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 Università degli Studi di Padova Corso Post-Lauream in Psicologia d ell'orientamento Elaborato finale Sapere è potere. Il potere di scegliere! Come gli stereotipi di genere influenzano la presenza delle donne nel mercato del lavoro d.ssa Nicoletta De Col Anno accademico 2011

Sapere è potere

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Università degli Studi di Padova

Corso Post-Lauream in Psicologia dell'orientamento

Elaborato finale

Sapere è potere. Il potere di scegliere!

Come gli stereotipi di genere influenzano la presenzadelle donne nel mercato del lavoro

d.ssa Nicoletta De Col

Anno accademico 2011

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D.ssa Nicoletta De Col

A i miei genitori

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INDICE

A i miei genitori .........................................................................................................................................................2INDICE ......................................................................................................................................................... ......... ...3

PREMESSA - I have a dream .......................................................................................................................... ........ .3INTRODUZIONE ................................................................................................................................................... ..5

GLI STEREOTIPI .....................................................................................................................................................8Stereotipi di genere e stereotipi professionali ................................................................................................. ......9

Piccole donne crescono a scuola … dove andranno? ..........................................................................................12Il nostro percorso professionale è un destino già scritto? .......................................................................... ........ .17

Gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro ............................................................................................. ......22LA DONNA NEL MERCATO DEL LAVORO – i dati .................................................................................... .... ..27

Figli , maternità e doppio ruolo ...........................................................................................................................32

Gap salariale di genere e segregazione del mercato ............................................................................................35

CONCLUSIONI ......................................................................................................................................................40Ricordi ................................................................................................................................................................ .41

APPENDICE .......................................................................................................................................................... .42

Bibliografia ..............................................................................................................................................................44

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PREMESSA - I have a dream

Il mio sogno è che le nostre figlie possanovivere in un mondo in cui non saranno giudicate

per la categoria sessuale a cui appartengono, ma

per le loro abilità, capacità e competenze. 

Sogno che possano scegliere di

intraprendere la strada che conduce a qualsiasi

professione esse desiderino svolgere, senza che questo comporti l'essere derise,

demotivate, disprezzate per non aver seguito le aspettative sociali dettate dagli

stereotipi.

Sogno che fatta una proposta non si sentano dire: "No, perché tu sei una

femmina!", che non rinuncino alla palestra perché devono cucinare la cena.

Sogno che esse possano avere più opportunità di scelta e di carriera di quante

ce ne siano oggi, che il "soffitto di cristallo" venga sollevato e distrutto.

Sogno che ogni persona conosca le debolezze del nostro cervello nella

costruzione di opinioni, idee e giudizi.

Spero che ogni donna di oggi e domani sappia di poter compiere delle scelte

lontane da quanto si aspetta il contesto culturale in cui è inserita, consapevole delle

difficoltà da affrontare, volenterosa nel volerle abbattere, decisa nel perseguirle.

Spero che tutte le azioni compiute affinché tutto

questo si avveri non siano dimenticate: la storia è fatta

di persone, per cui sarà nostra responsabilità

mantenere vivi conoscenza e interesse riguardo gli

ostacoli che le donne possono incontrare.

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INTRODUZIONE

Inizio con lo spiegare la scelta del titolo. Valutare una serie di informazioni

implica esserne a conoscenza, ancor prima vuol dire essere capaci di raccoglierle.Sapere cosa, come e dove cercare fuori e dentro noi stessi permette di compiere una

scelta adatta a sé.

La vita di ognuno di noi è determinata dalle scelte che si compiono in ogni

giorno del suo trascorrere. Scelte ritenute più o meno importanti, dal momento in cui

sono state prese, determinano un tratto del nostro percorso di vita. Decidere di

coltivare un'amicizia piuttosto che un'altra, svolgere un'attività sportiva, seguire un

percorso formativo, il lavoro da intraprendere, il partner con cui stare, cambiare o

meno un nostro atteggiamento, esprimere il proprio dissenso, ecc. sicuramente

andranno a definire il nostro futuro. Ogni opzione considerata valida dalla nostra

ragione è frutto di un processo lungo che considera molteplici elementi.

Cosa abbiamo preso in considerazione per scegliere la scuola superiore da

frequentare? Cosa ha condotto il nostro essere in un'attività lavorativa piuttosto

che un'altra?

Buona parte delle informazioni usate, per prendere delle decisioni così

rilevanti per la nostra vita, non sono raccolte in modi così razionali e metodici come

crediamo, ma sono intaccate da influenze socio-culturali, sentimenti, emozioni,

concetti di sé.

In questo testo considererò nello specifico di stereotipi di genere come

incidano nella scelta formativa e soprattutto lavorativa, in particolare porrò delleriflessioni sulla posizione lavorativa delle donne, risultato di un insieme di scelte, che

si insinuano già dalla scuola materna.

In questo scenario, gli stereotipi la fanno da padrona: il loro bagaglio di

informazioni influenzano fortemente i nostri atteggiamenti, comportamenti,

linguaggio, di conseguenza quello che noi siamo e come pensiamo. Essi si basano sul

processo di categorizzazione, che comporta l'uso di scorciatoie per attribuire delle

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caratteristiche alle categorie a cui appartiene un elemento. Le categorie più ampie e

immediatamente percepibili sono: uomo e donna. Le attribuzioni, che impariamo dal

contesto socio-culturale in cui siamo, ci permettono velocemente di avere delle

informazioni a portata di mano (anzi "di mente") dalle quali partire nel relazionarci

con una persona appartenente all'una o all'altra categoria. In questo modo, non

consideriamo le informazioni che vanno a smentire quanto sappiamo, anzi ci

concentriamo su quello che le confermano.

Considerato questo, un/a adolescente hanno le stesse probabilità di

intraprendere una professione, percorso scolastico? Di assumere gli stessi ruoli in

azienda e in famiglia? Ci sono le stesse opportunità?

L'Art. 37 della Costituzione italiana risponde in questo modo: "La donna

lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano

al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua

essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale

adeguata protezione".

Si deve aspettare la legge n. 66 del 9 febbraio 1963 per ottenere, in Italia,l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni: “la donna può

accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la

magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di

svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L'arruolamento della

donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari”.

La legge del 9 dicembre 1977 n 903: “è vietata qualsiasi discriminazione

fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle

modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli

della gerarchia professionale […] E' vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e

donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la

progressione nella carriera […] Nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, è

vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6” (n.d.r. divieto abrogato solo nel

1999).

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Il codice delle Pari opportunità esprime in ogni sua forma la mancanza di

discriminazione nell'accesso al lavoro e formazione, indipendentemente dal genere,

dalla razza, religione.

Le ricerche non rispondono in modo positivo alle domande poste sopra,

nonostante le tutele riportate, infatti la presenza della donna nel mercato del lavoro

sembra non essere rilevante nelle posizioni manageriali, per lei il salario è più basso a

parità di mansioni e titolo di studio, il suo lavoro viene considerato di supporto alla

famiglia, percepisce il conflitto di ruolo.

Sicuramente non dobbiamo considerare queste ricerche come "le risposte

giuste", ma come un inizio per degli approfondimenti e fondamenta per progetti di

prevenzione. Molte delle ricerche sono state implementate su campioni unicamente

femminili, che prevedevano l'utilizzo di interviste strutturate e non, escludendo in tal

modo la possibilità di fare un reale confronto tra i generi.

L'argomento delle "pari opportunità" sta prendendo sempre più piede

(purtroppo spesso confuso con la parità tra i generi), eppure nelle mie ricerche ho

fatto molta fatica trovare delle specifiche, dei dettagli, degli approfondimenti. Infatti,poco, se non per nulla, si parla degli stereotipi dei datori di lavoro nei confronti delle

donne, oppure di interventi preventivi nelle scuole, piuttosto che nei contesti

lavorativi.

