mater, ecc.) abbondavano.

Man mano poi che il cristianesimo prendeva il sopravvento e il culto

agli dei dell’Olimpo romano perdeva di significato, molti templi abbandonati

venivano poco alla volta convertiti in chiese cristiane, grazie anche ai Decreti

Teodosiani (392). La circostanza di un importante Concilio tenuto proprio a

Torino ai tempi di san Massimo sembra dimostrare che alcuni templi

cristiani, forse addirittura una chiesa cattedrale, esistessero già in quel tempo.

Anche se non sempre precisa nelle sue deduzioni, dice la fonte dello storico

Buscalioni: «Torino, ai tempi di san Massimo, doveva già possedere un buon

numero di chiese consacrate al nuovo culto e, soprattutto, una chiesa madre o

cattedrale, alquanto cospicua se al tempo del santo vescovo poté essere scelta,

nel 398, a sede di un importante Concilio».

Com’è noto, il duomo di Torino viene

costruito alla fine del XV secolo sulle

fondamenta di altre tre chiese affiancate,

dedicate al Santo Salvatore, a san

Giovanni Battista e a Santa Maria «del

Duomo», forse a loro volta sovrapposte

ad una chiesa primitiva più grande, che

potrebbe essere stata la prima cattedrale

della città. Secondo alcune fonti storiche, dunque, si può logicamente

supporre che la cattedrale di Torino al tempo di san Massimo o nel tempo

precedente al suo episcopato fosse stata adattata in un tempio a triplice cella,

un riadattamento di un tempio anticamente dedicato alla triade capitolina

(Giove, Giunone e Minerva) che troviamo anche a Roma sul Campidoglio o

Page 7: San Massimo, Vescovo di Torino

7

persino in ben più antichi templi etruschi. «Secondo mons. Benna», prosegue

lo storico Buscalioni «l’antico tempio di san Salvatore era la chiesa capitolare,

quello di san Giovanni la chiesa battesimale, e quello di santa Maria de

Dompno la più antica chiesa parrocchiale di Torino. E’ probabile che in questa

chiesa san Massimo pronunziasse quelle dottissime omelie, dalle quali balza,

con mirabile vivacità di colori, l’esaltazione della Verginità di Maria

Santissima, e la sua conseguente divina maternità».

2. IL CONCILIO DI TORINO

Il 22 settembre 398 viene quindi convocato un Concilio a Torino dai

Vescovi della Gallia transalpina e cisalpina (Sermoni 21 e 78), per risolvere

alcuni problemi di disciplina ecclesiastica e prendere alcune decisioni su

alcune differenze gerarchiche insorte tra alcuni vescovi metropolitani in fatto

di precedenza e di giurisdizione primaziale. E’ ancora il Buscalioni a indicare

il numero dei partecipanti in «ottanta vescovi, il che dimostra in quale alta

considerazione fosse fin da allora tenuta Torino in tutta la cristianità». E’

interessante notare che essi vennero ospitati in semplicità nelle case dei

cristiani torinesi durante il loro soggiorno in città, su esortazione dello loro

stesso pastore, san Massimo (Sermoni 21,2).

In realtà il Concilio di Torino viene anche indetto perché l’Italia

cisalpina si trova in una situazione particolare. E’ appena morto il grande

Aurelio Ambrogio (Treviri 339 – Milano 397) da 23 anni Episcopo di Milano,

fino ad allora capitale dell’Impero, schierata con gli eretici Ariani. Con lui

muore uno dei quattro grandi massimi Dottori della Chiesa (con Agostino, da

lui convertito, Girolamo e Gregorio Magno).

Page 8: San Massimo, Vescovo di Torino

8

Sempre in quegli anni, è appena morto, alla

presenza della figlia Galla Placidia, l’ultimo

vero imperatore unico, Teodosio I (a fianco),

detto anche Teodosio il Grande (347-395),

spagnolo, passato alla storia per aver reso il

cristianesimo «religione ufficiale di tutto

l’Impero» con l’editto «di Tessalonica» (380),

per aver insediato a Costantinopoli il

vescovo Gregorio di Nazianzo al posto di un

vescovo ariano e per aver indetto nel 381 il I Concilio di Costantinopoli (381),

per elaborare il credo niceno. Fu ancora Teodosio a ribattezzare il Dies Solis

nel «giorno del Signore», rendendo obbligatoria la Domenica (383) e a iniziare

la pratica della confessione segreta o privata, dopo che una donna ebbe

confessato in pubblico che il giorno prima era andata a letto con il Sacerdote

che la stava confessando. Dopo Teodosio, l’Impero verrà suddiviso e due

Cesari diversi governeranno la parte occidentale e quella orientale.

In quel tempo, la capitale viene trasferita a Ravenna da Onorio, che era

in contrasto con Alarico e le sue truppe. Già nel 394 Torino era stata visitata

dalle truppe di Arbogaste (dei Goti) e del ribelle Eugenio, in marcia contro

Teodosio alla volta di Aquileia, dove verranno sconfitti. In quei tempi incerti

e pericolosi, il Concilio di Torino delinea per la prima volta in Occidente le

strutture di una provincia ecclesiastica, in cui vengono attribuite le

prerogative ed assegnati i compiti propri dell’ordinamento metropolitano.

Non c’è da meravigliarsi che i torinesi di quel tempo guardassero con

terrore l’avvicendarsi delle varie schiere dello scacchiere internazionale, in

quanto ogni avanzata di esercito per la città significava un insieme di stragi,

latrocini e rovine. Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, deplorava già ai suoi

Page 9: San Massimo, Vescovo di Torino

9

2. San Massimo scrittore

tempi che città un giorno fiorenti come Piacenza e Parma, Modena o Brescia,

per i gravi danni subiti in quelle scorrerie, fossero discese dal grado di

municipio alle misere condizioni di villaggi. Anche san Girolamo si

lamentava che Vercelli, un tempo così potente, fosse rimasta, per le stesse

cause, quasi del tutto rovinata.

3. SAN MASSIMO PREDICATORE E SCRITTORE

In tutto questo, Massimo, il cui

nome significa «Grandissimo» in latino,

esortava la popolazione. Dal carattere

mite ed accogliente, come emerge dai

suoi numerosi scritti, dimostra però in

quei frangenti una grande forza e

fermezza, invitando i suoi fedeli allo

stesso atteggiamento. Li spronava a non

abbandonare la città con queste parole:

«E’ un figlio ingiusto ed empio colui che

abbandona la propria madre [Torino] in

pericolo. Dolce madre è, in qualche modo,

anche la patria».

Ed i pericoli non erano certo pochi in quegli anni. La poderosa mole di

scritti attribuiti tradizionalmente a san Massimo costituisce indubbiamente

un tesoro di inestimabile valore. L’edizione critica del 1784, curata da Bruno

Bruni per volontà di papa Pio VI, comprendeva ben 116 sermoni, 118 omelie e

6 trattati. Di questi, 111 sermoni hanno passato un attento esame di

autenticità e sono entrati nell’edizione bilingue della Biblioteca Ambrosiana

Page 10: San Massimo, Vescovo di Torino

10

del 1991. I suoi Sermoni sottolineano la sua dipendenza da sant’Ambrogio,

di cui era discepolo (77 citazioni esplicite) ma hanno una loro originalità e

sono molto ricchi non solo per quanto riguarda la dottrina e l’istruzione dei

cristiani, ma anche per la quantità di notizie storiche che vi si ritrovano, come

ad esempio l’abolizione dei combattimenti dei gladiatori (anni 403-405,

Sermoni 197,2) nell’anfiteatro situato fuori delle porte cittadine (la Porta

Principalis Dextera, meridionale o Marmorea), nella zona dove ora si trovano

piazza san Carlo, via Arcivescovado e via XX Settembre.

I Sermoni 72 e 73, e quelli dal n. 81 all’86, riflettono le discese e le

scorribande dell’usurpatore Eugenio dalla Gallia (393) che andava, come

detto, a combattere Teodosio, le devastazioni e l’assedio di due mesi di

Alarico (401-402) con i suoi Visigoti, o ancora il passaggio delle orde di

Radagaiso (406) che devastarono tutto il Piemonte, o ancora nuovamente le

truppe Visigote di Ataulfo (Atha-wulf, nobile lupo, latinizzato in Adolfo) nel

411, colui che sposerà Galla Placidia, unendo per la prima volta «Barbari» e

dinastia imperiale romana.

