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Prima le persone: medici in prima linea Sanità di frontiera Il Corriere della salute migrante Il muro della disinformazione Un nuovo linguaggio per le migrazioni Il futuro oltre la siepe La convenienza della convivenza Colmare i divari: integrazione è salute Le mappe del disagio Le barriere dell'accesso Una sicurezza che preoccupa di tutti

Sanità di frontiera...politica che affronta il fenomeno, perché, come illustreremo in questa pubblicazione, è pro vato da diverse fonti autorevoli che l’immigrazione, se ben gestita,

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Prima le persone:medici in prima linea

Sanità di frontieraIl Corriere della salute migrante

Il muro della disinformazioneUn nuovo linguaggio per le migrazioni

Il futuro oltre la siepeLa convenienza della convivenza

Colmare i divari:integrazione è saluteLe mappe del disagio

Le barriere dell'accessoUna sicurezzache preoccupa

di tutti

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Gira il foglio,rovescia il senso comune

Chi lavora sulla (o per la) frontiera della salute e delbenessere, e a maggior ragione chi lavora nelcampo della cura degli 'altri', ovvero delle persone

emarginate, spesso immigrate, 'straniere', deve necessa-riamente modificare il suo punto di vista sulla realtà. Ri-mettendo il margine al centro del campo visivo è obbligatoa mettere in discussione la visione consolidata del mondo,a rovesciare stereotipi e luoghi comuni.

Vista da vicino la frontiera perde il suo carattere rigido eindeterminato: da linea di demarcazione torna ad essereterreno comune, luogo di incontro, conoscenza, scambio.Una soglia da attraversare senza pregiudizi. Cambiandoprospettiva, emarginati e immigrati sono soltanto persone,la povertà può diventare ricchezza, i problemi risorse, ledistanze percorsi che ci avvicinano. Questo magazine, nelsuo piccolo, ci prova. Ruota ancora il foglio, entra nelmondo di Sanità di frontiera.

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Gira il foglio,rovescia il senso comune

Chi lavora sulla (o per la) frontiera della salute e delbenessere, e a maggior ragione chi lavora nelcampo della cura degli 'altri', ovvero delle persone

emarginate, spesso immigrate, 'straniere', deve necessa-riamente modificare il suo punto di vista sulla realtà. Ri-mettendo il margine al centro del campo visivo è obbligatoa mettere in discussione la visione consolidata del mondo,a rovesciare stereotipi e luoghi comuni.

Vista da vicino la frontiera perde il suo carattere rigido eindeterminato: da linea di demarcazione torna ad essereterreno comune, luogo di incontro, conoscenza, scambio.Una soglia da attraversare senza pregiudizi. Cambiandoprospettiva, emarginati e immigrati sono soltanto persone,la povertà può diventare ricchezza, i problemi risorse, ledistanze percorsi che ci avvicinano. Questo magazine, nelsuo piccolo, ci prova. Ruota ancora il foglio, entra nelmondo di Sanità di frontiera.

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La lezione di Mohamed Keita

La fotografia in questa pagina ritrae il frutto delpeccato: l’oggetto dello sfruttamento sistematicodei braccianti africani nella piana di Gioia Tauro,

impiegati nella raccolta delle arance (e dei pomodori)per 3 euro all’ora quando va bene, e costretti a vivere inbaraccopoli prive di servizi e delle più elementaricondizioni igieniche (in un vasto territorio dove sicontano 35.000 case sfitte, come denuncia il Comitatoper il riutilizzo delle case vuote). Come tutte le immagini di questo magazine, anche questaè opera di Mohamed Keita, giovanissimo fotografo diorigine ivoriana, giunto da solo in Italia non ancoramaggiorenne, dopo un lungo viaggio. Mohamed si è im-battuto nella prima macchina fotografica a Roma, in uncentro a bassa soglia promosso da Save the Children, eda allora non se ne è più separato. Le immagini sono di-ventate il suo pane quotidiano, in un percorso di crescitaprofessionale che lo ho portato a esporre a Londra, NewYork, Cracovia, e a collaborare con musei e fondazioni.«Quello che più mi interessa di questo lavoro è lapossibilità di raccontare la vita della gente - soprattuttodi chi vive sulla strada, una condizione che ho conosciutoin prima persona - attraverso gli oggetti, i vestiti, le si-tuazioni, gli ambienti, i contrasti della vita quotidiana,senza mettere in mostra il volto e l’identità di chi ritraggo.Sono cresciuto in una famiglia che mi ha insegnato l’im-portanza e il valore del rispetto: oggi, attraverso lafotografia, cerco di instaurare una relazione con gli altrie con il mondo all’insegna del rispetto».

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Mentre tutte le indicazioni politiche vanno versouna visione talora restrittiva del concetto di uni-versalità del diritto di accesso alle cure, l´Orga-

nizzazione Mondiale della Salute si appresta, nel corso dellaprossima Assemblea Generale, a varare il proprio piano glo-bale di supporto alla salute dei migranti e dei rifugiati. Lanegoziazione di un compromesso dovrebbe permettere, loauspichiamo, al neonato network delle agenzie delle Nazio-ni Unite impegnate nella migrazione di includere la dimen-sione sanitaria tra le proprie priorità, per garantire la messain sicurezza delle comunità migranti così come delle comu-nità dei Paesi di transito e di destinazione.È proprio su questi fattori che l’iniziativa editoriale che vie-ne presentata va a incardinare la propria ragione di essere,in linea con le priorità indicate dal piano globale dell’OMS:si tratta, infatti, di fornire informazioni e documentazionioggettive relativamente a questioni che verrebbero altri-menti strumentalizzate. Al di là di una visione strategica chedeve informare la politica in maniera chiara, non ambigua,con dati e una metrica basati sull’evidenza. Si tratta anche di garantire alle comunità che accolgono ecercano di integrare i migranti nel proprio tessuto socialequel supporto e quell’accompagnamento, anche culturali,indispensabili a gestire il cambiamento inevitabile che l’ac-coglienza implica, nonché la nuova semantica socio-sanita-ria che il sistema sanitario sta faticosamente apprendendo.Non c’è dubbio che la migrazione implichi cambiamento. La nostra responsabilità è fare in modo che questo cambia-mento sia in senso migliorativo, sapendo che la migrazioneè un fenomeno ineluttabile, determinato dalla somma difattori che descrive la nostra società attuale, globalizzata ein cerca di aggiustamenti strutturali che ne permettano ilprogresso collettivo, non a scapito dei più deboli in una si-tuazione di disuguaglianza diffusa. Quest’ultima promuove,infatti, la malattia evitabile, che circoscrive la competenza diservizi, come quello sanitario, che sono, invece, per lorostessa natura, universalistici. Ritengo che il Corriere della Salute del Migrante si posizioniidealmente in questo dialogo costante, alle volte difficile emai banale, che dovrebbe esserci tra operatori sanitari,esponenti politici, società civile, organizzazioni non gover-native e amministrazione pubblica, in cui il cittadino si tro-va spesso a osservare, e talora subire, situazioni e decisionidove la bussola dell’evidenza fattuale e della solidarietà tal-volta si perdono. Si dovrebbe, infatti, iniziare e condurre a

tutti i livelli, anche quello scolastico, il lungo discorso sullamiseria e sull’esclusione come determinanti veri di (cattiva)salute, oltre i colori della povera umanità che troppo spessoè relegata al ruolo di fantasma invisibile ai confini della no-stra struttura sociale.La guerra indotta tra poveri che porta alla marginalizzazio-ne è forse l’epidemia peggiore che sta avvelenando il nostroclima sociale. Questa epidemia non può che essere combat-tuta e vinta con strategie inclusive, formative e educativeprima di tutto. Che possano avere un consenso politico edeconomico che guidi le nostre comunità in maniera nonideologizzata a gestire il cambiamento inevitabile indotto, sibadi bene, non dalla migrazione, ma dalla crisi demografi-ca, dal cambiamento climatico, dalla globalizzazione econo-mica e della mobilità. È fondamentale quindi che sia presente con la propria voceun’iniziativa come questa, che vada a documentare le radicidella problematica, che raccolga il contributo degli operatori,soprattutto di quel 10% di colleghi medici, infermieri, opera-tori sociali, care givers in ambiti come quello domestico - incui si sostanzia la maggior parte del supporto all’anziano e achi soffre di patologie cronico-degenerative, che sono nuoviitaliani e che garantiscono la sopravvivenza del nostro siste-ma socio-sanitario, oltre che assistenziale e pensionistico.L’informazione intorno alla migrazione, alle sue criticità ealle sue prospettive, è quindi indispensabile per evitare ilpeggior errore che la nostra società potrebbe fare: negarla,ignorarla, combatterla in maniera pregiudiziale, creando ipresupposti per conflitti sociali determinati dalla mancanzadi strategie di integrazione, di cui in altri Paesi vediamo leconseguenze spesso drammatiche.

Ranieri GuerraDirettore Generale Aggiunto per le Iniziative StrategicheOrganizzazione Mondiale della Salute

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L’idea di questa pubblicazione origina dalla convinzione che la paura per lo straniero,che è oggi in crescita in Italia, non nasca da razzismo ma sia generata da una sorta dicortocircuito. Un cortocircuito alimentato da disinformazione, interessi di parte e un

sistema di accoglienza e integrazione malfunzionante che canalizza spesso l’immigrato versoil degrado, anziché verso un’integrazione rispettosa dei diritti umani di chi arriva nel nostroPaese e dell’esigenza di benessere e sicurezza umana di noi tutti. Sanità di Frontiera è un’Associazione che si adopera per promuovere e tutelare la salute di tut-ti, senza distinzione tra italiani e stranieri, con un’attenzione particolare verso coloro che sonopiù vulnerabili. Attraverso l’Osservatorio Internazionale per la Salute, uno dei suoi program-mi principali, la nostra Associazione si impegna in attività di ricerca e in pubblicazioni comequesta che vi accingete a leggere. Il tentativo è quello di contribuire alla giustizia sociale, perchiunque e ovunque, fornendo un’informazione sul tema che si smarchi dalle ideologie politi-che che caratterizzano lo sterile dibattito esistente oggi intorno al fenomeno migratorio.La Salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non la semplice assenzadi malattia (OMS). Coloro che si sentono obbligati a lasciare il proprio Paese, i propri puntidi riferimento, i familiari, le persone a loro care, sono giusto alla ricerca di un miglioramen-to del loro stato di salute e, anche quando scappano da guerre o disastri naturali, perseguo-no un nuovo benessere fisico, psichico e sociale. Il tentativo di migliorare il proprio stato di salute a 360° è dunque alla base della emigrazio-ne degli esseri umani. Ma il concetto di benessere dovrebbe essere anche alla base di qualsiasipolitica che affronta il fenomeno, perché, come illustreremo in questa pubblicazione, è pro-vato da diverse fonti autorevoli che l’immigrazione, se ben gestita, porta benessere sociale edeconomico per le comunità di accoglienza. In Europa, gli stranieri regolarmente residenticontribuiscono alla flessibilità del settore occupazionale anche in comparti per i quali non sitrova più personale autoctono e, in Italia in particolare, contribuiscono a versare nelle cassedello Stato circa 3 miliardi di euro di surplus positivo all’anno, allentando, altresì, la decresci-ta demografica che rischia di portare al collasso il sistema economico del nostro Paese.Per garantire salute, benessere e sicurezza umana di tutti, l’integrazione e l’inclusione socia-le giocano un ruolo chiave anche per le comunità di accoglienza, per i cittadini che accolgo-no i migranti e che vogliono vedere assicurata la loro salute, il loro benessere e dunque laloro condizione di sicurezza umana. Perciò, quando parliamo di migrazione dobbiamo tenere in considerazione che salute, be-nessere, sicurezza umana e integrazione non solo sono fondamentali, ma si sovrappongonoe coincidono. Sono parte di un unico paradigma senza il quale il percorso migratorio è de-stinato a fallire. Ecco che diventa centrale attivare dei sistemi di gestione dei flussi migratori, nonché di ac-coglienza e integrazione, che possano garantire un’efficace inclusione sociale ed interazionedi tutti i soggetti coinvolti. Di tutte le persone.

LA FRONTIERA DELLA SALUT

Giuseppe PetrellaPresidente del Comitato ScientificoOsservatorio Internazionale per la Salute/Sanità di Frontiera

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Questa iniziativa è resa possibile grazie al generoso sostegno di Consulcesi ONLUS e del suo Presidente.

Sanità di frontieraIl Corriere della salute migrante di tutti

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Sanità di Frontiera - salute senza confini - Onlus è una associazione senzascopo di lucro, apolitica e aconfessionale, che realizza interventi nel settore delcontrasto alle diseguaglianze e della promozione del benessere psicofisico,

dell’inclusione sociale e del rispetto dei diritti umani in Italia e all’estero. Sanità di Frontiera sperimenta e diffonde modelli di intervento per favorire la saluteintesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la sempliceassenza di malattia o infermità, secondo la nota definizione dell’OrganizzazioneMondiale della Salute. Nel suo impegno l’associazione si adopera con particolareattenzione nei confronti dei soggetti più vulnerabili o più discriminati, quali i minori, ledonne, i migranti e i più bisognosi, in Italia e all’estero. Tra le attività in corso, si segnalano in particolare i corsi di formazione residenziali o adistanza indirizzati a tutti gli operatori sanitari che si trovano ad interagire conimmigrati e stranieri residenti (o che hanno interesse ad approfondire la tematica dellamedicina delle migrazioni) e l’attivazione dell’unità mobile Salute e Inclusione a Romaper offrire assistenza sanitaria e orientamento ai servizi socio-assistenziali alle personesvantaggiate, in particolare migranti. L’associazione ha inoltre attivato una partnership con l’Organizzazione MEDU (Medici peri Diritti Umani) per rinnovare e riattivare una unità mobile in Calabria, nella Piana di GioiaTauro (dicembre 2017), e dal gennaio 2019 anche in Puglia, nel territorio della Capitanata.Sanità di Frontiera effettua ricerche e indagini tramite l’Osservatorio Internazionale perla Salute, un programma guidato da un prestigioso Comitato Scientifico che ha, altresì,mandato di fornire l’indirizzo strategico all’intera organizzazione. L’Osservatorio operaattraverso un ascolto costante delle istituzioni, dei medici e delle loro istanze, deicittadini e delle altre organizzazioni di settore. Oltre alla ricerca e all’azione, l’Osservatorio si adopera per fornire alle istituzioniinformazioni e dati sempre aggiornati per aiutarle a prendere le decisioni migliori.

Per una salute senza confini Ruota il punto di vista, cambia prospettiva

La lezione di Mohamed Keita

PREMESSAdi Ranieri GuerraINTRODUZIONEdi Giuseppe Petrella

Prima le personeMedici in prima lineaMAPPARete degli ambulatoriSTP/ENI a Roma e nel LazioINTERVISTAL’importanza di sporcarsi le mani (e di studiare): Salvatore Geraci

Il muro della disinformazione Parole: un nuovo linguaggio per le migrazioniGLOSSARIOMigrante, extra-comunitario, profugo, rifugiato, irregolare, clandestino, personaINTERVISTADire la verità per costruire l’integrazione: Ahmad EjazDATI DI REALTÀI numeri della migrazione in ItaliaMAPPAStranieri residenti per provinciaPrincipali paesi di provenienza degli stranieri extra UE

Il futuro oltre la siepe La convenienza della convivenzaLa vita per gli altriMAPPATasso di disoccupazione per provincia

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INTERVISTAUn’occasione per guarire la relazionemedico e paziente: Kossi Komla-Ebri

Colmare i divari: integrazione è salute Stranieri a casa nostra FOTONOTIZIASenza fissa dimoraINTERVISTALa responsabilità etica di produrre conoscenza: Santino SeveroniAPPROFONDIMENTOLe mappe del disagioMAPPAStranieri a rischio di povertà o esclusionesociale e tasso di sovraffollamento della popolazione straniera FOTONOTIZIAUn camper ai margini della cittadinanzaINTERVISTASuperiamo la visione emergenziale:Silvia Declich

Rimuovere ostacoli e barriere: La sicurezza che preoccupa: i puntidolenti del decreto 113.Il nodo della formazioneINTERVISTABreve storia della SIMM, avamposto di civiltà: Maurizio Marceca

La frontiera della politicaUna nuova agenda per la migrazionedi Francesco Aureli

Limes. Indirizzi utiliBibliografia essenzialeLa frontiera della salute

SOMMARIO

Una pubblicazione di: Sanità di Frontiera OnlusMarzo 2019

A cura di: Giulio Cederna

Redazione: Giulio Cederna, Michela Diodato, Valeria Vivarelli

Fotografie: Mohamed Keita

Elaborazione e illustrazione mappe: Velia Sartoretti e Alessandro Davoli(GisAction by TeamDev)

Progetto grafico e impaginazione: Daria Sorrentino

Stampa: Ograro srl

Si ringrazia Consulcesi Onlus

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presidente della Società Italiana di Medicina delleMigrazioni (SIMM), «proprio per questa sua pe-culiarità, l’articolo 32 è un patrimonio giuridicodi grande importanza che ci ha permesso fino adoggi di esprimere norme inclusive nel campo dellasalute, anche nei confronti di tutti quegli immigratiche oggi non sono al riparo dell’ombrello dellacittadinanza». Non è un caso che l’articolo siaopera di uomini appena usciti dagli orrori del na-zifascismo, consapevoli che nell’applicazione dellalegge possono sempre «entrare in giuoco elementirazzisti». La prima parte del comma si deve adesempio a Giuseppe Caronia, pediatra dell’università

di Roma, insignito dopo la sua morte del titolo diGiusto tra le Nazioni per aver protetto decine edecine di ebrei durante l’occupazione nazista. Ilsuo emendamento fu preferito dall’assemblea aquello, decisamente più blando, proposto da unonorevole repubblicano: la difesa e la cura dellasalute fisica dei cittadini è compito della Repubblica.«Un articolo di Costituzione deve essere sintetico- affermò Caronia, intervenendo a sostegno dellasua proposta. Mirabile esempio di sintesi, che inquattro parole tutto esprime, è la norma di dirittosancita da Roma antica: salus publica supremalex». La maggiore perfezione della formulazioneproposta da Caronia fu apprezzata dagli altri padricostituenti: «in termini alquanto generali e quindipiù propri per una Costituzione» (Tupini), l’articolodava forma a uno di quei diritti sociali che «costi-tuiscono delle innovazioni e dei germi che potrannoavere uno sviluppo nella legislazione ordinaria, eche, nel caso della salute, sono premessa indispen-sabile per poter affermare gli stessi diritti di libertà».«La salute - dichiarò in assemblea Mario Merighi,tisiologo di fama internazionale ed esperto di bo-nifiche idrauliche, eletto alla Costituente nelle filedel partito socialista - è il primo requisito essenzialeper la libertà dell'individuo. Un individuo malatoo minorato nelle sue capacità fisiche e intellettuali,indubbiamente non è più un uomo libero». Lasalute è dunque considerata un diritto fondamentaleperché garantendo l’integrità fisica e morale del-l’individuo permette l'esercizio di tutti gli altridiritti stabiliti dalla Costituzione e il pieno sviluppodella persona umana. Ancora più significativa, sepossibile, è la seconda parte del primo comma checoniuga il diritto individuale all’interesse di tutti.«La Repubblica tutela la salute come fondamentalediritto dell'individuo e interesse della collettività».«In questo modo - afferma Marceca - la nostraCostituzione sottolinea la forte interdipendenzatra salute individuale e collettiva: trascurare lasalute di una persona, nel caso di malattie tra-

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La Repubblica tutela la salute come fondamentale

diritto dell'individuo einteresse della collettività, e garantisce cure gratuite

agli indigenti».Costituzione Italiana

Articolo 32

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Prima le persone

L’articolo 32 della Costituzionestabilisce che la tutela della salute è un diritto fondamentale dell’ individuo, da difenderenell’interesse della collettività. La sua formulazione ha permesso di esprimere norme inclusive anche in relazione ai migranti. Garantire il diritto alla salute di chi arriva inItalia è uno dei principali doveri di chi ha a cuore la salute di tutti.

Se c’è un ambito nel quale non è possibile sta-bilire gerarchie tra persone di serie A e diserie B, ad esempio tra cittadini italiani e

persone straniere, così come propugnato dal refrainprima gli italiani, questo è per definizione il campodella salute. Lo stabilisce l’articolo 32 della Costi-tuzione italiana indicando nella tutela della saluteun «fondamentale diritto dell’individuo», unicodiritto della nostra carta riferito esplicitamenteall’individuo, piuttosto che al cittadino, e qualificatocon l’aggettivo fondamentale. Come osserva Mau-rizio Marceca, professore di Igiene generale e ap-plicata all’Università La Sapienza di Roma, nonché

LA COPERTINA

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Le grandi enunciazioni da sole non bastanose la società e la politica non creano le con-dizioni per trasferire i principi dalla carta

alla realtà. L’affermazione in concreto del dirittoalla salute per tutti i cittadini italiani si è avuta il23 dicembre del 1977 con la nascita del ServizioSanitario, un piccolo grande miracolo nella direzionedi una società più inclusiva. Ma creare i presuppostiper fare accedere alle cure anche le diverse categoriedi immigrati, è stato un percorso assai più acci-dentato e difficile, reso possibile dalla lungimiranzadi tanti operatori, medici, volontari, che hannodeciso e decidono tutt’oggi di impegnarsi in primalinea. Nel corso degli anni Ottanta, in tutte leprincipali città vedono la luce ambulatori e serviziad opera del cosiddetto privato sociale che intendonodare una riposta ai bisogni inevasi degli stranieri,a quel tempo fuori dai radar della sanità pubblica.Allora, infatti, gli immigrati si dovevano accontentareper legge, quando ne venivano a conoscenza, dellecure offerte dal pronto soccorso. «Agli stranieripresenti nel territorio nazionale sono assicurate,nei presidi pubblici e convenzionati, le cure urgentiospedaliere per malattia, infortunio e maternità»(Art. 5, D. L. 30 dicembre 1979, N. 663). A Roma, già a partire dal 1983, su impulso di DonLuigi Di Liegro, la Caritas avvia un poliambulatoriodi base aperto a tutte quelle persone (stranieri,rom, poveri) che non godono dell’assistenza sanitariapubblica e gratuita. Presso via Marsala, è attivoanche un servizio che raccoglie e smista farmaci,mentre per i rom confinati nei campi viene realizzataun’apposita unità mobile. «La malattia e di per seun elemento emarginante, soprattutto per chi none adeguatamente tutelato - scrive in quegli anniDi Liegro - Pur essendo il diritto alla salute unodei diritti irrinunciabili per l’uomo, migliaia dipersone anche nella nostra citta ne sono di fattoesclusi: immigrati irregolari e clandestini, nomadi,

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smissibili ma non solo, può mettere a repentagliola salute degli altri. Viceversa è interesse generaleesprimere normative che favoriscano l’accesso allecure da parte di tutti». Anche da parte di chi nonse le può permettere, ad esempio gli indigenti,come conclude esplicitamente l’articolo. Dove perindigenza non si intende la semplice povertà, mal’indigenza medica, ovvero l’impossibilità di accederea specifiche cure a pagamento (Corte costituzionale,n. 992/1988).I principi fondamentali che informano il dettatocostituzionale (rispecchiando alcuni degli assuntibasilari della moderna scienza medica), ritornanodi grande attualità oggi, a settant’anni dalla sua

I l diritto alla salute è più volte affermatoda numerosi documenti e trattati in-

ternazionali.La Costituzione dell’Organizzazione Mon-diale della Sanità (1946) definisce lasalute non come semplice assenza dimalattia, ma come «uno stato di com-pleto benessere fisico, mentale e sociale»e afferma che «il godimento delle miglioricondizioni di salute raggiungibili costi-tuisce uno dei diritti fondamentali diogni essere umano, senza distinzioni dirazza, religione, credo politico, condizioneeconomica o sociale». L’articolo 12 del Patto internazionalesui diritti sociali, economici e culturali(1966) postula «il diritto di ogni indi-

viduo a godere delle migliori condizionidi salute fisica e mentale che sia in gradodi conseguire». Tale diritto deve essere garantito dagliStati nel rispetto di quattro criteri fon-damentali (Commento n. 14 del Comitatodelle Nazioni Unite, 2000): la disponibilitàdi strutture, beni e servizi; la loro ac-cessibilità senza discriminazioni, appro-priatezza etica e culturale, e qualità. Ilcommento n. 14 postula il collegamentotra diritto alla salute e diritti sociali,mettendo l’accento sui determinanti so-ciali del diritto alla salute, ovvero lecondizioni non strettamente sanitarieper garantire il benessere della persona,come l’uso dell’acqua pulita, la dispo-

nibilità di cibo, la qualità dell’abitazione,eccetera. La Convenzione di Oviedo suidiritti dell’uomo e la biomedicina delConsiglio d’Europa (1997) impegna glistati a «garantire un accesso equo aun’assistenza sanitaria di qualità adeguata,in base alle esigenze della persona». L’ar-ticolo 35 della Carta dei diritti fonda-mentali della UE afferma che «ogni in-dividuo ha diritto di accedere alla pre-venzione sanitaria e di ottenere curemediche alle condizioni stabilite dallelegislazioni e prassi nazionali. Nella de-finizione e nell’attuazione di tutte lepolitiche e attività dell’Unione è garantitoun livello elevato di protezione della sa-lute umana». l

PIONIERI

Medici in prima linea

Dall’attività pionieristica dei primi ambulatori apertiagli immigrati negli anniOttanta, alla nascita dellaSIMM, alla stesura di unarticolo di legge fondamentalealla metà degli anni Novanta.

approvazione, in un contesto profondamente mu-tato, segnato dalla presenza significativa di personeimmigrate e insieme dall’ascesa di pulsioni xenofobe.Lo ribadisce con forza, fin dal sottotitolo, il Rapportosulla salute di rifugiati e dei migranti nella regioneeuropea pubblicato dall’Organizzazione Mondialedella Sanità all’inizio del 2019: «non c'è salutepubblica se non c'è salute per rifugiati e migranti».«Rifugiati e immigrati godono lo stesso dirittoumano alla salute di qualsiasi altro - afferma Zsuz-sanna Jakab, direttrice generale dell’OMS per l’Eu-ropa - una priorità è migliorare la protezione dirifugiati e migranti, compreso lo sviluppo di sistemidi meccanismi finanziari sostenibili, a livello na-zionale e internazionale, per assicurare la coperturasanitaria universale e la protezione sociale. Un’altrapriorità fondamentale è ridurre la xenofobia, ladiscriminazione e lo stigma sperimentati spessodai rifugiati e dai migranti» (OMS 2018, p. V). Ilrapporto ricorda infatti che una delle maggioriminacce per la tutela della salute pubblica è rap-presentata oggi proprio dal ritorno di quelle ideo-logie e di quelle istanze discriminatorie che «ri-schiano di farci recedere dalle conquiste raggiunte».Il diritto alla salute non è solo un fondamentalediritto umano sancito dai trattati internazionali,ma è un pre-requisito fondamentale della salutepubblica, perché «la sicurezza della salute collettivaè in definitiva la somma della sicurezza della saluteindividuale, che si raggiunge attraverso la coperturasanitaria universale», e perché «gruppi di popola-zione con una bassa copertura sanitaria possonoavere impatti negativi sull’intera comunità» (p.11). Difendere e garantire il diritto alla salute degliimmigrati è quindi oggi uno dei principali doveridi chi ha a cuore la salute di tutti. l

In queste pagine, due immagini storichedel poliambulatorioCaritas di via Marsala.Questa qui sotto risaleal 1986. L'immaginenella pagina a destra èstata scattata nel 1991. (Archivio Caritas)

Tra altri volontari eobiettori di coscienzadel poliambulatorioCaritas si riconosconoSalvatore Geraci, Riccardo Colasanti e Maurizio Marceca. (Archivio Caritas)

Il diritto alla salute nei trattati internazionali

senza fissa dimora». «Il diritto alla salute è negatoper legge ai clandestini e nascosto ai regolari», de-nunciano Salvatore Geraci e Maurizio Marceca,allora giovani volontari presso il poliambulatorioCaritas. Negli stessi anni, a Milano, Italo Siena -denuncia la situazione di precarietà e grave emar-ginazione degli immigrati condannati ad essereirregolari, «in quanto non vi è nessuna legge chedà la possibilita di essere regolarizzati. Gli immigratinon esistevano e, non esistendo i loro corpi, non

Breve storia di alcune persone illuminate e di tantimedici in prima linea che con il loro impegno hannoconcorso a rendere effettivo il diritto alla salute per tutte le persone immigrate.