Insomma, c'è ancora molto da fare! Questo non può che accrescere l'interesse

verso le aree inesplorate.

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GLI STEREOTIPI

Gli stereotipi sono forme di semplificazione e schematizzazione della realtà

a cui ricorre la persona per far fronte alla sovrabbondanza di informazioniprovenienti dall'ambiente esterno, si basano sul processo di categorizzazione, ossia la

tendenza a raggruppare in insiemi gli elementi che ci circondano. In questo modo, il

processo di categorizzazione fa sì che gli elementi appartenenti ad una stessa

categoria sembrino molto più simili di quanto non siano in realtà e si accrescano le

differenze fra i diversi insiemi. Oltre a questo effetto, la categorizzazione permette

alle persone di ricavare informazioni anche laddove se ne possiedono poche,

attraverso un processo di induzione sulla base dell'appartenenza di un membro in un

dato gruppo, e non di caratteristiche personali, ma assegnando "caratteristiche" della

categoria di cui fa parte. Inoltre, le stesse informazioni che confermano i nostri

pregiudizi saranno ricordate più facilmente (Sherif e Hovland, 1961). Se incrociamo

una donna per strada, anche senza averci parlato, in quanto donna, ci sentiremmo in

grado di supporre che sia una persona emotiva, sensibile e attenta alle relazioni

familiari.

Tutti usiamo gli stereotipi, dato che sono modelli precostituiti derivanti da un

bagaglio culturale, assegnazioni collettive di significato socialmente e culturalmente

determinate, condivisi da tutti quelli che si sentono appartenenti a una data cultura e

appresi anche da chi non li condivide. Da questo, si capirà come siano difficili da

debellare, controllare ed evitare: gli stereotipi sono schemi che funzionano in modo

automatico e divengono più solidi quanto più utilizzati.

Sono processi naturali e necessari per il funzionamento della mente e della

società, per far fronte al bombardamento delle informazioni, ma risultano essere un

problema nel momento in cui molte persone vengono giudicate negativamente in

modo infondato o discriminate unicamente per la loro appartenenza categoriale.

Basti pensare alle implicazioni che hanno durante le selezioni per un’assunzione

lavorativa, la promozione o il licenziamento.

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Una distinzione importante da fare è quella tra stereotipo, pregiudizio e

discriminazione. Lo stereotipo ha una componente cognitiva ed è indispensabile; il

pregiudizio ha una componente affettiva e consiste nel valutare negativamente tutti i

membri di un gruppo solo per il fatto che vi appartengano al gruppo stesso, avendo,

così, una reazione affettiva negativa di fronte a tutte le persone che saranno

categorizzate come appartenenti al gruppo stigmatizzato; la discriminazione ha una

componente comportamentale che può produrre un danno agli individui per il solo

fatto che appartengono al gruppo discriminato, con negazione dei loro diritti e

convinzione che sia giusto discriminare quel gruppo (Zanna e Rempel, 1988).

Stereotipi di genere e stereotipi professionali 

Gli stereotipi ci dicono cosa è giusto e cosa no, secondo la nostra cultura di

appartenenza, influenzando le nostre scelte durante tutto il nostro arco di vita.

Sono strutture cognitive che ci permettono di andare oltre alle semplici informazioni

ricevute, inducendone altre; facile capire come pervadono tutta la nostra vita sociale,

basti pensare a quelli legati all’età, all’etnia, all’occupazione, al sesso.

Infatti, il nostro contesto socio-culturale influenza le aspettative sui ruoli

professionali che gli uomini e le donne dovrebbero assumere, in base al loro genere

sessuale di appartenenza (White e White, 2006). Al riguardo si può pensare al film,

ambientato negli anni Cinquanta, “Mona Lisa Smile” dove le ragazze del campus di

Wellesley, prestigioso college femminile, sono educate e cresciute per ricoprire “i

ruoli per i quali sono nate”: crescere figli, cucinare, tenere la casa pulita, pensare allafelicità del marito. Tutto questo in modo impeccabile, dovuto alla perfetta

educazione: casalinghe con il ferro da stiro in una mano e un libro nell’altra, capaci di

tenere i conti di casa, gestendo l’economia domestica in maniera eccelsa.

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Queste donne, nel film, avevano alle spalle delle famiglie ricche che potevano

investire sull’istruzione delle figlie, con l’unico fine di fornire delle mogli perfette e

aumentare le possibilità in un matrimonio facoltoso.

Considerata la forte presenza dello stereotipo che le donne siano predisposte

all’educazione dei figli ci si può aspettare che si inseriscano più facilmente in percorsi

formativi e professionali inerenti all’insegnamento. Cinquant’anni di storia non sono

sufficienti per debellare le idee stereotipiche, per cui siamo ancora legate al concetto

della donna in casa anziché al lavoro.

Altro esempio di stereotipo è quello riguardo le donne che sarebbero meno

abili in matematica; se ne può intuire le conseguenze: ci si aspetta che una ragazza si

iscriva a un liceo classico piuttosto che scientifico, oppure che sia un’eccezione la sua

bravura in tale materia, e via dicendo.

Gli stereotipi professionali permettono di formarsi dei giudizi complessivi

sulle professioni, facendo in modo che si insinui la credenza che chi svolge lo stesso

lavoro condivida tratti di personalità, caratteristiche e comportamenti (Carpenter,

1995; Turner, 1999), in questo modo si vedono ancora più contrastanti quei tratti

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considerati prettamente femminili nei contrasti lavorativi predominati dal genere

maschile.

Da dove arrivano le informazioni sulle professioni? Le prime informazionisul mondo del lavoro arrivano ai bambini proprio dai genitori. Gli stereotipi di

genere sicuramente forniscono delle informazioni, ma queste sono distorte e poco

funzionali. Sembra che già alla scuola materna siano presenti stereotipi di genere

sulle professioni e che siano propri soprattutto delle bambine (Hartung et al., 2005).

Pamela Davis-Kean e colleghi (2005) hanno condotto uno studio volto ad

analizzare quanto i valori e le attitudini dei genitori influiscono sullo sviluppo delle

competenze matematiche dei figli e se tali attitudini varino sulla base del genere di

appartenenza del bambino (studio su 800 bambini e le rispettive famiglie,

longitudinale: 1987 -2000). L'analisi dei dati ha evidenziato che le attitudini e gli

stereotipi di genere dei genitori, in modo particolare quelli del padre, incidono in

modo significativo sulla scelta dei figli di intraprendere un percorso di studi e

professionale in ambito scientifico. Tra queste una delle più rilevanti è costituita dal

maggiore incoraggiamento e supporto offerto ai figli maschi nella formazione e nellapreparazione in campo matematico rispetto alle figlie femmine. Tale

incoraggiamento trova espressione nella tendenza da parte dei genitori all’acquisto

di un numero più elevato di giocattoli inerenti all’ambito scientifico per i bambini

piuttosto che per le bambine e nel fatto che dedichino più tempo a svolgere giochi ed

attività inerenti al settore scientifico con i figli maschi.

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Gli stereotipi di genere dei genitori, ed in modo particolare del padre, sono

altamente influenti nel ridurre la scelta delle figlie di intraprendere gli studi o una

carriera in ambito matematico e scientifico.

L’adesione da parte dei/delle bambini/e a visioni stereotipate delle

professioni, quindi, può ridurre le opzioni che vengono considerate nel momento

in cui si accingeranno a pensare al proprio futuro.

Questo significa che la scelta scolastico-professionale degli adolescenti può

essere condizionata dalle caratteristiche stereotipiche, scoraggiandoli ad

intraprendere percorsi formativi o professionali ritenuti non adeguati al loro genere

(Gysbers, Heppner, Johnston, 2009).

