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5/14/2018 Sapere è potere - slidepdf.com
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Università degli Studi di Padova
Corso Post-Lauream in Psicologia dell'orientamento
Elaborato finale
Sapere è potere. Il potere di scegliere!
Come gli stereotipi di genere influenzano la presenzadelle donne nel mercato del lavoro
d.ssa Nicoletta De Col
Anno accademico 2011
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D.ssa Nicoletta De Col
A i miei genitori
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D.ssa Nicoletta De Col
INDICE
A i miei genitori .........................................................................................................................................................2INDICE ......................................................................................................................................................... ......... ...3
PREMESSA - I have a dream .......................................................................................................................... ........ .3INTRODUZIONE ................................................................................................................................................... ..5
GLI STEREOTIPI .....................................................................................................................................................8Stereotipi di genere e stereotipi professionali ................................................................................................. ......9
Piccole donne crescono a scuola … dove andranno? ..........................................................................................12Il nostro percorso professionale è un destino già scritto? .......................................................................... ........ .17
Gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro ............................................................................................. ......22LA DONNA NEL MERCATO DEL LAVORO – i dati .................................................................................... .... ..27
Figli , maternità e doppio ruolo ...........................................................................................................................32
Gap salariale di genere e segregazione del mercato ............................................................................................35
CONCLUSIONI ......................................................................................................................................................40Ricordi ................................................................................................................................................................ .41
APPENDICE .......................................................................................................................................................... .42
Bibliografia ..............................................................................................................................................................44
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D.ssa Nicoletta De Col
PREMESSA - I have a dream
Il mio sogno è che le nostre figlie possanovivere in un mondo in cui non saranno giudicate
per la categoria sessuale a cui appartengono, ma
per le loro abilità, capacità e competenze.
Sogno che possano scegliere di
intraprendere la strada che conduce a qualsiasi
professione esse desiderino svolgere, senza che questo comporti l'essere derise,
demotivate, disprezzate per non aver seguito le aspettative sociali dettate dagli
stereotipi.
Sogno che fatta una proposta non si sentano dire: "No, perché tu sei una
femmina!", che non rinuncino alla palestra perché devono cucinare la cena.
Sogno che esse possano avere più opportunità di scelta e di carriera di quante
ce ne siano oggi, che il "soffitto di cristallo" venga sollevato e distrutto.
Sogno che ogni persona conosca le debolezze del nostro cervello nella
costruzione di opinioni, idee e giudizi.
Spero che ogni donna di oggi e domani sappia di poter compiere delle scelte
lontane da quanto si aspetta il contesto culturale in cui è inserita, consapevole delle
difficoltà da affrontare, volenterosa nel volerle abbattere, decisa nel perseguirle.
Spero che tutte le azioni compiute affinché tutto
questo si avveri non siano dimenticate: la storia è fatta
di persone, per cui sarà nostra responsabilità
mantenere vivi conoscenza e interesse riguardo gli
ostacoli che le donne possono incontrare.
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D.ssa Nicoletta De Col
INTRODUZIONE
Inizio con lo spiegare la scelta del titolo. Valutare una serie di informazioni
implica esserne a conoscenza, ancor prima vuol dire essere capaci di raccoglierle.Sapere cosa, come e dove cercare fuori e dentro noi stessi permette di compiere una
scelta adatta a sé.
La vita di ognuno di noi è determinata dalle scelte che si compiono in ogni
giorno del suo trascorrere. Scelte ritenute più o meno importanti, dal momento in cui
sono state prese, determinano un tratto del nostro percorso di vita. Decidere di
coltivare un'amicizia piuttosto che un'altra, svolgere un'attività sportiva, seguire un
percorso formativo, il lavoro da intraprendere, il partner con cui stare, cambiare o
meno un nostro atteggiamento, esprimere il proprio dissenso, ecc. sicuramente
andranno a definire il nostro futuro. Ogni opzione considerata valida dalla nostra
ragione è frutto di un processo lungo che considera molteplici elementi.
Cosa abbiamo preso in considerazione per scegliere la scuola superiore da
frequentare? Cosa ha condotto il nostro essere in un'attività lavorativa piuttosto
che un'altra?
Buona parte delle informazioni usate, per prendere delle decisioni così
rilevanti per la nostra vita, non sono raccolte in modi così razionali e metodici come
crediamo, ma sono intaccate da influenze socio-culturali, sentimenti, emozioni,
concetti di sé.
In questo testo considererò nello specifico di stereotipi di genere come
incidano nella scelta formativa e soprattutto lavorativa, in particolare porrò delleriflessioni sulla posizione lavorativa delle donne, risultato di un insieme di scelte, che
si insinuano già dalla scuola materna.
In questo scenario, gli stereotipi la fanno da padrona: il loro bagaglio di
informazioni influenzano fortemente i nostri atteggiamenti, comportamenti,
linguaggio, di conseguenza quello che noi siamo e come pensiamo. Essi si basano sul
processo di categorizzazione, che comporta l'uso di scorciatoie per attribuire delle
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caratteristiche alle categorie a cui appartiene un elemento. Le categorie più ampie e
immediatamente percepibili sono: uomo e donna. Le attribuzioni, che impariamo dal
contesto socio-culturale in cui siamo, ci permettono velocemente di avere delle
informazioni a portata di mano (anzi "di mente") dalle quali partire nel relazionarci
con una persona appartenente all'una o all'altra categoria. In questo modo, non
consideriamo le informazioni che vanno a smentire quanto sappiamo, anzi ci
concentriamo su quello che le confermano.
Considerato questo, un/a adolescente hanno le stesse probabilità di
intraprendere una professione, percorso scolastico? Di assumere gli stessi ruoli in
azienda e in famiglia? Ci sono le stesse opportunità?
L'Art. 37 della Costituzione italiana risponde in questo modo: "La donna
lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano
al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua
essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale
adeguata protezione".
Si deve aspettare la legge n. 66 del 9 febbraio 1963 per ottenere, in Italia,l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni: “la donna può
accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la
magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di
svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L'arruolamento della
donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari”.
La legge del 9 dicembre 1977 n 903: “è vietata qualsiasi discriminazione
fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle
modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli
della gerarchia professionale […] E' vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e
donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la
progressione nella carriera […] Nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, è
vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6” (n.d.r. divieto abrogato solo nel
1999).
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Il codice delle Pari opportunità esprime in ogni sua forma la mancanza di
discriminazione nell'accesso al lavoro e formazione, indipendentemente dal genere,
dalla razza, religione.
Le ricerche non rispondono in modo positivo alle domande poste sopra,
nonostante le tutele riportate, infatti la presenza della donna nel mercato del lavoro
sembra non essere rilevante nelle posizioni manageriali, per lei il salario è più basso a
parità di mansioni e titolo di studio, il suo lavoro viene considerato di supporto alla
famiglia, percepisce il conflitto di ruolo.
Sicuramente non dobbiamo considerare queste ricerche come "le risposte
giuste", ma come un inizio per degli approfondimenti e fondamenta per progetti di
prevenzione. Molte delle ricerche sono state implementate su campioni unicamente
femminili, che prevedevano l'utilizzo di interviste strutturate e non, escludendo in tal
modo la possibilità di fare un reale confronto tra i generi.
L'argomento delle "pari opportunità" sta prendendo sempre più piede
(purtroppo spesso confuso con la parità tra i generi), eppure nelle mie ricerche ho
fatto molta fatica trovare delle specifiche, dei dettagli, degli approfondimenti. Infatti,poco, se non per nulla, si parla degli stereotipi dei datori di lavoro nei confronti delle
donne, oppure di interventi preventivi nelle scuole, piuttosto che nei contesti
lavorativi.
