Schopenhauer e Giordano Bruno

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    son”, uomini che non sono tali, e la stessa cosa diGiordano Bruno, con queste parole: “quanta dferenza sia di contrattare e ritrovarsi tra gli uomni, e tra color, che son fatti ad imagine e similitudne di quelli”». La predilezione del filosofo di Dazica per il Nolano nasce, tuttavia, da precise analgie concettuali, rintracciabili addirittura nella tefondamentale della sua speculazione: l’affermzione del primato della volontà, «solo ens realismum et primarium e solo elemento metafisic

    SCHOPENHAUERE GIORDANO BRUNO

     Le affinità elettive di due grandi pensatori 

    L’

    ammirazione di Arthur Schopenhauerper Giordano Bruno è nota a tutti, ancheperché egli non perde occasione, nelle sue

    opere, per esternarla. Sorprende, perciò, che que-sto legame, molto più di un semplice sentimentodi rispetto intellettuale, non sia stato finora svisce-rato con la dovuta attenzione e profondità, ancheda interpreti bruniani di formazione germanistica.Per lo più si è badato a evidenziarne le consonanzeorientali o alcuni atteggiamenti caratteriali che liaccomunano, come il disprezzo del volgo e la ten-denza a distinguersi dalla massa. Ne sono un chia-ro esempio le pagine in cui Schopenhauer si sca-glia contro gli uomini ignobili: «i facchini nati del-la vita: i loro piaceri sono tutti sensuali, non hannosensibilità per qualsiasi altro piacere. Bisogna par-lar con loro per affari, altrimenti evitarli. Star conloro è degradarsi, un vero e proprio involgarirsi. Iloro discorsi sono quelli che Giordano Bruno (nel-la conclusione della Cena delle ceneri ) definisce:“vili, ignobili, barbare e indegne conversazioni”, eche egli si loda di evitare». In un’altra pagina ricor-da che «per questo Baltasar Gracian li definisce

    molto giustamente come “hombres que no lo

    Sul Nolano

     Nella pag ina accanto: Ludw ig Sig ismund Ruhl (1794-1887),

     Ri tratto d i  Arthur Schopenhauer (1815), Francoforte,

     Arch i v io Schopenhauer.

     A destra: Giordano Bruno in una incisione del XIX secolo

    GUIDO DEL GIUDICE

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    mentre l’intelletto è mera apparenza». Egli l’an-nuncia con toni entusiastici: «Io sono stato il pri-mo a mettere in luce questa profonda verità rima-sta a lungo nascosta, l’umanità l’ha imparata da me,e una volta che l’avrà compresa e assimilata, non ladimenticherà più. Eppure il mio merito non verràriconosciuto prima che di me non sia rimasto piùun solo granello di polvere, e questo mi autorizza apensare ciò che penso della razza bipede». In que-sto egli si mostra “bruniano” anche per l’orgoglio

    intellettuale con cui rivendica le proprie conquistefilosofiche. Sembra di sentire echeggiare le esalta-zioni cosmiche del Nolano: «Or ecco quello ch’ha

     varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle,trapassati gli margini del mondo, fatte svanir lefantastiche muraglia de le prime, ottave, none, de-

    cime, et altre che vi s’avesser potute aggiongersfere per relazione de vani matematici e cieco vededi filosofi volgari».

    Nell’esposizione della sua teoria, numerossono i passaggi in cui il pensatore tedesco appar

    ispirato dalla lettura di Bruno, che nel De la causa principio et uno aveva sostenuto il dualismo di forme materia, una materia che in Dio è la medesima cosa della sostanza. Schopenhauer, che abbatte la so

     vrastruttura di un Dio, assoluto o comunicato chsia, immagina panteisticamente una materia permeata di volontà, e identifica la sostanza quale unnon in Dio, ma nella volontà stessa. L’intenziondichiarata di voler tradurre in tedesco il De la causla dice lunga sull’influenza che quest’opera esercitsul suo pensiero. Così si esprime, in proposito, ne Imondo come volontà e rappresentazione: «Chi leggquesto suo scritto capitale, come pure gli altri suoscritti italiani, prima quasi introvabili, ora accessibili a ognuno in una edizione tedesca, troverà come che, fra tutti i filosofi, egli soltanto si avvicina icerto qual modo a Platone per il dono robusto dellforza e disposizione poetica accanto a quella filosofica, che egli dimostra in modo particolare anchnella forma drammatica. Si pensi a quell’essere delicato, spirituale e pensoso, quale ci appare in questo scritto, nelle mani di rozzi preti rabbiosi quasuoi giudici e carnefici, e si sia grati al tempo che addusse un secolo più rischiarato e più mite, così chla posterità, la cui maledizione doveva colpire quefanatici diabolici, è già l’attualità». L’edizione dellOpere italiane, cui fa riferimento, è quella curata d

     Adolf Wagner, zio del compositore, pubblicata Lipsia nel 1830 (e subito esaurita), che ebbe semprun posto di riguardo sulla sua scrivania.

