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Rivista fondata nel 1899 Periodico religioso mensile - Anno 112 - V. Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino - Sped. abb. post. - Art. 2, comma 20/C, - Legge 662/96 - Filiale di Torino Ottobre/Dicembre 2010 n. 10/12

Santuario della Consolata - dic 2010

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Bollettino del Santuario pubblicato dal 1899

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Page 1: Santuario della Consolata - dic 2010

Rivista fondata nel 1899

Periodico religioso mensile - Anno 112 - V. Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino - Sped. abb. post. - Art. 2, comma 20/C, - Legge 662/96 - Filiale di Torino

Ottobre/Dicembre 2010

n. 10/12

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Natale tempo del Dono, tempo dei doniEditorialeMons. Marino Basso, Rettore del Santuario 1

Il saluto del Cardinale Poletto 2

Accogliamo il nuovo Arcivescovo Monsignor Cesare Nosiglia 4

Ricordo di un Rettore emerito della Consolata:monsignor Franco Peradotto 6

Il patrono dei carcerati: San Giuseppe Cafasso 9

Formazione del volontariatoVisita al monastero benedettino sul Lago d’Orta 14

La foto del mese 18

Il Padre Nostro e il Battesimo 20

Intercessione di San Valerico 22

Pellegrini dalla Lomellina 24

La preghiera del mese 25

Importante: nuove leggi sulla stampa 26

Programma Pellegrinaggi 2010-2011 27

La Consolata nel mondo 28

sommarioIl Santuariodella Consolata

Torino

Periodico religioso mensileAnno 112 - n. 10/12

Ottobre/Dicembre 2010

Spedizione in abbonamento postaleArt. 2, comma 20/c,

Legge 662/96 - Filiale di TorinoC.C. post. n. 264101 intestato a:

Santuario ConsolataVia Maria Adelaide, 2 - 10122 Torino

Tel. 011.483.61.11 - 011.483.61.00Fax 011.483.61.20

[email protected]

Fotocomposizione e stampa:Arti Grafiche San Rocco

10095 Grugliasco (TO)Via Carlo Del Prete, 13

Tel. 011.783300 - Fax [email protected]

Direttore responsabile:Marco Bonatti

Autorizzazione del Tribunale Civiledi Torino n. 379 del 22 febbraio 1949

In copertina:Presepio preparato

dal Vicerettoredon Matteo,

Altare della Consolata

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Editoriale

Il senso del Natale è uno solo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni-genito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non hamandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per

mezzo di Lui” (Gv 3,16-17).

È questo dono dall’Alto che raccoglie tutte le nostre attenzioni e se anche siamo distrattie presi da altre frenesie legate al tempo delle festività natalizie, nulla prende il posto allacentralità di questo Evento, che riempie il tempo e la storia di senso e di speranza per tut-ta l’umanità. Il dono del Padre, che è il Verbo fatto carne per noi, ci insegna a scorgereche ogni dono viene dall’Alto.

La nostra Arcidiocesi di Torino è stata segnata nella sua storia millenaria da un lato dal do-no del Cardinale Severino Poletto, che ha concluso il suo ministero episcopale dopo un-dici anni di presenza tra noi, e, dall’altro, dal dono del nuovo Arcivescovo Mons. CesareNosiglia. Ci permettiamo di raccogliere i pensieri che la Voce del Popolo, giornale dellanostra Diocesi, ha presentato al nuovo Arcivescovo, siano anche i saluti della nostra rivi-sta della Consolata.

Il dono del Vescovo, successore di san Massimo alla cattedra di Torino, fa pen-sare alla fedeltà che Cristo, “Pastore dei Pastori”, nutre per la nostra Chiesa,la quale già dal quarto secolo annuncia il Vangelo in questa porzione di terrapiemontese. Le nostre radici sono antiche, ma la chiamata alla fede è semprenuova e fa nuove tutte le cose. Ciò che è lambito dalla fede è mosso dallo Spi-rito, che ci fa crescere nell’orizzonte di Dio, che illumina e guida il camminodella Chiesa, della storia, delle relazioni umane, formando in noi una nuovamentalità: “il pensiero di Cristo”.

A Lei, nostro Arcivescovo, l’augurio di ogni benedizione dall’Alto, accompa-gnato dalla intercessione della Madre di Dio, venerata con il dolce titolo diConsolata e Consolatrice, e dalla schiera innumerevole di Santi e Sante, frut-to della vitalità della Chiesa di Torino, che l’accoglie, con affetto e con gioia,come suo Pastore.”

Il Natale è il Dono di Dio, che ci aiuta a scoprire la Provvidenza del Padre in tuttii doni che ci giungono - anche nei Vescovi della nostra amata Arcidiocesi -, perquesto ci sentiamo di poter cantare con gli angeli “Gloria a Dio nell’alto dei cieli epace in terra agli uomini che Dio ama”.

Monsignor Marino BassoRettore

Natale tempo del Dono tempo dei doni

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Il primo sentimento che mi nasce nel cuore è disincera riconoscenza al Santo Padre, che ha vo-luto inviare come Pastore a Torino un Vescovodotato di una non comune preparazione cultu-rale e di lunga esperienza pastorale, acquisitaprima all’interno degli organismi centrali dellaCEI come direttore dell’Ufficio Catechistico na-zionale e poi nella Diocesi di Roma, dove hasvolto il compito di Vescovo Ausiliare, fino al-l’ultimo incarico, i sette anni alla guida della Dio-cesi di Vicenza. Fin da subito vi invito a pregare per il nuovo Ar-civescovo Cesare e a mettervi tutti nel giusto at-teggiamento di fede, condizione essenziale peraccoglierlo con gioia e con totale disponibilità acollaborare con lui per la realizzazione di ogniproposta e progetto pastorale che vi proporrà,affinché tutti possiate essere fedeli a quella gran-de missione che il Signore ha affidato alla nostraChiesa in Torino. Quanto a me, mi sento molto sereno nel conse-gnare il pastorale ad un Vescovo amico e che sti-mo, perché so che verrà per continuare quel la-voro che con tanta convinzione e senza rispar-mio di tempo e di energie ho cercato di fare inquesti undici anni vissuti con voi per “costruireinsieme” il Regno di Dio in questa a me cara cit-tà di Torino, che amo definire complessa mastupenda, ed in tutta la nostra Arcidiocesi cosìricca di carismi e santità. Il Signore Gesù ci chiede in ogni momento di fis-sare su di Lui, che è il vero “Pastore grande del-

IL SALUTOdel CardinalePOLETTO

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le pecore” (Ebr 13,20), il nostro sguardo di fede eil nostro impegno di sequela. Gli Arcivescovipassano, ma Gesù Cristo resta per sempre connoi ed è questa certezza che ci consente di per-severare nel nostro impegno di discepoli che ve-dono in Lui l’unico Maestro che ci affida il suomessaggio di salvezza chiedendoci di comuni-carlo con gioia a tutti quanti. Auguro al nuovo Arcivescovo che possa trovar-si bene con tutti voi come, vi assicuro, mi sonotrovato io. A lui il nostro cordiale benvenutoesprimendo la nostra fiduciosa attesa con le pa-role del Salmo “Benedetto Colui che viene nelnome del Signore!”.

Torino 11 ottobre 2010 + Severino Card. Poletto

Dopo 11 anni, lascia la reggenzadell’Arcidiocesi S.Em. il Card. Seve-rino Poletto. Pubblichiamo unostralcio del suo saluto, in occasionedella comunicazione, fatta proprioal Santuario della Consolata, dellanomina del nuovo Arcivescovo diTorino.

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Accogliamo il nuovo ArcivescovoMonsignor

CESARE NOSIGLIA

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Pubblichiamo uno stralcio del primo mes-saggio alla Diocesi del capoluogo pie-montese, appena dopo la nomina del Pon-tefice alla guida della Chiesa in Torino.