Ovviamente non sono solo i genitori ad impartire un’educazione, ma anche la

scuola ha la sua parte in tutto questo.

Piccole donne crescono a scuola … dove andranno? 

C’è differenza fra essere cameriera ed essere un cameriere?

Teoricamente, oltre alla differenza di genere nel sostantivo, non ne dovrebbero

esistere di altro tipo. Eppure, le immagini stereotipate che si trovano sono di questo

genere:

 

Il cameriere è inserito in un contesto, probabilmente un ristorante di lusso, con

abiti formali, clienti appartenenti a un ceto sociale alto. La cameriera è rappresentata

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con abiti più adatti ad una locanda, senza contatto diretto coi clienti, quindi

probabilmente con un ruolo meno influente e con un salario più basso.

Considerando che la formazione degli stereotipi occupazionali avviene giàall’età di due- tre anni (Gettys e Cann, 1981), che ricerche condotte sui materiali ad

uso didattico nelle scuole, in particolare nelle antologie e libri di testo, hanno

dimostrato la presenza diffusa di immagini stereotipiche delle donne e degli uomini,

in cui le donne sono sottorappresentate e l’orientamento dei contenuti è più vicino

agli interessi maschili (Lobban, 1975), non dovrebbe stupire che alla domanda “Cosa

vuoi fare da grande?” ci sia una differenza nel numero e nel tipo di risposte fornite

da ragazzi e ragazze. Unger e Crawford (1992) hanno posto questa domanda a 33

femmine e a 33 maschi: i primi hanno elencato 18 professioni, le seconde solo 8.

I numeri nel libro di Irene Biemmi “Educazione sessista: stereotipi di genere nei

libri delle elementari”, una ricerca condotta su un campione di testi delle principali

case editrici del settore, mostrano come la discriminazione esista anche nella

letteratura per bambini. Tra i personaggi delle storie ci sono 16 maschi ogni 10

femmine, le professioni attribuite ai maschi sono 50, quelle attribuite alle femmine 15(e spesso improbabili: strega, principessa, la bella addormentata…); gli aggettivi

riferiti a maschi e femmine sono distinti e continuamente squalificanti per le

seconde. I personaggi maschili viaggiano per mari isole boschi e deserti, le

femmine al massimo si affacciano sul terrazzo o nel giardino di casa.

Preso per acquisito che tutti siamo vittime di questi processi mentali chiamati

stereotipi, dobbiamo allora considerare l’importanza che hanno nel momento in cui

parliamo di educazione dei figli da parte dei genitori, ma anche degli insegnanti. Gli

atteggiamenti e le aspettative degli insegnanti sono diversi nei confronti degli

allievi dei due sessi. Secondo una ricerca di Walkerdine (1993) gli insegnanti tendono

a spiegare la riuscita delle ragazze in matematica come frutto di impegno più che

di intelligenza e a considerare gli scarsi risultati dei ragazzi effetto non di mancanza

di intelligenza, ma di altri fattori quali l’aggressività. I ragazzi e le ragazze sono

puniti e premiati in modo diverso: i primi premiati per il loro lavoro e puniti per il

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loro comportamento, le seconde, viceversa, premiate per il loro comportamento

punite per il loro lavoro.

Gli atteggiamenti discriminatori sono alla base di differenti valutazioni delpotenziale che gli insegnanti riservano a ragazzi e ragazze e delle scelte formative

intraprese dagli/dalle studenti/esse.

Un risultato riportato da molteplici studi riguarda la maggiore attenzione

prestata dagli insegnanti ai loro allievi di sesso maschile e il maggior tempo da

essi speso nell’interazione; lo studio, attraverso videoregistrazioni, di Spender

(1982) dimostra che nonostante l’impegno consapevole degli insegnati di cercare di

dedicare agli allievi la stessa quantità di tempo, si arrivò a dedicare alle ragazze solo

il 38% del tempo, dovuto anche alla maggiore irrequietezza da parte dei maschi,

richiedendo così maggiori attenzioni da parte degli insegnanti, soprattutto se le

materie di insegnamento sono di tipo scientifico. È anche vero che le ragazze

comunicano meno interesse verso le materie scientifiche arrivando in ritardo,

partecipando poco a discussioni, evitando di fare domande, chiacchierando tra di

loro.Sta di fatto che l’educazione impartita da piccoli crea delle diversità che si

ripercuotono nella scelta dei percorsi formativi nella scuola secondaria superiore e

nell’università, momenti importanti poiché la specializzazione nei settori scientifici,

tecnologici e informatici, ambienti stereotipici maschili, dà accesso alle occupazioni e

alle carriere meglio pagate e di maggior prestigio (Burr, 2000).

A titolo di esempio, di seguito è riportato un esercizio per insegnare le

professioni a bambini/e della scuola materna, dove ci sono solo due professioni

rappresentate da donne (ballerina e cantante) su ventotto professioni totali. A questo

punto non stupiscono i risultati delle ricerche scritte sopra.

Si noti il titolo dell’esercizio: “La gente”.

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http://www.columbia.edu/itc/italian/resources/italiansite/VOCAB/PROFESSIONI/PROFESSIONI-IMPARARE,%20GIOCO.htm 

Se all’insegnamento di questo tipo si aggiungono gli atteggiamenti degli

insegnanti di cui si parlava nel paragrafo precedente e gli atteggiamenti dei

compagni di classe, capiamo che non si incoraggia molto la sfera femminile ad

intraprendere la scelta professionale come un momento entusiasmante in cui si

possano elencare molte possibilità di scelte professionali.

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Tenendo presente che gli stereotipi sono un fenomeno strettamente collegato

al contesto culturale in cui si formano, è bene considerare anche il tipo di cultura in

cui si cresce.

Hofstede G. (1996) ha studiato le differenze culturali, dividendole attraverso

due dimensioni: mascolinità e femminilità. Con la prima si riferisce a una cultura in

cui gli uomini dovrebbero essere assertivi e focalizzati sul successo economico,

mentre le donne dovrebbero essere modeste e focalizzata sulla qualità delle relazioni.

La dimensione femminile sarebbe presente invece in quelle società dove uomini e

donne dovrebbero essere modesti e focalizzati sulle relazioni.

Per cui le culture femminili e maschili tenderebbero ad assumere le seguenti

caratteristiche:

Femminilità(per es. Finlandia, Svezia, Costa Rica,

Tailandia)

Mascolinità(per es. Giappone, USA, Germania,

Messico)Prendersi cura degli altri è un valoredominante

Il successo materiale è il valoredominante

Le relazioni sono importanti Le cose sono importantiLe persone dovrebbero essere modeste Gli uomini sono assertiviSia uomini che donne dovrebberoparlare di fatti e sentimenti

Le donne parlano di sentimenti

Le persone lavorano per vivere Le persone vivono per lavorareI manager puntano al consenso Ci si aspetta che i manager siano decisiEquità, solidarietà e qualità sono le

cose importanti al lavoro

La competizioni a la performance sono

importanti al lavoroI conflitti si risolvono attraverso ilcompromesso

I conflitti si risolvono con la forza

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Il nostro percorso professionale è un destino già scritto?

Maschi e femmine continuano ad effettuare scelte formative differenti. Nello

specifico le ragazze privilegiano gli studi umanistici rispetto a quelli tecnico-scientifici, malgrado ottengano risultati mediamente superiori ai loro coetanei

maschi, scelta che potrebbe essere dovuta alla persistenza di modelli culturali

tradizionali che ancora distinguono fra una propensione femminile alla cura, alle

relazioni e alle materie umanistiche e una propensione maschile per la tecnologia, la

scienza e la manualità (Fox Keller, 1987; Correll, 2001).

