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Sassoferrato Pubblicazione a cura dell’Associazione “Sassoferratesi nel mondo” N°4 - Luglio 2010 mia

Sassoferrato Mia Anno 2010

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SassoferratoPubblicazione a cura dell’Associazione

“Sassoferratesi nel mondo”N°4 - Luglio 2010 mia

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Sommario

1 La parola al presidente onorario (Padre Stefano Troiani)2 Il saluto del sindaco di Sassoferrato (Ugo Pesciarelli)2 Premio Monte Strega 2009 (Rita Ballanti) 4 Immagini della cerimonia (Foto e Arte di Paola Ballanti )5 I Premiati (curricula)9 Premio Monte Strega 2010 (programma)

10 L’altro illuminismo (Sergio Belardinelli)11 Pandolfo Collenuccio (Tiziana Gubbiotti)14 Suor Maria Paola Rotati (Maria Luisa Di Blasi)15 Alcune note sul Cardinale Oliva da Sassoferrato (Raniero Massoli-Novelli)18 Coldellanoce (Umberto Comodi Ballanti)21 Il comprensorio fabrianese e il territorio che “non c’è” (Galliano Crinella) 22 Bartolo, il primo sassoferratese nel mondo!(Mario L. Severini) 24 L’amore tra erotica e etica (Giancarlo Galeazzi)25 Gli elementi lapidei e decorativi dell’Abbazia di S. Croce degli Atti: (Claudia Caldari)28 A Sassoferrato, quando un monumento al Sassoferrato? (Vitaliano Angelini)29 Il Monte di Pietà di Sassoferrato (Renzo Franciolini)31 Consumismo e tradizioni locali (Rita Ferri)33 XXXI Congresso Internazionale di Studi Umanistici34 San Francesco nelle Marche. Un viaggio che dura otto secoli (Vitaliano Angelini)35 Tre iniziative dell’Associazione (Vittorio Toni)37 Il Golf resort a Sassoferrato (Rita Ballanti)38 Sassoferrato: turismo, cultura, ambiente e enogastronomia (Giovanni Pesciarelli)39 Alla ricerca delle proprie radici (Biagio Marini)40 Un giorno in convento (Alfredo Panzini)42 L’occupazione della miniera di Cabernardi nei ricordi di Lidia Franchini (G. Mazzotta)43 Un ospite speciale in classe (Paola Diotallevi)44 Rosario della sera (Giuseppe Bianchi)45 LA POST@ DEI SOCI

Lettera all’Associazione (Sandro Boccadoro)Lettera al Direttore (Dino Morici)

46 Galleria fotografica sassoferratese (foto di Massimo Bardelli)47 NOTIZIE IN BREVE

Nuovo Consiglio dell’AssociazioneRilegatura prime cinque emissioni rivista “Sassoferrato Mia”Un francobollo dagli USAPatrick Amori (R.M.N.) L’antica fonte di CabernardiPubblicazioniAiuti a Suor Maria Paola RotatiAiuti a Padre Armando PierucciCondoglianze

48 Un nuovo socio

In copertina:Centro storico Sassoferrato, Vicolo Frasconi. (Foto di Raniero Massoli-Novelli)

Sassoferrato Mia

Rivista annuale fondata nel 2006.Pubblicazione distribuita ai soci. La riproduzione degli articoli, ancheparziale, è consentita citando la fonte.Gli articoli pubblicati, testimoniano sol-tanto il pensiero degli autori e non com-portano responsabilità della Direzione.

Direttore:Raniero Massoli-NovelliVice Direttore:Stefano Troiani

Direzione:Palazzo Baldini, Corso Don Minzoni, 40 60041 Sassoferrato (An) - Italy

Redazione:Vittorio Toni

Hanno collaborato:Vitaliano AngeliniDavide BallantiRita BallantiMassimo BardelliSergio BelardinelliGiuseppe BianchiSandro BoccadoroClaudia CaldariUmberto Comodi BallantiGalliano CrinellaMaria Luisa Di BlasiPaola Diotallevi Rita FerriRenzo FrancioliniGiancarlo GaleazziTiziana GubbiottiBiagio MariniRaniero Massoli-NovelliGiovanni MazzottaDino MoriciAlfredo PanziniClaudio ParisGiovanni PesciarelliUgo PesciarelliMario Luigi SeveriniMario ToniVittorio ToniStefano Troiani

Stampa:Tipografia Garofoli Sassoferrato

AREA ARCHEOLOGICA DI SENTINUM(Loc. S. Lucia, a 2 km dal centro abitato)Orario visite: dal lunedì al sabato e la II e IV domenica del mese: ore 8.00-14.00.Primo e terzo venerdì del mese: ore 14.00-19.00Agosto: tutti i giorni, ore 16.30-19.30.Tel. 0732.956218/9561 - 338.4033204 (agosto)Sono visibili le strade (cardo e decumano), ruderi delle mura, pavimenti amosaico, colonne di granito. Recenti campagne di scavo hanno consentito ilrinvenimento di un importante sito termale pubblico ed hanno permesso diricavare utilissime indicazioni sulla conformazione dell’impianto urbanisticodi Sentinum e portare alla luce strade, fondamenta, tracce di pavimenti efognature di alcuni edifici del centro urbano dell’antica città romana.

MUSEO ARCHEOLOGICO(Palazzo dei Priori - piazza Matteotti)Orario visite: dal martedì al sabato: ore 10-12Sabato pomeriggio. Ore 16.30-19.30 - da settembre 15.30-18.30Festivi: ore 16.30-19.30-da settembre: 15.30-18.30In occasione del mercatino (25/7,16/8,29/8): anche ore 21.15-23Altri giorni ed orari: previo prenotazione: 0732-956218/9561 - 338.4033204Ristrutturato di recente, vi figurano numerose sculture ed altri reperti chedocumentano gli aspetti più importanti della vita degli antichi abitanti diSentinum: l’organizzazione della vita politica e sociale, la religione, gli stru-menti necessari per una civile convivenza, anfore, lucerne, oggetti decora-tivi, monete, ecc. Sul pavimento di due sale sono collocati mosaici rinvenu-ti a Sentinum. Al piano inferiore del Museo è possibile visitare il grandeplastico raffigurante la “Battaglia delle Nazioni” (avvenuta nei pressi diSentinum nel 295 a.c.) e la Sala Perottiana in cui è custodita una preziosaraccolta di reliquari bizantini e fiamminghi, tra cui l’icona di San De metriodi altissimo valore storico-artistico. Il museo comprende inoltre una sezio-ne dedicata alla preistoria.

MUSEO DELLE TRADIZIONI POPOLARI(Palazzo Montanari)Orario visite: dal martedì al sabato: ore 10-12Sabato pomeriggio. Ore 16.30-19.30 - da settembre 15.30-18.30Festivi: ore 16.30-19.30-da settembre: 15.30-18.30In occasione del mercatino (25/7,16/8,29/8): anche ore 21.15-23Altri giorni ed orari: previo prenotazione: 0732-956218/9561 - 338.4033204Il Museo, il cui edificio è stato completamente ristrutturato dopo i danniarrecati dal sisma del 1997, è stato allestito secondo moderni criteri scien-tifici. Gli ambienti, “ricostruiti” secondo tipici modelli abitativi del mondorurale marchigiano, descrivono, attraverso gli oggetti e gli arredi una real-tà fatta di cose semplici, pratiche, essenziali, ma certamente autentiche,come il duro lavoro e la quotidiana fatica di un’epoca ormai lontana. IlMuseo è articolato in 6 sezioni. Al piano terra sono ubicate le prime 4sezioni: 1) Lavorazione della terra (aratura e semina); 2) Lavorazione deiprodotti (mietitura e trebbiatura); 3) Lavorazioni domestiche (filatura, tessi-tura); 4) Mezzi di trasporto (birocci, carri). Nel piano seminterrato sono ubi-cate le due sezioni che ricostruiscono, tramite gli arredi e gli oggetti del-l’epoca, l’atmosfera che si respirava sia nella casa contadina che nelle bot-teghe degli artigiani; 5) Ambienti domestici (forno, cantina, dispensa,camere, cucina); 6) La vorazioni artigiane (tornitore, falegname, arrotino,boscaiolo, ciabattino, bottaio, fabbro, maniscalco, muratore, cocciaro, cor-daro, apicoltore).

CIVICA RACCOLTA D’ARTE E INCISORI MARCHIGIANI(Palazzo Oliva,Piazza Matteotti)Orario visite: dal martedì al sabato: ore 10-12Sabato pomeriggio. Ore 16.30-19.30 - da settembre 15.30-18.30Festivi: ore 16.30-19.30-da settembre: 15.30-18.30In occasione del mercatino (25/7,16/8,29/8): anche ore 21.15-23Altri giorni ed orari: previo prenotazione: 0732-956218/9561 - 338.4033204

La “Civica Raccolta d’Arte” comprende 29 pregevoli opere che vanno dalXV al XVIII secolo. Tra queste, tre tavole appartenenti a Pietro Paolo Agabiti(1470-1540), eccellente pittore, architetto e ceramista e tre tele di GiovanBattista Salvi (1609-1685), il grande pittore universalmente conosciutocome “il Sassoferrato”. La raccolta “Incisori marchigiani”, trasferita alComune dai coniugi Mirella e Franco Pagliarini, comprende invece oltre 400grafiche (tra cui 17 disegni), realizzate da 210 artisti marchigiani.Opere chevanno dal 1550 ai giorni nostri.

RASSEGNA INTERNAZIONALE D’ARTE “G.B.SALVI”Palazzo ex Pretura, Via GaribaldiOrario visite: dal 18 luglio al 30 agosto, tutti i giorni dalle ore 17 alle 21.

MUSEO DELLA MINIERA DI ZOLFO(Loc. Cabernardi, a km.10 da Sasso ferrato)Orario visite: Sabato e domenica: ore 15-19. –Prenotazione, anche altrigiorni, tel. 0732-975241, 975025,333-3239363,0732-956218.Il Museo raccoglie in 5 ampie sale e in un lungo corridoio, documenti, foto-grafie, attrezzi da lavoro dell’ex Miniera di Zolfo di Cabernardi. Ottantaanni di attività industriale a cavallo tra gli ultimi anni dell’800 e la metà delsecolo scorso. La ricca documentazione presenta, in una sezione, la vita delpaese e di quello che fu il più grande ed esteso centro minerario solfiferod’Europa.

Abbazia di S. Croce degli AttiOrario visite:Luglio-Agosto: sabato e festivi dalle ore 15 alle ore 19 oppure pre-avviso al n. 333-4211899 o 0732-9375 anche per il restante periodo dell’anno.Costruita nel sec.XII con materiali provenienti dalla vicina città romana diSentinum e recentemente riaperta al pubblico. Al suo interno è custoditoun polittico di Antonio da Pesaro, una tavola di P.P.Agabiti e numerosi affre-schi del sec. XIV.

Chiesa di San FrancescoVisite e prenotazioni: tel. 0732.9375 - 338.4033204Costruzione del 1245 di stile tardo romano o romano-gotico. Conservadipinti del Ramazzani e del Guerrieri. Notevole un Crocifisso del 1300 discuola riminese e cicli di affreschi grotteschi di scuola umbro-marchigiana.

Monastero e Chiesa di S. ChiaraVisite e prenotazioni: ore 9.00-11.30/15.30-17.00. Tel. 0732.9375Costruito nel XIII sec., all’interno ospita opere d’arte di notevole pregio:una Natività attribuita ad Antonio da Pesaro, un affresco di Scuola Umbra edue tra le più belle Madonne del Salvi; inoltre, una Annunciazione del Salvi.

Chiesa di San PietroVisite e prenotazioni: tel. 0732.9375 - 338.4033204Chiesa sorta con il primitivo castello feudale intorno al 1200. Acquistògrande importanza a partire dal 1580 quando il Vescovo di Nocera diedealla Parrocchia di San Pietro il titolo di Collegiata. Rovinò nel 1688, ma nel1717 fu ricostruita e notevolmente ampliata così come si conserva tutt’ora.Vi sono conservati anche altri interessanti dipinti.

Rocca di AlbornozMassiccia costruzione militare risalente al XIV sec. Costruita per ordine delCardinale Egidio Albornoz nel 1365, fu un efficiente presidio difensivo.

RIONE BORGO E DINTORNI:S. Maria del Ponte del Piano (Sec.XIV)S.Teresa d’Avila (1600) in stile neoclassicoSantuario della Madonna del Cerro (circa 10 Km. dal capoluogo)Chiesa di San Lorenzo Martire a Col del lanoce (a 5 km dal capoluogo).Conserva lo stupendo Trittico di Matteo da Gualdo del XV secolo.

Sassoferrato: da visitare

Pro Sassoferrato - Piazza Caballini, 1

Tel.: 0732.96504 - [email protected]

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Sassoferratomia

Cinque anni fa nasceva l’Associazione “Sas-soferratesi nel mondo per Sassoferrato” che,come recita il documento costitutivo, “si pro-pone come scopo di promuovere iniziative perla conoscenza, la conservazione, la diffusionedei valori tradizionali, culturali, turistico-am-bientali della città di Sassoferrato e del ter-ritorio sentinate”. Nell’articolo di aperturadel numero zero della rivista Sassoferratomia (maggio 2006) il Presidente dell’Asso-ciazione, ing. Timoteo Benedetti, accento ro-mano e Sassoferrato nel cuore, haicasticamente sintetizzato il sentimento cheanima i soci di questo gruppo, eterogeneo neirispettivi caratteri e background ma compattonegli obiettivi e nelle scelte: «La nostra As-sociazione, al di là di quanto scritto sui freddidocumenti notarili della sua fondazione,vuole riattivare e mantenere attivo un colle-gamento emozionale con una parte essen-ziale di noi stessi: il luogo di originepersonale o delle nostre famiglie o delle per-sone che rappresentano i nostri affetti; vor-remmo cioè essere il “cordone ombelicale”tra il grande mondo in cui viviamo, e il pic-colo mondo da cui proveniamo». Il motivo fondante dell’Associazione risultaproprio questo, un nesso mai reciso con leproprie radici, e anzi la volontà di rafforzarlecostruendo ponti ideali che colleghino anchei più lontani, e talvolta inconsapevoli figli di-spersi “nel mondo”, a questa Itaca che ci ri-chiama tutti. Sassoferrato è un luogo bello,storico, ricchissimo in arte, cultura, tradizioni,un patrimonio che vogliamo contribuire amantenere e potenziare: è un impegno che inquesti cinque anni l’Associazione ha portatoavanti con varie iniziative, che vanno dalla

pubblicazione della rivista Sassoferrato mia,che vuole costituire un forte trait d’union contutti i soci in Italia e all’estero, all’istituzionedel Premio “Monte Strega”, assegnato ognianno a Sassoferratesi distintisi in diversi set-tori della cultura o dell’imprenditoria, all’or-ganizzazione di mostre, concerti econferenze. Il Presidente Benedetti ha dapoco concluso il suo mandato quinquennale,intenso di idee e proposte, fra cui è oppor-tuno ricordare quella per la quale ha speso isuoi maggiori sforzi, un valido progetto di svi-luppo turistico della zona che possa servireda traino per l’economia locale senza snatu-

rare l’ambiente. I fatti gli stanno dando ra-gione: a fronte dei dati allarmanti sulla crisiche ha colpito tanta parte del mondo, non sisono arrestati i flussi turistici che ovunquehanno avuto una notevole tenuta e addirit-tura segnalano un’apprezzabile ripresa. Sas-soferrato ha grandi potenzialità in questosenso, possiede infatti un’innegabile voca-zione verso il turismo culturale, e non solo,che varrebbe la pena di utilizzare nel modomigliore. La cultura è la cifra esistenziale delnuovo Presidente, la dott.ssa Mara Silve-strini, eletta all’unanimità dai membri del-l’Associazione, certi di avere scelto unpersonaggio “su misura” per i traguardi chesi prefiggono i Sassoferratesi nel mondo. Uncurriculum vitae et studiorum di grande spes-sore il suo, che dimostra non soltanto le in-

discutibili qualifiche professionali, ricono-sciute in Italia e all’estero, ma anche quantaparte del suo tempo, della sua vita e dei suoiaffetti occupi il nostro territorio. Mara Silve-strini si è laureata in Lettere (Archeologiapre-protostorica) presso l’Università degliStudi “La Sapienza” di Roma nel 1974, fre-quentando successivamente la Scuola Na-zionale di Archeologia nella stessa città diRoma. Dopo essere stata Borsista del CNR,è dal 1980 Funzionario Archeologo del Mini-stero per i Beni e le Attività Culturali pressola Soprintendenza per i Beni Archeologicidelle Marche. Presso tale Ufficio è respon-sabile di un vasto territorio; è Direttore delMuseo Archeologico Nazionale di Ancona(per il quale ha collaborato alla progettazionescientifica della Sezione pre-protostorica), èDirettore del Museo Archeologico Statale diArcevia, di cui ha personalmente ed intera-mente progettato l’allestimento, e del MuseoArcheologico Statale di Cingoli di cui ha cu-rato la sezione preistorica, nonché responsa-bile del Servizio Antropologia Naturalistica edi quello Magazzini della Soprintendenza; hainoltre curato l’allestimento di numerosiMusei civici e mostre. Da un punto di vistascientifico, si è occupata e si occupa princi-palmente di pre-protostoria, partecipando aconvegni e seminari in Italia e all’estero. Hapartecipato e diretto numerosi scavi nel ter-ritorio marchigiano, nonché in Libano e inFrancia ed è autrice di numerose pubblica-zioni. Nel 2006 ha organizzato e curato il Con-vegno “Fabriano e l’area appenninicadell’alta valle dell’Esino dall’età del bronzoalla romanizzazione” ed i relativi Atti. Inoltreha progettato e curato le seguenti Mostre:nel 2008 “Potere e Splendore. Gli antichi Pi-ceni a Matelica”, nel 2009 “L’oro dei Celti” e“Donne o dee? Le figure femminili nell’Artepreistorica delle Marche”, nel 2010 “L’Amoreoltre la Morte” e “Ori, argenti e avori. Cor-redi d’élite nell’Ancona ellenistico-repubbli-cana” ed i relativi cataloghi. L’Associazionesarà grandemente valorizzata e arricchita dalpatrimonio di conoscenze, dalla capacità or-ganizzativa, dall’energia della dott.ssa Silve-strini, alla quale da parte di tutti i socigiungono gli auguri per un proficuo svolgi-mento dei suoi compiti e insieme l’impegnodi una completa collaborazione.

La parola al presidente onorario P. Stefano Troiani

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Premio Monte StregaEdizione 2009 Verso nuove frontiere...

Sabato 22 agosto 2009, nella sala del TeatroSentinum gremita da un foltissimo pubblico haavuto luogo la quarta edizione del PremioMonte Strega, alla presenza del sindaco UgoPesciarelli, dell’assessore al Turismo ed Atti-vità Culturali, Massimo Bardelli, del Presi-dente dell’Associazione Sassoferratesi nelMondo, Timoteo Benedetti, del Presidenteonorario, Padre Stefano Troiani, degli altrimembri del Consiglio direttivo e di un folto edattento pubblico. Le autorità hanno introdottola cerimonia di premiazione, sottolineando lavalidità degli scopi dell’Associazione, la qualesi prefigge di mantenere legami con coloro cheper varie ragioni hanno lasciato il luogo natioe che hanno dato lustro al nome di Sassofer-rato in Italia e nel mondo. Nel suo saluto aipremiati ed ai loro familiari, il Presidente hasottolineato il continuo progresso conseguitodall’Associazione nella propria attività ed ilconsolidato prestigio raggiunto dal PremioMonte Strega; premio che viene assegnato

ogni anno dall’Associazione a sassoferratesio personaggi di origine sassoferratese distin-tisi nei singoli settori di attività. I premi sonostati assegnati quest’anno al Prof. Sergio Be-lardinelli, eminente studioso e docente uni-versitario di Filosofia e Sociologia e membrodi prestigiose accademie italiane e straniere,ed a Suor Maria Paola Rotati per il suo nobileimpegno missionario in America Latina. Ipremi alla memoria sono stati assegnati al Dr.Ruggero Rossi, recentemente scomparso dopolunga e dolorosa malattia; a Mons. GiuseppeFranciolini, vescovo emerito di Cortona; al Dr.Lorenzo Tomatis, medico oncologo ed epide-miologo di fama internazionale, ed al maestroFerruccio Vignanelli, insigne musicista, orga-nista e clavicembalista, originario di Coldella-noce. I profili dei premiati sono elencati nellepagine che seguono. Biagio Marini ha pre-sentato l’evento con la consueta brillantezzae sensibilità. Il prof. Belardinelli, ritirando lapergamena con la menzione del Premio ha bre-

vemente illustrato ad un pubblico attento, conuna simpatica vena di humor, alcuni aspettipeculiari della sua attività di studioso.Ringraziando l’Associazione per il Premio as-segnatole, Suor Maria Paola Rotati ha com-mosso i presenti con il racconto accorato,accompagnato dalla proiezione di un video, dialcuni aspetti ed episodi della sua opera mis-sionaria in Perù. Commovente è stata anche laconsegna del Premio alla memoria del Dr. Rug-gero Rossi, ritirato dai familiari. Con parolespontanee ed efficaci la figlia ne ha delineatola figura di grande clinico, l’umanità e l’impe-gno sociale da lui sempre esercitato nella pro-fessione e che lo hanno reso una figura diriferimento costante per tutta la comunità. Ilpremio alla memoria del Vescovo GiuseppeFranciolini è stato ritirato dal nipote Renzo chene ha illustrato con efficacia le caratteristichesalienti di pastore sollecito ed impegnato du-rante i suoi quasi 50 anni di episcopato, alquale la città di Cortona è tuttora riconoscente.

di Rita Ballanti

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Cari amici dell’Associazione “Sassoferratesi nel Mondo”,è con grande piacere che rivolgo a Voi tutti il mio più cordiale ed affettuoso saluto.Il vostro sodalizio, nato cinque anni fa, ha ulteriormente incrementato quel grande patrimoniocostituito dalle numerose associazioni che operano nella nostra città. L’attività da voi svolta in questi anni, che si è via via arricchita di sempre nuove iniziative, hasicuramente contribuito a rinforzare quel legame indissolubile con le proprie radici dei concit-tadini residenti in altri comuni o all’estero e, al tempo stesso, a valorizzare e promuovere la sto-ria, la cultura, l’arte, le tradizioni e le bellezze turistico-ambientali della nostra città e del suoterritorio. La conoscenza e l’approfondimento di questo ricco patrimonio artistico, culturale am-bientale, religioso di Sassoferrato non devono però essere solo la celebrazione di un passatoseppur glorioso, ma l’origine e la sorgente di quelle energie morali, spirituali e culturali nuovenecessarie per mettere in atto una progettualità capace di affrontare le sfide non facili che itempi attuali ci pongono di fronte; quelle stesse energie che hanno consentito a tanti di voi diaffermarsi e raggiungere posizioni di rilievo portando alto il nome della nostra terra. La memoriadel passato, la consapevolezza del presente ed una nuova progettualità verso il futuro costi-tuiscono quindi la grande sfida che siamo chiamati ad affrontare. Vi ringrazio sinceramente per quanto fatto fino ad ora e, soprattutto, per quello che riusciremoa fare insieme per far crescere ancora di più la nostra bella Sassoferrato.

Il saluto del sindaco di SassoferratoIng. Ugo Pesciarelli

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Visita il nostro sito www.sassoferratomia.it e troverai tutte le informazioni utili sull’Associazione.Segnalazioni, suggerimenti e iniziative da parte dei soci possono essere inviate a: [email protected]

Il premio alla memoria del Dr. Lorenzo Tomatisè stato consegnato al figlio Paolo, il quale hasottolineato il forte e costante impegno delpadre nella prevenzione dei tumori e dei rischisanitari di origine ambientale, talvolta anchein contrapposizione all’atteggiamento accade-mico ufficiale. Infine, il premio alla memoriadel maestro Vignanelli è stato ritirato dal figlio,maestro Francesco, noto violoncellista e fon-datore del Trio Arcadia di Roma, che ringra-ziando per questo riconoscimento ha messo inluce il rigore professionale di concertista e didocente del padre, che ha fortemente contri-buito alla formazione di generazioni di artisti.Egli si è detto inoltre grato per aver potuto cosìvisitare per la prima volta il luogo di originedella sua famiglia. A tutti i premiati o loro fa-miliari sono state consegnate le belle cerami-che con l’emblema del Premio Monte Stregaeseguite anche quest’anno dall’artista Rai-

mondo Rossi di Urbania con un tocco di raffi-nata personalizzazione. Gli stacchi musicalidella concittadina flautista Fabiola Santi hannogarbatamente intervallato i vari momenti dellacerimonia e sono stati molto apprezzati dalpubblico. Da parte della nostra Associazione vail sentito ringraziamento al Sindaco Ugo Pe-sciarelli, all’assessore alla cultura MassimoBardelli e al personale dell’Amministrazione Co-munale che con professionalità, gentilezza espirito di collaborazione ha permesso di risol-vere i complessi problemi connessi con la ma-nifestazione.Un caloroso ringraziamento va alla Fondazionedella Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupra-montana che ha generosamente contribuitoalla realizzazione della manifestazione; allaSig.ra Lea Luzi della Farroteca Monterosso peril ricco buffet offerto anche quest’anno; alleditte Fiori & Piante Primavera e Clorofilla per il

bell’addobbo floreale della sala, e alla dittaFoto & Arte per il servizio fotografico. Nell’oc-casione, Biagio Marini non ha dimenticato diringraziare a nome dell’Associazione i varisponsor che con il loro contributo rendono pos-sibile ogni anno la pubblicazione della rivista“Sassoferrato mia”, diventata ormai un pre-zioso strumento per fidelizzare i nostri associatie per acquisirne di nuovi. L’evento del PremioMonte Strega si è degnamente concluso do-menica 23 agosto nella splendida cornice del-l’Abbazia di Santa Croce in Sassoferrato -ritornata in possesso della preziosa pala di Pie-tro Paolo Agabiti appena restaurata - con unconcerto di musica da camera del Duo Arcadia- maestro Francesco Vignanelli al violoncello ela consorte Laura Bianco al violino - precedutoda una breve e applaudita esibizione dellaflautista Fabiola Santi, accompagnata dal cla-rinettista Andrea Fanesi.

DIREZIONE GENERALEViale Martiri della Libertà, 46/b - 61045 Pergola (PU) - Tel. 0721.73981

FILIALE DI SASSOFERRATOVia B. Buozzi, 2 - Tel. 0732.959556/57

Email: [email protected]

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Biagio Marini presenta la manifestazione La parola al sindaco Ugo Pesciarelli Sergio Belardinelli

S. Belardinelli, T. Gubbiotti e G. Pesciarelli Rita Ferri con Suor Maria Paola Rotati Suor Maria Paola illustra la sua Missione

Renzo Franciolini Il sindaco con la famiglia Rossi Il sindaco con Giuliana Mercurio Rossi

Paolo Tomatis e Vittorio Toni G. Pesciarelli, P. Tomatis e l’ass. M. Giulietti Francesco Vignalelli, in piedi, durante la premiazione

Paola Santi al flauto Il presidente Timoteo Benedetti Padre Stefano, presidente onorario

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Prof. Sergio BelardinelliSergio Belardinelli è nato a Sassoferrato (AN)il 5 marzo 1952; nel 1975 si è laureato in Filo-sofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofiadell’Università degli Studi di Perugia; neglianni 1979-80 è stato borsista della “KonradAdenauer Stiftung”, prima, e della “Alexan-der von Humboldt Stiftung” poi, presso il“Geschwister Scholl Institut fuer politicheWissenschaft” dell’Università di Monaco diBaviera. Dal 1980 al 1989 ha insegnato filo-sofia della storia nella Facoltà di Scienze Po-litiche dell’Università di Trieste; nel 1989 èstato chiamato a insegnare Storia del pen-siero sociologico nella Facoltà di Scienze Po-litiche dell’Università di Bologna; ha inoltreinsegnato in diverse Università straniere.Attualmente è professore ordinario di Socio-logia dei processi culturali nella Facoltà diScienze Politiche “Roberto Ruffilli” dell’Uni-versità di Bologna, sede di Forlì. E’ sociodell’”Accademia Scientiarum et Artium Euro-pea” di Salisburgo e socio corrispondentedella Sezione “Scienze Politiche e Sociali”dell’”Accademia delle Scienze dell’Istituto diBologna”. Dal 2002 al 2006 ha fatto parte del“Comitato Nazionale di Bioetica”. Dall’otto-bre 2008 è coordinatore del “Comitato per ilProgetto Culturale” della Conferenza Episco-pale Italiana, presieduto dal Card. CamilloRuini. E’ autore di un centinaio di articoli, pub-blicati in riviste e volumi collettanei italiani estranieri. Tra i suoi libri ricordiamo: Il progettoincompiuto. Agire comunicativo e complessitàsociale, Franco Angeli, Milano 1996; La co-munità liberale. La libertà, il bene comune e lareligione nelle società complesse, Studium,

Roma 1999; La normalità e l’eccezione. Il ri-torno della natura nella cultura contempora-nea, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002;Contro la paura. L’occidente, le radici cristianee la sfida del relativismo, Liberal, Roma 2005;Kirche und Erziehung in Europa (insieme a KarlBallestrem e Thomas Cornides), VS Verlag,Wiesbaden 2005; Bioetica tra natura e cul-tura, Cantagalli, Siena 2007. E’ editorialistadel “Corriere di Bologna” e collaboratore didiverse altre testate giornalistiche. E’ diret-tore della collana “Come se Dio fosse” pressol’Editore Cantagalli di Siena. Questa Associa-zione è onorata di assegnare al Prof. SergioBelardinelli il Premio Monte Strega 2009 peri numerosi meriti acquisiti e per l’immagineche ha arrecato e continua ad arrecare allacittà di Sassoferrato e al territorio Sentinate.

Suor Maria Paola Rotati. Suor Maria PaolaRotati (Graziella Rotati), nata a Catobagli diSassoferrato nel 1946, dopo aver frequentatola Prima Media a Sassoferrato, ha continuatogli studi presso l’Istituto “Bambin Gesù” diGualdo Tadino conseguendo il diploma di In-segnante Elementare e di Scuola Materna nel1963. Ha insegnato nello stesso Istituto finoal 1966. Dopo l’anno di noviziato e i voti reli-giosi, ha emesso la professione perpetua de-finitiva nel 1972 a Roma, nella Congregazionedelle Suore Oblate del Bambin Gesù. Il suo in-segnamento, dopo alcuni anni a Roma, è pro-seguito, per 28 anni, a Gualdo Tadino, dovenel 1982 le venne affidato il compito di Supe-riora. L’aspetto socio-assistenziale e l’attivitàmissionaria hanno caratterizzato fin dall’ini-

zio la sua attività. Nel 1948, per alcuni mesi,è stata in Brasile per sostituire la Superiora.Quella esperienza è stata occasione per al-largare gli orizzonti sulle povertà del mondo.Altre esperienze significative, per conoscerele situazioni nazionali e internazionali, sonostate in Polonia nel 1991 e per tre anni Con-sigliera Generale della sua Congregazione.Dal dicembre 2000 è in Perù nella difficile pe-riferia di Lima: una zona dura e triste ad altorischio sociale. Migliaia di persone vivono inagglomerati di baracche in condizioni disu-mane. Le situazioni limite sono accanto allaloro casa: persone accampate, in affitto, inpochi metri quadrati, col tetto di cartone e pla-stica, senza acqua. Condizioni inumane chesuperano ogni immaginazione! I bambini ri-sentono più di tutti di queste situazioni: senzaigiene, senza studio, senza nessun tipo di as-sistenza medica, con un’alimentazione scarsa.Molte adozioni “a distanza” sono state atti-vate, dietro l’appello lanciato a persone lon-tane e sensibili, così come borse di studio perpermettere ai bambini di studiare e ad alcuniseminaristi di pagare gli studi universitari oteologici. Soddisfare le esigenze di tutti è tut-tavia il problema più grosso. Con alcuni laici,che hanno aderito alla loro spiritualità, SuorMaria Paola e le altre Suore hanno ristruttu-rato ed ampliato due saloni della parrocchia,aiutate economicamente dalla Caritas di As-sisi – Nocera e Gualdo, per offrire ai bambiniil calore della famiglia, l’affetto, dei principisani, un’occupazione alternativa al furto e allasolitudine. Tutti i giorni nella “MisionBelèn” vengono accolti oltre cento bambininei vari laboratori di danza, musica, canto, pit-tura, doposcuola, formazione umano-cri-stiana, mentre gli adolescenti apprendono lalavorazione del cuoio. Per aiutarli a superarei traumi familiari c’è la presenza dello psico-logo. Nel pomeriggio viene loro offerto un’ab-bondante merenda-cena. Il sabato, giorno incui non c’è scuola, sono accolti al mattino eterminano con il pranzo. Anche ai genitorivengono offerti momenti di formazione umana– psicologica – religiosa. Alla “Mision Belèn”tutto è gratis e, oltre alle offerte che arrivanoma che non bastano, ci si aiuta con la venditadi lavoretti e lotterie. Dall’Italia la Provvidenzaarriva con le motivazioni più diverse: bambiniche rinunciano al regalo di Natale, bambinidella Prima Comunione, sposi che rinuncianoalle bomboniere, soldi raccolti al funeraledi….., il primo stipendio, collane vendute.

I premiati

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Con le offerte ricevute “non fiori ma opere dibene” è stata attivata una piccola sartoria! Atre ore da Lima, in Huolmay, Suor M. Paola, aseguito di una donazione di un pezzo di terracon una casetta in terra battuta, ha apertoun’altra comunità a favore della gioventù,dove abita da tre anni. La casetta tuttaviadeve essere demolita, perché si è aperta datutte le parti e costruita una vera casa… maper questo si aspetta il dono della Provvi-denza. A Suor M. Paola ogni tre anni è data lapossibilità di ritornare in Italia e questa estate2009 sarà tra noi. Tre anni fa, oltre al Comunedi Arcevia è stata la Diocesi e la città di Assisiad accoglierla ed onorarla con grande affettoed entusiasmo, per conoscere la realtà in cuivive e per partecipare con grande solidarietàumana all’opera che svolge nella difficile pe-riferia di Lima. E’ per questo che la nostra As-sociazione ha il piacere di assegnare il PremioMonte Strega alla nostra concittadina, forte-mente impegnata verso i più deboli e biso-gnosi del nostro pianeta.