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vi era nessuna assistenza sanitaria che li riguardasse».Dall’intraprendenza di questo medico illuminatonasce un ambulatorio di medicina generale perstranieri e rom che compie visite specialistiche edispensa farmaci, e nel 1989 l’Associazione Naga,attiva anche nel campo della consulenza legale edella difesa dei diritti sociali. Altri ambulatori pergli immigrati irregolari operano in quegli anni aBologna, Genova, Palermo e in altre città, mentrenel 1990 nasce a Roma, presso l’associazione Fer-dinando Rielo, la Società Italiana di Medicina delleMigrazioni (SIMM), destinata a diventare un au-torevole punto di riferimento nel campo dellaricerca e dell’advocacy per favorire il cambiamentodelle politiche. «In quel contesto, le domande e isogni dei medici volontari in varie parti del nostropaese iniziarono a diventare un progetto: comeassicurare un’attenzione sanitaria a chi si vedevanegato questo diritto? La nuova realtà dell’immi-grazione richiedeva la capacità di inventare nuovipercorsi, capacità di trasformare una società im-postata per una sola cultura ed un solo territorioin uno spazio inter-etnico, aperto al dialogo edalla costruzione del bene comune, disponibile eaccessibile per tutti» (M. Affronti, 2018). Dalla metà degli anni Novanta, questo laboratoriovitale di sperimentazioni, iniziative, proposte, inizia

L a prima disposizione aestendere allo straniero

temporaneamente presente nelterritorio dello stato, anche seirregolare, i programmi dimedicina preventiva e la tuteladella maternità, oltre ai servizidi emergenza, risale al decretolegge n. 489 varato dal Go-verno Dini nel 1995 princi-palmente per rispondere al-l’esodo dei profughi dall’exJugoslavia. Il contenuto del-l’articolo 13 viene recepitodalla Legge 40 Turco Napoli-tano (marzo 1998, www.ca-mera.it-/parlam/leggi/dele-ghe/98286dl.htm), poi con-fluita nel Testo unico delle di-sposizioni concernenti la di-sciplina dell’immigrazione enorme sulla condizione dellostraniero (D.Lgs. 286, luglio1998), i cui principi hannotrovato concretezza applica-tiva nel Regolamento di at-

tuazione (D.P.R. n. 394, 31agosto 1999). Ulteriori chia-rimenti sono stati forniti dauna Circolare del Ministerodella Sanità datata 24 marzo2000. In particolare l'articolo34 del Testo Unico («Assi-stenza per gli stranieri iscrittial Servizio sanitario nazio-nale») prevede, con l’intentodi sostenere i percorsi di in-tegrazione e di cittadinanza,che gli stranieri legalmente estabilmente presenti siano ob-bligatoriamente iscritti al SSN.Rispetto alla normativa pre-cedente, viene eliminato il re-quisito della residenza comecondizione indispensabile aifini dell’iscrizione al SSN (art.34, comma 7). In mancanzadi residenza, il cittadino stra-niero è iscritto, con i familiaria carico, negli elenchi degliassistibili dell’Azienda sani-taria locale nel cui territorio

ha effettiva dimora (ovveroquello indicato nel permessodi soggiorno). L'articolo 35 del Testo unicogarantisce (commi 3, 4, 5 e6) la tutela sanitaria «a salva-guardia della salute indivi-duale e collettiva» anche neiconfronti di coloro «non inregola con le norme relativeall'ingresso ed al soggiorno».La prescrizione e la registra-zione delle prestazioni neiloro confronti vengono ef-fettuate «utilizzando un codiceregionale a sigla STP (Stra-niero Temporaneamente Pre-sente). Tale codice identifi-cativo è composto, oltre chedalla sigla STP, dal codiceISTAT relativo alla strutturasanitaria pubblica che lo ri-lascia e da un numero pro-gressivo attribuito al momen-to del rilascio. Il codice, rico-nosciuto su tutto il territorio

nazionale, identifica l'assistitoper tutte le prestazioni di cuiall'articolo 35, comma 3, delTesto Unico» (www.gazzet-taufficiale.it/eli/id/1999/11/03/099G0265/sg). La legge Bossi Fini (n. 189/2002) e il suo regolamentodi attuazione (2004) nonhanno modificato le dispo-sizioni in materia sanitaria.Con la riforma del Titolo Vdella Costituzione (legge co-stituzionale n° 3, 18 ottobre2001), tuttavia, le Regioni han-no ottenuto il riconoscimentodella potestà legislativa con-corrente con quella dello Stato.Il decentramento gestionaledella sanità ha determinatonegli anni una frammenta-zione di norme e pratiche chenon garantiscono uniformitàe continuità di cure alle per-sone immigrate su tutto il ter-ritorio nazionale. l

finalmente a fare breccia nel quadro normativolacunoso e frammentario del tempo, favorendol’emersione del diritto alla sanità pubblica ancheper le persone irregolari, nel rispetto della Costi-tuzione. In particolare, l’articolo 13 di un decretolegge restrittivo emanato del Governo Dini (1995),poi confluito nel 1998 nella legge Turco Napolitanoe nel Testo Unico sull’immigrazione, stabilisceche «anche coloro che sono presenti in Italia incondizioni di irregolarità giuridica e clandestinitàhanno diritto non solo alle cure urgenti ma anchea quelle essenziali, continuative ed ai programmidi medicina preventiva». Da allora sono subentrate nuove leggi e nuoveprocedure, la riforma del titolo V della Costitu-zione ha dato nuovi poteri alle Regioni, ma quelprincipio di fondo - sostanziato dall’introduzionedel codice STP per garantire le cure anche degliStranieri Temporaneamente Presenti, senza per-messo di soggiorno né residenza - sulla carta èrimasto invariato. Oggi, però, le recenti disposizioni del decreto n.113/2018, in un quadro segnato dal graduale in-debolimento degli investimenti nella sanità pubblica,rischiano di allentare il sistema di tutele per lepersone immigrate (e di conseguenza anche per icittadini italiani). l

14

Salute e immigrazione: cosa dice la legge

Rete degli ambulatori STP/ENIa Roma e nel Lazio

Anno: dicembre 2018Fonte: Regione Lazio

Secondo la legge, le persone straniere presenti sul territorio italianohanno diritto di ricevere un’assistenza sanitaria pur non essendo inregola con il permesso di soggiorno. Per accedere alle cure devonorichiedere un tesserino presso appositi uffici della ASL denominatiSTP/ENI, ossia per Stranieri Temporaneamente Presenti o perEuropei Non Iscritti. Nel 2019, Sanità di frontiera, GRIS Lazio, SIMMe Caritas, hanno realizzato la mappa della rete degli uffici e degliambulatori STP/ENI di Roma e del Lazio, con l’obiettivo di rendereimmediatamente disponibili tutte le informazioni ai potenziali utentie di orientare il personale dei servizi. www.sanimapp.it

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1716

Salvatore Geraci è responsabile da quasi 30 anni dell’Area sanitaria per immi-grati e rom della Caritas capitolina, ed è stato per nove anni presidente dellaSIMM.

Ci racconta com’è cominciato il suo impegno: una vocazione?In realtà ho iniziato a occuparmi di immigrazione per una circostanza assolutamentecasuale. A metà degli anni ’80 ero impegnato nella società civile, ero stato tra i fon-datori del Comitato per il Parco della Caffarella, e feci domanda per poter fare l’obiet-tore di coscienza mettendo in conto di poter prestare servizio in qualche biblioteca.Mi stavo per laureare in medicina ma non pensavo ci fosse un luogo dove poter met-tere a frutto quel poco di competenze che avevo acquisito, quando un giorno vidiun’intervista a Don Luigi di Liegro sull’ambulatorio per migranti da poco aperto vi-cino alla stazione Termini. Chiesi di poter integrare la mia domanda indicando laCaritas romana come destinazione e alla fine (dopo oltre 18 mesi d’attesa) venni as-segnato all’ambulatorio della Caritas, era l’ottobre del 1986. Terminati i venti mesidi Servizio Civile, Don Luigi mi chiese di restare e di continuare ad impegnarmi perla salute dei migranti. E sono rimasto… fino ad oggi.

Com’era lavorare con Di Liegro?Per Don Luigi l’impegno al fianco degli emarginati e dei poveri non doveva esaurirsinell’offrire dei servizi, anche se altamente qualificati e professionali, ma esigeva unaattenzione particolare, uno sforzo in più, come diceva lui, ovvero la possibilità di met-tersi in discussione e di lasciarsi cambiare dall’incontro con l’altro. Bisognava fare espe-rienza, sporcarsi le mani, impegnarsi in prima persona, ma allo stesso tempo DiLiegro ci chiedeva di studiare e trasmettere ciò che imparavamo. L’immagine che ciguidava era una frase di Paolo VI che diceva: «l’uomo contemporaneo ascolta piùvolentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni».Per questa ragione, fin da subito, cominciammo a raccogliere dati. Oggi abbiamo labanca dati più vecchia e tra le più grandi d’Italia: circa 90 mila schede pazienti, 300mila schede diagnosi a partire dal 1987.Allora però l’immigrazione nel nostro Paese era ancora allo stadio embrionale.I numeri degli immigrati in Italia erano certamente molto diversi rispetto a quelli dioggi. Ma già a quel tempo la nostra grande battaglia era quella di dire che l’immi-grazione, lungi dall’essere un fatto transitorio, sarebbe presto diventata un fenomenostrutturale, culturalmente necessario e socialmente significativo. Quando facevamoquesti discorsi ci pigliavano per matti. Pensavano che fossimo fuori dal mondo.

Fin da subito vi confrontaste con il tema del pregiudizio. In che modo? Fin dai primissimi anni la nostra riflessione si concentrava sulla relazione medico-paziente e su tutto ciò che potesse condizionare tale rapporto, ad esempio i pre-giudizi, che tra l’altro erano reciproci. Gli immigrati, ad esempio, avevanol’aspettativa di incontrare da noi una sanità ipertecnologica, mentre qui non tro-vavano nemmeno i diritti: a un immigrato potevo dare solo quello che sapevo fare,ma non potevo certo attingere ad altri servizi perché la legge non lo prevedeva.D’altra parte in quei tempi ci capitava spesso di leggere dichiarazioni di professori

L’INTERVISTA

L’importanza di sporcarsile mani (e di studiare)

Salvatore Geraci

o politici che pontificavano sulla salute degli immigrati senza mai averne vistonemmeno uno. Riccardo Colasanti, un collega che aveva fondato l’ambulatorioCaritas qualche anno prima, disse che erano vittime della sindrome di Salgari,grande scrittore che ha saputo farci sognare la Malesia e altri mondi fantastici senzamai esserci stato. Chi come noi gli immigrati li incontrava ogni giorno, al contrario,trovava cose molto diverse rispetto a quanto affermavano questi sedicenti esperti.Quella dissonanza divenne evidente nel 1990, quando durante gli Stati generalidella migrazione organizzati a Roma in occasione del varo della legge Martelli, ciritrovammo insieme ad altri gruppi del privato sociale che facevano assistenza aimigranti: il Naga di Milano, il Biavati di Bologna, la Croce Rossa di Genova, il SantaChiara di Palermo, eccetera. Si trattava sostanzialmente di ambulatori per poveriche poi con la crescita del fenomeno dell’immigrazione sono diventati progressi-vamente ambulatori per migranti, e che adesso, paradossalmente, stanno ritor-nando ambulatori per poveri. Ognuno portò le sue casistiche e così scoprimmoche i nostri pazienti, pur provenendo da popolazioni diverse di riferimento, ave-vano le stesse caratteristiche, erano sovrapponibili… Le patologie che vedevamonoi a Roma, erano le stesse patologie che vedevano a Milano, Bologna, Palermo eGenova. Ed erano molto diverse da quelle che leggevano dalle dichiarazioni di mi-nistri, politici che parlavano di malattie esotiche, tropicali, eccetera. Al contrarioerano malattie dovute al disagio e alla povertà.

Già allora quindi emergeva la stretta correlazione tra salute degli immigrati e con-dizioni di vita?Oggi il concetto che la salute sia legata ai determinanti sociali è diventato il paradigmadella sanità. C’è un’ampia letteratura sulle cosiddette cause distali delle malattie…l’inclusione sociale, la coesione sociale, il reddito, le reti, eccetera. Noi allora non ave-vamo ancora gli strumenti per affermarlo con precisione, ma lo intuivamo, e avevamocapito che prima di parlare di salute degli immigrati bisognava comprendere gli sce-nari dell’immigrazione. Solo studiando i modi in cui gli immigrati si strutturano al-l’interno del paese è possibile capire quali sono le patologie che possiamo aspettarci,prima ancora delle patologie esotiche che pure possono marginalmente esserci, mache non sono la causa principale del disagio degli immigrati. E questa è l’imposta-zione che manteniamo ancora oggi anche in percorsi formativi locali e nazionali.

Ma dall’insegnamento di Di Liegro avete avuto anche “stimoli politici” …Per don Luigi l’impegno di carità non poteva prescindere dell’impegno per la giu-stizia. Ed anche la solidarietà aveva una precisa accezione: «essa non e un vago sen-timento di compassione - ci diceva - ne si fonda su un sentimento di altruismoingenuo, ma nasce dall’analisi della complessità sociale, dai guasti del sistema so-ciale disordinato, dal degrado morale e culturale provocato dalla legge del più forte,dalla carenza di etica collettiva». Anche qui mi viene in mente un insegnamento diPaolo VI e cioè che «la politica è la forma più alta della Carità». Questo è l’imprintigche la mia generazione di medici, molti obiettori di coscienza al servizio militare,impegnati in quel piccolo ambulatorio alla stazione Termini ha respirato e vissuto.E si capisce il grande impegno, certamente non in modo isolato (la rete altro valoreinsegnatoci da don Luigi), che abbiamo avuto per far emergere il diritto alla tutelasanitaria per gli immigrati, e che ha prodotto nel tempo delle norme inclusive, coe-renti con la nostra Costituzione, e che hanno resistito anche a politiche certamentenon favorevoli agli immigrati.Ecco, questo pendolo tra l’impegno concreto, quotidiano con le persone stranieree con quelle più fragili della nostra società, e l’attenzione alle politiche, agli scenarisociali e istituzionali, potremmo dire con una frase di oggi, è la cifra del nostroagire e di migliaia di volontari che in questi anni sono stati protagonisti, forse in-consapevoli, di un piccolo cambiamento culturale. l

Primo comandamento: vietato segnalare

L’accesso alle strutture sanita-rie da parte del cittadino nonin regola con le norme sulsoggiorno non può compor-tare alcun tipo di segnalazio-ne all'autorità, salvo i casi incui sia obbligatorio il referto, aparità di condizioni con il cit-tadino italiano». La disposizione del comma 5dell’articolo 35 del Testo unicosull’immigrazione - purtroppospesso disattesa per un malin-teso senso del ruolo e dellefunzioni del sistema sanitariopubblico - è un principio fon-damentale per garantire la tu-tela della salute pubblica, e ildiritto di ciascuno alle cure. È evidente infatti che renden-do perseguibile, sulla base delsuo status giuridico, un sog-getto portatore di un bisognodi salute, si corre il rischio dialimentare la sua diffidenzanei confronti del servizio e diattivare una potenziale, peri-colosa condizione di clandesti-nità sanitaria che potrebbemettere a repentaglio la salu-te dell’intera collettività.

Salvatore Geraci è responsabile

dell’Area sanitaria per

immigrati e rom della Caritas

capitolina. È stato presidente

della SIMM (Società Italiana

di Medicina della Migrazione)

dal 2000 al 2009 e attualmente

fa parte del coordinamento dei

Gruppi locali Immigrazione esalute (GrIS). È stato membro

di vari tavoli istituzionali sui

temi salute, migrazione

e disuguaglianze e collabora

con alcune Aziende sanitarie

e diverse Università.

È nel comitato scientifico di

alcune riviste e organizzazioni

scientifiche. È componente

del Gruppo di lavoro per la

promozione e la tutela della

salute degli immigrati della

Regione Lazio istituito presso

l’Assessorato regionale alla

sanità ed è direttore

dell’Executive master in SaluteGlobale e Migrazioni.

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maggiore di quella che si riscontra negli altri Paesi:ben il 46% degli italiani ritiene affidabile la nar-razione mediatica, il 12% pensa sia eccessiva-mente favorevole e positiva, e solo il 26% pensache il fenomeno sia ritratto in maniera sfavore-vole. Generalmente i Paesi che su questi temi con-fidano maggiormente nei media sono quelli checi hanno abituato a frequenti manifestazioni dixenofobia (ad esempio l’Ungheria) mentre si os-serva una maggiore distanza critica nei Paesi aforte tradizione democratica (UK, Danimarca,Francia, Svezia). Per effetto della scarsa informazione e di un’ecces-siva fiducia nei media, in Italia lo scarto tra la re-altà percepita e i dati base del fenomeno è tra i più

elevati d’Europa. Se mediamente in Europa i citta-dini valutano una presenza percentuale di immi-grati poco più che doppia rispetto a quella reale(2,3 volte superiore), in Italia la stima per eccessoè addirittura tre volte e mezzo: mediamente gli ita-liani interpellati pensano che gli immigrati regolariextra UE siano il 25%, addirittura una persona suquattro, contro una media reale del 7% (calcolataal momento della rilevazione il 1° gennaio 2017).Ancora più clamorosa è la distorsione della perce-zione del rapporto tra immigrati regolari e irrego-lari, un dato che da solo mostra tutto il peso dellanarrazione mediatica sul dibattito pubblico: se inmedia in Europa ben il 29% del campione inter-pellato pensa che gli immigrati irregolari superino

1918

Il muro della disinformazioneSe c’è un luogo del nostro sapere politico e so-

ciale che evoca l’idea della frontiera della co-noscenza, del limite della nostra stessa

capacità o volontà di capire, questo sembra essereproprio il campo dell’immigrazione. Il paradossodel vivacissimo dibattito su questo argomentocruciale, infatti, nel nostro Paese è rappresentatoproprio dalla sproporzione tra il diluvio quoti-diano di prese di posizione, news, variazioni sultema, e la diffusa, generale, ignoranza dei princi-pali dati di fatto, come testimoniano numerose ri-cerche sulla percezione del fenomeno.I cittadini italiani (e di tanti altri Paesi europei)hanno una visione fortemente distorta della quan-tità, della composizione, delle caratteristiche prin-

La mala-informazione degli italiani in materia di immigrazione rappresenta un serio ostacolo alla ricercadi politiche e soluzioniragionate. Come certificanonumerose ricerche, la percezione prevalente del fenomeno - condizionata da rappresentazionimediatiche emergenziali e allarmiste - sovrastima la presenza degli stranieri e in particolare di quelliirregolari. Un italiano su due pensa addirittura chequest’ultimi - una piccolaminoranza - rappresentino lamaggioranza degli immigratipresenti nel nostro Paese.

cipali del fenomeno migratorio. Il sondaggio con-dotto dalla Commissione Europea nell’ottobre2017 sull’integrazione degli immigrati in Europa(EU Commission, Special Eurobarometer 469,April 2018) mostra come, in media, meno di 4 cit-tadini europei su 10 pensino di essere ben infor-mati sull’immigrazione e sui fenomeni ad essacollegati. Solo in 5 paesi su 28 gli intervistati (chesi ritengono) ben informati sono più della metàdelle persone interpellate (Danimarca, Svezia,Paesi Bassi, Germania, Lussemburgo). In Italiaprevale il realismo e la percentuale delle personeche dichiarano di sapere raggiunge il 34%, duegradini sotto la media europea del 36%. E tuttavia,nel nostro Paese, la fiducia nei media è molto

LA COPERTINA

LA COPERTINA

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recente realizzata nel 2018 dal National bureau ofeconomic di Harvard per indagare l’effetto dellapercezione degli immigrati sulle politiche socialidi redistribuzione. Secondo questo studio, nel no-stro paese la presenza percepita degli immigratiraggiunge addirittura il 26% e «la disinformazioneriguarda anche la composizione degli immigrati.Credono che vengano prevalentemente da regioniculturalmente più lontane o 'problematiche' diquanto non sia, e che siano economicamente piùdeboli e meno abili di fornire contributi al paeseospite di quanto non sia» (Alesina, Miano, Stan-tcheva, Immigration and redistribution, Nber wor-king paper, http://www.nber.org/papers/w24733). Vi è una sovrastima del 14% della quota di immi-grati musulmani provenienti dal Medio oriente edal Nord Africa e del 35% della quota di stranieridisoccupati. E le distorsioni, avverte l’indagine,sono molto più presenti in tre gruppi di rispon-denti: chi è privo di una formazione universitaria;i lavoratori poco qualificati nei settori a forte pre-senza di immigrati; gli elettori che votano a destra. Se è vero quindi che «molto del dibattito politicosull’immigrazione ha luogo in un mondo di di-sinformazione», la ricerca mostra tuttavia quantosarebbe sbagliato trarre la conclusione che tale di-battito avvenga sul 'nulla'. Al contrario le convinzioni erronee dei cittadinisono così radicate, consolidate e innervate in unsistema di informazione chiuso che finiscono peralimentare un circolo vizioso estremamente per-vicace: «Poiché la disinformazione è endogena,può nascere un circolo vizioso. Più i nativi sonodisinformati, più diventano contrari all’immigra-zione e alla redistribuzione delle risorse, e più pos-sono cercare conferma delle loro vedute neimedia. Allo stesso tempo, i media sono incentivatiad offrire un’informazione a supporto di questipunti di vista. Ad esempio, gli immigrati che com-mettono crimini possono ricevere più coperturarispetto ai non immigrati che commettono lostesso crimine». Un cortocircuito difficile da scal-fire, come dimostra il proliferare di tutta una seriedi luoghi comuni. l

20 21

quelli regolari, e il 18% che siano grosso modo lostesso numero, in Italia quasi la metà degli inter-vistati, ben il 47%, ritiene che i primi siano in nu-mero maggiore dei secondi, e il 24%, un italianosu 4, crede che si equivalgano. Solo il 16% degli in-terpellati dà una risposta corretta. I dati reali, chesvilupperemo nelle pagine seguenti, ci diconoquanto sia incredibilmente e sistematicamentesballata la percezione del fenomeno e non solo nelnostro Paese. Come dimostrano gli studi realizzati in questocampo, ad esempio l’indagine Perils of perceptions,le cose non sono così cattive come sembrano, pro-mosso dall’Istituto di ricerca Ipsos-Mori, più chedi semplici errori si tratta di «distorsioni» (bias) si-stematiche che chiamano in causa la natura dei no-stri stessi processi cognitivi: riguardanogeneralmente i temi mediatici più caldi, più pre-senti alla nostra memoria, e dei quali tendiamo asovrastimare il peso nella nostra personale rico-struzione dei fenomeni. A conclusioni analoghe perviene una ricerca più

