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Scienza e Realismo

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Page 1: Scienza e Realismo
Page 2: Scienza e Realismo

~_ Ludovico Geymomzzf

Scienza e realismo

Prima edizione: novembre 1977Copyrzgbt by

©Giangiacomo Feltrinelli Editore Q; _ _ _ _

Milano Feltrmelll Ed1tore M11ano

Page 3: Scienza e Realismo

Avvertenza

1. Il presente volume non intende essere un’opera di filosofiadella scienza nel senso tecnico oggi posseduto da questo termine,ma un’opera di filosofia tout court, che ovviamente prende nellapid seria considerazione gli sviluppi della scienza moderna e i dibat-titi da essi generati, in quanto non avrebhe senso indagare il pro-blema della conoscenza o quello della realta senza tenere in serioconto i pid significativi esiti della ricerca scientifica.

Il titolo stesso del volume e, del resto, chiaramente indicati-vo al riguardo, poiché il termine “realismo” fa senza dubbioparte del dizionario filosofico tradizionale; denota infatti tuttequelle concezioni filosofiche le quali ammettono -- in una formao nell’altra - l’esistenza di un qualcosa, la realta appunto, che eirriducibile ai nostri atti conoscitivi pur venendo da essi rivelata.

Come e noto, Lenin dichiaro esplicitamente in Materialismoed empiriocriticismo (cap. primo, par. secondo) di preferire, pertali concezioni, il nome di “materialismo” anziché quello di “rea-lismo,” “tenendo conto che la parola ‘realisrno’ e stata logoratadai positivisti e da altri confusionari oscillanti fra il materialismoe l’idealismo.” Nella presente situazione culturale a me pare inve-ce pifl opportuno ritornare al termine “realismo” sia perché i po-sitivisti odierni, o neo-positivisti, hanno cessato da tempo di far-ne uso, sia perché viceversa si e creata molta confusione propriosul termine “materialismo/’ spesso usato dai suoi avversari perindicare concezioni filosofiche ingenue e dogmatiche. E chiarodel resto che non ha molta importanza fare ricorso a un terrnineo a11’a1tro; il punto essenziale e di quale significato sapremo riem-pirlo.

J Comunque, a parte questa divergenza terminologica, il letto-re constatera agevolmente che in tutto il volume sono assai fre-

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/lm/vftcnza

quenti i riferimenti a Lenin e cosi pure a Mao Tse-rung. Con cionon intendo proclamarmi fedele seguace o continuatore di questidue grandi autori; e possibile che gli specialisti riscontrino lacu-ne o inesattezze nel mio modo di interpretarli. La cosa su cuimi sembra doveroso insistere e questa: ritengo scandaloso che,specie in Italia, si continui a prescindere dalle tesi sostenute daLenin o da Mao Tse-tung intorno ai problemi della conoscenza edella realta, solo perché sono espresse in forma notevolmentediversa da quella della nostra tradizione filosofica. Personalmen-te debbo invece confessare di essermi valso in larga misura diesse, proprio al fine di tentare una elaborazione, a mio giudi-zio verarnente critica e moderna, degli anzidetti problemi filo-sofici. Utilizzare un pensatore della statura di Lenin o di MaoTse-tung, non significa né limitarsi a ripeterlo né preoccuparsi con-tinuamente di precisare fino a che punto si sia rimasti fedeli aisuoi insegnamenti.

2. Un’analoga osservazione desidero ripetere per cio che ri-guarda i1 mio dehito nei confronti del neo-positivismo in genera-le, e in particolare di Moritz Schlick, le cui lezioni (che ehbi lafortuna di frequentare a Vienna nel lontano 1934) segnarono unavera svolta nel mio sviluppo culturale.

Anche se non sono mai stato a rigore un neo-positivista, puravendo per primo introdotto in Italia la conoscenza di questo im-portante indirizzo filosofico, e certo che ne suhii in misura rimar-chevole l’influenza, soprattutto per quanto riguarda Pesigenza disottoporre ad una analisi puntigliosa il significato dei concettiscientifici e di pervenire, in seguito ad essa, ad eliminare alcuniproblemi “mal posti” che assillavano da tempo filosofi ed episte-mologi.

Cio che pifi ha contribuito ad impedirmi di aderire al neo-po-sitivismo, é stata fin dal 1934-35 l’impressione che esso non te-nesse sufficientemente conto della effettiva realta della ricercascientifica: ricerca che e sempre riuscita, in passato come attual-mente, ad arricchire la nostra conoscenza del mondo, pur non ri-spettando (o rispettando solo in parte) quei criteri di scientificitache le indagini logiche e metodologiche dei neo-positivisti veni-vano mettendo in luce, in parecchi casi con indubbi risultati. Imiei successivi studi di storia della filosofia e della scienza hannoconfermato tale impressione, approfondendo la distanza che miseparava dal neo-positivismo e avvicinandomi ad altre posizioni(in particolare a quella di Marx, di Engels e di Lenin).

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Avvertenzai

Quanto ora detto non ha diminuito pero la mia ammirazione per,lo sforzo compiuto dai neo-positivisti onde chiarire il senso dialcuni gravissimi problemi, attraverso un’analisi precisa del lin-guaggio scientifico, una puntualizzazione rigorosa di cio che vi édi empirico o di non empirico negli enunciati della fisica, dellahiologia, ecc., e soprattutto attraverso una riflessione critica spre-giudicata e puntigliosa sul cosi detto “prohlema dei fondamenti”della matematica e in generale sui rapporti fra logica e matemati~ca (in questo campo fu per me determinante la frequentazione diun corso privato, tenuto a Vienna da Friedrich Waismann).

Continuo pertanto ad essere convinto che il neo-positivismoci abhia lasciato una eredita davvero preziosa, di cui dehbonotenere conto anche gli avversari di tale indirizzo. Il lettore delpresente volume giudichera se io ho saputo in qualche misura uti-lizzarla, senza cadere per questo in contraddizione con le linee ge-nerali del realismo (o materialismo dialettico) che guidano tuttala mia trattazione.

3. Dopo quanto ho accennato nelle righe precedenti risultachiaro che parecchi temi, da me gradualrnente elahorati in decen-ni di lavoro, hanno trovato un certo conforto nelle interessan-tissime concezioni sostenute in questi -ultimi tempi da autorevolipensatori che potremmo qualificare - malgrado le loro profondedifferenze -- con l’unica denominazione, per altro assai vaga, di“post-neo-positivisti”; intendo riferimi a Gaston Bachelard, a Wil-lard Van Orman Quine, a Karl Popper, a Imre Lakatos, per non ci-tare che pochi nomi.

Cio che mi fa sentire particolarmente vicino alle loro posizio-ni, E: l’importanza che essi attrihuiscono alla storia della scienza,considerata come oggetto primario delle ricerche di filosofia del-la scienza; e, in altri termini, la loro convinzione che la scienzavada studiata nella sua dinarnicita, e non solo in base alla suastruttura logica attuale o alla struttura logica che noi vorremmoimporle per adeguarla a un ideale di rigore come quello elahoratodalle sottili indagini dei neo-positivisti.

Il lettore del presente volume constatera per altro, senza dif-ficolta, che -- accanto al punto di assenso ora accennato - esistonoparecchi punti sui quali dissento dalle posizioni specifiche oradell’uno ora dell’altro degli autori testé menzionati. Cio che misepara da essi e soprattutto una certa impostazione (vorrei dire“idealistica”), che mi semhra di riscontrare nei loro pur mirabilisforzi di costruire dei hen precisi modelli entro cui inquadrare

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/I v1/eric nza

I mlcno svrluppo dr tutte le rrcerche sc1ent1f1che Io ntengo l11V€C€che questo sv1luppo sra meglro mquadrabrle 1n una concezronedralcttlca della stor1a della screnza, e della St0I1a III generalequale e stata elaborata dall 1nd1r1zzo 111arX1sta Ovvramente c1o comportera un esame del s1g111f1cato attr1bu1b1le alla dralettrcaendo propr1o r1fer1rm1 alla d aletuca 111ater1al1st1ca c ecost1tu1sce forse 1l punto ove e pru d1ff1c1le ragglungere un 1111n1mo dr con1prens1o11e rec1proca fra stud1os1 dr or1e11tan1ento 1dealrsta e stud1os1 dr orlentamento n1ater1al1staUno degh scopr pr1nc1pal1 che 1111 sono proposto, e proprroquello dr contrrbulre a questa co111p1:ens1o11e recrproca, che cost1tu1sce a 1'1'11O g1ud1z1o una co11d1z1o11e 111el11111nab1le per aprrrenuove e feconde prospettrve a ser1e 111dag1n1 frlosofrche sur due anz1dett1 prohlemr della conoscenza e della realta

4 M1 sono permesso dr aggrungere, 1n Appendzce, un art1colodal tltolo Sul concezfio dz cfzsz della mzzomzlzta _vczentzfzca grapubhhcato nel 1976 dalla r1v1sta Sc1ent1a (Anno LXIX 1975fascrc V VI VII VIII), che conteneva 111 gerrne alcune 1deequr a111p1a111e11te sv1luppate Lho fatto, perche ho avuto 111odo drconstatare dalle 111olt1ss1me r1ch1este dr estratt1 della traduz1o1'1C lnglese, comparsa nel medes1111o fascrcolo della r1v1sta cheCSSO 21V€V21 SUSC1t2ltO LIDO Sl§I`3Oll`(l1I13I`lO lI1'[CI`€SS€presso CUllfOI.`1delle pru varle d1sc1pl111e sc1ent1f1che dr numerosr paesr europe1ed extra europer R1ngraz1o la s1g11ora Nora Bonettr, drrettore responsalo1le dr Sc1e11t1a per avere acconsenuto alla presente rrpuhhl1caz1o11e dell artrcolo 1n questrone

Sento 111oltre 1l dovere dr r1ngraz1are gh 31'I11Cl che 1111 sono statl larghr d1 sugger1111e11t1 durante gh stud1 che ho rntrapreso 11'1 questr Ultlml ann1 111 pr1n1o luogo Gruho G1orello e S1lvano Taglragarnbe, e POI, Enrrco Bellone, Bernardmo Fantrnr, Anna GuagnmrRoberto Ma1OCCh1, Marco Mondadorr, Fehce Mondella, SandroPetrucc1ol1 Marro Quaranta, Pretro Redondr Marco Santamhrogro, Carlo Tarsrtanr, scusa11do1111 se tra 1 1'I`1Olt1 ne ho d1111e11t1catoqualcunoUn rrngrazramento parucolare alla Um Coplr d1 Mrlano cheha puhhhcato, 1n forma d1 drspense u111vers1tar1e, una prnna stesura del presente volume Essa 1111 ha permesso dr avere una conferma, da nu111eros1 studentr, dellrnteresse suscltato da1 problem1 qu1 d1scuss1, debho a questr stude11t1 parecchl St1I1]Ol1 all appro

fo11d1111ento der term presr 111 cons1deraz1o11eMzlzmo .rettembre 1977

Introduzione

La premessa, che abhramo deciso di anteporre allo svrluppodella vera e proprra trattaz1o11e, ha lo scopo di sp1egar11e l11'1'1pO-staz1o11e generale Essa puo apparire superflua, se sr t1€Il€pre-sente che tale rmpostazrone dovrebbe emergere con chrarezzadalla trattazrone stessa qualora questa risulti hen artrcolata nel-la success1one de1 suor varr caprtoli. Nel caso presente, Rroprroquesta success1one puo tuttavla suscitare qnalche perpless1ta d1-sorrentando 31'1Cl‘1€11 pru henevolo dei lettor1. _ _