Mons. Giuseppe FrancioliniGiuseppe Franciolini, di Francesco e di Cate-rina Palazzi di Castagna, nacque a Canderico,parrocchia di Monterosso, frazione del Co-mune di Sassoferrato, diocesi di NoceraUmbra, il 10 dicembre 1891. Alunno dapprimadel seminario di Camerino, fu ammesso nel1911 al Seminario Romano; nel 1913 si tra-sferisce al seminario del Laterano. Ordinatosacerdote il 3 marzo 1917, appena celebratala prima Messa, partì per Ancona, chiamatoalle armi nella Sanità militare. Dopo alcunimesi di servizio nell’ospedale militare dellacittà, all’inizio del 1918 fu trasferito al frontebalcanico (Macedonia, Serbia, Bulgaria) e, fi-nita la guerra, rimase a Sofia per alcuni mesi,in attesa della smobilitazione. Durante il ser-

vizio militare ispirò la nascita del periodico“Sursum corda” e ne sostenne la continua-zione anche dopo la guerra. Rimpatriato ametà del 1919, fu nominato vicerettore del se-minario di Nocera Umbra, poi rettore e, nel1925, vicario generale della diocesi. Il 2 marzo1932, appena quarantenne, fu nominato daPio XI vescovo di Cortona ed il 1 maggio rice-vette la consacrazione episcopale nella cat-tedrale di Nocera dal cardinale Giulio Serafini.Mons. Franciolini entrò a Cortona il 19 giugno:vi sarebbe rimasto per quasi 46 anni come ve-scovo e per altri 11 fino alla morte – come ve-scovo emerito. Nel suo lungo governoepiscopale pubblicò 14 lettere pastorali, oltrea numerosi altri messaggi alla diocesi, svolse8 visite pastorali, organizzò ogni 10 anni con-gressi eucaristici , celebrò un sinodo dioce-sano (l’VIII° nella storia di Cortona; dalprecedente erano trascorsi oltre due secoli).Il giovane vescovo si trovò benissimo nelnuovo ambiente e si inserì perfettamentenella ricca tradizione religiosa e culturaledella piccola diocesi (circa 30.000 abitanti di-stribuiti in una cinquantina di parrocchie),tanto da non volerla più lasciare, neppure persedi più importanti. Nel 1940 fu, per alcunimesi, anche amministratore apostolico delladiocesi d’origine, Nocera Umbra e Gualdo Ta-dino, prima della nomina a quella sede dimonsignor Domenico D’Ettorre. Negli annidella guerra, particolarmente nel momentodrammatico del passaggio del fronte, nel1944, monsignor Franciolini fu davvero pertutti padre e pastore, con la sua presenza e,soprattutto, con le molteplici forme di attivitàcaritativa. Accanto alle sollecitudini pastoralie caritative, fu sempre attento alla storia lo-cale ed alla tradizione artistica di Cortona: neè un segno il piccolo, ma interessante museodiocesano, inaugurato il 25 aprile 1945, arric-chito dai dipinti del cortonese Luca Signorellie dalla splendida “Annunciazione” del BeatoAngelico. Ogni circostanza della vita cittadinaera per monsignor Franciolini occasione dipresenza e testimonianza cristiana: esistevainfatti a Cortona la consuetudine di lasciareal vescovo l’ultimo intervento in tutte le ma-nifestazioni pubbliche, anche civili, ed eglinon mancava di approfittarne con semplicitàe saggezza. Dal 1950 al 1956, restando ve-scovo a Cortona, ebbe l’incarico di coadiutore“della sede” di Arezzo. Già anziano negli annidel Concilio Vaticano II°, vi partecipò con as-siduità ed impegno. Il 10 dicembre 1966,giorno del suo 75° compleanno, in obbedienzaalle nuove disposizioni ecclesiastiche, inviò a

Roma le sue dimissioni. Un mese più tardi ilcardinale Carlo Confalonieri, prefetto dellaSacra Congregazione Concistoriale, gli ri-spose che il papa, apprezzando “tale gene-roso gesto”, lo invitava però a “continuare nelgoverno pastorale della Diocesi”. Sempre fe-delissimo al pontefice, monsignor Franciolinifu tra i vescovi che aderirono prontamente al-l’insegnamento di Paolo VI contenuto nell’en-ciclica Humanae vitae: il documento fupromulgato il 25 luglio 1968 e già il 30 luglioespresse al papa, con una lettera, piena ade-sione. Il 18 febbraio 1978 la S. Sede accolsele dimissioni presentate da monsignor Fran-ciolini oltre undici anni prima e la diocesi diCortona fu unita, in persona episcopi, adArezzo. In seguito essa cessò di avere vita au-tonoma per formare l’unica diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro: Giuseppe Franciolini èstato dunque l’ultimo vescovo residente diCortona. Quando fu accolta la sua rinuncia algoverno della diocesi, monsignor Francioliniottenne il permesso di restare ad abitare nelpalazzo vescovile di Cortona. Negli ultimi annifesteggiò il 50° anniversario di episcopato,“decano” di tutti i vescovi d’Italia e di tutta laChiesa cattolica. Monsignor Franciolini si èspento nel palazzo vescovile di Cortona, dopoun anno di grave infermità, il 16 aprile 1989.(tratto da “Sursum corda”, periodico del Pon-tificio Seminario romano maggiore, 1990, n.1, pp. 13-14, con modestissimi ritocchi)

Dott. Ruggero RossiRuggero Rossi nasce a Sassoferrato l’8 mag-gio 1929. Anni difficili da trascorrere in unpaese, come tanti, con limitate risorse di la-voro, di prospettive e di crescita. Lì, frequentale scuole primarie. Gli studi proseguono nellavicina Fabriano dove consegue con profitto laMaturità. Successivamente, con entusiasmo

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si iscrive all’Università degli Studi di Peru-gia nella Facoltà di Medicina. A 25 anni si lau-rea con il massimo dei voti: 110 e lode.Conseguita l’abilitazione inizia la sua carrieraprofessionale a Sassoferrato, prima comeMedico della Mutua, poi come Medico Ospe-daliero. Nel 1958 si specializza presso l’Uni-versità degli Studi di Parma in Pediatria ePuericultura. Nello stesso anno viene nomi-nato Primario Medico presso l’Ospedale S.Antonio Abate di Sassoferrato.Nel 1972 si specializzerà inoltre in Cardiologiaed assumerà la dirigenza sanitaria dellostesso Ospedale. Ruggero Rossi, viene da unafamiglia modesta con una impostazione divita semplice ma dignitosa e solida, scaturitadal duro lavoro; i genitori in quei tempi riu-sciranno a privarsi di tante cose pur di pro-grammare per i loro figli un avvenire miglioreche li tenga al riparo nel futuro da quelle in-certezze che le allora condizioni di vita inveceriservavano. Saranno questi gli esempi di vitache consolideranno la sua personalità., mo-desta, riservata, schiva, di poche parole ma digrande sostanza e umanità. Questo aspettonon lo abbandonerà più fino all’ultimo e cioèfino a quando, solo pochi mesi fa, venuto aconoscenza dell’attribuzione del PremioMonte Strega, a lui riservato, quasi si scher-misce, ci contatta e ci ringrazia, non trala-sciando di muoverci un benevolo rimprovero;un’osservazione da noi gradita, che lo onora e,una dimostrazione - qualora ce ne fosse an-cora bisogno - di una persona di grande e sin-cera umiltà che ha impostato la sua vitalontano dai riflettori. Lui, amava principal-mente la sua famiglia, i suoi figli i suoi nipoti, i suoi amici e tantissimo la sua professione.Amore che gli farà riscuotere la grande stimadi tutti coloro che lo hanno conosciuto. Peroltre cinquant’anni il Dott. Ruggero Rossi la-vorerà con impegno, serietà, passione e tantaprofessionalità. Il dott. Rossi sarà il medico ditutti i Sassoferratesi: tutte le diagnosi lì, al-l’Ospedale Civile di Sassoferrato, passerannosotto la sua scrupolosa e competente atten-zione. Già in passato, nel 1989, il Consiglio diAmministrazione guidato dall’On. Luigi Rinaldipropose e ottenne l’onorificenza di Cavalieredell’Ordine, al merito della Repubblica Ita-liana.Successivamente, nel 1996, lo stessoComune di Sassoferrato gli assegnerà l’ono-reficenza quale testimonianza di gratitudinedella cittadinanza di Sassoferrato per il lungo,esemplare e generoso servizio prestato inqualità di dirigenza ospedaliera e professionesanitaria.

Dott. Lorenzo TomatisNato a Cabernardi di Sassoferrato il2/01/1929 e morto a Lione, 21 Settem-bre 2007. Noto ai più come direttore, dal1982 fino al 1993 della prestigiosa AgenziaInternazionale per le Ricerche sul Cancro diLione, (IARC) in Francia, che valuta e forniscea livello internazionale le linee guida sugli ef-fetti cancerogeni di natura chimica o fisica,da cui trarrà le basi la corrispondente agen-zia EPA statunitense, vi approda dopo unalunga permanenza in USA, dal 1959 al 1967.Laureato in medicina all’università di Torinonei primi anni ‘50, dopo sei anni di lavorocome medico in Italia, e dopo un lungo con-tatto con giovanissimi pazienti ammalati dileucemia, scoraggiato dall’ambiente accade-mico locale, inizia a Chicago, negli Usa, unabrillante carriera di oncologo e di epidemio-logo. Viene considerato uno dei più illustriesperti di prevenzione primaria dei tumori nelmondo. « I ricercatori somigliano di più a sociologi chea innovatori rivoluzionari, si identificano, efiniscono per amare i dogmi. Come i sociologitrovano gran difficoltà a immaginare vericambiamenti che li costringerebbero a met-tere in discussione un dogma. Gli eretici sonorari tra i sociologi come lo sono tra i ricerca-tori e per anni chi si azzardava a sostenereche esistevano meccanismi fondamentali aldi fuori del genoma nucleare rischiava l’os-tracismo, se non il rogo. »Oltre alla principale attività di ricercatore, conoltre duecento lavori fin dagli anni ‘50, pre-correndo i tempi sulla cancerogenesi chimicacome causa del cancro, si è reso noto per l’im-pegno in sociologia della scienza, sulle causedella cosiddetta fuga dei cervellidall’Italia.

Triestino d’adozione, per la sua permanenzafin dall’infanzia, dal 1996 al 1998, è stato di-rettore scientifico dell’ospedale infantile diTrieste ‘Burlo Garofolo.La sua ultima attività riguarda i rischi sani-

tari di origine ambientale. La sua vasta e plu-riennale esperienza nel settore del rischio loha spinto ad assumere posizioni piuttostonette su alcuni argomenti. «Difficilmente lenuove generazioni ci perdoneranno perquesto suicidio ambientale» «Quando si parla di prevenzione del cancro,tutti pensano alla cosiddetta diagnosi pre-coce, ma c’è una prevenzione che si può farea monte, cercando non di limitare i danni dellamalattia diagnosticandola al più presto,quanto piuttosto di evitare l’insorgere del can-cro, impedendo l’esposizione alle sostanzeche lo provocano. La prevenzione primaria sioccupa proprio di questo: fare ricerca sulle so-stanze naturali o sintetiche per capire qualisono cancerogene e, una volta individuate,suggerire alle autorità sanitarie delle misuredi salute pubblica per toglierle dalla circola-zione. Si tratta di una strategia che proteggetutti - il ricco come il povero - ma purtroppo èbistrattata da scienziati, politici e autorità sa-nitarie»

M° Ferruccio VignanelliFerruccio Vignanelli, scomparso a Roma nel1988, nasce a Civitavecchia il 4 ottobre 1903da Giosafat e Firmina Di Francesco, trasferitisinel 1869 nella cittadina laziale da Coldella-noce, il piccolo paese del Comune di Sasso-ferrato da cui trae origine la famigliaVignanelli.Certamente, lasciando il paese natio Giosa-fat portava con sé la speranza, poi realizzata,di costruire un futuro prospero per sé e per lapropria famiglia, ma chissà che nella sua de-cisione non fosse estraneo anche il presenti-mento di una missione da compiere; unamissione troppo grande per restare circo-scritta nell’angusto ambito del paese di ori-gine: quella di assecondare la vocazioneall’arte della famiglia, alla quale i Vignanelli

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sembreranno poi chiamati come per un sin-golare destino. Quando Ferruccio nacque, ultimo di sei figli,l’Arte aveva già deciso di baciare due volte lafamiglia Vignanelli: il primogenito Fernandostrinse amicizia con Ungaretti e Modigliani,esercitando a Parigi la pittura con indiscuti-bili qualità artistiche, fu cesellatore ed orafo,nutrì profondo interesse per l’archeologia. Ilsecondogenito Arnaldo (che assumerà il nomedi Don Francesco, vestendo il saio) fu scultore,mosaicista, intarsiatore che legò il proprionome a due insigni monumenti: l’Altare dellaPatria e la ricostruzione dell’Abbazia di Mon-tecassino, distrutta nel 1944.Ferruccio nacque invece sotto gli auspici dellaDea Musica, dalla quale ebbe in dono un noncomune talento musicale: organista, clavin-cembalista e concertista di fama internazio-nale, ebbe la prima formazione musicale aLugo di Romagna sotto la guida di insignimaestri (per il pianoforte – Pietro Boccaccini,che era stato discepolo di Liszt).Proseguì i suoi studi presso il Pontificio Isti-tuto di Musica Sacra, dove ebbe come inse-gnanti sommi maestri, quali Cesare Dobici,Licinio Refice e, per l’Organo, Raffaele Ma-

nari che esercitò un ruolo decisivo nella suafutura carriera di concertista. In questo Isti-tuto conseguì il diploma in Canto Gregoriano,Composizione ed Organo.Nel 1918, ancora giovinetto (quando avevaancora i pantaloni corti, come ricorderà in se-guito) fu accolto presso l’allora PontificiaScuola Superiore di Musica Sacra, presso laquale conseguì successivamente la Licenza inCanto Gregoriano, i Diplomi di Magistero inOrgano e quindi in Composizione Sacra.Sposò nel 1955 Hedda Illy di Trieste, anche leifiglia d’arte - organista, cembalista e musico-loga, già titolare della cattedra di Organo eComposizione Organistica presso il Conserva-torio di Musica di Sassari – dalla quale ebbedue figli: Francesco, concertista di violon-cello, e Barbara, diplomata in clavicembalo epianoforte, già docente di clavicembalo inConservatorio e titolare di cattedra a Cam-pobasso.Troppo lungo sarebbe l’elenco degli eventi chehanno contrassegnato l’attività concertisticadi Ferruccio Vignanelli e delle manifestazionimusicali che hanno visto la partecipazione delMaestro, sia come organista che come clavi-cembalista. Citiamo soltanto: l’Adunata orga-

nistica di Trento nel 1930 che rappresentò unatappa fondamentale nello sviluppo della tec-nica organaria e dell’organistica italiana; il Fe-stival di Lucerna nel 1950, nel qualesuonarono artisti del calibro di Wilhelm Bac-khaus, Dinu Lipatti, Edwin Fisher, Enrico Mai-nardi, Pierre Fournier, con direttori diorchestra quali Furtwangler, Karajan, B. Wal-ter, Kubelik; la lunga serie di concerti tenutinegli anni per la gloriosa Accademia Nazio-nale di Santa Cecilia. Numerosissime sono leChiese e Cattedrali in Italia e all’estero chepossono gloriarsi di un organo progettato einaugurato dal Maestro (tra i quali, l’organodella Chiesa di S. Maria della Pace qui a Sas-soferrato). Stupisce soprattutto un aspettonella vita e nell’attività del Maestro che forsepiù di ogni altro ne caratterizza la figura. Fer-ruccio Vignanelli fu sempre consapevole diaver ricevuto da Dio il proprio talento musi-cale: questo talento egli diffuse a piene manie cercò di trasmettere con generosità alla nu-merosissima quantità di allievi che accorre-vano alla sua scuola, fra cui affermaticoncertisti, direttori di conservatori e titolaridi cattedra di Organo e Clavicembalo sparsiun po’ in tutto il mondo.

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Diretta web del Premio Monte Strega 201031 luglio dalle ore 16.30 ai siti:

www.sassoferrato.tvwww.sassoferratomia.it

Premio Monte Strega2010

Il 31 luglio la quinta edizione SABATO 31 LUGLIO 2010La consegna del prossimo Premio Monte Strega si terrà alle ore 16,30presso il “Cinema Teatro Comunale del Sentino“ di Sassoferrato, allapresenza del Sindaco e di altre personalità territoriali.

I PREMIATI CONTEMPORANEI:

Ing. Giovanni CastellucciAmministratore Delegato Autostrade per l’Italia

M.llo Paolo Frittella1° Mar. 9° Regg. D’Assalto Paracadutisti “Col. Moschin”

Dott. Paolo MastriGiornalista

Prof.ssa Shawn Erika PagliariniMusicista – Concertista (USA)

I PREMIATI ALLA MEMORIA:

Dott. Pietro LoretelliGenerale Arma Carabinieri

Maestro Giovanni ToniArtigiano e maestro di meccanica

DOMENICA 1° AGOSTO 2010

In mattinata, con partenza alle ore 9,00 da Piazza Matteotti, visitaguidata gratuita per i soci dell’Associazione e per tutta la cittadinanza,ai Musei cittadini (Archeologico, Civico, Incisori Marchigiani, Arti etradizioni popolari).Nel pomeriggio, alle ore 17,30, concerto di musica classica eseguitodalla prof.ssa Shawn Erika Pagliarini e da musicisti americani di famainternazionale, presso la chiesa duecentesca di San Francesco in Sas-soferrato (Castello).

DAL 24/07/2010 AL 9/08/2010, presso l’ex Chiesa di S. Giuseppe(piazza Matteotti) Mostra collettiva d’arte dei soci dell’Associazione.

La cittadinanza è invitata.

Il Premio Monte Strega, ceramica dell’artista urbaniese Raimondo Rossi.

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Dopo un lungo letargo, do-vuto alla diffusa convinzioneche la religione, almeno inOccidente, si fosse definitiva-mente ritirata nell’ambitoassai poco rilevante del pri-vato individuale, il terrorismodi matrice islamica ci hacome risvegliati di sopras-salto e il problema della di-mensione pubblica dellareligione è diventato uno deipunti più caldi del dibattitoculturale contemporaneo.Che si parli di fanatismo fon-damentalista o di identità eu-ropea, di laicità dello stato o

di bioetica, in ultimo è pur sempre del controverso rapporto tra politicae religione che si tratta. E sebbene alcuni segnali facciano pensare alcontrario, dobbiamo per forza sperare che di questa nuova consape-volezza si avvantaggino sia la politica che la religione. La posta in gioco è molto alta. Si tratta in ultimo di contrastare quellasorta di “tendenza all’estremo”, che incomincia a manifestarsi su scalaplanetaria e della quale la violenza terroristica di matrice religiosa èsoltanto una delle possibili manifestazioni. E se è vero che l’Occidentecristiano e liberale ha sviluppato senz’altro gli anticorpi che lo rendonoimmune rispetto al rischio che la religione possa diventare uno stru-mento di dominio e di terrore, è altrettanto vero che esso non avvertecon altrettanta lucidità i rischi che potrebbero scaturire dal suo disin-canto individualistico, dalla riduzione di ogni orizzonte di senso al-l’ambito della coscienza e dell’autonomia individuale. Succede cosìche la “dialettica del riconoscimento” diventa sempre più difficile. Alsuo posto troviamo il risentimento, l’egoismo, l’indifferenza e la paura.“L’uomo da solo –direbbe René Girard- non può trionfare su se stesso”. Ci vorrebbe appunto un Dio. “Ormai solo un Dio ci può salvare”, dicevaHeidegger. Ma il Dio di Gesù Cristo non si presta a troppo facili stru-mentalizzazioni. Costituisce la principale condizione che ha reso pos-sibile l’affermarsi in Occidente dell’irripetibile unicità di ogni persona,ma non consente che si declini questa unicità nei termini di certo in-dividualismo moderno; esalta il desiderio di felicità che c’è nel cuoredi ogni uomo, ma a coloro che fanno il bene, almeno su questa terra,promette la croce; considera la politica come l’arte più nobile per ser-vire il “bene comune”, ma sul potere politico (anche su quello eccle-siastico) vede sempre in agguato la “bestia” che sale dagli abissi;.Ancora, assegna come un diritto il vivere secondo gli usi e i costumidella propria comunità, ma a coloro che agitano come un feticcio l’iden-tità di questa o di quella cultura (anche di quella occidentale) ricordache, dopo Cristo, può esserci soltanto l’identità della famiglia umana;quanto a coloro che vorrebbero risacralizzare il mondo, viene loro ri-cordato che proprio Cristo, uso ancora parole forti di René Girard, “hasconfitto il sacro rivelandone la violenza”.E’ dunque un rapporto problematico, difficile, conflittuale quello tra re-

ligione cristiana e politica. Lo è fin dall’inizio, allorché gli Zeloti inter-pretano il messaggio di Gesù come un messaggio rivoluzionario con-tro l’occupazione di Roma sui territori di Israele; occupazione guardatainvece con indifferenza dai Sadducei. Lo diventa ancora di più con lasvolta costantiniana, la cui commistione tra cristianesimo e potere po-litico persisterà fino a tutto il medioevo, assumendo addirittura vere eproprie forme teocratiche. E tale resta anche oggi, dopo che la seco-larizzazione moderna ha fatto registrare una sorta di rivincita della po-litica sulla religione, che in molti vorrebbero spingere fino a privarequest’ultima di qualsiasi dimensione pubblica. A proposito del rapporto tra cristianesimo e cultura politica moderna,esistono essenzialmente due modi di interpretarlo. Il primo è quellodei cosiddetti laicisti radicali o, con linguaggio anglosassone, secola-risti, i quali, in curioso accordo con certi tradizionalisti cattolici, consi-derano la politica moderna in netta antitesi con la tradizione cristiana.Il secondo è quello di coloro che vedono invece tra cristianesimo e cul-tura politica moderna una semplice continuità, specialmente in ciò chela politica moderna ha enfatizzato in termini di libertà, democrazia,stato di diritto ecc. Come ha scritto Martin Rohnheimer, “ambedue leposizioni sono in parte vere e in parte scorrette. La prima si caratterizzaper una notevole miopia storica, che tende a negare non soltanto le ra-dici cristiane della civilizzazione europea occidentale, ma anche il cri-stianesimo come principale e decisivo fattore di progresso ecivilizzazione. La seconda sembra alquanto ingenua e anche poco sin-cera, in quanto nega una certa intrinseca conflittualità fra il cristiane-simo e l’impronta laica della modernità”. Tuttavia, in accordo conRohnheimer, mi sembra importante sottolineare come questa secondainterpretazione sia sicuramente più vicina alla verità delle cose diquanto sia la prima. Per il fatto di vivere in un contesto socio-culturale contrassegnato dallapresenza di diverse opinioni in ordine a ciò che è vero e giusto e diprendere quindi le nostre decisioni politiche a maggioranza, ci siamoerroneamente convinti che un’opinione valga l’altra; siamo diventatirelativisti, con la convinzione che questo fosse il modo migliore peressere tolleranti. Ciò che qui vorrei dimostrare è che, ben lungi dal rap-presentare una gabbia per l’autonomia e la libertà degli individui, pro-prio la verità può esserci d’aiuto per dare il giusto senso alle nostrescelte e alla dialettica democratica stessa. Le nostre decisioni politi-che, ad esempio, vengono prese a maggioranza, non perché la veritànon esiste, ma semplicemente perché, grazie a una certa idea che ab-biamo dell’uomo e della sua incommensurabile dignità, è molto megliouna decisione sbagliata presa con il consenso della maggioranza cheuna decisione giusta imposta con la forza. Altro che relativismo. E’quasi stucchevole trovarsi a discutere di tutto, anche di questioni divita e di morte, senza la fiducia che esistano argomenti più validi di altri–più validi perché più vicini alla realtà delle cose, non certo perchécondivisi da un maggior numero di persone o perché “creduti” in basea una qualsiasi fede. E credo che sia proprio questa mancanza di fidu-cia nella verità la causa “prima”, anche se non molto “prossima”, digran parte dei problemi che gravano sulla nostra cultura e sulle nostreistituzioni politiche. Ciò che intendo dire è che, lungi dal costituire il fondamento di una

L’altro illuminismodi Sergio Belardinelli

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cultura liberale e democratica, il relativismo ne costituisce la malattia,l’anticamera del più radicale funzionalismo. Quando affermiamo unaqualsiasi verità, da quelle più semplici, tipo “la neve è bianca”, a quellepiù complesse, tipo “Luigi è un vero amico”, non lo facciamo con la ri-serva mentale che ciò che affermiamo potrebbe anche non essere veroo che sia vero semplicemente perché ne siamo convinti. Piuttosto nesiamo convinti perché è vero, perché appunto constatiamo che la neveè bianca e che Luigi è un vero amico. Senza questa fiducia in una ve-rità che in ultimo ci si rivela, della quale non siamo padroni, che pos-siamo accettare o non accettare, ma che rimane comunqueindisponibile, nemmeno i nostri grandi valori politici avrebbero consi-stenza. Pluralismo, tolleranza, principio di maggioranza, l’idea stessadi stato di diritto finirebbero inevitabilmente per confondersi con lademagogia e con la lotta per il potere fine a se stesso. Grazie alla ve-rità, invece, il dibattito pubblico è come costretto a tener vivaun’istanza di oggettività e di indisponibilità, che considero preziosa,specialmente di fronte al rischio che si confondano pluralismo e rela-tivismo, diritti e desideri, tolleranza e indifferenza, e che il tanto sban-dierato dialogo tra culture si trasformi in una sorta di rituale astratto,dove tutti hanno le stesse ragioni, come vorrebbe l’ideologia del mul-ticulturalismo.

Un luogo comune abbastanza diffuso vuole in effetti che il nostromondo occidentale sia ormai avviato sulla strada del relativismo mul-ticulturalista, nella convinzione che questo sia il solo modo per fron-teggiare le sfide della globalizzazione e il confronto con culture diversedalla nostra, senza cedere al fanatismo e alla violenza. A mio avvisosi tratta di un gravissimo errore, il quale, oltre a danneggiare noi occi-dentali, danneggerà anche gli “altri”, alimentando proprio quel fana-tismo che vorremmo evitare. Non è facendoci “nessuno” che sifavorisce l’incontro e il dialogo tra culture differenti e spesso ostili.Ma l’errore forse si spiega, se pensiamo alla stanchezza da cui ci siamofatti prendere. Parole come ragione, verità, giustizia, dignità dell’uomo,che pure stanno alla base delle nostra cultura anche politica, sono di-ventate poco a poco quasi impronunciabili nella loro dimensione uni-versalistica. E intanto dobbiamo fare i conti con il terrorismo jahadista,la guerra, la biopolitica, le questioni di vita e di morte, le grandi mi-grazioni, la grande crisi economica e altro ancora –tutte questioni chedi certo non possono essere fronteggiate rimanendo all’interno diquella sorta di aura debole che ci schiaccia ormai come un macigno.La speranza è che siano proprio queste sfide a costringerci a cercarealtre strade, a guardarci intorno, ma soprattutto a guardarci dentro,per chiarire, a noi stessi e agli altri, ciò che siamo e ciò che vogliamo.

Felice disse alcun chi more in fascePandolfo Collenuccio, 1504

LA VITA. Contrariamente a quanto è accadutoper molti uomini illustri di ogni epoca, di Pan-dolfo Collenuccio si conoscono sia la data dinascita, 7 gennaio 1444, sia quella di morte,11 luglio 1504, ed anche il luogo dove iniziòe si concluse la sua parabola terrena, Pesaro.Le sue radici tuttavia sono sassoferratesi:suo padre era infatti un maestro di gramma-tica originario di Coldellanoce, frazione diSassoferrato, stabilitosi a Pesaro durante la

signoria di Galeazzo Malatesta, mentre lamadre, Margherita Fanucci, era pesarese. Fugiurista, filosofo, poeta, oratore, diplomatico,storico e per l’altezza del suo ingegno ebbegrande fama tra i dotti del tempo, fra i qualiAngelo Poliziano che intrattenne con lui unrapporto epistolare: seguì gli studi di dirittoall’Università di Padova dove conseguì la lau-rea in giurisprudenza nel 1465, e studiòscienze naturali a Venezia. Nel 1469, a Fer-rara, prese in sposa una giovane di nobile fa-miglia, Beatrice di Antonio dei Costabili, e inseguito si trasferì a Bologna dove era statonominato giudice. Alla corte di Pesaro rico-prì importanti e delicati incarichi politici e di-plomatici al servizio di Costanzo I Sforza, dicui fu vicario generale e per il cui figlio Gio-vanni riuscì ad ottenere la signoria di Pesarointercedendo presso il papa Sisto IV: Gio-vanni Sforza era figlio illegittimo e il papa erariluttante a concedere la carica ad un uomovituperabile fino nel modo del suo nasci-mento, come scrive il Conte Giulio Perticarinel 1848, ma l’arte oratoria e le capacità di-plomatiche del Collenuccio riuscirono nel-l’intento di ottenere l’investitura per loSforza. Nel 1486, a Venezia, fu nominato“oratore residente” da Giulio Cesare Varano,il quale però entrò in duro contrasto propriocon Giovanni Sforza: l’amicizia col Varano

costò allora al Collenuccio sedici mesi di pri-gione, la confisca dei beni e infine l’esilio,comminatogli dall’irriconoscente Sforza nel1489. Iniziarono così anni di peregrinazionida una corte all’altra: fu podestà di Firenzenel 1490, visse alla corte di Casimiro, re diPolonia; fu consigliere dei Gonzaga, che nel1491 lo nominarono podestà di Mantova; Lo-renzo il Magnifico, ammirato dalla sua famadi umanista, gli accordò protezione; Ercole Id’Este, duca di Ferrara, lo scelse come suooratore, consigliere (consiliarius ducalis), ca-pitano di Giustizia e ambasciatore pressol’imperatore e presso il papa Alessandro VIBorgia. Quando Cesare Borgia, figlio delpapa, intraprese una spedizione nei territoriromagnoli, Pandolfo Collenuccio ne sostennele ragioni e fece pervenire al nuovo signore diPesaro uno scritto in cui denunciava l’ingiu-stizia subìta: M. Giovanni Sforza signor di Pe-saro nell’anno 1488, senza sentenza fuorid’ogni giustizia, tirannicamente, mi pose infondo la rocca. E in quella mi tenne carce-rato e reputato morto per sedici mesi e ottogiorni senza colloquio mai di persona. Men-trechè io stetti così senza saputa di cosa sifosse al mondo, fui spogliato de’ miei benimobili, e stabili senza citazione, senza os-servanza alcuna di statuti e di legge. Ma soloper ingiustizia ed iniquità di M. Giovanni,

Pandolfo Collenucciodi Tiziana Gubbiotti

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sotto pretesto c/i’ io fossi debitore del signorGiulio da Camerino. Dall’anno poi 1489 peropera dell’ ill. M. Ercole Bentivoglio fui li-bero, discarcerato, e nella stessa ora della li-berazione per lo predetto Giovanni fuimandato in esilio; non ostante che in tutto ilmondo sieno conosciuti i miei fedelissimi uf-fizii per molti anni di ottimo cittadino e servodel sig. Costanzo e di esso Giovanni. Sendostato undici anni esule colla donna mia consette figliuoli e l’altra famiglia, privo d’ognifacoltà, pieno d’affanni; la somma bontàd’Iddio e la provvidenza di Nostro Signorehanno finalmente privato pe‘ suoi demeritiM. Giovanni dello stato di Pesaro, e degna-mente conferitolo alla vostra Eccellenza. Perla qual cosa veggendomi aperta la via allagiustizia per la espulsione del tiranno, e perla costituzione della V. E. in legittimo prin-cipe, chiedo di ricuperare la mia patria e lemie sostanze. In risposta il duca Valentinonon solo permise al Collenuccio il rientro aPesaro ma ordinò anche la restituzione deisuoi beni. Lo scenario tuttavia cambiò radi-calmente alla morte del papa: privato dellasua protezione e per giunta malato, CesareBorgia perse i territori precedentemente con-quistati e Giovanni Sforza ritornò ad esseresignore di Pesaro, dando inizio nei confrontidei suoi nemici politici ad una lunga serie divendette, che si tradussero in confische, esilie condanne a morte. Collenuccio, costrettoalla fuga, trovò ospitalità presso la corte diErcole I d’Este a Ferrara. Giovanni Sforza ap-parentemente non mostrò risentimento neiconfronti del Collenuccio, né confiscò i suoibeni, atteggiamento che trasse in ingannoCollenuccio e lo spinse a tornare in patria perpatrocinare la causa riguardante una lite percerti poderi che possedeva proprio nel terri-torio di Pesaro. Tuttavia, non fidandosi com-pletamente dello Sforza, si fece precedere daalcune lettere di raccomandazione scritte insuo favore dal marchese di Mantova e dalladuchessa di Urbino: Giovanni Sforza risposea questi personaggi con grande mitezza, anzigiunse al punto di scrivere allo stesso Pan-dolfo chiamandolo “amico carissimo” e invi-tandolo a tornare. Quando Collenuccio arrivòGiovanni lo accolse con enfasi e lo abbrac-ciò, simulando amicizia; ma, trascorsi seigiorni in atteggiamento di falsa clemenza,finse di scoprire solo allora la lettera chePandolfo aveva inviato a Cesare Borgia, e gri-dando al delitto di lesa maestà, senza pro-cesso, fece torturare Collenuccio e ne ordinòla morte. Come un vero filosofo stoico,

Pandolfo Collenuccio attese la finecomponendo un Inno alla Morte, conservatoin uno scritto di pugno del primogenitoAnnibale (Cod. Oliv. 62). Prima di morireGiovanni Sforza gli impedì di stendere untestamento a norma di legge, quindi Pandolfoscrisse di persona le ultime volontà che ilfiglio Alessandro rese note, firmandoPandolfo del q. M. Matteo da Coldonese daPesaro, dottore e cav., di mia propria manoscrissi. È probabile che il termine “Coldo-nese” stia per “Coldenose”, indicando illuogo di origine del padre, appunto Coldella-noce, e che Pandolfo abbia cambiato il pro-prio cognome in Collenuccio seguendo unvezzo caro agli Umanisti, quello di “latiniz-zare” il nome: i suoi scritti sono infatti indi-cati come opere di Pandulphus Collenucciuso Collenutius. Morì in carcere nella rocca Co-stanza di Pesaro; secondo alcuni fu fattostrangolare, secondo altri decapitare.