Sono obiettivi Sono troppo positivi Sono troppo negativi Non so

HR LT FI SI LV PT RO MT PL CY IE CZ SK AT IT ES HU LU BG EE BE EU28 EL DE SE NL FR DK UK

58 5854 53 52 52 52 51 50 49 49 47 47 46 46 45 45 45

42 42 41 39 38 3732

28 27 26 25

8 10 15 149 10 8 10 8 9 13

22 2318

12 9 8 716

1210 12

2320

17

12 126 6

26 2327 27

25

17

2729

27 2525 20 18

29

2635 37

33

14

26

46

3631

3041

55

4859

54

8 9 4 6 14 21 13 10 15 17 13 11 12 7 16 11 10 15 28 20 3 13 8 13 10 5 13 9 15

588 58854 53 52 524 3 2 2

88 9 4 6 14 219 21464

266 2327 27

25

17

35

77

7

88 100 15 149 10

5 49 0

2 52 51 502 2 51

1 13 10 15 17 13 111375031

7

2729

27 2525 2005

5

97

7

7

0 8 10 8 9 1322

0 8 0 8 9 32

12 7 16 11 10 15 28501672

1829

2635 37

33

14

756

98

3

2318

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28

3

28 20 3 13 8 13 100383308

14

26

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031

6

6

6

4

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10 12

2320

17

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0 2

0

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5 50 49 49 4751 0 49 9 47

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28 27 26 258 7 6 5

12 126 6

2 266

% immigrati secondo il campione intervistato % immigrati da dati ufficiali

IT PT ES LUIE UKCY EL SI BEBG ATEU28 FRPL RO MTCZSK HU LT NL DE LVDKFI SE HR EE

24,6

20,6

23,224,4

17,2

21

18,920 20,1 19,4

11,3

20,1

16,718,1

10 9,7

15,8

10,5

8,3 8,810,2

13,5 13

15,4

10,5

6,9

12,711,4

12

76,2

8,8

11

4,1

8,67

8,4 8,7 8,8

1,3

10,4

7,28,9

1,1 1,2

7,8

2,70,6 2

3,8

9,1 8,8

11,5

7,6

4,1

12,411,3

13,1

17,27,2

24,64,6

20,60,618,98,9

23,23,2

212121200

16,76,7

20,10,1

24,44,4

19,49,418,18,11

15,85,8

20,10,1

15,45,4

HUSK ROPL BG IE

8,3,3100

11,31,39,7,7

8,8,8

,14,1

22,21,2,31,3,11,10,6,6

% immigrati secondo il campione in

LTCZ CYIE ESPTIT

10,50,5,88,8

10,20,2

,83,8

77,26,277

,72,711

ondo il campione intervistato % immig

EU28 BESIELUK LU

8,9,88,8

111

,78,7,27,2

,48,4,68,6

% immigrati da dati ufficiali

FI DKDENLMTFR AT

13,53,5

,9

133

,6

0,50,5

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,88,89,1,1

4,1,1

6,9

0,410,4

,87,8,9,9

EEHRSEDK LV

11,4,4

212

,311,32,4

12,72,7

12,4

11,5,513,13,1

La fonte: il sondaggio di Eurobarometro

Dal 2007 il Parlamento europeoha inaugurato Eurobarometro,una propria serie di sondaggisulla percezione e sulle aspetta-tive dei cittadini a proposito deiprincipali temi in agenda. Il son-daggio Integration of immi-

grants in the European Union,pubblicato ad aprile 2018, inten-deva comprendere le opinioniprevalenti sul fenomeno migra-torio nei diversi paesi europeiper rispondere alle sfide dell’in-tegrazione. Il questionario hausato un nuovo set di domandedisegnate per l’occasione ed èstato proposto tra il 21 e il 30 ot-

tobre 2017 a 28 mila residentidei 28 paesi, appartenenti a di-versi gruppi demografici e so-ciali, attraverso interviste facciaa faccia nelle loro case e nellaloro lingua madre. Il questiona-rio definisce immigrati quellepersone nate fuori dall’Unioneeuropea che hanno lasciato illoro paese natale e vivono legal-

mente e momentaneamentenel Paese ospitante. «Questadefinizione è stata ripetuta piùvolte nel corso delle intervisteper accertarsi che i rispondentiavessero compreso. Nonstiamo parlando di cittadini eu-ropei, né di figli di immigraticon la nazionalità europea, nédi immigrati irregolari».

Come pensi che siail tuo livello di informazioneriguardo l’immigrazione e i relativi problemidi integrazione?

Quando i mediaparlano di notizieriguardanti gli immigraticome ritieni presentino la notizia?

Diresti che nel tuo paesesono presenti più immigrati legali o illegali?

In base alla tuaconoscenza qualepensi che sia lapercentuale di immigrati rispetto allapopolazione totale nel tuo paese?

Anno: fine 2017Fonte: European Commission/Eurobarometro

Page 13: Sanità di frontiera...politica che affronta il fenomeno, perché, come illustreremo in questa pubblicazione, è pro vato da diverse fonti autorevoli che l’immigrazione, se ben gestita,

Immigrati regolarmente residenti Immigrati sbarcati

20182017201620152014201320122011201020092008200720062005200420032002

1.3411.465

1.855

2.2102.419

2.593

3.023

3.4023.648

3.8794.052

4.388

4.922 5.014 5.026 5.047 5.065

23,7 23,314,3 13,6 22,9 22 20,4 36,9 9,6 4,4 64,3 13,2 42,9170,1 153,8 181,4 119,3

2.210

3.402

3.023

2.5932.419

2.210

4.922

4.388

4.0523.879

3.648

5.0655.0475.0265.0144.922

2002 2003 2004 2005

,7 3 6 9

1.855

1.4651.341

,22,13,1432

Immigrati regolarmente residen

2005 2006 2007 2008 2009

9 22 4 ,9 69,3620,

esidenti Immigrati sbarcati

2010 2011 2012 2013 2014

4 3 2 9071

,42,134,64,

2014 2015 2016 2017 2018

,1 8 4 3 3,911,118,315,23

duzione nel 1998 del “reato di immigrazione clan-destina”, che tende a connotare l’intero fenomenoall’insegna dell’oscurità, della segretezza, e quindidel pericolo. Un’altra significativa mutazionelessicale segnalata dal rapporto è il progressivo so-pravvento del termine migrante sulla parola im-migrato, a indicare il continuo divenire dell’azionedel migrare tra attese infinite di permessi e la con-tinua ricerca di un transito verso altre mete. Un’altraricerca autorevole, lo storico rapporto firmato daCaritas e Migrantes giunto alla ventisettesima edi-zione, rivela come i riferimenti al fenomeno neitelegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediasete La7 siano notevolmente cresciuti in dodici anni,passando da 350 notizie nel 2005 a 4268 nel 2017.Insieme all’attenzione, tuttavia, è aumentata latendenza di associare all’immigrazione sensazionidi minaccia e insicurezza, in quella che vienesempre più descritta come un’emergenza perma-nente: nel corso del 2017 i telegiornali di primaserata si sono soffermati prevalentemente sui flussimigratori e sugli sbarchi mettendo in relazionel’immigrazione con la criminalità e/o la sicurezza.Solo una notizia su dieci dedicata al fenomeno hail crisma della 'buona notizia'. Secondo il rapporto, il nostro Paese sarebbe alleprese con una vera e propria emergenza culturaleche richiede la ricerca di un nuovo linguaggio perle migrazioni. «E’ necessario mettere in campo tuttele risorse educative capaci di stimolare, da un lato,il necessario approfondimento rispetto a temi chesono ormai cruciali, e dall’altro di accompagnare lenostre comunità verso l’acquisizione di una nuovagrammatica della comunicazione che sia innanzituttoaderente ai fatti e rispettosa delle persone». l

Alla fine del Novecento gli espatriati hannocessato ufficialmente di essere emigrati perdiventare a tutti gli effetti gli italiani nel

mondo. Questo mutamento lessicale è stato prece-duto e accompagnato da una nuova attenzionepolitica nei loro confronti, culminata con l’appro-vazione nel 2001 del riconoscimento del diritto divoto agli italiani all’estero. Non altrettanto è accaduto per gli immigrati inItalia. L’arrivo di tanti giovani ambulanti provenientidall’Africa subsahariana, alla fine degli anni Ottanta,è stato salutato spesso e a lungo con parole discherno: marocchini, negri, vucumprà. «Il guaio èche noi non possiamo mai difenderci, perchésiamo clandestini e la legge è contro di noi - silegge nel primo romanzo pubblicato nel lontano1990 da un immigrato - tutti lo sanno. Anche ilragazzo che ti prende in giro, scimmiotta la tuavoce, i tuoi comportamenti: 'Vu cumprà, vucumprà'. 'Ignoranti', mi dico. Nessuno mi puòsentire e l’offesa mi resta dentro, me la trascinoper tutta la notte» (Pap Khouma, Io, venditore dielefanti, Milano 1990, p. 65). Con il passare degli anni il lessico della migrazioneè migliorato solo in parte, e negli ultimi tempi, dapiù parti, si segnala una pericolosa regressionelinguistica e culturale, anche a livello mediatico.Se è vero che il ricorso a termini apertamenterazzisti come zingari, vucumprà e negri si è andatoriducendo - segnala Notizie in chiusura, il 6°rapporto su media e immigrazione realizzato dal-l’associazione Carta di Roma con l’Osservatoriodi Pavia - dal 2017 si è assistito al gran ritorno delvocabolo clandestino nelle titolazioni dei quotidiani.Un vocabolo, ufficialmente sdoganato dall’intro-

Numero diimmigrati regolarmente residenti al 1° gennaio di ognianno e numeropersone sbarcatein Italia

MIGRANTEÈ una persona che lascia la propria citta e/o il proprio paese per andare in un altro.Dal punto di vista della comunita di par-tenza e un emigrante, dal punto di vistadella societa di arrivo e un immigrato. Sela distanza tra le due citta e piccola, forseil migrante non sara visto come uno stra-niero, anche se lui, almeno inizialmente,potrà sentirsi un estraneo. Se il migrantevarca dei confini nazionali allora sara sicu-ramente, per la societa di arrivo, uno stra-niero.

EXTRA-COMUNITARIOE' un cittadino straniero non appartenentead uno dei 27 paesi dell’Unione Europeache per vivere e lavorare in Italia ha bisognodel Permesso di soggiorno.

PROFUGODal latino profugĕre, «cercare scampo», ilprofugo è una persona costretta ad ab-bandonare la sua terra in seguito a eventibellici, persecuzioni, oppure a cataclisminaturali (in questi ultimi casi si usa ancheil termine sfollato). Degli oltre 65 milionidi persone nel mondo costrette alla fuganel 2015, l’86% resta nelle regioni piùpovere del pianeta (UNHCR 2017). L’im-magine archetipica del profugo è quelladi Enea che fugge da Troia portando ilpadre Anchise sulle spalle.

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Parole: un nuovo linguaggioper le migrazioni

la narrazione mediatica del fenomeno sconta un ritardo preoccupante. Secondo il rapporto Caritas-Migrantes siamo alle prese con un’autentica «emergenza culturale».

Come parliamo degli altri in Italia? Con qualivocaboli rappresentiamo gli immigrati sui media? Se vucumprà, zingaro, e altre espressioni razzistesembrano andate in soffitta,

GLOSSARIO

CLANDESTINOParola di origine latina (da clam 'nascosto'e dies 'giorno', letteralmente 'nascosto digiorno') sempre più associata all’immigra-zione, irregolare e non, con l’effetto di con-notare l’intero fenomeno migratorio all’in-segna dell’oscurità e della segretezza. Sonostati spesso definiti clandestini anche mi-gliaia di donne, uomini e bambini mortinel Mediterraneo, senza aver mai fatto intempo a toccare le nostre coste e dunquea infrangere la legislazione che regola l'in-gresso nel nostro paese.

PERSONAIndividuo della specie umana, senza di-stinzione di sesso, età, condizione socialeecc. «Nell’etimologia latina, il termine indicala maschera teatrale che veniva indossatadagli attori per intensificare la loro voce,facendola per-sonare, e farsi ascoltareanche dagli spettatori più lontani dal pal-coscenico. Di qui, l’uso nella filosofia stoicadi chiamare P. tutti gli uomini, quali attorinel mondo, destinatari del dovere fonda-mentale di recitare il ruolo loro attribuitoda dio, dal destino, dalla società. P. è per-tanto colui che è riconoscibile e qualificabilecome soggetto di azione, causa del proprioagire. Nel diritto romano il termine eracontrapposto a res, indicando l’uomo qualeesclusivo soggetto di diritti». www.treccani.it/enciclopedia/persona/

RIFUGIATOSecondo l’articolo 1 della Convenzione diGinevra (1951) è colui che, «temendo a ra-gione di essere perseguitato per motivi dirazza, religione, nazionalita, appartenenzaad un determinato gruppo sociale o per lesue opinioni politiche, si trova fuori dalPaese di cui e cittadino e non puo o nonvuole, a causa di questo fondato timore,farvi ritorno». A metà del 2016 circa 16 mi-lioni e mezzo di persone avevano ottenutolo status di rifugiato nel mondo, e la relativaprotezione (Onu, 2018): di questi poco piùdi 2 milioni si trovavano in Europa e 131mila in Italia. L’Italia è agli ultimi posti inEuropa per incidenza dei rifugiati sulla po-polazione totale (circa 2 ogni mille perso-ne).

IRREGOLAREUna persona che vive in un determinatoPaese senza avere i documenti di soggiornorichiesti dalla legge. Il fenomeno riguardachi è entrato in Italia senza gli opportunivisti e documenti, ma anche tante personeche pur avendo vissuto a lungo in Italiacon un permesso, in seguito agli eventidella vita o a causa della crisi economicalo hanno perso perdendo il lavoro. Secondola legge attuale, in determinate circostanzepuo diventare irregolare perfino un ragazzonato in Italia da entrambi genitori stranieriquando, al compimento dei 18 anni, nonè in grado di produrre gli attestati necessariper ottenere la cittadinanza.

LESSICO

Anno: 2018Fonte: S. Geraci, elaborazione su stime IDOS, dati Ministero dell’Interno e IOM

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la realtà, le donne sono maggioranza, le comunità più numerose provengono del-l’Europa dell’est, eccetera. Si è costruito un nuovo glossario dell’immigrazione -clandestino, invasione, eccetera -, e si è lavorato sul linguaggio: musulmano èsinonimo di terrorista, immigrato di delinquente, e così via. Da qualche anno,leggendo ogni mattina la rassegna della Stampa estera, mi accorgo che alcunigiornalisti vanno in redazione con l’unico obiettivo di raccontare la diversitàcome minaccia: la notizia viene restituita in modo da far cadere l’accento non sulfatto o sulla persona, ma sull’immigrato. Sono articoli studiati per creare un noicontrapposto a un loro. Per costruire il nemico.

In Italia questa strategia sembra aver funzionato particolarmente bene. Perché?I motivi sono tanti. Il retaggio culturale del fascismo, con cui l’Italia non ha fattomai davvero i conti. Il fatto che il fenomeno dell’immigrazione è relativamentenuovo qui da noi (Ejaz è cittadino italiano e usa sempre la prima persona pluraleparlando degli italiani, ndr). Tra gli immigrati non ci sono politici, giornalisti, in-tellettuali, classe dirigente (e anche quando ci sono non vengono ascoltati), prontia difenderli sui media come accade in Francia e in Inghilterra. Gli stessi meccanismidella comunicazione di massa: le good news non fanno ascolto, la violenza verbalesì; i tempi televisivi sono velocissimi, mentre ad esempio io ho tempi indiani: inPakistan l’autobus parte quando è pieno.

Anche la scuola ha una responsabilità?Tutto parte dai libri di testo. I libri sui quali studiano i miei figli sono monoculturali.Nella paginetta dedicata all’Islam la notizia più importante è che Maometto avevamolte mogli, mentre questo genere di informazioni non vengono fornite adesempio per Giulio Cesare o altri personaggi storici. E poi non raccontanol’emigrazione italiana: non trovi da nessuna parte che più di 400 italiani sono stativittime di linciaggio negli Stati Uniti nei primi del Novecento e che gli Italianierano considerati non integrabili. Per imparare l’immigrazione devi conoscerel’emigrazione.

Cosa bisogna fare allora?Un sindaco ha chiesto recentemente alla scuola locale di rimuovere le bambolenere e ogni simbolo delle altre culture con il pretesto, a suo dire, che i bambinidevono imparare la nostra cultura. Nessuno gli ha spiegato che Gesù Cristo era unextracomunitario, che i re Magi venivano dall’Iran, che il Papa è un argentino

figlio di emigranti italiani, e che la lingua italiana sarebbe gravemente incompletasenza l’arabo. Oggi l’Italia appare ancora un paese monoculturale mentalmente,ma fisicamente è sempre più multiculturale. Bisogna arricchire e difendere questomulticulturalismo agendo dal basso, con corsi di formazione e di mediazionenelle scuole, con i medici, con le forze dell’ordine, eccetera. Bisogna insegnare la verità senza paura: che l’immigrazione è ricchezza, che tuttigli immigrati lavorano per gli italiani e che l’integrazione non è unilaterale, ma sifa da due parti. È vero che è l’immigrato a venire in Italia, ma anche noidobbiamo creare nuovi spazi mentali e fisici per accoglierlo. Ma questo nonsignifica sottrarre qualcosa, intercultura significa aggiungere, arricchire. Oggi lasituazione sembra difficile, ma la filosofia di vita della mia cultura di origine èottimista. Come Gandhi penso che il mondo può cambiare in meglio e che allafine la verità verrà a galla. l

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Pakistano, impegnato da decenni nel nostro Paese come attivista e mediato-re culturale, Ahmad Ejaz è prima di tutto un giornalista.Può dirci quando è iniziato il suo impegno nella carta stampata e perché

è arrivato in Italia?Nel 1987, appena laureato, iniziai a collaborare con Jang ('guerra' in urdu), ungrande quotidiano fondato durante la seconda guerra mondiale per colmare ilvuoto di informazione su quanto andava accadendo al fronte, in particolare inEuropa, dove erano stati mandati a combattere anche molti soldati indo-pakistani.Solo in Italia ne sono morti 6500, sepolti nei cimiteri di Cassino e Rimini. Ma inPakistan sotto la dittatura non era facile fare il giornalista, inoltre ero curioso diconoscere il mondo occidentale. Così decisi di partire: il primo maggio del 1989atterrai a Roma dove sarei dovuto rimanere una settimana. Pochi mesi dopo,invece, grazie alla Legge Martelli, ottenni il permesso di soggiorno e decisi direstare.

Com’era il clima nei confronti degli stranieri in quel periodo? Quando arrivai gli stranieri erano pochi, circa 300.000, e non esisteva la parolaclandestino. Nei primissimi anni Novanta andai a chiedere lavoro in un’azienda diBergamo e ricordo ancora le parole della segretaria, quando chiamò il titolare: «èvenuta una persona ma non ha i documenti italiani». Non usò la parola straniero, etantomeno clandestino. Il sentimento prevalente nei confronti degli immigrati erasotto tanti aspetti positivo. A Roma partecipai all’occupazione della Pantanella, ilprimo centro di accoglienza creato dalla società civile romana, il primo laboratoriodi integrazione, la prima moschea. A Bologna conobbi Roberto Roversi che mi fecescrivere la prima guida sul Pakistan. Poi, dal momento che parlavo poco l’italiano eche l’urdu qui non serviva, feci un corso che mi ha aperto le porte della mediazioneculturale. Del resto il giornalista è anche un po’ un mediatore culturale.

In che senso?Lo spirito del giornalista dovrebbe essere quello di divulgare il pensiero nelrispetto della verità. Il mediatore deve fare la stessa cosa. Non deve difendere gliimmigrati, ma decifrare il messaggio e trasmetterlo con la maggiore precisionepossibile. Perché spesso il messaggio non passa a causa delle differenze culturali.Ad esempio, nei primi tempi non riuscivo a capire perché la gente mi dicesseguarda che bella giornata, quando fuori c’era il sole. L’ho capito solo dopo un po’,perché da noi è bello quando piove… nei film di Bollywood durante i matrimonio nelle scene d’amore piove sempre. Poi ho capito che qui l’inverno è molto lungo,mentre da noi in Punjab piove solo due mesi l’anno. La pioggia è preziosa.

E poi che cosa è successo?Per vent’anni alcuni canali televisivi molto popolari e alcuni giornali hannoimpiegato tutte le loro energie per costruire e diffondere un’immagine negativadell’immigrato. Oggi nell’immaginario collettivo l’immigrato è maschio, nero,africano, proveniente dalla Libia, potenzialmente terrorista, ecc. Invece, se guardiamo

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I pericoli della percezione

Dal 2014 l’Ipsos-Mori socialresearch Institute realizza l’in-dagine Perils of perceptions, lecose non sono così cattivecome sembrano, che valuta ladistanza tra la percezione e larealtà in numerosi paesi. «Intutti i 38 paesi indagati, la po-polazione prende spessomolti abbagli - ha dichiarato ildirettore dell’istituto BobbyDuffy - Le imprecisioni riguar-dano più spesso i fattori chesono ampiamente trattati daimedia come le morti per ter-rorismo, i tassi di omicidio el’immigrazione. Ci sono mol-teplici ragioni per questi er-rori - dalle nostre difficoltàcon la matematica e le pro-porzioni, ai media, alla poli-tica, alle spiegazionipsicologiche delle nostrescorciatoie mentali e dei no-stri pregiudizi. In particolaregli studi ci dicono che questoaccade anche perché ten-diamo a sovrastimare ciò chetemiamo: più vediamo trat-tato un problema, più pen-siamo sia prevalente,soprattutto se la sua coper-tura è spaventosa o minac-ciosa. Il nostro cervelloelabora le informazioni nega-tive in maniera differente emodifica il modo in cui ve-diamo la realtà».

L’INTERVISTA

Dire la verità per costruire l’integrazione

Ahmad Ejaz

Nato in Pakistan nel 1962,

Ahmad Ejaz vive e lavora in

Italia da 30 anni. Giornalista

e mediatore culturale laureato

in Comunicazione di massa,

a lungo caporedattore di Azad

(libero), il giornale in lingua

urdu della comunità pakistana

in Italia consultato da oltre

ventimila persone (chiuso nel

2015 in seguito alla crisi del

gruppo editoriale Stranieri in Italia), è membro laico della

Consulta islamica presso

il Ministero dell’Interno.

È sposato con una donna

italiana e ha due figli,

Ludovico e Iacopo.

È vero che è l’immigrato a venire in Italia, ma anche noidobbiamo creare nuovi spazi mentali e fisici per accoglierlo.

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DATI DI REALTÀ

I numeri della migrazione in Italia

L’unico modo per comprendere i lineamentiprincipali dell’immigrazione nel nostroPaese è quello di provare a scavalcare il

muro scivoloso del senso comune con l’aiuto deitanti repertori di informazione disponibili oggi inmateria. Da almeno due decenni, infatti, numerosisoggetti pubblici e privati (ministeri, istituti di ri-cerca, università, associazioni) monitorano e stu-diano il fenomeno nella sua complessità, sottomolteplici punti di vista, offrendo a chi lo desideriun ricco patrimonio di dati, molto accurati e atten-dibili, che aiutano a collocare il dibattito nella giustaprospettiva. Restando con i piedi ben piantati per terra, proviamoquindi a dare i numeri. Vediamo dove ci portano.

Quanti sono gli stranieri in Italia?Un’analisi puntuale della presenza degli immigratiin Italia mostra quanto l’opinione pubblica tenda aingigantire il fenomeno, alimentando allarmi ingiu-stificati. Fonti ufficiali ci dicono che alla fine del2017 erano iscritti all’anagrafe circa 5,1 milioni dicittadini stranieri residenti, pari al 8,5% della popo-lazione italiana (Idos 2018, p. 100), un dato di pocosuperiore alla media europea, ma leggermente infe-riore a quanto accade in altri paesi comparabili alnostro (Germania, Francia, Gran Bretagna,Olanda). A questi vanno aggiunti 68.000 neo-natida genitori immigrati nel corso dell’anno; 146.000persone che hanno acquisito la cittadinanza italiananel corso dell’anno; e una quota imprecisata di im-migrati «irregolari» per una serie di ragioni diverse:secondo la Fondazione ISMU all’inizio del 2018 am-montavano a circa 530.000 (ma il loro numero è de-stinato ad aumentare per effetto del cosiddetto

decreto “sicurezza”). Mettendo tutte queste personeinsieme (e conteggiando quindi tra gli 'stranieri’anche almeno 800.000 bambini e ragazzi nati in Ita-lia), gli 'altri' non arrivano al 10% della popolazionetotale, un dato due volte e mezzo più basso del per-cepito, al quale i cosiddetti irregolari contribuisconoappena per l’1%. Un dato, quest’ultimo, colto sol-tanto dal 16% della popolazione italiana!

Da dove provengono?La ricostruzione del quadro estremamente variegatodella presenza immigrata in Italia mostra come lapercezione di un afflusso maggioritario di popola-zioni geograficamente e culturalmente lontane siacompletamente destituita di fondamento. Dei 5,1milioni di cittadini stranieri residenti, circa la metàproviene da un paese europeo (2,6 milioni) e ben1,6 milioni, il 30%, da un paese dell’UE. I cosiddetticittadini stranieri extracomunitari, provenienti cioèda paesi esterni all’UE che vivono regolarmente inItalia, sono 3.715.000 e rappresentano soltanto il6,1% della popolazione. Di questi il 31,6% è origi-nario del continente africano (1.172.000 persone, inprimis dall’Africa mediterranea e dall’Africa occi-dentale: Marocco, Egitto, Tunisia, Senegal e Nigeria),un altro 29,6% del continente asiatico (1.099.000persone, principalmente da Cina, Filippine, India,Bangladesh, Pakistan), il 28,5% dell’Europa non co-munitaria (1.059.000 persone, soprattutto albanesi,ucraini, moldavi) e il 10,9% delle Americhe.

Come sono arrivati?La stragrande maggioranza degli immigrati resi-denti in Italia è arrivata da noi via terra o con unvolo aereo. Il refrain dell’invasione via mare dalla

dell’immigrazione ci aiuta a riconoscere e disinnescareluoghi comuni e stereotipi,permettendoci di neutralizzare le insidie e le trappole cognitivefuorvianti della percezione.