Insomma, c'è ancora molto da fare! Questo non può che accrescere l'interesse
verso le aree inesplorate.
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GLI STEREOTIPI
Gli stereotipi sono forme di semplificazione e schematizzazione della realtà
a cui ricorre la persona per far fronte alla sovrabbondanza di informazioniprovenienti dall'ambiente esterno, si basano sul processo di categorizzazione, ossia la
tendenza a raggruppare in insiemi gli elementi che ci circondano. In questo modo, il
processo di categorizzazione fa sì che gli elementi appartenenti ad una stessa
categoria sembrino molto più simili di quanto non siano in realtà e si accrescano le
differenze fra i diversi insiemi. Oltre a questo effetto, la categorizzazione permette
alle persone di ricavare informazioni anche laddove se ne possiedono poche,
attraverso un processo di induzione sulla base dell'appartenenza di un membro in un
dato gruppo, e non di caratteristiche personali, ma assegnando "caratteristiche" della
categoria di cui fa parte. Inoltre, le stesse informazioni che confermano i nostri
pregiudizi saranno ricordate più facilmente (Sherif e Hovland, 1961). Se incrociamo
una donna per strada, anche senza averci parlato, in quanto donna, ci sentiremmo in
grado di supporre che sia una persona emotiva, sensibile e attenta alle relazioni
familiari.
Tutti usiamo gli stereotipi, dato che sono modelli precostituiti derivanti da un
bagaglio culturale, assegnazioni collettive di significato socialmente e culturalmente
determinate, condivisi da tutti quelli che si sentono appartenenti a una data cultura e
appresi anche da chi non li condivide. Da questo, si capirà come siano difficili da
debellare, controllare ed evitare: gli stereotipi sono schemi che funzionano in modo
automatico e divengono più solidi quanto più utilizzati.
Sono processi naturali e necessari per il funzionamento della mente e della
società, per far fronte al bombardamento delle informazioni, ma risultano essere un
problema nel momento in cui molte persone vengono giudicate negativamente in
modo infondato o discriminate unicamente per la loro appartenenza categoriale.
Basti pensare alle implicazioni che hanno durante le selezioni per un’assunzione
lavorativa, la promozione o il licenziamento.
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Una distinzione importante da fare è quella tra stereotipo, pregiudizio e
discriminazione. Lo stereotipo ha una componente cognitiva ed è indispensabile; il
pregiudizio ha una componente affettiva e consiste nel valutare negativamente tutti i
membri di un gruppo solo per il fatto che vi appartengano al gruppo stesso, avendo,
così, una reazione affettiva negativa di fronte a tutte le persone che saranno
categorizzate come appartenenti al gruppo stigmatizzato; la discriminazione ha una
componente comportamentale che può produrre un danno agli individui per il solo
fatto che appartengono al gruppo discriminato, con negazione dei loro diritti e
convinzione che sia giusto discriminare quel gruppo (Zanna e Rempel, 1988).
Stereotipi di genere e stereotipi professionali
Gli stereotipi ci dicono cosa è giusto e cosa no, secondo la nostra cultura di
appartenenza, influenzando le nostre scelte durante tutto il nostro arco di vita.
Sono strutture cognitive che ci permettono di andare oltre alle semplici informazioni
ricevute, inducendone altre; facile capire come pervadono tutta la nostra vita sociale,
basti pensare a quelli legati all’età, all’etnia, all’occupazione, al sesso.
Infatti, il nostro contesto socio-culturale influenza le aspettative sui ruoli
professionali che gli uomini e le donne dovrebbero assumere, in base al loro genere
sessuale di appartenenza (White e White, 2006). Al riguardo si può pensare al film,
ambientato negli anni Cinquanta, “Mona Lisa Smile” dove le ragazze del campus di
Wellesley, prestigioso college femminile, sono educate e cresciute per ricoprire “i
ruoli per i quali sono nate”: crescere figli, cucinare, tenere la casa pulita, pensare allafelicità del marito. Tutto questo in modo impeccabile, dovuto alla perfetta
educazione: casalinghe con il ferro da stiro in una mano e un libro nell’altra, capaci di
tenere i conti di casa, gestendo l’economia domestica in maniera eccelsa.
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Queste donne, nel film, avevano alle spalle delle famiglie ricche che potevano
investire sull’istruzione delle figlie, con l’unico fine di fornire delle mogli perfette e
aumentare le possibilità in un matrimonio facoltoso.
Considerata la forte presenza dello stereotipo che le donne siano predisposte
all’educazione dei figli ci si può aspettare che si inseriscano più facilmente in percorsi
formativi e professionali inerenti all’insegnamento. Cinquant’anni di storia non sono
sufficienti per debellare le idee stereotipiche, per cui siamo ancora legate al concetto
della donna in casa anziché al lavoro.
Altro esempio di stereotipo è quello riguardo le donne che sarebbero meno
abili in matematica; se ne può intuire le conseguenze: ci si aspetta che una ragazza si
iscriva a un liceo classico piuttosto che scientifico, oppure che sia un’eccezione la sua
bravura in tale materia, e via dicendo.
Gli stereotipi professionali permettono di formarsi dei giudizi complessivi
sulle professioni, facendo in modo che si insinui la credenza che chi svolge lo stesso
lavoro condivida tratti di personalità, caratteristiche e comportamenti (Carpenter,
1995; Turner, 1999), in questo modo si vedono ancora più contrastanti quei tratti
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considerati prettamente femminili nei contrasti lavorativi predominati dal genere
maschile.
Da dove arrivano le informazioni sulle professioni? Le prime informazionisul mondo del lavoro arrivano ai bambini proprio dai genitori. Gli stereotipi di
genere sicuramente forniscono delle informazioni, ma queste sono distorte e poco
funzionali. Sembra che già alla scuola materna siano presenti stereotipi di genere
sulle professioni e che siano propri soprattutto delle bambine (Hartung et al., 2005).
Pamela Davis-Kean e colleghi (2005) hanno condotto uno studio volto ad
analizzare quanto i valori e le attitudini dei genitori influiscono sullo sviluppo delle
competenze matematiche dei figli e se tali attitudini varino sulla base del genere di
appartenenza del bambino (studio su 800 bambini e le rispettive famiglie,
longitudinale: 1987 -2000). L'analisi dei dati ha evidenziato che le attitudini e gli
stereotipi di genere dei genitori, in modo particolare quelli del padre, incidono in
modo significativo sulla scelta dei figli di intraprendere un percorso di studi e
professionale in ambito scientifico. Tra queste una delle più rilevanti è costituita dal
maggiore incoraggiamento e supporto offerto ai figli maschi nella formazione e nellapreparazione in campo matematico rispetto alle figlie femmine. Tale
incoraggiamento trova espressione nella tendenza da parte dei genitori all’acquisto
di un numero più elevato di giocattoli inerenti all’ambito scientifico per i bambini
piuttosto che per le bambine e nel fatto che dedichino più tempo a svolgere giochi ed
attività inerenti al settore scientifico con i figli maschi.
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Gli stereotipi di genere dei genitori, ed in modo particolare del padre, sono
altamente influenti nel ridurre la scelta delle figlie di intraprendere gli studi o una
carriera in ambito matematico e scientifico.
L’adesione da parte dei/delle bambini/e a visioni stereotipate delle
professioni, quindi, può ridurre le opzioni che vengono considerate nel momento
in cui si accingeranno a pensare al proprio futuro.