LE OPERE. La maggior parte delle opere diPandolfo Collenuccio, sia in latino che in vol-gare, ci è giunta grazie alla pubblicazione po-stuma curata dai figli. La maggiore operacollenucciana, iniziata nel 1498 e data allestampe solo trentacinque anni dopo la mortedel suo autore, è di carattere storico e se neconoscono ben sedici edizioni, a partire dal-l’editio princeps di Michele Tramezzino a Ve-nezia nel maggio del 1539 dal titolo:Compendio delle Historie del Regno di Na-poli, composto da Mess. Pandolfo Collenuc-cio, Iurisconsulto in Pesaro. Seguirono cinqueristampe, uscite dalla stessa officina tipo-

grafica, nel periodo dal 1541 al 1551; altredieci edizioni, dal 1552 al 1771, saranno in-vece stampate per i tipi di altre officine. Ladedica è rivolta ad Ercole I d’Este, duca diFerrara, che era stato allevato a Napoli allacorte di Alfonso d’Aragona di cui aveva spo-sato la nipote Eleonora, e la lingua è il vol-gare perché sembra che il duca nonconoscesse il latino. Tuttavia, nel prosieguo,l’opera conoscerà traduzioni in diverse linguefra cui il latino. L’opera, che abbracciava unperiodo storico lunghissimo, dall’antichità al-l’epoca dell’autore, non fu compresa da tuttima anzi fu attaccata da alcuni detrattori chela considerarono dettata da ostilità nei con-fronti della città di Napoli (soprattutto perchéCollenuccio, citando Tito Livio, affermava “laperfidia esser congenita e naturale a quellidi Campania”), ma fu apprezzata dal Guic-ciardini che sembra ne abbia tratto ampispunti per la sua Storia d’Italia.Collenuccio scrisse poi una serie di apologhimorali sul modello classico di Plauto e Lu-ciano, ma con echi di Leon Battista Alberti,tratteggiando un’acuta satira della vita cor-tigiana da cui emerge il concetto dell’eternalotta fra vizio e virtù: queste favole allegori-che (tra cui Agenoria, Misopenes sulla con-dizione dell’uomo diviso fra avidità esapienza, Filotimo, dialogo tra la testa e laberretta, in cui la Testa rappresenta l’ambi-zione e la Berretta la vacuità, Alithia sullalotta fra verità e vanità e Specchio di Esopo)sono redatte in volgare e presentano impor-tanti neologismi come “galanteria” e “affet-tazione”, introdotti solo più tardi nei dizionariitaliani dell’epoca. Gli apologhi vedono quasisempre come protagonista il duca d’Este,(nello Specchio di Esopo affiancato dalla fi-gura del favolista Esopo, qui descritto comeuomo di straordinaria bruttezza) intento in di-aloghi di stampo moralistico-pedagogico conpersonaggi simbolici o inanimati. Dopo lamorte del Collenuccio, la ricca collezione deisuoi apologhi rimase a lungo dimenticatafinché il figlio Teodoro non li fece pubblicareufficialmente in onore di papa Leone X; co-nobbero un vastissimo successo editorialesoprattutto nella prima metà del XVI secolograzie al vivo interesse per la classicità di cuifu pervaso tutto il Rinascimento. Nell’epis-tola dedicatoria di Beato Renano a JakobSpiegel, premessa all’edizione strasburghesedegli Apologi (1511), si legge: Accipe igitur,suavissime Iacobe, lepidissimos illos Pan-dulphi Apologos, sua festivitate etiamSamosatheum Lucianum superantes, “Ricevi

Ritratto giovanile di Pandolfo Collenuccio.

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dunque, amabilissimo Jacopo, i brillantiApologi di Pandolfo, che per la loro piacev-olezza superano perfino Luciano diSamosata”. Un apprezzamento davvero ec-cezionale.A Venezia, nel 1543, il figlio Alessandro fecestampare postumo il discorso Della educa-zione usata dagli antichi in alevare li loro fi-gliuoli, et come partivano il tempo adinsegnarli le dottrine et le scientie de le lit-tere, un pamphlet pedagogico dedicato adAscanio Colonna, duca di Tagliacozzo, alquale dichiara di averlo scritto pensando pro-prio ai figli di lui: nel trattatello Collenuccioscandisce l’epoca in cui vanno impartiti gliinsegnamenti in periodi di sette anni, arri-vando fino ai quarantadue anni, età in cuil’educazione può dirsi conclusa. Del 1487 è la traduzione dell’Amphitruo diPlauto, che venne rappresentata con il titolodi Anfitriona nel giardino del palazzo estense,a Ferrara, per le nozze di Lucrezia d’Este conAnnibale Bentivoglio, e replicata alcuni giornidopo, e nel 1491 allietò le nozze di Alfonsocon Anna Sforza. Durante la rappresenta-zione dell’Anfitriona, per far scendere Giovedal cielo, fu allestito un marchingegno tea-trale detto “ingegno”consistente in ruote chegiravano con fanciulli che cantavano con icantori e i suonatori del duca. Le cronachesottolineano la spettacolarità dell’evento, so-prattutto per l’effetto del cielo stellato otte-nuto utilizzando la luce di molte lampadenascoste dietro un telo nero.La Comedia di Jacob e Joseph, tratta dal rac-conto biblico, è il tentativo di dare dignità let-

teraria al genere della rappresentazionesacra: fu rappresentata fra l’altro in occa-sione della morte del papa Alessandro VI. Di-visa in sei atti, con un prologo ed un congedo,fu recitata nel Duomo, su grandi tribune, conla classica scena ferrarese e con l’“ingegno”ormai collaudato per simulare il Paradiso.Nel 1493, in polemica con Niccolò da Lonigodetto il Leoniceno, che aveva attaccato la re-putazione scientifica di Plinio il Vecchio nel-l’opera De erroribus Plinii, scrisse in otto librila Pliniana Defensio ... adversus Nicolai Leo-niceni accusationem, scatenando un ferocedibattito tra i due umanisti che coinvolseanche altri letterati quali Angelo Poliziano edErmolao Barbaro.Durante una delle sue missioni politiche e di-plomatiche, scrisse la Oratio ad Maximil-ianum, lungo ed elaborato omaggioall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo chegli valse un notevole apprezzamento da partedel duca estense: in questa occasionericevette la nomina di capitano di giustizia.Il De vipera libellus, dedicato a Niccolò daCorreggio, fu trovato da Annibale Collenuc-cio fra le carte del padre ed edito postumo aVenezia nel 1506, ed anche la Descriptio seupotius summa rerum germanicarum, operettageografica sulla Germania che ricorda l’ana-logo scritto di Tacito, fu pubblicata postumanel 1546.Nell’imminenza della fine, compose il già ci-tato Inno alla morte, giudicato dai contempo-ranei come una delle migliori liriche deltempo, dove la morte è invocata come auten-tica dispensatrice di pace e in cui si avvertonoi toni lirici di Lorenzo dei Medici e si antici-pano quelli di Leopardi. La figura di Pandolfo Collenuccio, letterato digrande levatura e protagonista di unavicenda umana fra le più tragiche, sembrache riesca ancora a colpire i fruitoricontemporanei, siano essi studiosi o semplicilettori: sono infatti numerosissime e tradottein molte lingue le ristampe delle sue opere,come pure le biografie, i saggi critici e le tesidi laurea che lo riguardano. Recenti studicondotti dall’ungherese Tibor Kardos hannoinoltre ipotizzato un collegamento fraPandolfo Collenuccio e l’Ungheria, dove nonsembra abbia mai soggiornato, ma dove sonostate colte importanti analogie fra i suoiscritti e quelli del magiaro Bartholomeus,maestro del Cinquecento appartenente allascuola di Buda; è verosimile che lacircolazione dei testi abbia reso possibile laconoscenza delle opere del Collenuccio da

parte del maestro di Buda.Il vivo interesse nei confronti di PandolfoCollenuccio si è tradotto in un eventoletterario insolito per un personaggio che sipresta più ad essere letto nei libri diletteratura che non in quelli consideratid’evasione: invece mi piace qui menzionare ilfatto che Pandolfo ha ispirato addirittura unromanzo, sia pure storico, intitolato 1504.Notte all’Hostaria «La Guercia». Pandolfo Col-lenuccio uomo di corte del XV secolo. L’autoreValentino Rocchi così si esprime “La sua fi-gura mi ha interessato perché era un vicino dicasa. Per alcuni anni della mia vita io, a Pe-saro, sono vissuto in via Pandolfo Collenuc-cio, nello stesso isolato dove adesso, dellasua casa distrutta da eventi bellici, è rimastosoltanto un portale rinascimentale di pietra.Avevo sentito vagamente parlare dell’uomo,come vittima dell’ingratitudine dei potenti.Così quella vicinanza m’ha incuriosito. E poi-ché la curiosità è madre della conoscenza, misono messo a cercare tutti gli avvenimenti chelo riguardassero. È stato come giocare unapartita a carte. Emozionante come un poker”.Pandolfo certamente non conosceva il pokerma avrebbe gradito l’apprezzamento, rivoltoad un uomo che ancora merita di essere ri-cordato non solo per il valore artistico delleopere, ma anche per una vita piena che, puressendo segnata da un epilogo crudele, èstata davvero degna di essere vissuta.

Incisione raffigurante Pandolfo Collenuccio.

Frontespizio del Compendio, edizione del1543.

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Suor Maria Paola Rotati:un premio meritatodi Maria Luisa Di Blasi

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Accogliere l’invito della prof. Rita Ferri, cono-sciuta a Perugia a margine della presenta-zione del mio libro Il mio nome è Tecla (ed.Paoline), mi ha dato la felice opportunità diavvicinare il cuore di una città, capace ancoradi battere con senso civico autentico. Abito apochi chilometri da qui, e finalmente ho re-spirato al Premio Monte Strega l’aria di unacultura non viziata da autocelebrazioni, sem-mai capace di costruire relazione. Sapersihumus di più colture – e culture - è un grandevanto per una città, e dar valore e riconosci-mento alla pluralità di talenti che Sassofer-rato è stata (ed è) capace di generare, dicoltivare in proprio o di lasciar fiorire altrove,laddove la missione si rivela più grande deisuoi confini, è un grande merito dell’Associa-zione “Sassoferratesi nel Mondo”. Lo stile in-formale della conduzione ha accompagnatol’evento con raffinata leggerezza e, nel grancaldo di fine agosto, ha offerto agli ospiti unpomeriggio succoso, il cui sapore non si at-taccava al palato. Tra le presenze premiate, una in particolare so-migliava alla mia Tecla: anche lei donna,anche lei suora, anche lei viaggiatrice. E’ salitatimidamente ma elegantemente, con il suovelo bianco, sul palco del bel Teatro del Sen-tino appena restaurato. Poiché diceva di nonsaper parlare di sé, si è presentata con untesto multimediale, e ci ha portato per imma-gini tra i suoi cari, nel cuore della sua storia. Nata nel 1946 a Catobagli, si chiamava Gra-ziella Rotati; dal 1972 è suor Maria Paola,delle Oblate del Bambin Gesù. Dopo la PrimaMedia a Sassoferrato, ha continuato gli studia Gualdo Tadino, fino al diploma di insegnanteelementare e di scuola materna. Ha poi inse-gnato a Roma e, per ventotto anni, a GualdoTadino. Era una superiora, alla quale ben pre-sto i viaggi hanno allargato i confini dellamente e del cuore: prima il Brasile nel 1984 ela Polonia nel 1991, poi l’importante man-sione di Consigliera Generale della Congre-gazione. Infine, dal 2000, la scelta di partire inmissione, in Perù.Diventare una suora missionaria è un per-corso avventuroso. E’ accettare di esporsi to-talmente, di emanciparsi dalla protezionedell’istituzione religiosa, pur restandovi parte.

Gettarsi tra la gente, giocarsi in una fede che sifa progetto, che si misura direttamente con larealtà. Donne fortissime hanno impiegato anniper compiere questo passaggio. Madre Teresadi Calcutta, ad esempio, è stata a lungo unasuora insegnante che conviveva con una sordainquietudine, prima di cogliere e vivere la pro-pria singolare “chiamata nella chiamata”. ETecla Merlo, la fondatrice delle suore Paoline,fu a lungo sarta e poi tipografa, prima di in-ventare e dirigere la rete mondiale di librerieche oggi conosciamo. Donne che partono, chevincono la paura, che diventano (e aiutano a di-ventare) forme concrete dell’Amore.Suor Maria Paola ci mostra un altipiano, landesconfinate, terra bruciata, sole, quattro sta-gioni all’opera contemporaneamente: costa,sierra, selva, Cordigliere… coltivazioni a oltre4000 metri, nevi e ghiacciai oltre i 6000: leAnde, ore e ore di deserto che in primavera siricopre di fiori, poi spazzati via dal vento forte,da un giorno all’altro, come le baracche dicompensato, plastica, cartone, canne, in cuistanno i bambini senza luce, senz’acqua,senza mezzi di comunicazione. Ma ecco che, tra le molteplici nozioni che ap-prendiamo in questo pomeriggio – nel campodella musica, della medicina, dell’ingegneriadel sottosuolo, della letteratura – appareun’altra disciplina, che chiamerei la “scienzadel divino”. Scienza del centuplo, forse po-tremmo chiamarla anche così. Il centuplo è lapromessa mantenuta dall’Alto a chi impegnala vita, la ricompensa certa, quanto impreve-dibile, di chi non cerca ricompense. Gli occhidi lei non sono più timidi, ora. Parla in diretta,col microfono, e la sua voce si anima. Ri-suona. In fondo, è tutto qui il guadagno dellasua storia, in questa sua sapienza che tra-smette: lei sa per certo – e lo afferma conforza – che, sì, la Provvidenza esiste, lo sa peresperienza. Alla periferia di Lima, Suor Maria Paola Ro-tati, con le sue consorelle, vive a contatto colmiracolo, non solo col bisogno e col dolore.Sa che al momento opportuno, arrivano queisoldi necessari: offerte di bambini che rinun-ciano al regalo di Natale, o che festeggianola Prima Comunione, soldi raccolti in occa-sione di un funerale, offerte di sposi che ri-

nunciano alle bomboniere, doni del primo sti-pendio, collane di famiglia vendute… e, conalcuni laici, ed aiutate dalla Caritas di Assisi– Nocera e Gualdo, riesce ad attivare una sar-toria, ad aprire una scuola, o, più semplice-mente, ad annunciare a una giovane madreche potrà curarsi. Laddove, per cinismo o per indifferenza, la ric-chezza e la tecnica, con il loro stragrande poterfare, scelgono di non arrivare, mani invisibili,presenti nell’assenza, misteriosamente umane,verosimilmente divine, fanno accadere mira-coli, lasciano tracce che scendono dall’alto,come la scia di una stella cadente, per soddi-sfare bisogni e desideri ordinari, eppure altri-menti irraggiungibili. Così si ristrutturano e ampliano i saloni dellaparrocchia, si è pronti a offrire a un centinaio dibambini famiglia, affetto, principi sani, occu-pazioni alternative al furto e alla solitudine, sicreano laboratori di danza, musica, canto, pit-tura, doposcuola, laboratori per la lavorazionedel cuoio, momenti di formazione per i genitori.Ed ecco allora perché è bello avere suor MariaPaola qui, oggi, ad accettare, con un certo im-barazzo, l’applauso di questo premio, non persé, ma per loro. Per dire a noi, che guardiamogli altri partire e che non sempre sappiamoaccogliere chi arriva, che con un gesto pos-siamo diventare concittadini del mondo.

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Il Cardinale Alessandro Oliva, nato a Sassofer-rato, frazione Caboccolino, nel 1407 e decedutoa Tivoli nel 1463 a soli 55 anni, è sepolto aRoma nella Chiesa del suo Ordine, S. Agostino,nella omonima piazza S. Agostino, tra PiazzaNavona e via della Scrofa. Ho visitato e fotografato recentemente il suobel monumento funebre, posto in un piccolocorridoio che malgrado conduca alla grande ericca sacrestia, risulta un luogo angusto e pocovisibile. Non era questo il luogo originario disepoltura, bensì nella stessa chiesa, appena sientrava a destra, in posizione privilegiata: poinel 1756 crollò la cupola, producendo gravidanni, ed il Vanvitelli, incaricato dei restauri,probabilmente per favorire altri cardinali dece-duti più di recente, spostò il nostro Alessandronell’attuale sede, in posizione così perifericache da allora l’importante cardinale è “ignoratoda tutti”, come commenta il Rapolani (p. 203).Il monumento misura m 1.80 in larghezza e m2.20 in altezza, la statua del Cardinale risultavestita con abiti pontificali ed è distesa in pacesull’urna sepolcrale, sormontata dallo stemmacardinalizio, un olivo sopra a tre monticelli. Néil gentile parroco padre Amedeo Eramo né ilsottoscritto sono riusciti a trovare il nome delloscultore dell’opera, comunque di ottima fattura.Sull’urna sepolcrale, in mezzo a due tralci difiori, vi è una lapide con l’elogio, ovviamentein un non facile latino ecclesiastico (ringra-ziamo caldamente per ambedue le traduzioni

Don Ugo Paoli, N.d.A.), che dice:Come la sola rettitudine e non il favoritismodiede a te solo, degno di nome e di fatto,l’onore cardinalizio, così la stessa Roma,mentre ti innalza al cielo, strappato agli in-degni, proclama di essere stata felice di que-sto principe.

Sotto all’urna un’altra lapide, a caratteri unpoco più grandi, recita:Ad Alessandro Oliva, Sassoferratese, famo-sissimo teologo, fin dall’infanzia alunno digrandissima speranza degli Eremitani di S.Agostino. Essendo generale del suo Ordine,per la singolare dottrina e santità di vita fucreato cardinale da Pio II a sua insaputa. Visse55 anni, morì nell’anno della salvezza 1463, il21 agosto. I nipoti e gli amici posero.

Ed ora alcuni cenni sulla intensa vita dell’Oliva,cenni basati sugli scritti dei pochi autori che fi-nora si sono a lui interessati, in primis il Raponi(1965), poi il Lazcano (1995) ed anche lo stessosegretario dell’Oliva, Giovanni Antonio Cam-pano (1495), che tenne una dettagliata ed im-portante orazione al suo funerale, in presenzadel Papa Pio II Piccolomini, orazione a noigiunta soprattutto attraverso il Ciaconio (1677).Di minore importanza la breve biografia delmarchigiano Morici (1899).Il nostro Cardinale dedicò la sua vita in toto allafede, allo studio, alla predicazione ed a nume-rose importanti opere di pacificazione: tali dotie tali opere portarono Alessandro da Sassofer-rato, come spesso veniva chiamato all’apprez-zamento incondizionato dei fedeli e dellostesso Papa Piccolomini, che lo teneva in gran-dissima stima e che lo definì “Angelo dellapace”. Tutti gli autori riportano il fatto prodi-gioso che è alla base della vita e del successoecclesiale di Alessandro. Nato nella frazione Sassoferratese di Caboc-colino, da genitori modesti contadini e con al-meno altri cinque figli, all’età di tre anni mentrecon la sorella Margherita, poco più grande dilui, si divertiva a cogliere fiori, scivolò e caddein una fonte. Appena se ne avvide la sorellinainiziò a gridare: una donna che si trovava for-tunatamente nelle vicinanze accorse alla fonte,afferrò il bambino che aveva perduto i sensi e

lo sospese a testa in giù per tentare di fargliuscire l’acqua ingerita. Giunse di corsa anche lamadre Giovanna, la quale visto il figlio ciano-tico, piangendo e chiamandolo per nome, si ri-volse in direzione del Borgo di Sassoferrato edella chiesa di S. Maria del Piano, e promisealla Vergine che, qualora avesse conservato lavita al figlio, lo avrebbe consacrato al suo culto.Dopo poco tempo il bambino aprì gli occhi echiamò la mamma: era salvo.Grati alla Vergine di quello che consideraronouna specie di miracolo, i genitori trascorsi dueo tre anni, adempirono al voto affidando il fi-glioletto agli Agostiniani che a quel tempo oc-cupavano il convento attiguo alla chiesa di S.Maria. A poco a poco le grandi doti di intelli-genza, di operosa applicazione, di capacitànello studio e nell’oratoria, ma anche di ge-nuina modestia, gli fecero salire le varie cari-che del suo Ordine. Studiò senza soste aPerugina, Rimini, Bologna, con il maggioremaestro del suo tempo, il grande Gerardo daRimini, finchè nel 1439, e quindi a soli trenta-due anni, venne nominato al governo dellaMarca Anconitana. Ma il meglio di sé padre Alessandro Oliva lodiede quando, in un secolo di generale deca-denza, deluso dal numeroso clero che non ot-temperava ai suoi doveri, decise di entrare aRoma nella sede superiore del suo ordine, S.Maria del Popolo, dove si professava l’osser-vanza stretta, molta preghiera e lavoro in co-mune e niente denaro. Qui Alessandro donò aipoveri tutto il denaro che aveva e mise anchein comune i suoi preziosi libri; in questo periodoil suo desiderio di pace e di meditazione fu taleche si recò in un territorio sperduto del seneseper alcuni mesi a condurre vita da l’eremita.Poi, in breve, le continue pressioni dei suoi su-periori, che lo stimavano più di ogni altro, loconvinsero a tornare a dedicarsi a quella cheora sentiva come sua missione, il predicare. Af-ferma il Campano: “In questa attività in breveconseguì tanta gloria che non so se nella nostraetà ve ne sia stato un altro più grato al popolo”.Ed ancora: “Non vi fu città in Italia che egli nonabbia ricondotto sulla via del bene con le suesante esortazioni; predicò nuovamente a Peru-gia, poi a Napoli, Firenze, Venezia, Bologna,Siena, Ferrara, Mantova, in quasi tutta l’Italia,

Alcune note sul cardinaleAlessandro Oliva da Sassoferratodi Raniero Massoli-Novelli

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sempre col massimo concorso di fedeli allet-tati dalla sua parola e mossi dal suo esempio”.Inoltre i documenti pervenuti attestano che in-segnò a lungo a Perugia sia teologia nellascuola del suo ordine, sia filosofia nella pub-blica università.Nell’agosto del 1458 venne fatto papa Pio IIPiccolomini, che subito si adoperò per convin-cere i vari principi ad unirsi con la Chiesa peruna crociata contro le minacce dei turchi; edinvece i principi spesso erano in guerra traloro, sprecando denaro ed uomini per i solitiproblemi di confine. In particolare il papa vo-leva convincere il duca Francesco Sforza diMantova, e per questa delicatissima missionescelse subito il giovane ma stimatissimo frateAlessandro da Sassoferrato, missione che lostesso portò felicemente a termine, aumen-tando la sua fama.Il 12 maggio 1459 nel capitolo dell’ordine Ago-stiniano tenutosi a Tolentino, contro la sua vo-lontà che era quella di restare un predicatore,Alessandro venne eletto a pieni voti Generaledi tutto l’ordine. Ma ben altro riconoscimento loattendeva: il 5 marzo 1460, padre Oliva vieneinaspettatamente (non a caso sulla sua lapideinferiore verrà incisa la parola “ignorans” rife-rendosi proprio al fatto che lui non ne sapevanulla) eletto Cardinale, con grande gioia di tuttii suoi estimatori. L’Oliva è incredulo: quando uncameriere del papa bussa alla porta della suacella portando trafelato l’annuncio, pensa aduno scherzo; poi arriva una turba di frati fe-stanti ed allora esclama con la consuetaumiltà: “perché proprio io, cosa ho fatto permeritarlo?”.Successivamente alla sua nomina il cardinale

Alessandro di Sassoferrato, che aveva donatotutti i suoi averi entrando nella congregazioneosservante di S. Maria del Popolo a Roma, eche doveva minimamente sostenere le spesedi una vita cardinalizia, ebbe assegnati dalpapa numerose diocesi e monasteri (innanzi-tutto la chiesa di s. Susanna di cui fu nominatotitolare, poi l’importante vescovado di Came-rino; ancora i monasteri di S. Biagio in Valle, diS. Lorenzo in Campo, di S. Maria di Sitria, di S.Emiliano di Congiuntoli e la cattedrale di Sira-cusa in Italia; gli arcidiaconati di Chalons,Evreux e Langres in Francia). Inoltre il papa glidimostrò grande fiducia affidandogli alcune im-portanti missioni di pacificatore: prima si recòa Siena, dove un governo popolare aveva presoil potere dopo aver spodestato ed esiliato lanobiltà, e mettendo in serie difficoltà il papaPio II Piccolomini, egli stesso di famiglia nobilee da sempre amico dei nobili.Poi a Perugia, dove la morte del signore dellacittà, Braccio da Montone detto Fortebraccio,che negli anni precedenti aveva saputo com-porre le antiche e radicate rivalità tra popolo enobili, scatenò nuovamente aspre lotte di po-tere, con la famiglia Baglioni in primo piano. Ilcardinale Alessandro venne come commissa-rio papale e riuscì in poco tempo a mettered’accordo i contendenti, aiutato da una per-sona, Giovanni Antonio Campano, fraternoamico dei Baglioni. Il Campano dopo questameritevole prova rimarrà vicino ad Alessandrocome segretario ed amico per altri tre anni,ossia fino alla prematura scomparsa del cardi-nale Oliva, e pronuncerà alle affollatissimeesequie la bellissima orazione funebre cui si èaccennato in principio.

Altra importante opera di pacificazione il car-dinale Alessandro seppe condurre nelle Mar-che, dove vi era un’altra radicata e dannosarivalità simile alle precedenti tra Iesi ed An-cona: il papa mandò in questa regione agli inizidel 1461 un pacificatore sperimentato ed abilecome l’Oliva poiché si erano scatenati conflittie disordini tra Esini ed Anconetani per il pos-sesso dell’abbazia di Chiaravalle, abbazia cheaveva terre e poderi vasti e fertilissimi. Inoltrela situazione si era fatta ancora più difficile daquando il signore di Rimini Sigismondo Mala-testa, da sempre nemico di Federico da Mon-tefeltro duca di Urbino, si era messoapertamente contro Pio II, istigandogli controgli Anconetani e mandando in Ancona il figlioRoberto con un gruppo di armati. Come recitasapientemente il Raponi, Sigismondo Malate-sta è il tipico rappresentante del rinascimentoitaliano, con aspetti deteriori come quelli di es-sere audace, sanguinario, libertino, sprezzantedelle regole (“schifoso ed abominevole mostro”lo descrive Pio II). Ma, per gli aspetti positivi,anche valente nelle armi, di vasta cultura ed il-luminato mecenate verso scienziati e poeti.Malgrado la stagione rigida invernale e la sa-lute purtroppo malferma, l’Oliva, non appenariceve dal papa l’incarico di pacificatore e la ri-chiesta di urgenza, si mette in viaggio per leMarche. Da notare che il papa ha scelto l’Olivainvece che rivolgersi al legato della Marca, suonipote Cardinale Francesco Piccolomini: que-sto fa comprendere pienamente quanto il papaavesse in stima il cardinale di Sassoferrato.Riassumendo in poche righe i lunghi fatti, Ales-sandro si recò prima in Ancona, a metà gen-naio 1461, e cercò di parlare di pace conRoberto Malatesta ricevendone netto rifiuto,allora si rivolse ai capi della città spiegandoche dai Malatesta avevano ed avrebbero avutoben poco aiuto, e che non conveniva loro met-tersi apertamente contro il pontefice, promet-tendo poi una giusta definizione del possessodi Chiaravalle. Poi si reca a Iesi dove ebbeun’accoglienza piuttosto fredda, visto che gliEsini, a parte il problema del territorio di Chia-ravalle, ritenevano che anche il castello diMonsano fosse loro. L’Oliva con molta diplo-mazia confermò la proposta fatta ad Ancona dilasciare a lui la decisione per Chiaravalle,quanto al castello di Monsano propose che ve-nisse affidato ad Osimo, ossia ad una città neu-trale: le sue proposte suscitarono più di unmalcontento ma dopo ulteriori inviti alla con-venienza di accettare la pace, la maggioranzaapprovò le proposte del cardinale Oliva.Ai primi di marzo lo stesso si recò ad Osimo as-sieme agli ambasciatori di Ancona e Iesi, dove

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questi firmarono finalmente la pace; una pace pur provvisoria poichésuccessivamente la fazione Esina scontenta del trattato scrisse e si recòa Roma dal papa, fino a quando questi in accordo con il suo cardinale.per chetare le acque decise di consegnare a Iesi il castello di Monsano.Comunque in pochissimi mesi il cardinale di Sassoferrato seppe com-porre la lunga e travagliata rivalità tra le due importanti città della Marca.Successivamente portò a termine un altro delicato incarico affidatoglida Pio II, sempre in Ancona: ricevere dalle mani del principe Tommaso Pa-leologo, fratello dell’ultimo imperatore d’Oriente Costantino, una pre-ziosissima reliquia, il capo di S. Andrea Apostolo, che lo stesso Tommasoaveva preso a Patrasso, dove era custodito, per salvarlo dai Turchi cheormai avevano conquistato tutto l’impero romano d’Oriente, e portato innave in Ancona. Il cardinale Oliva prese in consegna la reliquia ed il 10marzo 1961 iniziò da Ancona il suo viaggio con un solenne corteo che ve-niva onorato e festeggiato da grandi folle in ogni abitato che il corteo at-traversava, percorrendo la via romana di allora, partendo da Ancora etoccando Recanati, Tolentino, poi la salita verso il passo di Colfiorito ela discesa verso Foligno e Spoleto. Non poté raggiungere subito Romaa causa dei disordini che attanagliavano la capitale in quei giorni ed al-lora il papa lo fece fermare a Narni; poi, sedati i tumulti dalle truppe diFederico d’Urbino, la sacra reliquia riprese il suo viaggio per arrivare poinella chiesa di S. Maria del Popolo. Di qui il giorno successivo, venne

condotta nella basilica di S. Pietro, in corteo solenne, con il papa su unaportantina dorata, con quasi tutti i cardinali a seguirlo, compreso il no-stro Alessandro che malgrado la malferma salute volle fare il percorsoa piedi, e con una innumerevole moltitudine di fedeli festanti, percor-rendo strade tutte tappezzate di fiori.Nell’estate del 1963 la salute del cardinale di Sassoferrato peggiorò ul-teriormente ed il buon Alessandro presagiva la sua fine imminente. In-tanto il papa e la sua corte si recarono a Tivoli per le consuete vacanzeestive: Pio II, venuto a conoscenza del peggioramento del “suo” cardinalelo invitò a recarsi anche lui a Tivoli, per sfuggire al caldo di Roma e conla speranza di farlo migliorare. Invece nella notte tra il 19 ed il 20 ago-sto il cardinale Alessandro Oliva da Sassoferrato spirò in Tivoli, pianto datutti coloro che lo avevano conosciuto. Lo stesso papa Pio II scrisse: “…lasantità che aveva sempre manifestato in vita rifulse soprattutto alla suamorte. Quantunque sia stato per parecchi giorni in fin di vita, mai tutta-via cessò di professare la sua fede, di esporre il simbolo, di esortare gliastanti alla vita evangelica…”.Il giorno 22 agosto il corpo di Alessandro venne trasportato a Roma enella chiesa di S. Agostino si tennero i solenni funerali. Il pontefice la-sciò anche lui Tivoli per poter presenziare alle esequie del diletto cardi-nale: a tenere l’elogio funebre, come accennato all’inizio, venne invitatoil Campano, colui che per lunghi anni era stato vicino al cardinale e me-glio di altri ne aveva apprezzato la bontà e la sapienza. Più di qualcunopensò che la dipartita di Alessandro fu veramente prematura, poichénessuno come lui era stimato tra i cardinali di Pio II, in un secolo di ge-nerale decadenza anche tra gli alti gradi ecclesiastici, e sarebbe statoben possibile che Alessandro Oliva vivendo più a lungo fosse candidatoa futuro papa. In poche parole avremmo potuto avere un papa di Sasso-ferrato. Occorre infatti ricordare che il papa Pio II morì solamente l’anno dopo,il 14 agosto (evidentemente il caldo a quei tempi non aiutava i malati) del1464; tra l’altro il papa morì in Ancona dove era andato già sofferente conla sua idea fissa di guidare una crociata contro i turchi, imbarcando glieserciti di principi e granduchi sulla flotta veneziana. A parte queste considerazioni, abbiamo già raccontato della pessimasede che da tre secoli distingue il monumento sepolcrale del cardinaleAlessandro, e del commento del Raponi: “ignorato da tutti”. Ed aggiunge:“anche la memoria del cardinale seguì la sorte del suo sepolcro: dopotante lodi seguì per molti anni il silenzio più assoluto, cosicché la mag-gior parte delle notizie che lo riguardavano, andarono perdute. Solo al-cuni Agostiniani dal sec. XVII in poi cercarono di toglierlo dall’oblio ”.Anche per questo sono molto grato a mia moglie per avere lei, con lacoda dell’occhio, recandosi in sacrestia a S. Agostino per firmare il bat-tesimo di nostro nipote, notato su una parete di un corridoio la parola“Saxoferraten.”, avermi chiamato ed avere insieme osservato e vene-rato la tomba di tale illustre personaggio, consentendomi anche l’emo-zione di vergare queste righe.

Principali opere consultabili, in ordine di importanza:- Raponi Gabriele (1965): “Il cardinale agostiniano Alessandro Oliva daSassoferrato, 1407 – 1463”. Editr. Via del Sant’Uffizio 25, Roma, pp. 266.- Lazcano Rafael (1995): “Generales de la Orden de San Augustin”. In-stitutum historicum Augustinianum, Roma, pp. 275.- Campano Giovanni Antonio: “Interamniensis in funere card. SanctaeSusannae Saxoferratensis oratio”, riportato da Ciaconio (1677) in “Vitaeet res gestae pontificum romanorum et S.R.E. cardinalium”.- Morici Medardo (1899): “Il cardinale Alessandro Oliva predicatorequattrocentista”, Firenze, pp. 40.