Ascoltiamo direttamente le parole del santo Vescovo:

«Quantunque in questa vita non ci manchino i predatori del corpo, che sono i barbari, tuttavia li temo meno dei predoni spirituali, i nemici dello spirito; poiché, infatti, se i barbari possono rubare il patrimonio tuttavia non possono rubare l’onestà, se tolgono l’oro, tuttavia non possono togliere Cristo, se rubano l’argento, non possono rubare il Salvatore» (Sermone 72). «Forse, fratelli, siete tentati perché sentiamo dire continuamente che avvengono tumulti di guerra e incursioni di combattenti […] ma quanto più siamo vicini alla rovina del mondo, tanto più siamo vicini al Regno del Salvatore. Lo stesso Signore dice: “Quando vedrete terremoti, carestie e guerre, sappiate che il regno è vicino”. Non devo dunque temere l’avversario che avanza, perché attraverso questi segni comprendo piuttosto che viene il Salvatore. Quantunque, infatti, l’uno incuta un

Page 11: San Massimo, Vescovo di Torino

11

3. Il Vescovo Vigilio con Sisinnio, Martirio ed Alessandro

(P. Naurizio - 1583)

timore temporaneo, l’altro tuttavia recherà l’eterna salvezza. Il medesimo Signore ha il potere di respingere da noi il terrore del nemico e di concederci la sua assistenza. Questi tumulti di guerra che significano in qualche modo la “fine del mondo” sono una specie di avvertimento a vedere il giudizio di Dio, così da temere questo senza lasciarti intimorire da quelli. […] Vediamo come vengono fortificate le porte della città, ma ancor prima dobbiamo fortificare in noi le porte della giustizia. […] Non giova a nulla, infatti, rinforzare i baluardi e le mura e poi provocare Dio con i nostri peccati. […] Indossiamo quindi l’armatura della fede, proteggiamoci con l’elmo della salvezza, difendiamoci con la Parola di Dio come con una spada spirituale. Chi sarà provvisto di queste armi, non deve temere il presente sconvolgimento né paventare il futuro giudizio, così come il santo Davide, inerme, con la sola forza della fede, sconfisse il nemico gigante filisteo Golia. […] Questo avvenne per insegnarci che non dobbiamo sperare la vittoria soltanto dalle armi, ma la dobbiamo chiedere nel nome del Salvatore» (Sermone 85).

Dagli scritti di san Massimo, abbiamo le

uniche notizie di alcuni martiri cristiani, ad

esempio Solutore, Avventore ed Ottavio,

anche se l’unica cosa che veniamo a sapere è

il loro nome. Inoltre, egli sostiene di aver

avuto «personale conoscenza e di aver visto

con i suoi stessi occhi» i santi martiri

Alessandro, Sisinnio e Martirio, missionari in

Rezia (Sermoni, 105-106). Sisinnio era un

diacono, Martirio un lettore ed Alessandro

un ostiario: su richiesta del vescovo di

Trento, Vigilio, Ambrogio di Milano li inviò nella diocesi tridentina, ancora

per larga parte pagana, come missionari.

Page 12: San Massimo, Vescovo di Torino

12

4. El Greco (1541-1614) Il martirio di san Maurizio

Il 29 maggio 397 furono bruciati in Val di Non con i legni della chiesa

che avevano costruito durante un rito, detto degli Ambarvalia o lustratio agri,

una festa pagana di carattere agreste nella località di Mecla (oggi Sanzeno,

non lontano da Mezzocorona). Nella suddetta località venne costruita in

seguito una basilica in loro ricordo (vicino all’eremo di San Romedio). La

valle, detta anche anticamente Anaunia, era all'epoca una zona di grande

vitalità economica e culturale, sede di un importante e frequentato tempio

dedicato a Saturno (probabilmente presso l'attuale città di Cles, sempre in Val

di Non), attorno al quale si erano sviluppate numerose strutture produttive.

Fu probabilmente proprio a causa dei minacciati interessi economici, più che

per attaccamento alla religione tradizionale, che i tre chierici vennero

aggrediti e uccisi dai pagani ubriachi, un po’ come san Paolo, che aveva

sfiorato la morte nella sommossa degli orefici ad Efeso (Atti degli Apostoli 19).

San Massimo trae spunto dal loro esempio per esortare a mettere in pratica le

Costituzioni imperiali contro i culti pagani

(anno 399), ancora vivi nelle superstizioni

popolari (Sermoni 106.2).

Per quanto riguarda invece i martiri ai quali

nel XV secolo Emanuele Filiberto dedica la

chiesa di Via Doragrossa (via Garibaldi), la

chiesa dei Santi Martiri, ossia Solutore,

Avventore ed Ottavio sappiamo solo le

notizie tramandate da un certo Eucherio,

vescovo di Lione (434 – 450 circa). Le sue

parole non hanno mai trovato conferme

storiografiche e sono reputate «leggenda»

da tutti gli storici più affermati. Ad ogni

Page 13: San Massimo, Vescovo di Torino

13

modo, egli affermava l’esistenza di una legione composta interamente da

cristiani (tebana), la Legio I Maximiana, spostata da Tebe alla Gallia per

combattere con l'imperatore Massimiliano. Quando l’imperatore nel 286

ordinò di reprimere alcuni galli cristiani, che nella regione di Lione

abbondavano, i soldati si rifiutarono e la legione venne decimata, con il

sostegno e l'incoraggiamento di san Maurizio che ne era il comandante, fino

allo sterminio dell'intera legione (6600 uomini), nel Canton Vallese (Svizzera).

Anche se san Massimo non ne parla, pare che abbia fatto parte della

stessa legione anche san Besso. Sfuggito al massacro in Svizzera, sarebbe

riuscito a raggiungere le regioni alpine piemontesi. Braccato dai legionari di

Massimiliano, sarebbe riuscito ad evangelizzare i montanari pagani della Val

Soana (celebre il suo santuario a 2000 metri di altitudine) e probabilmente

della valle di Cogne. In realtà queste tradizioni non trovano nessuna

conferma nella storia militare romana, ma ciò nonostante il culto di Maurizio,

dei tre martiri torinesi e di san Besso costituì una base essenziale per la

cristianizzazione delle Alpi e per il rafforzamento della dinastia Savoia, che al

culto di san Maurizio ha intestato l'Ordine Mauriziano.

Ma la predicazione e l’insegnamento di san Massimo spaziavano in

tutti i campi, dalla formazione spirituale profonda della fede dei suoi cristiani

alla spiegazione dei misteri teologici più importanti, dall’incoraggiamento e

l’incitamento alla resistenza davanti alle distruzioni dei barbari al costante

richiamo dell’esempio dei martiri, dall’incitamento a liberarsi delle antiche

superstizioni legate ai culti zodiacali e astrali alla concretezza e aderenza a

tutte le varie situazioni che la città doveva attraversare. Non mancano le

spiegazioni esegetiche bibliche, gli espedienti retorici, i rimproveri a quella

parte del clero rilassata e pigra, al costante richiamo all’elemosina, come

forma di assistenza ai fratelli più poveri.

Page 14: San Massimo, Vescovo di Torino

14

Ascoltiamo ancora le sue parole, in una omelia dedicata alle due

«colonne» della Chiesa, Pietro e Paolo:

Il Signore ha riconosciuto in Pietro un amministratore fedele al quale ha affidato le chiavi del Regno dei cieli, e in Paolo un Maestro specializzato al quale ha dato l'incarico di insegnare nella Chiesa. Per permettere a coloro che sono stati formati da Paolo di trovare la salvezza, occorreva che Pietro li accogliesse per il riposo. Una volta che Paolo ha aperto i cuori con la predicazione, Pietro apre alle anime il Regno dei cieli. E dunque una specie di chiave che Paolo ha ricevuto a sua volta da Cristo, la chiave cioè della conoscenza, che permette di aprire alla fede nel loro intimo i cuori induriti; poi, essa fa venire a galla, in una rivelazione spirituale ciò che era nascosto all'interno. Questa è una chiave che lascia uscire dalla coscienza la confessione dei peccati e rinchiude per sempre la grazia del mistero del Salvatore. Ambedue hanno ricevuto le chiavi dalle mani del Signore, chiave della conoscenza per l'uno, chiave del potere per l'altro; Pietro dispensa le ricchezze dell'immortalità, Paolo distribuisce i tesori della sapienza. Ci sono infatti dei tesori della conoscenza come sta scritto: Questo mistero è «Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3) (Sermoni 1).

4. SAN MASSIMO NELLA NUOVA DIOCESI DI TORINO

Massimo nacque in un paese imprecisato del Piemonte, nella seconda

metà del secolo IV. Nulla sappiamo della sua infanzia e della sua istruzione.

Sappiamo che sant’Eusebio, Vescovo di Vercelli (283-371), unica Diocesi

piemontese fino a quel tempo, nel suo programma di riorganizzazione della

struttura ecclesiastica in espansione, creò una nuova Diocesi in Julia Augusta

Taurinorum, chiamandovi come pastore Massimo.

Eusebio, sardo di origine, consacrato vescovo da papa Giulio I nel 345, è

ricordato da san Girolamo per la sua traduzione del Commento ai Salmi di

Eusebio di Cesarea. Nel 354 viene lodato da sant’Ambrogio per aver imposto

agli ecclesiastici della sua Diocesi la vita comune, secondo il modello delle

Page 15: San Massimo, Vescovo di Torino

15

5. San Massimo di Torino

chiese orientali, seguito anche da sant’Agostino ad Ippona (Canonici Regolari

Agostiniani). Ne deduciamo che nel 350 era già Vescovo di Vercelli. E’ logico,

quindi, che la chiamata di san Massimo all’episcopato di Torino si aggiri tra

questa data, 350, e quella della sua morte, il 371 anche se molti indicano il 380

come data d’inizio del suo episcopato.