Questo significa che la scelta scolastico-professionale degli adolescenti può
essere condizionata dalle caratteristiche stereotipiche, scoraggiandoli ad
intraprendere percorsi formativi o professionali ritenuti non adeguati al loro genere
(Gysbers, Heppner, Johnston, 2009).
Ovviamente non sono solo i genitori ad impartire un’educazione, ma anche la
scuola ha la sua parte in tutto questo.
Piccole donne crescono a scuola … dove andranno?
C’è differenza fra essere cameriera ed essere un cameriere?
Teoricamente, oltre alla differenza di genere nel sostantivo, non ne dovrebbero
esistere di altro tipo. Eppure, le immagini stereotipate che si trovano sono di questo
genere:
Il cameriere è inserito in un contesto, probabilmente un ristorante di lusso, con
abiti formali, clienti appartenenti a un ceto sociale alto. La cameriera è rappresentata
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con abiti più adatti ad una locanda, senza contatto diretto coi clienti, quindi
probabilmente con un ruolo meno influente e con un salario più basso.
Considerando che la formazione degli stereotipi occupazionali avviene giàall’età di due- tre anni (Gettys e Cann, 1981), che ricerche condotte sui materiali ad
uso didattico nelle scuole, in particolare nelle antologie e libri di testo, hanno
dimostrato la presenza diffusa di immagini stereotipiche delle donne e degli uomini,
in cui le donne sono sottorappresentate e l’orientamento dei contenuti è più vicino
agli interessi maschili (Lobban, 1975), non dovrebbe stupire che alla domanda “Cosa
vuoi fare da grande?” ci sia una differenza nel numero e nel tipo di risposte fornite
da ragazzi e ragazze. Unger e Crawford (1992) hanno posto questa domanda a 33
femmine e a 33 maschi: i primi hanno elencato 18 professioni, le seconde solo 8.
I numeri nel libro di Irene Biemmi “Educazione sessista: stereotipi di genere nei
libri delle elementari”, una ricerca condotta su un campione di testi delle principali
case editrici del settore, mostrano come la discriminazione esista anche nella
letteratura per bambini. Tra i personaggi delle storie ci sono 16 maschi ogni 10
femmine, le professioni attribuite ai maschi sono 50, quelle attribuite alle femmine 15(e spesso improbabili: strega, principessa, la bella addormentata…); gli aggettivi
riferiti a maschi e femmine sono distinti e continuamente squalificanti per le
seconde. I personaggi maschili viaggiano per mari isole boschi e deserti, le
femmine al massimo si affacciano sul terrazzo o nel giardino di casa.
Preso per acquisito che tutti siamo vittime di questi processi mentali chiamati
stereotipi, dobbiamo allora considerare l’importanza che hanno nel momento in cui
parliamo di educazione dei figli da parte dei genitori, ma anche degli insegnanti. Gli
atteggiamenti e le aspettative degli insegnanti sono diversi nei confronti degli
allievi dei due sessi. Secondo una ricerca di Walkerdine (1993) gli insegnanti tendono
a spiegare la riuscita delle ragazze in matematica come frutto di impegno più che
di intelligenza e a considerare gli scarsi risultati dei ragazzi effetto non di mancanza
di intelligenza, ma di altri fattori quali l’aggressività. I ragazzi e le ragazze sono
puniti e premiati in modo diverso: i primi premiati per il loro lavoro e puniti per il
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loro comportamento, le seconde, viceversa, premiate per il loro comportamento
punite per il loro lavoro.
Gli atteggiamenti discriminatori sono alla base di differenti valutazioni delpotenziale che gli insegnanti riservano a ragazzi e ragazze e delle scelte formative
intraprese dagli/dalle studenti/esse.
Un risultato riportato da molteplici studi riguarda la maggiore attenzione
prestata dagli insegnanti ai loro allievi di sesso maschile e il maggior tempo da
essi speso nell’interazione; lo studio, attraverso videoregistrazioni, di Spender
(1982) dimostra che nonostante l’impegno consapevole degli insegnati di cercare di
dedicare agli allievi la stessa quantità di tempo, si arrivò a dedicare alle ragazze solo
il 38% del tempo, dovuto anche alla maggiore irrequietezza da parte dei maschi,
richiedendo così maggiori attenzioni da parte degli insegnanti, soprattutto se le
materie di insegnamento sono di tipo scientifico. È anche vero che le ragazze
comunicano meno interesse verso le materie scientifiche arrivando in ritardo,
partecipando poco a discussioni, evitando di fare domande, chiacchierando tra di
loro.Sta di fatto che l’educazione impartita da piccoli crea delle diversità che si
ripercuotono nella scelta dei percorsi formativi nella scuola secondaria superiore e
nell’università, momenti importanti poiché la specializzazione nei settori scientifici,
tecnologici e informatici, ambienti stereotipici maschili, dà accesso alle occupazioni e
alle carriere meglio pagate e di maggior prestigio (Burr, 2000).
A titolo di esempio, di seguito è riportato un esercizio per insegnare le
professioni a bambini/e della scuola materna, dove ci sono solo due professioni
rappresentate da donne (ballerina e cantante) su ventotto professioni totali. A questo
punto non stupiscono i risultati delle ricerche scritte sopra.
Si noti il titolo dell’esercizio: “La gente”.
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http://www.columbia.edu/itc/italian/resources/italiansite/VOCAB/PROFESSIONI/PROFESSIONI-IMPARARE,%20GIOCO.htm
Se all’insegnamento di questo tipo si aggiungono gli atteggiamenti degli
insegnanti di cui si parlava nel paragrafo precedente e gli atteggiamenti dei
compagni di classe, capiamo che non si incoraggia molto la sfera femminile ad
intraprendere la scelta professionale come un momento entusiasmante in cui si
possano elencare molte possibilità di scelte professionali.
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Tenendo presente che gli stereotipi sono un fenomeno strettamente collegato
al contesto culturale in cui si formano, è bene considerare anche il tipo di cultura in
cui si cresce.
Hofstede G. (1996) ha studiato le differenze culturali, dividendole attraverso
due dimensioni: mascolinità e femminilità. Con la prima si riferisce a una cultura in
cui gli uomini dovrebbero essere assertivi e focalizzati sul successo economico,
mentre le donne dovrebbero essere modeste e focalizzata sulla qualità delle relazioni.
La dimensione femminile sarebbe presente invece in quelle società dove uomini e
donne dovrebbero essere modesti e focalizzati sulle relazioni.
Per cui le culture femminili e maschili tenderebbero ad assumere le seguenti
caratteristiche:
Femminilità(per es. Finlandia, Svezia, Costa Rica,
Tailandia)
Mascolinità(per es. Giappone, USA, Germania,
Messico)Prendersi cura degli altri è un valoredominante
Il successo materiale è il valoredominante
Le relazioni sono importanti Le cose sono importantiLe persone dovrebbero essere modeste Gli uomini sono assertiviSia uomini che donne dovrebberoparlare di fatti e sentimenti
Le donne parlano di sentimenti
Le persone lavorano per vivere Le persone vivono per lavorareI manager puntano al consenso Ci si aspetta che i manager siano decisiEquità, solidarietà e qualità sono le
cose importanti al lavoro
La competizioni a la performance sono
importanti al lavoroI conflitti si risolvono attraverso ilcompromesso
I conflitti si risolvono con la forza
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Il nostro percorso professionale è un destino già scritto?
Maschi e femmine continuano ad effettuare scelte formative differenti. Nello
specifico le ragazze privilegiano gli studi umanistici rispetto a quelli tecnico-scientifici, malgrado ottengano risultati mediamente superiori ai loro coetanei
maschi, scelta che potrebbe essere dovuta alla persistenza di modelli culturali
tradizionali che ancora distinguono fra una propensione femminile alla cura, alle
relazioni e alle materie umanistiche e una propensione maschile per la tecnologia, la
scienza e la manualità (Fox Keller, 1987; Correll, 2001).