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Coldellanocedi Umberto Comodi Ballanti

Coldellanoce è situato a 5-6 km dal capoluogo, in direzione Sud-Ovest,all’imbocco della valle formata dai monti Gallo, Le Siere e il Puro, aiconfini con l’Umbria, ad una altitudine di m 393 s.l.m.Dai circa 300 abitanti che il paese contava agli inizi del ‘900, la popo-lazione residente non raggiunge ora le 100 persone, a seguito dellaforte emigrazione verificatasi soprattutto negli anni post-bellici; feno-meno che era comunque iniziato già nella seconda metà dell’800, so-prattutto verso gli Stati Uniti.

Ecco come si presenta il paese in una vecchia cartolina, stampata nel1904 in occasione del IV Centenario della morte di Pandolfo Collenuc-cio: documenta in modo quanto mai evidente le difficili condizioni divita della popolazione che ricavava i propri mezzi di sostentamentodalla magra coltivazione di campi e vigneti che dalla piana lambivanola cima dei monti.

Ed ecco come si presenta il paese ora, con il folto bosco appenninicoche prende la sua rivincita e stringe sempre di più il paese con la suadensa coltre verde.

Chi, trovandosi a Sassoferrato, pensasse di fare per la prima voltauna breve puntata a Coldellanoce non rimpiangerà la sua decisione;soprattutto se deciderà di raggiungere il paese lungo la strada chepartendo dal bivio Fabriano-Scheggia - subito dopo il passaggio a li-vello della ferrovia Fabriano-Pergola - sale dolcemente verso SerraSan Facondino. Già da questo breve viaggio verso la cima del colle il visitatore ricaveràsensazioni inaspettate: la strada fiancheggiata da querce secolari, lavista di un paesaggio ed una natura intatti, lo splendido scenario delmonte Strega sulla destra, le balze del Catria, il Motette, il massicciodel monte Cucco - dal profilo austero, ma come plasmato dalla mano diun artista - che scompare lentamente dietro la sagoma del Puro. Al-l’improvviso, raggiunta Bosco, la vista di Coldellanoce adagiato sullapiana costellata di case bianche all’imbocco della valle. Il bosco appenninico rappresenta veramente un prezioso patrimonio na-turale che desta stupore per la straordinaria varietà della flora, le tantepiccole sorgenti nascoste nei segreti recessi, gli odori e colori cangiantinel corso delle stagioni; lo scotano che tinge di porpora il monte Galloagli ultimi raggi del sole d’autunno... e la diffusa rete di sentieri che dalfondo della valle salgono verso le cime e i prati che coprono quasi inin-terrottamente il crinale dei monti al confine con l’Umbria: vie di colle-gamento molto importanti nei secoli passati tra i tanti paesi e localitàlimitrofe: Gaville, Pantana, la Badia di S. Emiliano, Perticano, Casal-vento, Colmicoso, Rucce, Coccore, Mandole, Aspro...Lassù, sulla cima dei monti Le Siere e Miesola1, il paesaggio che sipresenta alla vista è stupendo: ad Est, il San Vicino; più lontano, lamacchia cilestrina dei Monti Sibillini; il monte Cucco che incombe so-litario con la visione incredibile dell’Eremo come sospeso sulla roccia;il massiccio del Catria, quasi geloso di mostrare la sua cima, che pro-tende le sue balze come un gigante assonnato (o forse, assorto nel ri-cordo glorioso di Pier Damiani e di Dante o nell’ascolto degli echi delcanto gregoriano che giungono dal fondo delle sue valli?).Coldellanoce offre anche altri spunti per una visita.Interessante è la Chiesa dedicata a San Lorenzo Martire, la cui radicaleristrutturazione nella metà dell’800 ha portato alla luce alcuni restidell’antica struttura probabilmente del XIII secolo. Essa conserva il pre-zioso Trittico di Matteo da Gualdo2, datato 1487, con la Madonna e ilBambino, i patroni San Lorenzo e San Sebastiano; un pregiato Croci-fisso di autore ignoto, in legno cipresso del XVI sec. appena restau-rato, ed un affresco rappresentante la Madonna del Rosario ed i SS.Domenico e Caterina di scuola del Ramazzani che lo storico AlbericoPagnani fa risalire alla fine del ‘500.Ignoto è il committente del Trittico, ivi rappresentato; si tratta forse diun personaggio della famiglia dei Conti Atti, la quale entrò in possessodel Castello di Coldellanoce dopo la cacciata dei Collenuccio.

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Nella Provincia di Ancona, il Comune di Sassoferrato è secondo solo a quello di Fabriano per estensione di territorio; un territorio caratteriz-zato dalla presenza di numerose frazioni, la cui origine risale spesso molto lontano nel tempo, ciascuna comunque con le sue preziose pecu-liarità. Notizie su alcune di esse sono già apparse nei precedenti numeri della nostra Rivista. A partire da questo numero di Sassoferrato mia,iniziando con Coldellanoce, la Redazione ha deciso di pubblicare sistematicamente un articolo dedicato ad uno dei principali abitati intorno Sas-soferrato, ritenendo con ciò di aumentarne la conoscenza e di rendere un giusto riconoscimento alle loro valenze.

La Redazione

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Già nella relazione scritta a conclusione della sua visita pastorale del1573, il Vicario Generale del vescovo di Nocera deplorò lo stato di ab-bandono in cui venne trovata la chiesa e la pessima conservazione delTrittico (descritto come “tabula bene depicta”). Non c’è da meravi-gliarsi quindi, se trascorsi altri tre secoli la pala fosse ridotta in con-dizioni tali da farne temere la perdita irreparabile, come documentatoin una vecchia fotografia di inizio ‘900. Dopo aver subito un primo, mal-destro, intervento il Trittico riacquistò finalmente, almeno in parte, ilsuo antico splendore a seguito del restauro curato dalla Soprinten-denza per i beni artistici delle Marche circa trent’anni fa. Da allora, laChiesa di Coldellanoce è diventata meta di numerosi visitatori desi-derosi di ammirare il Trittico. Nel 2004 esso fu esposto nella Mostradedicata al grande pittore dalla sua città natale, ospitata nella RoccaFlea di Gualdo appena riaperta.

Notizie storicheLunga e travagliata è la storia del paese, ricca di episodi anche tra-gici; lo storico Alberico Pagnani ne dà un’ampia esposizione nella suaStoria del Castello di Coldellanoce. Il primo documento riferito a Col-lis Nucis, riportato dallo storico Virginio Villani nella sua rassegna deI Centri murati in età medievale è del 1200. Un altro documento del1226, riportato dal Pagnani, parla della dedizione degli uomini e delcastello di Collis Nucis ad Arcevia da parte di Federico Federici. Sem-brerebbe quindi che la famiglia dei Federici o Federicucci possedesseil Castello di Coldellanoce prima dei Collenuccio.Nella sua Autobiografia, Pandolfo Collenuccio (1444 – 1504) raccontache il castello di Collis Nucis fu donato ai suoi antenati nella primametà del 1200 da Federico II in segno di gratitudine per la loro fedeltàghibellina e che la sua famiglia ne mantenne il possesso, sia pure coninterruzioni, fino al 1433, quando Francesco Sforza assalì e saccheggiòil castello. Nella difesa del castello morì l’ultimo signore di Coldella-noce, Giovanni Seneca, e da allora i Collenuccio non fecero più ritornoa Coldellanoce. Coldellanoce passò sotto il dominio dei Conti Atti, chelo tennero fino alla loro cacciata nel 1460. Da allora visse come Co-mune ‘appodiato’3 a Sassoferrato, ma dotato di ampia autonomia, retto

da un balivo coadiuvato da quattro massari e comprendente anche ipaesi limitrofi di Coccore, Mandole, Aspro. Coldellanoce godrà di unacerta autonomia fino in epoca recente, come Comunanza, che fu scioltanel 1936 con la stesura dell’atto di vendita del Mulino. Si è salvato dalla distruzione un volume - parte di una raccolta moltopiù ampia ormai pressoché indecifrabile - degli Atti Consiliari del Ca-stello di Coldellanoce che copre il periodo dal 1573 al 1615. Lo studiodi tali documenti fu effettuato dallo storico Guido Vitaletti e riportatonell’opuscolo Atti e Memorie pubblicato dalla Deputazione di StoriaPatria per le Marche nel 1947. Esso offre una vivace descrizione dellavita della piccola comunità: oltre ai comuni, a volte curiosi, problemiquotidiani traspare l’orgoglio degli abitanti per il glorioso passato, lapreoccupazione per il lento decadimento del castello e lo stato dellacinta muraria di difesa, la gestione del mulino, del forno...

Personaggi illustri La storia del paese è singolarmente ricca di personaggi illustri, nati aColdellanoce o di origini coldellanocese. Primo fra tutti, e a buon dirittoPandolfo Collenuccio che rese famoso il nome di Collis Nucis, avendolatinizzato il suo nome in Collenutius. Nacque a Pesaro da Matteo da

Coldinoce, rifugiatosicon il fratello presso iMalatesta all’età diotto anni, ormai or-fano, a seguito dei tra-gici eventi del 1433.Stupì i contemporaneiper la molteplicità deisuoi interessi: giure-consulto, umanista,poeta, storico; apprez-zato per la sua abilitàdi diplomatico, fu con-teso dalle corti italianedel tempo: i conti Va-rano di Camerino, la Fi-renze dei Medici, iGonzaga, gli Sforza diPesaro e, soprattutto,

la corte di Ferrara, perla quale svolse impor-

tantissimi incarichi, tra cui una delicata ambasceria presso l’ImperatoreMassimiliano d’Austria. Godette della stima e dell’amicizia di grandipersonaggi, come: Lorenzo il Magnifico, Poliziano... Ebbe una vitaquanto mai avventurosa, sempre perseguitato dalla sfortuna fino allasua tragica fine.Lasciò importanti opere e un voluminoso epistolario: la famosa Can-zone alla morte”4; apologi, drammi, la fondamentale opera storica Isto-rie del Regno di Napoli, che ebbe subito numerosissime edizioni involgare, latino, francese, spagnolo. Dettò le sue Ultime volontà5 pocoprima di morire nella Rocca di Pesaro l’11 luglio 1504, vittima dellaperfidia di Giovanni Sforza. Tra le iniziative promosse dall’Istituto In-ternazionale di Studi Piceni per la celebrazione del V Centenario dellamorte dell’umanista è stata tenuta una Giornata di Studi nell’ambitodel XXIV Congresso Internazionale di Studi Umanistici; inoltre, con ilcontributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cu-pramontana è stata attrezzata a parco la zona in cui sorgeva il castellodei Collenuccio, con l’erezione di un cippo in suo onore.

Xilografia di Pandolfo Collenuccio riportata nel-l’edizione latina delle Historiae Napolitanae,stampata a Basilea nel 1572.

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Lorenzo Parigini, vescovo di Urbania e Sant’Angelo in Vado. Nacque a Coldellanoce nel 1779. Compiuti gli studi e consacrato sa-cerdote nel Seminario di Nocera, esercitò ancora molto giovane le fun-

zioni di Vicario inassenza del VescovoPiervissani, esiliatoin Francia da Napo-leone. Svolse impor-tanti incarichi inSardegna per la ri-forma degli ordinireligiosi con soddi-sfazione della SantaSede e del Re diSardegna Carlo Al-berto, che in segnodi gratitudine e digrande considera-zione gli conferì l’al-tissima onorificenzadi Commendatoredell’Ordine dei SS.Maurizio e Lazzaro.Consacrato vescovo

nel 1832, alleviò le sofferenze della popolazione della sua diocesi in unperiodo contrassegnato da carestia ed epidemie, favorì la ripresa dellaproduzione ceramica, l’istruzione scolastica femminile. Morì improvvi-samente la vigilia di Natale del 1848.

Padre Angelo Censi (p. Angelo da Sassoferrato). Nato a Coldellanocenel 1846, cappuccino. Inviato missionario in Brasile, insieme con ilsuo confratello Serafim da Gorizia fondò nella foresta brasiliana diMinas Gerais in condizioni estremamente difficili la città di Itamba-curi, oggi fiorente centro di 30-40.000 abitanti. Morì nel 1924. Consi-derato tuttora come un eroe nazionale, nel Centenario della suafondazione la città ne onorò la memoria con un grande monumentonella piazza principale6.

Ferruccio Vignanelli (1903 – 1988), compositore, clavicembalista e or-ganista di fama internazionale, nato a Civitavecchia da Giosafat e Fer-mina Di Francesco, emigrati da Coldellanoce. Docente presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra, formò un’interagenerazione di artisti che accorrevano da tutto il mondo alla sua scuola.Dette un importante contributo allo sviluppo della tecnica organaria.Ferruccio nacque in una famiglia singolarmente baciata dall’arte: unodei suoi fratelli, il primogenito Fernando, esercitò la pittura come atti-vità professionale manifestando indubbie qualità artistiche. Il secon-dogenito Arnaldo fu scultore dal grande temperamento artistico (aCivitavecchia è possibile ammirare tuttora il busto a lui dedicato). Legòil suo nome a due insigni monumenti: l’Altare della Patria e l’Abbaziadi Montecassino, ricostruita dopo la guerra.

Iniziative culturali

Presepe vivente Coldellanoce si distingue anche per la vivacità delle sue iniziative, lapiù importante delle quali è senza dubbio il Presepe vivente, che vedela partecipazione praticamente di tutti gli abitanti del paese in qualitàdi figuranti e che è diventato ormai un evento tradizionale del periodonatalizio. Rete sentieristica (Gruppo Monte le Siere)In collaborazione con il CAI di Fabriano è stata individuata una mappadegli antichi sentieri che collegavano Coldellanoce con i paesi limitrofiattraverso la montagna ed elaborata su questa base una rete sentie-ristica collegata con il Parco del Monte Cucco ed il Gruppo del Montedella Strega. Tale rete, che dal fondo valle risale fin sulle cime deimonti permette di godere delle straordinarie bellezze naturali e pae-saggistiche della zona.

Pubblicazioni- Storia del Castello di Coldellanoce di Alberico Pagnani- Lorenzo Parigini Sentinate, Vescovo di Urbania e di Sant’Angelo inVado (1833 – 1848) di Corrado Leonardi che possono essere richiesteall’Ufficio Parrocchiale

Per informazioni: Centro Ricreativo – Patrizia, tel. 347 1961108Ufficio Parrocchiale, Stefania, tel. 348 6700376

Note1. Altitudine s.l.m.: monte Le Siere - 823 m; monteMiesola – 806 m2. Matteo di Pietro da Gualdo (n. 1430 circa – m.1.507)3. Con il termine “appodiato” si designavano nelterritorio dello Stato Pontificio territori o paesi go-vernati da un Comune, ma che beneficiavano co-munque di talune autonomie. 4. “Pubblicata soltanto nell’adolescenza di GiacomoLeopardi, toccò vivamente il cuore e la fantasia del-l’autore dei Canti” (F. Flora, Storia della letteraturaitaliana).5. Struggenti le parole con le quali Pandolfo chiudeil suo testamento: “Scritto in loco e tempo de tri-bulazione e de angustia adì XI de luglio 1504. Re-gnante papa Iulio secondo, e scritta in Pesaro.Io Pandolfo di messer Matteo da Coldenose , dot-

tore e cavaliero, de mia propria mano scrissi”.6. La figura di padre Angelo è stata già illustrata piùdettagliatamente nel numero precedente della no-stra Rivista.

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Il comprensorio fabrianesee il territorio che “non c’è”Le idee inascoltate del Censisdi Galliano Crinella*

Scrivevamo qualche anno fa, in occasionedella visita nella nostra Regione dell’ex - Pre-sidente dell’Unione Sovietica Mikhail Gorba-ciov, organizzata per presentare alle istituzionipubbliche, alle Università, agli imprenditori eai mondi vitali la Carta della terra, il manifestodello viluppo ecosostenibile, che questo im-portante appuntamento avrebbe finito conl’essere un episodio come tanti, come le tantee forse troppe proclamazioni di princìpi, cui siassiste ricorrentemente, se non fosse stata ac-compagnata da una rinnovata e più forte at-tenzione ai problemi della dimensione locale,tornati alla ribalta anche in forza dei processidi globalizzazione, e dunque dalla capacità diriportare al centro dell’interesse collettivo ilproblema del territorio, del buon uso delle suerisorse e della piena valorizzazione delle suepotenzialità.

Centralità del territorioIl tema del territorio è al centro dell’interessecollettivo, a giudicare dai documenti politico-istituzionali. Ma tale interesse, che moltospesso, ahimé, è solo un puro flatus vocis, nonè accompagnato dalla consapevolezza di undato in sé evidente: che il territorio appare già

segnato da una disordinata politica di occupa-zione degli spazi, spesso attuata senza l’ado-zione di una logica di governo complessivo,rispettosa delle prerogative e della “persona-lità” del territorio stesso. La definizione del temine può aiutare a com-prenderne il valore. Potremmo dire che il ter-ritorio è costituito da un insieme organico direlazioni, di confluenze sociali e culturali, diservizi che caratterizzano un’area vasta, all’in-terno di ambiti sovracomunali, provinciali e re-gionali. Dunque qualcosa di differente da unapura e semplice sommatoria di realtà locali-stiche e municipali, ognuna chiusa in se stessae con politiche sempre indirizzate alla ricercadel massimo vantaggio in un’ottica di autono-mia campanilistica. L’urbanista Alberto Ma-gnaghi ha scritto, con espressione che a mepare assai significativa, che il territorio è“l’opera d’arte più corale che l’umanità abbiaespresso, risultato del dialogo di entità viventinel tempo lungo della storia”.

Se è così, il richiamato appello di Gorbaciovnon poteva che rafforzare la rilevanza di untema già di per sé molto avvertito. Rilevante,soprattutto, se riflettiamo sull’illusione dipoter fare a meno dei luoghi, della natura e delterritorio, costruendo ambienti del tutto artifi-ciali. Illusione volta a fare dei luoghi e dei ter-ritori veri e propri siti funzionali ad unosviluppo indifferente all’individualità deglistessi, al contesto ambientale – fisico e an-tropico -, per arrivare a quella che è stata de-finita un’“interruzione del paesaggio”. A frontedi questi rischi, il problema dello sviluppo lo-cale, se inteso anche come riaffermazionedelle peculiarità territoriali, diventa centralenel dibattito sulla questione ambientale e sullastessa “sostenibilità dello sviluppo”.

Le ipotesi del CensisPer il comprensorio fabrianese, alcune analisidel Censis sul sistema socioeconomico, i suoicaratteri attuali e le possibilità future, hannofornito, sul finire degli anni novanta, interes-santi elementi degni di un’attenzione che nonvi è stata, ed utili all’individuazione di un’iden-

tità territoriale che esige di leggere i processidi formazione del territorio nel tempo lungo,per cogliere invarianze, permanenze, sedi-menti materiali e cognitivi. Giuseppe De Rita ha sostenuto che è neces-sario “fare società locale”, essere in grado diaver cura del proprio ambiente e del proprioterritorio. “Il territorio, in tutta la molteplicitàdelle sue dimensioni – ha scritto il fondatoredel Censis -, è entrato a connotare, a pieno ti-tolo, i caratteri dello sviluppo economico e siconfigura come un complesso di fattori di cuiricercare la migliore combinazione, per otte-nerne incrementi nella crescita del livello dibenessere”.Il processo di globalizzazione, peraltro, nonproduce solo omologazione, ma stimola le dif-ferenziazioni, l’invenzione di prodotti legatialle peculiarità locali. Anche da questo puntodi vista, la costruzione dell’identità dei luoghie dei territori –in alcune regioni italiane sonogià stati definiti gli statuti dei luoghi - con-tiene un significato centrale per lo sviluppo sesi fonda sulla convinzione che essi costitui-scono un grande patrimonio da salvaguardare,attribuendogli sempre nuovi valori. ìIl territorio fabrianese – così appare ad un os-servatore imparziale nel lungo percorso dellaseconda metà del novecento - è una limpidaespressione della mancanza di una politica peril territorio. Un territorio senza una guida,senza nessuna ricerca volta a mettere insiemele forze, fatto solo di realtà municipali chiusein se stesse, interessate solo a politiche perl’autosufficienza.La crisi delle attività industriali di questi ultimitempi accentua e mette a nudo questa realtà.Per quanto concerne il problema della situa-zione economico - sociale del territorio e la suacapacità di aprirsi a nuovi orizzonti, ho ricor-dato poco sopra la “lettura” del Censis: “Ri-pensare lo sviluppo locale nell’area di Fabrianoe Cupramontana”, commissionata dalla Cassadi Risparmio di Fabriano e Cupramontana epresentata a Fabriano nella primavera del1999. Mi pare interessante, a distanza di oltredieci anni ed in presenza di una crisi occupa-

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zionale gravissima, riprendere qui, in estremasintesi, quanto emergeva da quella “lettura”.Inanzitutto, la necessità di “aprirsi al cambia-mento”: “L’attuale struttura socio-economicadell’area – vi si leggeva – deve gradualmenteinserire al proprio interno elementi di innova-zione, riorganizzando e valorizzando le risorseesistenti”.

Limiti e prospettive della struttura industrialefabrianeseLa valutazione del Censis partiva dalla con-statazione che il sistema industriale di Fa-briano aveva raggiunto una soglia di crescitadifficilmente superabile, per cui la via percor-ribile per il futuro e su cui fondare un modellodi sviluppo solido come quello del passato eraindividuata in un processo di diversificazionedelle attività produttive. Questa via, qualorafosse stata perseguita, avrebbe consentito alterritorio fabrianese di divenire “un’area vastanella quale investire”. Si diceva inoltre che“attraverso il partenariato sociale, la logicadella cooperazione e l’apertura del territorio alcontesto esterno e alle direttrici di interscam-bio sarebbe stato possibile attivare nuove di-namiche di crescita. Spetta alle istituzioni edai soggetti locali definire un quadro organico di

interventi sui quali puntare e convogliare ri-sorse nuove e capacità di investimento”.Il documento del Censis fu rapidamente ac-cantonato perché il comprensorio – con que-ste risposte fu accolto dal mondoimprenditoriale e politico locale – godeva diottima salute e non doveva affrontare alcuncambiamento. Sappiamo ora che gli anni suc-cessivi al 1999 hanno segnato, al contrario,un progressivo indebolimento del distrettodella meccanica che ha portato alla deloca-lizzazione produttiva di aziende importanti ealla chiusura della “Antonio Merloni”, uno deicolossi della realtà industriale fabrianese.Non aver diversificato, non aver cercato altrepossibilità di sviluppo rende ora quantomaiproblematico il dare risposte efficaci ad unacrisi di sistema che segna, dopo cinquant’annidi sviluppo, un sicuro impoverimento del ter-ritorio. Ma anche la cronica povertà di infra-strutture viarie, un blocco economico –politico - sociale che tuttora persiste e chenon ha certamente favorito una differenziataintrapresa industriale ed artigianale, la totalemancanza di una strategia politica comples-siva per il territorio sono oggi le cause di unasorta di immobilismo nei confronti della crisie delle possibilità di una riconversione eco-

nomica e produttiva.Ma tutto questo si lega direttamente, altempo stesso, ad un altro punto, che qui mipiace richiamare e che è relativo al tema dellacultura, dei beni e degli istituti di cultura chesono presenti sul territorio, da Matelica a Fa-briano, Genga e Sassoferrato , ma che nonhanno mai trovato l’attenzione che avrebberomeritato ed una valorizzazione sinergica inun’ottica territoriale. Sono certo che quest’ultima si sarebbe rive-lata assai utile, ad esempio, per far uscire lapolitica del turismo sul territorio da sterili,inefficaci proclamazioni e per rafforzare ilruolo dell’entroterra montano nell’area pro-vinciale e regionale. E qui va detto che la cittàdi Sassoferrato, costituisce, sotto questoaspetto, una vera e propria eccellenza, consi-derato il prestigio e l’alto livello della sua“vita culturale”, costruito in decenni di ope-rosa, lungimirante e creativa attività. Ma suquesto notevole patrimonio sentinate, chequalche anno fa definii, non senza una pic-cola esagerazione, “vocazione culturale e ar-tistica”, la comunicazione purtroppo langue.E allora ci torneremo presto.

*Università degli Studi di Urbino“Carlo Bo”

Bartolo, il primosassoferratese nel mondo!di Mario L. Severini

Se la nostra città è conosciuta nel mondo, ciòsi deve soprattutto a Bartolo che, nel diritto,come Dante nella letteratura e Giotto nell’arte,chiude nel XIV secolo il Medioevo aprendo lastrada al Rinascimento.La fama di Bartolo da Sassoferrato non fugrande solo tra i contemporanei, ma soprat-tutto tra i giuristi dei secoli successivi tanto dameritare attestati di encomio e appellativi qualimonarca della giurisprudenza; maestro e padredella verità; oracolo di Apollo; guida dei ciechi;luce, specchio e stella dei giuristi; lucerna deldiritto; nume terrestre nelle leggi!Innumerevoli le biografie redatte nei secoli suc-cessivi, così come le cattedre universitarie inti-tolate a Bartolo: nel 1500 a Padova, nel 1600 aPerugia, Napoli e Macerata, nel 1700 a Firenze.Dagli incunaboli napoletani alle giuntine vene-ziane le sue opere si diffusero in tutte le scuoledi diritto europee, dove furono studiate al paridel diritto romano.Gli statuti spagnoli (1427-1433), portoghesi

(1446) e poi brasiliani (1603) prevedevano chenei casi dubbi dovesse sempre prevalere l’opi-nione di Bartolo e ogni giudice dovesse quindiattenervisi. A tal punto era diffusa tra gli studiosidi tutti i tempi la rinomanza della sua opera dagiustificare il detto “ nessun giurista è tale senon è bartolista” ( nemo jurista nisi bartolista”)Prima di parlare dell’importanza innovativa delsuo pensiero dai contenuti non solo giuridici mapolitici ed etici, alcuni cenni biografici. NacqueBartolo a Rave di Venatura, frazione di Sasso-ferrato nel 1314 (o forse nel 1313) dalla fami-glia dei Severi o dei Bentivoglio.Alcuni loritennero figlio illegittimo date le scarse notizieautobiografiche: egli infatti non parla quasi maidella sua fanciullezza, non utilizzando peraltro ilcognome della famiglia , ma fregiandosi solo diquello della città natale.E’ sicuro che venne affidato nella prima fan-ciullezza alle cure di un frate minore del con-vento di San Francesco (conosciuto come “laPace”) di Sassoferrato, Pietro da Assisi, del

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quale Bartolo parla con sincera e commossa gra-titudine per i primi insegnamenti ricevuti e peraverlo poi avviato – avendone intuito l’acume ela disponibilità allo studio - a Perugia dove siiscrive al corso di Cino da Pistoia, salito in que-gli anni all’apice della fama con la sua operaLectura super codice. Dopo sei anni di intensistudi a Perugia, Bartolo si laurea a Bologna nel1334 a poco più di venti anni, con solenne pro-clamazione nella cattedrale di San Pietro.

Incerte sono le notizie circa l’attività che Bar-tolo svolse immediatamente dopo la laurea: si-curamente si dedicò ad attività amministrativee di avvocatura prima di accedere nel 1339 allacattedra di Pisa. E’ provata la sua presenza aTodi tra il 1335 e il 1336, poi come assessorea Cagli e nel 1338 a Macerata come avvocatodel rettore della Marca Anconetana. A venti-sei anni, nel 1339, inizia la sua esperienza –prima di assessore e poi di professore di dirittoromano - a Pisa. In questa città svolge una du-plice attività: accademica presso il locale ate-neo e pratica con consigli giuridici per lasoluzione di importanti vertenze e controversie.Tale duplice interesse gli vale rinomanza e ge-nerale apprezzamento, tanto che nel 1343viene chiamato a Perugia per ricoprire la pre-stigiosa cattedra di diritto in quella università e

dove svolge anche la funzione di giudice e dicompositore di liti e controversie, intervenendoperaltro con pareri e consigli nella vita poli-tica della città. Bartolo resterà sino alla mortea Perugia, ove nel 1348 gli venne concessa lacittadinanza ad honorem. Ma tornerà fre-quentemente a Sassoferrato , così come siporterà in altre sedi universitarie limitrofe perlezioni sempre seguitissime da numerosi stu-denti e colleghi o per missioni, quale quella chesu mandato del comune di Perugia svolse nel1355 a Pisa per incontrare l’imperatore CarloIV di Boemia dal quale ottenne il riconosci-mento e la conferma ufficiale dell’universitàperugina. In quell’occasione Bartolo offrì il suocontributo di giureconsulto all’imperatore prov-vedendo alla stesura della famosa “Bollad’oro” che definiva le regole e le procedure peril governo dell’impero. In segno di gratitudinel’imperatore lo nomina suo consigliere e do-mestico commensale con diploma del 19 mag-gio 1355, con facoltà di inserire nel suostemma di famiglia l’arma dell’imperatorestesso, conferendogli peraltro altri benefici eprerogative. Dopo una grave malattia che lotiene lontano dalla sua attività accademica escientifica,Bartolo stende il 14 maggio 1356 ilsuo testamento nominando eredi i due figlimaschi Francesco e Luigi – come era in uso aquei tempi- avuti dal matrimonio con la peru-gina Pellina Bovarelli che gli aveva dato anchequattro figlie: Santa, Paola, Francesca e Nella.L’anno successivo, il 13 luglio 1357, muoreforse per un infarto e viene sepolto – su suaspecifica disposizione- nella chiesa di SanFrancesco a Perugia. L’eredità di Bartolo che è sopravvissuta ai se-coli e alle vicende politiche e storiche del no-stro Paese, viene identificata in quella partedella sua opera che resta attuale dopo aver in-fluenzato il pensiero giuridico non solo italiano,ma anche europeo: la legislazione, la giuri-sprudenza e la dottrina in questi sei secoli emezzo hanno subito una evoluzione possente eun’accelerazione incredibile – soprattutto neldiritto pubblico-costituzionale, penale, interna-zionale, civile e commerciale- anche e soprat-tutto in funzione del contributo e metodoscientifico introdotto da Bartolo. E gli si è oc-cupato con rigore di vero scienziato e con in-tensità di indagine delle materie più varie: dal

diritto di cittadinanza e asilo politico alla tutelae difesa della condizione femminile, al dirittoallo studio, all’ospitalità e tutela dello stra-niero, all’araldica, al marchio d’impresa anchein funzione della difesa del consumatore, allacircolazione stradale (resta famosa la soluzioneofferta da Bartolo al problema del traffico deicarri con l’introduzione della regola della pre-cedenza di fatto – primus in via, potior in via-recentemente adottata per le moderne rotato-rie!) al sistema monetario e alla difesa del ri-sparmiatore e dell’utente dei pubblici servizi.In particolare nel diritto finanziario Bartolo di-mostra di avere una visione dell’attività mer-cantile tra stati e tra persone di una modernitàsorprendente anche in materia di cambi (mo-neta aurea,argentea, di rame) in un rapportovirtuoso quantità/qualità, a tutela del cittadinoe dello stesso commercio, del quale Bartolo av-vertiva l’importanza sotto il profilo dei rapportinon solo giuridici, ma anche in funzione di ele-vazione sociale,morale e di sviluppo economicoResta famoso il suo trattato di diritto costitu-zionale “De Guelphis et Ghibellinis” nel qualesostiene il ruolo fondamentale dei partiti. Bar-tolo ritiene questi indispensabili per la vita de-mocratica se l’idea che li ispira sia diretta nona fini di particolare vantaggio di determinatepersone o gruppi, ma per il bene generale dellacomunità. Le organizzazioni politiche possononon solo essere utili, ma anzi necessarie se in-dirizzate a realizzare finalità di alto valore ci-vile, quali la giustizia e la pace.Tra i meriti che generalmente si ascrivono aBartolo spicca quello di aver rinnovato i me-todi studio, lettura ed indagine scientifica deldiritto romano, la cui diffusione era profonda-mente radicata nella cultura del tempo. Ciò haconsentito di conciliare le antiche regole deldiritto giustinianeo con gli statuti municipali econ la pratica della vita contemporanea. Ma ilmerito più grande fu quello di aver posto al cen-tro della sua dottrina il principio di legalità, cioè la supremazia della legge e la sua sovra-nità, a limitazione del potere politico e in par-ticolare di quello dispotico, per consentirel’estrinsecazione razionale poi dello stesso po-tere in funzione soprattutto del bene collettivo(propter bonum publicum).Una vera lezione di civiltà valida per tutti itempi!

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Non sono molte le cittàmarchigiane che possanovantare un figlio illustre conun forte senso di apparte-nenza come quello nutritodal poeta BaldassareOlimpo degli Alessandri perla sua Sassoferrato, laquale peraltro non è nuovaa questi collegamenti forti:si pensi al giurista del Tre-cento Bartolo da Sassofer-rato e al pittore delSeicento Giovan BattistaSalvi detto il Sassoferra-tese. Ebbene, a Sassofer-rato, dove ebbe gli affettipiù cari, Olimpo trascorse

quasi tutta la vita, tanto che, piuttosto che come Baldassare Olimpoo Olimpo Alessandri, è conosciuto come Olimpo da Sassoferrato. Lasua stessa produzione letteraria si distingue in due fasi: quella princi-pale o sassoferratese e quella finale o veneziana. Ed è interessanterilevare che la prima fase è all’insegna dell’ottimismo e del vitalismo,mentre la seconda è caratterizzata da pessimismo e disfattismo acausa del tradimento degli amici, dell’esilio e della malattia. Lo stessopoeta ebbe a indicare come causa del cambiamento l’abbandono for-zato della sua città natale, quando scrive “Non canto più con riso festae gioco, / come solea, perché la sorte mia / m’ha privo del soave, miobel loco”. Questa trasformazione esistenziale e poetica trova espres-sione paradigmatica nelle poesie amorose, dove all’esaltazione dellegioie d’amore della prima fase si sostituì la denuncia delle pened’amore della seconda fase.Si deve alla intelligenza editoriale di Carlo Antognini la riproposta nel1974 per i tipi de “L’Astrogallo” di Ancona dei Madrigali e altri versiamorosi, e in quella occasione è stato Franco Scataglini a presentarela riproposta del poeta sassoferratese (impreziosita da sei disegni diOrfeo Tamburi) che avveniva quasi cinquant’anni dopo la riscopertaoperata dalla Venezian, autrice della fondamentale monografia suOlimpo da Sassoferrato pubblicata a Bologna nel 1921, ma prima delsaggio di uno studioso dell’Università di Macerata, Sandro Baldoncini,il quale da Bulzoni pubblicò nel 1981 il libro Per vaghezza d’alloro:Olimpo da Sassoferrato, Eurialo d’Ascoli e altri studi.Pertanto bene ha fatto lo scrittore sassoferratese Clito Bruschi a darvita a tutta una serie di iniziative e di pubblicazioni dedicate a Olimpo:dal Concorso nazionale di poesia al Centro culturale: entrambi intito-lati a Baldassare Olimpo; dalla cura della pubblicazione moderna di al-cune opere (Linguaccio, Gloria e La nuova Fenice) alla pubblicazionedella recente antologia intitolata Il liuto e l’anima (l’iconografia ha tra-mandato l’immagine del poeta che suona il liuto) e edita dall’Istitutointernazionale di studi Piceni di Sassoferrato, un’iniziativa che, ancorauna volta, è stata favorita da p. Stefano Troiani, promotore delle prin-cipali iniziative culturali di Sassoferrato e animatore di tanta parte del-l’attività culturale sassoferratese.