Nel Sermone 7 san Massimo parla del

«suo signore e maestro, il beato

Esuperanzio», Vescovo di Tortona, tra i

partecipanti del Concilio di Aquileia del 381.

Lo ricorda come «collaboratore di Eusebio

nell’episcopato, compagno nel martirio,

partecipe nelle fatiche». La lode più bella nei

confronti di sant’Eusebio emerge

direttamente dalle prediche del primo

Vescovo di Torino. Leggiamo le sue parole:

«Cosa potrei dire per celebrare la gloria di Eusebio, se la sua gloria è tutto questo popolo? E poiché la Scrittura afferma “Gloria del padre è un figlio saggio” (Pr 10,1), quante sono le glorie di costui che si rallegra della saggezza e della devozione di tanti figli! Infatti, mediante il Vangelo egli ci ha generato in Cristo Gesù. Dunque, tutto quello che di virtù e di grazia può esservi in questo santo popolo, si ritrova nel Magistero del santo Eusebio» (Sermoni 7,2).

5. SAN MASSIMO E LA DEVOZIONE ALLA CONSOLATA NELLA CHIESA DI S. ANDREA

L’architetto Maria Grazia Cerri, nel suo volume dedicato al campanile

di Sant’Andrea alla Consolata, ci parla di una fonte storica importante per

capire le relazioni e l’importanza avuta dal santo Vescovo Massimo nella

devozione alla Consolata in Torino. Menziona lo storico del Cinquecento

Page 16: San Massimo, Vescovo di Torino

16

Emanuele Filiberto Pingone (1525-1582), Barone di Cusy, nominato

Consigliere di Stato dal duca Emanuele Filiberto, il quale, seppur non sempre

affidabile nel basare la sua opera su documenti precisi, scrisse la più antica

storia di Torino, il volume Augusta Taurinorum, che contiene un fiume di

notizie affascinanti. Tra queste, viene menzionata una «chiesa di sant’Andrea

esistente ai tempi di san Massimo presso le mura della città, vicino alla Porta

Comitale». Fin dai tempi antichi, in questa chiesa si riunivano i cittadini per

scegliere i loro Magistrati ed Amministratori. Anche se non possediamo

sicure fonti storiche che possano documentare il fatto, pare che sant’Eusebio

di Vercelli avesse fatto dono a san Massimo di un’icona della Madre di Dio

portata con sé dalla Terra Santa, in occasione del suo esilio. Il Vescovo di

Torino avrebbe posta questa preziosa immagine della Vergine proprio nella

chiesa di sant’Andrea, promuovendo il culto mariano contro le eresie

ebionite, di Eutiche e degli antimarianisti, che affliggevano il mondo cristiano

di allora. Diamo ancora una volta spazio alle sue parole stesse:

«Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! […] La pace di Cristo non dipende dagli uomini, ma dal loro modo di comportarsi. Essa appartiene a chi crede Cristo autore della pace. Ed è giusto che una volontà incorrotta possieda il Salvatore, generato da una verginità immacolata. Come Maria lo portò essendo illibata, così anche l’anima nostra lo custodisca essendo incontaminata. Infatti, Maria, in un certo senso, rappresenta la figura delle nostre anime. Come Cristo cercò la verginità in sua madre, così cerca anche l’integrità del nostro animo. Infatti, un’anima esente da peccati concepisce e partorisce il Salvatore, mentre lo annuncia, lo custodisce, mentre ne osserva i comandamenti. La fede lo conserva una volta concepito, la professione di fede lo dà alla luce nel parto, la sollecitudine lo custodisce dopo la nascita» (Sermoni 61c,2).

Sono parole stupende, che colgono in profondità la centralità di Gesù Cristo

nel mistero di Maria, vera icona e figura delle nostre anime. E’ proprio nei

Page 17: San Massimo, Vescovo di Torino

17

6. Antica raffigurazione del Concilio di Costantinopoli

nostri cuori, nel nostro intimo, infatti, che il Verbo vuole essere desiderato ed

atteso, accolto e portato in gestazione, per giungere ad essere partorito al

mondo.

5.1. Le Eresie mariane

A proposito delle eresie su Maria

e sul Cristo del tempo di san

Massimo, ricordiamo che

proprio l’imperatore Teodosio I,

nel 381, aveva indetto a

Costantinopoli un Concilio

Ecumenico per affrontare varie

idee errate che circolavano nella

Chiesa, tra cui proprio quelle di coloro che si opponevano alla Verginità di

Maria e al suo essere Madre di Dio. I 150 Vescovi presenti avevano ribadito le

conclusioni già tratte nel 325 al Concilio di Nicea (oggi Iznik, in Turchia), tra

cui la divinità dello Spirito Santo (contro Macedonio di Costantinopoli) e la

definizione del Simbolo, il Credo che passerà alla storia come Niceno-

costantinopolitano. San Massimo, con le sue omelie e la sua devozione

mariana, anticipa ciò che verrà fissato dogmaticamente in sede di Concilio

Ecumenico solo dopo la sua morte, nel 431 ad Efeso, (oggi Selçuk, sempre

Turchia) in cui Maria verrà solennemente proclamata Theotókos, ossia Madre

di Dio, contro coloro che reputavano Maria solamente la madre di Gesù

uomo, giammai la Madre del Verbo Gesù Signore, seconda Persona della

santissima Trinità.

A noi oggi sembra, leggendo di queste dispute all’interno della Chiesa

cristiana dei primi secoli, di assistere a discussioni «di lana caprina», inutili

Page 18: San Massimo, Vescovo di Torino

18

7. Miniatura antica "L'alchimia"

disquisizioni e sofismi, perdite di tempo, solo per fissare alcune parole sulle

quali essere tutti d’accordo nel definire la propria fede. Forse alcune di queste

discussioni passate saranno anche state inutili, ma altre assolutamente no, in

quanto dietro alle disquisizioni teologiche si celava sempre una particolare

concezione del mondo, una particolare idea dell’antropologia, della vita

dell’uomo e dei suoi valori. Qualche esempio? Non è così difficile.

Siamo abituati a sentir parlare della Chiesa cattolica come di una

“organizzazione oscurantista” che mira unicamente al potere, oppure

sentiamo che i dogmi di fede vengono definiti “opprimenti”, orgogliose

definizioni che credono di avere la verità dalla propria parte, mentre – tanti

sostengono – la verità è soggettiva, e tutti hanno il diritto di esprimersi in

materia di fede.

Ora, è vero che oltranzisti e fanatici hanno fatto e forse fanno ancora

parte della Chiesa cattolica da qualche parte. Ma è altrettanto vero che

quando centocinquanta o trecento Vescovi (come a Nicea) si radunano

insieme pregando lo Spirito Santo di illuminarli perché possano agire ed

esprimersi unicamente per il bene di tutta la Cristianità, possiamo con

certezza dire che le loro preghiere non vanno mai a vuoto. Facciamo qualche

esempio, per capirci, in semplicità.

Dal 345 al 385, ad esempio, era operante un

monaco spagnolo, un certo Priscilliano,

diventato Vescovo di Avila (Castiglia).

Influenzato da studi di esoteria ed

astrologia, affermava che, dal momento che

la natura divina assunta da Gesù Cristo non

poteva sottoporsi a sofferenza e tantomeno a

morte, perché Dio non può soffrire e morire,

Page 19: San Massimo, Vescovo di Torino

19

la crocifissione, centro del mistero di fede cristiano insieme alla risurrezione,

doveva essere capita come una «apparenza» (dokeo). Questa dottrina raccolse

tanti seguaci e venne chiamata docetismo. In pratica riduceva la Passione di

Gesù ad una farsa, ad una messa in scena per aiutarci, non vissuta realmente

nella propria carne con una sofferenza reale. Dietro una tale concezione, per

quanto affascinante, si cela un grande pessimismo verso tutto ciò che è

umano, carnale, terrestre. Contrariamente a quanto scritto nel libro ispirato

della Genesi, che chiama tutto ciò che Dio ha creato «buono» e la creatura

umana, uomo e donna «molto buono», con la loro corporeità e la loro esistenza

sessuata distinta, i Doceti dicevano invece che il corpo è «parto del demonio»,

sua abitazione.

Si dedicavano, quindi, ad un ascetismo esasperato, in cui reprimere,

sopprimere, controllare tutto ciò che nell’uomo è istintuale, legato alla

sessualità e al suo essere «terrestre». In definitiva, anche se la loro vita

ascetica, piena di preghiere e di digiuni, di penitenze e di privazioni, poteva

sembrare una vita santa ed esemplare agli occhi di molti semplici cristiani, in

realtà nascondeva una grande sfiducia verso la redenzione operata da Gesù

Cristo, vero Dio e vero uomo.