R1te111a111o pertanto ut1le dare fin d’ora u11’1dea deglr argo-1'I`1€1'1t1 trattatl, mostrando che lordine con cur S1 susseguono egu1dato da un hen precrso f1lo conduttore. Questo_te11de a dnescop1 prec1pu1 a porre 1n luce la 11ecess1ta dr amplrare coraggro-

ahhandonare ognr r1g1da separazrone fra attivita teoretica e at-t1v1ta prauca S1a luno che laltro non possono ve111re Iagglufltl,a nostro g1ud1z1o, che facendo ricorso metodo d1ale_tt1co, 1lquale v1ene cosr ad assumere una POSIZIOIIC centrale 111 tuttal111dag111e

_ _Per semplrfrcare 1l comprto che ci siamo propoatr, sche1j11at1Z-zeremo 1 tem1 v1a v1a esamrnatr 11'1 dodici punti, r1part1t1 1n se1gruppr corrrspondentr ar ser caprtoli del libro.

I1 Il fatto che 1l pr1111o capitolo sia dedicato alla categoriadella totahta pone l1'1 r1l1evo lrmportanza specialis§1111a che adessa S1 1ntende attr1bu1re Come e ben noto, questa 1111porta11za estata costantemente rrconoscruta dai maggiori rappresentantr delpe11s1ero rnarxrsta, 1n pr1111o luogo da Marzcstesso e_ da Engels,111 segurto da Lenln, da Luckacs, ecc. Ma c1o che _q111 sr lntendesottohneare e che tale categorra occupa una posrzrone centrale

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Introduzione

anche nella scienza, per lo meno quando si tenga conto della for-ma da essa piu recentemente assunta, assai diversa da quella cheaveva fino a qualche tempo addietro. Ed infatti e proprio lapresentazione assiomatica delle teorie scientifiche, cioe la formapiu rigorosa in cui si riesce oggi ad esporle grazie a un largo usodella logica matematica, che fornisce loro il carattere di sistemiunitari, le cui singole proposizioni traggono senso e valore esclu-sivamente dal trovarsi inserite entro una ben determinata teoriaintesa nella sua globalita.

I.2. lfanzidetta categoria della totalita, di cui si e sottolinea-ta l’importanza per la strutturazione moderna delle teorie scien-tifiche, non compie invece -- per lo meno a giudizio dell’autoredel presente volume _ alcuna funzione entro quegli edifici chevengono tradizionalmente qualificati con il titolo di scienze: ma-tematica, fisica, ecc. Nessuno di tali edifici costituisce infatti unsistema unitario rigorosamente assiomatizzabile; sono del restoben note le numerose “intersezioni” di una scienza con l’altra,donde traggono origine sempre nuove scienze, dette appunto “diconfine”: per esempio la fisica-matematica, la bio-fisica, la bio-chimica, ecc. Proprio qui va cercata la ragione del fatto, agevol-mente constatabile, che il problema della classificazione dellescienze, considerato fondamentale in tutto l’Ottocento, ha persooggi pressoché ogni interesse.

I.3. Il problema si pone in termini differenti per il comples-so di tutte le teorie scientifiche, a cui sembra difficile rifiutarsidi riconoscere un certo carattere di totalita (glielo riconosce, peresempio, Quine in modo esplicito). Cio che si agiunge, nel pre-sente volume, e che trattasi di una totalita radicalmente diversada quelle riscontrate nelle singole teorie scientifiche: in primoluogo perché contiene in se stessa il parametro tempo che invecenon E: una componcntc delle teoric scicntifiche (mentre la scienzanel suo complcsso varia da cpoca a epoca, una teoria scientificarigorosfxmentc assiomatizzata non subisce mutamenti interni, po-tcmlo solo vcnirc, a un ccrto punto, abbzmdonata e sostituita danllrc); in sccondo luogo perché lfinsieme, pcrennemente fluido,clcllc lcoric scicnlifichc non puo vcnirc considerato come un edi-licio an sé slzmlc, isoluto dai vari fattori che incidono sul suo afric-(`l\lll\(‘l1l(l (lc innovnzioni della tccnica, i dibattiti metodologici, leslcssc concczioni gclmcrali dcl mondo). Proprio per tenere con-

I?

Introduzione

to di questa composita struttura della totalita delle _teorie scien-tifiche, qui si propone, fin dal primo capitolo, di indicarla colnome di “patrimonio scientifico-tecnico” ove il termine patri-monio” sta a sottolineare che si tratta di tutt’altra cosa che nonun vero e proprio sistema.

II.1. Uno dei punti essenziali, e ovviamente piu discutibill,del volume consiste nella proposta di fare ricorso al metodqdia;lettico per studiare l’anzidetto “patrimonio .SC1Fi1'C1flCO-h€CI11C0-

Di qui la necessita di stabilire anzitutto il significato di questometodo ponendolo a confronto con quello logico-formale; e ap-punto l’argomento del secondo capitolo. I1 problema dei rapportltra logica e dialettica e stato oggetto, ormai da tempo, dl n}1ID€-rose ricerche; nel capitolo in esame se ne tenta_ una soluzione,basata sulla distinzione degli ambiti di applicazione dell una edell’altra. In altri termini: si afferma che la logica formale co-stituisce l’unico metodo applicabile alla deduzione delle conse-guenze che derivano da un determinato gruppo di assiomiz Pefjtanto costituisce l’unico metodo applicabile nella costruzione dlrigorose teorie scientifiche; al metodo dralettico e invece riserva-to lo studio (ove e inapplicabile la logica formale) delle caratte-ristiche per cosi dire “esterne” delle teorie, cioe della loro genesi,dei suggerimenti che esse ricevono dallo suiluppo della tecnica,dalle analisi metodologiche, dalle concezioni filosofiche, ecc. Laconclusione che si ritiene di poterne trarre e laseguente: 0 S1

rinuncia dogmaticamente a studiare le caratteristiche ora accen-nate negandone a priori ogni interesse, o sr accetta di studiarlefacendo ricorso al metodo dialettico.

II.2. Qui sorge pero spontanea la seguente domanda: il me-todo dialettico, che abbiamo presentato come necessario per lostudio del “patrimonio scientifico-tecnico,” _puo ancora consi-derarsi come “razionale” pur essendo irriducibile al metodo lo-gico-formale? La risposta qui difesa e nettamente positiva. ldssarichiede pero un radicale e coraggioso ampliamento della nozionetradizionale di razionalita; come gia si accenno, e proprio questoil primo dei due scopi fondamentali di tutta la nostra trattazione.

J III.1. Il terzo capitolo affronta un argomento Cl§€3 Prim?vista sembra privo di relazioni con quelli discussi ner due_ capi-toli precedenti: il problema del reallsmo. La trattazione dl esso

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viene aperta con un hrevissimo cenno al solipsismo, e con ilfranco riconoscimento che questo paradossale indirizzo filosofi-co non puo venire confutato in base a pure considerazioni teo-retiche. Assai facile e invece dimostrare, alla luce dei risultatidella moderna epistemologia, l’indifendibilita del cosi detto “rea-lismo ingenuo.” La sua sconfitta e stata la conseguenza direttadelle critiche mossegli dal convenzionalismo. Il franco riconosci-mento dei meriti del convenzionalismo e, in certo senso, un fattonuovo entro l’ambito delle opere che _ come la presente _ in-tendono difendere e sviluppare le tesi del materialismo dialetti-co. Dopo avere riconosciuto i meriti del convenzionalismo, qui sene denunciano anche i limiti; o meglio si denuncia l’errore dichi pretende di prendere le mosse dal convenzionalismo per con-cludere ad un generale relativismo. ll fatto e che per uscire dalledifficolta riscontrabili vuoi nel solipsismo vuoi nel relativismo,occorre fare ricorso apertamente al criterio della prassi. E ciorichiede che si ahbandoni la tradizionale rigida separazione fraattivita teoretica e attivita pratica; e questo il secondo dei duescopi che abbiamo poco sopra qualificato come fondamentali pertutta la nostra trattazione.

IlI.2. Il complemento indispensabile della difesa qui prospet-tata del realismo _ realismo “dialettico,” hen diverso da quello“ingenuo” sconfitto dal convenzionalismo _ e costituito dalprocesso di approfondimento che trova innumerevoli esemplifica-zioni nella ricerca scientifica, considerata non in astratto ma nel-la concreta effettualita della storia della scienza. La concezionedella scienza come un insieme di successivi approfondimenti Z:

cio che ci conduce, infine, dalla visione dialettica della conoscen-za ad una visione dialettica della stessa realta (illimitatamenteapprofondibile dalle conoscenze scientifiche).

IV. Il problema “filosofico” della storia della scienza e l’og-getto specifico del quarto capitolo, che espone schematicamentele interpretazioni sia tradizionali sia moderne della crescita delleconoscenze scientifiche. L’esame delle piu recenti interpretazio-ni, in particolare di quella di Lakatos, solleva il seguente pro-blema: quando parliamo di “ricostruzione razionale” dello svi-luppo della scienza durante un certo periodo storico, intendiamoche la razionalita in parola sia intrinseca allo sviluppo medesimoe che noi cerchiamo di afferrarla in modo via via pili appros-

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simato, oppure che essa gli venga sovrapposta dall’esterno, adopera dello storico? E chiaro che il primo corno del dilemma con-duce ad una concezione realistica della razionalita mentre il se-condo ad una concezione idealistica. Ebhene, prescindendo dal-l’opinione di Lakatos al riguardo, per altro alquanto oscillante,cio che qui si sostiene e che: per poter accogliere l’interpreta-zione realistica, occorre intendere la razionalita nel senso am-pliato di cui piu sopra si e fatto cenno, ossia come razionalita dia-lettica. Emerge cosi un nuovo legame fra realismo e dialettica,sistematicamente ignorato dagli avversari del materialismo dia-lettico.