Si tratta, come recita il sottotitolo di “percorsi antologici attraverso leopere di Olimpo da Sassoferrato”: il primo percorso riguarda “la forzadell’amore”, il secondo “l’impresa d’amore”, il terzo “fede e poesia”,il quarto “la patria” e il quinto “l’esilio”. Non è questa la sede per unapresentazione critica né dell’autore né della sua opera; c’interessasemplicemente richiamare l’attenzione sulla sua poesia amorosa, chequalcuno accusò d’essere lasciva e lussuriosa (cosa tanto più grave inquanto il poeta era un frate minore conventuale); in realtà riteniamoche essa debba essere riguardata sotto altro profilo, cioè caratterizzatada due peculiarità: l’evidente ibridismo e la sottesa antropologia. Conciò vogliamo evidenziare il fatto che, quella di Olimpo, si caratterizza-come giustamente sintetizza Cliti- per “l’assommarsi delle esperienze(che) rende eclettica la sua cultura e fa dell’ibridismo linguistico e te-matico e dell’occasionalità nella composizione le note salienti dellasua produzione letteraria” (p. 13). Ma il fatto che questa poesia sia“improntata all’occasionalità e all’ibridismo, alimentali dall’ecletti-smo” (p. 173) nulla toglie alla sua specificità, che ci sembra rintrac-ciabile nel primato riconosciuto all’amore in un’ottica aristotelica, percui la concezione dell’amore si colloca nell’orizzonte dell’antropologiadel sinolo e dell’etica delle virtù.In questa ottica il canto di Olimpo nel passare in rassegna la diversatipologia dell’amore (personale, patriottico, religioso) e i diversi statidell’amore erotico (dall’innamoramento alla passione, dalla fedeltàalla gelosia, dal desiderio al possesso) offre motivi di riflessione chechiamano in causa una precisa concezione antropologica all’insegna diuna serie di valori, a cominciare da quelli della dignità e della libertàdelle persone a quelli tipici del mondo “cortese”: gentilezza, magna-nimità, fedeltà. Al di là delle facili citazioni (”Grazia più che bellezza inamor vale”, “Meglio è morir che viver con vergogna”) conviene rinviaread un solo componimento, significativo fin dal titolo: “D’uno equaleamore”: è il “Cantico dei cantici” di Baldassare Olimpo, un poeta che,a prescindere da specifiche valutazioni critiche, merita soprattuttod’essere ricordato per il fatto che in lui (come annota Cliti, cogliendola cifra della poesia olimpiana, p. 179) “l’equazione amore-cortesia la-scia il regno della galanteria e da espressione di mondanità si traducein programma di vita”, riuscendo a coniugare insieme erotica ed etica.

L’amore tra erotica ed eticadi Giancarlo Galeazzi

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Gli elementi lapidei e decorativi dell’Abbazia diSanta Croce degli Atti: restauri e considerazionidi Claudia Caldari

La riapertura e la nuova fruizione, nel settem-bre 2009, dell’abbazia di Santa Croce di Sas-soferrato hanno permesso di indagare e megliovalutare uno degli edifici monastici più rappre-sentativi dell’arte romanica dell’intera regione,non solo per la connotazione propriamente ar-chitettonica, ma anche per il ricco e variegatopatrimonio artistico che è conservato al suo in-terno, in massima parte confiscato dallo Statodopo l’unità d’Italia in seguito alla soppres-sione degli ordini religiosi e ora di proprietà delFondo Edifici di Culto.Gli interventi di restauro che hanno interessatole opere lapidee, lignee e pittoriche custoditenell’edificio – realizzati dalla Soprintendenzadi Urbino e in parte finanziati con la Legge n. 61del 1998, volta al ripristino e messa in sicurezzadegli immobili danneggiati dal sisma del 1997– hanno consentito di far risaltare ogni aspettodei vari elementi compositivi, architettonici edecorativi dell’insieme, permettendo di appro-dare a studi e ricerche, come hanno testimo-niato il Convegno del 2003 e la relativapubblicazione degli Atti nel 2007.L’intero lavoro attuato rappresenta in tal modouna di quelle fortunate occasioni in cui lamessa a punto delle opere costituisce non soloun gesto volto alla conservazione, ma diventaanche lo spunto per una rilettura critica, in basea quanto rivelato dalla superficie pittorica e de-corativa originale portata nuovamente allaluce, nonché un atto di conoscenza di tecnicheesecutive, di eventi intervenuti nel corso deisecoli, testimoni di cambiamenti o travisamentidella stesura primaria.La felice occasione del restauro ha offerto intal modo rinnovati stimoli per apprezzare la va-lidità storica, culturale e iconografica di un trat-tato religioso e artistico che la munificacommittenza dei Conti Atti, signori del luogo,e di comunità monastiche locali ha affidato, dal

XII secolo, a insigni lapicidi, pittori e intaglia-tori; nell’armonica orchestrazione compositivadegli spazi essi hanno affrontato un’efficacenarrazione espressiva e ornamentale, eseguitafino al XVII secolo. La lunga storia e le alternevicende del complesso abbaziale si comple-mentano con quelle dell’ambiente chiesastico,presenza concreta dotata di una precisa iden-tità, pur nelle molteplici vicissitudini chel’hanno interessato.La vita del convento e della chiesa è stata in-fatti molto travagliata, sia per i lunghi periodi diabbandono a causa di alienazioni, evacuazioniforzate o gestioni talvolta improprie; sia per lecondizioni statiche e strutturali piuttosto pre-carie di alcune parti dell’edificio, nonostante inumerosi interventi succedutisi nel corso deisecoli. Occorre ricordare per tutti il decennio1844-1854, che vide l’attuazione di importantilavori nella chiesa, dove tra l’altro venne toltol’intonaco dalle pareti di travertino e dalle co-lonne di granito e vennero coperti con calce gliaffreschi dell’altare dedicato al beato Alberto;o menzionare il restauro compiuto nel 1914,con cui si è creata sul paramento interno e sullevolte la tipologia di finto travertino, per into-narla al materiale della costruzione originaria.Rimando quindi agli accurati studi finora con-dotti e alle erudite dissertazioni tenute in sededi convegni, per sottolineare soltanto il grandeequilibrio spaziale che definisce l’interno del-l’abbazia, organizzata sulla tipologia razionaletipica dei monasteri benedettini. Nonostantegli ampliamenti e restauri anche impropri su-biti, testimoni tuttavia dell’importanza e dellevicissitudini storiche dell’insediamento, l’orga-nizzazione primitiva dell’insieme rimane ancorachiaramente leggibile, ad iniziare dalla dispo-sizione della chiesa, collocata sul lato nord del-l’impianto, che si caratterizza, nellacomposizione centrale a croce greca, per l’abileutilizzo delle colonne di granito incorporate neipilastri compositi che sostengono le volte a cro-ciera definite da snelli costoloni, e scandisconole campate delle navate e del transetto. L’inse-rimento nella struttura di questi manufatti e dimolti capitelli provenienti dalla vicina città ro-mana di Sentinum, insieme alla pianta cen-trale, conferiscono al tempio una scansioneordinata degli elementi architettonici ed unaserena proporzione degli spazi, modulati inoltreda absidi in corrispondenza delle tre navate e

del transetto. I capitelli in calcare, figurati inmodo differente l’uno dall’altro e scolpiti fine-mente, sono di notevole fattura; presentanocomplessi motivi floreali, fitomorfi, geometrici,intrecci e girali che si alternano a bestiari e fi-gure umane; o rappresentazioni sacre, comequella della Crocifissione nel secondo pilastroa sinistra. Quelli romani sono di forma compo-sita, mentre gli altri, che ne ricalcano le pro-porzioni e la struttura seguendo anche lo staccoelegante del collarino, sono in puro stile roma-nico, risalenti alla seconda metà dell’XI secolo.Le semicolonne incorporate nei pilastri compo-siti che sostengono le volte a crociera e le co-lonne a tutto tondo delle pareti di ingresso e difondo, attualmente occluse per metà dalla pre-

senza delle superfetazioni successive all’im-pianto originale, erano ridipinte uniformementecon uno spesso strato di colore grigio-scuro(usato forse a simulazione dell’aspetto delleparti originali) o con una tinta biancastra comele pareti in finto travertino; le semicolonneerano inoltre stuccate per nascondere l’irrego-larità dei conci e le coloriture dei pilastri, divaria natura e quindi di cromie differenti.Evidenti fenomeni di degrado interessavano invario modo tutti i manufatti oggetto dell’inter-vento: gli elementi lapidei, gli affreschi e leopere mobili, che esamineremo tra poco, hannoreso pertanto necessaria una propedeutica esistematica rilevazione di dati conoscitivi e

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l’esecuzione di scrupolose indagini diagnosti-che non distruttive, volte ad acquisire tutte leinformazioni possibili riguardo alle tecniche diesecuzione delle opere, nonché alle modifica-zioni subite nel corso dei secoli per cause am-bientali e per precedenti interventi restaurativi.Le operazioni di restauro su tutti i manufattisono state così precedute da campionatureeseguite su porzioni ridotte delle superfici; isaggi stratigrafici effettuati hanno fornito datie informazioni necessari ad individuare le cor-rette modalità di intervento e stabilire il giustolivello di pulitura da raggiungere, al fine di nonintaccare la stabilità chimico-fisica della pelli-cola pittorica o lapidea. Sulle colonne e semi-colonne le numerose stuccature che avevanola funzione di mascherare e rendere uniformi iprospetti, sono state così demolite per lasciarevisibili i pilastri con le irregolarità della pietra.Le paraste, che erano ridipinte a finto traver-tino come l’intera architettura interna, avevanosubíto anch’esse numerose otturazioni, nel ten-tativo di oscurare la congiunzione tra i conci,occludendo parti della primaria architetturacome nel caso delle decorazioni scolpite che,rinvenute nei massi in pietra della navata cen-trale, poste alla stessa altezza nei pilastri, ri-chiamano motivi cruciformi con chiaroriferimento alla dedicazione della chiesa. I ca-pitelli posti alla sommità delle colonne dellaparete d’ingresso e di quella di fondo dell’Ab-bazia risultano inglobati nella parete, facendopertanto supporre che sia le colonne sia i capi-telli stessi siano stati a tutto tondo e che l’ar-chitettura interna abbia avuto unaconfigurazione diversa dall’attuale. La colora-zione di questi elementi decorativi appare oradi un colore bianco avorio con striature giallo-

gnole e ferruginose che, facendo strettamenteparte della materia lapidea, conferiscono unaspetto estremamente ornamentale e raffinatoagli eterogenei particolari raffigurati.Un cenno al portale esterno, il cui restauro haseguito una metodica analoga a quella adot-

tata per le componenti lapidee interne. Asse-gnabile al XII-XIII secolo, esso è costituito daquattro arcate concentriche a tutto sesto e leg-gerissimo strombo, che poggiano su pilastrinicompositi con capitelli intagliati nei quali sonodelineati, con stile di primissimo romanico, dueleoni stilizzati e due aquile rampanti. Tutti gliarchivolti sono scolpiti: la ghiera più esternacon disegni geometrici, la successiva con unaleggera modanatura ornata da intrecci e deli-cati girali di viticci, fiori e grappoli; quelle piùinterne mostrano volute di nastri e soggetti ve-getali di grande effetto e di chiara influenzaemiliano-pavese. Quasi completamente na-scosto da due muri di sostegno costruiti nelprimo decennio del Novecento, il nartece chene risulta, un atrio con l’ingresso in fondo, è co-perto da una volta a botte, con cornici in pietrascolpita a motivi geometrici e floreali.Il portale presenta delle cromie su di un sottilestrato di calce ben ancorato alle superfici lapi-dee. Le analisi chimiche condotte hanno evi-denziato la presenza di discrete quantità di cerautilizzata per realizzare l’encausto degli stratidi terra rossa, rendendoli così più resistenti al-l’azione atmosferica. Il manufatto è stato og-getto di indagini analitiche, consentendo anchein questo caso di recuperare non solo un varie-gato assetto decorativo, ma di focalizzare al-tresì l’apparato ornamentale e pittorico dellalunetta nelle sue molteplici sfaccettature, fa-stosità e semplicità descrittive. La lunetta chesovrasta l’ampio portale d’ingresso è infatti fi-nemente affrescata, con una delicata Madonnacol Bambino tra due angeli alati, riferibile pro-babilmente a Giovanni Antonio da Pesaro, au-tore altresì dell’articolato polittico a tre ordinisovrapposti e predella, della fine del XV secolo,

un tempo conser-vato in chiesa e oraa Urbino nella Gal-leria Nazionaledelle Marche, che ifondamentali studidi Federico Zeri ePasquale Rotondihanno assegnatoproprio a GiovanniAntonio e per ilquale le ricerchedocumentarie diParide Berardi

hanno messo in luce una realtà molto più arti-colata di quanto si pensasse. L’opera, insiemead altre ugualmente assegnate al pittore conevidenti discontinuità nel ductus pittorico, è daricondurre invero all’attività di una grande bot-tega operosa nel Quattrocento a Pesaro, i Bel-

linzoni di Parma, di cui fanno parte i pittori Gi-gliolo, il capostipite, il figlio Cecco ed altri con-giunti, oltre a Giovanni Antonio, dal ruolopreminente, documentato fino al 1478. Il re-cente intervento restaurativo ha interessatoanche il ciclo di affreschi conservati nell’absi-diola che si apre sulla navata sinistra dell’Ab-bazia, legati alla cultura artistica fabrianesedell’ultimo Trecento, con puntuali riferimentialla tematica di Allegretto Nuzi, riproposta tut-tavia con un tratto interpretativo più schietto ecorrivo. Queste Storie di San Tommaso Apo-stolo, esemplate sulla Legenda aurea di Ja-copo da Varagine, ricordano altresì i riquadri dicui si compone il noto dossale con le Storie diSan Giovanni Battista che Francescuccio Ghissieseguì per la chiesa fabrianese di San Nicolò eoggi dispersi in alcuni musei statunitensi. Laconsistenza stilistica e culturale pone lo sco-nosciuto autore di Sassoferrato sullo stessopiano figurativo del Ghissi, specie in quelle te-matiche più strettamente legate all’iconogra-fia tradizionale, come la debole Crocifissione ola ieratica Madonna dell’Umiltà. Di converso, in altre realizzazioni presenti inChiesa, l’anonimo artista assimila il modulo diAllegretto Nuzi con maggior libertà, raggiun-gendo esiti non privi di una connotazione per-sonale e sostenuti da una ingenua ma vivacefreschezza coloristica e narrativa.Tutti gli affreschi conservati nell’Abbazia si tro-vavano in cattivo stato di conservazione. Il ciclopittorico della nicchia di sinistra era quasi il-leggibile a causa di uno strato biancastro che loricopriva. L’esame chimico-fisico ha individuatola presenza di sali solfati, di numerose ridipin-ture effettuate nei precedenti interventi di re-stauro, nonché di polvere, fumo e sporcodepositatisi sulla superficie, che rendevano il-leggibili le scene rappresentate. Infiltrazioni diacqua piovana e presenza di umidità avevanocausato inoltre il fenomeno della carbonata-zione, alterando i toni cromatici delle parti in-teressate. Mi piace segnalare che nella paretedi fondo, all’interno della nicchia di destra, aseguito della rimozione dell’altare ligneo tardosettecentesco, è stato rinvenuto un affrescodatato 1467 raffigurante San Biagio, in buonostato di conservazione e solo in parte ricopertoda strati di calce. In uno squarcio del concio inpietra sul lato destro del Santo raffigurato, li-berato dalle ridipinture e dai detriti accumulati,si scorge un capitello e l’innesto con la colonna:prova tangibile che la parete aveva originaria-mente una configurazione diversa dall’attuale.Frammenti di affresco sono conservati inoltrenelle paraste facenti parte dei quattro impo-nenti pilastri centrali, raffiguranti le immagini

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del Beato Gherardo e di Santa Caterina, men-tre tracce di pitture murali sono state rinvenutenelle zone adiacenti gli affreschi esistenti, inseguito alla scopertura dei conci in pietra libe-rati dalla decorazione a finto travertino.Nella parete destra dell’Abbazia, inseriti in unaarchitettura, erano dipinti due Angeli su fondobianco; la pulitura ha rilevato che l’intero as-setto era invece inizialmente rappresentato conun fondo rossastro e con decorazioni.Vorrei sottolineare ancora una volta come lametodologia d’intervento abbia seguito unaprassi ormai consolidata, scrupolosamente im-prontata a principi di prudenza e rispetto deimanufatti, per consentirne un’immagine unita-ria in cui, sia il contesto generale che ogni sin-golo particolare potessero recuperare lanecessaria evidenza e la specifica identità, nelristabilimento della continuità cromatica e fi-gurativa delle opere. L’occasione delle indaginimi permette anche di focalizzare due interventidiretti da chi scrive e realizzati pochi anni orsono dalla Soprintendenza urbinate, nell’otticadi un globale, allora imminente recupero del-l’edificio che conserva i manufatti interessatial restauro: si tratta della Pala di San Bene-detto di Pietro Paolo Agabiti e del pregevolepaliotto ligneo del XVII secolo, raffigurante SanBenedetto genuflesso di fronte alla Vergine.Opera di grandi dimensioni, la Pala di San Be-nedetto – con il Santo che mostra la regola allevarie congregazioni monastiche appartenential suo ordine – è firmata dall’Agabiti e datata1524; essa costituisce uno dei più alti raggiun-gimenti toccati dal pittore di Sassoferrato, permonumentalità di visione e grande suggestioneplastica e architettonica, collocandosi dunquein un momento di matura consapevolezza e diparticolare solidità e vivacità della sua produ-zione, generalmente considerata uniforme emonocorde dalla critica. Curioso, emblematicoartista periferico, definito pittore, architetto,plasticatore e perfino xilografo non solo dallaletteratura locale, Agabiti è certamente una fi-gura chiave nel panorama di primo Cinque-cento marchigiano e nello sviluppo successivodel gusto in ambito territoriale per la misuraestetica e la capacità tecnica con cui sa coniu-gare ambienti e linguaggi figurativi differenti,secondo un gusto formale che talora, come inquesto caso, raggiunge esiti positivi e interes-santi. La pala sassoferratese riesce infatti a ri-scattare l’artista da quelle ingenuità econvenzionalismi che, nella maggior parte dellaproduzione, lo avevano relegato ai margini diun provincialismo popolaresco e di un rude stilepaesano, con i suoi personaggi stereotipati eattoniti, che l’ingenua ricerca di effetti spaziali

e colorici non riusciva a sollevare dai livelli diun metodico e diligente lavoro artigianale. Quil’Agabiti dà vita a una più completa e solida vi-sione della forma – rotta appena dalle argutee animate storiette della predella – sperimen-tando un luminismo di timbro rinascimentale euna impaginazione imponente del racconto,ricco di molteplici sontuosità descrittive che ilrecente restauro ha esaltato. L’intelaiatura del-l’insieme, ambientata in un ampio e serenospazio architettonico – creato dalla cornice li-gnea che continua illusionisticamente e senzasoluzione di continuità nel dipinto con la raffi-gurazione dell’ampia volta – è diluita in un’at-mosfera di incantata sospensione e didignitosa solennità, merito maggiore e pecu-liarità di questo tuttora frainteso e male inda-gato pittore. La metodologia seguita per ilrestauro del dipinto si è sviluppata secondoprocedure ormai consuete, attraverso le fasi dipulitura, per rimuovere lo strato di polvere e su-dicio che rendeva sorda la superficie pittoricae che evidenziava una gamma di tonalità opa-cizzate dall’alterazione di preesistenti vernici;la tavola è stata quindi disinfestata, revisionatanell’ebanisteria così come il complesso im-pianto architettonico, consolidata e risarcitacon restauro pittorico: livello, quest’ultimo, cheha restituito all’opera un’appropriata armoniatonale, ristabilendo i rapporti cromatici origi-nali. Addossato al fronte dell’altar maggioredell’Abbazia è un raro paliotto in legno inta-gliato, dipinto e dorato, realizzato da un artistao da una bottega attiva nel fabrianese e nel ter-ritorio limitrofo intorno alla metà del XVII se-colo, caratterizzato dalla partizione in tre ampiriquadri della superficie, scandita da quattrograndi putti a cariatide che si addossano allelesene, sorreggendo la trabeazione dove cor-rono girali dorati, uno stemma (di un altro ri-mane la sagoma) e un cartiglio centrale sufondo azzurro. La presenza dell’unico emblemagentilizio rimasto – recante a rilievo l’imma-gine di una rovere sormontata dal sole e da unelmo – lascia pensare a un’importante com-mittenza. Il lussuoso apparato ligneo sviluppain modo trionfale variegati motivi a volute, afestoni di frutta e fiori, a testine di cherubiniche occhieggiano dalle incorniciature dei dueSanti benedettini laterali entro nicchie, San Be-nedetto e Santa Scolastica, frutto in realtàdella modificazione e del riadattamento figu-rativo dei santi Francesco e Chiara che origi-nariamente vi erano collocati.Le esigue notizie documentarie attestano in-fatti il paliotto proveniente da una chiesa fran-cescana (a riprova della trasformazione deiSanti francescani in benedettini) e il suo ac-

quisto a Camerino per quaranta scudi (tale è lacifra riportata dall’abate Rosa nella descrizionedei lavori di restauro dell’abbazia) nel 1844,anno di grandi ristrutturazioni nell’edificio.Nel carattere stilistico dell’intaglio, in cui tra-spare una scoperta attrazione formale per lecorrenti di cultura classicista e barocca, rilucela dignità estetica dell’ancor anonimo esecu-tore, sublimata dalla ricca decorazione ad al-torilievo, giunta a noi nella sua quasi totaleintegrità, fatta eccezione per le zone in cuil’azione devastante degli insetti xilofagi e diquella corrosiva dell’umidità ha reso urgente eimprocrastinabile l’intervento di restauro.Quanto alla datazione dell’opera, si ritiene cheessa possa essere collocata, da una letturaanalogica e stilistica, intorno al sesto decen-nio del XVII secolo, a una data non lontana dal1665, anno in cui è documentata la realizza-zione dell’analogo paliotto della Cattedrale diCingoli e di quello conservato nella Chiesa diSan Francesco a Matelica. Sul piano stilisticoi tre paliotti si ricollegano alla ricca produzioneplastica che nelle Marche fa emergere il nomedell’intagliatore francese Denis Plouvier, attivonel maceratese intorno al 1673-74 e a quellodel matelicese Scipione Paris, documentato interritorio marchigiano dal 1647, riconducendotuttavia in modo più calzante allo stile di Leo-nardo Scaglia, scultore francese naturalizzatoitaliano, attivo nell’Oratorio del Gonfalone diFabriano e nella Collegiata di Arcevia intornoalla metà del Seicento, dove, come in questopaliotto, dà vita a realizzazioni proprie del ba-rocco di provincia, di una fastosità quasi pro-fana, stupefacente per finezza di esecuzione ericchezza ornamentale. Il paliotto ligneo è statoanch’esso disinfestato nei singoli elementi co-stitutivi, consolidati mediante resine, rinforzatie integrati. Tutte le sovramissioni pittoriche,che oscuravano le cromie originali, dopo unaserie di campionature, sono state asportatemediante solventi e con l’ausilio del bisturi, chehanno permesso di riportare alla luce la bril-lantezza dell’oro e delle coloriture.I recenti restauri, pur tenendo conto delle vi-cende conservative che hanno interessato i di-versi manufatti, hanno rappresentato unfondamentale contributo per l’approfondimentospecifico delle opere e delle loro valenze stori-che e artistiche, ma soprattutto sono statiorientati nella direzione, più ampia e mirata, diun impegno costante e continuo nella valoriz-zazione del nostro patrimonio.

Claudia CaldariDirettore - Storico dell’Arte - Coordinatore

Soprintendenza Beni Storici Artisticied Etnoantropologici delle Marche - Urbino

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Gian Battista Salvi pittore, nato a Sassoferratonel 1609 del quale ricorre il quarto centenariodella nascita. Dimenticato per molti secoli, lacritica, oggi, sta rivalutando la sua opera pitto-rica, esaminandone in modo scientifico i lavoriprincipali. Poco sappiamo della sua biografiase non che dal 1640 visse un periodo molto pro-ficuo dal punto di vista artistico. Non sonotante le notizie sulla sua biografia. Con certezzapossiamo dire che ebbe fruttuosi ed utili con-tatti con i Benedettini di Perugia. Conosciamopoco altro delle sue vicende personali e solouna rigorosa ricerca di documenti inediti po-trebbe fornirci ulteriori indicazioni. La sua biografia potrebbe essere sintetizzatanel seguente modo:1609 Nasce nella città di Sassoferrato1630 Dipinge nel convento benedettino di San

Pietro, a Perugia1643 Completa la pala d’altare di Santa Sabina

a Roma, intitolata La Madonna del Rosario. 1648 Si sposa a Roma e vive a San Salvatore ai

Monti. 1649 Il figlio Francesco viene battezzato a Roma. 1683 Il cardinale Chigi mostra l’autoritratto del

Sassoferrato a Cosimo III (ora agli Uffizi) 1685 Muore a Roma.La generale rivalutazione della pittura italianadel XVII secolo, però, permette di guardare conocchio nuovo le tele del Sassoferrato (distintefra opere originali, repliche e copie tardive) edi coglierne la sorprendente qualità pittorica.Si è registrata, quindi, una rinnovata attenzioneper le opere del Salvi, considerato un fedeleesecutore della tradizione pittorica italiana delsuo tempo. Il tardo XX secolo, infatti, ha vistoun risveglio dell’interesse per i dipinti delBarocco italiano, il lavoro del Sassoferrato,però, fu tenuto in alta considerazione già dallametà del XIX secolo. Egli dipinse raramentetele destinate ad ornare pale d’altare; ciò peruna scelta volontaria e per una personale pre-dilezione per dipinti di piccolo formato. Curòpochissimo la pittura profana, fatta eccezioneper la ritrattistica. Oltre al celebre Autoritratto(Firenze, Galleria degli Uffizi), di piccolo formatoe dalle austere tonalità, vanno ricordati i nu-merosi ritratti di ecclesiastici, tra cui parecchiritratti su commissione della Principessa “Pam-phili di Rossano”;rarissimi, però, sono i ritrattidi donne. Sin dalle prime opere, infatti, risulta

chiaramente il suo interesse verso il mondoclassicista, derivato dall’insegnamento del Do-menichino, la bottega del quale fu frequentatadal Salvi dopo il primo apprendistato nella bot-tega del padre, Tarquinio Salvi ( resti del lavorodi Tarquinio sono ancora visibili nella chiesa diSan Francesco a Sassoferrato.) In ogni caso,tutta la produzione del Sassoferrato è un’aspi-razione alla perfezione.Lo dimostrano, oltre allaclassicità delle forme, la rigorosa compostezzadelle immagini, gli splendidi e sapienti acco-

stamenti cromatici (prevalentemente il rosso el’azzurro).Da ciò ne deriva la profonda origina-lità dell’artista rispetto ai suoi contemporanei.Il Sassoferrato fu disegnatore e pittore tra i piùgrandi del suo secolo: i suoi disegni sono pre-valentemente schizzi preparatori di alcune telee colpiscono per il tratto deciso e quasi mai ri-passato, per la nitidezza, per l’accurata fattura,e, come tutta la produzione di questo artista,sono un’aspirazione alla perfezione. La grandemostra realizzata qualche anno fa nella cittàche gli ha dato i natali, ben allestita nellachiesa di San Francesco, o la giornata comme-morativa dedicatagli all’interno dei lavori delCongresso Internazionale di Studi Umanisticinel 2009, pur risarcendo in parte la disatten-zione nei confronti di questo maestro dell’arteseicentesca, non sono certo sufficienti a ripa-rare al fatto che nemmeno nella sua patria,Sassoferrato, si è mai pensato, nel corso deltempo, di onorarlo con un monumento chepossa ricordarlo ai cittadini e a chi, venendo in

questi luoghi, cerca sue notizie oggi. Sembra quasi che il destino con tenacia si ac-canisca contro questo illustre sassoferratese ne-gandogli il doveroso riconoscimento artistico estorico. A nostro parere piazza Caballini , a pochipassi dal luogo dove timidamente una modestalapide ricorda la casa dei Salvi, potrebbe appa-rire lo spazio naturale nel quale erigergli un mo-numento. Piazza Caballini è, di fatto, la portad’ingresso al nucleo storico della città ed allapiazza grande del Municipio. Quale luogo,quindi, è più indicato di quello in cui è possibile,metaforicamente, ribadire il forte legame cheancora oggi lega i sassoferratesi al grande mae-stro? Questo è l’auspicio che l’Istituto Interna-zionale di Studi Piceni, l’AssociazioneSassoferratesi nel Mondo e sicuramente tutti icittadini, rivolgono alle istituzioni, affinché siareso merito a colui che con la sua arte straordi-naria ha portato lustro alla terra sentinate.

A Sassoferrato, quando unmonumento al Sassoferrato?Piazzetta Caballini, a due passi dalla casa dei Salvi,

sembra essere il luogo naturale per accoglierlo

di Vitaliano Angelini

Vergine Maria, 1640-1650. National Gallery, Londra

Sassoferrato, autoritratto. Firenze Galleria degli Uffizi

Ipotesi di monumento

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Sulle origini del Monte di pietà di Sassofer-rato abbiamo presso l’archivio comunale unadocumentazione frammentaria, ma sufficien-temente chiara e significativa1.Il primo esplicito riferimento al Monte di pietàdi Sassoferrato si ritrova infatti nel registrodelle adunanze del Consiglio comunale del 15marzo 1472 in cui si dice che “il Consiglio ge-nerale, adunato dietro richiesta del padre pre-dicatore minore francescano Giovanni daFermo, cui va riconosciuto il merito di aver pro-mosso la creazione del Monte di pietà, intendeprocedere all’istituzione di un banco di pegniassistenziale a beneficio dei poveri”. Nella successiva seduta del Consiglio di cre-denza del 22 marzo 1472 si delibera (favore-voli 24, nessun contrario) l’istituzione delMonte di pietà. Pochi giorni dopo, il 12 aprile,il Consiglio generale adotta lo statuto conte-nente i capitoli che regoleranno il funziona-mento del Monte di pietà e l’assegnazione deilocali nel palazzo priorale, sotto quelli del po-destà. L’elaborazione del testo, che si com-pone di 18 capitoli, non dovrebbe averrichiesto particolare impegno, riprendendo lafalsariga dei Monti già presenti da almeno undecennio in territorio umbro-marchigiano.La maggior parte degli storici sono d’accordonel sostenere che la preparazione dell’am-biente in cui sono nati e si sono sviluppati iMonti di pietà si deve all’opera di apostolatosvolta dai francescani. Qualcosa di analogo èavvenuto a Sassoferrato, come testimoniano iverbali del Consiglio, avvalorati dalla circo-stanza che l’autorità ecclesiastica vi ha sem-pre ricoperto un ruolo di primo piano2. Varilevato comunque che le delibere di istitu-zione dei Monti sono sempre assunte dai Con-sigli comunali per il dovere sociale che lacomunità si pone nel tutelare i poveri. Perquesta ragione i fondi per costituire e far fun-zionare i Monti di pietà spesso provengono dalpubblico patrimonio.Il Monte di pietà è quasi sempre di proprietàdel Comune: solo in rare circostanze appar-tiene ad altri enti o é in comproprietà con essi.Anche la gestione dei Monti di pietà è in ge-nerale riservata ai Comuni i quali la eserci-tano mediante “officiali” estratti a sorte oaffidandola a cittadini di provata fiducia. Piùraramente essa è affidata ad enti come con-fraternite, opere pie, nei confronti dei qualiperò il Comune si riserva il diritto di revisionedei conti. La politica di gestione del Monte aSassoferrato era invece sempre riservata al

Comune che all’inizio la esercitò conferendol’incarico a quattro “officiali”, due del Castelloe due del Borgo, coadiuvati da un notaio.

I capitoli del Monte di Pietà di Sassofer-rato e le ragioni della sua costituzione.Diversamente dall’uso comune per i testi legi-slativi di pubblico interesse, lo Statuto sasso-ferratese è redatto in latino e risulta più similea quello di Osimo3, egualmente redatto in la-tino, che a quelli dei vicini centri di Fabriano eArcevia4. Dopo una breve invocazione a “Dioe Signor nostro Gesù Cristo”sono esposti i sin-goli capitoli. Quanto alla predicazione france-scana non è stata la sola influenza positivasulla nascita del Monte di pietà. Un ruolo al-trettanto importante hanno avuto le locali con-dizioni economiche e sociali, nonchè ildesiderio del Comune di seguire l ‘esempiodelle città umbro-marchigiane che già si eranoorientate per un intervento creditizio di tipo as-sistenziale. Gli abitanti all’epoca erano all’in-circa 5.000, e netta era, sul piano sociale, ladistinzione tra cittadini o abitanti de “ Burgo”superiore e inferiore, e contadini o abitantidelle ville e dei castelli sparsi nella campagna.Chi frequenta il Monte dei pegni nel quattro-cento è, di norma, un povero che ha da risol-vere un problema grave ma contingente.L’indigente, che solitamente appartiene al po-polo minuto nullatenente, e che non ha oggettida impegnare, é invece costretto ad acco-starsi ai canali, aleatori e spesso umilianti,della beneficenza pubblica e privata.