Sembra dunque uno sbaglio quello di un Sinodo che, riunito nel nome

del Signore, condanna queste idee come contrarie non solo alla vera fede ma

anche ad un’esistenza corretta e felice degli esseri umani, creati dall’amore di

Dio per vivere nella gioia la propria condizione terrestre (e non angelica)?

Solo chi agisce per ignoranza o per mala fede può dire il contrario.

In ogni caso, anche se riconosciamo che simili idee potevano davvero

rovinare la vita di molti cristiani, imponendo dei gioghi che il Signore non ha

mai imposto al genere umano, non possiamo mai trovarci d’accordo con

l’eliminazione fisica di chi tali idee propagava con successo, l’eretico: in tempi

Page 20: San Massimo, Vescovo di Torino

20

in cui le idee teologiche andavano di pari passo con le idee politiche, era

normale che un eretico finisse sotto il torchio della legge, che prevedeva per i

reati stimati più gravi la pena capitale.

5.2. Un esempio dalla cinematografia

Allo stesso modo, però, notiamo che alcuni letterati o registi, nella loro

personale (e confusa) rivisitazione storica, accusano la Chiesa in toto di

oscurantismo, fanno di ogni erba un fascio, e mescolano ad arte cose vere e

conclusioni frutto di una ideologia di parte. E’ il caso del film del 1968 La via

lattea (altro nome per il Cammino di Santiago di Campostela), del regista

spagnolo Luis Buñuel. E’ un film di difficile lettura che non pretendiamo

esaurire, in quanto penetrarne il senso simbolico è complicato. L'unica

certezza è data dalla centralità che il regista attribuisce alla figura di un

Messia eretico, che non è venuto a portare pace sulla terra, ma spada. Un

Messia che discende direttamente dalla stirpe di Davide, un Re d'Israele che è

circondato da fratelli e sorelle (quindi viene esclusa la Verginità di Maria) e a

Cana si unisce in matrimonio con una donna, forse la Maddalena. Un Messia

che deve certamente molto alla tradizione apocrifa del vangeli e qualcosa alla

letteratura gnostica, ritrovata a Nag Hammadi e Qumran dopo la seconda

guerra mondiale.

La chiave per comprendere il significato dei nomi attribuiti ai "due figli

di prostituzione" (cf. il profeta Osea) risiede forse negli opposti atteggiamenti

manifestati nei confronti del messianismo di Gesù da parte degli apostoli

Pietro e Giovanni. L'apostolo Giovanni e la tradizione giudeo-cristiana sono i

custodi di un messaggio messianico legato alla stirpe davidica di Gesù e

all'obbedienza alla Legge ebraica. L'apostolo Pietro, invece, è colui che,

disperando del successo della missione politico-sociale di Gesù e non

Page 21: San Massimo, Vescovo di Torino

21

volendo accettare la sconfitta, ne prostituisce allora il messaggio a vantaggio

di una sua interpretazione di tipo salvifico, sul modello delle religioni

orientali. Ma la prostituta del finale del film è anche una "principessa", che

ricorda la figura di Maria di Magdala e l'ammonimento a non considerare la

morte di Gesù come un atto di misericordia nei confronti dell'uomo.

Che dire? Abbiamo aperto questa parentesi, forse un po’ pesante,

perché chi approfondisce e conosce la letteratura gnostica ed eretica del

tempo in cui è vissuto san Massimo, può tranquillamente leggere la

produzione letteraria odierna, vedere film basati su false ricostruzioni

storiche e interpretazioni faziose che essendo anti-cristiane sono anche anti-

umane, e concludere come il Qohelet «non c’è niente di nuovo sotto il sole».

5.3. La devozione mariana di S. Massimo

Allo stesso modo, potremmo fare l’esempio del monaco Gioviniano,

dell’erudito Elvidio di Milano e della setta dei cosiddetti Antidicomarianisti o

Antimariani i quali, non leggendo in profondità l’ebraico (la parola ebraica

per fratello significa al contempo anche parente, cugino, ecc.), prendevano

alla lettera il passo di Matteo 4,18, dove si parla dei «fratelli di Gesù», traendo

l’errata conclusione che Maria non avesse partorito solo Gesù. In questo

modo, la sua vita non poteva essere integralmente e qualitativamente

orientata nel dare Gesù al mondo, come il frutto esclusivo ed intenso di tutta

la sua vita (il vero significato della verginità), e di conseguenza – secondo

queste idee - non poteva essere realmente Vergine, prima, durante e dopo il

suo parto del Signore Gesù Cristo.

Il Vescovo Ambrogio di Milano aveva già dovuto fare i conti con il

maestro di Elvidio, il Vescovo ariano di Milano Aussenzio, morto nel 374 e

Page 22: San Massimo, Vescovo di Torino

22

condannato dal Sinodo di Milano, il quale affermava anche l’inesistenza del

peccato: «tutti siamo stati creati puri come Maria, diceva, pertanto siamo

immuni dal peccato in quanto battezzati». In realtà, si tratta di una semplice

scappatoia che molte generazioni, precedenti alla nostra, hanno conosciuto

per tentare di sfuggire alla lotta contro le proprie inclinazioni egoistiche e

all’impegno di costruire la propria vita nell’altruismo, nella dedizione,

nell’amore gratuito e oblativo verso tutti.

San Massimo, nelle sue omelie, seppe trovare accenti sublimi contro

questa eresia che offendeva nella parte più viva e sensibile il suo senso

religioso, accenti pieni di calore e d’ispirazione, ritraendo dai suoi uditori

tutti quei frutti spirituali che egli si riprometteva. Il suo modo di parlare della

Madre di Dio non riflette solo un amore particolare per Maria Santissima, ma

anche una visione positiva e costruttiva della nostra condizione umana.

Ascoltiamolo nuovamente :

«Il Verbo di Dio nasce secondo la testimonianza della Trinità. Certamente nel grembo della Santa Maria, quando scende lo Spirito Santo, quando l’Altissimo stende la sua ombra, quando Cristo è generato, è contenuta la professione di fede. Era conveniente, infatti, che la Madre, che avrebbe partorito la salvezza delle genti, confermasse prima nelle sue viscere il mistero della Trinità. Maria, nel sacrario del suo ventre, portò tutto ciò che doveva giovare al mondo: Dio, il sacerdote e la vittima. Il Dio della resurrezione, il sacerdote dell’offerta, la vittima della passione. Tutto questo riconosciamo in Cristo. Egli è Dio perché ritornò al Padre, pontefice perché offrì se stesso, vittima perché venne ucciso per noi. Direi che il grembo di Maria non fu un grembo, ma un tempio. Un tempio in cui abitava tutto ciò che di santo si trova in cielo, persino superiore ai cieli, perché in esso, come in un tabernacolo segreto, dalla Divinità è stato collocato il mistero. Superiore ai cieli deve essere ritenuto il grembo di Maria, perché rinviò al cielo il Figlio di Dio più glorioso di quando era disceso dal cielo. Dal cielo venne per patire, in cielo tornò per regnare. Dal cielo discese umiliato nell’uomo, dalla terra salì glorificato al Padre». (Sermoni 61b 3).

Page 23: San Massimo, Vescovo di Torino

23

Non meraviglia che, essendo Maria la direttrice e l’ispiratrice dei più nobili

affetti del Vescovo san Massimo, nonché il caposaldo per contrastare tutte le

idee eretiche e fuorvianti dalla retta fede in Cristo Salvatore, egli abbia voluto

dare inizio al culto verso la Vergine Consolatrice, ponendo una sacra

immagine di Maria nella chiesa di sant’Andrea, ora Santuario della

Consolata.

Che questa tradizione abbia un antico e solido fondamento storico lo

apprendiamo anche dall’autore della prima storia della Consolata, nel 1704,

p. Domenico Arcourt, priore dei Cistercensi che allora abitavano alla

Consolata e Consultore del Sant’Uffizio. Analizzati alcuni documenti della

biblioteca, lasciati dai Monaci Benedettini, primi officianti della chiesa di

sant’Andrea, egli conclude, nel linguaggio del suo tempo:

«In questo tempio di sant’Andrea, è sempre stata publica voce, e fama de’ popoli, tramandata da Padre à Figlio, che nell’anno 440 dell’inuittissimo e gloriosissimo S. Massimo Vescovo di Torino, collocata vi fosse l’Imagine della gran Regina del Cielo, all’hor che havendo purgata la Città dall’abominevole e nefasta eresia di Eutiche […] Per stabilire ne’ cuori de’ Cittadini la verità cattolica et accrescer maggiormente ne’ suoi popoli la vera divozione verso la gran Madre di Dio Maria sempre Vergine, egli pose nelle Chiese della Città diuerse imagini della Madona, frà le quali la principale fù questa, che sotto il titolo della Consolata s’adora».

Lo stesso storico continua dicendo che un’altra prova della provenienza

dell’immagine della Consolata da san Massimo sono anche i grandi prodigi

che si sono susseguiti a beneficio di tutto coloro che tale immagine hanno

venerato e pregato. Sembra sostenere che solo un’immagine toccata e donata

da un santo poteva operare miracoli, grazie alla fede della gente, e non

un’immagine qualsiasi.