Si è fatta molta strada da quando in Italia, nel 1874, venne permesso alle
donne l’acceso ai licei e alle università, e nel 1900, le donne iscritte all’università
erano 250, 287 ai licei, 267 alle scuole di magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi
10.000 alle scuole professionali e commerciali.
Dagli anni Settanta si registra un aumento della partecipazione all’istruzione
della sfera femminile, arrivando negli anni Novanta a superare le iscrizioni
all’università rispetto a quella maschile (si consiglia il sito
http://www.archiviolastampa.it/ per trovare articoli di giornale che parlano della
donna, dal 1867 ad oggi).Nonostante questi successi esistono fenomeni di segregazione educativa ben
visibili (Bianco 2004): maschi e femmine non si distribuiscono in maniera omogenea
tra le diverse aree formative. Anche se, sempre più ragazze scelgono percorsi non
tradizionali da un punto di vista di genere, la grande maggioranza continua a
privilegiare le discipline umanistiche (Zajczyk 2007). La minor tendenza, da parte
delle femmine, ad iscriversi a corsi di laurea scientifici porterebbe ad una sorta di
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auto-esclusione volontaria dai percorsi professionali scientifici, perché ritenuti, dalle
ragazze, troppo impegnativi e difficili e non conformi alle proprie aspettative di
realizzazione e di riconoscimento sociale (Correll et al., 2001; Stake, 2005).
Il fatto che le competenze scientifiche siano una caratteristica maschile induce
le ragazze a percepirsi meno adeguate e sicure rispetto alle proprie abilità (Oswald,
2003), attivando la conferma inconsapevole degli stereotipi (Minaccia legata allo
stereotipo1). L’attivazione degli stereotipi di genere, durante una prova di abilità di
matematica da parte di donne e uomini ugualmente capaci, implica una prestazione
peggiore da parte delle donne (Spencer, Steele e Quinn, 1999).
Come ogni scelta della nostra vita sia concatenata all’altra, lo si può capire dal
fatto che frequentare un istituto professionale piuttosto che un liceo, influisce sulla
scelta di proseguire gli studi in un determinato settore piuttosto che in un altro, con
probabilità diverse a seconda che si sia femmina piuttosto che maschio, infatti tra i
maschi frequentare un liceo significa accrescere in maniera rilevante la propensione
relativa ad intraprendere studi scientifici rispetto a chi frequenta scuole professionali,
tra le femmine, essere liceali appare una condizione molto meno significativa(Deluigi & Santangelo, 2009).
La situazione Europea dimostra che le femmine più difficilmente dei maschi
sono soggette all’abbandono scolastico, di conseguenza percentualmente hanno un
titolo scolastico superiore ed escono con voti più alti (studio EACEA P9 Eurydice ,
2010).
Appartenere all’uno o all’altro genere sessuale (tralascio in questa sede leimplicazioni legate all’omosessualità, sull’argomento ci sono studi specifici), per noi
è talmente scontato da non farci notare come influenzi la nostra crescita e quello che
siamo: si notano meno le sottili implicazioni rispetto a quanto si può fare con
l’appartenenza culturale, di classe sociale e simili.
1 Stereotype threat è l’esperienza ansiosa legata a situazioni in cui una persona è giudicata per una sua abilità,
attraverso la quale ha la possibilità di confermare uno stereotipo negativo inerente il gruppo sociale diappartenenza, pressione che interferisce sulla prestazione
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Considerati i risultati degli studi, proviamo a verificarli ad oggi con le
statistiche, di seguito si riporta quanto esposto dalla commissione europea in “Le
cifre chiave dell’istruzione in Europa 2009” e Almalaurea 2010.
Le donne costituiscono la grande maggioranza degli iscritti e diplomati in
tre principali ambiti di studio: “educazione”, “lettere e arte” e “sanità e assistenza
sociale”. All'altro estremo, gli uomini superano di gran lunga le donne negli ambiti
“ingegneria, manifattura ed edilizia” e “scienze, matematica e informatica”, e questa
situazione non è cambiata molto dal 2002.
Nella scuola primaria e secondaria, le donne rappresentano la maggioranza
degli insegnanti (oltre il 60%). Le donne costituiscono la maggior parte del
personale docente a livello primario e secondario, ma la loro presenza nel corpo
docente diminuisce molto con l’elevarsi del livello di insegnamento
, in tutti i paesi
per i quali i dati sono disponibili le funzioni e gli atteggiamenti, che tradizionalmente
erano considerati come maschili o femminili, hanno influito nel collocare gli uomini e
le donne in settori diversi della produzione ed in cariche e posizioni differenti nel
posto di lavoro.Almeno il 70% dei diplomati del settore “istruzione” sono donne, tranne a
Malta e Turchia, rispettivamente con il 69% e il 54%. In Estonia, Italia e Lettonia la
proporzione di donne supera il 90%. Questa preponderanza di donne si trova anche
nel settore “salute e assistenza sociale”, rappresentato da oltre il 75% nella maggior
parte dei paesi europei.
La tendenza di accettare impieghi sotto-qualificati è riferibile in particolare
alle donne laureate. Nel corso del 2007, la percentuale di donne laureate che hanno
svolto lavori riconducibili alla categoria professionale “tecnici e professionisti
associati” è stata più elevata rispetto a quella degli uomini in tutti i paesi ad
eccezione di Belgio, Repubblica ceca e Cipro. Inoltre, le donne accettano, in media
due volte più spesso degli uomini, posti di lavoro come impiegate, addette ai servizi
e vendite in alternativa ai posti dirigenziali.
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In Italia, la tendenza a scegliere l’ambito professionale in base alle aspettative
stereotipiche sembra confermata dalle statistiche recenti di Almalaurea (2010) delle
iscrizioni all’università.
Ricordandoci che il percorso formativo è solo l’inizio di una serie di scelte che
ci conduce al mercato del lavoro, dovremmo pensare che inserirsi in un contesto
formativo piuttosto che un altro implica maggiori o minori possibilità economiche, di
carriera, di viaggi all’estero, di tempo da dedicare al lavoro, di aggiornamento
professionale, flessibilità, e via dicendo.
Sicuramente l’evitamento del ramo scientifico-matematico da parte del genere
femminile comporta un restringimento di possibilità lavorative, di carriera e di
conseguenza disparità salariale (il settore tecnologico-scientifico è tra i più retribuiti).
Le aspettative e la percezione che le bambine si creano sul lavoro
influenzano quello che saranno e faranno da donne, a seconda della cultura e della
classe a cui appartengono. Le donne di colore nutrono l’aspettativa di lavorare e di
sostenersi, spiegato probabilmente dal fatto che il marito generalmente non
guadagna abbastanza da mantenere la famiglia. Gli uomini di classe operaia di
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cultura latina e bianca americana hanno più probabilità d’essere considerati come
capi famiglia rispetto a quelli di colore. Sembra che anche l’influenza religiosa
cattolica incida sui valori legati al lavoro. In questi differenti contesti le aspettative
delle figlie crescono in maniera differente. La maggioranza delle donne di classe
media difficilmente considerano di non lavorare, probabilmente dovuto
all’educazione impartita dai genitori, che ritengono la formazione come una marcia
in più per le loro figlie per avere successo. All’interno della classe media c’è da
distinguere le donne bianche e latine dalle altre, infatti, le prime più facilmente
hanno avuto in famiglia una madre che, se lavorava, era considerata solo di supporto
alla famiglia, senza ruolo cruciale, senza soddisfazione per se stessa. Questo fa sì chele ragazze cresciute con quelle madri poi scelgano un lavoro part-time piuttosto che
full-time o occasionale piuttosto che continuativo (Damaske, 2011).