La mia nomina a vostro Arcivescovo avviene nelgiorno anniversario dell’apertura del ConcilioVaticano II, avvenuta nell’ottobre del 1962.Considero questa coincidenza non puramentecasuale, ma dono della Provvidenza di Dio, chevuole indicarmi la via maestra sulla quale pro-muovere, insieme con voi, il cammino della no-stra Chiesa particolare. Nella mente e nel cuore riemergono alcuni ri-cordi lieti e significativi, dall’anno propedeuticoalla teologia, svolto in Diocesi nel Seminario diRivoli (arrivavo da Acqui), nel 1964, alla primaesperienza sacerdotale nella parrocchia di San-tena, nell’estate del 1968. Ora il Santo Padre mi affida una Chiesa ricca ditradizione cristiana, vivace e creativa nelle sueintuizioni pastorali e protesa ad un costante rin-novamento spirituale, grazie all’influsso tuttoravivo di grandi personalità di santi e testimoni difede e carità. Sono vicino fin d’ora al Presbite-rio, a tutte le parrocchie, che rappresentano illuogo fondamentale della formazione della co-scienza credente, alle realtà di vita consacrata,alle diverse aggregazioni laicali, così presenti intanti settori quali la scuola, la solidarietà versomalati, poveri, nomadi ed emarginati, la forma-zione cristiana, la difesa della vita, la lotta all’il-legalità diffusa, nell’impegno politico, nella pro-mozione della pace, nell’accoglienza agli immi-grati e nel sostegno alle comunità etnico-cattoli-che. So bene quante sono le difficoltà di ogni giorno,per tutti, eppure sono convinto che la nostraChiesa locale può guardare avanti con fiducia, econtribuire al vero progresso della gente pro-muovendo la stretta unità tra carità, verità e giu-stizia che Papa Benedetto richiama nella sua en-

ciclica “Caritas in Veritate”. Cari fratelli e sorelle, il mio cuore e tutta la miapersona sono ormai protesi verso di voi e mi au-guro che presto potremo incontrarci e collabo-rare insieme al lavoro nella vigna che il Signoreci ha affidato. Pregate per me, perché possasvolgere con voi e per voi il mio ministero di Pa-dre, Vescovo e amico e sappia ascoltarvi e se-guirvi, sulla strada che state percorrendo, con unimpegno che intendo condividere, fianco a fian-co, per accogliere quanto il Signore e il suo Spi-rito ci indicheranno. Mi affido alla intercessione di san Massimo, pri-mo Vescovo della Diocesi, di san Giovanni Bat-tista e della Vergine Consolata, alla quale ognitorinese rivolge il cuore e lo sguardo carico di fi-ducia e confidenza. Maria ci indica le vie su cuicamminare insieme nell’umiltà, ma anche nellaconsapevolezza di tanti talenti preziosi che il Si-gnore ha donato alla nostra Chiesa. A lei ricor-riamo in questo tempo complesso, ma non cosìdiverso da tanti altri passaggi epocali, che han-no caratterizzato il cammino ecclesiale e civiledell’Arcidiocesi e della Città. Vi benedico e vi saluto con affetto e amicizia.

Vicenza, 11 ottobre 2010 Mons. Cesare Nosiglia

Arcivescovo Eletto di Torino

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Ricordo di un Rettore emerito della Consolata

Monsignor

FRANCO PERADOTTO

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Il giorno dei Santi ha concluso il suo per-corso terreno un prete torinese che ha la-sciato un segno importante nell’Arcidiocesidi Torino, come Provicario Generale dellaDiocesi e Rettore del Santuario della Con-solata. Braccio destro dei quattro Cardinaliche si sono succeduti negli ultimi anni allaguida della Diocesi di Torino, giornalista edirettore della Voce del Popolo, settimanalediocesano torinese, non si è mai dimentica-to di essere prete, cioè un punto di riferi-mento per gli ultimi, un riflesso dell’amoredi Gesù Cristo per chi non ha speranza néfuturo. Don Ciotti ci ricorda che tutti i mesialla Consolata don Franco dedicava una se-ra agli incontri di spiritualità con il GruppoAbele, accogliendo le persone più diverse, lefatiche e le fragilità di tutti, i bisogni e lesperanze di ciascuno. Era orgoglioso di tra-sformare il Santuario della Consolata in una«casa», di praticare un ecumenismo concretoche andava oltre le parole e s’incarnava neivolti e nella storie di ogni persona che in-contrava. Con la stessa smisurata fedeltà ediligenza riservata ai Vescovi, don Franco simetteva al servizio dei poveri convinto che«la strada» deve essere il costante riferimen-to del ministero sacerdotale, il luogo, cioè,delle povertà, dei bisogni, dei linguaggicomplessi e diversi, delle relazioni e delledomande. Nel suo impegno di prete egli haprivilegiato la pastorale dei laici e delle fa-miglie, profondamente convinto della ne-cessità di “fare spazio”, nella Chiesa, allacorresponsabilità dei laici. Ora continueràad aiutare dalla dimensione celeste la Chie-sa di Torino, la costruzione di quel «noi» cheè la dimensione essenziale della salvezzaportata da Cristo. Non ci si salva da soli,bensì come popolo, come comunità riunitadal nome del Padre, nell’amore del Figlio enella forza di consolazione dello Spirito.

La sua vita Mons. Franco Peradotto è nato a Cuorgnè il 15gennaio 1928. Compì l’itinerario di formazionenei Seminari diocesani a Giaveno, Chieri, Tori-no e Rivoli. Ordinato prete il 29 giugno 1951 fuper un anno al Convitto ecclesiastico della Con-solata, poi assistente per un biennio al Semina-rio di Rivoli. Nel 1954 venne nominato vicepar-roco alla Collegiata di S. Maria della Scala diMoncalieri, e nel 1956 a Maria Speranza Nostrain Torino. Qui, in Barriera di Milano, entrò incontatto con la realtà dell’immigrazione operaiae le problematiche sociali della città, formando-si quella sensibilità che accompagnò poi tutta lasua vita sacerdotale e professionale. In quegli anni si avvicina anche ai temi della cul-tura e del giornalismo con un incarico di consu-lenza per i testi teatrali dello Stabile di Torino.Inizia poi, negli anni ’60, a lavorare regolar-mente per il quotidiano cattolico «L’Italia», a To-rino e a Milano: i suoi primi direttori furono Giu-seppe Lazzati e Carlo Chiavazza. Segue per in-tero, scrivendone soprattutto su «il nostro tem-po», i lavori del Concilio Vaticano II. Negli annisuccessivi verrà spesso chiamato, in diocesi diTorino e in tutta Italia, a far conoscere e com-mentare quegli insegnamenti; il suo servizio diprete è segnato per sempre dall’adesione con-sapevole e convinta ai contenuti e allo stile delConcilio. Uno stile che in don Franco diventadialogo sincero e rispettoso con tutti gli uominidi buona volontà, ma anche ferma fedeltà allaChiesa, madre e maestra, esperta di umanità,testimone dell’autentica speranza del Cristo ri-sorto. Diventa direttore de «La voce del popolo» suc-cedendo al suo maestro professionale e spiritua-le, mons. Jose Cottino. Con lui il giornale inter-preta i disagi di una Città cresciuta troppo in fret-ta e in cui aumenta il rischio dell’emarginazione,in cui la politica stenta a interpretare e fare pro-prie le esigenze di giustizia e partecipazione che

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salgono dai cittadini. Sempre presente negli or-ganismi consultivi diocesani cerca in ogni modo– talvolta anche a prezzo di pesanti sofferenzepersonali – di far maturare la comunione nelpresbiterio e nella Chiesa locale. Fu tra i fonda-tori e il primo presidente della Fisc, “federazio-ne italiana dei settimanali cattolici” e tra i fon-datori e animatori del Cop, il “Centro nazionaledi orientamento pastorale”.Don Franco è stato vicino fin dall’inizio all’espe-rienza del gruppo Abele e delle aggregazioni lai-cali che fioriscono negli anni successivi al Con-cilio. Ha seguito anche le attività dell’AzioneCattolica e delle Equipes Notre Dame: ma è im-possibile ricordare tutte le associazioni che haservito, i preti, le famiglie e i giovani che ha in-contrato. Nel 1970 il cardinale Pellegrino lo nomina vica-rio episcopale per il laicato e la famiglia; nel1979, con il cardinale Ballestrero, diventa vica-rio generale, mantenendo la direzione del gior-nale fino al 1996. Anche con il cardinale Salda-rini sarà vicario generale fino al 1991 e poi pro-vicario, protonotario apostolico, rettore del san-tuario della Consolata. Terminò la collaborazio-ne diretta come vicario nell’anno 2000. Per un ventennio don Franco è stato tra le figu-re più rappresentative e conosciute anche all’e-sterno della Chiesa torinese. La città giustamen-te lo ha onorato nominandolo nel 2003 «Tori-nese dell’anno» e conferendogli nel 2006 la cit-tadinanza onoraria. Negli ambienti più vari è sta-ta apprezzata la sua carica umana, la cordialitàdei rapporti, la capacità di superare steccatiideologici per rivolgersi al cuore delle persone.Per la sua Diocesi, e per la Chiesa, si è spesosenza risparmio, con un entusiasmo e una sere-nità d’animo che non sono di tutti. La malattia, cresciuta progressivamente, rendeperciò ancora più significativi e preziosi questiultimi suoi anni, trascorsi nel silenzio, nella sof-ferenza e nella fedeltà alla preghiera. Anche al