I rapporti con gli ebrei prestatori didenaro.Anche se l'apostolato dei francescani tendevaa combattere l’usura, praticata per lo più daprestatori ebrei, ed a mettere al bando il pre-stito con interesse, in molte realtà comunalil’attività dei Monti di pietà si affiancò senzasostituirsi alla precedente attività creditizia.La politica dei Comuni quindi non assecondòcompletamente l’originario disegno france-scano di inconciliabilità delle due presenze,ma operò una specializzazione del credito:quello assistenziale fornito dal Monte di Pietàe quello fornito dal Banco degli ebrei. Tale si-tuazione restò almeno fino al 1555 quando labolla papale “Cum nimis absurdum” proibì ilprestito ebraico in regime di convenzione coni Comuni nei territori dello Stato pontificio.A Sassoferrato si registra una situazione dicredito misto, come quella sopra delineata.

Prima ancora della nascita del Monte di pietàoperavano alcuni prestatori ebrei, in partico-lare Dattilo e Isacco, in rapporti di convenzionecol Comune.Ancora l’anno dopo troviamo citati gli ebrei peraccordi con la Comunità di Sassoferrato, cosìcome si ritrovano nei decenni successivi a sup-plicare autorizzazioni alla vendita di pegni nonriscattati con pubblico bando, fino alla già ci-tata bolla papale che imponeva il divieto di ul-teriori convenzioni.

I primi anni di attività - Il quattrocento.Non abbiamo alcuna notizia circa il volumedei prestiti fatti dal Monte di pietà nei suoiprimi anni di attività, ma solo del fatto che iprestiti erano senza interessi. La sede del Monte di pietà, almeno dal 1600 inpoi, è posta presso il Palazzo priorale. Alloscopo di assicurare una migliore conserva-zione dei pegni, nel corso della sua esistenzafurono tuttavia effettuati vari spostamenti,sempre all’interno del palazzo priorale, edanche ampliamenti con acquisizione di una se-conda e terza stanza.

I primi “officiali”del Monte.All’inizio del 1473, il Consiglio di credenzaprovvede a estrarre e pubblicare gli “officiali”del Monte di pietà per i sei mesi seguenti e arifare il bussolo direttamente in consiglio. Fu-rono imbussolati i nominativi per la carica di“officiali” e notai, da estrarsi di sei mesi in seimesi, secondo quanto previsto dai capitoli. Nelgennaio 1474 si possono leggere nel registrodelle Riformanze i nomi di altri “officiali “ delMonte in occasione di un giuramento. Sonoestratti dal bussolo e entrano in carica per seimesi Evangelista Baldassare, Simone Gasparee Giacomo. Nel 1492 il semestre in carica è spostato inmaniera che coincida con le due parti del-l’anno solare: il 1° luglio entrano in carica SerJohannes di Ser Matteo e Patrignanus Foschicon il notaio Ser Perutius de Humani. Il 16 di-cembre 1492 vengono estratti Perus AntonioSer Jo e Petrus Blaxij con il notaio Ser Berna-beus di Antonio.Ma le cose non vanno bene. Nel Consiglio dicredenza del 24 marzo 1493 si verbalizza cheil bussolo degli “ officiali “ del Monte è esau-rito e che gli “ officali “ estratti non accettanol’ufficio. Si ritiene pertanto opportuno allun-gare ad un anno la durata dell’incarico, nellasperanza di trovare, stante il minor numero di

Il Monte di Pietà di Sassoferratodi Renzo Franciolini

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montisti impegnati, persone più motivate. Il 12 aprile 1500 sono estratti Johannes Fran-cutij e il notaio Ser Evangelista Tome per unanno a cominciare dal 1 maggio. Per tutti i secoli successivi l’attività, tra alti ebassi procede, senza interruzioni in favoredella popolazione più in difficoltà.

La liquidazione del Monte.Fortemente ridimensionata l’attività con l’unitàd’Italia, stante le nuove esigenze relative alcredito al consumo e le nuove modalità perfarvi fronte. Una prima riforma si ha con lanuova legge sull’assistenza e la beneficenzadel 1890 che impone anche al Monte una re-visione dello statuto. Già da molto tempo comunque la funzione diaccettazione, stima, svincolo e vendita deipegni, da sempre svolta dal Monte di pietà,era stata affidata alla Banca Popolare Coo-perativa di Sassoferrato, fondata nel 1887,che gestiva anche la tesoreria della Congre-gazione di Carità. In applicazione della legge 17 luglio 1890 siprovvede a regolarizzare, secondo i nuovi det-tami, tutte le istituzioni caritative e assisten-

ziali. Il Monte di pietà, pur avviato ad un ine-sorabile declino, ha un nuovo statuto appro-vato con regio decreto 7 ottobre 1890, quasimezzo millennio dopo la redazione dei Capitolidi Giovanni da Fermo del 1472! Nonostante larisistemazione operata dallo Stato liberale nelsettore dell’assistenza e beneficenza, le no-vità in campo economico, sociale e politicosono nel Novecento così dirompenti che inpochi decenni tutta la normativa cambia an-cora. La Congregazione di Carità, infatti, tennel’amministrazione delle Opere Pie e quindianche del Monte di Pietà, fino alla promulga-zione della legge 3 giugno 1937, con la qualela Congregazione stessa fu soppressa e as-sorbita nel nuovo ente comunale di assi-stenza (ECA), da istituirsi in ogni comune. Daallora il Monte cessa ogni attività.

1 Questa è una sintesi del saggio sul Monte di pietàdi Sassoferrato di Renzo Franciolini, pubblicatodalla Rivista Francescana – n. 1, nuova serie del1999, edita a Falconara Marittima a cura dei FratiMinori delle Marche.2 L’interesse diretto dell’autorità ecclesiastica ri-guarda un po’ tutti i Monti di pietà e si evidenzia

con interventi di vario genere: alcuni sono di soste-gno economico-finanziario, altri di chiarimento sulpiano legislativo, altri ancora di carattere correttivo. 3 L. MARASCHINI, Statuto del Monte di Pietà diOsimo del 1470, in “Nuova Rivista Misena” VI(1913), pp. 185-188.

Anche altre città come Recanati, Macerata, San Se-verino e Jesi rifiutarono decisamente la norma, perallora rivoluzionaria, del credito su pegno con inte-resse per lo più seguita dai Monti delle città umbrecon in testa Perugia. 4 Lo statuto di Fabriano, pubblicato nella Tavoladella salute di fra Marco da Montegallo, fu in-fluenzato da quello di Trevi. Forse ciò è dovuto allapresenza di Natimbene Valenti da Trevi, podestà aFabriano nel 1470, l’anno in cui fu fondato il Monte.Per quanto riguarda Arcevia gli influssi appaionoduplici: da un lato quelli derivanti dallo statuto del-l’Aquila per opera sempre del beato Marco da Mon-tegallo e quelli di Perugia, dove oltre al numero di18 capitoli, soprattutto è notevole il ritorno dellafraseologia perugina, come la possibilità di espor-tare pegni che non si possono vendere sul posto, ilminor tasso di interesse ed altre meno importantiinnovazioni. Cfr. S. MAJARELLI - U. NICOLINI, cit.,pp. 210-212.

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E’ sotto gli occhi di tutti come l’intensa pro-paganda del consumismo sta deformando cul-tura e tradizioni locali anche nei piccoli centri.Si possono osservare alcuni esempi. Ogniestate vede aumentare in modo davvero sor-prendente iniziative più o meno improvvisateper ritrovarsi insieme a mangiare. E’ un’esplo-sione di sagre: mangiare e poi mangiare. Cer-tamente oggi non è un periodo in cui ilbisogno primario della fame si fa sentire comein passato. Ma allora perché? Interessantesarebbe scoprirne le ragioni. Che sono molte-plici. Nascoste e dichiarate. Perché il cibo hasempre avuto nel corso della storia dei popoliun alto valore simbolico insieme al bisogno dinutrirsi. Sicuramente è un aspetto della vitasociale che fa pensare e nello stesso tempoimpressiona. Chissà in quanti luoghi, in unpiccolo comune, alcuni si incontrano a finesettimana per una sagra o comunque permangiare insieme in un luogo all’aperto (e nonsempre il più adatto), impregnando l’aria del-l’odore acre del sudore, del fritto, delle gri-gliate. Iniziative che hanno senz’altro un loroaspetto piacevole, perché portano le personead incontrarsi creando un clima di festa, manon è solo questo. Il bisogno di avere periodidi riposo e di distensione spinge ad allungareogni anno di più queste serate. La “mistica”del lavorare duro per poi… illudersi di ripo-sarsi, o il non sapere cosa fare del tantotempo libero, o qualche altro motivo, tor-menta molte persone che cercano nel cibo larisposta. E così si aggiungono danni alla sa-

lute, ai rapporti personali, familiari e sociali.Accendere una piccola luce su questi aspetti,che sembrano dettagli, eppure sono cosìdensi di significato, può servire a far pensare,a riflettere, a interrogarsi. D’altronde abituarsia parlare con leggerezza delle cose gravi econ gravità delle cose lievi è sempre segno disaggezza. Avere solo tavole imbandite non ètroppo poco per tutti? Per chi mangia e per chinon partecipa? Dov’è andata a finire, adesempio, la dimensione religiosa della sagra?E’ stata affossata dall’eccessivo consumismoe dall’abbondanza dei cibi, dei quali non ci sichiede più da dove provengono e non si pensapiù a ringraziare di questi doni né l’uomo néDio. Mentre milioni di persone muoiono ognigiorno di fame. Non è forse arrivato il mo-mento di guarire dalla sindrome dell’abbon-danza, come qualcuno ha scritto? Il troppobenessere azzera l’essere. Troppe cose infattioccupano oggi il cuore dell’uomo, ma non loappagano! E la dimensione culturale di que-sto stare insieme per mangiare dov’è? Le ma-nifestazioni culturali locali, che voglionosottolineare questo aspetto, sono solo eventieccezionali di alcuni che hanno capito e chevogliono dare un segnale. E sono da eviden-ziare! Sì perché si vive di memoria e anche dicultura. Occorre perciò custodire al meglio ciòche è stato vissuto da chi ci ha preceduto, erealizzare al meglio ciò che non è stato fatto.Altrimenti le tavole stracolme di cibi aumen-tano solo i pancioni e il colesterolo! Perchénon provare ad avere una dimensione piùampia? Ad ascoltare chi ha altri punti di vistaper colorare questi eventi di speranza e di unagioia più vera? Questi incontri possono esserel’occasione propizia per tramandare valori esaperi di un tempo, per far incontrare genera-zioni diverse, purché ci sia chi se ne occupi,chi è capace di rendere consapevoli grandi epiccini di tutto ciò. E allora si può pensare siaa giochi che ad “usanze” della tradizione re-lativamente al senso del tempo, dei cibi edella festa non solo come memoria storica,ma anche per veicolare e trasmettere valorietici, morali e religiosi che sono sempre più igrandi assenti. Per trasformare questi incon-tri, spesso solo per mangiare, in un momentodi riflessione su alcuni aspetti dell’esistenzaumana e di vera festa, che, per quanto possi-bile, si dovrebbe vivere un po’ da tutti. Per ca-pire che alcuni valori del passato vannointegrati nella vita personale e nella società.

Ma quali sono oggi le coordinate profonde delvivere? Tutti noi che facciamo parte di un mo-dello di società consumistica in cui tutti igiorni è festa, abbiamo perso la capacità dicogliere il valore del cibo e del digiuno e di ri-pensare al significato religioso delle feste.

Il pane, ad esempio, non è proprio quel “qual-cosa” di molto concreto e simbolico che uni-sce i popoli? Tutti lo fanno, tutti lo mangiano,anche se esistono tanti tipi di pane. Interes-sante sarebbe conoscere le diversità del panedegli altri popoli che vivono nei nostri paesi efarlo insieme. Servirebbe a sentirsi menoestranei gli uni agli altri, a capire chi fa sceltediverse, ad interagire in modo costruttivo. ilpane è vita, lo sappiamo bene. Allora è da nonsprecare, neanche una briciola. In tanti modiinfatti lo ricordano antiche ricette che hannoil pane raffermo come ingrediente principale.Oggi invece la realtà è purtroppo molto di-versa! Un interessante libro del monaco EnzoBianchi “Il pane di ieri” ci invita a riflettere ea comprendere il valore del cibo, che oltre adessere un nutrimento necessario è anchequalcosa di cui si deve “avere cura”. Nel testotroviamo tanti ricordi e storie del “tempo chefu”, aneddoti curiosi e storie piene di amoreper la terra. E insieme insegnamenti di fede,di amicizia, del vivere insieme, dell’ospitalità.La tavola infatti è luogo di incontro e di festae la cucina è un mondo in cui si intreccianonatura e cultura. Preparare dei cibi, a volte, èun vero e proprio rito in cui gli ingredienti cheli compongono rappresentano uno scambio diterre, genti e culture. Anche i cibi più nostraniinfatti, a dispetto di ogni localismo, sono ca-richi di debiti con l’esterno e con chi, in terrelontane, ha coltivato le materie prime, le hafatte crescere e le ha raccolte.Altri esempi, legati a consumi eccessivi e aconseguenti comportamenti sbagliati: quantocosta, ad esempio, alla società e alle famigliele morti e i danni provocati semplicementedalla fretta, dall’eccessivo consumo di be-vande, da una alimentazione sbagliata, dallamancanza di punti di riferimento e di con-fronto di valori che “regolano” la propria esi-stenza? Ogni evento vissuto dall’uomo eanche questo incontrarsi per “mangiare”, consobrietà, può diventare occasione per semi-nare speranza, per costruire rapporti in cui ilrispetto degli altri prevale sul proprio egoi-smo. Spesso si possono custodire e traman-

Consumismo e tradizioni localidi Rita Ferri

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dare valori, punti di forza validi, legami tra ge-nerazioni, non gridando sulle piazze, ma conazioni quotidiane, con una pratica di vita incui prevale il senso dell’”essere” persone e ilrispetto reciproco nel vivere eventi che coin-volgono comunque tutti gli abitanti di un pic-colo centro. E la festa si colorerebbe davveroin modo diverso se tutti fossero coinvolti, purcon punti di vista diversi, il ritrovarsi insiemeacquisterebbe un senso più pienamenteumano. E servirebbe anche a rispondere me-glio alle domande di senso e di verità che lenuove generazioni ci pongono, a partire dalcapire il senso della vita del territorio in cui siè. Aiuterebbe a comprendere meglio la pro-pria identità e l’identità di chi viene da lon-tano, nel dialogo e nel dibattito, altrimenti sifinisce per non capire più neanche ciò che siperde. E i nostri figli ricorderanno solo cibisprecati e grandi abbuffate! L’esatto contrariodi ciò che cercano e che vorrebbero vedere innoi adulti. Cosa ricordiamo noi delle feste edei cibi di un tempo specialmente nelle no-stre frazioni? E della loro preparazione? Sem-

plicità, sobrietà, lavoro, gioia, piacere, condi-visione scaturivano spontaneamente in que-ste occasioni. Come, per esempio, nellapreparazione di dolci cotti nel forno a legna,che richiedevano impegno e tempi molto piùlunghi. Ma quale soddisfazione! E non c’erabisogno di diete per mantenersi in forma!Erano esperienze umane e affettive piacevoliper grandi e bambini e con un importante ver-sione morale che lasciava il segno nelle per-sone. E cosa ricordiamo del ritrovarsi in unafamiglia o in un’altra per trascorrere delle oreinsieme nelle lunghe serate invernali? Occa-sioni particolari e speciali per creare dei le-gami tra generazioni, per ascoltare racconti estorie di personaggi del luogo, per impararecomunque a crescere. Le relazioni sane cheabbiamo vissuto nella nostra infanzia sono si-curamente indimenticabili ed hanno contri-buito a trasmettere fiducia e speranza nelfuturo. Oggi siamo bombardati da troppe in-formazioni più per avere emozioni che veritàsui vari aspetti della nostra vita. Il tempo dellacomunicazione vera si è ridotto, manca il

tempo della riflessività, della elaborazionepersonale e del confronto serio. E l’uomo èsolo di fronte al mondo. Anche dopo una bella“mangiata”. Il guardarsi negli occhi, fermarsiper riflettere e scambiare idee importanti epunti di riferimento fondamentali è ancora ne-cessario per l’uomo di oggi, anzi a livello edu-cativo, è fondamentale. Nessuno infatti puòdiventare adulto da solo. Il dono iniziale del-l’esistenza ha bisogno di essere affidato a chisia in grado di farlo crescere, affinché possaessere portato a compimento. E ciascuno dinoi è chiamato a vivere e ad educarsi a vivere,dando una risposta attraverso la ricerca dellaverità negli eventi quotidiani, per poter per-correre la strada giusta e indicarla alle nuovegenerazioni. La vita umana si conserva infattitrasmettendosi non solo biologicamente, maanche attraverso una generazione simbolica,psicologica, culturale, spirituale che è essen-ziale alla vita buona degli uomini. E l’educa-zione appartiene a questo universogenerativo. Per questo tuttavia è necessariala rigenerazione di tutti noi.

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MERCOLEDÌ 30 GIUGNO

Ore 16.00 - Saluto delle Autorità

Saluto del Presidente dell’Istituto Internazionale di Studi Piceni, Prof. Ferruccio Bertini

Presidente: FERRUCCIO BERTINI (Genova)

Claudia CALDARI (Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologicidelle Marche) e Cecilia PRETE (Urbino)Presentazione del volume:

Sassoferrato “Pictor Virginum”Nuovi studi e documenti per Giovan Battista Salvi

Ferruccio BERTINI (Genova) e Vitaliano ANGELINI (Urbino)Istituto Internazionale di Studi Piceni. Cinquanta anni di storia

Vitaliano ANGELINIIntroduzione alla XXI Mostra delle Edizioni d’arte numerate Bartolo da Sassoferrato ”SETTANTACENTO - Il grande formato nell’incisione urbinate”

Visita alla Mostra e all’Esposizione delle pubblicazioni dell’Istituto presso la ex-Chiesa SanGiuseppe in piazza Matteotti

GIOVEDÌ 1° LUGLIO

Ore 9.00 - Presidente: SANDRO BOLDRINI (Urbino)

Marianne PADE (Copenhagen)Le prime edizioni a stampa del Cornu copiae di Niccolò Perotti (com)

Fabio STOK (Roma Tor Vergata)Perotti traduttore di Plutarco: il De fortuna Romanorum (rel.)

Heinz HOFMANN (Tübingen)Le egloghe di Basilio Zanchi di Bergamo (1501-1558) (com.)

Rinaldo RINALDI (Parma)L’Oratio proverbialis di Filippo Beroaldo (rel.)

Intervallo

Ore 11.00 - Presidente: HERMANN WALTER (Mannheim)

Fiachra MAC GÓRÁIN (Oxford)Landino and Virgilian Platonism (com.)

Johann RAMMINGER (Thesaurus linguae Latinae)Marcus Marulus as a neolatin writer (rel.)

Carla Maria MONTI (Milano, Cattolica)Coluccio Salutati e Francesco da Fiano nell’ Itinerarium di Bartolomeo Bayguera (rel.)

Discussione

Ore 15.00 - Presidente: HERMANN WALTER (Mannheim)

Angelo PIACENTINI (Milano, Cattolica )Un umanista marchigiano: Iacopo Alpoleo da Urbisaglia (com.)

Nicola PACE (Milano, Statale)L’epilogo ignoto della controversia seicentesca sul frammento di Petronio scoperto a Traù (com.)

Béatrice CHARLET MESDJIAN (Aix-en-Provence) e Dominique VOISIN (Nice)L’épicède d’Ercole Strozzi pour son père Tito (rel .)

Intervallo

Ore 17.00 - Presidente : CRAIG KALLENDORF (Texas A&M University)

Jean-Louis CHARLET (Aix-en-Provence)Le trimètre iambique de Gabriele Faerno (com .)

Jan L. DE JONG e Jozef A.R. KEMPER (Groningen)La visione di Roma dell’olandese Arnoldus Buchellius (1588) (rel.)

Brian COPENHAVER (Los Angeles)Giovanni Pico: ‘The Wizard of Az’ o Lorenzo Valla’s Philosophy of Language (com.)

Discussione

VENERDÌ 2 LUGLIO

Ore 9.00 - Presidente: GIANCARLO ABBAMONTE (Napoli, Federico II)

Ferruccio BERTINI (Genova)Terenzio come modello del Negromante di Ludovico Ariosto (com.)

Michael D.REEVE (Cambridge)Un Plinio postillato da un santo marchigiano (rel.)

Ruth MONREAL (Amburgo)Aliam puellam inveniam: Teocrito nella poesia di Baldessar Castiglione (com.)

Ianthi ASSIMAKOPOULOU (Atene)Political interpretations of the bronze relief Perseus and Andromeda at the base of Cellini’sStatue Perseus and Medusa at the Loggia dei Lanzi in Florence (com.)

Intervallo

Ore 11.00 - Presidente: RENATA FABBRI (Venezia)

Massimo DANZI (Ginevra)Per l’edizione e il commento del De Germaniae et Helvetiae thermis di Konrad Gessner(1553) (rel.)

Claudia PANDOLFI (Ferrara)Biografie di Pesaresi illustri in due manoscritti della Biblioteca Oliveriana di Pesaro (com.)

Felicia TOSCANO (Napoli, Federico II)Le relazioni manoscritte e stampate del commento di Antonio Costanzi ai Fasti di Ovidio(com.)

Andrew LAIRD (Warwick)Cristóbal Cabrera in Rome: De sollicitanda infidelium conversione (1582) and Rosariumtriplici lingua (1584) (com.)

Discussione

Ore 15 - Presidente: JEAN-LOUIS CHARLET (Aix-en-Provence)

Armando BISANTI (Palermo)Due schede per Poggio (com.)

Hermann WALTER (Mannheim)Leonardo da Vinci e l’anfiteatro di ‘C. Scribonius Curio’ (Plinio, nat.hist. XXXVI 16-20) (rel.)

John van SICKLE (New York)Poetiche da raccolta in Della Casa e nel suo amico M.A.Flaminio (rel.)

Maude VANHAELEN (Warwick)Humanism and demonology in 16th century Europe (rel.)

Discussione

SABATO 3 LUGLIO

Ore 9.00 - Presidente: EDOARDO FUMAGALLI (Friburgo, Svizzera)

Udo REINHARDT (Mainz)Il ritorno del marito all’ultimo momento. Per la novella del Messer Torello (Boccaccio,Decameron X9) (rel.)

Claudia SCHINDLER (Amburgo)Un poema epico sulla battaglia di Lepanto: il Carmen de victoria Christianae classisdi Guglielmo Modici (1572) (rel.)

Discussione e Intervallo

Ore 12.00 - Cerimonia di chiusura e consegna dei diplomi da parte del Sindaco, del Presidentee del Segretario dell’Istituto Internazionale di Studi Piceni

Ministero per i Beni e le Attività culturali

Provincia di AnconaRegione Marche Comunità Montanadell’Esino-Frasassi

ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI PICENICOMUNE DI SASSOFERRATO (AN)

XXXI CONGRESSO INTERNAZIONALEDI STUDI UMANISTICI

“L’UMANESIMO: EUROPA, ITALIA, LE MARCHE”SASSOFERRATO, Palazzo Oliva, 30 giugno - 3 luglio 2010

PROGRAMMA

Per informazioni: Istituto Internazionale di Studi Piceni: Corso Don Minzoni, 40 - 60041 SASSOFERRATO (AN), Italia Tel. 0732/959345 - Fax 0732/956234 - Email: [email protected]

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L’Istituto Internazionale di Studi Piceni con laRassegna delle edizioni d’arte numerate “Bar-tolo da Sassoferrato”, ha già avuto modo, inaltre occasioni, di sottolineare e proporre lagrafica d’arte exlibristica, considerandola e nelsenso tradizionale di cui il motto latino ci dicee secondo il modo come oggi viene concepitonel mondo delle arti visive, vale a dire qualeopera d’arte dedicata. Così è successo l’annopassato, per sottolineare la ricorrenza dell’ot-tavo centenario della prima volta che San Fran-cesco venne nelle Marche. Infatti, con l’ultimaRassegna delle Edizioni d’Arte “Bartolo da Sas-soferrato”, tenutasi a Sassoferrato (AN), nel lu-glio del 2009, si è voluto porre l’accento sullaricorrenza dell’ottavo centenario di quellaprima venuta nelle Marche (1208-2008); si èvoluto perseguire, però, anche l’obiettivo dicontribuire a valorizzare lo stretto legame cheunisce la terra marchigiana al francescanesimononché la vasta influenza che quello ha eserci-tato sulla storia, sull’economia, sulla cultura esull’arte non solo della nostra regione ma del-l’intera penisola. Non è casuale, quindi, cheagli artisti sia stato chiesto di realizzare un exlibris ispirandosi a fatti e avvenimenti relativialla presenza e ai viaggi del Santo d’Assisinelle terre marchigiane. Questi lavori, fatti ap-positamente per la rassegna sassoferratesesono stati esposti anche a S.Pietro di Feletto(TV), in Urbino e a Fabriano, ciò ha qualificatoulteriormente l’esposizione rilevandone la va-lenza dei contenuti oggettivi. Non si tratta, di-cevamo, di opere di gran formato ma di piccoleimmagini. “Ex libris”, infatti, non è solo unalocuzione latina che significa dai libri di, conquest’espressione s’indica anche un piccolofoglio, grande quanto un biglietto da visita, chein origine segnalava il possesso di un libro,realizzato, per lo più con una delle tecnicheincisorie tradizionali (xilografia, calcografia,ecc.). Dalla seconda metà del 1800 ed in mag-

gior misura dall’inizio del Novecento gli ex li-bris, però, non furono più considerati un sem-plice marchio di proprietà legato al libro, mauna vera e propria realizzazione artistica, nonper questo, tuttavia, possiamo inserire l’ex li-bris nell’ambito dell’usuale incisione artisticae considerarlo come qualsiasi altra opera gra-fica. Dal 1866, invero, dopo la pubblicazionedel Manifesto del Simbolismo di Jean Moreau,sul giornale parigino Le Figarò, l’ex libris mutòla propria funzione divenendo oggetto di colle-zionismo e concentrando in sé l’essenza diquella bellezza che i simbolisti auspicavano.Con l’invito a realizzare un ex libris, dedicato aSan Francesco perciò, si vuole anche confer-mare , da un lato, la funzione originaria dell’exlibris, dall’altro il valore di grafica d’arte dellostesso, non solo, lo si vuole concepire purecome un diverso modo di diffondere la cultura.Occorre dichiarare però, che gli ex libris in Ita-lia non hanno mai goduto di un gran favore delpubblico, cosa che invece è avvenuta negli altripaesi. La mostra, pertanto, tra le diverse fina-lità, ha voluto essere anche un piccolo contri-buto per una maggior conoscenza di questospecifico settore dell’incisione. La storia, pertornare al tema proposto agli artisti, ci dice cheSan Francesco, visse tra il 1182 e il 1226 , chefu soprattutto missionario e che Ancona era ilporto dal quale salpava per l’Oriente. Al proposito i biografi ricordano due occasioni,la prima nel 1211-1212, fallita a causa di unnaufragio che lo costrinse a ripararsi in Dal-mazia, la seconda il 24 giugno 1219, al tempodelle Crociate, quando, sempre da Ancona,

s’imbarcò alla volta di Acri e Damiata. Questacomponente evangelizzatrice del francescane-simo induce a pensare al modo come neltempo si strutturarono le varie fraternità, sortein periodi diversi, e la cosa può spiegare anchel’incisività della cultura francescana in Italia eun po’ ovunque. Tale presenza, infatti, in unprimo tempo si organizzò in piccole Province re-ligiose, fatte poi chiudere nel 1653 da Inno-cenzo X, se erano costituite da meno di seireligiosi. È importante anche sottolineare che il patri-monio sociale, culturale, religioso, artistico earchitettonico che i francescani hanno lasciatoè notevole. Ripensare al francescanesimoquindi, ha anche il significato di riscoprire unaparte importante dello sviluppo culturale ita-liano; la cultura francescana, infatti, esprimeuna forma significativa dell’identità culturaledel nostro paese e, per certi aspetti, ne comu-nica un suo particolare contenuto semantico. Èdoveroso, inoltre, parlando della mostra senti-nate, evidenziare la maestria degli artisti pre-senti nell’esposizione e la loro capacitàd’interpretare ed esprimere con le proprieopere (gli ex libris) un ideale, un concetto, unospirito di vita oltre che, naturalmente la propriasensibilità e personalità. Questi sono stati ilsenso fondamentale e gli obiettivi della Ras-segna delle Edizioni numerate “Bartolo da Sas-soferrato”, 2009, Sassoferrato (AN).

San Francesco nelle MarcheUn viaggio che dura da otto secolidi Vitaliano Angelini

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Mostra collettiva d’arte, Chiesa San GiuseppeSassoferrato, agosto 2009

Dal 18 al 23 agosto 2009 si è svolta la mo-stra d’arte riservata ai soci dell’Associazione.Le opere esposte sono state realizzate da:Vittorio Toni presepe (1)Tullio Pesciarelli sculture (2Paolo Mancinelli mosaici (3)R. Massoli-Novelli fotografia (4)Raimondo Rossi ceramiche (5)Silvia Caldarigi incisioni e dipinti (6)Luigi Artegiani dipinti (7)Mario Toni dipinti (8)Anna Pastori dipinti (9)

Oltre mille sono stati i visitatori che hannovoluto apporre la propria firma di presenza aquesta prima iniziativa d’arte che l’Associa-zione ha inteso intraprendere. Durante lamostra sono state esposte le sei ceramichedell’artista urbinate prof. Raimondo Rossi,destinate ai personaggi che hanno ricevuto ilPremio Monte Strega 2009. La mostra è stata curata da RanieroMassoli-Novelli.

Il sindaco Ugo Pesciarelli e l’ass. MassimoBardelli all’inaugurazione della mostra.

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Tre iniziative dell’Associazionedi Vittorio Toni

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Domenica 23/08/2009 nella splendida ab-bazia romanica di Santa Croce, capolavorodell’arte marchigiana del XII secolo, recen-temente ristrutturata e nuovamente arric-chita delle sue originali tele e arredi, si èsvolto il concerto di musica classica delDuo arcadia di Roma dei maestri LauraBianco e Francesco Vignanelli (violino econtrabbasso), quest’ultimo nipote di Fer-ruccio Vignanelli musicista di origine sas-soferratese, al quale è stato assegnato –alla memoria - il Premio Monte Strega2009. L’esecuzione dei professionisti, ha ri-scosso enorme successo da parte del nu-meroso pubblico intervenuto.Alla manifestazione, presentata dallaProf.ssa Cinzia Vitaletti ha partecipato inol-tre i musicisti Santi e Fenati.

La pittura è una poesia che si vede e nonsi sente, e la poesia è una pittura che sisente ma non si vede

Leonardo da Vinci

Questo Sasso gentil dove io son natod’acuti ingegni sempre è stato pieno.Bartolo in legge tanto celebratoFu de la patria mia, del mio terreno,de casa de’ Severi ho ritrovatoche nacque questo lume almo e serenoet se ritrova che questo om divinoconsumò già più olio che vino.

Baldassarre Olimpo degli Alessandri

Giuseppe RuoppoloPittore napoletano XVII sec.Copia in olio su tela (cm119x100), realiz-zata del nostro socio “mariotonisentinate”

Il concerto di Santa Croce

La pittura di Mario Toni

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Quattro chiacchiere con Lea Luzi per sapernedi più...Dopo un lungo iter istruttorio per la realizza-zione di un Country Club per il Golf a Catoba-gli, la Provincia di Ancona ha iniziato laprocedura di approvazione del progetto. Ilcomplesso si sviluppa su una area di 90 ettarie comprenderà un green con 18 buche, ilcountry club, un borgo residenziale ed unastruttura alberghiera con centro benessere.

Questa importante realizzazione è il fruttodella tenace determinazione della nostra con-cittadina e socia Lea Luzi, che molti già cono-scono per le altre sue attività imprenditorialie della sua “lungimiranza” nel capire tantianni fa che il territorio andava valorizzato esostenuto anche oltre gli spazi produttivi in-dustriali. Per prima nel nostro territorio, Leaprevide che questo sport pochissimo cono-sciuto fino a qualche tempo fa in Italiaavrebbe finito per “sfondare” e per imporsi aduna sempre più vasta fascia di cittadini inte-ressati ad una attività sportiva completa e ri-lassante, adatta a tutte le età, ideale pertenere in esercizio il corpo e rinfrancare lospirito, da praticare in compagnia o in solitu-dine, conversando o in silenzio.Anche il “laico”si è accorto che negli ultimianni l’interesse per il golf è andato rapida-mente aumentando e che pure in Italia sistanno letteralmente moltiplicando i campi dagolf, che il numero dei praticanti aumenta con-siderevolmente e che la realizzazione di que-sti impianti ha agevolato il recupero e laconservazione ambientale di molti territori al-trimenti lasciati quasi incustoditi, con evidentebeneficio anche per l’assetto idro-geologico diun territorio sempre più a rischio.I cittadini di Sassoferrato ne sono venuti a co-noscenza ormai da qualche mese, anche per-ché gli organi di stampa hanno capito

l’importanza del progetto e ne hanno dato fi-nalmente il giusto risalto. Abbiamo chiesto a Lea di raccontarci come equando è nata l’idea di realizzare il complessodel golf, quali sono state le prime reazioni,come è riuscita a portare avanti il progetto ecosa rappresenta per lei questo traguardo.“Si tratta di terreni acquistati ed accorpaticon lungimiranza da mio marito Elio (Avv. ElioSegoni di Arcevia ,N.d.R.) coltivati o tenuti apascolo con sempre maggiori difficoltà sia

per la scarsità di manodopera che per ilbasso profitto che se ne ricavava. Fu un amicoaustriaco di Elio a suggerirci l’idea di valoriz-zarli diversamente, destinandoli ad un campoda golf. Sembrava quasi una provocazione –continua Lea - e così in un primo tempo re-stammo perplessi, poiché dalle nostre partiquesto sport era praticamente sconosciuto.Tuttavia, avendo girato un po’ per il mondo, liavevamo visti questi campi da golf, eravamostati invitati in qualche Country Club. A mesembravano soltanto dei bei prati verdi dovedelle persone di ogni età, dal fisico atletico omeno,si avviavano per lunghe passeggiatecon dietro sacche di mazze con cui lanciare inavanti una pallina. Naturalmente, capivo che non tutto era cosìspontaneo e casuale, che si trattava di im-pianti complessi che richiedevano una pro-gettualità specifica per “plasmare” inmaniera sapiente il territorio. Cominciammoad approfondire l’idea, a chiedere in giro, avisitare altri “green” e pian piano ci convin-cemmo che anche dalle nostre parti si potevafare qualcosa del genere.Molti ci dissuadevano, dicendo che il tessutosociale del territorio non era pronto a rece-pire un qualcosa di così estraneo alle abitu-dini dei locali ed al loro concetto di tempolibero, ma anche se perplessi di fronte a que-

ste logiche osservazioni qualcosa ci dicevache i gusti e le abitudini potevano cambiare. Di lati negativi ne avevamo ascoltati fintroppi, ma non ci facemmo scoraggiare:avendo già una lunga esperienza imprendito-riale alle spalle sapevamo che ogni iniziativapuò avere dei lati positivi e che a volte biso-gna rischiare e precorrere un po’ i tempi.Fu ancora un amico di famiglia, Roberto Bindi,che ci convinse a mettere in cantiere il pro-getto, collaborando con noi.