V.1. Un ulteriore prohlema riguarda il concetto di natura, esa-minato nel quinto capitolo. Qui il punto fondamentale e di capirele difficolta a cui va incontro la concezione classica (meccanicistica);esse riguardano il seguente problema: in che modo possiamo conci-liare il carattere deterministico della natura con l’intervento del-l’uomo per modificarla? E un problema tanto pifi grave, se si pensache l’azione dell’uomo per modificare la natura puo risultare effi-cace (secondo il famoso aforisma di Francesco Bacone) solo se com-piuta “obbedendo alle leggi di natura.” Ma, se ohhediamo a questeleggi, come potremo modificarne i risultati? Ancora una Volta ilprohlema sembra poter venire risolto solo con un appello alla dialet-tica, cioe sostituendo al concetto classico di natura un’interpreta-zione dialettica di essa.

V.2. Questa applicazione della dialettica alla natura permetteinfine _ secondo la tesi qui sostenuta _ di reimpostare in termi-ni nuovi il problema dei rapporti fra scienza e tecnica, nonché frascienze specialistiche e concezione generale del mondo. Tale reimpo-stazione ripropone l’esigenza, gia piu volte segnalata, di ampliarearditamente la nozione tradizionale di razionalita. E proprio sosti-tuendo alla vecchia nozione di razionalita uifinterpretazione dialet-tica di essa, che noi riusciamo a comprendere il sostanziale accordodi due tesi spesso contrapposte l’una all’altra: la tesi del valoreobiettivo delle conoscenze scientifiche e quella della non-neutralitadella scienza.

VI.1. l./ultimo capitolo affronta un gruppo di problemi, che aprima vista parrehbero non rientrare nel filo generale che ha guida-to tutta la precedente esposizione: trattasi infatti di prohlemi che

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concernono la condotta umana soprattutto per cio che riguarda i rap-porti fra individui e collettivita. In realta, l’aspetto assai limitatodi tali problemi che qui viene discusso presenta forti analogie contaluni risultati ottenuti nei capitoli precedenti. Esiste ad esempiouna indubbia analogia fra i sistemi giuridici e le teorie scientifiche;analogia che emerge con particolare chiarezza quando gli uni e lealtre vengano esposti in forma rigorosamente assiomatizzata (cosache oggi riusciamo per certo a fare, ricorrendo a tecniche logicheadeguate). Sorgera quindi spontanea la domanda se esista nel nuovocampo preso in considerazione qualcosa di analogo a cio che -nell’ambito delle scienze _ abbiamo chiamato “patrimonio scienti-fico-tecnico”; la risposta che qui viene avanzata E: positiva: secondoessa, l’analogo dell’anzidetto patrimonio sarebbe costituito dal “pa-trimonio delle istituzioni civili.” Come gia il “patrimonio scientifi-co-tecnico,” cosi pure il “patrimonio delle istituzioni civili” sarebbeestremamente composito e avrebbe una natura essenzialmente dina-mica. Se ne conclude che esso pure, come il precedente, richiede-rebbe di venire studiato facendo ricorso al metodo dialettico, il qualesi rivelerebbe anche qui, come gia nell’altro caso, di grande fecondita.

VI.2, La seconda parte del predetto capitolo (il sesto, appunto)si propone di accennare ad alcune nuove visioni della “dinamicadelle istituzioni civili,” che sembrano proprio suggerite dall’applica-zione del metodo dialettico al patrimonio di tali istituzioni. Questaapplicazione pone anzitutto in luce l’importanza generale della con-traddizione, che si presenta come un fattore primario dell’anzidettadinamica. Pone inoltre in rilievo la necessita di distinguere -- nel-l’ambito delle contraddizioni che affiorano nel patrimonio delle isti-tuzioni civili -- quella principaleda quelle secondarie (nel senso at-tribuito a questi termini da Mao Tse-rung): distinzione che permet-terehbe, secondo la tesi sostenuta nel capitolo in esame, di compren-dere le differenze di fondo esistenti fra “rivolte” e “rivoluzioni,”enucleando pero il significato razionale delle stesse rivolte quandole si inquadri ne]l’intero processo rivoluzionario di cui fanno parte.L’anzidetta applicazione del metodo dialettico permette infine dichiarire i complessi rapporti fra inclividui e partiti (intesi questi ul-timi nel senso moderno del termine), fra partiti e cultura, fra par-titi e masse, nonché di porre in luce la funzione fondamentale chespetta alle masse nel rinnovamento dei partiti e della stessa societa.

Si tratta, come gia detto, di argornenti appena accennati, e per

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Introduzione

di phi in forma soltanto ipotetica. Ma e parso di un certo interessefare parola anche di essi, sia per confermare i nessi 1nsc1nd1b1l1 frateoria e prassi, sia per sottolineare l’attualita di una ricerca, moder-namente impostata, diretta ai classici problemi filosof1c1 della co-noscenza e della realta.

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Cupitolo prima

Sulla categoria della tozfalitci

1. Premessa

Non sono pochi gli studiosi di filosofia della scienza che hannoritenuto di dover espungere dalla scienza la categoria della totalita,muovendole l’accusa di essere stata adoperata soprattutto dai roman-tici, i quali confondevano spesso - nelle loro indagini sulla natu-ra e sull’uon1o - il sentimento e la fantasia, con la ragione. Noicercheremo invece di provare, nel secondo, terzo e quarto paragra-fo, che essa cornpie un ruolo assai importante proprio nelle teoriescientifiche, allorché queste vengano esposte nella forma critica pilimoderna. Sulla base di questo risultato affronteremo poi, nel quin-to fparagrafo, un problema pin generale: il problema, cioe, se lacategoria in esame possa venire applicata, e in quale significato, an-che all’edificio complessivo della scienza (nozione, quest’ultima, cherichiedera di venire analizzata e precisata con notevole cautela per-ché sara al centro di numerose considerazioni svolte nei capitolisuccessivi).

Come e noto, nella tavola delle categorie dell’intelletto, espostada Kant nella Critical della Region pum (Amzlitica tmscendenzfale),la “totalita” trova posto entro il gruppo della quantita, quale sintesidelle due categorie dell’unita e della pluralita: la totalita -- vileggiamo - altro non as che “la molteplicita considerata come unita. ”

Cosi intesa, essa puo _ sempre secondo Kant - dare luogo adautentiche conoscenze del mondo fenomenico, come tutte le altrecategorie. Ma le cose cambiano quando la si interpreti come “tota-lita assoluta,” cioe come unita di una molteplicita incondizionatafe per cio stesso non esattamente definita. Cio accade per l’appuntoquando la si applica alle quattro “idee cosmologiche,” ove il ter-mine stesso “cosmologiche” sta ad indicare “la totalita dell’insie-

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Scienza e realismo

me delle cose esistenti.” La differenza fra le categorie e le ideeviene cosi puntualizzata dal nostro autore: le idee non sono altroche “Categorie sospinte fino all’incondizionato”; incondizionatoche rinvia alla “totalita assoluta delle, condizioni di un condizio-nato dato.” Ma, come pure e noto, l’idea stessa di incondizionatoci conduce _ sempre secondo Kant - alle famose antinomie,costituenti uno dei temi fondamentali della Dialezftica mzscen-dentale. Proprio l’esistenza di queste antinomie dimostra l’inac-cettahilita della nozione di incondizionato, e pertanto di quella di“totalita assoluta” che sta alla sua base.

L’argomentazione di Kant qui schematizzata E: stata consideratacome la giustificazione teorica generale dell’atteggiamento, a cuisi as fatto cenno all’inizio del paragrafo, di ripulsa della categoriadella totalita, cioe della sua condanna quale categoria che nonpuo venire legittimamente usata dalla scienza. Come pure si as

accennato, questa condanna non e-pero stata accolta dai pensatoridell’epoca romantica. Per esempio Hegel ne fa un uso larhis-simo, attribuendo per l’appunto alla filosofia il compito di pen-sare lo sviluppo dello spirito oggettivo “nella sua totalita.”Egli giunge a scrivere che la “totalita oggettiva” costituisce il“presupposto implicito per l’immediatezza finita del soggetto sin-golo” (Efzciclopeclia delle scienza filosofic/oe in compendio).

A differenza dei filosofi propriamente romantici, come Schelling,e degli scienziati da essi influenzati, come per esempio il fisicoOersted, Hegel non fa appello all’intuizione o al sentimento perraggiungere l’anzidetta totalita. Egli ritiene che questa possa ve-nire colta attraverso un procedimento razionale (non riducibilepero alla logica formale o alla matematica): trattasi del procedi-mento ciialetzfico, che rappresenterebbe la forma piu elevata dirazionalita.

Proprio contro la dialettica sono state pero sollevate le piusevere riserve da parte di pressoché tutti i filosofi interessati al-la scienza; essi hanno accusato la dialettica di non costituire unmetodo seriamente razionale. E, cio facendo, si sono presentaticome gli eredi di Kant, ossia come i soli razionalisti seri, comecoloro che sanno respingere coerentemente dalla scienza ogniriferimento alla categoria (spuria, ingannatrice) della totalita.

Come gia si as accennato, noi cercheremo invece di provareche questa categoria (liherata dall’alone mistico di cui la cir-condavano i romantici) compie una funzione di notevolissimorilievo all’interno stesso del pensiero scientifico. E proprio per

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Sulla categoria della totalitzi

cio non e lecito, a nostro giudizio, condannare tl priori il tentativodi farne un uso controllato anche ne1l’elaboraz1one di una seriaconcezione filosofica.

2. Tomlin? e prolmbilita

A conferma di quanto detto alla fine del paragrafo preceden-te, cercheremo anzitutto di illustrate la funzione compiuta _dallacategoria della totalita in connessione con una delle _nozioni chepiu caratterizzano la scienza moderna, cioe con la nozione di pro-babilita. Cominceremo a studiare tale connessione in Laplace, unodei massimi scienziati francesi dell’inizio dell’Ottocento. Poi la esa-mineremo in relazione alle piu moderne ricerche intorno alla spe-rimentazione.

2.1. E fuori dubhio che Pierre Simon Laplace fece largo usodella categoria della totalita, Vin funzione per cosi dire _filosof1ca,nel delineare il concerto di natura (quale grande orologio, regola-to da leggi rigorosamente deterministiche) che sta alla base _delsuo meccanicismo Ma il punto che qui intendiamo porre in rilie-vo e un altro: e che Laplace fa ricorso a tale categoria in _fun-zione piu specificamente scientifica, quando .cerca di giustificarel’introduzione nella fisica del calcolo delle probabilita; introdu-zione che, alla sua epoca, ebbe un significato profondamente 1n-

novatore. Da quel momento in poi la prohabilita compira un ruoloimportantissimo in tutta la scienza moderna. _ ’ _

L’argomentazione del nostro autoreg pub venire cosi riassun-ta: la mancata conoscenza sia pure di pochissirni anelli della gran-de catena causale dell’universo si ripercuote negativarnente sullanostra conoscenza di tale universo, e non solo sulla conoscenza diesso nella sua interezza ma anche su quella che noi possiamo rag-giungere intorno ad ogni sua singola parte. Ne segue che nonpotremo mai conseguire una conoscenza assoluta e perfetta dialcun evento, non conoscendo l’universo nella sua total1ta._ D1qui la necessita di ammettere che tutte le verita da noi conosciutesono soltanto probabili.