Cottolengo non è mai stato solo. Vicino a lui c’èla famiglia – il fratello Cesare, la cognata Lidia,i nipoti e pronipoti – e i tantissimi amici, moltidei quali presenti qui oggi per affidarlo al Signo-re e per testimoniare, ancora una volta, il nostroaffetto e il nostro rimpianto.

Marco Bonatti

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Il PATRONO delle CARCERIL’esempio di San Giuseppe Cafasso

attraverso la vita dei cappellani delle carceri di oggi

«Quando varcai per la prima volta la soglia del carcere, mi sentivo disorientato. Vagavo neicorridoi senza sole, incerto sul da farsi; attraverso gli spioncini delle pesanti porte mi af-facciavo alle celle scrutando chi vi abitava: visi spettrali, con i segni profondi della soffe-renza, della fame, della paura” Poi, dopo pochi giorni dal mio primo ingresso nel carcere,mi si disse che avrei dovuto, l’indomani, assistere un condannato a morte. Il “mio” primocondannato a morte!»Comincia così il racconto della prima esperienza in carcere che padre Ruggero Cipolla (1911-2006), francescano e per cinquant’anni cappellano delle carceri giudiziarie di Torino, scrivevanel 1960. Ecco come continua il suo racconto: «Sentii nell’anima uno schianto, crebbe la miaincertezza. E mi aggrappai disperatamente al confortatore per eccellenza dei condannatia morte: San Giuseppe Cafasso, il prete della forca».

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RACCOMANDAZIONIPER LA MADONNA

Più di 100 anni prima, esattamente nel 1839,il giovane ventottenne don Giuseppe Cafassoassisteva il suo primo condannato a morte, ilprimo di una lunga serie che il “prete della for-ca”, come veniva chiamato da tutti, avrebbe as-sistito, amato e consolato fino all’ultimo istan-te di vita.Dalla cella del “Confortatorio”, dove venivanocondotti i detenuti in attesa di essere giustiziatiper ricevere appunto il conforto religioso, se-duto al suo fianco sul carro, don Cafassoaccompagnava il condannato al palco del Ron-dò della Forca.E succedeva che durante il lugubre viaggioqualche volta il detenuto si convertisse, comenel caso di un certo Carlo Demichelis, condan-nato a morte per l’assassinio di sua suocera,che davanti all’immagine della Consolata raffi-gurata sul muro di una casa in via del Carmine,si pentì e chiese a don Cafasso l’assoluzione. L’umile “prete della forca” aveva un modo tut-to suo per incoraggiare i suoi “santi impiccati”come li chiamava lui.I suoi biografi raccontano che dopo aver bene-detto la corda, prima di impartire l’ultima asso-luzione, si rivolgeva con convinzione al con-dannato affidandogli le sue raccomandazioniper la Madonna: “Quando sarete innanzi aLei, vi inginocchierete ai suoi piedi, laringrazierete, e le direte di preparare ilposto anche a me”.Di fronte a una fede così, anche i più duri si la-sciavano coinvolgere, si rincuoravano e, si rac-conta che, una volta un brigante chiamato Fag-giani mentre il boia stava per dargli la spinta,sorridendo esclamò: “A momenti la sua com-missione sarà fatta”.

Le carceri di Torinoieri ed oggi

Raccontano che il Cafasso fosse di casaalle Prigioni Senatorie: ci andava ogni lu-nedì, mercoledì e venerdì per restarci dal-le 16 fino a tarda notte, con le tasche pie-ne di tabacco da fumare o fiutare, imagi-nette e libretti, e il cuore pieno di com-passione e incoraggiamento per ogni de-tenuto. Le Senatorie si trovavano in viaSan Domenico angolo via delle Orfane:erano le prigioni più grandi della Torino diallora e lì erano rinchiusi i delinquentipeggiori. Le altre prigioni di Torino eranole Torri a Porta Palazzo e le Forzate in viaSan Domenico, entrambe riservate alledonne, mentre il carcere Correzionale erasituato presso la Chiesa dei Santi Martiri. Le Nuove, costruite tra il 1854 e il 1859lungo Corso Vittorio Emanuele, furono in-naugurate nel 1970 e rimasero in funzio-ne fino al 1986, anno in cui entrò in fun-zione il carcere moderno delle Vallette. LeNuove disponevano di 648 celle dispostein 13 lungo tredici bracci tra cui quelli deicondannati a morte, due grandi cappelle,uno per gli uomini e uno per le donne. Og-gi il carcere delle Nuove è un museo in cuiè anche conservata una statua di San Ca-fasso, patrono dei carcerati.

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LA SOFFERENZADI ESSERE IN CARCERE

Nell’Italia di oggi la pratica disumana e ingiustadella pena di morte è ormai solo un brutto ri-cordo, ma è purtroppo viva più che mai la sof-ferenza di chi finisce dietro le sbarre, sofferenzadettata non solo dalla perdita della libertà edall’ozio forzato, ma anche dalla particolaresituazione che si è creata negli ultimi anni. Infat-ti la popolazione carceraria, cresciuta ogni annoin maniera esponenziale, è spesso sistemata instrutture inadeguate a ospitare tutti i detenuticon gravi conseguenze di convivenza. A questodobbiamo aggiungere tutti quei casi, si calcolaquasi il 50%, che, a causa della lentezza dellagiustizia, trascorrono in carcere anche degli an-ni in attesa di processo, pur essendo magariinnocenti. Anche se le celle sono piccole e sovraffollate(quelle delle Vallette per esempio misurano circadue metri e mezzo per quattro), certamente lecarceri di oggi non hanno nulla a che vedere conle carceri ottocentesche: sporche, umide, freddee maleodoranti in cui andava il Cafasso a con-fortare i carcerati. Ma oggi come ieri ai cappel-lani, (e per fortuna anche ai tanti volontari, assi-stenti sociali, insegnanti, medici e infermieri) èaffidata la cura dei detenuti.

IN NOME DELLA DIGNITÀ UMANA

“Quando penso all’insegnamento di San Cafas-so mi viene in mente il significato del perdono,cercare giustizia e non la vendetta e il senso del-la vita che continua al di là della morte”, esordi-sce don Piero Stararengo, che dal 1994 ri-copre il ruolo di cappellano della casa circonda-riale delle Vallette di Torino. Don Piero è affian-cato nel suo ruolo da don Alfredo Stucchicon cui divide la sua missione con le moltepliciincombenze che vanno dalla celebrazione dellamessa festiva e alla confessione, dal contattare iministri di culto per i detenuti delle altre religio-

NumeriGli ultimi dati confermano una situazione carceraria esplosiva: le 206 carceri italiane ospita-no 64.406 detenuti, di cui 20 mila in esubero. Negli ultimi 9 anni nelle nostre prigioni sonodeceduti circa 1500 detenuti, un terzo dei quali suicidi, in particolare dal 2000 al 2009 i sui-cidi sono stati 568 e nel 2010 una cinquantina. Il carcere più affollato è Poggioreale a Napo-li con 2.266 detenuti contro una capienza di 1.400 posti, il San Vittore a Milano ha oltre 600esuberi mentre Lecce ospita oltre 700 detenuti in più di quelli previsti. Il 37% dei carcerati èrappresentato da stranieri di cui 20 mila extracomunitari.