Page 24: San Massimo, Vescovo di Torino

24

8. San Massimo con l’icona della Consolata

Lo storico Carlo Amedeo Cavalli, che nel

1819 scrive un’altra Storia della Consolata in

Torino e Luigi Cibrario nella sua Storia di

Torino del 1846 si allineano alla posizione

dell’Arcourt. Altri, invece, riprendendo le

tesi di Pingone, pensano che sia stato san

Massimo stesso a costruire la chiesa di

sant’Andrea (o cappella), con l’aiuto di un

conte municipale, dei cittadini Maiano e

Vitaliano, spesso lodati per la loro

generosità e di tutta la comunità del tempo.

Non abbiamo motivi per escludere

nemmeno questa ipotesi, dal momento che,

come ci ricorda Franco Bolgiani, a Ravenna e

a Rimini erano state fondate, più o meno

allo stesso tempo, altre due chiese dedicate allo stesso Apostolo.

La professoressa Wataghin Cantino, docente di Archeologia cristiana

alla Facoltà di Vercelli, sostiene che, grazie agli sviluppi peculiari

dell’urbanistica torinese - che ha rispettato il tracciato viario antico creando

una sovrapposizione totale di strutture che rende difficile il compito agli

archeologi - non rimane traccia di altre chiese paleocristiane, come ad

esempio s. Agnese, s. Stefano e sant’Andrea, che pure esistevano già nel IV

secolo, se non agli inizi del V secolo. L’unica rimasta è quella scavata nel 1909

accanto al Duomo.

In ogni caso, oltre al fatto che l’antica cappella o chiesa di sant’Andrea è

stata via via incorporata nelle sovrapposizioni strutturali successive, è ancora

lo storico Carlo Amedeo Cavalli a dirci che sicuramente le distruzioni di

Page 25: San Massimo, Vescovo di Torino

25

Unni, Goti e Vandali dell’inizio del VI secolo non hanno sicuramente

risparmiato la chiesa di sant’Andrea, seppellendo probabilmente l’antica

icona donata dal santo Vescovo Massimo sotto un mucchio di rovine.

Ascoltiamo direttamente le sue parole: «… si ha certo ed appoggiato riscontro

che, sin dall’anno 924, esistevano vestigia e memorie del suddetto sacro

tempio denominato di sant’Andrea, benché non più frequentato, perché quasi

interamente distrutto, essendosi però nello stesso luogo, tuttoché involta nelle

rovine della Chiesa, sempre conservata la stessa miracolosa immagine

collocatavi dalla memorabile pietà e singolar zelo del Santo Vescovo

Massimo».

Questo è uno dei pochi dati storici certi: all’arrivo dei Benedettini,

fuggiti dall’Abbazia di Novalesa (Nuova Luce) nei pressi di Venaus verso

Torino nel 906, sul luogo che viene loro affidato esisteva una chiesa molto più

antica, in condizioni di rovina. Questo nuovo nucleo di figli di san Benedetto

(che non diventerà mai abbazia ma unicamente «priorato») viene affidato

all’abate di Breme in Lomellina, il quale manda il rinomato monaco architetto

Bruningo a ricostruire abside e chiesa, per adattarla alle nuove esigenze,

dotandola – anche se su questo non esiste alcuna fonte documentaria certa –

della splendida torre campanaria, opera che ancora oggi possiamo ammirare

a lato del Santuario della Consolata.

Per quanto guardato con sospetto come storico, il Buscalioni cita a

suffragio della sua tesi numerose altre fonti storiche, quali Teofilo Rossi e

Ferdinando Gabotto, il Bragagnolo, il Bettazzi, l’Alessio, tutti autori di opere

storiche sulla città di Torino o sul Piemonte. Con loro, egli s’azzarda a

concludere: «lo storico non può mettere in dubbio che san Massimo abbia

cercato di diffondere in Torino la devozione alla Vergine Maria, ed abbia

Page 26: San Massimo, Vescovo di Torino

26

scelto, come centro di questo culto la chiesetta di sant’Andrea, per quanto

difettino i documenti a corroborare la pia tradizione».

6. LA MORTE DI SAN MASSIMO

Gabriele Banterle, nella sua introduzione alla raccolta di Sermoni curata

dalla Biblioteca Ambrosiana nel 1991, ci ricorda che la più antica

testimonianza su san Massimo è quella di uno scrittore del V secolo,

Gennadio di Marsiglia, che intendeva completare l’opera di san Girolamo

«De uiris illustribus». Egli conclude la sua presentazione del santo Vescovo

con una precisa indicazione cronologica: «moritur Honorio et Theodosio iuniore

regnantibus» (Morì durante il regno di Onorio e Teodosio il giovane). Questa

precisazione rimanderebbe al periodo tra il 408 e il 423, tempo in cui i due

imperatori furono colleghi.

Nel XVII secolo, però, il primo successore di san Filippo Neri alla

Congregazione dell’Oratorio, il Cardinale Cesare Baronio, incaricato dal

santo stesso di compilare una «Storia Ecclesiastica» (i famosi Annales), darà

nuove indicazioni sulla data di morte di san Massimo. Aveva trovato, infatti,

la menzione di un Massimo Episcopo della chiesa di Torino presente al

Concilio di Milano del 451 e firmatario, subito dopo il Papa, quindi

presumibilmente molto vecchio tra i Cardinali, in un Concilio a Roma nel 465.

Egli ritenne, dunque, che le indicazioni di Gennadio fossero false,

proponendo di leggere nell’antico testo claruit al posto di moritur. Per lui, san

Massimo era vissuto almeno fino al 465.

Se questo fosse corretto, allora gli si potrebbero attribuire quei sermoni

dove si parla della minaccia degli Unni. In alcune omelie, erroneamente

attribuite a san Massimo, troviamo, infatti, la descrizione della distruzione di

Page 27: San Massimo, Vescovo di Torino

27

9. Eugène Delacroix 1798-1863 "Attila l’Unno"

Milano da parte delle truppe di Attila, «flagello di Dio» (406-453). Costui,

iniziando dalle remote regioni asiatiche, proveniente dalla tribù degli

Xiongnu, antenati di Mongoli e Turchi, per otto anni regnò su di un impero,

basato sul terrore, che si estendeva dalla Russia fino a Sigindunum (l’attuale

Belgrado). Minacciava costantemente Constantinopoli e giunse a deporre

Valentiniano III a Ravenna, dove in gioventù aveva studiato latino, nel corso

del suo soggiorno coatto, come prigioniero dei Romani. Nel 451 Attila

raggiunse il massimo del potere, nel 452 rase al suo la città di Aquileia, senza

lasciarne alcuna traccia, saccheggiò completamente Padova, contribuendo

senza saperlo alla nascita di una futura città, tra le malsane paludi del delta

del Po, dove si erano rifugiati i fuggiaschi: Venezia.

In realtà, Milano non venne distrutta, ma

riuscì ad evitare il massacro aprendo

volontariamente le porte al re Unno, il quale

s’insediò per un po’ di tempo nel palazzo reale

di Milano. Gli si apriva la strada verso Roma,

ma un po’ papa Leone I, un po’ la sua

proverbiale superstizione (aveva saputo che

Alarico dei Visigoti era morto subito dopo aver

saccheggiato Roma nel 410), lo fecero desistere

dal scendere nel sud Italia. Il «piccolo padre»

(Atta-la) morì nel 453 in Ungheria e il suo immenso impero, costruito sul

terrore e sul sangue, si sfaldò immediatamente. Riguardo alla sua nota

superstizione, le cronache riportano la sua avversione per le persone che

portavano nomi di animali, ed in effetti le tre persone davanti alle quali, per

una ragione o per un’altra, dovette fermarsi furono il Vescovo Lupo di Troyes,

Page 28: San Massimo, Vescovo di Torino

28

il vescovo tedesco Orso e papa Leone (san Leone Magno). Ironia della sorte,

per un condottiero che si riteneva invincibile e signore del mondo.

Tornando a san Massimo, facciamo un po’ di conti. Se è vero che ha

ricevuto l’incarico della Diocesi di Torino da san Eusebio, morto nel 371,

avrebbe partecipato al Concilio di Roma del 465 dopo circa 95 anni di

reggenza della Diocesi, il che porta presumibilmente la sua età ad almeno 130

anni! Per questa ragione e per il fatto che comunque la lezione «moritur» è

ben attestata in tutti i manoscritti antichi del testo di Gennadio, il gesuita F.

Savio nel 1898 e altri dopo di lui convengono che non si possa accettare

l’ipotesi di Baronio e bisogni ipotizzare l’esistenza di due Vescovi, entrambi

di nome Massimo: il primo vissuto al massimo fino al 423 e il secondo

presente a Milano nel 451, e ancora in vita nel 465 (a Roma), del quale viene

riportato un discorso per la dedicazione dell’ecclesia maior di Milano, dopo la

disastrosa invasione degli Unni del 452. L’omonimia e la fama di santità di

Massimo I, primo Vescovo di Torino, avrebbero spinto inoltre Massimo II a

raccogliere tutti i Sermoni del suo predecessore, organizzandone una prima

raccolta scritta, incrementandone la popolarità anche ben al di fuori dei

confini della Diocesi taurinense.