A hen esaminare il problema, la domanda che soggiace all’ar-gomentazione di Laplace e questa: tisulta possibile conseguireuna conoscenza vera, e non solo prohabile, di una parte dell’un1-verso se non si conosce tale universo nella sua totalita?

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Page 11: Scienza e Realismo

Scienza e fealismo

Le risposte possibili sono due: la prima (che possiamo farerisalire a Qalileo) afferma che l’universo e effettivamente rita-gliabile in zone fra loro indipendenti, e che l’uomo puo raggiun-gere una conoscenza assoluta e perfetta (pari “intensivamente” aquella possedutane da dio) degli eventi che si svolgono in unadi tali zone, senza che cio richieda alcunché circa le nostre cono-scenze di quanto avviene nelle altre zone. La seconda risposta,che e appunto quella di Laplace, afferma invece, come poco sopraspiegammo, che, per raggiungere una conoscenza assoluta e perfet-ta degli eventi che si svolgono in una delle predette zone, occor-rerebbe conseguire una conoscenza altrettanto perfetta di quantoavviene in tutte le restanti zone.

E per l’appunto l’accettazione di questa seconda risposta cioche ci impone di concludere, che tutte le nostre conoscenze intor-no a singoli eventi saranno sempre soltanto probahili. Ci semhrache la connessione tra le due Categorie della totalita e della pro-babilita non potrebbe apparire piu chiara di cosi.

Riservandoci di tornare piu ampiamente sulle due concezionitesté accennate nel capitolo quarto, ove esamineremo le conse-guenze che se ne possono trarre per l’importante fenomeno della“crescita della scienza,” qui ci limiteremo ad aggiungere che laprima di esse (da noi qualificata, per ragioni di comodo, come“tesi di Ga]i1eo”), se ebbe una funzione estremamente positivaall’inizio della rivoluzione scientifica moderna, fini gradualmen-te col perderla, man mano che la scienza si faceva piu matura erivelava un’articolazione sempre piu complessa. La seconda con-cezione -(quella di Laplace) rappresento una fase posteriore, essapure assai significativa, del pensiero filosofico-scientifico. Dal no-stro punto di vista - e appena il caso di ribadirlo _ la sua im-portanza va soprattutto cercata nel fatto che essa introdusse, informa del tutto nuova, la categoria della totalita nel discorsoscientifico.

2.2. Passando ora ad esaminare il secondo dei due punti ac-cennati all’inizio del paragrafo, osserviamo anzitutto che anchequi interviene l’idea della totalita come idea della interconnes-sione di tutti gli eventi dell’universo. E una idea della massimaimportanza, cui dovremo fare spesso riferimento nell’elaborazio-ne del tipo di realismo filosofico che intendiamo esplicitare e di-fendere nel corso del nostro volume.

Per evidenziare la novita della moderna teoria dell’esperi-

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Sulla categoria della zfotalité

mento, sara ancora una Volta opportuno partire dalla vecchianozione di esperimento, onde contrapporla a quella oggi svilup-pata dagli studiosi piu recenti.

La vecchia nozione di esperimento si basava sopra un postu-lato (esplicito o implicito) che potremmo chiamare “della ripro-ducibilita delle esperienze.” Esso puo venire cosi formulato: unaqualunque esperienza studiata dalla fisica (o dalla chimica, ecc.)e circoscrivihile in una zona dell’universo cosi priva di relazionicon il resto di tale universo, da autorizzarci a pensare che l’espe-rienza in esame risulti ripetuta “nelle medesime condizioni” quan-do l’anzidetta zona sia rimasta invariata indipendentemente daimutamenti prodottisi nelle restanti zone. In altri termini: lapossibilita di ritagliare intorno all’esperienza in esame una “zonadi universo” completamente isolabile, E: la condizione che dobbia-mo ammettere se vogliamo considerare l’anzidetta esperienza nongia come un unicum ma come ripetibile, se cioe vogliamo elevarcidalla semplice osservazione alla vera e propria sperimentazionescientifica.

Orbene e per l’appunto questo il postulato che viene abban-donato dalla moderna teoria degli esperimenti. Ecco il punto divista assunto in proposito da G. Pompilj e G. Dall’Aglio nell’in-teressante volume Piano degli esperimenti (1959). La base del-la moderna teoria degli esperimenti e, secondo essi, costituitada un assioma che rovescia completamente quello testé riferito.Trattasi del principio da essi chiamato “di non riproducibilitadelle esperienze,” secondo il quale “in questo nostro universo so-lidale, dove ogni fenomeno influenza tutti gli altri e da tutti glialtri e influenzato, si potra concepire di ripetere delle esperienzea parita di certi fattori, ma non sara poi lecito credere che di con-seguenza i 1-isultati saranno eguali, poiché, anche ammessa l’im-possibile parita assoluta di certi fattori, per tutto il resto - enon E: poco! - le diverse esperienze, nonostante tutte le nostrecure, si svolgeranno inevitahilmente ciascuna in condizioni diffe-renti.” Tutti i ricercatori militanti conoscono, secondo i nostridue autori, la variabilita dei risultati testé menzionata. Ma --aggiungono _ “va osservato che essa si percepisce solo quando i

procedimenti di misura hanno raggiunto un sufficiente grado diraffinatezza; cosi, per esempio, quando facciamo cadere a terraper dieci volte lo stesso sasso dalla stessa altezza, le dieci esperien-ze daranno tutte lo stesso risultato se ci limitiamo a constatareche il sasso cade, e cosi ancora quando misuriamo grossolanamen-

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Scienza e realismo

te il tempo che il sasso impiega a cadere, ma e certo che, se raffi-niamo a sufficienza il procedimento per misurare tale tempo,troveremo che, nelle dieci esperienze, il tempo di caduta varia,perché in effetti si tratta di esperienze condotte in differenti con-dizioni e per le quali, a hen pensare, non possono essere rimasticostanti nemmeno quei fattori, ‘sasso’ e ‘altezza,’ che pure avreb-bero dovuto formate il loro comune denominatore, senza contarepoi l’ineliminahile incertezza che as connaturata all’istante di par-tenza e a quello di arrivo del sasso in ognuna delle dieci espe-rienze.”

Il lettore che sfogli l’opera citata di Pompilj e Dall’Aglio nonavra difficolta a constatare che sono proprio queste ed analogheconsiderazioni a dimostrare la necessita di introdurre nella moder-na pianificazione degli esperimenti il calcolo delle probahilita.Risulta cosi confermato quanto ahbiamo gia detto a proposito diLaplace, circa la stretta connessione fra le due categorie della to-talita e della probabilita.

Un’ultima osservazione va aggiunta a questo punto: sia le con-siderazioni di Laplace sia quelle esposte nella seconda parte delpresente paragrafo si basano, in ultima istanza, sopra il medesimopostulato: il postulato della impossihilita di ritagliare l’universoin zone indipendenti. Si potra obiettare che questo postulato vie-ne accettato senza giustificazioni, sia nell’una sia nell’altra argo-mentazione. E pero induhitabile che la scienza moderna non sem-bra poter fare a meno di esso. Su quale base si vorra dunque ne-gare alla filosofia il diritto di assumere tra i suoi principi generalila solidarieta dell’intero universo, e di elaborare di conseguenzauna nozione (che cercheremo di esplicitare nei prossimi capitoli)capace di farci cogliere il complicato groviglio di nessi che dannoluogo a tale solidarieta?

3. La Categorie della totalitd in matematica

3.1. Quando ci si accinge a parlare della funzione compiuta dallacategoria della totalita nella matematica moderna, si suole fareriferimento alla teoria degli insiemi: teoria che notoriamente hacontribuito in misura determinante al rinnovamento di pressochétutti i rami della scienza in esame.

L’i.mportanza della funzione ivi esercitata dalla categoria del-la totalita risulta, infatti, palese fin dai primi passi che caratteriz~

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Sulla categoria della totalitzi

zano l’anzidetta teoria. In effetti, quando si afferma per esempioche le due successioni

(+) 1, 2, 3, 4, 5, 6, (++) 2, 4, 6, s, 10, 12,

hanno la medesima potenza o la medesima “cardinalita,” la _so-

la ragione che ci autorizza a fare tale affermazione e manife-stamente la seguente: si considerano la (+) e la (+f”) nella lO1‘0glohalita. A rigore, la (++) contiene meno elementi che la (+);ma noi possiamo, cio malgrado, considerarle “equipotenti” o “egual-mente numerose” perché, facendo corrispondere ad ogm ele-mento della (+) il suo doppio, che e contenuto nella (++), Sl

trova che tanti sono i termini della prima successione quantlsono quelli della seconda. In altre parole: al fine di g1ungere_ aquesta conclusione, occorre considerare entramhe_ le successio-ni nella loro totalita, ossia proseguite fino all’1nf1n1to; occortecioe considerare la loro struttura senza tenere conto _della di-versita dei singoli termini. _ _ _ _

Ovviamente, non e questa la sede per esporre 1 meravigliosisviluppi della teoria degli insiemi. A buon conto, chiunque nepossegga iqualche notizia, non avra difficolta a prendere attodel ruolo centrale che la categoria della totalita compie in’ tuttii piu significativi teoremi della teoria stessa (da quelli' p1u_ ele-mentari a quelli pifi elevati come il famoso teorema dr Godel),in tutti i suoi metodi dimostrativi (da quello della diagonaliz-zazione a quello del forcing), come pure nella scoperta_delle fa-mose antinomie (di Russell, Burali Forti, ecc.) e negli interes-santi e fecondi tentativi di trovarne una soluzione.

Cio che qui ci importa rilevare e soltanto una cosa:_ che,con la teoria degli insiemi, la categoria della totalita si E: impo-sta nella matematica moderna in una misura cosi grande chenessuno avrebhe immaginato possibile prima della nascita ditale teoria.