Don PieroStararengo

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ni, alle più svariate commissioni per i detenuti,dal procurare vestiario o prodotti per l’igiene, al-la telefonata alla famiglia. «San Cafasso almenoper noi di Torino che lo conosciamo bene, è lanostra figura di riferimento, anzi, proprio perquesto, quando una volta all’anno a Roma si ri-unisce il Consiglio Nazionale dei Cappella-ni, celebro personalmente in onore di San Ca-fasso una delle messe previste. Lui con la suaprofonda sensibilità aveva intuito per primoquanto sia fondamentale rifarsi alla dignità del-l’uomo, qualunque cosa abbia fatto e qualunquereato abbia commesso e aveva anticipato il mes-saggio contenuto nell’articolo 27 della no-stra Costituzione: che “il carcere dovreb-be essere il luogo della riabilitazione”.L’attenzione per la dignità umana ispirava la suaazione e muoveva la sua compassione nei con-fronti dei detenuti. Per fare un esempio, allorac’era l’abitudine di ubriacare i condannati a mor-

te, un po’ come per sedarli. Invece il Cafasso in-sisteva che fossero coscienti, consapevoli e pre-parati ad accettare ciò che li aspettava: in unaparola voleva che la fede si sostituisse al vino. IlCafasso quindi è stato testimone dell’amore su-perando il binomio “delitto e castigo” con il bi-nomio “delitto e perdono”, oppure anche “delit-to, giustizia, perdono”».

“VENGONO A MESSA PERCHÉTROVANO CONSOLAZIONE”

Don Piero si passa una mano tra i folti capellibianchi e ripensa a quando un giorno di dicias-sette anni fa il Vescovo Saldarini lo aveva man-dato a chiamare da Carignano dove era parro-co: «fu una strana coincidenza perché era il 23giugno, proprio il giorno della festa di San Ca-fasso. Allora non ci feci caso, ma certo il nuovoincarico mi spaventò eccome!» Così la missionedi don Piero si era improvvisamente legata aquella di San Cafasso, così come era successo alsuo illustre predecessore padre Ruggero Cipollache del Santo era estremamente devoto, «devo-zione – afferma don Piero - che era riuscito atrasmettere bene ai detenuti». Nel tempo sonostate tante le iniziative promosse da padre Ci-polla: dalla trasformazione di una palestra delleVallette in cappella dove oggi fa bella mostra disé l’immagine del Cafasso dipinta da due dete-nuti o di quando raccolse il denaro tra i detenu-ti di tutta Italia per costruire la statua del Cafas-so che oggi si trova al Rondò della Forca. E tral’altro fu proprio padre Cipolla a promuoveresin dal 1947 il Convegno Nazionale dei cappel-lani delle carceri italiane. «Quanto al senso di re-ligiosità, posso dire che in carcere non esiste cel-la che non abbia un piccolo altarino con le fotodei cari defunti o dei santi a cui i detenuti sonodevoti. Abbiamo distribuito numerosi volumi delVangelo e della Bibbia e molti partecipano allecelebrazioni con attenzione e calore; un po’ cer-

Cappella del carcere - particolare

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tamente per avere l’occasione di uscire di cella,ma anche perché si sentono consolati; si sen-tono “poveri”, perché il carcere rende po-veri, per questo confessano che qui fanno coseche fuori non si sognavano di fare, che quiascoltano la Parola del Signore che prima nonsapevano e la comprendono, come la paraboladella Pecorella smarrita o l’episodio del ladronein croce».

LA PISCINA DEL PERDONO

«Certo – continua don Piero dopo un attimo diriflessione – dopo qualche mese, quando comin-ciano a conoscerti, i detenuti ci vengono a rac-contare le loro cose, finalmente si aprono e ciconfidano fatti che non confessano neppure alloro avvocato. Sanno che possono fidarsi, che

c’è il segreto confessionale che ci lega per sem-pre». La stessa cosa capitava al Cafasso, anzi, ibiografi del Santo raccontano che alcuni dete-nuti gli presentavano addirittura il piano di fugae altri confessavano delitti commessi, mai rivela-ti alla giustizia. Don Piero prosegue: «Dopo l’as-soluzione che arriva sempre quando c’è il penti-mento, si stupiscono ed esclamano: ma come,tu mi dai il perdono immediato? Dio mi per-dona subito, mentre devo attendere magari15 anni per essere perdonato dalla giustiziadegli uomini! È allora che spiego loro che ilperdono è come una piscina grande e spaziosaaperta a tutti, basta entrarci perché il perdono èper tutti ed è stato predisposto 2000 anni fa daun uomo chiamato Gesù, il figlio di Dio».

Maria Giulia Vicentini

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Volontari che hanno dedicato il loro tempo ele loro energie gratuitamente per il bene delSantuario ci sono sempre stati. Dal mese diottobre, però, il loro lavoro spesso silenziosoe “dietro le quinte” è giunto ad una tappa im-portante, che costituisce un punto di arrivo diun lavoro di anni e, allo stesso tempo, un pun-to di partenza, aperto a tutte le persone dibuona volontà. I volontari che da tempo ope-rano al Santuario si sono costituiti in Asso-ciazione di Volontariato, legalmente ricono-sciuta, con il nome di «Amici della Conso-lata».

Non si tratta – e la tentazione è sempre dietrol’angolo – di una ricerca di “visibilità” o di “ri-conoscimento”: il vero volontario è semprequello che non cerca di mettersi in mostra,che non agisce per sentirsi “gratificato”. Nonsi entra in un’associazione di volontariato perriempire il proprio tempo, perché non si hanulla da fare, oppure perché ci si possa van-tare con qualcuno. La ragione che spinge èpiuttosto un percorso di crescita umana, cul-turale e spirituale che vuole passare al donogratuito di sé e del proprio tempo. Per favori-re questo percorso, al Santuario si organizza-

FORMAZIONE DEL VOLONTARIATOVisita al Monastero Benedettino

sul Lago d’Ortaed incontro con Madre Anna Maria Cànopi

Gli Amici della Consolata in ascolto di madre Cànopi

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no regolarmente conferenze, simposi, giorna-te di formazione e di confronto, pellegrinaggi. Dopo la pausa estiva, dopo il gran lavoro perl’Ostensione della Sindone e per la Festa an-nuale della Consolata, il Rettore del Santua-rio ha guidato i Volontari al Monastero Bene-dettino Mater Ecclesiae, sull’Isola di San Giu-lio, nel lago d’Orta. E’ stata una giornata dicrescita nell’amicizia e nella conoscenza reci-proche, ma il fine era anche quello di incon-trare la realtà della vita religiosa femminile diclausura. Appena giunti, la Badessa e apprezzata scrit-trice di testi spirituali Madre Anna Maria Cà-nopi ha condiviso la sua saggezza parlando alnostro gruppo del «Ruolo dei laici nellachiesa locale», sottolineando l’importanzadi non lasciar mancare alla Chiesa l’apportodelle nostre intelligenze, sensibilità, capacitàdi accogliere e di amare tutti, indistintamen-te, in unione con la gerarchia, ma senza aspet-tarsi tutto dal clero, senza demandare quantosolo noi possiamo fare.Nel pomeriggio un’altra Monaca del monaste-ro ci ha invece illustrato come si svolge la lo-ro giornata e soprattutto il significato dellascelta di queste donne che si dedicano intera-mente ai bisogni della Chiesa intera nella pre-ghiera, nella solitudine, nel lavoro e nel sacri-ficio personale. Il dibattito è stato interessan-te ed acceso, a prova delle difficoltà che il no-stro stile di vita pone alla comprensione dellaloro scelta estrema. Siamo abituati a valutaretutti sul “fare”, non sull’”essere”, ma la sorel-la ci ha comunque dimostrato che è sbagliataanche questa contrapposizione, che sottinten-de il fatto che le claustrali “non facciano”,semplicemente perché il loro operato non èvisibile né tantomeno valutabile agli occhiumani, secondo le categorie efficientiste dellanostra società. Bisogna avere gli occhi di Dioper vedere ciò che più vale ai suoi occhi.