7. I SUCCESSORI E I RESTI MORTALI DI SAN MASSIMO

Conosciamo ben poco degli immediati successori di san Massimo. Le

fonti antiche ricordano un certo Trigidio, attivo tra il 501 e il 503 e il vescovo

Rufo, legato alla leggenda del pollice di san Giovanni Battista. Poi, viene

ricordato il Vescovo Vittore, santo, che accompagnò S. Epifanio, Vescovo di

Pavia, in una delicata missione presso i Burgundi, a Lione, tra il 497 e il 508,

su invito di Teodorico, per trattare la pace e la restituzione dei prigionieri,

Page 29: San Massimo, Vescovo di Torino

29

strappati al Piemonte in occasione delle scorrerie a Torino e in Val di Susa.

Nella seconda metà del VI secolo era Vescovo Ursicino (562-609), al tempo

della perdita della Val di Susa, diventata una diocesi dei Franchi e sottratta a

Torino. Partecipa al Concilio del 680 a Roma il vescovo di Torino Rustico,

mentre con l’avvento dei Franchi, dopo il 774, viene menzionato un certo

Vescovo di Torino Andrea. Agli inizi dell’800 il Re di Acquitania, Ludovico il

Pio, diventato imperatore dei Franchi, insediò a Torino come Vescovo il suo

cappellano di corte, Claudio, catalano, ricordato per le sue tendenze

teologiche adozioniste e per la sua avversione viscerale nei confronti delle

immagini sacre, fenomeno noto come lotta iconoclasta. Francesco Cognasso,

nella sua Storia di Torino del 1959, riporta una lettera del vescovo Claudio che

con parole sue descrive ad un abate suo amico «le basiliche piene di brutture

degli anatemi e di immagini contro l’ordine della verità, per cui cominciai a

distruggere ciò che tutti riverivano». La popolazione torinese oppose a

quell’insensato Vescovo la più strenua resistenza, appoggiati anche da papa

Pasquale I.

Questa circostanza ci porta a concludere, sulla linea di Buscalioni e

della stessa professoressa Cerri, che la reazione popolare tese a difendere le

immagini più care e più significative per la città, quindi soprattutto la cara

immagine della Madre di Dio Consolata, che non cadde nelle mani del

Vescovo sacrilego, bensì venne custodita, nascosta con cura, dai fedeli

torinesi, affinché potesse essere rimessa al suo posto e proteggere la città, una

volta passato il pericolo.

Ci dicono gli studiosi che a partire dalla fine del VII secolo, seguirono

tre secoli molto bui, al punto che di alcune località non abbiamo più alcuna

notizia sui nomi dei Vescovi locali, né alcuna traccia epigrafica che testimoni

l’intensa e silenziosa attività evangelizzatrice dei successori di san Massimo,

Page 30: San Massimo, Vescovo di Torino

30

10.La chiesa di san Massimo a Collegno (TO)

come si constata dalle fonti che riemergono in modo lampante nel periodo

tardo carolingio ed ottoniano.

Il professor Bolgiani ci informa che dal

1949 al 1959 venne intrapresa una campagna

di scavi archeologici nei pressi di Collegno

(TO). Venne identificata una Basilica

chiamata ad quintum lapidem (o miliarium), in

quanto distante cinque miglia dal centro

città. Questo sarebbe, secondo un’antica e

ripetuta tradizione, il luogo dove sono stati

posti i resti mortali di san Massimo, verso la

fine del secolo V. La basilica era a tre navate, con un presbiterio piuttosto

allungato e venne datata alla seconda metà del secolo V (cf. i testi di

Carducci, De Bernardi-Ferrero e Crosetto), ma non può essere esclusa una

datazione più antica. Ciò che importa rilevare, ci ricorda il Casiraghi, è che la

basilica viene documentata come pieve e accanto al culto di san Massimo vi si

trova anche quello di san Giovanni Battista, come documenta anche la visita

pastorale di mons. Peruzzi del 1584. Inoltre, essa sorge nel quadro di un

nucleo romano di entità modesta, nel caso specifico una mansio sulla strada

che da Torino portava alle Gallie, che presenta una continuità dal tempo

paleocristiano a quello medioevale e oltre, esattamente come la pieve di san

Pietro in Pianezza o quella di santa Maria a Cavour.

Questi ritrovamenti archeologici diedero nuovamente credibilità alla

vita di san Massimo scritta da un monaco di Novalesa, il quale aveva parlato

di questa translatio delle ossa di san Massimo a Collegno, senza essere stato

creduto per mancanza di prove concrete. D’altronde è del tutto logico che

nella seconda metà del secolo V - proprio quando viene eretta la basilica di

Page 31: San Massimo, Vescovo di Torino

31

11. La chiesa di san Massimo a Torino

Collegno e quando il Vescovo Massimo II stava raccogliendo tutte le

testimonianze orali dei Sermoni del suo santo predecessore mettendole per

scritto e diffondendole dappertutto – si fosse alla ricerca di una sede

adeguata dove la fama del santo Vescovo Massimo potesse trovare casa. Una

Basilica a lui intitolata e con i suoi resti mortali era ciò di cui aveva bisogno la

chiesa locale torinese per iniziare a venerare il santo Vescovo che aveva dato

inizio alla Diocesi.

Indubbiamente una grande fama di santità circondò il vescovo Massimo

già in vita e la venerazione nei suoi confronti fu perpetuata dai fedeli dopo la

sua morte. Ma in realtà il suo culto non incontrò particolare fortuna nei secoli

successivi, perché i suoi resti mortali non vennero mai trovati e solitamente

questi sono il centro della devozione popolare nei confronti di un santo.

L’antica chiesa che ancora oggi sorge a Collegno non ha portato alla luce,

infatti, le sue spoglie anche se, secondo una tradizione locale, le sue reliquie

furono nascoste per sottrarle alle

invasioni barbariche (o forse per

proteggerle dagli iconoclasti, attivi a

Torino agli inizi del IX secolo). Alcuni

piccoli frammenti di reliquie, scoperti

nel XVII secolo, sono stati a lui

attribuiti.

8. LA CHIESA DI SAN MASSIMO A TORINO

Nella sua città, Torino, solo nel XIX secolo gli venne dedicata una chiesa e la

strada ad essa adiacente. Il progetto della chiesa di San Massimo di via dei

Mille, già prevista nel piano per l’ampliamento dei viali di passeggio della

Page 32: San Massimo, Vescovo di Torino

32

contrada di Borgo Nuovo, viene stabilito da un concorso di architettura, dove

viene richiesto un edificio isolato su quattro lati, lontano da ogni idea di lusso

e di superficialità. Nel 1844 viene preferito un progetto di Carlo Sada e

nell’anno seguente vengono cominciati i lavori. Questioni finanziarie

ritardano la realizzazione e la chiesa è inaugurata soltanto il 14 giugno 1853.

L’edificio presenta elementi che richiamano un impianto a croce greca,

benché risulti sviluppato longitudinalmente, con il campanile in

corrispondenza dell’abside in posizione centrale. La facciata principale si

distingue per la presenza di un pronao corinzio; semicolonne pure corinzie

caratterizzano i fronti laterali. All’interno, la navata unica è coperta da una

volta a botte cassettonata, interrotta sulla mezzeria da una cupola poggiata su

un tamburo colonnato sia all’interno che all’esterno.

In quello stesso secolo XIX, si tentò anche un processo per attribuirgli il

prestigioso titolo di “Dottore della Chiesa”.

Solo dal 2004 nella Basilica Cattedrale Metropolitana di San Giovanni

Battista, in occasione del rinnovo degli arredi liturgici del presbiterio voluto

dall’arcivescovo cardinale Severino Poletto, San Massimo è stato raffigurato

sulla nuova cattedra episcopale destinata ai suoi successori. Da quella

cattedra sembra ancora oggi invitare i torinesi a riflettere sull’importanza

dell’Eucarestia, con fede autentica, pensata, profonda e matura:

«A tutti risulta palese come noi predichiamo volentieri e come adempiamo con gioia il servizio divino; eppure quando constatiamo che tra i fratelli parecchi si recano in Chiesa con indolenza e non si curano di partecipare per nulla ai misteri celesti soprattutto di domenica, allora predichiamo malvolentieri, e non già perché ci spiaccia parlare, ma perché la nostra predicazione non emenda, ma piuttosto rende più colpevoli i più negligenti. Per questo parliamo malvolentieri, e tuttavia non possiamo tacere. Infatti la nostra predicazione tra il popolo produce o la beatitudine o il castigo; la beatitudine ai credenti, il castigo agli increduli. In realtà ogni

Page 33: San Massimo, Vescovo di Torino

33

fratello che non prende parte ai misteri domenicali, dinanzi a Dio appare come un disertore dei divini accampamenti. Infatti come può giustificarsi chi nel giorno dei sacramenti, preparandosi un pranzo in casa propria, non si cura del pranzo celeste e preoccupandosi del ventre trascura la medicina della sua anima?» (Sermoni 23).