L’iter si prospettò su-bito lungo ed irto diintoppi; non sto quia farne l’elenco, manel contempo diven-tavamo sempre piùconsapevoli che unacosa del genere po-teva rappresentareuna svolta anche peril nostro territorio.

Infatti, questo genere di impianti si stava svi-luppando bene anche in Italia e quindi fatal-mente sarebbe arrivato anche qui,nonostantealcune resistenze “politiche”.Quando mio marito scomparve non mi fu fa-cile continuare da sola, ma Elio aveva già av-viato bene il progetto e non volli mollare,incoraggiata anche da mia figlia Leila che miaffianca nella mia attività. Dovetti battermi un po’ con le varie ammini-strazioni regionali e locali per far recepire ap-pieno la consistenza del progetto.Finalmente, è arrivato ora il via libera e debboriconoscere che l’attuale AmministrazioneComunale di Sassoferrato ha contribuito a su-perare gli ultimi ostacoli. Quando il cantiereverrà aperto, a breve, sarà chiaro a tutti chesi creeranno occasioni di lavoro nel territorioe che anche in futuro, a progetto ultimato, cisarà bisogno di personale e servizi per man-dare avanti il complesso. A me piace anchel’idea che qualcuno dei Sassoferratesi nelmondo - molti dei quali certamente praticanoil golf nei loro paesi - tornando a visitare illoro paese di origine possano venire a prati-care il golf sul green “Sentinum”, magari aprendere un drink nel Country Club per scam-biarsi ricordi familiari ed esperienze”!Non vi sembra una cosa bella?Lea Luzi

Il Golf resort a Sassoferratodi Rita Ballanti

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La riscoperta dei piccoli paesi con la loro cul-tura, con la loro storia, con le vecchie ricetteculinarie e con i vecchi mestieri, insieme allaristrutturazione dei casolari ormai abbandonatie dei centri storici, ha consentito ai Comuni,anche piccoli, che hanno realizzato e pubbliciz-zato queste iniziative, non solo di salvare il tu-rismo minore ma addirittura di incrementarlo.La Toscana, l’Umbria e molte altre Regioni sonometa incessante di turisti che amano il contattocon la natura; turisti stranieri che si insedianoin questi territori sono numerosi perché amanola tranquillità e il mangiare sano, ma vannoanche a riscoprire tutto ciò che noi abbiamo ab-bandonato. Sassoferrato ha tutti gli elementiper entrare in questa realtà ed è necessariofarlo soprattutto in questo momento. L’indu-strializzazione ha portato alla massificazionedelle scelte e ora che l’industria manifatturieraè in crisi, dovremmo riscoprire quello che i no-stri padri, i nostri nonni facevano. Per quantoriguarda l’arte culinaria gustiamo e facciamogustare i maccheroncini con le “battecche”, illiquore con il limone, le paste con l’ammoniaca,le vecchie “staffarelle” con la farina di grano-turco, i tagliolini in brodo, i cappelletti con ilbrodo di cappone!!! Da rivalutare la ricca co-lazione di Pasqua con la frittata alla mentucciae la corata di agnello; i “santi Re Magi”, tradi-zionali pastarelle per la Befana, le frittelle, lecastagnole e le “besquesce” per il periodo diCarnevale. Nei nostri monasteri del Castello,specialmente quelli delle Benedettine e diSanta Chiara, venivano preparati tanti dolcettigolosi come i funghetti delle suore e altre pre-libatezze. Questo vero tesoro culinario va as-solutamente recuperato. Ma soprattuttoqueste vere specialità della nostra tradizione

gastronomica dovrebbero essere presenti suibanconi dei bar e delle panetterie, nei piatti deiristoranti perché il turista possa gustarle e ap-prezzarle come tipicità del luogo. L’Uomo sta ri-scoprendo l’interesse per la natura ed unamaggiore attenzione per la qualità della vita;inoltre si va sviluppando un nuovo tipo di ap-proccio verso i problemi dell’ambiente con lavalorizzazione del territorio per una significa-tiva riscoperta del patrimonio di Cultura eredi-tato e che si intende offrire integro alla nostraattenzione. Bisogna perciò salvare la nostra cu-cina delle tradizioni e finchè siamo ancora intempo dobbiamo raccogliere tutto ciò che ci èstato tramandato dalle nonne e dalle bisnonne.Vanno riscoperti anche alcuni prodotti del-l’agricoltura locale e dell’allevamento: la Pa-tata di Montelago, addirittura menzionata neilibri scolastici che trattavano di agricol-tura. Montelago rappresenta la zona ideale perla coltivazione della patata con il suo terrenosciolto e la sua altitudine di circa 900 metri cherende l’ambiente immune da insetti e afidi. Lenumerose trasmissioni televisive che si occu-pano di cucina, pubblicizzano continuamente ivari tipi di patata e noi abbiamo il luogo idealeper un prodotto di vera eccellenza. Perchè l’at-tuale cooperativa che alleva cavalli non prendein considerazione l’idea? Un altro prodotto dariscoprire è il farro di cui si trova testimonianzanei reperti di cucina ritrovati nella città romanadi Sentinum. Perchè non coltivare il granturcoquarantino ottimo per la polenta? Da far cono-scere la pecora di razza fabrianese ottima perla carne? Non va trascurato il salame lardel-lato preparato nella “festa della pista”, checoinvolgeva tutta la famiglia specialmente nelmomento del mitico “proarello”; quando si as-

saggiava quasi con venerazione l’impasto dellacarne suina cotto nella padella per provare seera giustamente condito con sale e pepe.Anche la riscoperta di antichi mestieri potrebbeessere motivo di orgoglio e fonte di reddito;erano famosi i canestrari di Sassoferrato, inparticolare quelli di Montelago e Casalvento,i ceramisti di via Vaseria, il birocciaio, lo sta-gnaro, il tornitore il calzolaio, il falegname, ilfabbro. Dunque Sassoferrato può offrire al vi-sitatore la vivibilità del territorio, le bellezze na-turali e quelle artistiche culturali, la sua riccatradizione culinaria e artigianale. Perché nonrealizzare per il turista tesserine di mosaicidella antica Sentinum? Con la ristrettezza deiposti di lavoro che affligge la nostra zona acausa della crisi dell’attività industriale, questiaspetti della nostra tradizione e della nostracultura dovrebbero suggerire nuove idee enuove iniziative da inserire nel capitolo Turi-smo-Cultura che potrebbero diventare una voceimportante nell’economia del nostro territorio.Perché non valorizzare la nostra zona anche conle vaporiere della ferrovia? Alcune riviste ame-ricane e inglesi specializzate presentano lalinea ferroviaria Fabriano, Sassoferrato, Per-gola con uno scenario incantevole. Perché noninserire Sassoferrato tra i più interessanti Bor-ghi italiani? Basta dare uno sguardo ai nostripaesi vicini per ricevere un’iniezione di entu-siasmo e voglia di fare, ma naturalmente percogliere queste spinte bisogna innanzitutto cre-dere nell’efficacia di queste iniziative affinchécon il nostro attaccamento a ciò che ci appar-tiene, esse possano veramente decollare.A questo punto soprattutto i giovani devono es-sere educati ad amare questi nostri beni perchéè da loro che si deve iniziare.

Sassoferrato: turismo,cultura, ambientee enogastronomiadi Giovanni Pesciarelli

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di Katia e GiovannaVia Cavour, 32 - 60041 Sassoferrato (AN)

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Questa semplice storia, una come tante chepotrebbe essere “adottata e adattata” perciascuno di noi anche un po’ datati, si inseri-sce molto bene nello spirito dell’Associazioneche si diffonde e si materializza con la rivista“Sassoferrato mia” a mo’ di collegamento trai Sassoferratesi nel mondo.

Sto parlando del conterraneo Dino Morici,nato al “Giontarello” sulla strada per Catoba-gli, classe 1949 (non me ne voglia… ci sonoanch’io…) che nella scorsa estate ’09 decisedi affidare, alla stregua del naufrago con unbiglietto nella bottiglia, un messaggio nelmare magnum di internet alla ricerca dei com-pagni di scuola elementare 1956-57, pratica-mente ieri…E come spesso accade “la bottiglia” con ilmessaggio di Dino è approdata su una “batti-gia”, di nome Sassoferrato TV raccolta da unodei tanti passanti che sovente vi “passeg-

giano” per curiosare intuendo che qualcosa diinteressante c’era. (Qui permettemi una di-gressione per un omaggio a Gigi G. che metteTutti e tutto in collegamento).La cliccante – passante (perdonatemi il neo-logismo) Giulia me ne ha parlato pensandoche forse poteva riguardare anche me inquanto Dino cercava Vincenzo Passarini (chinon lo conosce…) e Adelio Rossi miei/nostricompagni di scuola elementare.Da cosa nasce cosa… Subito ho realizzato chifosse Dino che da oltre 50 anni non vedevo…ma che era rimasto in un cassetto della me-moria dal quale ogni tanto riaffiorano flashesdai contorni sfuocati. Così ho inviato un mes-saggio a Dino (ma non con la bottiglia …) ri-cordandogli qualche episodio del tempo chefu. Tra questi uno. Lui era piuttosto timido,

piccolo di statura, capelli neri. Stava perbanco (quelli di una volta di legno con la ri-baltina, il calamaio e l’inchiostro per intingereil pennino che regolarmente “impiastrava” lepagine dei quaderni) con Mario Marconimembro di questa Associazione che al con-trario era grande e biondo. La coppia rappre-sentava una compensazione fisica naturale,quasi come il “pollo a testa” di Trilussa…Nel messaggio via e-mail a Dino ho scrittoanche il mio numero di cellulare. Non sonopassate neanche due ore ed ecco che il tele-fonino squilla! Quasi lo aspettavo, sì era pro-

prio Dino! Dopo più di 50 anni siamo tornati incontatto. Con mia grande sorpresa parlavacon una cadenza veneta che più veneta nonsi può! Da Ponte di Piave provincia di Treviso.Già il Piave, simbolo di riscatto e punto di ri-partenza dell’Italia, quasi una nemesi per noiragazzi del dopoguerra. Da quel momento icontatti si sono rincorsi e allargati ad altricompagni di scuola dell’epoca. Oltre ai primidue citati, si affacciano Annibale Biondi,Bruno Loppi, Bruno Cristallini, Angelo Verdinie ovviamente non poteva mancare MarioMarconi. Lascio ai lettori indovinare chi nellafoto è Mario altrimenti avrei fallito la descri-zione sopra riportata…. Dino si è inserito brillantemente nel tessutosociale del suo territorio. Ricopre l’incaricoistituzionale di Assessore comunale, molto at-

tivo nel sociale e nello sport. Pensionatodelle FF.SS., sposato e nonno. Tutte notizie che ci ha dato quando ai primidi settembre ’09 è venuto a Sassoferratoper una rimpatriata. Poi sulle ali del-l’amarcord, delle emozioni ed le inevitabilicommozioni ci siamo rituffati nel recentis-simo passato della prima infanzia, per-ché, credetemi, i 50 anni non sembranotrascorsi affatto, anzi ci è sembrato di ri-tornare un po’ monelli dove la “globaliz-zazione”, la modernità e la vacanza erano:il fiume, la Befana con i “tamburlani” lasera prima del 6 gennaio, il viaggio a Fa-briano con la “littorina”. Ma a noi pareva un mondo sconfinato…. eci saziava...Il lieto fine e morale della semplice storiaquasi da libro Cuore è che noi ex compagnidi scuola abbiamo ritrovato un amico e cheDino Morici è entrato subito dopo a far

parte dell’Associazione Sassoferratesi nelMondo a testimonianza che il “Borgo nationon si scorda mai…” quasi come il primoamore.Caro Dino, di questo e del viaggio nella me-moria tutti noi te ne siamo grati… grazie aquella bottiglia che hai affidato al mare dellatecnologia informatica.

Nella foto da sin.: Biagio Marini, Bruno Loppi,Mario Marconi, Dino Morici, Vincenzo Passa-rini.

Alla ricerca delle proprie radicidi Biagio Marini

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Un giorno in conventodi Alfredo Panzini

Alfredo Panzini nacque a Senigallia nel 1863da padre romagnolo e madre marchigiana,trascorse buona parte della sua giovinezza aRimini, per frequentare poi l'allora ConvittoNazionale M. Foscarini, a Venezia. Si laureòin Lettere a Bologna, avendo come maestri ilCarducci e l'Acri. Compilò il noto dizionarioHoepli. Nel 1925 fu tra i firmatari del Mani-festo degli intellettuali fascisti, redatto daGiovanni Gentile. Fu per quarant'anni profes-sore di ginnasio e nel 1929 divenne Accade-mico d'Italia.

***

Articolo tratto da Il Corriere della Seradel 16 giugno 1929.

Paese vecchio, vecchio! Tutto monti e genghe,ma quando c’è la salute e il vino buono….Quac’è i frati, là c’è i frati. Queste indicazioni ledava un giovanottone che trasudava salute eallegria. Egli era quelli che in altri tempi sa-rebbe stato il postiglione, ed ora è il guida-tore dell’autobus che aspetta il treno e portala posta su al Castello, e qualche viaggiatore,se cìè. Quella mattina, - albeggiava appena –ce nìera uno solo che pareva nuovo del luogo,e domandava cos’era questo cos’era quello.Qua c’è i frati bianchi, la ci sono le monache– diceva quel giovanottone, additando i con-venti sparsi su per i monti in contemplazionedel cielo. Così che vi è aperto un credito illi-mitato sul Paradiso, - aveva detto quel si-gnore. Sì, sì, ma non c’è prescia. L’autobus eraintonato per vetustà alle case del borgo, dove

apparivano porte di pietra a sesto acuto, deivecchi tempi. Finestre chiuse, cani randagi,una donna, due donne con le sottane lunghe,infagottate di nero, con gli ombrelli, perchél’alba era fredda e piovigginosa, benché fossein aprile. L’autobus lasciò il borgo e prese lasalita del Castello. Anche qui case più vetustedel borgo. L’autobus si fermò in una piazza,dove era scritto:”Poste e telegrafi, Municipio,Regia Pretura, Caffè” Ma tranne “Poste e te-legrafi”, tutto il resto era chiuso. Il signore ri-parò sotto il porticoUn mese prima, all’aprirsi della primavera,una fogliolina di quel signore aveva detto: -Sei contento, papà, che vada con una miaamica dalle monache dove lei è stata in edu-cazione? Le lettere che papà ricevette di poidicevano: “ Si arriva al convento. Si passa perla cucina che ha un gran camino. Una bellasuora rubiconda e giovane mi bacia. Poi il sa-lottino rosso; in mezzo, già la tavola apparec-chiata per noi due. Poi la stanza dove sidorme: due lettini bianchi, e in fondo un re-cinto di tela bianca: lì dorme la suora. Ma an-diamo a mangiare: una bella tondina ricolmadi buon brodo con tagliatelle fatte in casa. Eil pane? Ah, quanto me ne sono mangiato!Pane scuro, fatto dalle suore, tagliato a fettedi panettone, vecchio di tre giorni; ma buono,profumato. “Due garzoncelle silenziose, chenon mancano di augurare buon appetito, ciservono. Poi è la volta della Madre Superiora.Mani incrociate davanti, lì in piedi al nostrotavolo, alquanto sostenuta. Ci interroga.Quando, dopo esserci alzate, ha potuto adoc-chiare la lunghezza delle nostre sottane, hafatto un certo viso, e se ne è andata. “Qui usaportare i piatti già coperti da un altro piatto,così che al primo momento non si sa cosamangeremo e si ha sempre una piccola sor-presa. Abbiamo anche l’antipasto; ma oggi èvenerdì, quindi niente, né salame, né pro-sciutto: tre fettine di pane con burro e ac-ciuga. Poi, si dice, vi sarà la minestra di ceci.Ieri c’è stato il dolce, la crostata; ce ne hannodato una buona fetta per uno, a merenda. Allasera minestra in brodo con costolette e pata-tine fritte. “Fa bene da mangiare suor Elvira!Ieri sera, dopo pranzo, siamo andate a trovarlain cucina. Ha dentini così bianchi, labbra cosìrosse, e anche occhietti neri. Ha un aria così

birba e allegra! Stava alle prese con quelladiecina di orfane che gliene facevano di tuttii colori: chi la voleva far ballare, chi le rubavai grossi coperchi di rame e faceva musica, chile tirava il velo, lei giù pizzichi su le loro brac-cia! Facciamo anche tante belle passeggiateper i monti, e abbiamo imparato tutti i sentie-ruoli. Ti mando queste violette, papà. Se lemetti subito nell’acqua, ritornano vive”: que-ste le lettere della figliolina, e perciò il si-gnore disse: “qui bisogna andarla a pigliare,se no mi si fa monaca”: ora il convento dellemonache si vedeva là bianco su lo sprone diun monte, ma andare a quell’ora a bussarealla porta del convento non parve opportuno.Si aprisse almeno il caffè. Macché! C’eranolapidi romane sotto quel portico e si potevaperdere il tempo a leggerle, ma erano troppoalte e troppo in latino. C’era nell’albo pretorioun bando di concorso: “posto da becchino cuiè ammesso l’annuo assegno di lire 2000lorde. Certificato di buona condotta morale ecivile e politica”. C’era una chiesa, e su laporta è incollato il crocefisso, e sotto la scrittadiceva: “io sono morto per te e tu mi be-stemmi. Pensaci!” C’era anche una cosa cu-riosa: quelle porte di pietra a sesto acuto nellevecchie case erano disposte, a due a due, vi-cino l’una all’altra: due per ogni casa. Perché?Intanto una campanella suonò. Un altro con-vento risponde. Ogni campana ha la sua voce.Una campana ha voce di bimbi. Tace. Parlaun’altra campana: voci di donna. Silenzio.Un’altra campana parla: voci di vecchi e vocidi morti. Una campana pare che aspetti e poidice: “campane sorelle, ecco un altro giornoche si è aggiunto ai giorni”. Sopra le nubi unraggio dell’aurora rischiara il cielo. “Ma èvero – si domandava quel signore – che ieri,a mezzodì, io ero a pranzo dalla marchesa conSua Eccellenza? Che alle quattro ero al grandehotel per una esposizione per mannequins,che indossano l’una dopo l’altra toilettes inlamè, in velour, in crèpe georgette, come …dice la gente? E’ vero che alle cinque ero altè di Madama X? Un passo risuonò sul sel-ciato. Oh finalmente un uomo vivente! Non èMadama X, non è la marchesa, non sono imannequins. E’ un povero diavolo; ma in man-canza di meglio il signore attacca discorso conlui. – E’ un paese molto tranquillo il vostro. Il

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buon uomo sorride: - tranvai, automobili, au-tobus? Qui non c’è pericolo di essere urtati daquella roba là. – E perché quelle due porte vi-cine in ogni casa? – Perché al tempo deitempi per una porta entravano i vivi, per l’al-tra sortivano i morti. – Oh, guarda, guarda! Ilsignore manifesta il suo dubbio di andare aquell’ora dalle monache. Dormiranno. – Lemonache? A quest’ora hanno già sentito lamessa. Allora si avviò; ma quando fu davantila grata del convento, esitava un po’ a tirareil campanello; ed ecco un fruscio si udì,un’ombra nera gli passò accanto: una monacain gonna nera e manto nero entrava. Si volse:entro il soggolo era l’ovale di un visetto splen-dente, con due pupille nere e due labbra por-porine. – Ah, il babbo delle signorine, entri,entri. E la monacella fu tanto gentile, e pre-cedette per un coridoietto, fece entrare in unsalottino; ed ecco un’altra porta si aprì e ap-parvero i lettini bianchi, la stanza bianca , lemussoline bianche e il verde dei monti: le duefanciulle erano appena levate a quell’ora. Fugrande festa e sorpresa. – Vi trovate bene? –Si tanto. – Quella che mi ha aperto era laMadre Superiora? – No, è la cuoca, suor El-vira.- Quella che fa da mangiare per voi? – Pernoi, per le orfanelle, per i bimbi dell’asilo. Vuoldire che loro non si fanno vedere a mangiare.Un orfanella venne. Reggeva un bel vassoiocon su il caffè, il latte, i biscottini. Venne laMadre Superiora a dare il benvenuto. Parlavacon una sua piana cantilena. – Le signorine sisono comportate bene, buone figliole, tantobuone; ma tutti quei libri che leggono, perché?Quando c’è la grazia del Signore, non basta,figliola mia? Si rivolgeva alla signorina, conun sorriso di dolce rimprovero; ma, in verità,parlava ad altri. – Basta, speriamo nel Si-gnore. – E questa fu la conclusione. – Ogni di-

scorso della Madre Superiora, - dicono le si-gnorine quando la Madre Superiora fu uscita,- termina sempre così: - “Speriamo nel Si-gnore”, e “il diavolo può far le pentole, manon i coperchi”. Le signorine vollero condurreil signore a vedere la cucina, dove suor Elvira,deposto il manto nero, ora tutt’avvolta in ungrembiule di rigatino, stava in gran faccende.C’è un cortiletto claustrale, un incantesimo disemplicità! C’è una gran vasca per il bucato;c’è un orticello, per tre parti difeso da altemura; e la parte aperta guarda giù nella valle.Entrarono nella scoletta dell’asilo. Là c’erasuor Beatrice con tanti bambini. – Salutate.Al comando della suora, venti manine si leva-rono nel saluto romano. Suor Beatrice dovetteaccorrere per metter giù quelle braccia chesarebbero state ferme in su chi sa per quantotempo. Eran tutti visetti freschi, sani, e benpuliti. Quel signore prese un’aria d’autorità, emolto si congratulò con suor Beatrice. – Cosadite, bambini, alla mamma che vi fa suor Bea-trice, quando non avete il visetto pulito? E dueo tre di quei bimbi aprono la bocca al sorriso,si prendono con le manine le orecchie e se letirano, per dimostrazione di quello che fa suorBeatrice a chi non viene a scuola con le manie con la faccia pulite. Ride la suora ed è co-stretto a ridere anche il signore. Suor Beatriceha due grandi occhiali, è scarna, e non è piùgiovane. Sta con quei bimbi tutto il giorno, fafare loro i disegnini coi lapis di colore, spiegale figure di certi quadri appesi alle pareti,dove sono tutte le autorità del cielo e dellaterra. Suor Beatrice confessa la sua pochezzacome maestra; ma ride, scherza con queibambini, e ogni mezz’ora li conduce a spasso.A mezzodì, nel salottino, tutto era pronto perdesinare. Venne poi la Madre Superiora: te-neva in braccio una pupina di due anni. Quella

maestà monacale con quella pupina piccolaporgeva somiglianze con le statue sugli altari.– E’ una povera orfana, spiegò la Madre, - evuol stare sempre con me; mi chiamamamma. E volgendosi dolcemente alla bimba.– Vuoi bene alla mamma? – Sorridendo do-mandò. E la piccina le blandiva il volto con lemanine. In fine del desinare fu servito, inonore dell’ospite, un piattello di crema con iconfettini bianchi e rossi per decorazione. Lariservatezza della Madre Superiora si vennesciogliendo. Parlò con entusiasmo dei votidelle monache, delle missioni delle monache,vanno sino nell’Asia a curare i lebbrosi, eprima fanno il testamento. Parlò dei padri Ge-suiti che sono molto istruiti, dei padriCa…..llini che assistono gli infermi di mali in-fettivi e muoiono come i soldati in guerra.Ogni ordine ha la sua missione. E in verità sesuor Elvira studiasse latino anche lei, comeriuscirebbe a fare così bene la cuoca? Si,ognuna al suo ufficio. Badano al bucato, allacucina, all’orto, alla scuola; ma vivono un’al-tra atmosfera.Quando il signore e le signorine partono, laMadre Superiora era sotto il portichetto conquella bimba appesa al seno al far l’ultimo sa-luto con la mano, e non mancava di soavefemminilità. Quale malinconia! Come dicesse:“chi sa se ci rivedremo mai più”.

Nota: la località descritta e sede del conventoMontanari, è Sassoferrato.

Questo articolo ci perviene daLuigi Artegiani, nostro socio, figliodi quel “guidatore dell’autobus”che in quel lontano giugno del1929 condusse il noto giornalistasu in Castello presso il conventoMontanari.

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In località Castello di Sassoferrato nell’ex calzaturificio Amori, tra-sformato in civile abitazione, lungo la parte alta di corso Don Minzoni,viveva da circa un anno la famiglia di Elio Argentati, che lavorava comeminatore nella vicina miniera di zolfo di Cabernardi.Il corso, lastricato in pavè, terminava in piazza san Francesco e prose-guiva poi come strada provinciale per Cabernardi e San Lorenzo. Al-l’epoca degli avvenimenti la strada era polverosa, non asfaltata, su cuitransitavano carri, biciclette, qualche camion e la “corriera” per il tra-sporto degli operai, che al suo passaggio sollevava schizzi di fango neimesi invernali o di polvere nei mesi estivi.Dopo la fine della 2° guerra mondiale l’utilizzo di metodiche moderneper l’estrazione dello zolfo messe a punto negli Stati Uniti, non appli-

cabili però nella zona mineraria di Cabernardi e Percozzone per la di-versità della geologia del terreno, aveva reso non più conveniente nelprezzo e difficilmente commerciabile lo zolfo marchigiano ed erano co-minciati incontri fra la dirigenza della Montecatini Spa ed i sindacatiper discutere il futuro della miniera. Gli operai erano informati dai lororappresentanti sindacali di una possibile chiusura della miniera, eranopreoccupati per il loro futuro ed allertati per scioperi o azioni dimo-strative. Quel 28 maggio del 1952, dopo aver consumato un pranzo fru-gale, Elio prese nella sua borsa il panino e le solite “sardelle” salateper la cena e si unì agli altri operai in attesa del camion, che traspor-tava gli operai della miniera. Sceso nella miniera per il turno di lavoropomeridiano, che iniziava alle 14 e terminava alle 22, apprese da altrioperai del fallimento nella trattativa con la Montecatini SpA per man-tenere funzionante la miniera e che era arrivato il momento una di-mostrazione forte con l’occupazione della miniera a sostegno dellalotta per la difesa del lavoro. Molti operai aderirono alla proposta del-l’occupazione, che sarebbe iniziata alla comparsa di un vagoncino peril trasporto dello zolfo sulla cui fiancata c’era la scritta “evviva la ma-glia gialla”. I minatori nelle gallerie si sarebbero dovuti rifiutare di ri-salire in superficie alla fine del turno di lavoro, impedendo a quelli delnuovo turno di scendere. Fu lasciata tuttavia libertà a coloro che nonvolevano partecipare all’occupazione di tornare in superficie. 176 lavoratori restarono nel profondo della miniera e 161 la occuparonoall’esterno. Tra gli occupanti all’interno delle gallerie c’era anche Elio

Argentati. La notizia dell’occupazione della miniera giunse nella casadi Lidia soltanto a notte inoltrata, allorché essa non avendolo visto ar-rivare e preoccupata per il ritardo, andò a chiedere notizie a casa diun altro minatore, il quale le riferì dell’occupazione della miniera. Lidia, stupita da quella notizia, dopo aver tranquillizzato la figlia Clara,partì immediatamente a piedi di notte per raggiungere la miniera edavere informazioni dirette. Arrivò quasi all’alba. e vide che i carabi-nieri impedivano l’accesso al piazzale, tenendo lontano i parenti deilavoratori. Eventuali notizie potevano arrivare dagli operai, che pur oc-cupando la miniera, erano addetti ai lavori in superficie. Inoltre infor-mazioni sull’andamento dell’occupazione Lidia poteva averle daiparenti, che lavoravano in miniera: il cognato Ettore Argentati, il fra-tello Aldo Franchini e il padre Domenico Franchini, che lavorava come“sorvegliante”. Domenico era un sorvegliante, stimato e tenuto in granconsiderazione dai dirigenti della miniera, in quanto alcuni anni prima,al passaggio del fronte della guerra, aveva collaborato con l’AziendaMineraria, accettando di nascondere nel fienile della casa in localitàFelcine i giganteschi motori dei “ventoloni”, apparecchiature indi-spensabili per soffiare l’aria nelle profonde gallerie della miniera.Il Direttore della miniera, ai primi di giugno, chiamò nell’ufficio Do-menico e Lidia, informandoli che gli occupanti sarebbero stati tutti li-cenziati, ma che Elio, minatore esperto, qualora fosse uscito e sospesol’occupazione, sarebbe stato immediatamente riassunto in un’altra mi-niera della Montecatini. Lidia qualche giorno dopo, volendo mandareun simile messaggio al marito, senza confrontarsi con nessuno dei pa-renti per non metterli in difficoltà con le autorità, ebbe una genialeidea e la mise in pratica. Verso mezzanotte, partì dalla casa in localitàCastello di Sassoferrato e camminando lungo le strade illuminate dallaluna, si recò al forno di Cabernardi. Lungo la strada prima di arrivarenel paese venne fermata da una pattuglia di carabinieri, i quali le chie-sero cosa facesse a quell’ora e dove andasse, ed alla risposta che an-dava a lavorare al forno, la lasciarono proseguire. Lidia aveva scrittouna breve lettera, che conteneva qualche notizia, saluti dei parenti edamici, ma in particolare le frasi più importanti erano “… Elio smettiladi soffrire laggiù…. la direzione della miniera ti stima e se vieni fuori,sospendendo lo sciopero e l’occupazione, un altro posto di lavoro telo trovano subito…. Saluti e baci”. Il messaggio, e questa era stata l’idea geniale, sarebbe stato infilatoin un tubetto metallico di medicinali, e nascosto in una filetta di pane.Il tubetto metallico avrebbe garantito al foglietto di superare il caloredel forno! Lidia aveva messo al corrente il fornaio della sua iniziativachiedendo il permesso per fare una filetta di pane in cui nasconderel’astuccio metallico. Il fornaio aveva acconsentito all’iniziativa, facen-dosi garantire che se per caso avessero scoperto il tubetto, questa erastata una iniziativa personale di Lidia, di cui non era a conoscenza e cheera stata fatta senza alcun permesso.La direzione della Montecatini, anche se la miniera era occupata, avevaconcesso agli occupanti di ricevere da mangiare due volte al giorno:Lidia portò il panino agli operai che portavano i viveri, raccomandan-dosi che avessero consegnato al marito il panino, fresco di giornata.

L’occupazione della miniera di Cabernardi

nei ricordi di Lidia Franchinidi Giovanni Mazzotta

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Soltanto alla fine dell’occupazione Lidia fu informata da Elio che il pa-nino era arrivato a destinazione e che spezzandolo aveva trovato il tu-betto metallico con il messaggio, ma, seppur complimentato dagliamici per l’idea geniale avuta dalla moglie per comunicare, non avevavoluto abbandonare i colleghi minatori nella difesa sindacale del postodi lavoro. Alla fine di giugno, qualche giorno dopo l’invio del messag-gio, Lidia non avendo avuto risposta, tramite il padre Domenico, tentòla strada dell’incontro diretto con Elio. La Direzione della Miniera ga-rantiva durante l’occupazione anche la presenza continua del mediconegli uffici. Ai minatori, occupanti nelle gallerie, era concesso per gravimotivi familiari o per ragioni di salute di vedere i parenti. Questi sali-vano nella gabbia, ma non potevano mettere piede al di fuori dellapiattaforma e venivano avvertiti che se fossero usciti dalla gabbia del-l’ascensore era come se avessero manifestato la volontà di sospen-dere l’occupazione. Lidia con l’aiuto del padre Domenico chiese alla direzione della mi-niera di poter incontrare il marito insieme alla figlia Clara, che era gra-vemente ammalata. Elio fu fatto salire all’appuntamentodall’ascensore in località “Fondiglia”. Gli occupanti erano nelle galle-rie da circa un mese ed Elio, comparve smagrito e pallido, quasi irri-conoscibile. Alle sollecitazioni del suocero, che lo invitava asospendere l’occupazione, e malgrado i pianti di Lidia e della figlio-

letta, Elio ripetette: “...mi dispiace non scendo dalla gabbia… nonvengo fuori, ritornerò insieme agli altri alla fine”. Lidia, mentre stringeva al petto la figlia singhiozzante, vide Elio scom-parire alla luce delle lampade, che illuminavano fiocamente il tunneldella discesa e potè riabbracciarlo soltanto il 7 luglio del 1952 alla finedell’occupazione.La fine dell’occupazione della miniera si concluse con il licenziamentodi Elio, il quale dopo un breve lavoro alla galleria del lago di “Cac-camo”, iniziò una nuova esperienza lavorativa come fornaio.