     Ma egli conosceva bene anche le opere latin

    di Bruno, che in un passo della Lampas triginta statuarum finora sfuggito ai più, sembra anticipare, imaniera straordinaria, la tesi schopenhaueriana«La volontà esiste infatti in tutte le cose, qualun

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    que esse siano e qualsiasi proprietà manifestino.Cosa dunque potrebbe manifestare meno esseredella materia quale viene immaginata, quella ma-

    teria che chiamano “quasi nulla”? Eppure nellamateria stessa esiste la volontà, anzi, addiritturauna volontà insaziabile. Per questo tutti gli entiche conseguono dalla materia, come hanno unaforma, così hanno anche una volontà, per cui tuttele cose con il loro moto vogliono essere e conser-

     varsi: ciò si vede e si riscontra perfino nelle parti-celle minime di acqua e di terra, le quali fuggono leforze contrarie, restano unite in se stesse e si con-traggono, allo stesso modo in cui le pagliuzze, i fu-scelli e le pellicine cercano di fuggire l’incalzaredel fuoco, si contraggono e saltano via». Questodesiderio delle cose particolari di conservarsi nellaloro forma attuale, è quello che il Nolano, nel Devinculis in genere, chiama philautia . L’amore di sédiscende proprio dalla mancata distinzione o dal-l’errata identificazione dell’essere sempre conquello che siamo adesso in questo momento, ed èda questo equivoco che nasce la paura della morte,perché: «massime desiderano vivere quegli uomi-ni e massime temeno il morire coloro che non hanlume di filosofia vera, e non apprendono altro esse-re ch’il presente, e pensano che non possa succede-re altro che appartenga ad essi» (De l’infinito uni-verso e mondi ). Il principium individuationis ci tienecostantemente nell’illusione della Maya, intesa co-me ‘mondo dei corpi’, finché la morte non ce ne li-bera strappando il velo dell’esistenza individuale,ma il vero filosofo non ha bisogno di aspettare lamorte per rendersi conto del suo esistere in tutti gliesseri. Schopenhauer avverte tanto distintamente

    questa sintonia che, dopo aver affermato che l’uo-mo pervenuto alla cognizione filosofica dell’essen-za del mondo, è in grado di superare i terrori dellamorte «considerandola un’apparenza mendace,un fantasma impotente, che può far paura ai debo-li, ma che nessun potere ha su colui che sa di essere

    egli stesso quella volontà di cui tutto il mondo è ogettivazione o immagine riflessa», aggiunge questa posizione potrebbe essere condotto ancdalla filosofia di Bruno».

    Se comune è l’indifferenza di fronte al timodella morte, diverso è il loro atteggiamento nconfronti della vita. Schopenhauer identifica‘santità’ nella negazione della volontà di vivere,cui, per sua stessa ammissione, non v’è tracciaBruno, la cui risposta consiste, invece, nel ‘furor

    Quello del santo è un annullamento, quello del frioso un «disquarto», il sacrificio eroico della prpria individualità per «l’apprension del vero».

     vicenda, tutta intellettuale, del cacciatore Atteoil quale, giunto a contemplare la «Diana ignud(la Maya svelata), si lascia sbranare dai veltri d

    Francisco Goya (1746-1828), Capr i chos (1799)

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    l’apparenza, non è altro che la negazione del princi- pium individuationis , in definitiva della volontà di vivere in forma individuale, per rifluire nella tota-lità dell’essere, di cui ha colto l’unità e la sostanzia-le identità. Dall’osservazione delle forme degli es-seri e del loro comportamento, dalla decifrazionedi queste signatura rerum, che sono tante variazioni

    di un unico tema, il filosofo riconosce i molteplicigradi e modalità di manifestarsi della volontà come

     vita, e recita con loro il «Tat tvam asi», il «Quellosei tu», della dottrina induista. L’espressione figu-rata di questa intuizione è la trasmigrazione delleanime, considerata, non a caso, da entrambi i filo-

    sofi il non plus ultra della rappresentazione miticaNon sorprende, perciò, che Schopenhauer ritenesse Giordano Bruno un’anima di brahmano, incarnata, per sua espiazione, in un corpo europeo, lcui vera patria spirituale erano le rive del sacrGange. Ai suoi occhi, il coraggio con cui andò incontro alla morte lo eleva tra i grandi spiriti di ogn

    tempo: «Alla medesima altezza sta chiunque dbuon animo affronti dolore e morte per l’affermazione di ciò che all’umanità intera giova ed a buodiritto spetta, ossia per verità generali e importanti, e per l’estirpazione di grossi errori. Così perivSocrate, così Giordano Bruno, così trovarono tan

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    Frontespizio dell’edizione delle Opere di Giordano Bruno curata da Adolf Wagner (Weidmann, Lipsia, 1830)

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    ti eroi della verità la morte sul rogo, tra le mani deipreti».

    L’avversione nei confronti dei pedanti e dei

    preti, simboli dell’intolleranza dettata da differen-ze dottrinali e religiose, è un altro sentimento bru-

    niano profondamente condiviso da Scho-penhauer: «Forse la predicazione della tolleranza,anzi, del delicato riguardo, si addice a colui che èl’intolleranza e la crudeltà in persona? Invoco co-me testimoni le condanne degli eretici e le inquisi-zioni, le guerre di religione e le crociate, il calice di

    Socrate, i roghi di Bruno e di Vanini!». Fu talmete intima e costante questa immedesimazione assumere, in un episodio confidato nei Colloquiacontorni di una vera e propria regressione temprale: «Disse che una volta era andato a spasso ngiardino di Boboli a Firenze tra due domenicanifrancescani), pensando tra sé che, se fosse vissu

    duecento anni prima, si sarebbe magari trovatomezzo a loro, perfino con la tonaca addosso (e cil cappello di carta in testa), ma sulla via del rogDisse che pensava a Giordano Bruno. Lo disse cquell’emozione estatica a lui propria, che conossolo chi lo ha visto».

    Frontespizio della pr ima edizione de Il mondo come volontà e rappresentazi one di Arthur Schopenhauer (Lipsia, 1819)