Dare i numerisull’immigrazione può rivelarsipericoloso. Alla lunga finisceper trasformare le persone in cifre, cose inanimate prive di vita, umanità, affetti, diritti. Ma conoscere i numeri reali

Stranieri residenti sul totale deiresidenti per provincia (%)

Fonte: Istat, dati al 1/01/2018

I dati e le fonti sull’immigrazione in Italia

I principali dati statistici sull’immigra-zione (inclusi quelli che hanno gene-rato le mappe presenti in questepagine) sono raccolti, sistematizzati eresi accessibili da ISTAT nel data ware-house all’indirizzo http://dati.istat.it(sezione «popolazione e famiglie» allavoce «stranieri e immigrati»). Istatscatta inoltre una fotografia annualedelle presenze extra UE nel nostroPaese (I cittadini non comunitari: pre-senza, nuovi ingressi e acquisizioni dicittadinanza) disponibile all’indirizzohttps://www.istat.it/it/archivio/204296.Un documento fondamentale per leg-gere l’evoluzione e l’articolazione delfenomeno migratorio in Italia è il Dos-sier statistico Immigrazione curato daIDOS e giunto alla ventottesima edi-zione: il volume si avvale della collabo-razione di un centinaio di studiosi ericercatori con competenze differentiper mettere a fuoco il fenomeno dapunti di vista e angolature diverse; idati provengono sia da archivi ammi-nistrativi, sia da ricerche sul campo eindagini qualitative. Un’altra ricerca storica è quella realiz-zata con grande cura dall’inizio deglianni Novanta dagli uffici statistici diCaritas e Fondazione Migrantes, dueorganismi pastorali della CEI. Da segnalare infine il rapporto an-nuale realizzato dall’associazione Cartadi Roma con l’Osservatorio di Pavia:un’analisi puntuale, quantitativa equalitativa, della narrazione del feno-meno sui media.

La mappa degli stranieri residenti sul territorio italiano mostral’estrema variabilità della loro distribuzione nel nostro Paese. Le comunità di origine straniera si concentrano al Centro e al Nord, dove superano il 10%, due volte il dato del Sud. In alcune province del Nord la loro presenza oltrepassa il 14% (Milano, Piacenza). A Prato l’incidenza degli immigrati, in gran parte cinesi, raggiunge il 17,5%, una percentuale doppia rispetto alla media nazionale (8,5%).

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Principali paesi di provenienza extra UE deglistranieri residenti in Italia.

Anno: 2017. Fonte: Istat

rotta Sud (via Lampedusa o Sicilia) e da quellaorientale (via Turchia e Grecia) è un’invenzione me-diatica come è possibile vedere mettendo a con-fronto i dati degli immigrati residenti con quellidegli sbarchi (vedi il grafico a pagina 21). Negli annidi massimo afflusso via mare, successivi agli eventidella cosiddetta Primavera araba e al drammaticoinasprirsi della guerra in Siria, gli sbarchi annualivia mare rappresentavano circa il 3,4% del feno-meno migratorio nel nostro Paese. Nel 2016, l’annopiù difficile, il totale degli sbarcati avrebbe riempitodue volte lo stadio di San Siro a Milano.

Da quanto risiedono in Italia?A differenza della narrativa corrente, la grande mag-gioranza degli immigrati non comunitari (56,6%)soggiorna nel nostro Paese da oltre 5 anni ed ha ac-quisito il permesso di lungo-soggiornanti a testimo-nianza del grado di radicamento strutturale a cui èpervenuta; soltanto il 35,7% è titolare di un per-messo a termine, soggetto a scadenza e da rinnovareperiodicamente. La quota totale della popolazioneimmigrata non comunitaria è sostanzialmente in-variata dal 2016 e stabile dal 2013.

Che età media hanno?Un dato fondamentale per comprendere l’immi-grazione in Italia, e le sue implicazioni, è quelloanagrafico. Se mettiamo a fuoco la popolazionedei soli non comunitari, vediamo quanto questisiano mediamente più giovani e prolifici degli ita-

liani, e quanto il loro contributo sia importanteper la tenuta demografica e produttiva del Paese.I minorenni rappresentano il 21,8% della popo-lazione, ben cinque punti e mezzo percentuali inpiù dell’incidenza della minore età sulla popola-zione totale (16,3%). La fascia più cospicua, quasiun terzo dei soggiornanti (32%) è composta da30-44enni (1.190.000). Assai ridotta, invece, è lapresenza di stranieri non comunitari anziani: ap-pena 166.000, il 4,5%.

In che cosa credono?Gli studi più recenti mostrano come il contributodell’immigrazione sia vario e frastagliato anchesotto il profilo religioso, non solo per la varietà difedi ma anche per la pluralità dei modi di viverle edi aderirvi. La maggioranza assoluta degli immi-grati residenti è di fede cristiana (2.706.000 per-sone, il 52,6% dei residenti), in prevalenzaortodossi (1.523.000), seguiti da cattolici (918.000)e protestanti (224.000 fedeli). Malgrado l’opinionecorrente, le persone straniere di religione musul-mana rappresentano meno di un terzo di tutti gliimmigrati residenti (1.523.000, 29,6%), e 3 su 10sono nati in Europa (28,9%): per la quasi totalitàprovengono dall’area balcanica e centro orientale(albanesi e kossovari). Ma del caleidoscopio mi-grante fanno parte anche molti atei e agnostici (sti-mati in 242.000), induisti (152.000), buddhisti(117.000) e tanti adepti di altri credo religiosi mi-nori (Idos, 2018, p. 199-200). l

2.620.000 immigrati, circa la metà di tutti gli immigrati residenti inItalia, provengono dall’Europa. Di questi, appena 1.050.000 sonooriginari di paesi extra UE (in particolare Albania, Ucraina, Moldavia,Serbia). La mappa indica i principali paesi di provenienza degliimmigrati cosiddetti extra-comunitari: tra le comunità più numerose(colore verde acceso) spiccano quelle del Marocco, dell’Albania e dellaCina. Il grafico a fondo pagina mostra la composizione per generedelle diverse comunità.

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migrazioni determinano nei paesi di partenza e inquelli di arrivo (benefici e vantaggi che in defini-tiva ne costituiscono il motore e la stessa ragiond’essere), si rischia soltanto di alimentare letturefrettolose, risposte miopi e pericolose. Il principale fraintendimento propagandato inquesti anni, a destra e a manca, è stato quello diconsiderare l’immigrazione un’emergenza inattesa,e non il dato strutturale più autentico della nostraepoca, che prende il nome di globalizzazione e hamolteplici cause: storici rapporti di dominio chehanno generato squilibri e diseguaglianze tra i po-poli; rivoluzioni economiche, sociali, culturali, de-

Favorevoli o contrari? Il dibattito sull’immi-grazione propone da tempo confronti inbianco e nero, aut aut, domande sbagliate.

Perché la realtà è più articolata e ricca di sfumaturedi quella di un reality. Merita risposte complesse,informate, lontane dagli slogan della politica. Un discorso serio, ad esempio, non può prescin-dere da un’attenta analisi dei costi della migra-zione. I sacrifici economici, psicologici, affettivi,umani, sostenuti innanzitutto da chi si trova nellacondizione di dover lasciare la casa, la famiglia, ilpaese natale, per cercare lavoro, salvezza, nuoveprospettive (inevitabilmente precarie) in mondilontani, come testimonia la stessa epopea dell’emi-grazione italiana. Ma anche i costi economici, politici, sociali, che sipossono ingenerare nelle comunità di arrivo in as-senza di politiche inclusive capaci di combattere lediseguaglianze e insieme di governare i fenomeni.Soprattutto nei periodi caratterizzati dalla crisi,quando l’incontro con lo straniero può degenerarein scontro, rifiuto, guerre tra poveri. Basta guardarel’abituale concentrazione degli immigrati nei ter-ritori periferici del paese, per comprendere quantosia ricca di insidie la coesistenza tra le fasce più vul-nerabili della popolazione italiana e gli ultimi ar-rivati. Se però, come avviene sempre più di frequente,tutto il discorso pubblico si concentra esclusiva-mente sugli aspetti emergenziali del fenomeno le-gati al qui ed ora del telegiornale, perdendo di vistala cornice più ampia, ad esempio i benefici che le

30

«È ampiamente riconosciuto chelo spostamento e la migrazione

possono portare significativibenefici e opportunità ai

rifugiati, agli immigrati e allecomunità stesse nei paesi di

origine e di destinazione. Gli immigrati non devono esserepercepiti come un fardello per i

servizi, né come persone chehanno solo dei bisogni».

Organizzazione Mondiale della Sanità, 2018

Negli ultimi due decenni l’immigrazione ha contribuito a mitigare denatalità e invecchiamento. Ma le previsioni demografiche sono impietose:per garantirsi un domani l’Italia avrà semprepiù bisogno di manodopera straniera.Prepararci a questo scenario senza soffiare sul fuoco, ma educando al rispetto, alla tolleranza, all’intercultura, è l’unica stradapercorribile per costruire un futurodemocratico e sostenibile.

LA COPERTINA

Il futuro oltre la siepe

mografiche, nei paesi di arrivo e di partenza;grandi innovazioni industriali e tecnologiche, ec-cetera. Limitiamoci a guardare il fenomeno in Italia allaluce delle trasformazioni della società (e di quantosi appresta ad accadere nell’immediato futuro).Negli ultimi 50 anni abbiamo assistito a un vero eproprio crollo della natalità: siamo passati da oltreun milione di nati (1964) ai 458.000 attuali, 68.000dei quali generati nel 2017 da mamme straniere. Ilfenomeno è dovuto a una molteplicità di fattori: ilforte calo della fertilità iniziato già alla metà deglianni Settanta, la riduzione della quota di donne in

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età feconda, la diminuzione della propensione adavere figli, la posposizione della maternità, lo spo-stamento in avanti delle tappe che segnano il pas-saggio alla vita adulta. Questa concatenazione di eventi è strettamenteconnessa al processo di modernizzazione delPaese: l’industrializzazione, l’urbanizzazione, latrasformazione degli stili di vita e dei modelli fa-miliari, le conquiste civili e culturali degli anniSettanta, l’accesso al mondo del lavoro da parte dimilioni di donne. I grandi livelli di benessere raggiunti da ampiefasce della popolazione e i passi avanti compiutidalla medicina e dalla sanità pubblica nel dopo-guerra spiegano l’altra radicale metamorfosi delpaesaggio demografico: il sensibile innalzamentodell’aspettativa di vita, più di 10 anni guadagnatisoltanto tra il 1960 e il 2010! Un dato positivo pertutti che però, unito a quello della contemporaneaevaporazione dei bambini, ci ha trasformati inpochi decenni nel secondo paese più vecchio delmondo. In soli trent’anni, gli anziani sopra i 65anni sono quasi raddoppiati, passando da 7 a oltre13 milioni; nello stesso periodo i minorenni sonoscesi da più di 13 milioni a meno di 10 milioni. Ecosì oggi ogni 100 bambini e ragazzi sotto i 15 annisi contano 165 persone anziane. Se è vero che l’invecchiamento della popolazioneè comune a buona parte dei paesi europei, in Italiaè avvenuto in un contesto reso più fragile dalla de-bolezza della politica, dall’abnorme crescita del de-bito pubblico (un fardello ulteriore sulle spalle deifigli), dall’incapacità di orientare il welfare verso lefamiglie più giovani. Il testa-coda generazionale ri-

schia di avere serie ripercussioni sull’assetto delpaese e desta legittime preoccupazioni sulla possi-bilità di continuare a garantire in futuro servizi,pensioni, coesione sociale. Analizzata in questo quadro senza farsi fuorviareda pulsioni ideologiche, l’immigrazione non ap-pare più un fardello, ma si rivela una necessità perla tenuta stessa del sistema sociale, un contributoimportante che negli ultimi due decenni ha per-messo se non altro di mitigare denatalità e degio-vanimento. «Servono più immigrati per pagarele pensioni - ha dichiarato il presidente dell’INPSTito Boeri, nella relazione annuale 2018 - Le pre-visioni sulla spesa indicano che anche innalzandol'età del ritiro, ipotizzando aumenti del tasso diattività delle donne che oggi tendono ad averetassi di partecipazione al mercato del lavoro piùbassi, incrementi plausibili e non scontati dellaproduttività, per mantenere il rapporto tra chipercepisce una pensione e chi lavora su livelli so-stenibili è cruciale il numero di immigrati che la-voreranno nel nostro Paese». (Boeri, Relazioneannuale INPS, 2018).Che piaccia o meno, le previsioni demografichemostrano il ruolo strategico dell’immigrazione nelnostro futuro. Secondo lo scenario medio, basatosull’ipotesi di una timida crescita dei tassi di ferti-lità e sul mantenimento di flussi migratori soste-nuti, nel 2050 l’Italia potrebbe avere unapopolazione leggermente più contenuta (circa 59milioni di abitanti) ma nettamente più anziana diquella attuale (51 anni di aspettativa media divita), con meno lavoratori e costi più cospicui permantenere i servizi.

Ancora meno desiderabili sono gli scenari che ve-dono una forte riduzione dei flussi o, addirittura,una vera e propria chiusura dei rubinetti della mi-grazione: nel primo caso si avrebbe una popola-zione ancora più anziana e (mal)ridotta di 56milioni di residenti; nel secondo, compiremmo unbalzo indietro di circa un secolo dal punto di vistanumerico, con una popolazione di appena 50,6milioni di persone, paragonabile a quella che si re-gistrava tra il 1950 e il 1960, ma formata per circaun terzo di anziani (Eurostat 2019). A preoccupare ovviamente non è tanto il dato as-soluto, quanto il progressivo venir meno di quellain età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni), la cosiddettaPEL (popolazione in età da lavoro). Un processoche nemmeno una politica illuminata potrà inver-tire del tutto. «A livello di singoli paesi si prevedeche, da un lato, un numero crescente di essi regi-strerà una drammatica contrazione della propriaPEL (questo avverrà già a partire dal 2025 in Eu-ropa e Cina) - segnala l’ultimo Dossier statistico diIdos - Dall’altro, che un numero sempre più pic-colo di paesi vedrà esplodere la propria PEL a se-guito dell’ingresso di leve sempre più numerosenella fase lavorativa della vita. In ambo i casi l’au-spicio per il futuro è che i flussi migratori possanosvolgere un ruolo compensatore di questi squilibri,superando l’attuale fase di laissez-faire e puntandosu programmi di migrazione gestita per la conve-nienza di tutti» (Idos 2018, p. 25). Preparaci a questo scenario senza soffiare sulfuoco, ma educando al rispetto, alla tolleranza, al-l’intercultura, è l’unica strada percorribile per co-struire un futuro più equo e sostenibile. l

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2016 a 1,59 entro il 2065). Malgrado que-sta previsione appaia oggi piuttosto otti-mistica (il picco minimo di 458 mila nati,annunciato per il 2025, è stato raggiuntoalla fine del 2017), la ripresa non basteràcomunque a determinare un numero dinati sufficiente a compensare l’aumenta-to numero di defunti. «A meno di unqualche significativo cambiamento delcontesto globale, la futura evoluzione de-mografica appare in gran parte definita.Le ipotesi riguardo al comportamentodemografico futuro della popolazionepossono soltanto attenuare (o accelerare)le tendenze in corso ma non modificarlein modo sostanziale. Da un lato si assiste-rà a una progressiva riduzione numericadelle coorti di donne in età feconda (14-50 anni), dall’altro si assisterà a coorti dipopolazione in età anziana (65 anni e più)

sempre più infoltite dalle positive condi-zioni di sopravvivenza presenti e future(86,1 e 90,2 anni, rispettivamente, la vitamedia maschile e femminile prevista en-tro il 2065)». (ISTAT 2017). Assai più incerta appare la previsione re-lativa al saldo migratorio: in questo casolo scenario mediano stima un afflussopoco inferiore ai 300 mila immigrati an-nui (per un ingresso complessivo di 14,4milioni di persone tra il 2016 e il 2065) eun’uscita di circa 150-130 mila emigrantiannui (6,7 milioni di emigrati nell’arcodella proiezione). Per quanto generoso, ilcontributo degli stranieri contribuirebbesolo in parte a compensare gli effetti delsaldo naturale. Naturalmente le previsioni demografichesono incerte per definizione, con ampimargini di errore quanto più ci si allonta-

Le previsioni demografiche hanno ef-fetti importanti sulla vita di tutti i

giorni perché vengono utilizzate per veri-ficare la sostenibilità della finanza pubbli-ca, definire programmi di sviluppo, indi-rizzare i sistemi previdenziali e assisten-ziali. Quelle dell’ISTAT utilizzano il cosid-detto modello per componenti secondoil quale la popolazione si modifica sullabase del saldo naturale (differenza tra na-scite e decessi) e del saldo migratorio(differenza tra movimenti migratori in en-trata e in uscita), e sono articolate secon-do tre distinti scenari. Le ultime disponi-bili (26 aprile 2017) ipotizzano, nello sce-nario medio, un parziale recupero dellafecondità (da 1,34 figli per donna del

na dall’anno base. Questo è ancora piùvero per quelle relative alle migrazioni,come ricorda l’ISTAT, perché «i flussi mi-gratori con l’estero sono contrassegnati,assai più delle altre componenti demo-grafiche, da profonda incertezza riguardoal futuro. Le migrazioni internazionalisono infatti governate da una parte danormative suscettibili di modifiche, dal-l’altra da fattori socio-economici internied esterni al Paese di non facile interpre-tazione. Si pensi, ad esempio, alla pressio-ne migratoria esercitata nei Paesi di origi-ne per via delle condizioni ambientali, so-ciali e demografiche, alle politiche di ac-coglienza e integrazione degli immigrati,alla modulazione del mercato del lavoroin Italia, al possibile incremento dell’emi-grazione di cittadini residenti in Italia».(ISTAT 2017, p. 6). l

Futuro demografico: il declino è nei numeri

In queste pagine

e in copertina,

qualche immagine

scattata ai margini

della riserva

naturale della

Marcigliana

(Roma), dove la

società agricola

Fiore del Deserto

promuove percorsi

riabilitativi e di

inclusione per

"riportare la natura

dentro le nostre

società" e generare

nuova occupazione

nel segno del

benessere.

In basso, un

momento del

Capodanno cinese

a Piazza Vittorio

(Roma).

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tradizionalmente concentrata sulla popolazioneanziana. La spesa sanitaria per gli over 75 anni èotto volte più elevata della spesa per i 15-24 anni.

LavoratoriPiù di un lavoratore su dieci in Italia è straniero.Secondo la Fondazione Moressa su dati ISTAT,tra il 2008 e il 2017 la presenza degli immigratisul mercato del lavoro è cresciuta da 1,7 milioni a2,4 milioni, e la loro incidenza è salita dal 7,3 al10,5%. Solo il 7% dei lavoratori stranieri, però,svolge professioni qualificate, mentre circa dueterzi degli occupati hanno impieghi non qualificatio professioni operaie.

ImprenditoriL’occupazione delle persone immigrate non è cir-coscritta al lavoro dipendente. Nel 2017, in Italia,sono presenti circa 587.000 imprenditori stranieriimpegnati in campi molto diversi tra loro. Si vadai commercianti ai titolari di impresa individualefino a coloro che hanno costruito aziende con piùdi 15 dipendenti. Le tipologie imprenditoriali piùdiffuse tra gli stranieri alla fine del primo decenniodel Duemila erano il commercio (29,6% del totale),l’edilizia (22,4%), il manifatturiero (10,1%).

ContribuentiUn calcolo realizzato incrociando i dati del Mi-nistero dell’Economia e delle Finanze sulle di-chiarazioni dei redditi 2017, con quelli relativiagli occupati stranieri forniti dalla RilevazioneContinua sulle Forze di Lavoro dell’ISTAT 2016,stima 2,3 milioni di contribuenti immigrati, 27,2miliardi di euro dichiarati, e 3,3 miliardi di eurodi gettito Irpef. Sommando tutta un’altra serie di voci di spesafiscale (imposta diretta sui consumi, sui carburanti,spese per il permesso di soggiorno, eccetera) siarriva a calcolare 7,3 miliardi di euro versati daicittadini stranieri nel 2016, ai quali bisogna ag-giungere 11,9 miliardi di euro di contributi pre-videnziali, per 19,2 miliardi complessivi di entratenelle casse dello Stato. l

Nel Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione 2018, laFondazione Leone Moressa ha fatto, come si dice, i conti

della serva: non si è limitata a conteggiare le spese per l’acco-glienza delle persone giunte via mare - pari a 3,6 miliardi di euronel 2016, anno di massimo picco degli sbarchi - ma ha cercato distimare tutte le voci di costo sostenute dallo Stato italiano per glioltre 5 milioni di immigrati regolari (di cui 2 e mezzo occupati),dalla sanità, alla casa, alla scuola, al lavoro. Secondo la metodologia del costo medio (proporzionale all’inci-denza degli stranieri e a partire dal costo standard delleprestazioni), Idos ipotizza una spesa 'teorica' di 3,8 miliardi per lascuola; 200 milioni per le (limitatissime) politiche per la casa (lapresenza di immigrati tra i beneficiari di case popolari si attestaattorno al 8,5%); 2 miliardi di euro per gli interventi per la Giusti-zia (calcolando la presenza nelle carceri del 30% di condannati edetenuti stranieri), e 2,4 miliardi per l’assistenza sociale (cassaintegrazione, mobilità, disoccupazione, assegni familiari). 4,1 miliardi di euro è la spesa ipotizzata per la sanità a partiredall’assunto - ricavato da una ricerca della Regione Emilia Roma-gna - che per questioni anagrafiche il ricovero di un cittadinoimmigrato costi mediamente quasi un terzo in meno rispetto aquello di un cittadino italiano (2420 euro contro 3521 euro). Mettendo insieme queste e altre voci si ottiene un totale di17,5 miliardi, pari al 2,1% della spesa pubblica che nel 2016ammonta a circa 830 miliardi di euro. Un’altra stima, basata sul calcolo dell’incremento della spesadei costi decrescenti (poiché una parte consistente dei costi -personale, strutture, beni - sono preesistenti), stima una spesamarginale o aggiuntiva per la componente straniera di 4,34miliardi di euro, pari allo 0,5% di spesa pubblica italiana. Considerando che il contributo degli immigrati per le cassedello Stato viene stimato in 19,2 miliardi (di cui 7,3 di gettito e11,9 di costi previdenziali), in entrambi i casi il saldo tra uscite(17,5 oppure 4,3 miliardi) e entrate risulterebbe positivo, princi-palmente a causa della bassa età media degli immigrati e dellatendenza della spesa pubblica italiana a concentrarsi sullapopolazione anziana. l

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Se ne parla quasi sempre come di un Problema.E invece l’immigrazione è una risorsa cheha portato e porta molteplici benefici alla

società italiana, sotto diversi punti di vista. Proviamoa elencarli sinteticamente, cercando di non pensarealle persone immigrate come a semplici 'numeri'.Sono donne, bambini, giovani, lavoratori, personeche svolgono un ruolo prezioso all’interno dellenostre comunità.

DonneRappresentano la maggioranza relativa dellepersone immigrate (52% nel 2017) e contribuisconoin molti modi all’economia del nostro Paese. Unasu due lavora regolarmente, un dato inferiore aquello pre-crisi ma in ripresa. Il 43,2% di loro èimpiegato nei servizi domestici o di cura alle fa-miglie. Nella veste di mamme, hanno contribuitosignificativamente al recupero del tasso di feconditànei primi dieci anni del 2000, giunto a 1,46 figliper donna nel 2010 (1,34 per le italiane, 2,43 perle straniere). La successiva flessione fino a 1,32figli per donna nel 2017 ha riguardato anche lemamme straniere scese sotto il livello di sostituzionenaturale (1,98 figli per donna), secondo un trendconosciuto che prevede un graduale riallineamentodelle abitudini riproduttive delle straniere a quelledel paese di arrivo.

BambiniSi calcola che tra il 1993 e il 2014 le famiglie im-migrate abbiano messo al mondo in Italia quasiun milione di bambini (971.000 per l’esattezza,ISTAT 2016), le cosiddette seconde generazioni distranieri che abbiamo osservato crescere con i

nostri figli, esordire in Nazionale, pubblicare ro-manzi, scrivere canzoni di successo, vincere me-daglie. Nel 2017 rappresentavano poco di più del14% dei nuovi nati, 1 su 7 (nel 1993 erano 1 su100). Malgrado per la legge attuale continuino adessere considerati stranieri, sono italiani a tutti glieffetti (lingua, cultura, abitudini), destinati ascrivere il futuro del nostro paese.

AlunniTra il 1961 e il 2017 l’Italia ha perso per stradacirca un terzo della popolazione scolastica in etàdell’obbligo (sotto i 15 anni). Negli ultimi quindicianni l’ingresso di tanti bambini di origine stranieraa scuola (sono 826.000 nel 2017, il 60% dei qualinati in Italia) ha fermato l’emorragia, e ha rap-presentato un’occasione per rinnovare la didattica,avviare percorsi di formazione e di motivazionedel corpo docente. Ma anche questa spinta è de-stinata a esaurirsi: secondo le proiezioni dell’ISTAT,nei prossimi 10 anni molte scuole dovranno chiu-dere o rivedere gli organici per il venir meno dicirca 700.000 alunni.

GiovaniLa popolazione immigrata ha una componentegiovane assai più elevata di quella italiana. Bastipensare che il 50% degli immigrati residenti inItalia ha meno di 35 anni, mentre tra gli italianiquesta fascia anagrafica rappresenta meno di unterzo del totale. Oltre a ridurre di un anno l’etàmedia elevata nel nostro Paese, l’innesto di unapopolazione così giovane fa segnare un saldo po-sitivo nel bilancio tra costi e benefici, perché gravain misura minore sulla spesa pubblica, in Italia

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CAPITALE UMANO

IL RAPPORTO

La convenienza della convivenza

è ritenuto fondamentale da tutte le ricerche pubblicate in questi anni. Ma il loro impegno e il loro lavoro attende ancora di essere riconosciuto, tutelato, promosso.