Si è fatta molta strada da quando in Italia, nel 1874, venne permesso alle

donne l’acceso ai licei e alle università, e nel 1900, le donne iscritte all’università

erano 250, 287 ai licei, 267 alle scuole di magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi

10.000 alle scuole professionali e commerciali.

Dagli anni Settanta si registra un aumento della partecipazione all’istruzione

della sfera femminile, arrivando negli anni Novanta a superare le iscrizioni

all’università rispetto a quella maschile (si consiglia il sito

http://www.archiviolastampa.it/ per trovare articoli di giornale che parlano della

donna, dal 1867 ad oggi).Nonostante questi successi esistono fenomeni di segregazione educativa ben

visibili (Bianco 2004): maschi e femmine non si distribuiscono in maniera omogenea

tra le diverse aree formative. Anche se, sempre più ragazze scelgono percorsi non

tradizionali da un punto di vista di genere, la grande maggioranza continua a

privilegiare le discipline umanistiche (Zajczyk 2007). La minor tendenza, da parte

delle femmine, ad iscriversi a corsi di laurea scientifici porterebbe ad una sorta di

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auto-esclusione volontaria dai percorsi professionali scientifici, perché ritenuti, dalle

ragazze, troppo impegnativi e difficili e non conformi alle proprie aspettative di

realizzazione e di riconoscimento sociale (Correll et al., 2001; Stake, 2005).

Il fatto che le competenze scientifiche siano una caratteristica maschile induce

le ragazze a percepirsi meno adeguate e sicure rispetto alle proprie abilità (Oswald,

2003), attivando la conferma inconsapevole degli stereotipi (Minaccia legata allo

stereotipo1). L’attivazione degli stereotipi di genere, durante una prova di abilità di

matematica da parte di donne e uomini ugualmente capaci, implica una prestazione

peggiore da parte delle donne (Spencer, Steele e Quinn, 1999).

Come ogni scelta della nostra vita sia concatenata all’altra, lo si può capire dal

fatto che frequentare un istituto professionale piuttosto che un liceo, influisce sulla

scelta di proseguire gli studi in un determinato settore piuttosto che in un altro, con

probabilità diverse a seconda che si sia femmina piuttosto che maschio, infatti tra i

maschi frequentare un liceo significa accrescere in maniera rilevante la propensione

relativa ad intraprendere studi scientifici rispetto a chi frequenta scuole professionali,

tra le femmine, essere liceali appare una condizione molto meno significativa(Deluigi & Santangelo, 2009).

La situazione Europea dimostra che le femmine più difficilmente dei maschi

sono soggette all’abbandono scolastico, di conseguenza percentualmente hanno un

titolo scolastico superiore ed escono con voti più alti (studio EACEA P9 Eurydice ,

2010).

Appartenere all’uno o all’altro genere sessuale (tralascio in questa sede leimplicazioni legate all’omosessualità, sull’argomento ci sono studi specifici), per noi

è talmente scontato da non farci notare come influenzi la nostra crescita e quello che

siamo: si notano meno le sottili implicazioni rispetto a quanto si può fare con

l’appartenenza culturale, di classe sociale e simili.

1 Stereotype threat è l’esperienza ansiosa legata a situazioni in cui una persona è giudicata per una sua abilità,

attraverso la quale ha la possibilità di confermare uno stereotipo negativo inerente il gruppo sociale diappartenenza, pressione che interferisce sulla prestazione

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Considerati i risultati degli studi, proviamo a verificarli ad oggi con le

statistiche, di seguito si riporta quanto esposto dalla commissione europea in “Le

cifre chiave dell’istruzione in Europa 2009” e Almalaurea 2010.

Le donne costituiscono la grande maggioranza degli iscritti e diplomati in

tre principali ambiti di studio: “educazione”, “lettere e arte” e “sanità e assistenza

sociale”. All'altro estremo, gli uomini superano di gran lunga le donne negli ambiti

“ingegneria, manifattura ed edilizia” e “scienze, matematica e informatica”, e questa

situazione non è cambiata molto dal 2002.

Nella scuola primaria e secondaria, le donne rappresentano la maggioranza

degli insegnanti (oltre il 60%). Le donne costituiscono la maggior parte del

personale docente a livello primario e secondario, ma la loro presenza nel corpo

docente diminuisce molto con l’elevarsi del livello di insegnamento

 

, in tutti i paesi

per i quali i dati sono disponibili le funzioni e gli atteggiamenti, che tradizionalmente

erano considerati come maschili o femminili, hanno influito nel collocare gli uomini e

le donne in settori diversi della produzione ed in cariche e posizioni differenti nel

posto di lavoro.Almeno il 70% dei diplomati del settore “istruzione” sono donne, tranne a

Malta e Turchia, rispettivamente con il 69% e il 54%. In Estonia, Italia e Lettonia la

proporzione di donne supera il 90%. Questa preponderanza di donne si trova anche

nel settore “salute e assistenza sociale”, rappresentato da oltre il 75% nella maggior

parte dei paesi europei.

La tendenza di accettare impieghi sotto-qualificati è riferibile in particolare

alle donne laureate. Nel corso del 2007, la percentuale di donne laureate che hanno

svolto lavori riconducibili alla categoria professionale “tecnici e professionisti

associati” è stata più elevata rispetto a quella degli uomini in tutti i paesi ad

eccezione di Belgio, Repubblica ceca e Cipro. Inoltre, le donne accettano, in media

due volte più spesso degli uomini, posti di lavoro come impiegate, addette ai servizi

e vendite in alternativa ai posti dirigenziali.

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D.ssa Nicoletta De Col

In Italia, la tendenza a scegliere l’ambito professionale in base alle aspettative

stereotipiche sembra confermata dalle statistiche recenti di Almalaurea (2010) delle

iscrizioni all’università.

Ricordandoci che il percorso formativo è solo l’inizio di una serie di scelte che

ci conduce al mercato del lavoro, dovremmo pensare che inserirsi in un contesto

formativo piuttosto che un altro implica maggiori o minori possibilità economiche, di

carriera, di viaggi all’estero, di tempo da dedicare al lavoro, di aggiornamento

professionale, flessibilità, e via dicendo.

Sicuramente l’evitamento del ramo scientifico-matematico da parte del genere

femminile comporta un restringimento di possibilità lavorative, di carriera e di

conseguenza disparità salariale (il settore tecnologico-scientifico è tra i più retribuiti).

Le aspettative e la percezione che le bambine si creano sul lavoro

influenzano quello che saranno e faranno da donne, a seconda della cultura e della

classe a cui appartengono. Le donne di colore nutrono l’aspettativa di lavorare e di

sostenersi, spiegato probabilmente dal fatto che il marito generalmente non

guadagna abbastanza da mantenere la famiglia. Gli uomini di classe operaia di

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D.ssa Nicoletta De Col

cultura latina e bianca americana hanno più probabilità d’essere considerati come

capi famiglia rispetto a quelli di colore. Sembra che anche l’influenza religiosa

cattolica incida sui valori legati al lavoro. In questi differenti contesti le aspettative

delle figlie crescono in maniera differente. La maggioranza delle donne di classe

media difficilmente considerano di non lavorare, probabilmente dovuto

all’educazione impartita dai genitori, che ritengono la formazione come una marcia

in più per le loro figlie per avere successo. All’interno della classe media c’è da

distinguere le donne bianche e latine dalle altre, infatti, le prime più facilmente

hanno avuto in famiglia una madre che, se lavorava, era considerata solo di supporto

alla famiglia, senza ruolo cruciale, senza soddisfazione per se stessa. Questo fa sì chele ragazze cresciute con quelle madri poi scelgano un lavoro part-time piuttosto che

full-time o occasionale piuttosto che continuativo (Damaske, 2011).