Qui si sono considerati gli aspetti educativi familiari e scolastici, per semplicità
in questa sede non si andrà a trattare tutta l’educazione sociale che arriva attraverso i
film, cartoni animati, pubblicità, mass-media, giocattoli.
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La strada percorsa da queste piccole donne, finora, le conduce a contesti in cui
si possano prendere cura degli altri, dare importanza all’educazione e alle relazioni e
che non tolgano tempo alla famiglia. Arriviamo a parlare del mercato del lavoro.
Gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro
Gli stereotipi legati alla donna contestualizzata nel luogo di lavoro non sonoelementi semplici, processi che dirigono gli atteggiamenti in un’unica direzione,
infatti si diramano in forme complesse come i contesti reali in cui si insinuano.
Nei luoghi di lavoro, le idee su come le donne lavorano, sulle caratteristiche
richieste per il successo e chi dovrebbe svolgere il lavoro sono elementi spesso in
contrasto con le idee su come sono le donne e come dovrebbero essere.
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Gli stereotipi descrittivi sono quella costellazione di tratti e attributi che si
crede descrivano unicamente gli uomini o le donne. Questi stereotipi fanno in modo
che si presentino degli errori di inferenza: solo perché una persona appartiene a una
categoria generale come quella di uomo o donna, le si attribuiscono caratteristiche
personali stabili e interne, per esempio, aggressivo, sensibile, emotivo, coraggioso,
ecc.
Gli stereotipi prescrittivi si riferiscono alla serie di attribuzioni e
caratteristiche che descrivono come uomini e donne dovrebbero essere.
Le percezioni delle persone sono quindi guidate simultaneamente da
rappresentazioni cognitive dei loro tratti e attribuzioni di categoria, e le loro opinioni
normative riguardo cosa è appropriato e inappropriato per loro fare, data la loro
categoria di genere.
Entrambi i tipi di stereotipi possono minare obiettivi decisionali all’interno
delle aziende, a causa dell’incapacità del processo basato sugli stereotipi di favorire
un’analisi accurata delle competenze, motivazioni e capacità, creando una disparità
di trattamento nei luoghi di lavoro quando si svolgono selezioni, promozioni,assegnazioni di premi, licenziamenti, e simili. La discriminazione si può presentare
facilmente già nel momento della selezione per assunzione, se non svolta con
adeguate procedure che evitino gli errori basati sugli stereotipi. Uno studio ha
valutato le situazioni in cui i bias si presentano più facilmente, ovvero quando la
valutazione dei candidati viene fatta in separata sede, piuttosto che in valutazione
di abilità svolta in contemporanea. Nella prima situazione, infatti, intervengono
fenomeni come gli stereotipi di genere, le emozioni, le euristiche distorcendo
l’oggettività della selezione (Bohnet, van Geen, Bazerman, 2011).
L’importanza degli stereotipi è evidente nel momento in cui associare un
tratto con forma maschile o femminile ad un lavoratore determina la strategia con cui
si valuteranno le sue capacità e abilità. Per esempio, gli uomini, più delle donne, sono
considerati decisi e orientati ai compiti, mentre, alle donne, più degli uomini,
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vengono associati tratti come quello di cura e l’orientamento alle relazioni
(Hheilman, Martell & Simon, 1988).
In riferimento al fatto che gli stereotipi creano delle aspettative, non è difficiledi conseguenza ritenere che una persona abbia tutto il necessario per il successo
quando gli stereotipi di genere si adattano al lavoro considerato di uno o l’altro
sesso, per cui la congruenza crea delle aspettative sulla performance del soggetto: ci
si aspetta che la donna abbia successo nell’insegnamento più che nell’ingegneria,
perché ritenuto adatto a lei.
Anche quando le qualifiche e i risultati ottenuti sono equivalenti tra uomini e
donne, le donne hanno meno probabilità d’essere considerate di talento e capaci
rispetto ai colleghi uomini, dai quali ci si aspetta maggiori capacità; questo
stereotipo tende ad essere ripreso durante valutazioni di selezione, nelle promozioni
e pone le donne in condizione di svantaggio per l'avanzamento di carriera (Eagly,
2002).
Inutile il tentativo di alcune donne di mostrare caratteristiche stereotipiche
maschili, dato che implica piacere meno e comunque avere meno probabilità d’essereconsiderate per una promozione o nuove opportunità, anche se valutate competenti
tanto quanto la concorrenza maschile.
Tra i tratti considerati maschili è presente quello di “assertività”, però le
donne si trovano costrette a modulare il loro comportamento a seconda del contesto,
dato che sono viste come "non assertive abbastanza" o "troppo assertive" (Flynn,
2006).Le donne, che sono in condizione minoritaria all’interno di un posto di lavoro,
sono più probabilmente inserite in mansioni più stereotipicamente femminili,
come per esempio il lavoro di supporto (Boldrey, 2001), ignorando più facilmente le
loro capacità, con conseguenti implicazioni a livello salariale, il loro peso nella presa
di decisioni aziendali, possibilità di carriera.
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Quando si è di fronte a un’opportunità di promozione, tendenzialmente si
presenta una discriminazione di genere: è più facile che gli uomini siano scelti
rispetto alle donne, considerando intelligenza ed esperienza di pari livello (Furnham,
2005).
Considerate posizioni equivalenti, gli uomini sono percepiti come più
influenti rispetto alle donne, le quali hanno bisogno di mostrare una competenza di
livello maggiore per essere prese sul serio (Eagly, 2007), oltretutto le donne che
piacciono meno sono meno influenti: ci si trova in una situazione in cui per essere
considerate competenti le donne devono essere assertive e dominanti, ma
esibendo questi tratti causa loro il disprezzo e la minore abilità nell’influenzare gli
altri.
Quando le donne riescono a raggiungere una posizione di leadership le cose
non si semplificano, dato che possono violare lo stereotipo prescrittivo: possono
essere percepite piacevoli e competenti a patto che dimostrino di possedere quei
tratti che sono parte del loro stereotipo, per esempio, comprensive e sensibili.
Riassumendo, il ruolo di manager è visto più allineato con le caratteristicheattribuite agli uomini piuttosto che alle donne, in particolare in Cina, Germania,
Giappone e Regno Unito (Schein, 2001). A causa di questi stereotipi, il genere
femminile si trova in difetto già in uno stato di partenza: da loro ci si aspetta
qualcosa di diverso, a loro si attribuisce qualcosa che magari non possiedono, oppure
non si considera qualche capacità che possono avere e/o se la si considera essa
risulta un’eccezione.
Uno dei più comuni stereotipi di genere è quello di credere che le donne non
abbiano elevate capacità di problem solving come la controparte maschile, si può
capire come sia ostacolante nel momento in cui si consideri che questa è ritenuta una
delle più importanti capacità per il successo di un manager (Catalys, 2005). Se a tutto
questo aggiungiamo altri studi secondo i quali le donne hanno maggiori probabilità
di essere considerate come persone che pensano principalmente alla famiglia,
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disposte a viaggiare meno (Blum, 1988), si capisce come la possibilità di diventare
manager si allontani ancora di più.
Le donne che trasgrediscono alle aspettative date dalle norme socialiattraverso gli stereotipi attraverso il successo in quei lavori considerati prettamente
maschili vengono penalizzate con valutazioni negative sui loro tratti personali.