3.2. Ma, per non ripetere cose notissime, vogliamo quifermarci ad esaminare un altro aspetto, del tutto diverso, dellamatematica moderna, aspetto ove finora non e stata ahbastanzasottolineata, per lo meno a nostro avviso, l’importanza fonda-‘mentale spettante alla categoria della totalita. ' _

Il linguaggio comune parla spesso delle verita maternatrche

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come “assolute e indubitabili”; cosi per esempio si suol affermare che un certo risultato E: “matematico/’ per dire che é assolutarnente Vero e che il non riconoscerlo come tale sarebbe segno di mancanza di razionalita. A rigore pero le cose stanno in

critica moderna.ln realta, quando si afferma che un certo risultato e mate

maticamente Vero, si asserisce soltanto che esso e dimostrabilenell’ambito di una teoria, cioe derivabile dai suoi assiomi inbase a certe regole logiche predeterminate. Ne segue che, seesso e Vero in una teoria, potra darsi benissimo che non lo sia1n un’altra. Per esempio e Vero nella geometria euclidea che lasoinma degli angoli interni di un triangolo é eguale a due angoli retti; ma questo risultato non e piu Vero nelle geometrienon euclidee.

. Se e innegabile che l’uo1no cornune (cioe il non specialistadi matematica) parla spesso' di risultati matematicamente verisenza fare esplicito riferimento alla teoria entro cui essi sonoveri (cioe entro cui sono dimostrabili), e innegabile pero checio accade soltanto perché il riferimento a tale teoria apparesuperfluo, essendo essa del tutto familiare a lui come ai suoiascoltatori. La critica piu moderna ha comunque stabilito, sen-za ombra di dubbio, che nessun risultato matematico e Vero inse stesso. Esso e Vero solo nel senso che fa parte di una teoria,che e coerente con i suoi assiomi, che non puo venire negatoda chi accetti la teoria nella sua globalita. Il riferimento allacategoria della totalita (totalita della teoria) e qui incontestabile.

A questo punto, pero, qualcuno ci porra la seguente cloman-da: non esiste anche un altro motivo, oltre a quello testé accen-

d1 averlo dimostrato, in tali cas1 drra d1 “vederlo,” oppure di “co-glierne la necessita Potra anche darsi che, dopo avere constata-to che esso non e chmostrabile entro una certa teoria, egli riten-ga di 1ntu1re come va mod1f1cata o amplrata questa teoria affinché

de negate rl valore euristico di tali 1ntu1z1oni; esse compiono unruolo importante nella psicologia dello scienziato. Cio che si negae che bastr lmtuizione per poter parlare di una “verita matema-tica Essa puo spingerci a cercare una dnnostrazione del teoremache crediamo di avere inturto, ma finche questo non e dimostra-to, non possiamo dire che sia matematicamente Vero; e, quandoe dimostrato, esso risultera Vero entro una teoria (considerata co-me un tutto), non Vero in se stesso (isolatamente preso).

Il metodo assiomatico, che caratterizza la fase pid rigorosadella matematica moderna, ha posto in luce i nessi inscindibili fra1 singolr enunciati di una teoria e la totalita della teoria stessa.I matematici di altre epoche non avevano colto questi nessi per-che avevano fatto ricorso p1u all’intuizione che alla logica. Oggila situazione e radicalmente mutata: oggi e la stessa esigenza delrigore a farci comprendere che le teorie matematiche costituisconodelle autentiche totalita.

4. La clzzfegoria della totalité nelle scienze della mztum

4.1. Anche per le scienze fisiche si puo ripetere quanto ab-biamo detto nella seconda parte del paragrafo precedente circa i

legami esistenti fra le singole proposizioni di una teoria e lateoria stessa considerata come un tutto. Ancora una Volta si puo

Scienza e realismo Sulla categoria della' totalité

maniefa H0f€V01m@11'f€diV€rSa, Come e stato posto in luce dalla il predetto teorema diventi in essa dimostrabile. Nessuno inten-

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nato, per cui diciamo che un certo risultato E: matematicamenteVero? non e forse lecito dire, che un risultato e matematicamen-te_ Yero perché E: matematicamente intuitivo? e il carattere in-tu1t1vo di un certo enunciato non e forse una proprieta intrinsecaad esso, che non richiede alcun riferimento alla totalita di unateoria?

Effettivamente puo accadere che un ricercatore matematicovenga guidato, nelle sue indagini, da cio che siamo soliti indica-re con il termine “intuizione.” Riservandoci di riprendere l’argo-mento all’inizio del secondo capitolo, qui ci dichiariamo senz’al-tro disposti ad ammettere che l’anzidetto ricercatore possa esseresoggettivamente convinto della verita di un certo teorema, prima

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affermare che il rnerito di avere scoperto l’essenzialita di questilegami spetta soprattutto al metodo assiomatico, ormai larga~mente usato nella formulazione delle stesse teorie fisiche, biolo-giche, ecc.

Ma cio che caratterizza queste scienze nei confronti dellamatematica Ez, come noto, la sperimentazione; e dobbiamo subi-to chiederci se l’intervento di tale nuovo fattore non intacchi ilcarattere di totalita delle teorie da esse elaborate. Va osservatoche qui non interessa - come nel secondo paragrafo - la proce-dura con cui viene eseguita la sperimentazione, bensi l’effettoche essa produce sul carattere delle teorie.

All’inizio del nostro secolo la tesi che anche le teorie elabora-

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Scienza e realirmo

te dalle scienze sperimentali posseggano un carattere di totalita,as stata difesa da Pierre Duhem, il quale e giunto alla conclusioneche nessun esperimento risulta mai in grado di verificare o falsifi-care una singola legge di natura, isolatamente presa. Cio cheesso verifica o falsifica e la totalita della teoria entro cui talelegge trovasi inserita. La tesi di Duhem e stata recentemente ri-presa e rielaborata da Quine, che l’ha inclusa in un quadro piuampio sul quale ritorneremo fra poco.

Per ora hasti segnalare che possiamo trovare un richiamoimplicito o esplicito a Duhem in due autori, Bachelard e Popper,oggi giustamente considerati fra i piu originali epistemologi dellanostra epoca. Bachelard sostiene il carattere olistico (globale) del-le teorie fisico-naturali con tale convinzione, da asserire che nes-suna di esse si ottiene per generalizzazione di singole proposi-zioni ricavate direttamente dall’esperienza: a suo parere, la co-noscenza scientifica “non parte mai da zero,” ma parte sempreda teorie precedenti consistendo nella loro progressiva rettifica-zione. Ancora piu esplicitamente Popper afferma che una qual-siasi teoria scientifica non prende mai l’avvio “dalla collezione diosservazioni né dall’invenzione di esperimenti”; essa prende in-vece l’avvio dalla critica di teorie precedenti. Nel caso poi delleprimissime teorie scientifiche, possiamo dire che presero l’avviodalla critica di quegli abbozzi di teorizzazione costituiti dai miti,dalle pratiche magiche ecc., in cui erano state inquadrate le osser-vazioni iniziali dell’umanita.

Nella nostra attuale prospettiva, l’ir1teresse di tutte questeposizioni e dovuto al fatto che esse sottolineano con grandevigore la necessita di considerate sotto tutti i punti di vista (an-che quello della verifica sperimentale) le teorie fisiche come del-le totalita, i1 che conferma l’importanza della categoria della to-talita nella scienza moderna.

A questo punto puo risultare interessante aggiungere qualcheosservazione di carattere storico, allo scopo di ricordarci che letesi testé schematicamente menzionate non sono cosi nuove comespesso si ritiene; il che non diminuisce, ma anzi accresce il loropeso. Esse affondano le proprie radici in alcuni autori del primoOttocento, come le tesi esposte nel paragrafo 2.2 le affondavanonelle concezioni di Laplace.

Ecco per esempio quanto possiamo leggere in Goethe (L’e_vpe-rimento come mediatore fm oggetto e soggetto, 1793), in apertapolemica contro quelli che si illudono di poter dimostrare speri-

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Sulla Categorie della totalité

mentalmente le singole proposizioni: “oso_ affermare'che..: nien-te e piu pericoloso che voler subito, mediante esperimenti, con-fermare una proposizione.” E ancora piu chiara e la_ sua polemica(Teoria dei colori, 1810) contro quelli 1 clualr sr illudono _dipoter compiere valide osservazioni al dr fuori d1_ qualsiasi teoriaz“E strana la pretesa che spesso si avanza, ma di rado si rispettaanche da parte di chi la formula: che cioe si dehbano presentare leesperienze al di fuori di qualunque legame teorico. _

Come secondo esempio riferiremo un analogo pensiero espres-so nel 1830 da Comte (Corso di Filosofia positiva): “Se daun lato ogni teoria positiva deve necessariamente essere fondatasu osservazioni, E: egualmente evidente, da un altro lato, che, perdedicarsi all’osservazione, il 'nostro spirito ha bisogno di unaqualche teoria.” _

Si tratta dunque di esigenze gia affiorate da tempo, ma che lacritica moderna ha avuto l’indubhio merito di rimettere in prenaluce, sottolineandone l’enorme importanza.

4.2. Un punto ove e particolarmente evidente la svolta _dicui ahhiamo parlato, diretta a sottolineare il carattere Ol1_St1C0

delle teorie fisico-naturali, riguarda il problema della spiegazione.Come as noto, all’inizio dell’era moderna si pensava che fosse

possibile, non solo accertare la validita di una singola legge me-diante l’osservazione dei fatti empirici, ma anche darne una spre-gazione intuitivamente sicura (riferihile in modo _diretto alla leg-ge in questione). Ecco per esempio la spiegazione formta daTorricelli per il fatto, da lui stesso scoperto, che la colonna dimercurio contenuta in un tubo barometrico (questo termine e ov-viamente posteriore) raggiunge sempre la medesima altezza -in determinate condizioni di luogo e di tempo -- indipendente-mente dalla forma del tuho: “io pretendo che la_ forza che reggequell’argento vivo contro la sua naturalezza di ricader gru... nonsia interna al vaso [cioe dovuta all’horror vacui, come tradi-zionalmente si pensava], ma la sia esterna‘ e che venga_ dr fuori.Su la superficie del liquore che as nella catmella [la catmella Of/C

e stato capovolto il tuho barometrico]_ gravita laltezza dr cin-quanta miglia d’aria; pero qual meraviglrae se nel vetr0 [11 '€UbQbarometrico] l’argento vivo entri e vi si mnalzi f1n_ tantc; che sr

equilibri colla gravita dell’aria esterna _che lo spmge? _

Abbiamo apparentemente una spiegazione che si applica spe-cificamente alla legge da spiegare senza fare rrferimento ad alcuna

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teoria. Ma leggendo attentamente il brano citato, si constata senza difficolta che Torricelli fa un implicito riferimento ad alcuniprincipi dell’equilibrio che suppone noti; se non li elenca in modo

qualsiasi teoria; li ritiene cioe “familiari” analogamente a quanto ricordammo nel paragrafo 3.2. parlando dell’atteggiamento dell’uomo comune rispetto ai risultati matematicamente veri

Ma anche qui, come gia per la matematica, la critica modernae riuscita a sottolineare che il riferirnento ai principi dell’equilibrio, cioe a una ben determinata teoria, rappresenta una condizione indispensabile per la validita della spiegazione torricelliana. Questa spiegazione non potra pertanto venire considerata come intuitiva e assolutamente valida: essa E: valida entro una teoria e non al di fuori di essa. Non possiamo quindi considerarlacome una spiegazione isolata di un fatto singolo: la sua capacitadi spiegare questo fatto dipende soltanto dalla sua capacita diinserirlo entro una certa teoria ricavandolo dai principi dellamedesima. E una spiegazione da ritenersi soddisfacente finché siaccetta tale teoria, e nei limiti in cui si riconosce la validita dell’in-tera teoria.