Sono circa due milioni e mezzoi lavoratori stranieri nel nostroPaese: muratori, manovali,braccianti, ambulanti, badanti,imprenditori. Il loro apportoalla società italiana, e a quella dei paesi di origine,

Note di economia dell’immigrazione

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Se per assurdo, tutto d’un tratto, le persone immigratedovessero volatilizzarsi, scomparirebbero all’improvvisoil 30,4% dei muratori, il 32% dei braccianti agricoli, il

57% delle cosiddette badanti e il 69% dei collaboratori domestici.E il paese, come d’incanto, si fermerebbe. Senza immigrati, in particolare, andrebbe in tilt il sistemadella cura familiare, il cosiddetto welfare parallelo o invisibile,come si è venuto strutturando negli ultimi decenni. Se è veroche già a partire dal dopoguerra molte persone di originestraniera avevano cominciato a lavorare nelle case degli italiani,come collaboratrici o come tate per l’accudimento dei bambini,la loro presenza è andata aumentando nel corso del tempo e siè affermata definitivamente dalla fine degli anni Ottanta conla presa in carico delle persone anziane e in generale non auto-sufficienti. In quel periodo, infatti, il Paese ha assistito a duefenomeni concomitanti: da una parte l’aumentato bisogno dicura e di soccorso da parte delle persone anziane in seguito alprolungamento delle aspettative di vita e al processo di invec-chiamento della popolazione; dall’altra, la crisi del modellostatale di assistenza sociale. La domanda di assistenza largamenteinsoddisfatta dalle politiche pubbliche è stata così intercettatadalla disponibilità crescente di manodopera immigrata. Per effetto di queste dinamiche, oggi l’Italia è il paese europeocon il maggior numero di lavoratori domestici impiegati(760.000), davanti alla Spagna (618.000). Seguono a grandedistanza la Francia (281.000) e la Germania (198.000). I760.000 collaboratori domestici censiti da Eurostat nel 2016sono per l’86% formati da donne e provengono in larga misuradall’Est Europa (60,7%) e dall’Asia (20,1%). Il contributodelle persone straniere alla vita domestica delle famiglie italianepresenta luci e ombre, come tutto il contraddittorio e ambiguomercato occupazionale degli immigrati in Italia segnato da in-gressi subalterni e regolarizzazioni tardive. Da una parte la do-manda nel settore è in costante aumento, alla luce anche del-l'incremento tendenziale del numero di persone non-autosuf-ficienti, un fatto di per sé positivo che favorisce l’inserimento

nel mercato del lavoro da parte di tante persone immigrate.Dall’altra, « in mancanza di decreti flussi con quote per colf ebadanti, l'ultimo nel 2011, il numero di lavoratori domesticiextra-comunitari iscritti alla gestione Inps tende inesorabilmentea ridursi, - ha dichiarato nel 2018 Tito Boeri, presidenteuscente dell’INPS - non compensato (o compensato in minimaparte) dall'aumento dei lavoratori comunitari o italiani chenon hanno problemi coi visti. Ma non appena c'è un provve-dimento di regolarizzazione del lavoro nero, il numero di colfe badanti extracomunitarie si impenna, a dimostrazione delfatto che questi lavori continuano a essere richiesti, ma vengonosvolti senza versare i contributi sociali».Preoccupa, inoltre, la severa segregazione occupazionale delledonne. «Di fatto - si legge nell’ultimo rapporto Idos - l’impiegodelle assistenti familiari straniere consente a molte famiglie, esoprattutto alle donne adulte, di conciliare lavoro, famiglia ac-quisita e cura dei genitori anziani, ma consente anche alle isti-tuzioni pubbliche di risparmiare sui costi dell’assistenza do-miciliare e del ricovero degli anziani in strutture protette. Iltutto però sulle spalle di donne immigrate che sopportanocondizioni di vita e di lavoro particolarmente sacrificate»(IDOS 2018, p. 254). Una prima indicazione nell’auspicata di-rezione di una regolamentazione del settore, è venuta recente-mente dal Parlamento europeo che a marzo 2017 ha approvatouna risoluzione, non vincolante, per garantire ai lavoratoridomestici diritti sociali e uno status giuridico comunitario. Negli ultimi anni numerosi film e documentari hanno provatoa narrare l’epopea di queste persone, costrette a sacrificare lapropria vita e i propri affetti per prendersi cura della vita deglialtri: ovvero dei nostri bambini e dei nostri anziani. Un titolosu tutti: Per un figlio (2016), bellissima opera prima di ungiovane regista italo-italo-cingalese, Suranga Katugampala. Ilracconto della relazione sul filo dell’incomprensione tra unragazzo adolescente, nato nella provincia italiana, e la madrecingalese, divisa tra la preoccupazione per il figlio e quella perla vecchia signora che assiste giorno e notte. l

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La vita per gli altriTasso di disoccupazione per provincia

Anno: 2017. Fonte: ISTAT

Gli immigrati rubano il lavoro?

Per una parte dell’opinionepubblica il verdetto è già statoemesso: gli immigrati sono ri-conosciuti colpevoli sullapubblica piazza di furto di la-voro aggravato ai danni degliitaliani. Per chi ha studiato piùda vicino il caso, gli inquisitihanno un alibi di ferro: lavora-no in larga maggioranza alNord - in Lombardia, Veneto,Lazio, Emilia-Romagna, Pie-monte - mentre la disoccupa-zione cresce soprattutto nelleregioni meridionali, come mo-stra la mappa. È accertatoinoltre che gli immigrati ri-mangono schiacciati nelle po-sizioni inferiori del mercatodel lavoro poco ambite dagliitaliani, che più di 3 occupatisu 10 hanno un’ istruzione su-periore a quella richiesta dallavoro che svolgono, che laloro retribuzione è inferiore inmedia del 25% rispetto aquella degli italiani, e che ingenerale il lavoro degli immi-grati attende ancora di esserericonosciuto, tutelato e pro-mosso. Quanto alla crisi del la-voro in Italia, le cause sonomolteplici e complesse. Unadi queste è rappresentatadall’economia sommersacreata dalla criminalità orga-nizzata che, secondo uno stu-dio autorevole, arreca unaperdita allo Stato compresatra i 100 e i 150 miliardi dieuro, quasi un decimo del PIL(Banca d’Italia 2012).

Negli ultimi tre decenni, gli stranieri hannopartecipato e spesso guidato, anche al dilà della loro esperienza migratoria, movi-menti e lotte che hanno ottenuto risultatiper tutti i lavoratori, italiani compresi.Come l’operaio egiziano Abd El Salam Ah-med El Danf morto mentre manifestava,lui assunto a tempo indeterminato, per la

La mappa qui sotto va letta insieme a quella che pubblichiamo a pagina 25. Nelle province del Mezzogiorno (in particolare inCampania, Calabria e Sicilia) dove l’incidenza delle persone straniereraggiunge i livelli minimi (circa un terzo di quella che si rileva inalcune province del Nord) il tasso di disoccupazione balza ai livellimassimi, superando abbondantemente il 20%. Oltre 3 volte quantosi rileva nella maggior parte delle province del Centro-Nord dovetendono a vivere lavorare gli immigrati.

regolarizzazione dei suoi colleghi. Ce lo ri-corda la Storia dell’immigrazione stranierain Italia firmata da Michele Colucci, pubbli-cata nel 2018 dall’editore Carocci. Il libro ri-percorre oltre cinquant’anni di immigra-zione con l’obiettivo, tra le altre cose, di«mettere in discussione quell’approcciointerpretativo che individua gli immigraticome persone destinate ineluttabilmentead adattarsi ai contesti sociali, economici,politici in cui si trovano a vivere. Questo

approccio si è accompagnato per lungotempo a una sorta di visione binaria, se-condo la quale coloro che vivono un’espe-rienza migratoria sono destinati ad essereetichettati necessariamente come carnefi-ci di qualcuno o qualcosa o in alternativacome vittime di qualcuno o qualcosa (unavisione che riguarda quei filoni di pensieronon ostili all’immigrazione)». Gli immigrati,mostra Colucci, concorrono a rimodellarela società in cui arrivano. l

Gli stranieri fannola storia

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Come si manifesta lo scetticismo?L’operatore dice tra sé, questo non ha niente, mi fa solo perdere tempo. Il pazienteafricano dice, questo non mi guarda nemmeno perché sono straniero. E in ogni casonon ha i poteri. Questo accade perché il paziente occidentale e quello africanohanno due visioni opposte del loro corpo.

Qual’è la nostra visione del corpo?Il paziente italiano ha una visione tutta organica. E con trasmissioni come Medi-cina 33 o Check-up, sa tutto del suo corpo. Con internet, poi, tutti sono in curadal professor Yahoo o dal dottor Google. Arrivano che conoscono ogni cosa delleloro malattie, per non parlare dei rimedi. Vanno dal dottore come si va dal salu-miere. Ti dicono, per piacere mia dia 2 chili di Voltaren, eccetera. Questa conce-zione organica del corpo, d’altra parte, influisce molto sul rapportomedico-paziente, che è un rapporto organico. Curiamo gli organi, non esiste piùnessuno che cura il paziente nella sua interezza.

E il paziente africano?Invece il paziente africano non sa niente di tutto ciò e arriva dal medico dicendocose del tipo, mi sono alzato ieri che avevo litigato con mia moglie e sentivo dellacorrente elettrica che mi correva nei capelli. Mi volto e vedo già il mio collega chetamburella con le dita sul tavolo e comincia a scrivere valium, 10 gocce, eccetera.Il paziente africano ha una visione olistica della persona, quando arriva raccontadi sé e della sua malattia, che è qualcosa che coinvolge tutto il suo corpo ma anchel’ambiente in cui vive. Il medico non sta nemmeno ad ascoltarlo perché non gli dice quello che è abituatoa sentire - ho male al fegato, al cuore, eccetera - e lo considera un malato imma-

ginario. Mentre se lo ascoltasse potrebbe trovare degli elementi utili per fare unadiagnosi. Il problema è che non c’è più nessun medico oggi che ascolta e vede ilpaziente, ci siamo dimenticati la vecchia semeiotica… e questo lo dicono anche ipazienti italiani.

Quindi il fatto di avere tanti pazienti che vengono da altre culture può rappre-sentare un’occasione di crescita anche per il medico… per guarire la relazionecon il paziente?

Io penso di sì. Ci aiuta a tornare a vedere i pazienti, tutti i pazienti, come personee non come somma di organi, e a prestare più attenzione al ruolo del contesto. Ciaiuta ad ascoltare di più, a migliorarci come medici. Ma nessuno è profeta in pa-tria. I miei colleghi su questi argomenti mi ridono dietro. Mi dicono: come ti seiadeguato tu, si adegueranno anche loro. Sono loro ad essere venuti qui. Io ri-spondo: un conto è la comunicazione linguistica, un conto è la comunicazioneculturale. Se voglio curare questo paziente e adempiere al mio ruolo di medico,devo fare un passo avanti e capire la sua mentalità. Se non faccio questo sforzo non capirò mai perché è così difficile far comprenderea un africano il concetto di malattia cronica. L’ho visto con mia madre: era iper-tesa, ma appena stava meglio smetteva di prendere le pillole. Per questo i diabeticiafricani sono così difficili da curare qui. È tutta una mentalità che va educata…ma per poterlo fare prima devo fare lo sforzo di capire questo concetto diversodel corpo e della malattia. Serve urgentemente una formazione ad hoc. l

Medico e scrittore Kossi Komla-Ebri lavora da tre decenni in un ospe-dale in Lombardia. È stato difficile integrarsi nella sanità italiana?

All’università volevo fare ginecologia. Avevo preso a frequentare il reparto quandoun bel giorno il primario mi disse: non puoi più venire, fai paura alle donne.Rimasi scioccato e decisi di fare chirurgia, così almeno dormono e non farò piùpaura a nessuno. Quando poi sono arrivato a Erba, mi sono reso conto che ladifficoltà principale non stava nel colore della pelle, ma nella possibilità dicomunicare con i pazienti, perché c’erano molti anziani che parlavano solo dia-letto… Così, avendo facilità con le lingue, imparai subito qualche parola indialetto. Se veniva una signora le dicevo: sciura, sedet giò sul cadregon. E subitovedevo la sua faccia rilassarsi. Vedi? parla come noi! In ogni caso il razzismospesso è espressione di classismo e, da questo punto di vista, il camice mi sbianca,mi sdogana. Con il passare del tempo anche quel po’ di diffidenza iniziale èsvanita, e si è verificato il fenomeno opposto: ci sono dei pazienti che vengono inospedale solo per farsi vedere da me. Se non mi trovano tornano a casa. Semmai,un problema con il mio essere diversamente visibile poteva esserci con i mieicolleghi che spesso avevano un atteggiamento paternalista e di superiorità neimiei confronti. Chissà cosa saprà fare questo qua!».

Come giudica il livello di preparazione dei suoi colleghi in materia di medicinadella migrazione e di intercultura? In Italia purtroppo non vi è una formazione in Antropologia Medica. Si pensaalla malattia soltanto come un fatto biologico. Abbiamo una visione esclusiva-mente meccanicistica del corpo umano. Manca il concetto che la malattia è unfenomeno bio-culturale, manca una visione olistica della persona. All’Università non ci hanno insegnato le diverse concezioni del corpo nelle di-verse culture. Non ci hanno detto che la visione del proprio corpo nella societàpuò influire sullo stesso star male, sul modo in cui avvertiamo il dolore e anchesul morire. Io mi sono dovuto formare per conto mio e ogni anno tengo dei corsidi antropologia medica con diverse realtà associative presso l’Università di Bo-logna e a Brescia con i volontari di Medicus Mundi. Del resto formarmi è stataanche una necessità.

Perché?Perché da noi accadeva spesso che quando arrivava in reparto un paziente stra-niero i miei colleghi chiamavano me, anche se (ride) io non conosco tutte le linguee tutte le culture del mondo. D’altra parte quando arriva lo straniero tra medicoe paziente scatta una sorta di esotismo reciproco. Il medico mette i doppi guantie pensa chissà che malattia avrà. Dentro di lui scatta la cosiddetta sindrome diSalgari. Il paziente immigrato - soprattutto quello africano che conosco meglio -arriva invece con l’idea, altrettanto esotica, che il bianco ha la macchina miracolosache vede dentro il corpo e trova tutte le malattie. È la sindrome da General Ho-spital. I medici occidentali sono come E.R., medici in prima linea, risolvono tutto.Poi a questa fase subentra una fase di scetticismo.

Stranieri nella Sanità

Il contributo degli immigrati èsempre più palpabile anchenel campo della salute, per lapresenza crescente di medicie infermieri di origine stra-niera negli ospedali, negliambulatori, nelle cliniche. Dif-ficile dare delle stime attendi-bili per l’assenza di registriunificati e database affidabili.Ci prova l’Associazione MediciStranieri in Italia: secondol’AMSI gli operatori stranieri odi origine straniera attivi inItalia in questo settore sareb-bero 65.000, dei quali 18.000medici e 38.000 infermieri. Trele tipologie principali: ex stu-denti stranieri laureati nel no-stro Paese che in Italia hannodeciso di rimanere e operare(tra gli anni Sessanta e la finedegli anni Ottanta); medici eprofessionisti già laureati neiloro Paesi provenienti dalblocco dell'Est dopo la cadutadel muro di Berlino; più re-centemente medici prove-nienti dai Paesi arabi e dalSudamerica, un flusso tutta-via sempre più contenuto acausa del numero chiuso perl’accesso ai corsi di laurea.Negli ultimi anni, secondoAMSI, in seguito alla crisi si sa-rebbe registrato un incre-mento dei rientri in patria permotivi economici e familiari.L’apporto del personale sani-tario straniero rimane tuttaviaconfinato in larga misura allasanità privata poiché l’ac-cesso ai concorsi pubblici èvincolato dal requisito dellacittadinanza.  

L’INTERVISTA

Un’ occasione per guarire la relazione medico-paziente

Kossi Komla-Ebri

Nato nel 1954 in Togo, laureato

in Medicina e Chirurgia

a Bologna nel 1982,

specializzato in Chirurgia

Generale presso l’Università

degli studi di Milano, Kossi

Komla-Ebri lavora da oltre 30

anni presso l’ospedale

Fatebenefratelli di Erba.

Nel tempo libero si diletta

nella scrittura.

Nel 2002 ha pubblicato

con successo «Imbarazzismi.Quotidiani imbarazzi in biancoe nero», seguito nel 2004

da «Nuovi imbarazzismi»pubblicati entrambi

da Marna Editore.

Se voglio curare questo paziente e adempiere al mio ruolo dimedico devo fare un passo avanti e capire la sua mentalità

Page 22: Sanità di frontiera...politica che affronta il fenomeno, perché, come illustreremo in questa pubblicazione, è pro vato da diverse fonti autorevoli che l’immigrazione, se ben gestita,

«La giustizia sociale sta diventando unaquestione di vita o di morte. Sta in-fluenzando il modo di vivere della

gente, la probabilità di ammalarsi ed il rischio dimorire prematuramente». È quanto si legge nelleconclusioni della Commissione sui Determinantisociali della Salute pubblicata dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità nel 2008. Il risultato di treanni di lavoro da parte di medici, accademici, de-cisori, ex capi di Stato ed ex ministri della saluteprovenienti da tutto il mondo, coronato dalla pub-blicazione di un ponderoso rapporto che racco-manda l’adozione di politiche inclusive percostruire il benessere e la salute delle popolazioni:Closing the gap in a generation: Health Equitytrough action on the Social Determinants of Health(OMS, CSDH 2008). Da alcuni decenni, d’altra parte, un imponentemesse di ricerche e di dati mette in luce l’impattodelle diseguaglianze sulla salute delle persone edelle comunità più marginali. «Gli studi ci diconoche l’impatto maggiore sulla salute non è esercitatodal sistema organizzato delle cure, e quindi dallacapacità di risposta del sistema assistenziale -spiega Maurizio Marceca, presidente della SocietàItaliana Medicina delle Migrazioni - ma dal con-testo di vita. Si stima che il sistema sanitario incidasulla salute di una persona per il 20%, mentre ilcontesto influisca per il 40-50%». In particolare,l’epidemiologia sociale ha dimostrato precise cor-relazioni tra i livelli di salute di una popolazione ealcuni fattori di rischio: povertà di reddito, precariecondizioni abitative, bassi livelli di istruzione, unascarsa coesione sociale, eccetera. «Il ruolo dei cosid-detti determinanti strutturali e sociali delle malattienon è postulato da teorie sociologiche, ma da vere eproprie dimostrazioni scientifiche - rincara Marceca- abbiamo ormai un’imponente letteratura in que-sto campo che mostra come il reddito, il livello diistruzione, la coesione sociale, ma anche la lingua,la giustizia, eccetera, sono fattori protettivi nel mo-mento in cui uno ne consegue un livello elevato, concorrelazioni ormai ampiamente accertate».Le implicazioni di questa rinnovata attenzione perle condizioni di vita (e quindi per le diseguaglianzesociali) da parte della scienza sono molteplici nelcampo della medicina della migrazione. In primoluogo il cosiddetto paradigma bio-psico-sociale

della salute ci invita a considerare in tutta la suagravità il livello di svantaggio, e quindi di vulnera-bilità, della popolazione di origine straniera pre-sente nel nostro paese. Se è vero, che i fattori dirischio socioeconomici, culturali, ambientali, rela-tivi agli stili di vita, rischiano di alimentare le dise-guaglianze di salute di tutta la popolazione incondizioni di svantaggio, l’Organizzazione Mon-diale della Sanità «ha riconosciuto il processo mi-gratorio in sé come un determinante sociale disalute che richiede considerazioni multi settoriali.Sfortunatamente, la crisi finanziaria globale ha por-tato a una battuta d’arresto nei percorsi di accessodei migranti alla salute in molte regioni d’Europa.Ciò è stato collegato in parte alle misure di auste-rità, in parte ai crescenti sentimenti anti-immigratirinforzati dalla situazione economica, un trend cheprosegue ancora una decade dopo» (OMS 2018).Negli ultimi dieci anni, infatti, le conseguenze dellacrisi sono state pagate a caro prezzo dalla popola-zione immigrata, che ha visto peggiorare dramma-ticamente la propria situazione. Secondo l’importante indagine EUSILC, ad esem-pio, ben il 50,5% delle persone immigrate regolar-mente residenti in Italia sarebbe a rischio dipovertà o esclusione sociale, un dato cresciuto di

4140

Colmare i divari: integrazione è salute

Povertà, bassi livelli di istruzione, precarie condizioni abitative,possono avere un impattodeterminante sulla salute. Lo dice il nuovo paradigma bio-psico-sociale della medicina. Che ci invita a prendere sul serio la vulnerabilità sociale degliimmigrati, cresciuta a dismisuradurante la crisi,e a lavorare per la loro piena inclusione sociale.Perché le politiche per l’integrazionefanno bene alla salute (di tutti).

LA COPERTINA

«Il medico, nel considerarel’ambiente di vita e di lavoro e

i livelli di istruzione e di equitàsociale quali determinanti fon-damentali della vita collettiva,collabora all’attuazione di ido-nee politiche educative, di pre-venzione e di contrasto alle di-

seguaglianze alla salute epromuove l’adozione di stili

di vita salubri».

Codice di deontologia medica, Federazione nazionale dei Medici chirurghi

e degli Odontoiatri. Articolo 5

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Tra i fattori di rischio bio-psico-sociali particolarmenteaccentuati negli anni della crisi, con effetti indirettisulla salute mentale, si annoverano la solitudine, l’iso-

lamento, lo stress finanziario e la minaccia di perdere il lavoro(G. Costa, M. Marra, S. Salmaso, Gruppo AIE, Gli indicatoridi salute ai tempi della crisi in Italia, 2013). Una minacciamolto concreta per le persone straniere: la disoccupazione tragli immigrati residenti è passata dall’8,5%del 2008 al 17,2% del 2013, per poi atte-starsi al 14,4% nel 2017 (nello stessoperiodo la disoccupazione tra gli italianiè cresciuta dal 6,6% al 10,9%). La reces-sione ha inoltre provocato una diffusatendenza al demansionamento, alla ul-teriore precarizzazione delle condizionicontrattuali e all’aumento dei carichi dilavoro. «Rispetto agli italiani - annotaval’ISTAT qualche anno fa - la maggioredisponibilità ad accettare impieghi abassa specializzazione fa sì che gli stranierirestino intrappolati in un mercato dellavoro fatto di occupazioni poco quali-ficate e meno corrispondenti al livellodi conoscenze/competenze acquisito»(Istat, 2015).«La stragrande maggioranza delle personestraniere residenti in Italia non presentaparticolari problemi di salute se non peril fatto, in quanto popolazione econo-micamente e socialmente più fragile, diessere maggiormente esposta ad alcunepatologie legate alla povertà e allo stress,e a una serie di carenze in termini di servizi che riguardanoanche la popolazione italiana - racconta Ornella Dino, dal2012 responsabile medico dell’Unità operativa per la Promozionedella salute immigrati dell’Azienda Sanitaria Provinciale diPalermo - Dal nostro osservatorio, nella stragrande maggioranzadei casi vediamo persone immigrate stressate da condizionidi vita particolarmente debilitanti: la povertà, la lontananzada casa, la mancanza di riconoscimento della propria identitàsociale, l’impossibilità di essere una figura di riferimento e disupporto per i figli lontani e la famiglia. Sono problemi disalute e disagio psicologico che nascono da situazioni contingentisocialmente determinate». Ovviamente, la situazione si fa ancora più complessa per ineo-arrivati richiedenti asilo e protezione internazionale,spesso già segnati dalle vicissitudini di un viaggio traumaticoe debilitante e destinati a scontrarsi con barriere linguistiche,complicazioni burocratiche, deficit di formazione e informa-

zione, e più in generale con i tanti punti deboli di un sistemadi accoglienza che riduce ulteriormente la possibilità diaccedere correttamente e tempestivamente alle cure.«Per i rifugiati il problema della salute è anche un problemadi accoglienza. Il nostro cosiddetto sistema di accoglienza èdeficitario e fallimentare. Costringe queste persone in unacondizione di limbo per tempi lunghissimi, senza documenti

e senza la possibilità di inserirsi nelmondo del lavoro. A questo bisogna ag-giungere le pessime condizioni dei centri,gli operatori non pagati o con poca for-mazione, il cibo scadente, eccetera ecce-tera. Tutto ciò finisce per influire sulleloro condizioni fisiche e soprattutto sullaloro salute psichica. A volte penso chestiamo creando una popolazione di sban-dati, squilibrati, potenzialmente violenti.Vedo gli immigrati quando arrivano alporto: hanno gli occhi vivi, in loro c’èmolta sofferenza e molta dignità. Vedole stesse persone sei mesi dopo nei centridi accoglienza e mi rendo conto che liabbiamo annientati fisicamente e psi-cologicamente. Nel nostro ambulatorioabbiamo un sacco di TSO, di accessi airicoveri per psichiatria. D’altra parte lagente per farsi sentire deve fare casino,così rompono tutto, salgono sui tettidegli autobus, fanno cose assurde. Manon sono pazzi… forse li stiamo facendodiventare pazzi noi» l

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16 punti dal 2008 e oggi inferiore soltanto a quellogreco. Nel 2017 il reddito netto medio equivalentepercepito dagli stranieri residenti era inferiore del30% rispetto a quello degli italiani per effetto dellamaggiore precarietà delle occupazioni svolte daiprimi. La diseguaglianza di reddito, secondo gliesperti, sarebbe la variabile macroeconomica checondiziona maggiormente gli indicatori di salutenei paesi occidentali: all’aumentare dei livelli di di-seguaglianza diminuisce la speranza di vita e la sa-lute media. Ma tutti i principali indicatori, nellediverse dimensioni di vita degli immigrati, mo-strano livelli di benessere sensibilmente inferiori aquelli rilevati tra la popolazione autoctona comevedremo più avanti nel dettaglio con l’aiuto di gra-fici e mappe.In secondo luogo, il nuovo paradigma bio-psico-sociale della salute ci dice che le politiche di inte-grazione devono essere necessariamenteintersettoriali, in modo da agire simultaneamentesulle principali dimensioni di esposizione alle vul-nerabilità: la salute, il lavoro, l’istruzione, l’abita-zione. «Un governo che non investe nell’istruzionestratifica socialmente la popolazione rendendo piùforti i forti, e più deboli i deboli - sottolinea Mar-ceca - Nel campo dell’immigrazione questo signi-fica che non possiamo limitarci all’assistenzasanitaria, ma dobbiamo mettere in campo anchedelle buone politiche sociali, ad esempio in materiadi integrazione e di asilo. Sotto questo aspetto, unodegli errori più grandi compiuti in passato da tuttii governi è stato quello di accentrare tutte le poli-tiche dell’immigrazione nelle mani esclusive delMinistero dell’Interno. In questo modo si è conti-

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Stranieri a casa nostra

«Le condizioni di salute mentalerisentono particolarmente

dell’incertezza rispetto al proprio status

legale, alla residenza, ai permessi di lavoro, e allaprecarietà delle prospettivesociali nel paese ospitante.