Quando le donne sono riconosciute come donne che hanno avuto successo, esse
piacciono meno e sono discreditate a livello personale rispetto agli uomini. Il
successo delle donne viene accettato solo per quei contesti considerati adatti a loro,
in linea con le norme stereotipate. Le persone meno piacevoli hanno meno
possibilità d’essere considerate competenti e premiate aumentando lo stipendio ocambiando posizione lavorativa (Madeline E., 2004).
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LA DONNA NEL MERCATO DEL LAVORO – i dati
Si sono considerati i vari aspetti che possono influenzare le scelte femminili in
merito alla partecipazione al mercato del lavoro. La presenza delle donne nelmercato del lavoro dipende, oltre che da caratteristiche dell’offerta di lavoro
femminile quali, ad esempio, le credenziali educative, anche da caratteristiche
proprie del regime di welfare italiano e dalle politiche per la famiglia, come la
presenza di asili nido. Altri fattori, come il trattamento fiscale dei nuclei famigliari, la
legislazione in merito alla tutela della maternità e la regolamentazione del mercato
del lavoro, che rivestono un ruolo fondamentale l’entrata al lavoro di una donna. Il
tutto aggiunto al condizionamento di quei modelli culturali e normativi scritti sopra
riguardo la divisione sessuale del lavoro all’interno del nucleo famigliare.
Di seguito si elencano i punti salienti riportati dallo studio Isfol 2009 sul
mercato del lavoro Italiano:
1. Esistono gap di genere in tutti gli indicatori del mercato del lavoro (occupazione,
disoccupazione, inattività);
2. Le donne sono più soggette allo scivolamento dall’occupazione all’inattività;
3. Persiste una strutturale segregazione di genere nel mercato del lavoro, per settori
e professioni (orizzontale e verticale);
4. Esiste una prevalenza femminile nei lavori non standard ed una diversa
incidenza della classe di età per genere;
5. Esiste una stretta correlazione di genere tra occupazione e presenza di figli, con
andamenti diversi per uomini e donne;
6. Esiste una discontinuità occupazionale femminile legata all’evento maternità;
7. Sussistono forti squilibri tra uomini e donne nella gestione dei tempi di lavoro e
di cura (conflitto di ruolo).
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Nel 2009, la disoccupazione femminile si attesta al 9,3%, contro un 6,8%
maschile, ma il dato allarmante è quello dell’inattività2 femminile al 61,7% contro il
40% maschile su base nazionale3.
In Europa, a parità di diploma, le donne in media sono più colpite dalla
disoccupazione rispetto agli uomini, anche se la differenza tra i sessi diminuisce con
il livello di qualifica. A livello di EU-27, il tasso di disoccupazione delle donne è
superiore a quello degli uomini indipendentemente dai livelli di diploma considerati.
Scelta delle donne o del mercato?
In Italia, le donne tra i 25 e i 45 anni registrano un tasso allarmante di
inattività: 64,8%, il quale sostiene di aver scelto tale condizione. Il dato è sensibile alle
caratteristiche territoriali: al nord-ovest solo il 19,8%, al nord-est solo il 13,5%, al
centro il 16%, mentre ben il 50,6% del Mezzogiorno ha scelto tale condizione 4. E le
inattive involontarie? Al nord-ovest sono il 15,6%, al nord-est il 10,2%, al centro il
14,4%, nel Mezzogiorno il 59,8%. Lo studio ha voluto approfondire il dato
verificando la convinzione che la scelta di inattività fosse propria della persona, in
questo modo la percentuale si è abbassata al 23%, introducendo il concetto dicopione territoriale: le aspettative comportamentali che si hanno verso la donna
legate ai modelli culturali e alle rappresentazioni sociali di un territorio; il copione è
un ruolo assunto già dall’infanzia, rinforzato dai genitori, dal contesto educativo e
sociale (Berne, 2000).
Considerando il tasso di occupazione, la situazione non risulta più positiva.
2 L’inattività è il rapporto tra le persone non appartenenti alle forze di lavoro e la corrispondente popolazione diriferimento3 Isfol “Mercato del lavoro e politiche di genere 2009-2010”4
“Coerenza e dissonanza nei percorsi di vita delle donne. Un’analisi psicosociale delle cause dell’inattivitàfemminile” Studi Isfol anno 2009
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Interrompendo la tendenza favorevole degli anni precedenti, il tasso di
occupazione delle donne (15-64 anni) è sceso nel 2009 al 46,8%, un valore molto
lontano da quello dell’Unione europea (58,2%). Le conseguenze sono state
particolarmente evidenti nel Mezzogiorno, che ha assorbito quasi la metà del calo
complessivo delle occupate e che già presentava bassi tassi di occupazionefemminile. In quest’area, il tasso di occupazione è del 30,6%, contro il 57,3% del
Nord-est.
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La tabella sopra riportata espone come l’Italia sia uno dei paesi più indietro in
merito alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro, con progressi minimi
negli ultimi trent’anni.
Si è ulteriormente abbassato il tasso di occupazione delle donne con titolo di
studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore: nel Mezzogiorno
raggiunge un livello che supera di poco il 20%. Solo le laureate riescono a
raggiungere i livelli europei, se si escludono le giovani, che incontrano difficoltà
all’ingresso nel mercato del lavoro. L’Italia è il paese europeo con la più bassa
percentuale di donne occupate con istruzione primaria, ed è al terzultimo posto
(meglio di Grecia e Spagna) per quelle occupate con istruzione secondaria e
universitaria.
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In questo scenario di indicatori con squilibri, si evidenzia anche la persistenza
di un mercato segregato per professioni e settori in termini di genere.
Circa la professione emerge la prevalenza maschile su tutte le posizioni, legataanche ai valori più alti di presenza nel mercato.
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Figli , maternità e doppio ruolo
Rispetto al tema degli squilibri di genere tra tempo di lavoro e di cura , tutte
le donne europee tra 20 e 54 anni trascorrono più tempo degli uomini per il lavorodomestico e di cura, ma le donne italiane sono tra le prime. Le donne italiane che
lavorano occupano maggior tempo dei partner nelle attività familiari (4 ore e 40
minuti al giorno a fronte di 1 ora e 54 minuti). L’asimmetria di genere nella divisione
domestica del lavoro non facilita di certo la presenza e la permanenza della donna
nel mercato. Le disuguaglianze di genere permangono anche a parità di occupazione:
dirigenti, imprenditori e liberi professionisti, ad esempio, trascorrono un’ora al
giorno a svolgere le faccende domestiche contro le quasi due ore delle colleghe.
La cura della famiglia è un elemento che grava sulla donna: la presenza di
persone anziane non autosufficienti o disabili e il numero di figli influenza
notevolmente la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e la sua inattività.
Le donne che lavorano con figli sono meno rispetto a quelle senza figli, e lo
scarto aumenta all’aumentare del numero dei figli stessi, ma mentre in altre paesi
europei (per esempio in Francia) lo scarto è particolarmente evidente al terzo figlio,
dimostrando, che fino al secondo, la presenza della donna nel mercato del lavoro è
più probabile, in Italia lo scarto è già tra donna senza figli e primo figlio (4,5% in
meno di occupate con figli rispetto a quelle senza), con 2 figli (10% in meno) e con
terzo figlio (22% in meno). Le donne che lavoravano prima della nascita del figlio e
che subito dopo la sua nascita non lavoravano più, motivano l’abbandono del
lavoro per poter stare con il figlio in più dell’87% dei casi . In questa occasione
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sarebbe da chiedersi se la scelta sia influenzata (e se sì, di quanto) dalle aspettative
legate allo stereotipo di genere, secondo il quale la donna dovrebbe occuparsi dei
figli e della famiglia più che del lavoro. Ovvero, con un andamento come negli altri
paesi europei, in cui l’occupazione femminile ha una rapida discesa nei tre anni
immediatamente successivi alla nascita del figlio e un successivo graduale ritorno al
lavoro (andamento a “U”), in Italia, invece, continua a diminuire.