Nota dell’Autore:Argentati Elio (nato il 7-01-1921 e deceduto il 23-03-1986) è il primonome in ordine alfabetico dell’elenco dei minatori denunciati dai CC diCabernardi per “occupazione della miniera”. L’iter giudiziario venneconcluso con sentenza del pretore in data 17/11/1955 di “non doversia procedere per effetto del decreto di amnistia del 19-12-1953, n° 922art 1, lettera a.Il documento pretorile, che riporta anche i nomi di altri minatori (Azzeri Au-relio, Ilari Bruno, Misci Luigi, Misci Raffaele, Silvestrini Pietro) è pubbli-cato a pag. 124 del volume Cabernardi: La miniera di zolfo, di ParoliGiuseppe e Marcucci don Dario, 1992. Tipografia Garofoli, Sassoferrato).Foto: archivio Giuseppe Paroli

Il 12 ottobre u.s. abbiamo avuto un ospite spe-ciale in classe: Mr Edmondo Paoloni, zio dellanostra prof d’inglese Paola Diotallevi. Lostesso giorno in cui Cristoforo Colombo ap-prodò in America, un signore americano è ar-rivato nella nostra mitica IIIC !! Il signorEdmondo ha passato un’ora in nostra compa-gnia, parlando della sua vita e lasciandosi in-tervistare da noi che, per l’occasione abbiamofatto sfoggio delle nostre conoscenze lingui-stiche. Le radici del nostro ospite sono sasso-ferratesi, ma suo padre e sua madre sitrasferirono negli Stati Uniti nei primi del no-vecento per trovare lavoro. Abbiamo, per-tanto, affrontato anche il delicato temadell’emigrazione e abbiamo capito quanto èdura la vita quando si va a lavorare in unpaese straniero. Non a caso il signor Paoloni ci ha spronati adimpegnarci seriamente a scuola, sottoline-ando che è grazie allo studio che possiamomigliorare la nostra situazione di partenza, ot-tenere una migliore posizione sociale e avereun brillante futuro. Da giovane, Edmondo si èarruolato due anni nell’esercito per potersi pa-gare gli studi e frequentare un business col-lege che gli ha permesso di impiantare edirigere un’importante agenzia di assicura-zione della Pennsylvania. Ora Paoloni è un

pensionato ancora pieno d’energia e di ri-sorse, trascorre il suo tempo libero viaggiandoe occupandosi personalmente della suavigna. Quasi tutti i mesi si concede un viag-gio, più o meno lungo, insieme a sua moglieVirginia. Appassionato d’arte, ha visitato annodopo anno tutte le principali città italiane eora cerca di farle conoscere ed apprezzare

anche ai suoi nipoti. Edmondo è il tipico ame-ricano innamorato dell’Italia, orgoglioso dellesue radici e interessato a tutto ciò che ri-guarda Sassoferrato.

Nella foto i ragazzi della III C della ScuolaMedia di Sassoferrato con la prof.ssa Diotal-levi e Edmond Paoloni.

Un ospite speciale in classedi Paola Diotallevi

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Rosario della seradi Giuseppe Bianchi

Tra le nostre umili popolazioni, che vivevano tra le montagne, lavo-rando sodo e solamente per pura questione esistenziale, non certo per-ché ci ricavassero guadagno, e quando non esisteva ancora latelevisione che cattura e assorbe per ore e ore la gioventù odierna,mostrando cose lecite e illecite e spesso deviandola, era buona con-suetudine, dopo cena, radunare l’intera famiglia attorno al focolareper la recita del “Santo Rosario”.

Anche nella mia famiglia tale consuetudine non veniva disattesa. Eraun momento di mistico raccoglimento e di ringraziamento all’EternoPadre, perché anche quella giornata era trascorsa nel migliore deimodi. Il capofamiglia generalmente iniziava, e tutti gli altri risponde-vano al rosario. Molte volte, una preghiera così lunga e ripetitiva, spe-cie per i giovani che non riuscivano a stare fermi un minuto, diventavauna specie di supplizio. Altre volte, prendevamo l’iniziativa noi stessie si faceva a gara per leggere i “misteri” che variano a seconda delgiorno: gloriosi, gaudiosi, dolorosi.Poteva capitare che invece di leggere i gloriosi del giorno, si legge-vano i dolorosi, cioè gli uni per gli altri, c’era allora il rimbrotto dei ge-

nitori: oppure mentre tutti pregavano, qualcuno si distraeva attizzandoo “scatizzando” il fuoco, in modo da far scaturire una miriade di luccioleo scintille che scoppiettando andavano a investire ora l’uno ora l’altrodei partecipanti all’azione.Era cosa simpatica, non tanto in casa nostra poiché in parecchi si co-nosceva il latino, sentire gli sfondoni che si dicevano: “Padarnostro”(per Pater noster), interenosse (per et ne nos), inducàsse (inducas), nca-

tinora (per nunc et in hora), domine steco (do-minus tecum), in mulieribùsse (in mulieribus),ammalo (a malo), Stiesus (tui Iesus)”. Non par-liamo poi di quelli detti nelle Litanie.Certo che l’aver tolto il latino nella messa enelle preghiere ha, da un lato, reso comprensi-bile al popolo ciò che si dice nelle orazioni edè stato un bene, ma dall’altro è risultato ungran danno, per l’universalità che aveva nellachiesa e, nel mondo intero, la lingua latina.Anche se nella preghiera c’era raccoglimento ela mente era rivolta al Signore, ogni tanto usci-vano delle risatine, che contagiosamente si tra-smettevano, finché diventava una risatagenerale. Ciò non per irriverenza o dispregio,ma solo perché era un momento di solenne rac-coglimento, serietà, concentrazione, e il sen-tire lo sghignazzo di uno suscitava in tutti unirrefrenabile desiderio di ridere.Un altro motivo che suscitava spesso scoppi di

risate era, allorché nei momenti di maggior raccoglimento e serietà,usciva la battuta inaspettata della mamma: “Peppino, hai chiuso lastalla delle galline?”; oppure “la cantina?”. Ed anche: “avete saputoche è successo a Sabatino?”. A questo punto la risata era generale eduratura.Speriamo che il Signore non tenga conto di tali intercalari, o di tantistrafalcioni detti nelle preghiere e guardi e accetti con comprensioneanche le sciocchezze che possono venir fuori durante le orazioni.Comunque sono ricordi piacevoli di quando le famiglie erano vera-mente unite, e suscita tenerezza il ricordo della pacifica, patriarcalevita che si conduceva allora nelle piccole frazioni e nelle famiglie.

Fioreria La Primaveradi Moroni Ersilia

F L O R A L D E S I G N E RViale C. Battisti, 21 - Sassoferrato (An)

Tel. +39.0732.959155 - Ab. 0732.96229 - 333.6294841www.fiorerialapromavera.cominfo@fiorerialaprimavera.com

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All’Associazione “Sassoferratesi nel Mondo per Sassoferrato”.

Il sentimento affettivo che provo per la città di Sassoferrato scaturisce da due

ricordi della mia vita giovanile. Il primo ricordo risale all’ultimo periodo della

seconda guerra mondiale. L’11 gennaio 1944, avevo 12 anni, sono rimasto

sotto le macerie della casa familiare, distrutta dalle fortezze volanti ameri-

cane, in Via Cialdini a Fabriano, mia città natale. Con la mia famiglia sono

sfollato a Sassoferrato nel Convento di Santa Croce. Dopo il passaggio del

fronte mio padre chiese ed ottenne la direzione didattica delle scuole ele-

mentari del Comune di Sassoferrato. Abbiamo abitato nel palazzo degli

Scalzi fino al 1951, quando ci siamo trasferiti a Firenze, perché sede uni-

versitaria, dove ho conseguito la laurea in medicina. Di questo periodo sono

rimasti scolpiti nella mente tanti episodi drammatici, quali ad esempio,

oltre il primo bombardamento di Fabriano, quello di un gruppo di partigiani

che fu aggredito da truppe fasciste sulla strada di Arcevia proprio di fronte

al convento di Santa Croce, al di là del Sentino. Il secondo ricordo invece

è quello piacevolmente emotivi dell’adolescenza e dei primi anni giovanili,

delle scarpinate sul monte Cucco, degli inverni innevati, delle serate mu-

sicali alla Rocca, dei primi innamoramenti. Rievoco con piacere le amici-

zie di allora. Anzitutti don Renato Galassi, che sono stato più volte a

trovare durante i miei viaggi nelle Marche e Daniele Stella con il quale

ho mantenuto i contatti. Un particolare sentimento di amicizia provo ri-

cordando Luciano Rossi, Marisa Pellegrini, Giuliana Mercurio, perché in-

sieme abbiamo frequentato la scuola media al Castello, il ginnasio e il

liceo a Fabriano, che raggiungevamo ogni giorno con il treno. Potrei ci-

tare tanti altri nomi di amici che fanno parte dei ricordi più belli della

mia giovinezza. Quante sono le motivazioni che mi legano alla città di

Sassoferrato e per le quali chiedo cortesemente di far parte all’Asso-

ciazione, che mi è stata segnalata recentemente da un collega, Ga-

briele Manrico, marchigiano a Firenze come me. A tale scopo, come

richiesto, aggiungo un breve curriculum vitae. Dal 1951 abito a Firenze

dove ho studiato e mi sono sposato con una ragazza fiorentina. Sono

padre di due figlie e nonno di quattro nipoti adorabili. Ho svolto la

mia attività professionale quale medico di Sanità pubblica nelle isti-

tuzioni sanitarie fiorentine: Direttore sanitario nell’Arcispedale di

Santa Maria Nuova, Coordinatore sanitario nella USL 10/A di Firenze,

e dal 1955 primo direttore sanitario della ASL di Firenze. Sono stato

membro del Consiglio Superiore di Sanità a Roma nel triennio 1988-

91 e presidente del Comitato regionale della Croce Rossa per cinque

anni. Oggi, ovviamente in pensione, continuo a svolgere due attività

professionali collaterali: in qualità di libero docente, avendo con-

seguito la docenza nel 1971, sono titolare del corso di “edilizia

ospedaliera” presso il dipartimento di Igiene e sanità pubblica del-

l’università di Firenze in qualità di libero professionista svolgo con-

sulenza sanitaria per la progettazione di ospedali, avendo

maturato l’esperienza di ventiquattro collaborazioni con studi di

progettazione nel corso degli anni passati. Il vantaggio dell’età

avanzata è che rimane molto tempo libero, per cui oltre al giar-

dinaggio coltivo la passione di approfondire la conoscenza di Fi-

renze, studiando percorsi turistici alternativi di luoghi meno

conosciuti ma altrettanto affascinanti sotto il profilo storico, cul-

turale e paesaggistico. Con l’auspicio di aver fornito elementi

sufficienti per divenire socio dell’Associazione e con l’emozione

di un ideale ritorno alle mie terre di origine, ringrazio e porgo di-

stinti saluti.Sandro Boccadoro

Ponte di Piave, 11/06/10

Egregio Direttore,da quasi un anno sono iscritto alla nostraassociazione “Sassoferratesi nel mondo” emi sento di dire che ho iniziato in quel mo-mento a ripercorrere il mio passato da Sas-soferratese.Non è facile condensare tutti i miei ricordiche ora invadono la mia mente, sarò quindimolto sintetico. Con la mia famiglia sonoemigrato nel 1957, all'età di 7 anni a Pontedi Piave in provincia di Treviso. Allora non potevo certamente capireche quel distacco, a distanza di anni, avrebbe potuto essere untaglio netto del cordone ombelicale tra me e le mie radici. Così, for-tunatamente, non è stato perché nel corso dei successivi anni sonoritornato periodicamente in visita ai miei parenti. Ero e sono co-sciente però che questo non bastava e non basta per alimentare isentimenti di appartenenza ad una comunità che mi ha visto nasceree crescere. In più di cinquant'anni sono ritornato innumerevoli voltea Sassoferrato e le mie visite hanno scandito il passare inesorabiledel tempo, come un libro di ricordi dolci e pregnanti che mi riportavoa casa e che sfogliavo nei momenti di nostalgia o nei momenti in cuicomunicavo con i miei parenti. Giontarello luogo della mia nascita,Civita luogo della mia crescita, Valdolmo luogo delle mie visite enaturalmente Sassoferrato sono stati per me simboli in tutti questianni della mia appartenenza alla comunità, anche se il tempo haun po' sbiadito i ricordi. Sempre e comunque ogni mio arrivo inquesti luoghi mi dava e mi dà una sensazione indescrivibile e strana,quasi un ritornare nella culla della mia infanzia. Le colline dolci e cu-rate che sembrano dipinte, i profumi e i rumori della campagna, ilclima mite e soprattutto l'accoglienza fanno si che il mio spirito ha unsussulto di gioia e di serenità. L'animo umano ha bisogno, secondome, di nutrirsi di sentimenti e sensazioni positive che scaturisconodalla semplicità, dalla tradizione e cultura, ma soprattutto da unlegame forte e inconscio alle nostre radici, che è in ognuno di noi,il segreto è scovarlo. Io l'ho capito nel momento in cui ho abbrac-ciato i miei coetanei e compagni di classe (Biagio Marini, AnnibaleBiondi, Mario Marconi compagno di banco, Vincenzo Passerini,Bruno Loppi, Bruno Cristallini) che non vedevo da ben 52 anni.L'artefice di questo nostro incontro è stato Biagio, che ha raccoltol'invito della mia email inviata a “Sassoferrato tv” e che ha coinvoltogli altri compagni. Spero in futuro di riabbracciare anche tutti glialtri. Mai come ora mi rendo conto del dono importante che hannofatto a me questi miei cari amici. È fondamentale che questi senti-menti siano allargati a tutti i Sassoferratesi residenti ed emigrati inqualsiasi parte d'Italia e del mondo, per riconoscersi in quei valoriche legano questa comunità nel segno dell'accoglienza, dell'ami-cizia, della tradizione e della cultura.

Possa questo mio breve pensiero testimoniare il mio sentimentosincero che provo nei confronti di tutti Voi e che mi fa sentire più vi-cino al mio paese natio, rafforzando le mie radici e orgoglioso diessere un Sassoferratese.Un caloroso abbraccio.Dino Morici

La post@ dei soci

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Galleria fotografica sassoferratese

Le foto di Massimo BardelliMassimo Bardelli, assessore al Cultura della nostra cittadina, è un apprezzato fotografo ed è anche presidente della sezione regionale dellaFIAF (Federazione italiana Associazioni Fotografiche). Due anni fa aveva promosso come FIAF un evento di notevole successo, “10/12/2008:una giornata particolare nelle Marche”, manifestazione fotografica regionale con la partecipazione di 250 fotoamatori e con pubblicazione diun volume con 293 foto scattate in quel giorno nella nostra Regione. Riteniamo di far cosa gradita ai lettori pubblicando in questa pagina al-cune foto di Massimo Bardelli, scegliendole tra quelle che hanno vinto un premio od una segnalazione a concorsi nazionali.

R. M.N.

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Riportiamo di seguito i nominativi delnuovo Consiglio Direttivo dell’Associa-zione votati a seguito dell’AssembleaGenerale dei soci indetta per il 6/04/2010:Presidente: Mara SilvestriniVice presidenti: Raniero Massoli-Novelli eRenzo RuzziconiSegretario: Vittorio ToniConsigliere economo: Giovanni PesciarelliConsiglieri: Rita Ballanti, Umberto ComodiBallanti, Maria Grazia Boldrini, Rita Ferri, Ti-ziana Gubbiotti, Paolo Mancinelli, ClaudioParis, Mario Toni, Umberto Zorzetto.Presidente onorario: Padre Stefano TroianiPrimo presidente fondatore: Timoteo Benedetti

NovitàLe prime cinque edizioni (2006/2010) di “Sas-soferrato Mia” sono state rilegate in un ele-gante cofanetto. Per richiederlo inviare unaemail a: [email protected]. Il costo previsto è circa 50,00 euro.

Un francobollo dagli USALeggo il mittente sulla busta appena conse-

gnatami dal postino. E’Larry Lopina dal Wi-sconsin che manda gliauguri di Natale: un po’in anticipo direi, mancaquasi un mese a fineanno! Ma qualcosa at-tira la mia attenzione; ri-

prendo in mano la busta per leggere la data dispedizione e…….caspita! Il francobollo ri-produce una bellissima Madonna con Bam-bino dormiente di G.B. Salvi. Con la lente diingrandimento decifro che l’emissione è statafatta in occasione del IV centenario della na-scita del pittore sassoferratese a cura dellaHearst Castle Foundation. Vado sul sito dellaFoundation e scopro che nel Castello Hearst,nel territorio di San Simeon, California, è con-servato questo noteviole dipinto del “Sasso-ferrato”, acquistato nel 1926 dal mecenateW.R. Hearst. Oggi il Castello e le splendidecollezioni d’arte che vi sono custodite sonopassate nelle mani dello Stato della Californiae sono aperte al pubblico. Certamente gliesperti californiani attribuiscono a questaunica opera del Salvi in collezione un partico-lare valore, se hanno promosso addirittural’emissione di un francobollo commemora-tivo! E mi commuove il fatto che Larry, alquale alcuni anni fa avevamo fatto visitareSassoferrato e il Monastero di Santa Chiara sisia ricordato di avervi ammirato le unicheopere del Salvi rimaste nella sua città natale.

Patrick AmoriNello scorsomese di ottobre2009 il giovanePatrick Amori diNew York, figliodel Dott. SilvioAmori, mio cu-gino tramite lacomune zia

Maestra Clelia Vimercati, è venuto apposita-mente in visita a Sassoferrato alla ricercadelle proprie radici. Accompagnato da Ed-gardo Rossi e dal sottoscritto a vedere i no-stri bei monumenti e paesaggi, è rimastoparticolarmente commosso nel trovare a S.Francecso una lapide tombale della famigliaVimercati, tomba che risale secondo l’espertoEdgardo al 1600. Dopo la sua visita ci hascritto di avere Sassoferrato sempre nelcuore, si è subito iscritto alla nostra Associa-zione ed ha in animo di collaborare ad inizia-tive turistiche, essendo questa la suaprofessione a New York. Con l’occasione ri-cordo qui con rimpianto la dolce Maestra Cle-lia Vimercati, vedova Guerra, che durantel’ultimo conflitto dava lezioni nella sua casaa Piazza S. Pietro non solo al sottoscritto maa numerosi altri piccoli allievi, come ha ricor-dato pochi giorni fa il nostro consocio MarioToni di Fabriano, anche lui suo allievo durantequegli anni. (R.M.N.)Nella foto: Patrick Amori, al centro, sullaporta di S. Croce con Edgardo Rossi.

L’antica fonte di Cabernardi(Segnalazione di Claudio Paris)La costruzione della antica fonte di Caber-nardi risale al 1901: su concessione del Co-mune di Sassoferrato fu costruita dalla ditta

Trezza, cheg e s t i v al’estrazionedello zolfodalla mi-niera. Oggip u r t r o p p ol’antico fon-

tanile si presenta non poco degradato e sa-rebbe necessario un piccolo restauroconservativo, capace di mantenere il semplicestile dell’opera, non un rifacimento ex novo. Un tempo, la fonte del paese poteva rappre-

sentare unpunto d’in-contro tradonne chelavavano otra coloro

che semplicemente volevano rifocillarsi. Oggici sono le lavatrici e l’acqua minerale in bot-tiglie di plastica. Sarebbe bello vederla nuo-vamente viva!Le foto dell’articolo fanno riferimento allafonte com’è oggi e come sarà dopo i lavori.

PubblicazioniRicorre quest’anno il Cinquantenario di iniziodell’attività dell’Istituto Internazionale di StudiPiceni. Numerosissime sono le pubblicazionicurate direttamente o promosse dall’Istitutosui personaggi, la storia e le tradizioni del ter-ritorio sentinate; i nostri lettori interessati pos-sono consultarne l’elenco sul sito webdell’Istituto Internazionale di Studi Piceni(www.studiumanisticipiceni.it) e farne richie-sta alla Segreteria dell’Istituto (tel. 0732-959345, e-mail: [email protected])

Aiuti a Suor Maria Paola RotatiLa nostra Associazione, con riferimento all’ar-ticolo su Suor Maria Paola Rotati “Un premiomeritato” (pag. ), rivolge un caloroso appelloa tutti i nostri soci e non solo affinché sianosensibili ad aiuti concreti a favore della nostramissionaria, Premio Monte Strega 2009.C/C n. 58644972 intestato a:ASSOCIAZIONE DI ASSISTENZA SO-CIALE E SOCIO SANITARIA ANNA MO-RONI ONLUSCausale: � ADOZIONE PERÙ-SUORE BAMBIN GESÙ� OFFERTA PERÙ� ADOZIONE BRASILE-SUORE BAMBIN GESÙ� OFFERTA BRASILE

Aiuti a Padre Armando PierucciSegnaliamo la possibilità di inviare aiuti in fa-vore di P. A. Pierucci titolare del progetto “ProMagnificat” per il completameto del Conser-vatorio di musica che vede riuniti giovani di di-verse religioni (cristiani, ebrei e musulmani).IBAN: IT61Y0530821264000000010830intestato a PRO MAGNIFICAT

CondoglianzeLa nostra Associazione, a nome di tutti i soci,esprime le più vive condoglianze ad Anna Vi-taletti per la scomparsa del marito e della so-rella Silvana, venuti a mancare recentementea Firenze. Nilo Antonio Radicioni (Tonillo) è stato unamico, un personaggio, un animatore, un sas-soferratese da non dimenticare. Con profondatristezza ne comunichiamo la scomparsa, av-venuta a Roma, il 29 giugno 2010. L’Associa-zione invia sincere condoglianze alla famiglia.

Notizie in breve

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Farroteca Monterosso Il Farro

Un ambiente raffinato ed accogliente, un menù prelibato e genuino.Monterosso Società Agricola Forestale a r.l.

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Mentre diamo il benvenuto al nostro neo-socio sassoferratese Enrico Carletti, ci piacepresentare una sua opera pittorica pubblicatanel volume “Avanguardia artistica 2010”. En-rico sarà uno dei nostri soci “artisti” cheesporrà alla prossima mostra collettriva d’artedell’Associazione (24 luglio - 9 agosto 2010)

Un nuovo socio

Stampa offset e digitale | Stampa d’arte | Grafica | Web | Video

Tipografia Garofoli[www.garofoli.net]

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Sommario

1 La parola al presidente onorario (Padre Stefano Troiani)2 Il saluto del sindaco di Sassoferrato (Ugo Pesciarelli)2 Premio Monte Strega 2009 (Rita Ballanti) 4 Immagini della cerimonia (Foto e Arte di Paola Ballanti )5 I Premiati (curricula)9 Premio Monte Strega 2010 (programma)

10 L’altro illuminismo (Sergio Belardinelli)11 Pandolfo Collenuccio (Tiziana Gubbiotti)14 Suor Maria Paola Rotati (Maria Luisa Di Blasi)15 Alcune note sul Cardinale Oliva da Sassoferrato (Raniero Massoli-Novelli)18 Coldellanoce (Umberto Comodi Ballanti)21 Il comprensorio fabrianese e il territorio che “non c’è” (Galliano Crinella) 22 Bartolo, il primo sassoferratese nel mondo!(Mario L. Severini) 24 L’amore tra erotica e etica (Giancarlo Galeazzi)25 Gli elementi lapidei e decorativi dell’Abbazia di S. Croce degli Atti: (Claudia Caldari)28 A Sassoferrato, quando un monumento al Sassoferrato? (Vitaliano Angelini)29 Il Monte di Pietà di Sassoferrato (Renzo Franciolini)31 Consumismo e tradizioni locali (Rita Ferri)33 XXXI Congresso Internazionale di Studi Umanistici34 San Francesco nelle Marche. Un viaggio che dura otto secoli (Vitaliano Angelini)35 Tre iniziative dell’Associazione (Vittorio Toni)37 Il Golf resort a Sassoferrato (Rita Ballanti)38 Sassoferrato: turismo, cultura, ambiente e enogastronomia (Giovanni Pesciarelli)39 Alla ricerca delle proprie radici (Biagio Marini)40 Un giorno in convento (Alfredo Panzini)42 L’occupazione della miniera di Cabernardi nei ricordi di Lidia Franchini (G. Mazzotta)43 Un ospite speciale in classe (Paola Diotallevi)44 Rosario della sera (Giuseppe Bianchi)45 LA POST@ DEI SOCI

Lettera all’Associazione (Sandro Boccadoro)Lettera al Direttore (Dino Morici)

46 Galleria fotografica sassoferratese (foto di Massimo Bardelli)47 NOTIZIE IN BREVE

Nuovo Consiglio dell’AssociazioneRilegatura prime cinque emissioni rivista “Sassoferrato Mia”Un francobollo dagli USAPatrick Amori (R.M.N.) L’antica fonte di CabernardiPubblicazioniAiuti a Suor Maria Paola RotatiAiuti a Padre Armando PierucciCondoglianze

48 Un nuovo socio

In copertina:Centro storico Sassoferrato, Vicolo Frasconi. (Foto di Raniero Massoli-Novelli)

Sassoferrato Mia

Rivista annuale fondata nel 2006.Pubblicazione distribuita ai soci. La riproduzione degli articoli, ancheparziale, è consentita citando la fonte.Gli articoli pubblicati, testimoniano sol-tanto il pensiero degli autori e non com-portano responsabilità della Direzione.

Direttore:Raniero Massoli-NovelliVice Direttore:Stefano Troiani

Direzione:Palazzo Baldini, Corso Don Minzoni, 40 60041 Sassoferrato (An) - Italy

Redazione:Vittorio Toni

Hanno collaborato:Vitaliano AngeliniDavide BallantiRita BallantiMassimo BardelliSergio BelardinelliGiuseppe BianchiSandro BoccadoroClaudia CaldariUmberto Comodi BallantiGalliano CrinellaMaria Luisa Di BlasiPaola Diotallevi Rita FerriRenzo FrancioliniGiancarlo GaleazziTiziana GubbiottiBiagio MariniRaniero Massoli-NovelliGiovanni MazzottaDino MoriciAlfredo PanziniClaudio ParisGiovanni PesciarelliUgo PesciarelliMario Luigi SeveriniMario ToniVittorio ToniStefano Troiani

Stampa:Tipografia Garofoli Sassoferrato

AREA ARCHEOLOGICA DI SENTINUM(Loc. S. Lucia, a 2 km dal centro abitato)Orario visite: dal lunedì al sabato e la II e IV domenica del mese: ore 8.00-14.00.Primo e terzo venerdì del mese: ore 14.00-19.00Agosto: tutti i giorni, ore 16.30-19.30.Tel. 0732.956218/9561 - 338.4033204 (agosto)Sono visibili le strade (cardo e decumano), ruderi delle mura, pavimenti amosaico, colonne di granito. Recenti campagne di scavo hanno consentito ilrinvenimento di un importante sito termale pubblico ed hanno permesso diricavare utilissime indicazioni sulla conformazione dell’impianto urbanisticodi Sentinum e portare alla luce strade, fondamenta, tracce di pavimenti efognature di alcuni edifici del centro urbano dell’antica città romana.

MUSEO ARCHEOLOGICO(Palazzo dei Priori - piazza Matteotti)Orario visite: dal martedì al sabato: ore 10-12Sabato pomeriggio. Ore 16.30-19.30 - da settembre 15.30-18.30Festivi: ore 16.30-19.30-da settembre: 15.30-18.30In occasione del mercatino (25/7,16/8,29/8): anche ore 21.15-23Altri giorni ed orari: previo prenotazione: 0732-956218/9561 - 338.4033204Ristrutturato di recente, vi figurano numerose sculture ed altri reperti chedocumentano gli aspetti più importanti della vita degli antichi abitanti diSentinum: l’organizzazione della vita politica e sociale, la religione, gli stru-menti necessari per una civile convivenza, anfore, lucerne, oggetti decora-tivi, monete, ecc. Sul pavimento di due sale sono collocati mosaici rinvenu-ti a Sentinum. Al piano inferiore del Museo è possibile visitare il grandeplastico raffigurante la “Battaglia delle Nazioni” (avvenuta nei pressi diSentinum nel 295 a.c.) e la Sala Perottiana in cui è custodita una preziosaraccolta di reliquari bizantini e fiamminghi, tra cui l’icona di San De metriodi altissimo valore storico-artistico. Il museo comprende inoltre una sezio-ne dedicata alla preistoria.

MUSEO DELLE TRADIZIONI POPOLARI(Palazzo Montanari)Orario visite: dal martedì al sabato: ore 10-12Sabato pomeriggio. Ore 16.30-19.30 - da settembre 15.30-18.30Festivi: ore 16.30-19.30-da settembre: 15.30-18.30In occasione del mercatino (25/7,16/8,29/8): anche ore 21.15-23Altri giorni ed orari: previo prenotazione: 0732-956218/9561 - 338.4033204Il Museo, il cui edificio è stato completamente ristrutturato dopo i danniarrecati dal sisma del 1997, è stato allestito secondo moderni criteri scien-tifici. Gli ambienti, “ricostruiti” secondo tipici modelli abitativi del mondorurale marchigiano, descrivono, attraverso gli oggetti e gli arredi una real-tà fatta di cose semplici, pratiche, essenziali, ma certamente autentiche,come il duro lavoro e la quotidiana fatica di un’epoca ormai lontana. IlMuseo è articolato in 6 sezioni. Al piano terra sono ubicate le prime 4sezioni: 1) Lavorazione della terra (aratura e semina); 2) Lavorazione deiprodotti (mietitura e trebbiatura); 3) Lavorazioni domestiche (filatura, tessi-tura); 4) Mezzi di trasporto (birocci, carri). Nel piano seminterrato sono ubi-cate le due sezioni che ricostruiscono, tramite gli arredi e gli oggetti del-l’epoca, l’atmosfera che si respirava sia nella casa contadina che nelle bot-teghe degli artigiani; 5) Ambienti domestici (forno, cantina, dispensa,camere, cucina); 6) La vorazioni artigiane (tornitore, falegname, arrotino,boscaiolo, ciabattino, bottaio, fabbro, maniscalco, muratore, cocciaro, cor-daro, apicoltore).

CIVICA RACCOLTA D’ARTE E INCISORI MARCHIGIANI(Palazzo Oliva,Piazza Matteotti)Orario visite: dal martedì al sabato: ore 10-12Sabato pomeriggio. Ore 16.30-19.30 - da settembre 15.30-18.30Festivi: ore 16.30-19.30-da settembre: 15.30-18.30In occasione del mercatino (25/7,16/8,29/8): anche ore 21.15-23Altri giorni ed orari: previo prenotazione: 0732-956218/9561 - 338.4033204

La “Civica Raccolta d’Arte” comprende 29 pregevoli opere che vanno dalXV al XVIII secolo. Tra queste, tre tavole appartenenti a Pietro Paolo Agabiti(1470-1540), eccellente pittore, architetto e ceramista e tre tele di GiovanBattista Salvi (1609-1685), il grande pittore universalmente conosciutocome “il Sassoferrato”. La raccolta “Incisori marchigiani”, trasferita alComune dai coniugi Mirella e Franco Pagliarini, comprende invece oltre 400grafiche (tra cui 17 disegni), realizzate da 210 artisti marchigiani.Opere chevanno dal 1550 ai giorni nostri.

RASSEGNA INTERNAZIONALE D’ARTE “G.B.SALVI”Palazzo ex Pretura, Via GaribaldiOrario visite: dal 18 luglio al 30 agosto, tutti i giorni dalle ore 17 alle 21.

MUSEO DELLA MINIERA DI ZOLFO(Loc. Cabernardi, a km.10 da Sasso ferrato)Orario visite: Sabato e domenica: ore 15-19. –Prenotazione, anche altrigiorni, tel. 0732-975241, 975025,333-3239363,0732-956218.Il Museo raccoglie in 5 ampie sale e in un lungo corridoio, documenti, foto-grafie, attrezzi da lavoro dell’ex Miniera di Zolfo di Cabernardi. Ottantaanni di attività industriale a cavallo tra gli ultimi anni dell’800 e la metà delsecolo scorso. La ricca documentazione presenta, in una sezione, la vita delpaese e di quello che fu il più grande ed esteso centro minerario solfiferod’Europa.

Abbazia di S. Croce degli AttiOrario visite:Luglio-Agosto: sabato e festivi dalle ore 15 alle ore 19 oppure pre-avviso al n. 333-4211899 o 0732-9375 anche per il restante periodo dell’anno.Costruita nel sec.XII con materiali provenienti dalla vicina città romana diSentinum e recentemente riaperta al pubblico. Al suo interno è custoditoun polittico di Antonio da Pesaro, una tavola di P.P.Agabiti e numerosi affre-schi del sec. XIV.

Chiesa di San FrancescoVisite e prenotazioni: tel. 0732.9375 - 338.4033204Costruzione del 1245 di stile tardo romano o romano-gotico. Conservadipinti del Ramazzani e del Guerrieri. Notevole un Crocifisso del 1300 discuola riminese e cicli di affreschi grotteschi di scuola umbro-marchigiana.

Monastero e Chiesa di S. ChiaraVisite e prenotazioni: ore 9.00-11.30/15.30-17.00. Tel. 0732.9375Costruito nel XIII sec., all’interno ospita opere d’arte di notevole pregio:una Natività attribuita ad Antonio da Pesaro, un affresco di Scuola Umbra edue tra le più belle Madonne del Salvi; inoltre, una Annunciazione del Salvi.

Chiesa di San PietroVisite e prenotazioni: tel. 0732.9375 - 338.4033204Chiesa sorta con il primitivo castello feudale intorno al 1200. Acquistògrande importanza a partire dal 1580 quando il Vescovo di Nocera diedealla Parrocchia di San Pietro il titolo di Collegiata. Rovinò nel 1688, ma nel1717 fu ricostruita e notevolmente ampliata così come si conserva tutt’ora.Vi sono conservati anche altri interessanti dipinti.

Rocca di AlbornozMassiccia costruzione militare risalente al XIV sec. Costruita per ordine delCardinale Egidio Albornoz nel 1365, fu un efficiente presidio difensivo.

RIONE BORGO E DINTORNI:S. Maria del Ponte del Piano (Sec.XIV)S.Teresa d’Avila (1600) in stile neoclassicoSantuario della Madonna del Cerro (circa 10 Km. dal capoluogo)Chiesa di San Lorenzo Martire a Col del lanoce (a 5 km dal capoluogo).Conserva lo stupendo Trittico di Matteo da Gualdo del XV secolo.

Sassoferrato: da visitare

Pro Sassoferrato - Piazza Caballini, 1

Tel.: 0732.96504 - [email protected]

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SassoferratoPubblicazione a cura dell’Associazione

“Sassoferratesi nel mondo”N°4 - Luglio 2010 mia

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