Qui si sono considerati gli aspetti educativi familiari e scolastici, per semplicità

in questa sede non si andrà a trattare tutta l’educazione sociale che arriva attraverso i

film, cartoni animati, pubblicità, mass-media, giocattoli.

 

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D.ssa Nicoletta De Col

 

La strada percorsa da queste piccole donne, finora, le conduce a contesti in cui

si possano prendere cura degli altri, dare importanza all’educazione e alle relazioni e

che non tolgano tempo alla famiglia. Arriviamo a parlare del mercato del lavoro.

Gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro

Gli stereotipi legati alla donna contestualizzata nel luogo di lavoro non sonoelementi semplici, processi che dirigono gli atteggiamenti in un’unica direzione,

infatti si diramano in forme complesse come i contesti reali in cui si insinuano.

Nei luoghi di lavoro, le idee su come le donne lavorano, sulle caratteristiche

richieste per il successo e chi dovrebbe svolgere il lavoro sono elementi spesso in

contrasto con le idee su come sono le donne e come dovrebbero essere.

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D.ssa Nicoletta De Col

Gli stereotipi descrittivi sono quella costellazione di tratti e attributi che si

crede descrivano unicamente gli uomini o le donne. Questi stereotipi fanno in modo

che si presentino degli errori di inferenza: solo perché una persona appartiene a una

categoria generale come quella di uomo o donna, le si attribuiscono caratteristiche

personali stabili e interne, per esempio, aggressivo, sensibile, emotivo, coraggioso,

ecc.

Gli stereotipi prescrittivi si riferiscono alla serie di attribuzioni e

caratteristiche che descrivono come uomini e donne dovrebbero essere.

Le percezioni delle persone sono quindi guidate simultaneamente da

rappresentazioni cognitive dei loro tratti e attribuzioni di categoria, e le loro opinioni

normative riguardo cosa è appropriato e inappropriato per loro fare, data la loro

categoria di genere.

Entrambi i tipi di stereotipi possono minare obiettivi decisionali all’interno

delle aziende, a causa dell’incapacità del processo basato sugli stereotipi di favorire

un’analisi accurata delle competenze, motivazioni e capacità, creando una disparità

di trattamento nei luoghi di lavoro quando si svolgono selezioni, promozioni,assegnazioni di premi, licenziamenti, e simili. La discriminazione si può presentare

facilmente già nel momento della selezione per assunzione, se non svolta con

adeguate procedure che evitino gli errori basati sugli stereotipi. Uno studio ha

valutato le situazioni in cui i bias si presentano più facilmente, ovvero quando la

valutazione dei candidati viene fatta in separata sede, piuttosto che in valutazione

di abilità svolta in contemporanea. Nella prima situazione, infatti, intervengono

fenomeni come gli stereotipi di genere, le emozioni, le euristiche distorcendo

l’oggettività della selezione (Bohnet, van Geen, Bazerman, 2011).

L’importanza degli stereotipi è evidente nel momento in cui associare un

tratto con forma maschile o femminile ad un lavoratore determina la strategia con cui

si valuteranno le sue capacità e abilità. Per esempio, gli uomini, più delle donne, sono

considerati decisi e orientati ai compiti, mentre, alle donne, più degli uomini,

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D.ssa Nicoletta De Col

vengono associati tratti come quello di cura e l’orientamento alle relazioni

(Hheilman, Martell & Simon, 1988).

In riferimento al fatto che gli stereotipi creano delle aspettative, non è difficiledi conseguenza ritenere che una persona abbia tutto il necessario per il successo

quando gli stereotipi di genere si adattano al lavoro considerato di uno o l’altro

sesso, per cui la congruenza crea delle aspettative sulla performance del soggetto: ci

si aspetta che la donna abbia successo nell’insegnamento più che nell’ingegneria,

perché ritenuto adatto a lei.

Anche quando le qualifiche e i risultati ottenuti sono equivalenti tra uomini e

donne, le donne hanno meno probabilità d’essere considerate di talento e capaci

rispetto ai colleghi uomini, dai quali ci si aspetta maggiori capacità; questo

stereotipo tende ad essere ripreso durante valutazioni di selezione, nelle promozioni

e pone le donne in condizione di svantaggio per l'avanzamento di carriera (Eagly,

2002).

Inutile il tentativo di alcune donne di mostrare caratteristiche stereotipiche

maschili, dato che implica piacere meno e comunque avere meno probabilità d’essereconsiderate per una promozione o nuove opportunità, anche se valutate competenti

tanto quanto la concorrenza maschile.

Tra i tratti considerati maschili è presente quello di “assertività”, però le

donne si trovano costrette a modulare il loro comportamento a seconda del contesto,

dato che sono viste come "non assertive abbastanza" o "troppo assertive" (Flynn,

2006).Le donne, che sono in condizione minoritaria all’interno di un posto di lavoro,

sono più probabilmente inserite in mansioni più stereotipicamente femminili,

come per esempio il lavoro di supporto (Boldrey, 2001), ignorando più facilmente le

loro capacità, con conseguenti implicazioni a livello salariale, il loro peso nella presa

di decisioni aziendali, possibilità di carriera.

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D.ssa Nicoletta De Col

Quando si è di fronte a un’opportunità di promozione, tendenzialmente si

presenta una discriminazione di genere: è più facile che gli uomini siano scelti

rispetto alle donne, considerando intelligenza ed esperienza di pari livello (Furnham,

2005).

Considerate posizioni equivalenti, gli uomini sono percepiti come più

influenti rispetto alle donne, le quali hanno bisogno di mostrare una competenza di

livello maggiore per essere prese sul serio (Eagly, 2007), oltretutto le donne che

piacciono meno sono meno influenti: ci si trova in una situazione in cui per essere

considerate competenti le donne devono essere assertive e dominanti, ma

esibendo questi tratti causa loro il disprezzo e la minore abilità nell’influenzare gli

altri.

Quando le donne riescono a raggiungere una posizione di leadership le cose

non si semplificano, dato che possono violare lo stereotipo prescrittivo: possono

essere percepite piacevoli e competenti a patto che dimostrino di possedere quei

tratti che sono parte del loro stereotipo, per esempio, comprensive e sensibili.

Riassumendo, il ruolo di manager è visto più allineato con le caratteristicheattribuite agli uomini piuttosto che alle donne, in particolare in Cina, Germania,

Giappone e Regno Unito (Schein, 2001). A causa di questi stereotipi, il genere

femminile si trova in difetto già in uno stato di partenza: da loro ci si aspetta

qualcosa di diverso, a loro si attribuisce qualcosa che magari non possiedono, oppure

non si considera qualche capacità che possono avere e/o se la si considera essa

risulta un’eccezione.

Uno dei più comuni stereotipi di genere è quello di credere che le donne non

abbiano elevate capacità di problem solving  come la controparte maschile, si può

capire come sia ostacolante nel momento in cui si consideri che questa è ritenuta una

delle più importanti capacità per il successo di un manager (Catalys, 2005). Se a tutto

questo aggiungiamo altri studi secondo i quali le donne hanno maggiori probabilità

di essere considerate come persone che pensano principalmente alla famiglia,

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D.ssa Nicoletta De Col

disposte a viaggiare meno (Blum, 1988), si capisce come la possibilità di diventare

manager si allontani ancora di più.

Le donne che trasgrediscono alle aspettative date dalle norme socialiattraverso gli stereotipi attraverso il successo in quei lavori considerati prettamente

maschili vengono penalizzate con valutazioni negative sui loro tratti personali.