Se ne conclude che la categoria della totalita compie, anchein questo caso, un ruolo di incontestahile importanza. Ancora unavolta si deve dire che, se i fisici dell’epoca di Torricelli e anchedel secolo successivo non compresero tale importanza, e solo per-ché non avevano afferrato il vero senso delle spiegazioni scien-

La risposta e decisamente negativa, per la differenza esistentefra teorza scientifica e alzsczplzmz scientifica Una teoria e una co-struzione compatta, basata su principi (o assiomi) chiaramente

a tall principi da regole logiche ben precise. La formulazioneassiornatica delle teorie ha avuto il grande merito di evidenziareal massuno grado tale struttura unitaria da cui dipende appuntolimpossibilita dr isolare un singolo enunciato dalla totalita dellateoria stessa Una disciphna scientifica, invece, E: un insieme diteorie connesse le une alle altre da legami molto labili, comedimostrano le seguenti considerazioni az) una disciplina scienti-fica (ovvero una scienza specrfica, come appunto la matematica,la fisica, ecc) si arricchisce spesso di nuove teorie, notevolmentediverse da quelle che la costltuivano in precedenza; b) in talunicasi queste nuove teorie sono addirittura incompatibili con sin-gole teorie precedenti (per esempio le geometric non euclideesono incompatihili con la geometria euclidea), ma non e esclusoche le une e le altre vengano poi incluse in una teoria piu am-pia quali suoi casi particolari (argomento questo su cui ritorne-remo ipiu volte nel corso del presente volume, proprio in riferi-mento alle geometrie euclidea e non euclidee, incluse nellageometria proiettiva); c) per certe nuove teorie e possibile af-fermare che appartengono nel contempo a due discipline scien-tifiche diverse =(trattasi delle cosi dette “teorie di confine” chehanno clato luogo a nuove scienze solitamente indicate con un

Scienza e mamma ' Sulla categoria della totalité

esplicito, e solo perché li ritiene accettati da tutti, al di sopra di enunqlabllh ,e _amcolamesl mfnunclatl (teoremh 16351) Connessl

. . ,_ . . . \ . _ . ’ .,i

' § . ' . . .

tifiche. Se noi invece l’ahbiamo compresa con chiarezza, e per-ché la moderna critica della scienza ci ha fornito in propositouna nuova consapevolezza che le generazioni precedenti non pos-sedevano.

5. La clziegoria della zfotalitd nell’e¢lificio complesrivo della scienze;

5.1. Nei due ultimi paragrafi ahbiamo sottolineato l’impor-tanza assunta dalla categoria della totalita nelle teorie matemati-che e nelle teorie fisico-naturali, quando queste teorie (sia mate-matiche sia fisico-naturali) vengano impostate in forma criticamoderna. Ci proponiamo ora di prendere in esame la nozione di“disciplina scientifica” (matematica, fisica, chimica, ecc.) per ve-dere se anche qui la categoria della totalita compia un ruolo dipari importanza.

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d ° ah-'_-' vaoppio nome c imico fisica, bio-fisica,” ecc.).Tenuto conto di quanto ora accennato, e ovvio che, mentre

una singola teoria costituisce un edificio compatto, nulla di si-mile puo ripetersi per una disciplina scientifica. Cosi E: Stato op-portunamente detto che ogni teoria aritmetica, geometrica, alge-brica, ecc. é - almeno di principio _ assiomatizzahile, mentrenon lo e la scienza matematica considerata nella sua effettiva pre-gnanza. Ed e proprio qui che va cercata la ragione della inappli-cabilita della categoria della totalita alle singole discipline scien-tifiche, categoria che invece poteva, anzi clovewz, venire applica-ta alle teorie che le compongono.

La consapevolezza critica derivante dalle considerazioni quiricapitolate ha condotto, fra l’altro, a un risultato assai interessan-te per 'la storia del pensiero filosofico-scientifico: il problema del-

/la classificazione delle scienze, cui era stata attrihuita la massimaimportanza nell’Ottocento, /ha perso oggi pressoché ogni rilievo.

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Scienza e realismo

Quine e giunto a scrivere (nel 1964) che la ricerca dei confini trale varie discipline - ricerca che stava alla base del problema del-la classificazione -- oggi ha perso ogni attualita: tali confini sonosoltanto utili “ai presidi e ai bibliotecari.” Importante e invece ilrapporto tra una teoria scientifica e l’altra, per decidere se essesono davvero indipendenti, o l’una e un caso limite dell’altra, opossono venire entramhe incluse in una terza piu generale, ecc.

Una Volta svuotato di importanza il concetto di singola disci-plina scientifica, resta invece da prendere in esame quello piugenerale di “edificio complessivo della scienza” quale insiemedi tutte le teorie scientifiche: insieme che non puo venire consi-derato come qualcosa di statico, di fisso, di determinahile a priori,risultando fornito - come testé si E: detto - di una intrinsecadinamicita.

E ancora possibile ed opportuno adoperare, a proposito diquesto insieme, la categoria della totalita, oppure dobhiamo ri-nunciare ad applicarvela come si e fatto per il caso delle singolediscipline scientifiche?

Non e difficile rendersi conto che esiste una notevole diffe-renza fra i due casi. In effetti, nel caso delle singole disciplinescientiifiche, la pretesa di considerare ciascuna di esse come unatotalita semhrava mirare, in ultima istanza, a un hen preciso sco-po, quello di caratterizzare ciascuna disciplina di fronte alle altre(per esempio la fisica di fronte alla rnatematica, alla chimica, allahiologia, ecc.); e noi sappiamo che proprio questo scopo e oggiirraggiungihile, come risulta confermato dal fatto che ha persoogni senso la ricerca di una rigorosa classificazione delle scienze.Nell’altro caso invece lo scopo anzidetto e del tutto assente, ri-sultando esso inapplicahile alla nozione di “edificio complessivodelle scienze” per la generalita stessa di questa nozione. Per essasuhentra invece il fatto incontestahile che l’edificio in questionepossiede un certo carattere unitario, essendo costituito di elemen-ti i quali, pur nella loro varieta e indeterminatezza, si richiamanoa vicenda nelle forme piu diverse, esercitando spesso una note-volissima influenza l’uno sull’altro.

Vale la pena di riferire sull’argomento alcune significativedichiarazioni di Quine: “Quando astraiarno da essi [cioe daipresunti confini fra le singole disciplinel, vediamo la totalitadella scienza _ fisica, biologia, economia, rnatematica, logica eil resto -- come un unico sistema che si dilata, in alcune parti

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Sulla categoria della totalitd

connesso in modo vago, ma in nessuna parte privo di connes-sione.”

Ma si tratta forse di una totalita, da intendersi nel medesimosenso in cui erano totalita le singole teorie scientifiche? Nel bra-no ora riferito Quine parrebbe propendere per una rispostapositiva, poiché usa esplicitamente il termine “sisten1a.” Ma leconsiderazioni poco sopra esposte ci avvertono che si tratta diun parere da non prendersi alla lettera. E del resto lo stessoQuine ci pone in guardia contro un’interpretazione troppo rigo-rosa del termine “sistema,” poiché aggiunge subito “sistema chesi dilata,” cioe sistema in sviluppo, sisterna che ha una dimen-sione temporale, e che proprio percio non e assiomatizzahile nelsenso in cui lo sono le singole teorie scientifiche.

Ne concluderemo che la categoria della totalita puo venireapplicata anche al concetto di “edificio complessivo della scien-za,” ma in un senso nuovo, piii fluido, piu complesso di quellocui abhiamo fatto riferimento nei paragrafi precedenti.

5.2. Non solo Quine, ma anche Lakatos parla (nel 1968) di“scienza intesa come un tutto unico,” il che conferma l’importan-za che va assumendo nella critica piu moderna la nozione da noidenotata con le parole “edificio complessivo della scienza.”

A questo punto mi permetto di far presente che io stessocercai di porre in rilievo la necessita di una considerazione globa-le del tipo testé accennato. Scrissi infatti (nel 1960) che “cio cheviene consolidato dal susseguirsi di sempre nuove osservazioni esempre nuovi successi tecnici... non e tanto la singola legge o lasingola teoria (sempre riformahili), quanto l’intera famiglia del-le scienze moderne,” e precisai che “la prima garanzia del carat-tere progressivo [della scienza] e costituita dal continuo accrescer-si del patrimonio tecnico-sperimentale acquisito dai vari rami del-la scienza e dal consolidamento reciproco che - attraverso l’in-cremento di tale patrimonio - ogni ramo della scienza fornisceagli altri.”

Ovviamente non ha importanza che si usi un termine o laltroper indicare la nuova nozione _ “edificio complessivo dellascienza,” o “sistema che si dilata,” o “scienza intesa come untutto unico” o “famiglia delle scienze” o “patrimonio tecnico-

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/sperimentale” -, l’irnportante e che si comprenda il ruolo chele spetta nelle nostre riflessioni sulla scienza. Nel seguito delvolume usero spesso l’espressione “patrimonio scientifico-tecnico”

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Scienza e realismo

che mi semhra piu adeguata alla complessita della realta storicache intendiamo assumere, come gia si e chiarito nell’/lvvertenza,quale punto costante di riferimento per tutte le riflessioni an-zidette. Cio che ritengo necessario sottolineare e che trattasi diuna unita wi generis, che possiede i caratteri apparentemente con-traddittori della staticita e della dinamicita. Non senza motivoavevo parlato (nel 1960) di un “permanere del tutto nella flui-dita delle parti.”

Proprio questo carattere cosi complesso ci ammonisce chela categoria della totalita va qui usata con particolare cautela.