La serenità di queste monache ha colpito tut-ti ed è stato un momento di crescita spiritua-le personale per ciascuno. Anche di questo ab-biamo ringraziato nell’Eucarestia che abbia-mo celebrato nella splendida ed antica chiesadi san Giulio, patrono dei muratori, erettaprobabilmente intorno alla fine del IV secolo.Accanto all’antica chiesa vi era un castello,forse dei conti di Volpiano, sulle cui rovinevenne eretto nel 1844 il Seminario Diocesa-no. Dal 1989 vi si sono installate le originarie6 monache benedettine provenienti da Vibol-done (MI) che agli inizi erano alloggiate nel-l’ex palazzo vescovile dell’isola. Ora le mona-che sono diventate ottanta, e hanno già datoil loro contributo alla fondazione di altri mo-nasteri. Oltre a studi su testi antichi e tradu-zioni, preparazione di sussidi per la lectio di-vina, le monache si occupano di restauro ditessuti antichi, pittura e confezione di icone,realizzazione di paramenti liturgici.

Luigi

Don Marino celebra nella Basilica di san Giulio

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Gli occhi azzurri, acquosi, come il lago si dissolvono esi posano sui nostri.In una mattinata languida di settembre, quando l’e-state sta per lasciarci, ma ancora ci vuole regalare gliultimi raggi di un sole polveroso ma caldo. Il lago ciaspetta, noi viandanti alla ricerca di “verità”, ci fac-ciamo cullare mentre andiamo all’Incontro.Edd’ecco, quegli occhi azzurri, annacquati dal tempo,accoglierci nel silenzio di un luogo a noi lontano, maper un momento appartenerci.Eccola la Badessa del Monastero: una figurina nerama luce d’amore.Parla con un filo di voce dolce, le sue parole rimbom-bano come un’eco nei nostri cuori. Mani diafane, comeali, vibrano alla luce tremula tra le persiane socchiuseper non sciupare quel viso di cera che si illumina e tra-sfonde quel corpo che diviene fiammella di Dio.”Attingere dalla Grazia di Cristo Signore è attingerealla Sorgente per essere forti e combattenti: pregare èelevare il cuore a Dio”. Così ci ha salutati prima di ri-prendere la via nel silenzio della clausura. Con questoviatico anche noi abbiamo ripreso il nostro “viaggio”.

RosyL’isola di Sa

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an Giulio nel Lago d’Orta Il monastero diventato abbazia benedettina

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Il Cristo delle vette e la Consolata Fo

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Il Cristo delle Vette è una statua di bronzo raffigurante Gesù posta sulla sommità del mon-te Balmenhorn (4167 m), cima che si trova nel gruppo del Monte Rosa. È stata realizzatadallo scultore Alfredo Bai (1913-1980), torinese, autore, tra l’altro, della targa in bronzo a“ricordo delle vittime di guerra”, di grande formato, esposta vicino all’ingresso della Pre-fettura in Piazza Castello a Torino. Durante la seconda guerra mondiale Alfredo Bai era combattente partigiano per la libertà.Fece voto di erigere, nel caso fosse finita vittoriosamente la guerra, su una qualche mon-tagna una statua dedicata a Cristo redentore in ricordo dei caduti in guerra.Terminata la guerra, dopo aver trovato i fondi necessari, lo scultore la realizzò a Torino in11 pezzi separati. Venne poi trasportata dagli alpini fin sulla cima del monte. Collocata sulluogo, la statua alta più di quattro metri fu inaugurata il 4 settembre 1955. Non esistendoallora mezzi adeguati a trasportare parti di statua pesanti fino a 100 kg., furono seleziona-ti Alpini da ogni parte d’ Italia per compiere questa impresa. Impresa che all’epoca ebbemolta risonanza e fu seguita con grande interesse dai media.Il Cristo delle Vette rappresenta la meta per migliaia di alpinisti, un punto di arrivo o comun-que un punto di riferimento ed orientamento, visibile anche da lontano. Tutti coloro che dal-la Capanna Giovanni Gnifetti salgono alla Capanna Regina Margherita lo vedono da lontanoe transitano nelle sue vicinanze. Presso la statua sorge il Bivacco Felice Giordano.Alla Messa di benedizione dell’opera, celebrata dall’allora Cardinale di Torino Mons. Mau-rilio Fossati, nella Piazza di fronte alla Consolata, parteciparono migliaia di persone e l’e-vento fu seguito dal Cinegiornale di informazione, la Settimana Incom. Il Cristo delle vet-te fu eretto a perenne ricordo di tutte le guerre e quale monito contro di esse, come spie-ga la frase del suo autore: «La pace deve trionfare».

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Per scoprire la novità assoluta del nome Dio Pa-dre Abbà, è utile, prima, leggere alcuni testi delNuovo Testamento, che mostra la commoventetenerezza paterna e materna di Dio, come in Os11,1-9 e Is 49,14-16.Però, quando Gesù Cristo esorta i discepoli achiamare Dio, così come lui stesso lo chiama,Abbà, (Lc 11,1ss), sta rivelando qualcosa total-mente superiore alla nostra intelligenza umana eche si può solo capire con la fede, nel misterodella SS TRINITA’ (Gv 1,1.12-13). Poiché Dio,Padre di nostro Signore Gesù Cristo, con un at-to di eterno Amore gratuito, ci destinò ad esse-re figli adottivi (Ef 1,3-5), portatori della sua stes-sa vita divina che è Spirito Santo (Rm 8,14-16),ci restituì proprio quello che persero, per il pec-cato, Adamo ed Eva ... (Rm 5,12.14.17; Gal4,4-7).Per arrivare a sentire e gustare interiormentequesta meravigliosa novità, è necessario leggere,meditare e pregare, per sentire nel cuore cherealmente siamo figli di Dio. Aveva ben ragioneil vecchio centenario Giovanni evangelista di ri-petere, appassionato: “Considerate bene conche grande Amore ci amò Dio, che, non soloci donò il titolo di figli di Dio, ma che lo sia-mo veramente” (1 Gv 3,1-2).Questa vita realmente divina tutti i cristiani l’ab-biamo ricevuta nel giorno del Battesimo! Battez-zati nell’acqua e nello Spirito santo, i Cristianisono santi: tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6,19-20). Da noi, con molta più ragione, Dio Pa-dre può esigere ciò che chiedeva ai figli d’Israe-le: “Siate santi, perché Io sono santo. Io, il Si-gnore vostro Dio” (Lv 19,2).

SANTITÀ

ABBÀ, SIA SANTIFICATO IL TUO NOME

Per comprendere meglio la novità assoluta dellaSANTITÀ, proposta da Gesù Cristo, non bastarispettare la santità di Dio con una semplice os-servanza letterale e legalista dei Comandamenti

Dio PadreAbbà

IlPadre Nostroe ilBattesimo

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di Dio, come ben mostra Gesù Cristo nel suodiscorso rivoluzionario sull’osservanza della Leg-ge (vedi Matteo capp 5, 7). “Io non sono venu-to per abolire i comandamenti della Legge,ma per elevarli alla perfezione (dell’Amore)”(Mt 5, 17). Per Gesù Cristo i comandamenti“Non ucciderai”, “Non commetterai adulterio”,“Amerai il tuo prossimo” (e non il tuo nemico)significano molto di più di ciò che dicono le pa-role.... Il figlio di Dio, (il cristiano), pieno dell’A-more infuso dallo Spirito Santo (Rm 5, 5), nonoserà dire nessuna parola offensiva contro suofratello; egli capisce bene che l’adulterio entragià nel cuore, quando guarda con desiderio cat-tivo; e sente che questo nuovo Amore lo portaad amare anche il nemico.Insiste ancora Gesù Cristo: “Guardatevi dal

praticare la vostra religione davanti agli uo-mini...” (Mt, 6, 1). Anche le stesse opere sante(carità, preghiera e digiuno), come praticate daiGiudei, non potevano essere veramente sante,perché mancava l’intenzione ed il cuore puro.Gesù Cristo ripete oggi a tutti i battezzati che“Dio deve essere adorato nello Spirito” (Gv 4,24), proprio così come figli di Dio, uniti dalloSpirito Santo, L’Amore!Concludendo, se vogliamo arrivare a sentire egustare interiormente quanto è nuova la vitasanta che ci propone Gesù Cristo, non puòmancare una lettura meditata e pregata del ca-pitolo 5 di Matteo ed altri testi importanti sul te-ma (Gv 3,3-8; Rm 6,3-4; 1Cor 6,19-20).