Quando le donne sono riconosciute come donne che hanno avuto successo, esse

piacciono meno e sono discreditate a livello personale rispetto agli uomini. Il

successo delle donne viene accettato solo per quei contesti considerati adatti a loro,

in linea con le norme stereotipate. Le persone meno piacevoli hanno meno

possibilità d’essere considerate competenti e premiate aumentando lo stipendio ocambiando posizione lavorativa (Madeline E., 2004).

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D.ssa Nicoletta De Col

LA DONNA NEL MERCATO DEL LAVORO – i dati

Si sono considerati i vari aspetti che possono influenzare le scelte femminili in

merito alla partecipazione al mercato del lavoro. La presenza delle donne nelmercato del lavoro dipende, oltre che da caratteristiche dell’offerta di lavoro

femminile quali, ad esempio, le credenziali educative, anche da caratteristiche

proprie del regime di welfare italiano e dalle politiche per la famiglia, come la

presenza di asili nido. Altri fattori, come il trattamento fiscale dei nuclei famigliari, la

legislazione in merito alla tutela della maternità e la regolamentazione del mercato

del lavoro, che rivestono un ruolo fondamentale l’entrata al lavoro di una donna. Il

tutto aggiunto al condizionamento di quei modelli culturali e normativi scritti sopra

riguardo la divisione sessuale del lavoro all’interno del nucleo famigliare.

Di seguito si elencano i punti salienti riportati dallo studio Isfol 2009 sul

mercato del lavoro Italiano:

1. Esistono gap di genere in tutti gli indicatori del mercato del lavoro (occupazione,

disoccupazione, inattività);

2. Le donne sono più soggette allo scivolamento dall’occupazione all’inattività;

3. Persiste una strutturale segregazione di genere nel mercato del lavoro, per settori

e professioni (orizzontale e verticale);

4. Esiste una prevalenza femminile nei lavori non standard ed una diversa

incidenza della classe di età per genere;

5. Esiste una stretta correlazione di genere tra occupazione e presenza di figli, con

andamenti diversi per uomini e donne;

6. Esiste una discontinuità occupazionale femminile legata all’evento maternità;

7. Sussistono forti squilibri tra uomini e donne nella gestione dei tempi di lavoro e

di cura (conflitto di ruolo).

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Nel 2009, la disoccupazione femminile si attesta al 9,3%, contro un 6,8%

maschile, ma il dato allarmante è quello dell’inattività2 femminile al 61,7% contro il

40% maschile su base nazionale3. 

In Europa,  a parità di diploma, le donne in media sono più colpite dalla

disoccupazione rispetto agli uomini, anche se la differenza tra i sessi diminuisce con

il livello di qualifica. A livello di EU-27, il tasso di disoccupazione delle donne è

superiore a quello degli uomini indipendentemente dai livelli di diploma considerati.

Scelta delle donne o del mercato?

In Italia, le donne tra i 25 e i 45 anni registrano un tasso allarmante di

inattività: 64,8%, il quale sostiene di aver scelto tale condizione. Il dato è sensibile alle

caratteristiche territoriali: al nord-ovest solo il 19,8%, al nord-est solo il 13,5%, al

centro il 16%, mentre ben il 50,6% del Mezzogiorno ha scelto tale condizione 4.  E le

inattive involontarie? Al nord-ovest sono il 15,6%, al nord-est il 10,2%, al centro il

14,4%, nel Mezzogiorno il 59,8%. Lo studio ha voluto approfondire il dato

verificando la convinzione che la scelta di inattività fosse propria della persona, in

questo modo la percentuale si è abbassata al 23%, introducendo il concetto dicopione territoriale: le aspettative comportamentali che si hanno verso la donna

legate ai modelli culturali e alle rappresentazioni sociali di un territorio; il copione è

un ruolo assunto già dall’infanzia, rinforzato dai genitori, dal contesto educativo e

sociale (Berne, 2000).

Considerando il tasso di occupazione, la situazione non risulta più positiva.

2 L’inattività è il rapporto tra le persone non appartenenti alle forze di lavoro e la corrispondente popolazione diriferimento3 Isfol “Mercato del lavoro e politiche di genere 2009-2010”4

“Coerenza e dissonanza nei percorsi di vita delle donne. Un’analisi psicosociale delle cause dell’inattivitàfemminile” Studi Isfol anno 2009

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Interrompendo la tendenza favorevole degli anni precedenti, il tasso di

occupazione delle donne (15-64 anni) è sceso nel 2009 al 46,8%, un valore molto

lontano da quello dell’Unione europea (58,2%).  Le conseguenze sono state

particolarmente evidenti nel Mezzogiorno, che ha assorbito quasi la metà del calo

complessivo delle occupate e che già presentava bassi tassi di occupazionefemminile. In quest’area, il tasso di occupazione è del 30,6%, contro il 57,3% del

Nord-est.

 

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D.ssa Nicoletta De Col

La tabella sopra riportata espone come l’Italia sia uno dei paesi più indietro in

merito alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro, con progressi minimi

negli ultimi trent’anni.

Si è ulteriormente abbassato il tasso di occupazione delle donne con titolo di

studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore: nel Mezzogiorno

raggiunge un livello che supera di poco il 20%. Solo le laureate riescono a

raggiungere i livelli europei, se si escludono le giovani, che incontrano difficoltà

all’ingresso nel mercato del lavoro. L’Italia è il paese europeo con la più bassa

percentuale di donne occupate con istruzione primaria, ed è al terzultimo posto

(meglio di Grecia e Spagna) per quelle occupate con istruzione secondaria e

universitaria.

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D.ssa Nicoletta De Col

In questo scenario di indicatori con squilibri, si evidenzia anche la persistenza

di un mercato segregato per professioni e settori in termini di genere.

Circa la professione emerge la prevalenza maschile su tutte le posizioni, legataanche ai valori più alti di presenza nel mercato. 

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D.ssa Nicoletta De Col

Figli , maternità e doppio ruolo

Rispetto al tema degli squilibri di genere tra tempo di lavoro e di cura , tutte

le donne europee tra 20 e 54 anni trascorrono più tempo degli uomini per il lavorodomestico e di cura, ma le donne italiane sono tra le prime. Le donne italiane che

lavorano occupano maggior tempo dei partner nelle attività familiari (4 ore e 40

minuti al giorno a fronte di 1 ora e 54 minuti). L’asimmetria di genere nella divisione

domestica del lavoro non facilita di certo la presenza e la permanenza della donna

nel mercato. Le disuguaglianze di genere permangono anche a parità di occupazione:

dirigenti, imprenditori e liberi professionisti, ad esempio, trascorrono un’ora al

giorno a svolgere le faccende domestiche contro le quasi due ore delle colleghe.

La cura della famiglia è un elemento che grava sulla donna: la presenza di

persone anziane non autosufficienti o disabili e il numero di figli influenza

notevolmente la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e la sua inattività.

Le donne che lavorano con figli sono meno rispetto a quelle senza figli, e lo

scarto aumenta all’aumentare del numero dei figli stessi, ma mentre in altre paesi

europei (per esempio in Francia) lo scarto è particolarmente evidente al terzo figlio,

dimostrando, che fino al secondo, la presenza della donna nel mercato del lavoro è

più probabile, in Italia lo scarto è già tra donna senza figli e primo figlio (4,5% in

meno di occupate con figli rispetto a quelle senza), con 2 figli (10% in meno) e con

terzo figlio (22% in meno). Le donne che lavoravano prima della nascita del figlio e

che subito dopo la sua nascita non lavoravano più, motivano  l’abbandono del

lavoro per poter stare con il figlio in più dell’87% dei casi . In questa occasione

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D.ssa Nicoletta De Col

sarebbe da chiedersi se la scelta sia influenzata (e se sì, di quanto) dalle aspettative

legate allo stereotipo di genere, secondo il quale la donna dovrebbe occuparsi dei

figli e della famiglia più che del lavoro. Ovvero, con un andamento come negli altri

paesi europei, in cui l’occupazione femminile ha una rapida discesa nei tre anni

immediatamente successivi alla nascita del figlio e un successivo graduale ritorno al

lavoro (andamento a “U”), in Italia, invece, continua a diminuire.