Recentemente anche la nuova parrocchia ortodossa russa di Torino è

stata a lui dedicata. Provvisoriamente, appartiene al Patriarcato di Mosca,

Diocesi di Chersoneso, Decanato d’Italia.

L’intera Regione Pastorale Piemontese, comprendente le diocesi di

Valle d’Aosta e Piemonte, tranne Tortona, commemora il protovescovo

torinese al 25 giugno nel suo calendario liturgico, ossia il giorno successivo

del santo patrono di Torino, san Giovanni Battista, eletto proprio da san

Massimo a protettore della città.

Page 34: San Massimo, Vescovo di Torino

34

BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro - Mercoledì, 31 ottobre 2007

SAN MASSIMO DI TORINO

Cari fratelli e sorelle,

tra la fine del quarto secolo e l’inizio del quinto, un altro Padre della Chiesa,

dopo sant’Ambrogio, contribuì decisamente alla diffusione e al

consolidamento del cristianesimo nell’Italia settentrionale: è san Massimo,

che incontriamo Vescovo a Torino nel 398, un anno dopo la morte di

Ambrogio. Ben poche sono le notizie su di lui; in compenso è giunta fino a

noi una sua raccolta di circa novanta Sermoni. Da essi emerge quel legame

profondo e vitale del Vescovo con la sua città, che attesta un punto di

contatto evidente tra il ministero episcopale di Ambrogio e quello di

Massimo.

In quel tempo gravi tensioni turbavano l’ordinata convivenza civile.

Massimo, in questo contesto, riuscì a coagulare il popolo cristiano attorno alla

sua persona di Pastore e di maestro. La città era minacciata da gruppi sparsi

di barbari che, entrati dai valichi orientali, si spingevano fino alle Alpi

occidentali. Per questo Torino era stabilmente presidiata da guarnigioni

militari e diventava, nei momenti critici, il rifugio delle popolazioni in fuga

dalle campagne e dai centri urbani sguarniti di protezione. Gli interventi di

Massimo, di fronte a questa situazione, testimoniano l’impegno di reagire al

degrado civile e alla disgregazione. Anche se resta difficile determinare la

composizione sociale dei destinatari dei Sermoni, pare che la predicazione di

Massimo – per superare il rischio della genericità – si rivolgesse in modo

specifico a un nucleo selezionato della comunità cristiana di Torino, costituito

da ricchi proprietari terrieri, che avevano i loro possedimenti nella campagna

Page 35: San Massimo, Vescovo di Torino

35

torinese e la casa in città. Fu una lucida scelta pastorale del Vescovo, che

intravide in questo tipo di predicazione la via più efficace per mantenere e

rinsaldare il proprio legame con il popolo.

Per illustrare in tale prospettiva il ministero di Massimo nella sua città,

vorrei addurre ad esempio i Sermoni 17 e 18, dedicati a un tema sempre

attuale, quello della ricchezza e della povertà nelle comunità cristiane.

Anche in questo ambito la città era percorsa da gravi tensioni. Le ricchezze

venivano accumulate e occultate. «Uno non pensa al bisogno dell’altro», constata

amaramente il Vescovo nel suo diciassettesimo Sermone. «Infatti molti cristiani

non solo non distribuiscono le cose proprie, ma rapinano anche quelle degli altri. Non

solo, dico, raccogliendo i loro danari non li portano ai piedi degli Apostoli, ma anche

trascinano via dai piedi dei sacerdoti i loro fratelli che cercano aiuto». E conclude:

«Nella nostra città ci sono molti ospiti o pellegrini. Fate ciò che avete promesso»

aderendo alla fede, «perché non si dica anche a voi ciò che fu detto ad Anania: “Non

avete mentito agli uomini, ma a Dio”» (Sermone 17,2-3).

Nel Sermone successivo, il diciottesimo, Massimo stigmatizza forme

ricorrenti di sciacallaggio sulle altrui disgrazie. «Dimmi, cristiano», così il

Vescovo apostrofa i suoi fedeli, «dimmi: perché hai preso la preda abbandonata dai

predoni? Perché hai introdotto nella tua casa un “guadagno”, come pensi tu stesso,

sbranato e contaminato?». «Ma forse», prosegue, «tu dici di aver comperato, e per

questo pensi di evitare l’accusa di avarizia. Ma non è in questo modo che si può far

corrispondere la compera alla vendita. E’ una buona cosa comperare, ma in tempo di

pace ciò che si vende liberamente, non durante un saccheggio ciò che è stato rapinato

... Agisce dunque da cristiano e da cittadino chi compera per restituire» (Sermone

18,3).

Senza darlo troppo a vedere, Massimo giunge così a predicare una

relazione profonda tra i doveri del cristiano e quelli del cittadino. Ai suoi

Page 36: San Massimo, Vescovo di Torino

36

occhi, vivere la vita cristiana significa anche assumere gli impegni civili.

Viceversa, ogni cristiano che, «pur potendo vivere col suo lavoro, cattura la preda

altrui col furore delle fiere»; che «insidia il suo vicino, che ogni giorno tenta di

rosicchiare i confini altrui, di impadronirsi dei prodotti», non gli appare neanche

più simile alla volpe che sgozza le galline, ma al lupo che si avventa sui porci

(Sermone 41,4).

Rispetto al prudente atteggiamento di difesa assunto da Ambrogio per

giustificare la sua famosa iniziativa di riscattare i prigionieri di guerra,

emergono chiaramente i mutamenti storici intervenuti nel rapporto tra il

Vescovo e le istituzioni cittadine. Sostenuto ormai da una legislazione che

sollecitava i cristiani a redimere i prigionieri, Massimo, nel crollo delle

autorità civili dell’Impero romano, si sentiva pienamente autorizzato ad

esercitare in tale senso un vero e proprio potere di controllo sulla città.

Questo potere sarebbe poi diventato sempre più ampio ed efficace, fino a

supplire la latitanza dei magistrati e delle istituzioni civili. In questo

contesto Massimo non solo si adopera per rinfocolare nei fedeli l’amore

tradizionale verso la patria cittadina, ma proclama anche il preciso dovere di

far fronte agli oneri fiscali, per quanto gravosi e sgraditi essi possano apparire

(Sermone 26,2).

Insomma, il tono e la sostanza dei Sermoni suppongono un’accresciuta

consapevolezza della responsabilità politica del Vescovo nelle specifiche

circostanze storiche. Egli è «la vedetta» collocata nella città. Chi mai sono

queste vedette, si chiede infatti Massimo nel Sermone 92, «se non i beatissimi

Vescovi che, collocati per così dire su un’elevata rocca di sapienza per la difesa dei

popoli, vedono da lontano i mali che sopraggiungono?». E nel Sermone 89 il

Vescovo di Torino illustra ai fedeli i suoi compiti, avvalendosi di un paragone

singolare tra la funzione episcopale e quella delle api: «Come l’ape», egli dice,

Page 37: San Massimo, Vescovo di Torino

37

i Vescovi «osservano la castità del corpo, porgono il cibo della vita celeste, usano il

pungiglione della legge. Sono puri per santificare, dolci per ristorare, severi per

punire». Così san Massimo descrive il compito del Vescovo nel suo tempo.

In definitiva, l’analisi storica e letteraria dimostra una crescente

consapevolezza della responsabilità politica dell’autorità ecclesiastica, in un

contesto nel quale essa andava di fatto sostituendosi a quella civile. E’ questa

infatti la linea di sviluppo del ministero del Vescovo nell’Italia nord-

occidentale, a partire da Eusebio, che «come un monaco» abitava la sua

Vercelli, fino a Massimo di Torino, posto «come sentinella» sulla rocca più

alta della città. E’ evidente che il contesto storico, culturale e sociale è oggi

profondamente diverso. Il contesto odierno è piuttosto quello disegnato dal

mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione post-

sinodale Ecclesia in Europa, là dove egli offre un’articolata analisi delle sfide e

dei segni di speranza per la Chiesa in Europa oggi (6-22). In ogni caso, a parte

le mutate condizioni, restano sempre validi i doveri del credente verso la sua

città e la sua patria. L’intreccio degli impegni dell’«onesto cittadino» con

quelli del «buon cristiano» non è affatto tramontato.

In conclusione, vorrei ricordare ciò che dice la Costituzione pastorale

Gaudium et spes per illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di

vita del cristiano: la coerenza tra fede e comportamento, tra Vangelo e

cultura. Il Concilio esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri

terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che,

sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo

quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni

e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a

compierli, secondo la vocazione di ciascuno» (n. 43).

Page 38: San Massimo, Vescovo di Torino

38

Seguendo il magistero di san Massimo e di molti altri Padri, facciamo

nostro l’auspicio del Concilio, che sempre di più i fedeli siano desiderosi di

«esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici,

professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni

religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di

Dio» (ibid.) e così al bene dell’umanità.