Il fattore che maggiormente caratterizza strutturalmente la partecipazione al
mercato del lavoro delle donne è la discontinuità occupazionale legata all’evento
della maternità. Al 2010, la maternità continua ad essere il principale motivo di
abbandono del lavoro da parte delle donne, che comporta una perdita secca dal
mercato del 16%. In oltre la metà dei casi interrompere il percorso lavorativo in
occasione di una gravidanza non è il risultato di una libera scelta : sono state
licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza.
Le possibilità di lavorare tra i 18 e i 21 mesi dopo la nascita del figlio è di quasi
il 50% (Casadio et al., 2008), dato legato all’età della madre: le madri meno giovani
rientrano più frequentemente al lavoro, mentre quelle sotto i 25 anni sperimentanomaggiori difficoltà. Per le donne non occupate la probabilità di entrare nel mercato
del lavoro dopo la nascita di un figlio è praticamente nulla. Sono le donne con
elevata istruzione a rientrare nel mercato del lavoro a pochi mesi dalla nascita del
figlio, mentre quelle con bassa e media istruzione spesso non rientrano affatto .
Infatti, a 4 anni dalla nascita del figlio il 60% delle donne con bassi titoli di studio è
ancora fuori dal mercato del lavoro (Pronzato, 2006). Le donne con un titolo di
studio più elevato sono in grado di utilizzare più risorse, quali beni e servizi di
mercato e tempo dei familiari, inclusi i partner che collaborano di più nelle coppie
più istruite, e di utilizzarle in maniera più efficiente e razionale. Queste strategie
affiancate al dedicare maggior tempo ai figli e meno al lavoro domestico riducono gli
effetti negativi sui bambini piccoli dovuti all’assenza di ambedue i genitori (Del Boca
e Saraceno, 2005).
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L’incidenza maggiore del peso per le cure familiari è nella classe d’età tra i
30 e i 39 anni, da molti economisti definita sandwich generation
, ossia il momento
anagrafico in cui la donna viene simultaneamente compressa da esigenze di cura di
figli e di anziani. Si consideri che in questa classe d’età si riscontrano, solitamente, le
maggiori opportunità lavorative, di carriera, aumenti di salario. Per cui la donna si
trova fuori dal mercato del lavoro per la maternità, che richiede minimo tra i 6 e i 12
mesi alle cure del figlio, comportandone l’esclusione in un momento cruciale per la
sua carriera e le opportunità lavorative. Senza contare che il periodo di interruzione
implica la riduzione di quei contatti e di quelle relazioni che possono facilitare
l’inserimento lavorativo; si può affermare che la maternità sia un momento di stalloper la donna, che rischia d’essere sorpassata, senza contare che le continue
interruzioni dovute alle lunghe pause comportano future difficoltà nel percepire una
pensione.
In queste condizioni la donna si trova a dover fare i conti con la possibilità di
dover ricorrere all’aiuto di terzi o meno, consapevole che se vuole avere dei figli, o
anche solo uno, comporta un’inevitabile interruzione dell’esperienza lavorativa, con
le relative conseguenze. Da segnalare che, anche in quelle condizioni ritenute
“sicure”, ovvero donne dipendenti con contratti a tempo indeterminato e/o inserite
in contesto di pubblico impiego, il rientro al lavoro dopo la maternità non è sinonimo
di garanzia di continuità di copertura del proprio ruolo e svolgimento delle stesse
mansioni.
Durbin e Tomilnson (2010) hanno intervistato donne manager ad orario part-
time del Regno Unito per analizzare il percorso lavorativo da loro intrapreso:
l’81.25% di loro erano in una posizione diversa prima della maternità, ovvero con
orario full-time (la riduzione d’orario è stata una trattativa non volontaria) e
successivamente si sono trovate, al rientro, con un ruolo diverso e di minor spessore,
che diminuiva il numero di prospettive e di opportunità.
Considerando l’interruzione obbligata in caso di maternità e lo stereotipo di
genere che disegna il lavoro della donna come una cosa extradomestica, ci si può
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aspettare che il suo ingresso nel mercato sia posto in secondo piano rispetto a quello
dell’uomo, che garantirebbe continuità, presenza e forza fisica.
Gap salariale di genere e segregazione del mercato
Ricordando che alla donna solo nel 1963 è stato concesso di poter
intraprendere qualsiasi professione, l’Italia è il paese europeo più “male
breadwinner”: le coppie con donne tra 25 e 54 anni, in cui lavora solo l’uomo sono il
37,2%. Vicini a questo target sono Grecia, Spagna, Lussemburgo e Polonia. Invece,
Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia si attestano al di sotto del 10%. Lacollocazione geografica dei modelli “male breadwinner” in Italia è concentrata, per
oltre il 50%, al Sud ed Isole.
Anche per le coppie in cui entrambi lavorano, la donna contribuisce
comunque meno dell’uomo al reddito familiare (in misura inferiore al 40%). In
Europa, incide generalmente il part-time. In Italia, invece, dove il part-time è
comunque basso, ad incidere è la segregazione orizzontale5 del mercato che colloca
le donne in basse posizioni professionali e settori economici meno rimunerativi.
Questo dovrebbe farci riflettere in modo particolare sugli studi e i dati delle sezioni
precedenti, in cui si evidenzia la tendenza del genere femminile a scegliere alcuni tipi
di percorsi formativi, e sull’importanza della presenza della madre lavoratrice, che
sia di modello per trasmettere il valore del lavoro femminile non solo come supporto
alla famiglia e di seconda importanza rispetto a quello del padre.
La cultura italiana, abbiamo capito, non permette molta libertà di scelta per la
donna nello svolgere un ruolo che sia diverso dalla cura della famiglia. A questo
contribuiscono le misure politiche che non hanno previsto maggiori servizi per
bambini in età scolare e pre-scolare e quelli volti ad incentivare la conciliazione di
tempi di vita e lavoro, impedendo alle madri di de-famigliarizzarsi e di liberarsi dai
lavori di cura e assistenza all’interno della famiglia, potendo spendere le loro
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La segregazione orizzontale riguarda la diversa presenza delle donne e degli uomini in determinatisettori professionali.
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competenze sul mercato. Sono state compiute delle scelte che hanno privilegiato le
misure di sostegno al reddito piuttosto che incentivare i servizi.
La religione ha rafforzato a tutelare il modello di famiglia tradizionale: nettaseparazione di ruoli e compiti fra i genitori, dove la donna ha un ruolo centrale nelle
attività di cura di tutta la famiglia.
Ritornando ai dati, in Italia, si presenta una segregazione verticale del lavoro,
ovvero la presenza di disparità di prestigio e retribuzione fra i sessi nonostante le
donne presentino curricula formativi analoghi ai colleghi maschi. In Italia, le donne
guadagnano il 13% in meno degli uomini (Rosti, 2006). Inoltre i differenziali salariali
tra gli uomini e le donne italiane crescono al crescere delle retribuzioni e
all’aumentare del livello gerarchico.
I due fenomeni di segregazione verticale e orizzontale sono legati, tanto che
anche in quei settori considerati femminili (quali l’insegnamento, sanitario
infermieristico, parrucchiere) gli uomini che vi accedono ricoprono le posizioni più
prestigiose: non è difficile trovarsi in un salone in cui ci si trova a parlare con tutte
dipendenti donne, mentre il titolare è un uomo.