Il fattore che maggiormente caratterizza strutturalmente la partecipazione al

mercato del lavoro delle donne è la discontinuità occupazionale legata all’evento

della maternità. Al 2010, la maternità continua ad essere il principale motivo di

abbandono del lavoro da parte delle donne, che comporta una perdita secca dal

mercato del 16%. In oltre la metà dei casi interrompere il percorso lavorativo in

occasione di una gravidanza non è il risultato di una libera scelta : sono state

licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza.

Le possibilità di lavorare tra i 18 e i 21 mesi dopo la nascita del figlio è di quasi

il 50% (Casadio et al., 2008), dato legato all’età della madre: le madri meno giovani

rientrano più frequentemente al lavoro, mentre quelle sotto i 25 anni sperimentanomaggiori difficoltà. Per le donne non occupate la probabilità di entrare nel mercato

del lavoro dopo la nascita di un figlio è praticamente nulla. Sono le donne con

elevata istruzione a rientrare nel mercato del lavoro a pochi mesi dalla nascita del

figlio, mentre quelle con bassa e media istruzione spesso non rientrano affatto .

Infatti, a 4 anni dalla nascita del figlio il 60% delle donne con bassi titoli di studio è

ancora fuori dal mercato del lavoro (Pronzato, 2006). Le donne con un titolo di

studio più elevato sono in grado di utilizzare più risorse, quali beni e servizi di

mercato e tempo dei familiari, inclusi i partner che collaborano di più nelle coppie

più istruite, e di utilizzarle in maniera più efficiente e razionale. Queste strategie

affiancate al dedicare maggior tempo ai figli e meno al lavoro domestico riducono gli

effetti negativi sui bambini piccoli dovuti all’assenza di ambedue i genitori (Del Boca

e Saraceno, 2005).

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L’incidenza maggiore del peso per le cure familiari è nella classe d’età tra i

30 e i 39 anni, da molti economisti definita sandwich generation

 

, ossia il momento

anagrafico in cui la donna viene simultaneamente compressa da esigenze di cura di

figli e di anziani. Si consideri che in questa classe d’età si riscontrano, solitamente, le

maggiori opportunità lavorative, di carriera, aumenti di salario. Per cui la donna si

trova fuori dal mercato del lavoro per la maternità, che richiede minimo tra i 6 e i 12

mesi alle cure del figlio, comportandone l’esclusione in un momento cruciale per la

sua carriera e le opportunità lavorative. Senza contare che il periodo di interruzione

implica la riduzione di quei contatti e di quelle relazioni che possono facilitare

l’inserimento lavorativo; si può affermare che la maternità sia un momento di stalloper la donna, che rischia d’essere sorpassata, senza contare che le continue

interruzioni dovute alle lunghe pause comportano future difficoltà nel percepire una

pensione.

In queste condizioni la donna si trova a dover fare i conti con la possibilità di

dover ricorrere all’aiuto di terzi o meno, consapevole che se vuole avere dei figli, o

anche solo uno, comporta un’inevitabile interruzione dell’esperienza lavorativa, con

le relative conseguenze. Da segnalare che, anche in quelle condizioni ritenute

“sicure”, ovvero donne dipendenti con contratti a tempo indeterminato e/o inserite

in contesto di pubblico impiego, il rientro al lavoro dopo la maternità non è sinonimo

di garanzia di continuità di copertura del proprio ruolo e svolgimento delle stesse

mansioni.

Durbin e Tomilnson (2010) hanno intervistato donne manager ad orario part-

time del Regno Unito per analizzare il percorso lavorativo da loro intrapreso:

l’81.25% di loro erano in una posizione diversa prima della maternità, ovvero con

orario full-time (la riduzione d’orario è stata una trattativa non volontaria) e

successivamente si sono trovate, al rientro, con un ruolo diverso e di minor spessore,

che diminuiva il numero di prospettive e di opportunità.

Considerando l’interruzione obbligata in caso di maternità e lo stereotipo di

genere che disegna il lavoro della donna come una cosa extradomestica, ci si può

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D.ssa Nicoletta De Col

aspettare che il suo ingresso nel mercato sia posto in secondo piano rispetto a quello

dell’uomo, che garantirebbe continuità, presenza e forza fisica.

Gap salariale di genere e segregazione del mercato

Ricordando che alla donna solo nel 1963 è stato concesso di poter

intraprendere qualsiasi professione, l’Italia è il paese europeo più “male

breadwinner”: le coppie con donne tra 25 e 54 anni, in cui lavora solo l’uomo sono il

37,2%. Vicini a questo target sono Grecia, Spagna, Lussemburgo e Polonia. Invece,

Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia si attestano al di sotto del 10%. Lacollocazione geografica dei modelli “male breadwinner” in Italia è concentrata, per

oltre il 50%, al Sud ed Isole.

Anche per le coppie in cui entrambi lavorano, la donna contribuisce

comunque meno dell’uomo al reddito familiare (in misura inferiore al 40%). In

Europa, incide generalmente il part-time. In Italia, invece, dove il part-time è

comunque basso, ad incidere è la segregazione orizzontale5 del mercato che colloca

le donne in basse posizioni professionali e settori economici meno rimunerativi.

Questo dovrebbe farci riflettere in modo particolare sugli studi e i dati delle sezioni

precedenti, in cui si evidenzia la tendenza del genere femminile a scegliere alcuni tipi

di percorsi formativi, e sull’importanza della presenza della madre lavoratrice, che

sia di modello per trasmettere il valore del lavoro femminile non solo come supporto

alla famiglia e di seconda importanza rispetto a quello del padre.

La cultura italiana, abbiamo capito, non permette molta libertà di scelta per la

donna nello svolgere un ruolo che sia diverso dalla cura della famiglia. A questo

contribuiscono le misure politiche che non hanno previsto maggiori servizi per

bambini in età scolare e pre-scolare e quelli volti ad incentivare la conciliazione di

tempi di vita e lavoro, impedendo alle madri di de-famigliarizzarsi e di liberarsi dai

lavori di cura e assistenza all’interno della famiglia, potendo spendere le loro

5

 La segregazione orizzontale riguarda la diversa presenza delle donne e degli uomini in determinatisettori professionali.

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D.ssa Nicoletta De Col

competenze sul mercato. Sono state compiute delle scelte che hanno privilegiato le

misure di sostegno al reddito piuttosto che incentivare i servizi.

La religione ha rafforzato a tutelare il modello di famiglia tradizionale: nettaseparazione di ruoli e compiti fra i genitori, dove la donna ha un ruolo centrale nelle

attività di cura di tutta la famiglia.

Ritornando ai dati, in Italia, si presenta una segregazione verticale del lavoro,

ovvero la presenza di disparità di prestigio e retribuzione fra i sessi nonostante le

donne presentino curricula formativi analoghi ai colleghi maschi. In Italia, le donne

guadagnano il 13% in meno degli uomini (Rosti, 2006). Inoltre i differenziali salariali

tra gli uomini e le donne italiane crescono al crescere delle retribuzioni e

all’aumentare del livello gerarchico.

I due fenomeni di segregazione verticale e orizzontale sono legati, tanto che

anche in quei settori considerati femminili (quali l’insegnamento, sanitario

infermieristico, parrucchiere) gli uomini che vi accedono ricoprono le posizioni più

prestigiose: non è difficile trovarsi in un salone in cui ci si trova a parlare con tutte

dipendenti donne, mentre il titolare è un uomo.