Page 39: San Massimo, Vescovo di Torino

39

PREGHIERA

O Dio, che in San Massimo, vescovo e servitore del tuo popolo,

hai dato alla Chiesa un’immagine viva del Cristo, buon pastore, per la sua

preghiera concedi a noi di giungere ai pascoli della vita eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te,

nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

(nella diocesi di Torino:)

Proteggi, o Signore, questa Chiesa che san Massimo ha fondato con la parola

di verità e i sacramenti della vita. Con la sua predicazione ci hai dato di

conoscere il Cristo salvatore: per la sua intercessione fa che viviamo con

coerenza la nostra vocazione di cristiani.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te,

nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Page 40: San Massimo, Vescovo di Torino

40

CRONOLOGIA

III secolo aC villaggio dei Taurini (fusione di Liguri e Celti della Gallia),

alla confluenza dei fiumi Po e Dora 221 aC trattato di pace con i Romani in espansione nella regione 218 aC Annibale scende dalla Valsusa e distrugge Torino, rimasta fedele

ai patti con i Romani 27 aC L’imperatore Augusto ri-fonda Augusta Taurinorum Pianta romana: Cardo nord-sud = via di Porta Palatina Decumano = via Doragrossa (v Garibaldi) 160 dC papa Pio I consacra la chiesa di s. Maria a Testona (TO) 286 dC massacro della Legione Tebea (Massimiliano) S. Maurizio, Solutore-Avventore-Ottavio / S. Besso 308 Costantino nominato “Cesare” 311 Editto di Galerio: fine delle persecuzioni anticristiane 312 Costantino sconfigge Massenzio al ponte Milvio 313 Editto di Milano (Costantino) 325 I Concilio Ecumenico a Nicea (Turchia) 341 epigrafe cristiana di Revello (CN) 345 Eusebio consacrato Vescovo di Vercelli da papa Giulio I 345-371 Massimo viene nominato da Eusebio di Vercelli come Vescovo della nuova Diocesi di Torino 371 muore s. Eusebio 374 S. Ambrogio Vescovo di Milano (succede ad un Vescovo ariano) 380 Editto di Tessalonica di Teodosio I: Cristianesimo religione

dell’Impero 381 Teodosio convoca il Concilio di Costantinopoli 384 rimozione dell’ara pagana alla Vittoria dall’aula del Senato 392 Decreti Teodosiani : templi in disuso trasformati in chiese

cristiane 393-394 Passaggio a Torino delle truppe di Eugenio usurpatore insieme ad

Arbogaste Visigoto (sconfitti ad Aquileia da Teodosio) 395 (17 gennaio) muore l’imperatore Teodosio I 397 (4 aprile) muore il vescovo di Milano s. Ambrogio 397 Sisinnio, Martirio e Alessandro martiri in Val di Non 398 Concilio di Torino con 80 Vescovi delle Gallie 401 Alarico a Torino con i suoi Visigoti 406 Torino saccheggiata da Radagaiso Visigoto

Page 41: San Massimo, Vescovo di Torino

41

410 sacco di Roma di Alarico Visigoto 411 Ataulfo Visigoto passa per Torino 423 data presunta della morte di san Massimo 431 III Concilio Ecumenico ad Efeso: Maria “Madre di Dio” 451 sinodo di Milano (al quale avrebbe partecipato un Massimo II

Vescovo di Torino, secondo lo storico francese Gennadio, De viris illustribus, firmando una lettera al papa Leone I).

450-455 Passio Acaunensium Martyrum di Eucherio di Lione 452 Attila re degli Unni devasta Aquileia ed entra a Milano 465 sinodo di Roma (la firma di un Massimo II Vescovo di Torino

segue immediatamente quella di papa Ilario) Fine V sec. è verosimile che Massimo II Vescovo abbia messo le reliquie

nell’antica pieve di Collegno Ad Quintum miliarium ed abbia iniziato a raccogliere, catalogare e diffondere l’opera oratoria del suo predecessore san Massimo.

501-503 Trigidio vescovo a Torino 562-609 Ursicino vescovo a Torino (la Valsusa diventa Diocesi dei

Franchi) 680 Rustico, vescovo di Torino, partecipa al Sinodo di Roma, contro il

monotelismo per preparare il Concilio Costantinopolitano III (Trullano).

IX secolo le reliquie di san Massimo vengono nascoste dalla chiesa di san

Massimo di Collegno per sottrarle agli iconoclasti XVII sec. scoperte a Collegno alcuni frammenti che potrebbero essere

reliquie di san Massimo 1784 prima edizione critica delle opere di san Massimo 1844-53 costruzione e dedicazione della chiesa di san Massimo a Torino 1949-1959 scavi archeologici alla pieve basilica di san Massimo a Collegno 2004 san Massimo compare sulla nuova cattedra episcopale della

Cattedrale di san Giovanni Battista a Torino 2005 la chiesa ortodossa russa dedica la sua chiesa torinese a san

Massimo Vescovo 2007 ad ottobre, papa Benedetto XVI dedica a san Massimo l’udienza

generale del mercoledì, in Vaticano

Page 42: San Massimo, Vescovo di Torino

42

B I B L I O G R A F I A

ARCOURT DOMENICO, Historica Notitia della miracolosa immagine della Madonna Santissima della Consolata, venerata nella Chiesa di sant’Andrea de’ MM. RR. Monaci di S. Bernardo dell’Ordine Cistercense di Torino, Garimberti, Torino 1705, 271p.

BIFFI INOS, «Dalla predicazione pasquale di san Massimo di Torino: testi e commenti», in: Ambrosius 40(1964)131-139.

BOLGIANI F., «La penetrazione del cristianesimo in Piemonte», in: Atti del V Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1979, 37-61.

BUSCALIONI PIETRO, La Consolata nella storia di Torino del Piemonte e della Augusta Dinastia Sabauda, La Palatina, Torino 1938, 566pp.

CAVALLI CARLO AMEDEO, Compendio di storia di Maria Vergine venerata in Torino sotto il titolo di Consolata e della sua sacra immagine, e del suo santuario, con altre particolari nozioni, Davico e Picco, Torino 1819.

CERRI MARIA GRAZIA, Il campanile di sant’Andrea alla Consolata, Percorsi di ricognizione intorno ad un’architettura benedettina, Coll. Biblioteca di «Studi Piemontesi», Centro Studi Piemontesi, Torino 1997, 160pp.

COGNASSO FRANCESCO, Storia di Torino, Milano 1959.

DEFILIPPIS CAPPAI CHIARA, Massimo, Vescovo di Torino e il suo tempo, SEI, Torino 1995, 111pp.

DI MAURO NICOLA, La paterna tenerezza di un pastore di anime. San Massimo, Vescovo di Torino, Effatà, Cantalupa (TO) 2001, 93pp.

PELLEGRINO MICHELE, «Sull’autenticità di un gruppo di omelie e sermoni attribuiti a san Massimo di Torino», in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 90(1955-1956)1-113.

SAN MASSIMO DI TORINO, Sermoni, Introduzione, traduzione e note di G. Banterle, Coll. Scrittori dell’aerea Santambrosiana/4, testo latino a fronte, Biblioteca Ambrosiana/Città Nuova, Milano/Roma 1991, 510 pp.

SAN MASSIMO DI TORINO, Sermoni, Introduzione, traduzione e note di F. Gallesio, Paoline, Roma 1975.

SAN MASSIMO VESCOVO, La vita cristiana. Sermoni, a cura di Luigi Padovesi, Piemme, Casale Monferrato 1989.

Page 43: San Massimo, Vescovo di Torino

43

SAVIO F., Gli antichi Vescovi d’Italia dalle origini fino al 1300. Il Piemonte, Bocca, Torino 1898, 283-294.

WATAGHIN CANTINO GISELA, «Problemi e prospettive dell’archeologia cristiana in Piemonte», in: Atti del V Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1979, 67-81.

SOMMARIO

San Massimo di Torino .............................................................................................. 3

1. Ambientazione Storica .................................................................................. 3

2. Il Concilio di Torino ....................................................................................... 7

3. San Massimo Predicatore e Scrittore ........................................................... 9

4. San Massimo nella nuova Diocesi di Torino ........................................... 14

5. San Massimo e la devozione alla Consolata nella chiesa di s. Andrea 15

5.1. Le Eresie mariane ...................................................................................... 17 5.2. Un esempio dalla cinematografia ........................................................... 20 5.3. La devozione mariana di S. Massimo .................................................... 21

6. La Morte di San Massimo ........................................................................... 26

7. I Successori e i Resti Mortali di san Massimo .......................................... 28

8. La Chiesa di san Massimo a Torino .......................................................... 31

BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE ....................................................... 34

San Massimo di Torino ........................................................................................ 34

CRONOLOGIA ......................................................................................................... 40

B I B L I O G R A F I A ............................................................................................. 42

Page 44: San Massimo, Vescovo di Torino

44