p. Emilio Ardu sj

Il Padre Nostro in Aramaico

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Dai «Quaderni della Consolata» /I Santi-2Vita di San Valerico Abate, Torino 2008

Il 12 dicembre del 622 si spegneva in Francial’abate Valerio (anche Valerico, Walaricus oGualarico), dopo una vita di predicazione e dipreghiera. Era entrato nel monastero di Luxeildove era stato discepolo del grande irlandesesan Colombano (Colum-Columba), conosciutoin Italia per il monastero di Bobbio, in Val Treb-bia (Piacenza). Nel 611 Valerico aveva fondato ilromitorio di Leuconay, presso Amiens (oggi

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Intercessione di San Valerico

Immagine di San Valerico donata alla parrocchiadi San Cassiano, Grugliasco

Desidero vivamente pubblicarequesto annuncio sul vostro Bollet-tino mensile “IL SANTUARIO DEL-LA CONSOLATA”, affinché la co-munità cristiana legga e sappiaquanto è grande l’intercessione diSAN VALERICO.

Ho ricevuto una grande grazia spiri-tuale a vantaggio di un santo Sacer-dote piemontese, che è stato rigene-rato nella fede per intercessione delnostro compatrono di Torino, sanValerico (la cui urna con le reliquie èconservata presso il Santuario).L’invocazione di san Valerico consolila Chiesa e la conforti con spiritualisoccorsi e frutti di bene.Ringrazio l’attenzione della gentileRedazione e mi confermo assidua.

Silvana Morgese Rasiej

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Saint-Valery-sur-Somme), dove operò molteconversioni, risvegliò la fede sopita nei villaggi incui predicava, mettendo anche mano alla co-struzione di edifici sacri o alla ristrutturazione diquelli in abbandono. Consumò tutta la propriaesistenza al servizio della Chiesa con gli occhi ri-volti sempre all’Altissimo. Un anno dopo la morte il monastero venne de-vastato dai Normanni e il Vescovo di Amiens sipreoccupò che non andassero profanate le sa-cre spoglie. Il 1° aprile 628 fu costruita una pri-ma cappella che divenne meta di pellegrinaggi.Il corpo vi rimase per circa due secoli ma, au-mentando i pericoli di profanazione, l’abateDomniverto dell’abbazia di Novalesa in Valsusa,in territorio dei Franchi, reclamò a sé le reliquiecol permesso di Carlo Magno (Chronicon III 15).Quando i Benedettini di Novalesa fuggirono aTorino, nel 906, accolti dal marchese Adalber-to di Savoia presso la porta Segusina, si porta-rono dietro anche le reliquie del santo, che orasi trovano nella ex chiesa di sant’Andrea: la Ba-silica della Consolata.Nella capitale subalpina i Benedettini introdusse-ro il culto al santo, che raggiunse l’apice nel1598 quando venne eletto patrono della Cit-tà contro le pestilenze: memorabile la pro-cessione con le reliquie per le vie cittadine e trai lazzaretti che accoglievano i contagiati. Proprioil 12 dicembre di quell’anno Papa Clemente VIIIapprovò il culto. Il Consiglio Comunale il 17giugno 1599 rese pubblica riconoscenza al San-to finanziando la costruzione di un nuovo altare,di patronato municipale (si possono vedere leimmagini all’indirizzohttp://www.cultor.org/Consolata/L3/). La Municipalità fece dipingere a sue spese lagrande pala d’altare di san Valerico dal pittoreAntonio Parentani; nel 1702 fece costruire unanuova urna per le reliquie (quella attuale); nel1765 incaricò il pittore Francesco Bolgeri di unnuovo quadro, proporzionato con il nuovo alta-

re del Vittone, donando la tela del Parentani al-la parrocchiale di Grugliasco. La cura da partedella Città di Torino verso l’altare di san Valeri-co cessò nel 1830, ma ancora nel 1898 unanuova campana intitolata al Santo venne collo-cata nell’imponente antica torre romanica cam-panaria del Santuario. La cappella dedicata asan Valerico è alle spalle dell’esagono guarinia-no, la prima a sinistra appena salite le scale, unadelle cappelle realizzate dall’architetto Ceppi nel1904, durante la ristrutturazione del Santuariovoluta dal Rettore Beato Giuseppe Allamano. Ailati dell’altare della cappella si possono ammira-re due quadri di Giovanni Felice Cervetti (1718-1779), uno dei quali raffigura proprio il traspor-to a Torino delle reliquie di san Valerico.

Processione delle Reliquie di San Valerico

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Una bella domenica di inizio ottobre abbiamoorganizzato una gita-pellegrinaggio a Torino.Siamo quasi tutti componenti della corale “SanMartino”, di Langosco, un paese di nemmeno500 abitanti, che si trova tra Casale Monferratoe Mortara, in provincia di Pavia per pochi chilo-metri, tra il fiume Ticino e il Sesia, appena so-pra il Po. Dopo aver fatto una sosta … tecnica in un notoantico locale torinese per la colazione, ci siamodiretti alla meta principale del nostro pellegri-naggio: il millenario Santuario della Consolata.Quasi tutti lo conoscevamo già, ma è sempreuna meraviglia per gli occhi e per il cuore, per ilcorpo e per lo spirito entrare in questo Santua-rio, che trasuda di preghiere e di storia, di arte edi sagrin raccontati sommessamente alla Madredi Dio. Abbiamo avuto il privilegio di ottenere il per-messo di poter animare con il canto la liturgiadella Messa domenicale. Ci siamo quindi siste-mati nella cappella delle Anime, a fianco dell’al-tare maggiore del noto architetto Filippo Juvar-ra, per preparaci ad eseguire i canti sapiente-mente preparati in precedenza. Il celebranteprincipale era proprio il Rettore, mons. MarinoBasso. Abbiamo anche partecipato con un no-stro rappresentante per una delle letture dellaParola di Dio. Al termine della messa, il Rettoreha avuto parole di elogio e di ringraziamento neiconfronti del maestro, Enrico e di tutti i coristidel coro “San Martino” per l’esecuzione raffina-ta dei canti eseguiti durante la Messa. Da partenostra, ringraziamo la volontaria Franca dell’As-sociazione “Amici della Consolata” per il sup-porto logistico che ci ha fornito. Una foto ricordo per riguardare con calma nellenostre case ciò che portiamo nel cuore, e poi ci

siamo trasferiti nel chiostro del Santuario, nelsalone preparato per noi, accanto all’antico re-fettorio del XVI secolo. Ci siamo trovati a nostroagio, sia per l’accoglienza e la buona sistema-zione e sia per le portate di un buon menù, ser-vitoci dallo staff della cucina del Santuario. Ver-so la fine del pranzo, un nostro langoschino-to-rinese ha letto in modo scherzoso le “Litaniedelle zitelle”, per chiudere con allegria la nostravisita al Santuario. Ringraziamo i preti del San-tuario e tutto il personale per questa bella acco-glienza, e proseguiamo con il nostro program-ma torinese: la Mole Antonelliana, il Museo delCinema, via Po e piazza Vittorio e il ritorno ver-so i Giardini Reali, dove ci aspetta il bus che ciriporterà a casa. Portiamo nel cuore questa giornata, contenti diaver potuto portare il nome del nostro paese diLangosco non sono inciso nell’obelisco di piaz-za Savoia - in ricordo delle leggi abrogative vo-lute da Giuseppe Siccardi, poco distante dalSantuario - ma molto più nel cuore della devo-zione torinese alla Madre di Dio, la Consolata,patrona della Diocesi.

Eusebio Mattea

Pellegrini dalla Lomellina

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eALLA VERGINE DELL’AVVENTO Santa Maria di Nazareth,

il tuo sì all’annuncio aprì la stagione della salvezza umana.

Ti sei fidata che Colui che veniva dall’Alto

potesse essere figlio di Dio e anche figlio tuo,

capace di condividere e innalzare le sorti

di noi, pellegrini su vie terrene.