I lavoratori migranti ottengonogeneralmente impieghi più

precari e pericolosi, che possonomettere a repentaglio la vita,generare malattie, situazioni

di stress psico-sociale, in condizioni di lavoro

e di vita insalubri».

Organizzazione Mondiale della Sanità, 2018

nuato a schiacciare tutto il discorso sulla dimen-sione della sicurezza, senza capire che ci troviamodavanti ad un fenomeno eminentemente sociale».La terza fondamentale implicazione del nuovo pa-radigma investe direttamente il ruolo e la funzionestessa del medico, come di fatto ha certificato daqualche anno l’articolo 5 del nuovo codice di de-ontologia medica della Federazione nazionale degliordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri: «Ilmedico, nel considerare l’ambiente di vita e di la-voro, i livelli di istruzione e di equità sociale qualideterminanti fondamentali della vita collettiva,collabora all’attuazione di idonee politiche educa-tive, di prevenzione e di contrasto alle disegua-glianze alla salute…». «Questo documento -ricorda Marceca - è stato sottoscritto da tutti gli or-dini provinciali dei medici e segna un importantepasso avanti nella direzione indicata dall’Organiz-zazione Mondiale della Sanità. Questa, d’altraparte, era anche la direzione indicata quasi due se-coli fa da Rudolf Virchow, uno dei numi tutelaridella medicina moderna, pioniere della patologiacellulare e della patogenesi delle malattie. Un verogigante che chiamato in Alta Slesia per fronteggiareun’epidemia di tifo, indicava nel miglioramentodelle condizioni sociali della popolazione la chiaveper debellare tutta una serie di malattie. Alla metàdell’Ottocento diceva che la medicina è una scienzasociale, la politica è una medicina su larga scala eche la vocazione dei medici è quella di aiutare i ma-lati e i poveri, non di fare soldi. Noi veniamo già daquesta storia e oggi la stiamo riscoprendo. L’atten-zione sociale nell’ambito della salute dovrebbe ri-guardare tutti gli operatori della salute». l

Il ruolo del medico

Se è vero che i determinanti chiavedella salute sono all’esterno del si-

stema sanitario, cosa possono fare i me-dici per promuovere l’equità della salute,oltre al loro ruolo essenziale di curadella malattia? A questa domanda, Mi-chael Marmot, presidente della Com-mission on social determinants of Health,oggi a capo della World Medical Asso-ciation, ha risposto con un rapporto ecinque raccomandazioni principali: 1)agire sulla formazione degli studenti edei medici in materia di determinanti;2) inquadrare il paziente in un contestopiù ampio, trattare le sue condizioni divita; 3) assicurare buone condizioni dilavoro agli stessi dipendenti del servizio

In queste pagine,

alcune immagini

del grande

repertorio

fotografico di

Mohamed Keita.

Da anni, giorno

dopo giorno, con

discrezione e

rispetto,

documenta la vita

delle persone senza

fissa dimora a

Roma. Italiani,

stranieri, persone.

A volte amici, con

i quali ha spezzato

il pane sulla strada.

sanitario; 4) promuovere il lavoro in-tersettoriale; 5) impegnarsi nell’advo-cacy, per politiche che migliorino lecondizioni di vita dei pazienti. Il suoultimo libro - La salute diseguale. Lasfida di un mondo ingiusto (Il Pensieroscientifico, 2016) - fondamentale intro-

duzione al nuovo paradigma della sa-lute - si apre con una rievocazione per-sonale: «L’ospedale di Sidney dove misono formato accoglieva un’ampia po-polazione di immigrati, che in queglianni Sessanta provenivano dalla Grecia,dalla Jugoslavia e dal Sud Italia. Con illoro scarso inglese per descrivere i sin-tomi, arrivavano al pronto soccorso conun dolore all’addome. A noi giovanimedici veniva detto di somministrareun antiacido e di inviarli a casa. Io lotrovavo assurdo. Le persone venivanocon i problemi della propria vita e noili trattavamo con una bottiglia di mi-stura bianca». La perplessità del giovanemedico si trasforma in un rovello esi-stenziale e in un lavoro di ricerca duratouna vita intera, magistralmente raccon-tato nel libro. l

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Senza fissa dimora

Secondo l’ultima indagine realizzata da ISTAT su uncampione di 150 comuni, nel 2014 le persone inquesta condizione erano in maggioranza uomini

(85,7%), stranieri (58,2%), con meno di 54 anni (75,8%)e un basso titolo di studio (solo un terzo raggiungealmeno il diploma di scuola media superiore). Il 76,5%viveva in solitudine; poco più della metà (il 51%) non siera mai sposato. Rispetto a un’indagine analoga realizzataqualche anno prima, le persone senza fissa dimora appa-rivano in aumento e vivevano la precarietà da più tempo:4 su 10 da più di 2 anni, 2 su 10 da quattro anni. Il feno-meno è inevitabilmente soggetto alla crisi del lavoro ealle fasi di recessione economica, alla colpevole evanescenzadelle politiche sociali e abitative, agli stessi interventi agamba tesa nel campo dell’accoglienza dei migranti.Grande preoccupazione, ad esempio, destano l’abrogazionedel permesso umanitario e l’indebolimento del sistemaSPRAR decisi dal cosiddetto decreto sicurezza che rischiadi determinare ulteriori condizioni di instabilità, irregolaritàe insicurezza per almeno 100.000 persone.

LA FOTO NOTIZIA

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Ci può dire in che cosa consiste il lavoro dell’Ufficio regionale per l’Eu-ropa dell’OMS? Ci occupiamo di tutto, dagli aspetti normativi all’assistenza tecnica ai

paesi membri, dal miglioramento delle performance del sistema sanitario allosviluppo di politiche, fino alla costruzione di servizi.

Quando avete cominciato a interessarvi di immigrazione?L’attenzione verso queste tematiche è molto recente. Basti pensare che la nostra di-visione è l’unica in tutta l’agenzia che affronta in maniera strutturata le implicazionisanitarie delle migrazioni. Quando abbiamo cominciato a occuparcene era un po’come parlare una nuova lingua. In effetti siamo una sorta di centro pilota: abbiamofatto formazione agli uffici delle altre regioni e al quartier generale. Tutto quello chefa oggi l’OMS in questo campo è partito da qui nel 2011 con il supporto del Ministerodella Salute Italiano e di quello Belga, quando abbiamo iniziato a strutturare il settorein seguito all’ondata migratoria generata dalle primavere arabe. Fino ad allora se-condo un approccio un po’ vecchio, si tendeva a pensare alla salute in questo camposolo durante le emergenze o per rispondere a bisogni particolari. All’inizio, abbiamodovuto fare di necessità virtù, evidenziando il grande gap di dati e di conoscenze.

Perché è importante che i medici si occupino di immigrazione? Gli stranieri por-tano malattie?Le difficili condizioni di vita di queste persone durante il percorso migratorio sonoindubbiamente fonte di grande preoccupazione, ed è per questo che vanno aiutatee assistite e va promosso un approccio collaborativo fra stati che auspichi una mi-grazione regolare. Ma per quanto noi riconosciamo che il movimento di popola-zione possa funzionare da fenomeno ponte fra paesi con profili sanitari eun’incidenza di malattie differenti, la paura di diffusione di malattie infettive daparte dei nuovi arrivati non è confermata dalla realtà dei fatti. È anche una que-

stione statistica: nel 2015, durante la fase più critica, ben un milione di personesono passate dai paesi del Sud Europa a quelli del Nord Europa. Un dato enormein sé, ma molto piccolo se lo paragoniamo alle decine di milioni di persone chetransitano in un anno all’aeroporto di Fiumicino. Se vado a spalmare la possibilitàdi contagio sul numero di persone, il rischio è forse maggiore in un aereoportodove il numero di transiti è molto alto.

Da alcuni anni l’OMS ha messo al centro della sua strategia l’attenzione ai determi-nanti della salute. Quali sono le implicazioni di questo approccio per l’immigrazione?Oggi sappiamo che gran parte delle politiche decise in campo ambientale, sociale,industriale, economico, hanno ripercussioni sulla salute. Per questo parliamo di

L’INTERVISTA

La responsabilità etica di produrre conoscenza

Santino Severoni

Dal 2000 collabora con

l’Organizzazione Mondiale

della Sanità, l’unica agenzia

specializzata in salute delle

Nazioni Unite. E dal 2013 è

responsabile del Programma

Regionale di Salute pubblica

e migrazioni nell’Ufficio OMS

per la Regione Europa.

Laureato in medicina, Santino

Severoni ha una

specializzazione in medicina

e chirurgia all’Università

dell’Aquila, e un master

in Economia della salute alla

scuola di Medicina e Igiene

preventiva di Tor Vergata.

L’attenzione verso queste tematiche è recente. Quando abbiamocominciato a occuparcene era come parlare una nuova lingua.

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determinanti sociali, economici o politici della salute. Anche la migrazione ha unaforte componente di determinanti sociali, che osserviamo in azione, ad esempio,in quella che chiamiamo transizione epidemiologica. I migranti che provengono dapaesi con economie meno sviluppate e con un tenore di vita forse più sano del no-stro - più movimento, meno cibo inappropriato, meno alcol, meno tabacco - pa-radossalmente arrivano in condizioni migliori rispetto a quelle della popolazionericevente. Qui da noi, per ragioni socio economiche, tendono però a sistemarsi neglistrati sociali più bassi, hanno accesso a cibi di bassa qualità e a condizioni abitativeprecarie, consumano tabacco, cadono in depressione perché sono lontani da casa,

eccetera. Per effetto di questi fattori hanno un rischio più elevato di sviluppare ma-lattie croniche - diabete, obesità, cardiovascolari - rispetto alla popolazione residente.Se le difficoltà e le specificità del fenomeno migratorio, o dei migranti forzati, nonvengono contemplate quando si disegnano i sistemi sanitari e le politiche, rischiamodi creare grandi squilibri e di escludere queste persone dai servizi di prevenzione edi cura, indebolendone il tessuto sociale e la resilienza.

All’inizio del 2019 avete pubblicato un importante rapporto su questi temi, Reporton the health of refugees and migrants. Con quale intento?L’obiettivo del rapporto è fondamentalmente quello di dialogare con le istituzioni,con i decisori politici, con gli addetti ai lavori. Per questa ragione, negli ultimi dueanni ci siamo andati a spulciare tutti i dati disponibili nella regione europea ri-guardo ad alcune tematiche di salute molto precise, raccogliendo una mole im-pressionante di dati. Circa 13 mila informazioni di riferimento e dati statistici cheabbiamo inserito nell’analisi. È il primo rapporto di questo genere realizzato dal-l’OMS ed è già diventato virale superando i confini della regione dove è stato pro-dotto. Il nostro auspicio è che possa agire come stimolo sui governi e sui ministeriper investire ulteriormente in ricerca e in evidenza. Perché quello della conoscenzaè un elemento cruciale se vogliamo fare delle scelte operative o gestionali di piani-ficazione sanitaria che siano efficaci con la realtà attuale.

Quali sono i messaggi più importanti che emergono dalla vostra ricerca?I messaggi sono molteplici e di diverso livello. Il primo messaggio è che in un mo-mento segnato da una forte polarizzazione politica su questi temi, noi tecnici e scien-ziati abbiamo la responsabilità etica imprescindibile di produrre verità, evidenza,colmando il più possibile eventuali gap di conoscenza e di formazione. Sotto questoaspetto il rapporto ha la funzione importantissima di sfatare tanti falsi miti e falsecredenze in riferimento alle implicazioni di salute relative alla migrazione o ai rifu-giati. Il secondo messaggio fondamentale emerso dall’analisi è che dobbiamo ga-rantire l’accesso più ampio possibile alle cure. Non bisogna fare prevalere laschematizzazione burocratica, la distinzione tra chi ha le carte e chi non le ha: limi-tare l’accesso per la mancanza dell’entitlement, è di per sé un fattore di rischio. Ilvecchio mantra prevenire è meglio di curare è valido anche per i migranti. Con unadifferenza importante: che le cure in fase preventiva hanno un costo nettamente in-feriore a quelle in fase conclamata o ospedaliera. L’accesso, tuttavia, è subordinatoall’integrazione sociale, ed è per questo che guardiamo ai determinanti sociali.Quando vediamo persone che vivono in condizioni di esclusione le iscriviamo au-tomaticamente alla lista di chi è esposto alle malattie (infettive, della povertà, cro-niche). Per questo è assolutamente fondamentale dare loro accesso a sistemi sociosanitari di base. l

Niente salute pubblica, senza salute dei migranti.

L’Ufficio europeo dell’OMS hapubblicato il primo rapportosulla salute di migranti e rifu-giati nei 53 Paesi della Re-gione dal titolo Report on thehealth of refugees and migrantsin the WHO European Region:no public health without refu-gee and migrant health. Realizzato in partnership conl’Istituto nazionale per la pro-mozione della salute delle po-polazioni migranti e per ilcontrasto delle malattie dellapovertà (INMP), il documentoanalizza migliaia di documentiprodotti a partire dal 2014 conl’obiettivo di creare evidenzeper aiutare gli stati membri apromuovere la salute dei rifu-giati e dei migranti implemen-tando quanto riportato nelStrategy and Action Plan for Re-fugee and Migrant Health in theWHO European Region. I 53 paesi della Regione euro-pea OMS ospitano una popo-lazione di 90,7 milioni dimigranti internazionali (pocomeno del 10% della popola-zione dell’intera regione), congrandi differenze interne: l’in-cidenza varia dal 50% di An-dorra e Monaco a meno del2% di Albania, Polonia, Roma-nia. Il rapporto mostra con ab-bondanza di dati quanto sianecessario rendere il sistemasanitario migrant-friendly per-ché la salute è un diritto, e per-ché l’assistenza sanitaria è ilmodo migliore per salvare viteumane, tagliare costi sanitari eproteggere la salute delle po-polazioni residenti.http://www.euro.who.int/en/publications/

Noi tecnici e scienziati abbiamo la responsabilità eticaimprescindibile di produrre verità, evidenza.

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Aleggere le statistiche di questi anni, la vitadegli immigrati in Italia non appare dav-vero una pacchia. Nel 2018 Medici Senza

Frontiere ha censito nel nostro Paese la presenza di(almeno) 50 insediamenti informali popolati daoltre 10.000 persone - in prevalenza richiedentiasilo o titolari di protezione internazionale o uma-nitaria, quest’ultimi, quindi, divenuti irregolari inseguito al varo del recente decreto legge n. 113, 4ottobre 2018 -, private di un riparo decoroso, dicibo sufficiente, e dell’accesso alle cure essenziali(MSF, Fuori Campo, 2018). L’indagine sulle condizioni di vita delle famiglie(EUSILC), d’altra parte, mostra quanto sia difficilela vita, e quanto sia peggiorata negli anni della crisi,anche per quegli immigrati residenti che danno uncontributo determinante all’economia e alla societàitaliana, in tanti modi diversi. Se è vero che la re-cessione ha colpito tutti - approfondendo sacche didisagio e contribuendo ad alimentare guerre tra po-veri sfociate talvolta in veri e propri episodi di raz-zismo - i dati mostrano inequivocabilmente comela crisi abbia infierito particolarmente sulla popo-lazione straniera.

Al verde: Nel 2017 il reddito medio equivalentedelle persone di origine straniera residenti in Ita-lia era di 12.468 euro, quasi un terzo in meno ri-spetto a quello percepito dalla popolazioneautoctona (17.725 euro). Il reddito delle personecon background migrante è leggermente dimi-nuito negli anni della crisi (nel 2008 era 12.790euro, nel 2015 di 11.825 euro), mentre quellodegli italiani è cresciuto di oltre 1.000 euro(16.149 euro nel 2008). Colpisce in particolare ilconfronto con l’Europa: il reddito delle personenon italiane in Italia è nettamente inferiore ri-spetto a quello percepito in media dagli stranieriresidenti negli altri paesi UE (16.785 euro).

Sottopagati: In Italia quasi un lavoratore su tre diorigine straniera vive sotto la linea della povertà re-lativa, ovvero con un reddito disponibile equiva-lente nettamente inferiore alla media nazionale(dopo i trasferimenti sociali). Secondo l’indicatorein work at risk of poverty, a causa di remunerazionievidentemente insufficienti e al limite dello sfrut-tamento, negli anni della crisi la popolazione di ori-gine straniera in questa condizione è quasiraddoppiata, passando dal 17,8% del 2008 al 29,6%del 2016, con un peggioramento più vistoso tra lapopolazione maschile (da 15,9 a 30,6) rispetto aquella femminile (da 20,6 a 28,3). Nello stesso pe-riodo i lavoratori italiani nella stessa condizionesono aumentati di poco più di un punto percen-tuale: dal 8,2% del 2008 al 9,6% del 2016.

In povertà: Le persone di origine straniera residentinel nostro Paese sono esposte alla povertà relativain misura più che doppia rispetto a quanto accadealla popolazione autoctona: nel 2017 una personadi origine straniera su tre (34,1%) e meno di dueitaliani su dieci (17,1%) si trovavano a rischio po-vertà, ovvero con un reddito disponibile significati-vamente inferiore a quello percepito dalla mediadella popolazione. La situazione è precipitata neglianni della crisi: tra le persone con background mi-grante il dato è cresciuto di 9 punti percentuali dal2008 (dal 25% al 34,1% del 2017) mentre è rimastodi fatto stabile tra gli italiani (17,2% nel 2008, 17,1%nel 2016). In Italia la povertà relativa colpisce i resi-denti stranieri in misura significativamente mag-giore rispetto a quanto accada mediamenteall'interno dell'Unione Europea (26,3%).

Esclusi: secondo Eurostat nel 2017 in Italia un re-sidente di origine straniera su due si trova a rischiodi povertà o di esclusione sociale, un indice sinteticoche mette insieme tre indicatori: 1) la quota di per-

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DISEGUAGLIANZE

Le mappe del disagio

Stranieri residenti e italiania rischio di povertà o esclusione sociale negli anni della crisi.

Anno: 2017. Fonte: Eurostat

Percentuale di popolazione straniera residente (maggiore di 18 anni) a rischio povertà o esclusione sociale in Europa.Confronto 2008 - 2017

Percentuale di popolazionestraniera residente (maggiore di 18 anni) a rischio povertà o esclusione sociale in Europa.Confronto 2008 - 2017

Percentuale residentiautoctoni (maggiori di 18 anni) a rischio povertà o esclusione sociale in Europa.Confronto 2008 - 2017

In Italia una persona straniera su due (50,5%), regolarmente residentenel nostro Paese, vive in una condizione di «rischio di esclusione»sociale (mappa sotto), uno dei dati più elevati in tutta Europa. Per gli immigrati la vita è più difficile solo in Grecia (62,4% in questacondizione) e in Spagna (51,7%). I grafici mostrano la crescita diquesto indicatore durante la crisi per la popolazione straniera (sopra)e, in misura minore, anche per la popolazione italiana (sotto)

Altro che pacchia. La vitadegli immigrati in Italia èmolto peggiorata durante la crisi, e in misura maggiorerispetto al resto d'Europa. Lo dicono i dati raccoltidall'autorevole indagine

europea EUSILC, mappati inqueste pagine. Nel 2017 unresidente straniero su due eraa rischio povertà e esclusionesociale, uno su quattro viveva in condizioni di gravedeprivazione materiale.

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sone in povertà relativa (salari bassi); 2) in condi-zioni di grave deprivazione materiale; 3) a intensitàlavorativa molto bassa. In base a questa stima, Eu-rostat calcola che ben il 50,5% dei residenti stranieriviva in tale condizione. Anche in questo caso laquota è doppia rispetto a quella, comunque elevata,che si registra tra gli italiani (26,3%). Il dato piùimpressionante è il balzo in avanti compiuto dal-l’indicatore negli anni della crisi: comprendeva il34% della popolazione di origine straniera resi-dente in Italia nel 2008, ha superato il 50% nel 2017(+16,5% in otto anni), mentre è cresciuto in ma-niera contenuta tra la popolazione italiana (+2%rispetto al 2008).

In precarietà abitativa: I dati forniti da Eurostatconfermano l’estrema precarietà abitativa della po-polazione di origine straniera in Italia. Gli immi-grati non sono affatto padroni a casa nostra. Alcontrario, la quota dei proprietari di abitazione diorigine straniera è scesa di quasi 7 punti percentualitra il 2008 e il 2017, passando dal 38,6% del 2008 al31,9% del 2017, mentre nello stesso arco di tempola quota degli italiani possidenti è cresciuta dal76,8% al 79,3%. Il 68,1% degli stranieri residenti,

quindi, vive in affitto: per il 28,9% di loro il costodella casa rappresenta un onere molto gravoso, ov-vero superiore al 40% del reddito disponibile (unacondizione che riguarda l’8,3% degli italiani). Senzacontare che una persona straniera su due vive inabitazioni sovraffollate (il 22,2% degli italiani sitrova in questa condizione). Anche in questo casosi registra un incremento notevole negli anni dellacrisi, dal 37,7% del 2008 al 50,5% del 2017.

Deprivati: Secondo Eurostat una persona di originestraniera su quattro residente in Italia sperimentauna condizione di severa deprivazione materiale, unindicatore che segnala l’impossibilità da parte di unafamiglia di permettersi almeno 4 beni essenziali suuna lista di 9 (pagare l’affitto, riscaldare la casa, af-frontare spese impreviste, mangiare pasti proteici re-golarmente, andare in vacanza, avere la televisione,la lavatrice, il telefono, la macchina). Anche questoindicatore mostra l’impatto devastante della crisisulla popolazione straniera: il dato, che indica un li-vello di povertà particolarmente serio, è quasi rad-doppiato in otto anni, passando dal 13,4% del 2008al 24,1% del 2017. Tra la popolazione autoctona ildato è passato dal 6,9% del 2008 al 9,1% del 2017.l

50

Anno 2008 Anno 2017

Germania Regno Unito Portogallo EU28 Francia Spagna Italia

5,95,1

26,4

10

12,711,7

13,4

5,16

10,511,6

12,7 12,8

24,1

26,4

10,5

12,7 12,711,6

13,411,7

24,1

12,8

maniaerG

5,95,1

Anno 2008

ogallotorPono UnitegR

5,1

10,5

6

nno 2008 Anno 2017

anciarFEU28

10

taliaInaSpag

Anno 2008 Anno 2017

Francia Germania Regno Unito Spagna EU28 Portogallo Italia

4,5 4,94

2,1

8 8,76,9

3,3 3,4 4 4,1

6,5 6,7

9,1

anciarF

4,53,3

Anno 2008

ono UnitegRmaniaerG

44,9

43,43,3

nno 2008 Anno 2017

EU28naSpago

8

2,1

6,5

4,1

taliaIogallotorP

6,98,7 9,1

6,7

Tasso di grave deprivazione materiale degli stranieri(grafico in alto), a confronto con quello della popolazioneautoctona in alcuni paesi europei (grafico in basso). Confronto anni2008-2017

Anno: 2017. Fonte: Eurostat

Tasso di sovraffollamento della popolazione straniera in EuropaAnno: 2017. Fonte: Eurostat

Tasso di sovraffollamentodella popolazione straniera(maggiore di 18 anni) in Europa.Confronto 2008 - 2017

La mappa mostra lo svantaggio relativo della popolazione straniera re-sidente nel nostro Paese anche rispetto alla dimensione abitativa. In Italia una persona immigrata su due vive in condizioni di sovraffol-lamento, rispetto a una media europea del 26,6%. Il grafico sotto mo-stra l’impennata di questo indicatore ai tempi della crisi (+12,3%).Nello stesso periodo in Portogallo la situazione abitativa delle personeimmigrate è migliorata.