Gli unici profili in cui la presenza femminile è superiore a quella maschile
sono le coadiuvanti familiari, i collaboratori o prestatori d’opera occasionali, le
impiegate e, con il valore più elevato, le lavoratrici a domicilio. Totalmente inversa la
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situazione per i profili quali imprenditori, liberi professionisti, lavoratori
indipendenti, dirigenti, lavoratori in proprio.
Circa la segregazione orizzontale per settori economici (fig. 5) ossia laconcentrazione femminile in ambiti specifici, il discorso è complesso: come scritto
nelle pagine precedenti, le aspettative legate allo stereotipo comportano che il genere
femminile scelga di svolgere quelle professioni ritenute a loro più adatte, che
richiedono la cura e l’assistenza della persona, la cura delle relazioni.
Al 2009, continuano ad esistere settori tipicamente maschili (industria,
costruzioni e trasporti) e settori tipicamente femminili (servizi, istruzione, sanità e
assistenza). Un trend consolidato da circa 30 anni.
Abbiamo già considerato nei precedenti capitoli le possibili ragioni di queste
tendenze: stereotipi di genere, stereotipi professionali, selezioni aziendali, scelte
personali. Meccanismo che porta effetti sui differenziali salariali: i settori in cui si
collocano le donne sono settori a bassa rimuneratività, ed all’interno degli stessi
settori continua a persistere la segregazione verticale di genere, per cui non è
scontato che una maggiore presenza femminile corrisponda ad un’equa distribuzione
all’interno dei luoghi di lavoro. Ovvero, le donne si trovano in quei settori meno
retribuiti, considerando che non raggiungono facilmente le posizioni più elevate
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nella scala gerarchica, comporta un ulteriore ribasso delle “speranze” in un più
elevato dello stipendio.
Altra caratteristica del mercato del lavoro italiano è l’elevata concentrazionefemminile nei lavori non standard6 (fig.6). In tutti gli aspetti considerati (titolo di
studio, territorio, età) la presenza femminile è superiore a quella maschile. In
particolare, la più colpita è l’età giovanile 18-29 anni, dove vi è la maggiore
concentrazione. Diventa particolarmente critica la situazione se si combinano le
variabili: laurea, età giovanile e residenza nel Mezzogiorno ed Isole.
L’elevata presenza femminile nei lavori non standard presenta degli effetti
di medio periodo, in cui si evidenziano delle differenze di genere in termini di
trasformazioni del contratto nel corso di un biennio di riferimento. Tra gli uomini che
nel 2006 avevano un contratto di lavoro non standard, il 59,4%, due anni dopo, ha
visto una trasformazione in contratto standard. Lo stesso fenomeno ha riguardato
solo il 48,4% delle donne. Per le donne, il contratto non-standard diventa unatrappola da cui si scappa con meno probabilità.
Quello di cui i dati statistici non tengono conto, sono le motivazioni e i
bisogni delle persone, si potrebbe dire che questi sono numeri senza una voce che
li spieghi.
6
Per lavoro ‘non standard’ si intendono: contratto a tempo determinato, contratto insomministrazione e part-time (subordinato) e co.co.co, lavoro a progetto (non subordinato)
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Di sicuro, aumentare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro,
come dimostrato, comporterebbe un aumento del PIL e di una maggiore sicurezza
famigliare per nuclei con doppio reddito.
Secondo le stime della Banca d’Italia (2008) la domanda di nidi sarebbe del
40% che non copre totalmente l’offerta. I paesi Nord Europei dimostrano come la
partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia cresciuta di più quando c’è stata
anche una crescita dei nidi per l’infanzia.
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CONCLUSIONI
Non tutte le donne vogliono lavorare, non tutte vogliono fare carriera, ma
quelle che vogliono entrare nel mercato del lavoro si trovano in una lotta in cui
giocano sfavorite, in cui pochi puntano le scommesse su di loro. E per quelle che non
vogliono è da chiedersi se sia l’educazione sociale impartita a condizionare le loro
scelte.
Fattori personali, sociali e culturali sono così intrecciati tra loro da non poter
essere considerati singolarmente, rendendo la questione più complessa di quanto
sembri. Un uomo non può permettersi, socialmente, di non avere un lavoro, una
donna può ancora scegliere se lavorare o no. L’uomo deve lavorare e portare i soldi a
casa e mantenere la famiglia, la donna deve pensare a tenere salde le relazioni
famigliari.
Ad oggi, non ci sono pari possibilità di scelta per l’uno e l’altro sesso, non ci
sono le basi per poter pensare a pari opportunità finché non forniremo
un’educazione impari ai nostri figli: le nostre basi del futuro.
Per facilitare l’accesso delle donne nel mercato del lavoro non è da prendere in
esame solo attività di prevenzione nei luoghi di lavoro sugli stereotipi, sulla
violenza, mobbing, ecc, ma anche nelle scuole, al fine di favorire la consapevolezza
degli stereotipi e delle sfumature nelle professioni, più tutte le azioni politiche che
dovrebbero creare dei servizi e una flessibilità a favore della produzione e non della
presenza della persona.
Far crescere i nostri figli e le nostre figlie con l’idea che i sogni non hanno ungenere sessuale non può che condurre ad una crescita sociale, in cui le differenze
sono dei valori personali e di genere.
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Ricordi
Sono giovane, eppure quand’ero piccola mi ricordo che gli amici dei miei
genitori si lamentarono del fatto che le donne stavano rubando (anni ’80) il lavoro
agli uomini, che l’uomo doveva garantire col suo lavoro mangiare per tutti: la moglie
che andava a lavorare era una sconfitta per la famiglia, soprattutto per l’uomo.
Assieme a queste considerazioni, quando iniziai a scegliere il mio percorso
formativo, si aggiunsero le idee che dovevo studiare per cultura personale, che il
lavoro sarebbe stato importante come soddisfazione personale, se non lo avessi
trovato non importava in caso mi fossi sposata con un “buon partito”.
Ricorderò tutti i giochi preclusi (no, perché sei femmina): a calcio, ai giochi di
ruolo, alle macchinine, ai soldati/pirati.
Ricorderò sempre quando, in terza elementare (scuola privata cattolica),
scendendo le scale, due compagni di classe mi presero a calci la cartella che avevo
sulle spalle, ed io, dopo aver chiesto più volte di smetterla, mi girai dando a uno di
loro un pugno sulla tempia. La maestra riprese la mia aggressività e non la loro,
portandomi via, e tenendomi per mano continuò a rimproverarmi, mentre iogiustificavo la mia azione spiegando l’accaduto. In seguito, ovviamente, io fui
costretta a chiedere scusa e loro furono lasciati liberi di rifarlo le volte successive…ad
altre compagne di classe: io non fui più disturbata.
Ricorderò volentieri tutto questo quando crescerò i miei figli/le mie figlie e
parlerò con quelli degli altri, in attività di orientamento o meno.
Chi trascura di imparare in giovinezza perde il passato ed è morto per il futuro.
(Euripide)
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APPENDICE
Promozione delle pari opportunità
Art.42 - Adozione e finalità delle azioni positive (L.10 aprile 1991, n.125, art.1,commi 1 e 2)
1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli
che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, sono dirette a favorire
l'occupazione femminile e realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel
lavoro.
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale,
nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi
di mobilità;
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in
particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della
formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la
qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che
provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con
pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero
nel trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali
e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori
tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle
condizioni e tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e
una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi;
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f-bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza
femminile.
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