Donaci di saper dire il nostro “sì”

all’imprevedibile azione divina sulle nostre vite,

credendo all’impossibile.

Nuova Eva, madre dei viventi,

noi ammiriamo la tua fede

di fronte all’avverarsi del Mistero divino,

che rimaneva misterioso anche per te.

Hai creduto all’Atteso delle genti,

il Messia promesso in te incarnatosi:

lo hai accolto con cuore di madre

e lo hai portato in grembo con ineffabile amore.

Fa che anche noi andiamo incontro

alla rinnovata nascita tra noi del Salvatore

con la sete di chi non trova più sorgenti,

con un cuore che crede e si apre al mistero,

con l’attesa viva di chi trova respiro pregando,

con la gioia che tu provasti generando e adorando

il Dio della Vita che con la sua presenza

inonda il mondo di pace vera.

Amen.

Danilo Sartor

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Carissimi lettori e devoti della Consolata, la “nostra” rivista «Il Santuario della Consolata», nostra sia per chi la legge e sia per chi laproduce, ha recentemente festeggiato i 110 anni di vita, una tappa significativa della sua lungaed importante storia. Nelle sue pagine i lettori hanno sempre potuto trovare approfondimentispirituali per arricchire la propria vita di fede, notizie dalle Missioni della Consolata nel mondo edalla chiesa locale, messaggi del Pontefice e del Magistero ecclesiale, approfondimenti sulla vitadel Santuario, dall’accoglienza di gruppi e pellegrini, all’organizzazione di eventi di beneficenza,ai restauri del patrimonio artistico, sotto la diretta tutela dell’Arcidiocesi, di cui la Consolata è pa-trona. Recentemente questa lunga tradizione e storia è stata attaccata, al punto di minacciarla di estin-zione. La Gazzetta Ufficiale del 31 marzo u.s. ha pubblicato, infatti, il Decreto Interministe-riale con il quale l’allora ministro per lo Sviluppo Economico, on. Scajola, d’accordo con il mi-nistro delle Finanze, on. Tremonti, annulla le tariffe postali agevolate per l’editoria. In pratica,per bollettini parrocchiali e riviste come la nostra le spese aumentano di colpo del 400%!Comprendiamo certamente i motivi di tagli economici di spesa e di bilancio che hanno spinto aquesta scelta, ma comprendiamo anche che tale Decreto favorisce i grandi gruppi editoriali e co-stituisce una vera e propria “mazzata” per tante piccole testate che si reggono unicamente sulleofferte (e non sulla pubblicità); tali offerte non riescono mai a coprire i costi reali di impagina-zione, di stampa e di spedizione cui devono far fronte le piccole case editrici o le realtà eccle-siali come la nostra. Dal 1 aprile in poi, mentre continuavate a leggere questa rivisita, noi abbiamo giàesborsato seimila euro in più, solo per la spedizione dei due numeri precedenti. E’chiaro che non potremo sostenere a lungo questa situazione, anche perché il numerodei lettori e dei sostenitori è in decrescita e, crediamo, non per demerito nostro. Co-loro che sono interessati alla vita di questa rivista e possono dare una mano, aiutinoil Santuario a mantenere viva questa sua “voce” che entra nelle case dei fedeli. Rinnoviamo l’invito a chi non sia interessato a comunicarci la rinuncia all’abbonamento, in mo-do da essere depennato dagli elenchi e abbassare i costi di spedizione. Chi invece vuole conti-nuare a ricevere la nostra rivista, che cerca sempre di rinnovarsi nei contenuti e nella forma, èpregato di contribuire usufruendo del bollettino postale allegato ad ogni numero, facendo la pro-pria offerta sul ccp. N. 264101 intestato a «Santuario della Consolata, via Maria Ade-laide 2, 10122 Torino». Se ad alcuni rimane più comodo fare un versamento con bonificobancario online direttamente da casa propria può farlo a questo indirizzo IBAN : IT06E03069092171 0000 0011823Un sentito ringraziamento per la collaborazione.

I preti del Santuario

P.S. Ogni comunicazione con la Rivista può avvenire a mezzo posta, telefonando al 011483.6100 o tramite mail: [email protected]

IMPORTANTE: NUOVE LEGGI SULLA STAMPA

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Quest’anno è uscita la testimonianza scrittadi Mons. Aldo Mongiano, missionario dellaConsolata e Vescovo di Roraima dal 1975 al1996. Il suo libro «Roraima, tra profezia emartirio» raccoglie la testimonianza di un re-ligioso e di un pastore legato alla devozionealla Consolata che ha lavorato con tutto sestesso per questo angolo di mondo, in unamissione «dalle caratteristiche uniche, nel sen-so della trasformazione di una società e dellapersona umana» (dalla Prefazione). Per questo pubblichiamo uno stralcio delleparole di alcuni suoi collaboratori nella stessaMissione in questo Stato Federale del Brasile(ex Rio Branco), situato all’estremo nord delpaese, al confine con il Venezuela. Una por-zione di mondo grande come l’Italia, abitatada neanche mezzo milione di abitanti, molticoncentrati nella capitale Boa Vista.

Boavista (Roraima)Cari amici,il sogno/fantasia della neve che sicuramente ri-coprirà le montagne del Piemonte, è molto dif-ficile da farsi da qui. Il sole torrido e la siccitàpersistente che ci perseguitano in questo perio-do, danno adito a molti incendi nella savana. Nelnostro giardino sono morte varie palme da coc-

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Roraima (Brasile)Tra profezia e martirio

Mons. Mongiano al Catrimani

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co. Eppure c’è in aria un non so ché di profu-mato, ci sono ancora fiori qua e là, almeno neigiardini della città che sono irrigati quotidiana-mente con delle enormi cisterne del municipio.L’aspetto prima di tutto. Poi, ci sono famiglieche fanno la fame, che disputano i resti nell’im-mondezzaio cittadino, ma per alcuni è solo “per-ché non vogliono lavorare”. Gli scandali dellacorruzione di politici più o meno conosciuti con-tinuano a sorgere sui quotidiani nazionali, comecredo anche da voi in Italia, contendendo lo spa-zio all’euforia che il Governo tenta di mantene-re viva, dipingendo virtù e successi a volte reali,altre volte inventati.La vita continua e non è facile riuscire a mante-nere uno spirito critico e sereno per mantenerei piedi per terra e continuare la lotta con gli oc-chi al futuro che sogniamo per questo popolo, omeglio questi popoli che si ostinano a voler vi-vere e per i quali spendiamo le nostre forze. Avolte ci assale il disanimo, ma poi, pensiamo ai

più umili, agli amici e parenti che ci accompa-gnano col loro pensiero, con le loro incessantipreghiere, con aiuti concreti e continui, e checon noi soffrono e lottano per un mondo mi-gliore. Non ci possiamo permettere di scorag-giarci, molti successi sono già stati ottenuti, altrilo saranno.La lotta per i diritti umani dei popoli indi-geni è una lotta che dovrà essere portata avan-ti ancora per molto tempo. Per questo siamospinti a combattere a fondo per avere uno spa-zio cogli strumenti più adatti per smantellare l’o-scurantismo e i preconcetti di molti, a volte an-che dei più indifesi. Con la neve o con la cani-cola, il Bambino sta per arrivare ancora una vol-ta tra di noi. È un momento di speranza, digioia, di fede, di amore. In questi giorni tra ilcorri corri continuo, è arrivato già un raggio disperanza. Un amico, che da anni dedica la suaattività alla difesa dei popoli indigeni, ha dimo-strato molto interesse al nostro progetto di Cen-

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Fratel Carlo con gli Indios Yanomami

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tro Culturale Indigeno, e appena sarà pron-to mi ha assicurato che ci darà una mano percercare finanziamenti anche in Brasile. Final-mente, l’associazione che occupava lo spazio delfuturo Centro Culturale, da un mesetto, non cimette più i piedi, hanno desistito. Quindi abbia-mo intenzione di metterci a fare alcune cose peraccelerare i lavori. In questi ultimi tempi, abbia-mo arricchito la nostra regione con giovani mis-sionari africani, oltre che con un mantovano chesta per essere ordinato al suo paese. Allo stessotempo i vecchi tengono duro, anche se con gliacciacchi inevitabili, il nostro patriarca, P. Bin-do, ha fatto novantun anni, e non ha intenzionedi mollare, anzi, sta cercando di imparare a di-gitare su un computer, per poter produrre conmaggior facilità i suoi poemi/poesie e discorsi.Vi ricordo TUTTI e chiedo ogni giorno che il