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Un camper ai margini della cittadinanza

Roma. Il palazzo che si intravede nella foto in basso(seconda da sinistra) è uno dei tanti edifici occupatidella Capitale. Ex sede dell’INPS in stato di ab-

bandono, è abitato da 150 famiglie in condizioni di graveprecarietà. In larghissima maggioranza si tratta di nucleidi origine straniera, prevalentemente peruviani e marocchini,ma anche di tunisini, sudanesi, etiopi ed eritrei. «Lagrande maggioranza dei residenti è venuta qui in seguitoalla perdita del lavoro, perché a Roma la crisi ha devastatoquesta compagine sociale - racconta Umberto, militantedei Blocchi precari metropolitani - Anche chi ha avuto lafortuna di ritrovare un lavoretto, non guadagna più di600 euro al mese e non può garantirsi un affitto, ancheperché spesso si tratta di nuclei con figli: nel palazzo sicontano un’ottantina tra bambini e ragazzi in età scolare.Quello che va capito è che occupare una casa non è maiuna cosa piacevole, ma è una scelta fatta obtorto collo».Alcuni degli occupanti sono muniti del permesso di sog-giorno. Gli altri non sono inclusi nel sistema di accoglienzaistituzionale perché in attesa di accedere alle procedure diasilo, o, più spesso, perché non vi sono mai entrati, oancora perché sono usciti dai percorsi di accoglienza senzaavere concluso un efficace percorso di riconoscimento einserimento. Per aiutare questa fascia di persone partico-larmente bisognose di servizi di assistenza medico-sanitaria,nei primi mesi del 2019 Sanità di Frontiera ha dispiegatonelle adiacenze del palazzo la propria unità mobile, conl’obiettivo principale di fornire un orientamento ai servizisocio-sanitari della Capitale. Dell’equipe di interventofanno parte tre mediatori (Tadesse Deresse Degu, RahelYouhannes Asfaha, Maha Sa’ad) e una coppia di medici inpensione, Filippo Tosato e Manuela Marchei. «La medicinami ha dato tanto, se ora posso dare qualcosa agli altri lofaccio volentieri - spiega Tosato, una carriera intera spesanella IV clinica chirurgica del Policlinico di Roma, gliultimi dieci anni in qualità di direttore dell’Unità Operativa- Prima di accettare questo incarico ho fatto dei corsi,perché la storia della migrazione è qualcosa che ti colpisce,ti fa venire voglia di dare una mano. Anche se non èsempre facile e vorresti poter fare molto di più».

LA FOTO NOTIZIA

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devano con cognizione di causa quelli del Libano e della Tunisia, paesi storicamenteal centro di grandi flussi. In ogni caso, quel progetto ci tornò utile nel momento delbisogno. Nel 2011 ci bastò alzare il telefono e chiamare i nostri referenti in Tunisia oEgitto. Ci conoscevamo, avevamo già lavorato insieme, potevamo scambiarci imme-diatamente dati utili per tenere sotto controllo la situazione.

Torniamo al sistema di sorveglianza sindromica: ha fatto scuola in Europa, mavoi lo considerate superato. Perché?Non solo il nostro modello è stato adottato dalla Grecia e dalla Germania durante lecrisi del 2016, ma abbiamo anche scritto un manuale per l’ECDC su come attivarerapidamente analoghi sistemi di sorveglianza in situazioni di emergenza. Eppure, lalezione più importante che abbiamo imparato in questi anni è che i migranti nonportano malattie infettive, e che se continuiamo a parlare solo di queste non facciamoaltro che fomentare le paure e i pregiudizi della popolazione. Oggi quindi il segnaleda dare è un altro: l’immigrazione non è un’emergenza ma un fenomeno strutturaledella società, da trattare come tale. È questo, ad esempio, il messaggio contenuto nellelinee guida che abbiamo elaborato più recentemente sui controlli in frontiera, unosforzo congiunto dell’Istituto superiore di Sanità, della SIMM e dell’INMP.

Quali sono le novità più importanti introdotte nelle linee guida I controlli di fron-tiera, la frontiera dei controlli?A differenza di un analogo documento europeo, le linee guida italiane non confinanol’ambito dei controlli alle sole malattie infettive, ma estendono il campo di osserva-zione ad altre condizioni o patologie, come le anemie, la gravidanza, eccetera. I pro-blemi più grossi che riscontriamo nelle persone che arrivano sono le malattie acuitedurante il percorso, a volte per la presenza di vulnerabilità particolari. Sebbene sianopersone tendenzialmente giovani e sane, i migranti possono avere il diabete o la pres-sione alta: superare una visione emergenziale significa anche prendersi carico di que-sti aspetti.

Il documento propone anche una ridefinizione dell’idea di frontiera. In che modo?Le linee guida dicono che è sbagliato circoscrivere i controlli al momento dell’arrivo.Danno indicazioni concrete per il primo soccorso, ma anche per la prima e la secondaaccoglienza. Può essere del tutto inutile fare una verifica in una situazione moltotransitoria, prima di un trasferimento. Da un punto di vista di sanità pubblica e dicorretto trattamento delle persone, screening (degli asintomatici) e test (nelle personesintomatiche) devono essere offerti e non essere obbligatori solo se sono veramenteutili, e solo quando possono essere seguiti da un’azione di cura. Inoltre, a meno diun’epidemia, è sicuramente sbagliato fare un vaccino in prima accoglienza, quandonon sei in grado di assicurare i richiami.

In questi anni avete fatto tanti passi avanti. Cosa resta ancora da fare?La strada è lunga perché tutto sommato l’Italia è un paese di emigrazione, piuttostoche di immigrazione. Servono conoscenze ed evidenze per costruire sanità pubblica:le stiamo mettendo insieme, passo dopo passo, lavorando sulla parte scientifica, scri-vendo raccomandazioni, indicazioni e linee guida. Ma dobbiamo lavorare di più sullaformazione degli operatori sanitari, sociali e di pubblica sicurezza, possibilmente consessioni miste per incoraggiare il confronto e la collaborazione e sulla comunicazioneal cittadino per combattere l’ignoranza e i falsi miti. Abbiamo inoltre bisogno di più dati. Dobbiamo cominciare a inserire nei flussi didati correnti della popolazione italiana alcune variabili che ci permettano di poteranalizzare la salute degli immigrati dal punto di vista epidemiologico. Le informazionia nostra disposizione sono ancora troppo limitate. l

Da quasi tre decenni lavora presso l’Istituto Superiore di Sanità. Ci puòraccontare quando vi siete cominciati a occupare direttamente di im-migrazione? Come epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità, oggi in-

quadrati all’interno del Centro Nazionale per la Salute Globale, diretto da StevanoVella, abbiamo cominciato a lavorare in maniera più strutturata nel campo del-l’immigrazione nel 2011. È accaduto durante le cosiddette primavere arabe quandosi diffuse l’allarme sulla possibile diffusione di malattie veicolate dagli arrivi inmassa dei migranti. In quell’occasione mettemmo in piedi un sistema di sorve-glianza sindromica per gli immigrati di primo arrivo.

In che senso sindromica?Il sistema si basava sulla segnalazione di possibili sindromi, ovvero sulla raccolta dicasi con segni e sintomi, prima ancora di una conferma con appropriate indagini dilaboratorio. Il sistema era stato studiato per identificare precocemente emergenze sa-nitarie, sulla base delle informazioni che ricevevamo giornalmente dai diversi centridove venivano raccolti i migranti, in modo da rispondere rapidamente per controllarela situazione. Ma a questo non siamo mai arrivati.

Quindi i risultati furono negativi?L’attività di sorveglianza confermò quanto ci aspettavamo: nel corso di due anni nonvi fu alcuna emergenza. Alle stesse conclusioni giunse l’analogo sistema di sorve-glianza attivato in Sicilia nel 2014-2015, in seguito al clamore suscitato dall’esplosionein Africa occidentale di una grave epidemia di ebola… Anche in questo caso sape-vamo che le persone contagiate non avrebbero potuto mettersi in viaggio, né arrivarefino a noi.

Come facevate ad essere così sicuri che non vi fossero pericoli? Intanto l’esperienza nell’epidemiologia: infatti tutti i documenti dell’OrganizzazioneMondiale della Sanità e dell’ECDC (Centro Europeo per le Malattie Infettive) affer-mano che, anche nell’eventualità dell’arrivo di qualche persona ammalata, il rischiodi contagio nei confronti della popolazione autoctona è praticamente inesistente. Maallora ce lo dicevano anche i nostri colleghi epidemiologi dei paesi della costa suddel Mediterraneo, con i quali siamo in stretto contatto. Già dal 2006, con il progettoEpisouth, abbiamo costruito una rete di epidemiologi in ventisette paesi dell’area me-diterranea e dei Balcani, dalla Bulgaria all’Algeria, dalla Spagna al Libano.

Episouth era stato pensato per rispondere alla questione migratoria?No, ad eccezione di una piccola componente legata allo studio delle malattie preve-nibili da vaccino. Miravamo a un obiettivo più ampio: creare una collaborazione traepidemiologi dei paesi nel Mediterraneo e dei Balcani per migliorare i sistemi di al-lerta tra paesi per la prevenzione della diffusione di piccole epidemie, sviluppando larete e la comunicazione, e con attività di formazione e capacity building. Ma già allorafu interessante vedere come la possibilità di dialogare tra esperti, contribuisse anchea sfatare pregiudizi nel campo della migrazione. Agli epidemiologi dei paesi Europei,che continuavano a paventare il rischio sanitario rappresentato dai migranti, rispon-

Migranti e salutefanno Epicentro

Epicentro, il portale promossodal Centro nazionale per laprevenzione delle malattie ela promozione della salutedell’Istituto Superiore diSanità, offre una nutritasezione interamente dedicataai temi della migrazione.Curata da un gruppo diesperte epidemiologhe - Silvia Declich, GiuliaMarchetti e Maria GraziaDente - la tasca Migranti esalute (all’indirizzohttp://www.epicentro.iss.it/migranti/) raccoglie numeri einformazioni di base, appro-fondimenti tematici (dallemalattie infettive alle mammemigranti, dalle diseguaglianzeai farmaci, fino ai risultatidelle principali indagini cono-scitive in questo campo), i documenti e le linee guidain materia di prevenzione esalute dei migranti, una rasse-gna di iniziative e progetti dallivello locale a quello euro-peo. In apertura è possibileconsultare gli aggiornamentie le notizie in primo pianocon i commenti autorevolidelle esperte dell’ISS. Unostrumento prezioso da con-sultare. Un punto diriferimento per gli operatoridella salute e per tutti coloroche vogliono spingersi oltre ilsenso comune.

L’INTERVISTA

Superiamo la visione emergenziale

Silvia Declich

Laureata in scienze biologiche,

con una specializzazione

in scienze nutrizionali

e un master of science

in Epidemiologia, Silvia

Declich ha iniziato a lavorare

in Africa nell’ambito dei

progetti di cooperazione.

Dal 1993 è epidemiologa presso

l'Istituto Superiore di Sanità,

con una vasta esperienza nella

direzione e gestione di progetti

di ricerca scientifica, nazionale

e internazionale, su vari ambiti

di sanità pubblica

in particolare legati alle

malattie infettive, compresi

quelli relativi alla preparadness

e alla salute dei migranti.

Ha collaborato con la

Commissione europea, l'OMS

e l’ECDC, nonché con

istituzioni accademiche

e di ricerca in Europa e nell’area

del Mediterraneo, dei Balcani

e del Mar Nero.

Page 30: Sanità di frontiera...politica che affronta il fenomeno, perché, come illustreremo in questa pubblicazione, è pro vato da diverse fonti autorevoli che l’immigrazione, se ben gestita,

nonché del codice deontologico professionale. Un altro dato di fondo che minaccia l’accesso allasalute e al benessere da parte delle persone immi-grate, oltre il qui e ora della politica, è l’ulteriore eprogressiva rarefazione negli ultimi dieci anni dellepolitiche sociali, già strutturalmente deboli nelnostro Paese ma ulteriormente ridimensionatenegli anni della crisi. Come ricorda Giancarlo San-tone, dal 2006 a capo del SAMIFO, strutturasanitaria a valenza regionale per l’assistenza ai mi-granti forzati, nato dalla collaborazione tra ilCentro Astalli e la ASL Roma 1 - «la tutela della

salute non si realizza solo attraverso un pienoaccesso ai servizi sanitari, ma anche attraverso latutela di condizioni sociali che determinano lasalute fisica e mentale delle persone. La medicinanon può avere il monopolio perché la salute èmolto più complessa: ci sono interventi fonda-mentali che tutelano e integrano la salute e ipercorsi di salute». E su questo fronte, in Italia, siregistrano le lacune più gravi, anche rispetto aquei pazienti già inseriti in importanti percorsi ditutela: «Il grosso problema oggi è la mancanza distrumenti di supporto sociale - spiega Ornella

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Negli ultimi due decenni la legge italianaha affermato il pieno diritto alle cure daparte di tutte le persone immigrate presenti

nel nostro Paese. In particolare, ha stabilito chehanno diritto ad un’assistenza sanitaria anchecoloro che non hanno ancora ottenuto il permessodi soggiorno o lo hanno scaduto o non lo hannomai avuto, come pure i cittadini comunitari chene siano privi, i cosiddetti ENI (europei noniscritti). Una grande conquista di civiltà (raccontatapiù nel dettaglio dal presidente della SIMM, Mau-rizio Marceca, a pagina 60) in linea con i principifondanti della nostra Costituzione. La piena affermazione di questi principi rischiatuttavia di essere limitata o compressa nella praticaquotidiana da una molteplicità di ostacoli: la scarsainformazione e formazione degli operatori sanitari,la regionalizzazione del sistema della salute pubblicae la progressiva frammentazione del quadro nor-mativo, la scarsa integrazione degli interventi so-cio-sanitari nel campo dell’accoglienza, la debolezzadei progetti di mediazione culturale. Ultimamente il benessere delle persone immigratein Italia appare minacciato anche dalla diffusionedi una lettura tutta allarmistica, di corto respiro,del fenomeno. Grande apprensione desta ad esempio il decretoImmigrazione e Sicurezza, approvato nel 2018 dalParlamento. Secondo alcune delle principali orga-nizzazioni medico-umanitarie italiane impegnatesui temi delle migrazioni, dalla SIMM al CentroAstalli, da Emergency a Medici senza Frontiere,numerosi provvedimenti contenuti nel decreto113/2018 rischiano di avere serie implicazioni peril diritto alla salute delle persone migranti, richiedentiasilo e rifugiate sul territorio italiano, sia rispettoalla possibilità di accedere pienamente al ServizioSanitario Nazionale, sia rispetto alle condizionisociali che concorrono a determinare la salute fisicae mentale delle persone. D’altra parte, quando a livello politico prevalgonomessaggi, indicazioni e atti legislativi centrati uni-camente sulla riposta a una emergenza, a partireda una malposta questione securitaria, le ragionie i programmi dell’intervento sociale per l’inte-grazione e il benessere delle persone immigrate

nell’interesse dell’intera collettività finiscono perperdere terreno e, cosa ancora più grave, per esseredelegittimati anche dal punto di vista culturale. Inquesto clima, ad esempio, a Trento, nel mese diottobre 2018, un signore di origine marocchina,accompagnato dalla moglie con regolare permessodi soggiorno, si è visto negare le cure ed è stato se-gnalato alle forza di polizia perché il suo permessodi soggiorno era scaduto. Un abuso compiuto inpalese violazione della legge (che vieta esplicitamentela segnalazione, la quale diventerebbe un insor-montabile ostacolo all’accesso al servizio sanitario),

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LA COPERTINA

Rimuovere ostacoli e barriereSono numerose le barriere cheostacolano l’accesso alla salute da parte delle persone straniere: la poca formazione degli operatori, la frammentazione del quadronormativo, la scarsa integrazione degli interventi socio-sanitari. Ma il benessere delle personeimmigrate è minacciato anche dalladiffusione di una lettura di cortorespiro del fenomeno, esemplificata dal cosiddetto decreto sicurezza.

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agli immigrati irregolari, hanno figliato successi-vamente su indicazione della SIMM altri 13 GrISregionali che svolgono un’importante attività dicoordinamento, formazione, e advocacy a livellolocale e nazionale. A distanza di vent’anni il GrIS Lazio mantieneuna configurazione informale, nonostante riuniscadecine di organismi delle cinque province, asso-ciazioni, strutture sanitarie pubbliche, enti locali,e continua ad essere un laboratorio aperto allasocietà e al territorio, un nodo della rete delle reti acui tutti possono liberamente aderire. Spiega FilippoGnolfo, responsabile dell’Unità immigrazione dellaASL Roma1 e tra i più assidui protagonisti delGrIS Lazio: «L’incontro e il confronto tra pubblicoe privato sociale permette di condividere un patri-monio comune di buone pratiche, di elaborareprogetti di collaborazione e cooperazione. Il lavorodi rete inizia in termini di analisi dei bisogni, defi-nizione degli obiettivi, pianificazione di risorse eazioni» (F. Gnolfo 2012) . E tuttavia, malgrado itraguardi raggiunti, è viva tra gli stessi fondatoridel GrIS la convinzione che ci sia ancora tanto dafare, e che la strada non sia solo lunga ma difficile.«Risultati importanti, ma il presente? - continuaGnolfo - Non basta indignarci, tutti dobbiamomettere continuamente in discussione le nostrecertezze, approfondire con costanza e metodo iproblemi sollevati nelle assemblee di rete. Dobbiamoprovare a rispondere a domande mai espresse.Perché non riusciamo a promuovere un’azione diempowerment delle associazioni dei migranti?».l

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Dino, medico responsabile dell’Unità OperativaPromozione della salute immigrati dell’AziendaSanitaria Provinciale di Palermo - Negli ultimianni, ad esempio, cominciamo a vedere migrantiche si ammalano di cancro, anche in giovane età, eperdono il lavoro e la possibilità di avere una casa.Ci troviamo davanti a persone che aiutiamo a farela chemio e a curarsi, ma che poi, una volta uscitedall’ospedale, non sanno dove andare a dormire,perché sono troppo giovani per avere diritto a unaresidenza protetta o perché non hanno i requisitiper ottenere l’invalidità. Pazienti che finiscono pertrovarsi in una situazione di gravissimo disagio,spesso privi di una rete sociale di supporto».La piena integrazione tra gli interventi di attoridiversi (istituzione pubblica e privato sociale) e supiani differenti (medico-sanitario e sociale) è untraguardo tutto da raggiungere non solo per ilcontinuo indebolimento delle politiche, ma ancheper il persistere di un approccio assistenziale allamateria che, lungi dall’aiutare, rischia di compro-mettere il raggiungimento degli obiettivi condivisi.«Il peccato originale che ci portiamo dietro -sostiene Ornella Dino - è che spesso si continuaad affrontare queste tematiche con un atteggiamentobuonista. Se questo ha permesso nel tempo di se-lezionare molte persone che cercano di rendersiutili presso alcuni ambulatori gestiti da associazionivarie, dall’altra rischia di alimentare un approcciosbagliato, che agisce sulla protezione e non suidiritti, e che finisce per creare dipendenza da in-terventi di corto respiro. La cosa più importante è

creare autonomia, ovvero rendere le persone con-sapevoli dei diritti che hanno e metterle nella con-dizione di poterne usufruire, piuttosto che regalareloro le medicine o fare la cura gratis. Questo ap-proccio contribuisce ad affermare un sistema diassistenza costruito sulla generosità e non sul diritto,creando al contempo una platea di persone immi-grate dipendenti, marginali, ricattabili».«Una delle cose più importanti che abbiamo im-parato in questi anni - racconta Giancarlo Santone- non è soltanto l’importanza, ormai chiara a molti,di lavorare in rete, ma la necessità di governare larete. Questo significa che dobbiamo condividere laradice stessa dell’impegno, non solo gli obiettivi, elavorare alla tutela dei diritti dei rifugiati in manieradisinteressata e non opportunistica». E tuttavia bisogna riconoscere che negli ultimivent’anni, proprio nel campo variegato della me-dicina dei migranti, si è andato diffondendo unmodello di rete, innovativo ed efficace, che se ade-guatamente sostenuto può contribuire a contrastarele tendenze centrifughe del volontarismo. Su tutti l’esperienza del Gruppo regionale Immi-grazione e salute del Lazio (GrIS), nato a metàdegli anni Novanta dall’incontro tra operatori delservizio pubblico e del privato sociale con l’obiettivodi informare, sviluppare reti socio-sanitarie, fareadvocacy con le istituzioni, elaborare le proposteper modificare le politiche pubbliche. Dal successodi questa iniziativa, capace con la sua attività diadvocacy di spingere nel 1997 la Regione Lazioad approvare la prima delibera per l’assistenza

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Il decreto 113/2018 contiene nume-rose novità in tema di «protezioneinternazionale e immigrazione, sicu-

rezza pubblica, nonché misure per la fun-zionalità del Ministero dell’Interno e l’or-ganizzazione e il funzionamentodell’Agenzia nazionale per l’amministra-zione e la destinazione dei beni seque-strati e confiscati alla criminalità orga-nizzata». Si compone di quattro parti:dall’articolo 1 al 14 si occupa di immi-grazione, dall’articolo 16 al 31 di sicu-rezza pubblica, la terza parte riguarda in-vece l’organizzazione del Ministerodell’Interno e dell’Agenzia nazionale peri beni sequestrati o confiscati alla crimi-nalità organizzata. Una quarta sezione si

mento che rischia di confondersi conquello analogo, ma di fattispecie diversa,previsto dall’articolo 36 del decreto legge286/98. Un permesso tra l’altro di mi-nore durata e non convertibile in per-messi di lavoro con l’effetto di limitarela possibilità di accedere all’assistenzasociale e ai percorsi di integrazione. Al-trettanto preoccupante è la riforma delsistema di accoglienza SPRAR, conside-rato un modello virtuoso in tutta Eu-ropa, che sarà destinato esclusivamentealle persone titolari di protezione inter-nazionale e dei nuovi permessi di sog-giorno per casi speciali, nonché ai mi-nori stranieri non accompagnati. Inquesto modo le persone richiedenti asilo

La sicurezza che preoccupa: le note dolenti del decreto 113occupa delle disposizioni finanziarie e fi-nali. Tra le novità principali, l’abolizionedella concessione del permesso di sog-giorno per motivi umanitari; la possibi-lità di revoca, in presenza di determinatireati, dello status di rifugiato o la prote-zione internazionale; l’esclusione dal re-gistro anagrafico dei richiedenti asilo; latrasformazione del Sistema di protezioneper richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR)gestito con i Comuni, a cui avranno ac-cesso solo i titolari di protezione inter-nazionale e i minori stranieri non ac-compagnati; l’estensione del cosiddettoDASPO (Divieto di accedere alle mani-festazioni sportive) agli indiziati per reatidi terrorismo e di altri reati contro lo

Stato e l'ordine pubblico, anche negliospedali e nei presidi sanitari; l’abolizionedel gratuito patrocinio. Numerosi sono i rilievi fortemente criticimossi in questi mesi al decreto, e da piùparti. La prima preoccupazione - ricor-dano in una lettera al Parlamento le prin-cipali organizzazioni medico-umanitarieitaliane impegnate sui temi delle migra-zioni - riguarda l’abrogazione del per-messo di soggiorno per motivi umanitari,che porterà un maggiore tasso di irrego-larità e una conseguente maggiore vul-nerabilità in termini di salute, oltre chedi sicurezza umana per tutti. Grandidubbi circondano l’introduzione di per-messi per gravi motivi di salute, uno stru-

resteranno escluse dai percorsi di for-mazione e integrazione previsti dagliSPRAR e saranno costrette a lunghe per-manenze nei Centri di Accoglienza Stra-ordinaria (CAS), con ripercussioni an-che gravi in termini di salute fisica epsichica (il testo completo del docu-mento si può leggere a questo indirizzo:https://www.simmweb.it/937-comuni-cato-stampa-il-decreto-immigrazione-e-le-implicazioni-per-la-salute). In un’altra lettera aperta all’ANCI, laSIMM segnala il grave pericolo rappre-sentato dalla mancata concessione dellaresidenza ai richiedenti protezione, unpotenziale vulnus per la loro iscrizioneal Sistema sanitario nazionale. Nella let-

tera si mette in rilievo come, «in assenzadi una residenza riconosciuta, potrebbeessere impedita l'iscrizione al SSN deirichiedenti protezione internazionaleche, pur avendone diritto in quantol’iscrizione obbligatoria si fonda sullatitolarità del permesso di soggiorno, sivedrebbero di fatto negata l'iscrizioneall’anagrafe sanitaria e la piena fruibilitàdel diritto alle cure». Allarma infine lapossibilità, introdotta dal decreto, chequalcuno possa invocare il DASPO incontesti sanitari con il rischio di discri-minare alcune tipologie di migranti par-ticolarmente vulnerabili dal punto divista sociale o gli stessi italiani che vi-vono sulla strada. l

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APPROFONDIMENTO

organizza moduli di psico-traumatologia e di me-dicina generale per migranti forzati rivolto agliaspiranti medici di famiglia del primo, secondo eterzo anno, provenienti da tutta la regione Lazio -Si dovrebbe trovare una formula per favorire lapartecipazione alla formazione post laurea ancheda parte di questa categorie sempre in prima lineae quindi spesso a contatto con pazienti stranieri». Per affrontare il problema alla radice, però, bisognaesporre tutti gli aspiranti operatori sanitari a questetematiche fin dalle aule universitarie, sostieneCarlo Della Rocca, preside della Facoltà di Medicinae Farmacia dell’Università La Sapienza di Roma, ea lungo impegnato presso la Conferenza permanentedei presidenti di Consiglio di Corso di laurea ma-gistrale in Medicina e Chirurgia delle Universitàitaliane, l’organo preposto a garantire il consegui-mento degli obiettivi culturali, pedagogici e didattici,di orientamento, programmazione e valutazioneconnessi con il corso di laurea. «Grazie all’esperienzamaturata all’interno della Conferenza permanente,in particolare attraverso il progetto delle cosiddetteside visite che ho coordinato a lungo, negli anniho visitato tutti i corsi di laurea in medicina dellediverse università (circa una cinquantina) consta-tando che su questi temi esistono alcune iniziativepre-laurea in embrione e altre in fase più avanzata.Ma la posta in gioco è quella di far passare questicorsi dalla dimensione elettiva - e quindi discre-zionale - a quella curricolare, obbligatoria pertutti, perché il medico di domani non può non sa-pere queste cose, o quanto meno deve essereesposto a queste problematiche per poi chiedereeventualmente una formazione continua. La verasfida è quella di dire, se vuoi diventare medico devisapere queste cose. Chiaramente non è un’impresafacile: inserire queste materie nel core curriculumsignifica automaticamente trovare chi le insegna,capire all’interno di quali corsi innestarle, eccetera.Noi questo percorso lo abbiamo già avviato inse-rendo all’interno del core curriculum 2017-2018una serie di UDE - le Unità Didattiche Elementari,i mattoncini della formazione - relative alla saluteglobale, problematiche sempre più cogenti nellanostra società». l