Gli unici profili in cui la presenza femminile è superiore a quella maschile

sono le coadiuvanti familiari, i collaboratori o prestatori d’opera occasionali, le

impiegate e, con il valore più elevato, le lavoratrici a domicilio. Totalmente inversa la

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D.ssa Nicoletta De Col

situazione per i profili quali imprenditori, liberi professionisti, lavoratori

indipendenti, dirigenti, lavoratori in proprio.

Circa la segregazione orizzontale per settori economici (fig. 5) ossia laconcentrazione femminile in ambiti specifici, il discorso è complesso: come scritto

nelle pagine precedenti, le aspettative legate allo stereotipo comportano che il genere

femminile scelga di svolgere quelle professioni ritenute a loro più adatte, che

richiedono la cura e l’assistenza della persona, la cura delle relazioni.

Al 2009, continuano ad esistere settori tipicamente maschili (industria,

costruzioni e trasporti) e settori tipicamente femminili (servizi, istruzione, sanità e

assistenza). Un trend consolidato da circa 30 anni.

Abbiamo già considerato nei precedenti capitoli le possibili ragioni di queste

tendenze: stereotipi di genere, stereotipi professionali, selezioni aziendali, scelte

personali. Meccanismo che porta effetti sui differenziali salariali: i settori in cui si

collocano le donne sono settori a bassa rimuneratività, ed all’interno degli stessi

settori continua a persistere la segregazione verticale di genere, per cui non è

scontato che una maggiore presenza femminile corrisponda ad un’equa distribuzione

all’interno dei luoghi di lavoro. Ovvero, le donne si trovano in quei settori meno

retribuiti, considerando che non raggiungono facilmente le posizioni più elevate

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nella scala gerarchica, comporta un ulteriore ribasso delle “speranze” in un più

elevato dello stipendio.

Altra caratteristica del mercato del lavoro italiano è l’elevata concentrazionefemminile nei lavori non standard6  (fig.6). In tutti gli aspetti considerati (titolo di

studio, territorio, età) la presenza femminile è superiore a quella maschile. In

particolare, la più colpita è l’età giovanile 18-29 anni, dove vi è la maggiore

concentrazione. Diventa particolarmente critica la situazione se si combinano le

variabili: laurea, età giovanile e residenza nel Mezzogiorno ed Isole.

L’elevata presenza femminile nei lavori non standard presenta degli effetti

di medio periodo, in cui si evidenziano delle differenze di genere in termini di

trasformazioni del contratto nel corso di un biennio di riferimento. Tra gli uomini che

nel 2006 avevano un contratto di lavoro non standard, il 59,4%, due anni dopo, ha

visto una trasformazione in contratto standard. Lo stesso fenomeno ha riguardato

solo il 48,4% delle donne. Per le donne, il contratto non-standard diventa unatrappola da cui si scappa con meno probabilità.

Quello di cui i dati statistici non tengono conto, sono le motivazioni e i

bisogni delle persone, si potrebbe dire che questi sono numeri senza una voce che

li spieghi.

6

  Per lavoro ‘non standard’ si intendono: contratto a tempo determinato, contratto insomministrazione e part-time (subordinato) e co.co.co, lavoro a progetto (non subordinato)

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Di sicuro, aumentare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro,

come dimostrato, comporterebbe un aumento del PIL e di una maggiore sicurezza

famigliare per nuclei con doppio reddito.

Secondo le stime della Banca d’Italia (2008) la domanda di nidi sarebbe del

40% che non copre totalmente l’offerta. I paesi Nord Europei dimostrano come la

partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia cresciuta di più quando c’è stata

anche una crescita dei nidi per l’infanzia.

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CONCLUSIONI

Non tutte le donne vogliono lavorare, non tutte vogliono fare carriera, ma

quelle che vogliono entrare nel mercato del lavoro si trovano in una lotta in cui

giocano sfavorite, in cui pochi puntano le scommesse su di loro. E per quelle che non

vogliono è da chiedersi se sia l’educazione sociale impartita a condizionare le loro

scelte.

Fattori personali, sociali e culturali sono così intrecciati tra loro da non poter

essere considerati singolarmente, rendendo la questione più complessa di quanto

sembri. Un uomo non può permettersi, socialmente, di non avere un lavoro, una

donna può ancora scegliere se lavorare o no. L’uomo deve lavorare e portare i soldi a

casa e mantenere la famiglia, la donna deve pensare a tenere salde le relazioni

famigliari.

Ad oggi, non ci sono pari possibilità di scelta per l’uno e l’altro sesso, non ci

sono le basi per poter pensare a pari opportunità finché non forniremo

un’educazione impari ai nostri figli: le nostre basi del futuro.

Per facilitare l’accesso delle donne nel mercato del lavoro non è da prendere in

esame solo attività di prevenzione nei luoghi di lavoro sugli stereotipi, sulla

violenza, mobbing, ecc, ma anche nelle scuole, al fine di favorire la consapevolezza

degli stereotipi e delle sfumature nelle professioni, più tutte le azioni politiche che

dovrebbero creare dei servizi e una flessibilità a favore della produzione e non della

presenza della persona.

Far crescere i nostri figli e le nostre figlie con l’idea che i sogni non hanno ungenere sessuale non può che condurre ad una crescita sociale, in cui le differenze

sono dei valori personali e di genere.

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Ricordi 

Sono giovane, eppure quand’ero piccola mi ricordo che gli amici dei miei

genitori si lamentarono del fatto che le donne stavano rubando (anni ’80) il lavoro

agli uomini, che l’uomo doveva garantire col suo lavoro mangiare per tutti: la moglie

che andava a lavorare era una sconfitta per la famiglia, soprattutto per l’uomo.

Assieme a queste considerazioni, quando iniziai a scegliere il mio percorso

formativo, si aggiunsero le idee che dovevo studiare per cultura personale, che il

lavoro sarebbe stato importante come soddisfazione personale, se non lo avessi

trovato non importava in caso mi fossi sposata con un “buon partito”.

Ricorderò tutti i giochi preclusi (no, perché sei femmina): a calcio, ai giochi di

ruolo, alle macchinine, ai soldati/pirati.

Ricorderò sempre quando, in terza elementare (scuola privata cattolica),

scendendo le scale, due compagni di classe mi presero a calci la cartella che avevo

sulle spalle, ed io, dopo aver chiesto più volte di smetterla, mi girai dando a uno di

loro un pugno sulla tempia. La maestra riprese la mia aggressività e non la loro,

portandomi via, e tenendomi per mano continuò a rimproverarmi, mentre iogiustificavo la mia azione spiegando l’accaduto. In seguito, ovviamente, io fui

costretta a chiedere scusa e loro furono lasciati liberi di rifarlo le volte successive…ad

altre compagne di classe: io non fui più disturbata.

Ricorderò volentieri tutto questo quando crescerò i miei figli/le mie figlie e

parlerò con quelli degli altri, in attività di orientamento o meno.

Chi trascura di imparare in giovinezza perde il passato ed è morto per il futuro.

(Euripide)

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APPENDICE

Promozione delle pari opportunità

Art.42 - Adozione e finalità delle azioni positive (L.10 aprile 1991, n.125, art.1,commi 1 e 2)

1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli

che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, sono dirette a favorire

l'occupazione femminile e realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel

lavoro.

2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale,

nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi

di mobilità;

b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in

particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della

formazione;

c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la

qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;

d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che

provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con

pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero

nel trattamento economico e retributivo;

e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali

e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori

tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;

f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle

condizioni e tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e

una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi;

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f-bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza

femminile.

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