Lo studio della totalita costituita da una certa teoria scientifi-ca (che possiamo supporre assiomatizzata) e uno studio di compe-tenza del logico e, piii in generale, dello scienzato militante.Ne e una riprova il fatto che tale studio non ha da tenere alcunconto della “coordinata tempo.” Cio non significa, sia ben inteso,che una teoria scientifica non possa avere come oggetto dei feno-meni variahili con il tempo, ma solo che essa non contiene in sestessa il parametro tempo. Infatti la circostanza che una proposizio-ne P risulti o non risulti valida nell’ambito di una certa teoria Tnon dipende dall’epoca in cui questa teoria venne elaborata: di-pende soltanto dai principi (o assiomi) di T e dalle regole logi~che applicate per dedurne le proposizioni di T. Potra anche darsiche, col trascorrere del tempo, la comunita scientifica ritenga uti-le sostituire alla vecchia teoria T una nuova teoria T', la qualenon conterra piu la proposizione P ma altre proposizioni P', P",ecc. Cio non implica tuttavia, in alcun modo, che risultino modi-ficati i rapporti fra P e i principi di T.

Completamente diverso as invece lo studio dei rapporti fraun certo risultato (R) e il patrimonio scientifico-tecnico (S~T).Ed infatti il carattere stesso, essenzialmente dinamico, di S~T,fara si che in un certo momento .S`~T includa R come risultatovalido; in un altro momento lo includa come risultato solo ipote-tico che esige ulteriori prove; in un altro come risultato non piuvalido ma ancora utilizzabile; in un altro ancora come risultatodel tutto sorpassato, ecc. Trattasi ovviamente di uno studio cherichiede competenze diverse da quelle specifiche del logico o del-lo scienziato militante, pur interessandoli entrambi.

E uno studio che richiede ancora l’uso della categoria dellatotalita, ma adoperata in un senso alquanto diverso da quelloche cercammo di illustrare nei precedenti paragrafi. Nei seguitodel volume cercheremo di spiegare che il patrimonio scientifico-

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Sulla categoria della totalité

tecnico e, si, una totalita, ma non statica hensi dinamica: unatotalita che richiede di venire analizzata con un nuovo metodo,il metodo dialettico. Al significato di questo metodo, e ai suoirapporti con il metodo in base a cui si analizzano le teorie assio-matizzate, verra dedicato il prossimo capitolo.

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Capitolo secondo

Logica e dialettica

1. Il ruolo essenziale della logica nella scienza odierna

Riteniamo del tutto superfluo tentare di esporre in formaschematica le linee generali della logica formale moderna (0logica matematica); le supporremo senz’altro note, come puresupporremo noto che la logica maternatica non si e costituitain antitesi a quella classica (antica e medioevale) rappresentan-done piuttosto lo sviluppo: sviluppo reso possibile dai sofisticatistrumenti tecnici di cui si serve, e in particolare dal suo impo-nente apparato simbolico. Questi strumenti le hanno permessodi analizzare con grande rigore tutte le operazioni in cui si artico-lano i nostri ragionamenti, nonché di precisare talune fondamen-tali distinzioni appena intraviste dalla logica classica: per esem-pio la distinzione fra sintassi e semantica, quella fra logica emetalogica, ecc.

La nuova consapevolezza che queste analisi e precisazioni cihanno procurato, e enorme. Basti considerare che ci hanno fat-to scoprire l’autentica funzione compiuta nelle nostre argomen-tazioni dai vari connettivi logici, le conseguenze che derivano daun mutamento (anche minimo in apparenza) introdotto nelladefinizione di tali connettivi, la possibilita di definirne alcuniper mezzo di altri, le regole con cui si combinano tra loro, il tipodi estensione che due di essi (l’alternativa e la congiunzione)ricevono nei cosi detti quantificatori esistenziale e universale, l’im-portanza del dominio cui si intendono applicahili questi quantifica-tori (dominio delle variabili individuali o delle variahili predica-tive) e la conseguente possibilita di distinguere diversi livellidi logica (logica enunciativa, logica del primo ordine, ecc.).

Sarebbe ridicolo voler sottovalutare questi risultati, che oc-

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Logica e dialettica

cupano ormai una posizione di notevolissimo rilievo nel patri-monio scientifico della nostra epoca; patrimonio che puo senzadubbio venire arricchito e raffinato dalle ricerche piu modernedi logica intuizionista, logica modale, ecc. ma che non pub veni-re messo in disparte.

E risaputo che i risultati testé accennati hanno trovato ampieutilizzazioni negli Studi di linguistica, che si pub dire ahbianosubito -- proprio in seguito a tali utilizzazioni _ un autenticosalto rivoluzionario, portandoci a cogliere con straordinaria pre-cisione la struttura profonda dei nostri linguaggi. Ma l’utilizza-zione di maggiore rilievo e stata senza duhbio quella fattanenell’assiomatizzazione e formalizzazione delle teorie scientifiche,in particolare di quelle matematiche (non e neanche il caso diricordare che “formalizzare una teoria” significa esplicitarne nonsolo gli assiomi bensi tutte le operazioni logiche: sia quelle adope-rate nella definizione dei termini della teoria, sia quelle adoperatenella deduzione dei teoremi).

Taluni sembrano ritenere che la logica avrebhe un ruolo es-senziale nella matematica moderna solo in riferimento al cosidetto “problema dei fondamenti” (problema che ha rivelatotutta la sua importanza e le sue difficolta con la scoperta dellefamose antinomie della teoria degli insiemi); ma si tratta di un’opi-nione inesatta. In realta tutti i pifi caratteristici capitoli della ma-tematica moderna hanno potuto compiere, in tempi recenti, moltie significativi progressi per l’appunto grazie al largo uso siste-maticamente compiuto delle piu sottili tecniche logiche. Questetecniche costituiscono infatti lo strumento indispensahile per espor-re le teorie in forma assiomatica, e la matematica moderna nonpuo pid fare a meno del livello di rigore che solo tale forma rie-sce a garantire.

Il legame tra logica e matematica e diventato oggi cosi stretto,che non di rado i cultori delle scienze sperimentali usano comeequivalenti le due espressioni “logicizzazione” e “matematizzazione”delle teorie. Questo uso E: giustificato dal fatto che “matematiz-zare una teoria” significa attualmente non solo scriverne gli enun-ciati in termini matematici, ma enucleare la struttura matematicadella teorial stessa, cioe evidenziarne gli assiomi e la logica interna.

Stando cosi le cose, sarehbe fare un gravissimo torto ai sosteni-tori del metodo dialettico, attrihuire loro l’intenzione di sostituirequesto metodo a quello logico-matematico nell’opera di costruzio-ne delle teorie scientifiche. Come spiega assai bene I. N. Findlay,

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i

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Scienza e reulismo

la stessa dialettica hegeliana non e e non intende essere “un meto-do che cerchr di costruire un sistema deduttivo, quale Hegel ¢0n0_SCQV-2 Ilelle uarie loranche della matematica e quale noi conosciamonfri nostri sisterni di logica simbolica” (Hegel oggi 1972) In

. ‘ . _ , _ '3 U6 garplez anche per il seguace odierno della filosofia hege-Yana, a ogica formale resta attualmente, come lo fu in passato,

unico metodo capace di farci ricavare con rigore tutte le conse-guenze implicitamente contenute in un gruppo di premesse E3010113 e (fsiremamente nnportante esplicitare queste consevuenze,;Ciruo 0 De a logica continua ad essere fondamentale in tutta la

enza. _ a questo punto dr _v1sta, si potranno compiere notevoliprogressi affinando le operazroni della logica-matematica ma nonpretendendo di farne a meno, ’

Come gla detto, il fautore del metodo dialettico non intendesosgtuire la loglca formale con la dialettica; cio che egli sostieneC ff C, 2CCanto ai prohlemi da trattarsi con la logica formale, neelslistono altri cur essa non e applrcabile. Né si tratta di prohlemic e riguardino soltanto la frlosofia: essi riguardano pure arg0_menu dlrettamellte legati alla scienza, come cercheremo di illu-strare nel prossrmo paragrafo.

2. Sulla funzione conoscitlwz della logiclz e della mlzzfefmztica

le C3582 ditigeclnsnla logica ed essa _sola ci _insegna a ricavare tum;16 _ 8 _ enute ner gruppi di _assiomi posti alla base del-

uarie teorie matematiche. Ora dobbiamo chredercr se la mate-glatlca P05521 V€D1r€C0nSiderata_ un’attivita conoscitiva indipen-

entemente dalle sue applicazioni e, in caso di risposta positivaS9 ‘alla logica spetti un qualche hen determinato ruolo entro taleattivita conoscitiva.

_ QOHUQ 52 noto, per lungo tempo si ritenne che gli assiomi delleprincipalirteorie matematiche costituissero delle verita evidenti esi attrihui alla logica il compito di trasferire questa evidenza daéliasslofm 31 teofeml, 3110116 a quelli piu complicati che, presi in se516531, 11011 sarebbero per nulla evidenti.

Va sottolineato che, stando a questa interpretazione, la cono-scenaa matematica risulterebbe priva, per definizione di ogni di-namrsmoz una Volta afferrata direttamente o indirettamente l’evi-denza degli enunciati di una teoria matematica, non resterehbe al-tro che contemplarli cosi come sono, ammirandone l’eleganza

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Logica e dialettica

Se e Vero che noi uomini siamo soltanto in grado di cogliere di-rettamente l’evidenza degli assiomi, mentre dobbiamo ricorrere allalogica per afferrare quella dei teoremi, vero e pero che l’intellettodivino potra cogliere d’un solo colpo l’evidenza sia degli assiomisia di tutte le conseguenze da essi deducihili. Se ne ricava che allalogica e riservato, in tale concezione, un compito merarnente sus-sidiario; non si potra quindi presumere che essa riesca ad inserireun qualche dinamismo nella conoscenza matematica: questa si ri-duce in ultima istanza a mera contemplazione.

Alobiamo insistito su questo punto, perché risulti fin d’orachiara l’antitesi fra carattere statico dell’evidenza e carattere dina-mico di quell’altro tipo di conoscenza che chiameremo conoscenzadialettica.

Come pure e noto, e stato Descartes a considerare l’evidenzaquale criterio ultimo e definitivo della verita. Per illustrare la fun-zione subordinata che attrihuiva, invece, alla logica, bastera ricor-dare il seguente dubbio da lui formulato: allorquando pervengo a

ricavare un teorema mediante una lunga catena dimostrativa, puodarsi che, giunto alla fine di essa, io mi ricordi si di averne a suotempo dimostrato i singoli anelli, ma non ahbia piu presenti gliargomenti che erano serviti a provarli; in tale caso con qualediritto sosterro che la catena anzidetta mi fa veramente coglierel’evidenza del teorema? chi mi garantira di non essere stato ingan-nato dalla memoria? solo l’esistenza di un dio non ingannatore -risponde Descartes - puo darci questa sicurezza. Egli puo per-tanto concluderne che “la certezza e la verita di tutte le scienze di-pendono dalla sola conoscenza del Vero Dio.”