Un’indagine promossa nel 2018 da Sanitàdi frontiera/OIS su un campione di 2.000medici in tutta Italia mostra la richiesta

diffusa di assistenza e formazione da parte delnostro personale sanitario in materia di salute deimigranti. Il 65% degli intervistati dichiara di doverfar fronte a determinate situazioni senza risorsené strutture adeguate; il 75% afferma di non avermai ricevuto formazione specifica per assistere icittadini stranieri e riterrebbe utile seguire corsiper accrescere le proprie competenze. Un deficitmolto grave se si considera la complessità della re-lazione di cura con persone provenienti, a volte inmodo avventuroso e traumatico, da mondi, linguee culture lontane, nonché la natura estremamentedinamica e evolutiva del fenomeno migratorio,che in quanto tale richiede aggiornamenti continuida parte di chi lo affronta.Molteplici sono le ragioni di questo ritardo e e gliambiti sui quali intervenire, a cominciare da quellopiù strategico della formazione universitaria comericordano le conclusioni dell’ultimo congresso

nazionale SIMM (Catania, aprile 2018) che rac-comanda di «rafforzare le competenze degli ope-ratori per la messa in atto di azioni preventive edi presa in carico delle patologie cronico-degene-rative nella popolazione migrante, attraverso lariformulazione dei percorsi formativi universitarie la formazione continua». Negli ultimi anni, tuttavia, a partire dagli studentie dall’azione di alcuni docenti universitari qualcosasi muove: ad esempio si è creato un movimentonazionale che ha permesso di inserire queste te-matiche all’interno dei corsi aggiuntivi richiestidagli studenti». In particolare è stato definito uncurriculum sulla salute globale che include anchedei corsi sulla salute degli immigrati ha preso formala Rete Italiana per l’Insegnamento della Saluteglobale (RIISG), un network di istituzioni accade-miche, società scientifiche, e associazioni, che, trale altre cose, promuove l’insegnamento della Saluteglobale in una trentina di università. Il ritardo formativo rischia di rappresentare unvulnus ineliminabile soprattutto per la stragrandemaggioranza degli oltre 50.000 medici di famigliae dei 17.000 pediatri di libera scelta, attivi già datempo e quindi spesso a digiuno di percorsi specificisu questi aspetti. Per come sono organizzate lecose oggi, medici di famiglia e pediatri finisconoper rimanere estranei ai percorsi di formazionecontinua organizzati per legge dalle aziende sanitariee che talvolta, spesso soltanto in ragione della sen-sibilità verso la tematica da parte dei dirigentidelle singole ASL, includono attività formative dimedicina della migrazione. «Per motivi anche sol-tanto amministrativi e burocratici, manca oggiuna modalità più specifica per incentivare e garantirela formazione dei medici di medicina generale edei pediatri di libera scelta che per partecipare aun corso devono lasciare lo studio e pagarsi unsostituto - ricorda Santone che, attraverso il Samifo,

Il nodo della formazioneIl fronte importante della mediazione linguistica e culturale

sconta a tutt’oggi un grave ritardo. Ma anche in questo camponon mancano iniziative e sperimentazioni di alto livello, comequella promossa più di recente dalla Asl Toscana Sud est, attiva inun territorio equivalente a metà della regione Toscana (Arezzo,Siena e Grosseto) con una presenza straniera molto variegata. «Da due anni abbiamo iniziato un percorso volto a comprendere ibisogni e le azioni specifiche da compiere sul target delle personemigranti, organizzato incontri, promosso tavoli tematici - spiega Ste-fania Magi, direttrice dell’Unità operativa semplice Politiche controle emarginazione e per le popolazioni migranti dell’Asl Toscana Sudest - Quello che è emerso da parte degli operatori sanitari è che lasalute dei migranti non è un tema di nicchia per anime belle, mauna grande questione di salute pubblica che tutti i medici devonoaffrontare nella loro operatività quotidiana, e che è urgente fron-teggiare con corsi di formazione e attività di mediazione. Per questo ci siamo organizzati per cercare di garantire il serviziodi mediazione linguistica e culturale a tutti coloro che ne fannorichiesta. Pur non facendo parte dei livelli essenziali di assistenza,la nostra direzione lo considera una condizione necessaria perl’erogazione dei livelli di assistenza e lo rende accessibile confondi propri. Il nostro direttore si era espresso favorevolmenteanche alla possibilità di metterlo a disposizione dei medici di fa-miglia e dei pediatri. Ma su questo fronte, a causa evidentemente di un deficit di forma-zione, non sono pervenute richieste e non se n’è fatto niente.Quest’anno abbiamo messo in cantiere un nuovo progetto di me-diazione integrata avanzata, nato da questi percorsi di ascolto, chemira a integrare la mediazione linguistica e culturale con altre formedi mediazione interculturale, quale l’antropologia, l’etnopsichiatriae la mediazione di comunità garantita da una sorta di peer-educatormigranti che guidano i loro connazionali alla promozione della sa-lute. A breve dovremmo attivare i servizi».Su entrambe le frontiere nevralgiche della formazione e della me-diazione, continua tuttavia a mancare un quadro condiviso e or-ganico di politiche, azioni, interventi. Un vero problema se siconsidera che le persone immigrate rappresentano mediamentecirca il 10% della popolazione residente in Italia, e che in alcuniquartieri delle grandi città gli stranieri arrivano a rappresentare il

30%-40% degli utenti degli ambulatori».l l

IL PROGETTO

Mediazione e immigrazione

La riforma del Titolo V della Co-stituzione e il decentramento

gestionale della sanità hanno de-terminato negli anni una frammen-tazione di norme e pratiche chenon garantiscono uniformità e con-tinuità di cure ad alcune categorie,incluse le persone immigrate, sututto il territorio nazionale, origi-nando disuguaglianze nell’accesso

accessibilità, che caratterizzanola medicina della migrazione nelnostro Paese. Solo a titolo diesempio, nel 2017 la RegioneEmilia Romagna non applicaval’accordo in merito all’esenzionedel ticket agli immigrati STP; al-cune regioni non prevedevanonemmeno la figura giuridica de-gli ENI. Secondo questo moni-

ai servizi e anche nelle prospet-tive di salute.Un monitoraggio realizzato nel2017 dalla SIMM e dai diversiGrIS locali circa l’applicazioneeffettiva dell’accordo tra Statoe Regioni in materia di accessoalle cure per le persone immi-grate, mostra lo spezzatino dinorme, livelli di assistenza e di

toraggio, le situazioni più critichesi riscontravano in Sardegna, Li-guria, Calabria, Basilicata, Abruzzo,e nella provincia autonoma diBolzano, ma dalle mappe si evin-ceva come nessuna regione ap-plicasse l’accordo fino in fondoe in maniera corretta (SIMM eGrIS replicheranno la mappaturanel 2019). l

Federalismo e spezzatino

normativo

Tre operatori sanitari

su quattro dichiarano

di non aver mai

ricevuto formazione

specifica per assistere

i cittadini stranieri,

sostiene un sondaggio

di Sanità di frontiera.

Un problema se si

considera la

complessità della

relazione di cura con

persone provenienti

a volte da mondi

lontani e la natura

estremamente

dinamica del

fenomeno migratorio.

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Ci può raccontare come è nata la Società Italiana di Medicina delle Mi-grazioni (SIMM)? La SIMM è stata creata nel 1990 da un gruppo ristretto di persone, grazie

all’intuizione di Riccardo Colasanti, un medico, filosofo, missionario, che allametà degli anni Ottanta aveva fatto nascere con Don Luigi Di Liegro l’ambulato-rio della Caritas a Roma. Parliamo di persone con una capacità non comune dileggere la realtà in prospettiva, o se vogliamo dotate di un’intuizione profetica.Già all’atto di fondazione è ben rappresentato anche il mondo delle università: ilprof. Mansueto, internista di Palermo, i proff. Frighi e Cuzzolaro, psichiatri diRoma, e il prof. Nunzi, leprologo di Genova.

In che cosa consisteva il lavoro della SIMM a quei tempi?Fin dall’inizio la SIMM ha cercato di mettere in rete le realtà di volontariato chestavano nascendo e i convegni organizzati in quegli anni hanno permesso di co-minciare a ragionare insieme sulle risposte da dare ai bisogni di assistenza. Nondimentichiamo che allora la legge limitava l’intervento della sanità pubblica allesole situazioni di emergenza. Per un intervento chirurgico ci si doveva rivolgere aicolleghi che esercitavano nel pubblico, ma chi accettava di collaborare lo faceva asuo rischio e pericolo perché le strutture avrebbero potuto contestargli l’intervento.Non era disobbedienza civile, era solo un tentativo di interpretare autenticamentel’articolo 32 della Costituzione e, insieme, di cercare soluzioni concrete all’internodel pubblico.

Com’è cambiata la SIMM da allora?Uno dei primi passaggi nella storia della SIMM è stato quello di comprendere cheil volontariato rappresentava una risorsa, ma allo stesso tempo che era fondamentaleselezionare e formare queste persone. Si avviano così i primi corsi di formazione econtestualmente si inizia a fare ricerca per affinare lo sguardo dal punto di vistascientifico. La vera svolta, però, si è avuta quando si è presa coscienza del fatto chenon ci si poteva limitare all’assistenza, ma che il diritto alla salute doveva esserepromosso e difeso con le istituzioni. È lì che è nata la dimensione politicadell’impegno della SIMM, quella che oggi chiamiamo advocacy.

E proprio in questo campo la SIMM può vantare importanti risultati. Ce li puòraccontare?La pietra miliare risale al 1995, quando ottenemmo un incontro con l’alloraministro della Sanità, il professore Elio Guzzanti, nominato all’interno del governoDini. Era in discussione una misura fortemente restrittiva nel campo dell’immi-grazione, e noi dicemmo al ministro che eravamo testimoni del fatto che, ancorchéteoricamente queste persone non avrebbero dovuto essere sul territorio italiano,in Italia potevano avere dei problemi di salute ai quali bisognava dare una rispostanell’interesse della collettività e quindi per un discorso di sanità pubblica, comeprevede la Costituzione. Dopo averci ascoltato, il ministro si disse d’accordo connoi… come ministro, come medico e come persona. E all’interno di un decretolegge dichiaratamente peggiorativo, il 489/1995, fu inserito un articolo che,

L’INTERVISTA

Breve storia della SIMM, avamposto di civiltà

Maurizio Marceca

Laureato in Medicina e

specializzato in Epidemiologia

e Sanita Pubblica, dal 2006

Maurizio Marceca è professore

associato di Igiene generale ed

applicata presso la Facolta di

Farmacia e Medicina

dell’Universita La Sapienzadi Roma.

Tra il 1995 e il 2006 ha lavorato

presso l'Agenzia per i Servizi

Sanitari Regionali (oggi

Agenas) e presso l’Agenzia

di Sanita Pubblica del Lazio.

Ha partecipato a diverse

commissioni, comitati tecnico-

scientifici e progetti di ricerca

a livello internazionale,

nazionale e regionale, con

particolare riferimento al tema

della salute della popolazione

immigrata, e dal 2016 è

presidente della SIMM.

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attraverso l’introduzione della categoria STP, Stranieri Temporaneamente Presenti,ha di fatto sdoganato l’assistenza agli stranieri privi di regolare permesso disoggiorno. La norma è poi transitata nel Testo Unico sull’immigrazione del 1998.

Anche in quell’occasione riusciste a introdurre importanti migliorie alla legge.Ci può raccontare quali?Con la legge 40 del 1998 siamo riusciti a far passare il principio che tutti glistranieri con un permesso di soggiorno in corso di validità a medio terminefossero obbligatoriamente iscritti al Servizio Sanitario Nazionale, con gli stessidiritti e gli stessi doveri degli italiani. Inoltre riuscimmo ad eliminare il requisitodella residenza per l’iscrizione al SSN e ad agevolarne il mantenimento: fino adallora non ci si poteva infatti iscrivere se non si aveva la residenza e l’iscrizionescadeva insieme al permesso di soggiorno. Ulteriori restrizioni vi erano per i di-soccupati. Ma in questo modo, la copertura sanitaria finiva per dipendere dallelungaggini dell’amministrazione pubblica. Le tante migliorie suggerite allora dallaSIMM hanno permesso di includere nel sistema di salute pubblica centinaia dimigliaia di persone e di famiglie. Un successo enorme.

E poi cosa è successo?Il nostro impegno in questo campo è continuato ininterrottamente fino ad oggi,ottenendo altri importanti risultati. Poi ci siamo dovuti organizzare su base piùterritoriale per rispondere alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ealla regionalizzazione dei sistemi sanitari, per avere una maggiore capacità di in-terlocuzione e pressione sui decisori locali, in modo tale che le decisioni chevengono assunte su scala regionale siano coerenti alla normativa nazionale. Lanostra grande fatica, ancora oggi, è quella di evitare che delle modifiche intervenutein contesti extra-sanitari, per esempio riguardanti la residenza, il codice fiscale, lepolitiche sui ticket, vadano ad impedire di fatto un diritto acquisito.

La SIMM, però, non si occupa soltanto delle componenti più vulnerabili dellapopolazione straniera.Gli Stranieri Temporaneamente Presenti rappresentano la nostra trincea storica.Ma la SIMM ragiona e cerca di intervenire anche sulle capacità di accoglienzarispetto alle persone straniere regolarmente presenti, nel contrasto delle diseguaglianzesocio economiche e delle discriminazioni che possono portare a uno scarto intermini di qualità dell’assistenza. Ci occupiamo anche di gruppi che non sono ne-cessariamente immigrati, come ad esempio i Rom, Sinti e Camminanti.

Come definiresti oggi la SIMM?Siamo innanzitutto una società scientifica, credo con un buon profilo tecnico, checollabora con le più prestigiose istituzioni italiane e internazionali. Convinti chela formazione sia un elemento strategico, abbiamo accolto la sfida dell’ECM esiamo diventati provider standard: accreditiamo le iniziative formative che pro-poniamo. Infine siamo una rete di realtà e professionalità diverse, ong, associazioni,servizi pubblici sempre più impegnati nel cercare di dare una dimensione credibilea quella che viene chiamata sussidiarietà orizzontale. Abbiamo mantenuto ladizione originaria per una questione affettiva, ma non crediamo in un atteggiamentomedico-centrico. Se dovessimo modificarne la denominazione, oggi credo la chia-meremmo Società italiana per la salute dei migranti, per esplicitare il fatto che aoccuparsi di salute sono una pluralità di professionisti che va, oltre i medici, dagliantropologi agli psicologi, agli infermieri e agli assistenti sociali, tutti accomunatidalla convinzione che la salute sia un bene che va riconosciuto a chiunque, indi-pendentemente dal possesso di condizioni giuridiche, economiche o culturali. Inquesto senso, penso che la SIMM sia un avamposto di civiltà. l

Reti territoriali per i diritti

La SIMM promuove sui terri-tori la costituzione di reti, iGruppi locali ImmigrazioneSalute (GrlS) per favorire laconoscenza e la collabora-zione tra quanti si impegnanoa vario titolo sui territori perassicurare diritti, accesso efruibilità all'assistenza sanita-ria degli immigrati. Vere eproprie emanazioni territorialidella SIMM, i GrIS hannol’obiettivo di fare informa-zione, mettere in rete gruppi,servizi, persone, competenzee risorse sia assistenziali siaformative, sviluppare capacitàdi analisi scientifica e organiz-zativa, elaborare proposte,compiere azioni di advocacysulle istituzioni locali per fa-vorire l’accessibilità reale deiservizi socio-sanitari da partedei cittadini immigrati pre-senti nei territori. Il primo gruppo locale di col-legamento e rete è nato nel1995 nel Lazio, sia per condi-videre conoscenze ed infor-mazioni, sia per ottimizzarepercorsi assistenziali, sia perpromuovere politiche ed ini-ziative per una salute senzaesclusione. Negli ultimi anni,la SIMM ha promosso la costi-tuzioni di GrIS anche in Tren-tino, Sicilia, Lombardia,Sardegna, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Alto Adige,Campania, Friuli Venezia Giu-lia, Toscana, Liguria, Puglia,Calabria e Marche.https://www.simmweb.it/coor-dinamento-nazionale/gruppi-immigrazione-e-salute

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quanti vengono accolti.Un’efficace integrazione e una buona inclusionesociale sono la migliore garanzia di sicurezza umana.Proponiamo, pertanto, all’attuale Governo un’agendadi cinque possibili azioni che, se intraprese paral-lelamente, porterebbero, a nostro avviso, a una mi-gliore gestione del fenomeno migratorio nel me-dio-lungo periodo, accompagnata, sotto diversiaspetti, da una riduzione e miglior allocazionedella spesa pubblica.1. Canali legali. Riapertura di canali legali per icosiddetti migranti economici e organizzazionedi stabili corridoi umanitari per i profughi. Ado-zione, cioè, di strumenti che possano consentireuna gestione programmata del percorso di acco-glienza e integrazione di coloro che arrivano nelnostro Paese. Valorizzando, altresì, i benefici eco-nomici dell’immigrazione e permettendo a coloroche presentano la necessità di dover lasciare ilproprio Paese - siano essi migranti economici, ovittime della guerra, di persecuzioni politiche oreligiose, o di cambiamenti climatici - di trasferirsiin totale sicurezza.2. Formazione. Incentivazione di percorsi di for-mazione al lavoro, sia nei Paesi d’origine sia qui inItalia, al fine di valorizzare l’arricchimento a livellodi risorse umane e professionali che chi arriva neinostri Paesi può offrire. In tal senso, non va sotto-valutata l’importanza che la suddetta formazionepuò rivestire nell’assicurare ai Paesi d’origine quelprogresso che, nel medio-lungo termine, può altresìcontribuire a far venir meno l’esigenza di abban-donare la propria terra.3. Sostegno alla natalità. misure efficaci per la

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Sanità di frontiera promuove da 3 anniun corso residenziale di formazione in-

dirizzato a operatori sanitari e medici rap-presentanti delle diverse specializzazioni,uniti dall’impegno condiviso di dare so-stegno ai migranti che vivono o transitanoin Italia, nella convinzione che il benesseredei migranti e quello della comunità ospi-tante siano inscindibili.Dalla prima edizione realizzata nel 2016 aLampedusa, con Pietro Bartolo, l’alto numerodi richieste di partecipazione a fronte deisoli 40 posti disponibili, e la soddisfazionemanifestata da partecipanti e docenti - te-stimonianza questa di come il corso abbiaintercettato un bisogno largamente diffuso- hanno indotto Sanità di Frontiera a pro-

Curare e prendersi cura

La frontiera della politica

Da tutto ciò che abbiamo esposto in questapubblicazione traiamo alcune considera-zioni finali. Le forze politiche, oggi, non

possono tralasciare la gestione del fenomeno mi-gratorio. Non possono non perseguire un ripensa-mento che riconduca la discussione alla consape-volezza che la migrazione non dovrebbe essere unproblema ma una realtà da gestire. Al di là della eterna e sterile discussione tra chi è afavore o contro l’immigrazione, dovrebbe esistereuna via non ideologica che consenta la program-mazione a medio-lungo termine e la gestione delfenomeno. Ci sono politiche non più costose diquelle attuali, che offrono una alternativa di piùlunga prospettiva alla controversia su ogni singolosbarco, alla strumentalizzazione della paura.Il Governo deve svolgere una seria analisi del propriomercato occupazionale, considerando il declino de-mografico, la flessibilità del lavoro e l’indisponibilitàdei giovani italiani (il loro esodo ammonta ormai acirca 100.000 unità all’anno) a certi tipi di impieghi.Si dovrebbero programmare flussi per lavoro e ri-pensare il modello di cooperazione allo sviluppo,

inclusa la formazione all’estero.Un mutamento strutturale è necessario per il nostroPaese nel medio e lungo termine. E nessuno dei re-centi Governi, compreso l’attuale, si è adoperato intal senso. L’immigrazione, ancora oggi, è affrontatacon una legge risalente ad un periodo in cui il fe-nomeno migratorio era profondamente diverso daquello con cui ci confrontiamo adesso. Una leggeche, anziché valorizzarlo, prevedendo un sistemadi accoglienza e integrazione idoneo, ha preteso dicongelare il fenomeno dell’immigrazione e in realtàlo ha irregolarizzato. Non una grande idea. La priorità, per prevenire i disagi che una gestioneapprossimativa dell’immigrazione potrebbe conti-nuare a comportare e per promuovere una piùserena e umana convivenza, è quella di garantirel’inclusione sociale di tutti per mettere al riparostranieri e italiani da fenomeni di rischio per la si-curezza umana e permettere a tutti di costruire ilproprio futuro su basi più concrete. Di conseguenza,un efficace sistema di integrazione occupa il primoposto in qualsiasi piano che si proponga di garantireordine e sicurezza alla società che accoglie e a

crescita demografica. Partendo dalla constatazioneche il fenomeno migratorio contribuisce a combattereil decremento demografico da cui il nostro Paese èpericolosamente affetto, è necessario assicurare a tuttele famiglie incentivi economici e fiscali, e servizi per lefamiglie giovani a cominciare dai servizi per la primainfanzia, che contribuiscano a garantire una maggiorestabilità, favoriscano la crescita delle nascite e la con-ciliazione del lavoro femminile.4. Prevenzione dell’emigrazione. Per arginare glieffetti negativi della decrescita demografica e dell’emi-grazione sono urgenti interventi sul sistema ammini-strativo e burocratico dello Stato, nonché incentivieconomici e sgravi fiscali per evitare l’emigrazionedei nostri giovani.5. Integrazione delle politiche. Nomina di un com-missario o di un sottosegretario, che sieda a PalazzoChigi e che interagisca e si coordini con un tavolo co-stituito dai ministri delle Politiche Sociali, dell’Interno,del Lavoro e Sviluppo Economico, degli Esteri, delTesoro, della Salute e della Famiglia, in coordinamentoe collaborazione con la Conferenza Stato-Regioni el’Anci. Nel momento in cui si pensa a un sistemastrutturato e non più emergenziale, bisognerà prevedereun coordinamento e una convergenza di diversi ambitipolitici, che possano assicurare una coerente ed efficacegestione del fenomeno e l’implementazione delleattività di accoglienza integrazione senza demandarleal solo settore privato.Tutto ciò per strutturare un sistema di accoglienzache favorisca l’adeguata integrazione di ambiti culturalidiversi, al fine di promuovere la crescita del nostroPaese nel rispetto della nostra legislazione e dellacultura italiana. l

di Francesco AureliPresidente di Sanità di Frontiera

seguire in maniera costante l’offerta di for-mazione, ed il corso rappresenta oggi unadelle attività cardine dell’Associazione.Sono 6 le edizioni del corso (oltre a unaversione FAD - a distanza e gratuita -erogata dalla piattaforma di FNOMCeO)organizzate fino ad oggi in collaborazionecon le principali organizzazioni a diversotitolo impegnate nel settore delle migrazioni- Centro Astalli, Croce Rossa, UNHCR, MSF,Save the Children, OIM - che hanno coin-volto oltre 240 operatori sanitari.Il programma, articolato su 4 giornate, offreun panorama completo delle questioni re-lative alla medicina delle migrazioni: par-tendo da un inquadramento generale delfenomeno migratorio a livello globale, sipassa all’analisi della situazione italiana,per poi concentrarsi sugli aspetti più spe-

cificamente medici. L’ultima giornata èinfine dedicata ad un’analisi delle prospet-tive e delle buone pratiche nell’ambitodell’accoglienza e della tutela del benesseredei migranti. Una particolare attenzione èdedicata agli aspetti psicologici, con l’intentodi favorire un approccio di ascolto attivo,nonché multiculturale nell’interazione tragli operatori sanitari e gli stranieri presentisul territorio. Vale la pena sottolinearequello che appare essere il risultato piùimportante della formazione svolta: si ècreata una rete virtuosa di scambio di pra-tiche e di reciproco e qualificato supporto.Diverse idee di collaborazione si sono giàfatte strada e si intravedono scenari dinuove possibili esperienze comuni.Per informazioni:

[email protected] l

Una nuova agenda per la migrazione

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Centro Astalli www.centroastalli.it

Croce Rossa Italianacriroma.org/?s=senza+dimora

Emergencywww.emergency.it/wp-content/uploads/2018/08/Locandina-orari-poli-bus-Latina.pdf

INMPwww.inmp.it/index.php/ita/Assistenza-sanitaria

Medici Contro la Torturawww.mct-onlus.it

Medici Senza Frontiere Italiawww.medicisenzafrontiere.it/cosa-facciamo/pro-getti-in-italia/

MEDU- Medici per i Diritti Umanimediciperidirittiumani.org/medu-psyche-cen-tro-di-cura-e-documentazione-contro-la-tor-tura-a-roma/

Ospedale Bambino Gesùwww.ospedalebambinogesu.it/attivita-interna-zionali#.XGwwwPZFxjo

Policlinico Umberto Iwww.policlinicoumberto1.it/per-il-cittadino/ac-coglienza-e-servizi/stranieri.aspx

SAMIFO- Centro Salute Migranti Forzati centroastalli.it/servizi/progetto-samifo/

Advocacy e networking

SIMM-Società Italiana Medicina delle Migrazioniwww.simmweb.it

GRIS LAZIOwww.simmweb.it/gris-lazio

Assistenza legale

ASGI - Associazione Studi Giuridici Immigrazionewww.asgi.it

Assistenza in carcere

Associazione “Il Viandante”www.romabpa.it/2017/03/27/associazione-il-viandante/

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LIMES. Indirizzi utili

LA FRONTIERA DELLA SALUTE