Bimbo Divino vi renda tutto l’amore che elargi-te ogni giorno ai più bisognosi.Buon Natale a TUTTI. Con affetto,

Fratel Carlo ZacquiniMissionario della Consolata

Carissimi amicil’avvicinarsi del Natale ci porta sempre al desi-derio di incontrarci. Dal momento che la di-stanza è sempre molta, approfitto di questa pos-sibilità a Boa Vista per condividere un po’ dinotizie della vita e della Missione. Questi ultimimesi sono stati molti intensi con una serie diimpegni, di corsi e riunioni per definire i lea-ders nelle diverse comunità. Si sono tenuticorsi per professori, istruttori della salute, cate-chiste, tuxauas (capi-villaggio). Alcuni corsi li ab-

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Fratel Carlo con gli Indios Yanomami

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biamo tenuti noi, in altri siamo stati solo pre-senti per accompagnare e sostenere.La grande preoccupazione riguardo agli Indios,adesso che hanno la loro terra omologata, è or-ganizzare bene la produzione, soprattuttoin vista della loro autonomia, partendo sempredalla forma originale, cioè dalla loro realtà dicomunità, dove tutti devono partecipare e bene-ficiare, e anche tenendo presente la conoscenzapratica a quasi intima che hanno della terra edella natura, e resistendo all’uso di qualsiasi tipodi prodotti chimici e agrotossici, garantendo co-sì un maggior rispetto alla natura e l’attenzioneper la propria salute. Conoscono il vantaggiodei prodotti chimici in termini di quantità di pro-duzione, però hanno ben presenti gli immensiterreni utilizzati prima dagli “arrozeiros”, gli agri-coltori bianchi invasori produttori di riso, terreni

che adesso sono diventati cimiteri della natura.Oltre a questo, riconoscono la diversità degli ali-menti prodotti nei campi usando il proprio lavo-ro e le risorse della natura a confronto con i pro-dotti della città.E’ molto bello per noi accompagnare questoprocesso di decisioni su come, quando e ciò chesi deve produrre. Ancora in uno di questi giorniun capo animatore mi diceva: “Dal momentoche nella mia comunità tutti partecipano, la-vorando nei campi, soffrendo la durezza dellavoro, la comunità rimarrà unita e si nutriràcon cose sane; quando decideranno di pren-dere le macchine e tutti gli accessori che uti-lizzano i normali produttori per produrre dipiù, io sarò il primo ad andare in un altro po-sto e tutti noi saremo divisi”. Intanto questo lavoro di formazione è dedicato

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Interno della maloca Yanomami al Catrimani

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soprattutto ai giovani. La maggior parte dellecomunità ha già delle scuole, ma sono pochequelle che stanno riuscendo ad integrarsi nellacomunità e a stimolare i giovani a dialogare po-sitivamente con le proprie culture e tradizioni.Nella maggioranza dei casi i giovani che con-cludono la scuola base o la secondaria già nonvogliono sapere di lavorare la terra, della comu-nità e dell’organizzazione. Quelli che vanno avivere in città finiscono sempre nella disoccupa-zione o in un lavoro precario e, nella maggio-ranza dei casi, in forme di vita marginali. Que-sto è l’argomento che sempre fa discutere nelleriunioni e assemblee che facciamo.Ultimamente tornano ad aumentare le pressio-ni politiche contro l’organizzazione e i capi in-digeni e anche contro di noi. In passato è giun-to un convoglio militare a Maturuca, accompa-gnato da alcuni poliziotti federali, con l’obiettivodi espellere tutti noi missionari dall’area, asse-rendo che siamo in condizioni illegali. Sono ar-rivati in modo molto aggressivo con un primosorvolo di elicottero, un volo raso sopra la Mis-

sione, e subito dopo c’è stato l’arrivo di vari ca-mion e carri militari. Sono scesi già in assettobellico, puntando le armi contro tutti, bambiniinclusi, nonostante la richiesta dei capi villaggiodella comunità di moderare i loro atteggiamentipoiché nessuno possedeva le armi e tantomenovoleva la guerra. Essi li ignoravano e prosegui-vano con arroganza creando un clima di tensio-ne e paura. Abbiamo provato a dialogare conloro, ma senza successo: la loro missione eral’espulsione dei Missionari dell’area.Cosi siamo stati costretti a fare un viaggio aBoa Vista e, nel giorno seguente, dopo le firmedella nostra autorizzazione di lavoro nell’areacon l’organo federativo competente, siamo ri-tornati alla nostra Missione. Vedremo qual è laprossima mossa che loro inventeranno.Un grosso abbraccio a tutti voi, augurandovi unfelice Natale e un prospero anno nuovo, e cheDio ci benedica e ci conduca ogni giorno.

Padre Mario Campos Missionario della Consolata

La Consolata nel mondo

Page 35: Santuario della Consolata - dic 2010

vita

in

sant

uari

oCalendario liturgico2010/2011

Dicembre 2010 3 S. Francesco Saverio, missionario - memoria5 II Domenica di Avvento7 S. Ambrogio, memoria 8 Immacolata Concezione di Maria,

solennità12 III Domenica di Avvento - Gaudete13 S. Lucia, vergine e martire – memoria 14 S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa

memoria19 IV Domenica di Avvento25 Solennità del S. Natale di Gesù26 Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe27 S. Giovanni apostolo ed evangelista, festa 28 Santi Innocenti, martiri – festa

Gennaio 2011 1 Solennità di Maria S.S. Madre di Dio2 II Domenica di Natale 6 Solennità dell’Epifania del Signore9 Solennità del Battesimo del Signore15 200 anni dalla nascita di s. G. Cafasso16 II Domenica del Tempo Ordinario C21 Memoria di s. Agnese 23 III Domenica del Tempo Ordinario C25 Festa della Conversione di S. Paolo 26 Memoria dei santi Timoteo e Tito28 Memoria di san Tommaso d’Acquino 30 IV Domenica del Tempo Ordinario C31 Memoria di s. Giovanni Bosco

Febbraio 2011 2 Festa della Presentazione del Signore al Tempio3 Memoria di san Biagio 5 Memoria di sant’Agata 6 V Domenica del Tempo Ordinario 11 Memoria della B.V. di Lourdes13 VI Domenica del Tempo Ordinario14 Festa dei Santi Cirillo e Metodio,

patroni d’Europa16 Memoria del beato Giuseppe Allamano,

rettore della Consolata (1880-1926) 20 VII Domenica del Tempo Ordinario22 Festa della Cattedra di S. Pietro 27 VIII Domenica del Tempo Ordinario

Giorni festivi- Sante Messe

ore 7 - 8.30 - 10 - 11.30 16 (da ottobre a giugno) - 18.15 - 19.30

- ore 8: Celebrazione delle Lodi- ore 17: Vespro, Benedizione, Rosario

Giorni feriali- Sante Messe ore 6.30 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12

- 18.15 - 19 (sospesa ad agosto e prefestivi)- ore 8 (luglio-agosto: Altare Maggiore): Lodi-

Messa in cripta (lun-ven)- ore 8.30 - 12 (settembre-giugno): Adorazione

Eucaristica in cripta (lun-ven)- ore 17: Rosario, Vespro, Benedizione- ore 17: Via Crucis - 1° Venerdì del mese

Ogni sabato- ore 10: Messa per gli iscritti alla

Compagnia della Consolata, vivi e defunti- ore 12.30 - 17: Adorazione - Altare Maggiore- ore 17: Vespro / ore 17.45: Rosario- ore18.15 Messa festiva

Confessioni- Feriali: 6.30 - 12.15 / 15 - 19.15- Festivi: 6.30 - 12.30 / 15 - 20

Orario delle celebrazioniin Santuario

Il Natale del SignoreGesù trasfigura i nostricuori trasformandoli

in luoghi di luce, paceed accoglienza

verso poveri e stranieri.

Buon Natale a tuttii lettori da parte deipreti del Santuario

della Consolata.

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