La concezione testé delineata E: stata da tempo abbandonata inseguito alla scoperta del carattere convenzionale, e non evidente,degli assiorni delle varie teorie matematiche (carattere confermatodal fatto che esistono teorie hasate su gruppi tra loro incornpatihilidi assiomi). ln particolare e stata vivacemente criticata la pretesadi Descartes di elevare Fevidenza a criterio assoluto di Verita. Glisi e obiettato che, cosi inteso, questo criterio chiude l’indagine e

irrigidisce la scienza. Non senza motivo Gaston Bachelard ha qua-lificato la propria nuova epistemologia come “non-cartesiana.”

l\/lalgrado queste critiche, vedremo che qualcosa del Vecchioprogramme cartesiano sopravvive in non pochi indirizzi contem-poranei.

Alcuni grandi matematici dell’inizio del nostro secolo (comePoincaré, Enriques, Severi, ecc.) -- solitamente chiamati “intuizio-

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Scienza e realismo

nisti” o meglio “pre-intuizionisti” - hanno accettato da Descartesla sua sottovalutazione della logica. Non potendo pifi, tuttavia,contrapporre l’evidenza alla logica, hanno cercato di contrapporreal carattere meccanico della logica il carattere creativo dell’intui-zione, la quale sola costituirebhe la base del valore conoscitivo del-la matematica. L’effettivo procedere della matematica si articole-rehhe, secondo essi, in due fasi: la fase dell’intuizione “che nonEz,” come spiega Bourhaki “l’intuizione sensihile volgare, ma piut-tosto una divinazione diretta (anteriore ad ogni ragionamento)del comportamento normale che par lecito attendersi da parte deglienti matematici,” e la fase della elaborazione logica (fase pressap-poco di routine) che esplicita il nesso fra i teoremi intuiti e gliassiomi precisando, eventualrnente, qualche condizione per la vali-dita di tali teoremi.

E chiaro che questa intuizione non e un sinonimo dell’evidenzacartesiana, ma E: un processo psicologico sostanzialmente dinamico e,quel che piu conta, irriducibile all’elaborazione logica. E un proces-so che guiderehhe il matematico alla conquista di nuovi teoremi eche, proprio per questo, avrehbe un’autentica funzione conoscitiva.Un altro indirizzo, antitetico a quello testé accennato, conser-va esso pure, sebbene da un punto di vista assai diverso, qualcosadell’eredita cartesiana. Ci riferiamo all’indirizzo sostenuto dal ma-tematico Hans Hahn, seguace del logicismo di Russell e assai pros-simo alle tesi dei neo-positivisti viennesi. Data questa sua posi-zione filosofica, e ovvio che egli non possa condividere l’opinionesecondo cui il potere conoscitivo della matematica dovrebhe venirericondotto all’intuizione (intesa nel senso poco sopra spiegato);Hahn sostiene invece che la matematica, essendo integralmenteriducibile alla logica, non possiede a rigore alcun valore conosciti-vo. Infatti un intelletto onnisciente non avrebbe hisogno di ricor-rere alla matematica per vedere, insieme con il gruppo di assiomidi una teoria, tutta la successione di teoremi che ne derivano. (Quie palese il richiamo a Descartes, con una differenza pero: secondoDescartes l’intelletto divino coglierehbe d’un solo tratto l’eviden-za di tutti gli assiomi e di tutti i teoremi della teoria; secondo Hahntale intelletto coglierebhe d’un tratto i legami di dipendenza di tuttii teoremi della teoria dagli enunciati assunti come assiomi di essa,senza riconoscere l’evidenza né degli uni né degli altri.) Solo unintelletto finito come il nostro (e qui e di nuovo manifesta l’analo-gia con Descartes) avrebbe bisogno della logica, non essendo ingrado di percorrere senza di essa la lunga catena dei nessi che colle-

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Logica e dialettica

gano i teoremi agli assiomi. Quanto poi alla f2\m0Sf>\ iI1'fUiZi0ne deisopra ricordati matematici pre-intuizionisti, essa non sarehhe altro,secondo Hahn, che una scorciatoia non esclusa per_pr1nc1p1o dallalogica; ma appunto per essere una semplice scorciatoia, non avrehbealcuna funzione conoscitiva, hensi soltanto pratica. ‘ _

Dopo avere hrevemente abhozzato i caratteri essenziali .delle treconcezioni anzidette, qualcuno ci chiedera quale di esse riteniamodi poter condividere. La nostra risposta ez non riteniamo di po-terne condividere alcuna. Tutte e tre infatti hanno il difetto diconsiderare le teorie matematiche soltanto in se stesse, come co-struzioni formulate entro un linguaggio chiuso artificiale? senzacalarle nella realta storica, e quindi senza cercare di cogliere effetti che sono in grado di produrre entro quella piu ampia totalita(non assiomatizzahile) che ahhiamo chiamato “patrrmonio scienti-fico-tecnico.” E proprio da questa impostazione astratta che discen-de, a nostro avviso, la difficolta di determinare il valore conosci-tivo delle teorie matematiche, cioe di rispondere alle domande:risultera esso connesso all’evidenza degli assiomi? o alla farnosaintuizione di cui parlavano Poincaré, Enriques, ecc.? Quandoinvece si calino tali teorie nella concreta realta storica, sara age-vole determinare il loro valore conoscitivo analizzando il contri-buto che esse danno all’incremento del patrimonio scientifico-tecnrco di cui si e prlato.

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Ecco per esempio quanto ho scritto in proposito nel 1953:

E innegabile che, nell’opera di concreta formazione di una teoria, lateoria elaborata non possiede sempre quella chiusura logica, che pur costi-tuisce la caratteristica delle teorie perfette... [Il fatto e] che una _teoriascientifica rigorosa, put nella sua indipendenza logica dal _linguaggxo _CO-

mune, pub provocare nel1’animo del _ricercatore notevolissime chiarifica-zioni circa problemi emersi nel hnguaggio comune.

E in tale sede citavo, come esempio assai illuminante,_ la chia-rificazione recata dalla teoria degli insiemi al groviglio di proble-mi (confusamente percepiti anche dal non _matemat1co) concer-nenti la decomponibilita della retta in punti: problerni general-mente denotati con le affascinanti e un po’ misteriose parole la-hirinto del continuo.” Tenendo esplicitamente conto di tale chia-rificazione, il matematico francese Emile Borel gsservo che, dopoavere riflettuto su quanto la te ' li_i11Si;Ilnc1 inseglla a PFC'posito del famoso pppA_elmcontinuog *si sara meno disposti a

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credere -- come crede l’uomo comune _ di conoscere davverocio che e il continuo, o di averne un’idea intuitiva immediata.

Certamente possiamo ancora affermare che la conoscenza co-si acquisita ha il carattere di una intuizione: ma non si tratta diuna intuizione che anteceda lo sviluppo di una teoria o che servaacl abbreviarlo; E: una intuizione che scaturisce da una riflessionesulla teoria stessa (considerata nella sua totalita) e sugli apportida essa recati alla delucidazione di prohlemi formulabili anche aldi fuori del suo ambito.

In conclusione, noi ci troviamo di fronte a quattro indirizzi,profondamente diversi fra loro, tutti abbastanza significativi. Ilprimo identifica il conoscere con il “cogliere l’evidenza” di certeproposizioni, e percio relega la logica al rango di mero strumen-to per trasferire sui teoremi l’evidenza posseduta dagli assiomi(stando a questo indirizzo, la matematica potrebbe venire consi-derata un’attivita conoscitiva solo nel momento in cui formulas-se enunciati che ci fanno cogliere delle verita intuitive). Il se-condo nega esso pure ogni funzione conoscitiva alla logica, manega nel contempo una funzione autenticamente conoscitiva alleteorie inatematiche, attribuendo questa funzione al solo atto intui-tivo con cui il matematico di genio riesce a “divinare” i piu recon-diti comportamenti degli enti matematici. Il terzo indirizzo negaogni valore conoscitivo alla matenaatica perché la ritiene intera-mente riducibile alla logica, cioe a una catena di tautologie (peresso, l’atto intuitivo del matematico di genio avrebbe solo il valo-re di scorciatoia, non di autentica conoscenza). ll quarto infine,diversamente dai precedenti, attribuisce alle teorie matematicheun’autentica funzione conoscitiva proprio in quanto logicamentestrutturate; ma pub sostenere questa tesi solo perché ritiene chetale funzione vada cercata nel rapporto fra il “sapere matemati-co” e il “sapere comune”: le teorie matematiche eserciterebloerocioe una funzione conoscitiva in quanto riuscirebbero a chiarirecerti problemi fondannentali che anche il non matematico intrave-de senza pero essere in grado di risolverli e nemmeno di enun-ciarli con precisione.

Qualcuno potra a questo punto osservare che la funzione at-trilouita alle teorie rnatematiche (e alla logica che le sottende) dalquarto indirizzo testé menzionato non e tanto una funzione cono-scitiva nel senso tradizionale del termine, quanto la funzione diaccrescere la nostra “consapevolezza” intorno a problemi ini-zialmente affiorati fuori dell’ambito delle teorie stesse. Rispon-

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Logica e dialettica

diarno che questo aumento di consapevoleaza appare, _C0lniu{“iqU€>

qualcosa di molto importante da varrpunti di yisiia, S1CC C `1 VO'lerlo escludere dall’ambito delle attivita conoscitive non puo non

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lasciarci notevolmente perplessiz non sara forse leffetto dl 11112

interpretazione troppo restrittiva dell’att1v1ta del conoscere?

3. Necessim di estendere le nostre indagini me/Je alle nozioni nonesattamente definite

Come risulta da tutti gli indirizzi delineati nel paragzrafo pre-cedente, per poter attribuire un qualche valore conoscitivo allamatematica non basta prendere in considerazione la sola strutturalogica delle sue teorie; occorre infatti riuolgersi all’ev1denza deisuoi assiomi, o alla capacita intuitiva dei ricercatori di genio, o airapporti tra il “sapere matematico” e il ‘isapere comunef M8,.C1C?

facendo, non si finisce inevitabilmente di cadere in considerazionipsicologistiche? Riteniamo di poter rispondere, che questa presun-ta inevitabilita si fonda sopra una postulazione tutt’altro che indi-scutibile: la postulazione, cioe, che o si fa della pura logica nelsenso stretto del termine o si fa della psicologia. A noi pare inveceche il prohlema sia assai piu complesso, in quanto investe una que-stione gia affiorata nel capitolo precedente: intendiamo riferirciall’esigenza di estendere il campo delle nostre indagini al \Cl1.l3 461

limiti della pura logica, senza percio cadere in discorsi vaghi e in-concludenti. _ _ `

Insistere sulla necessita di ampliare le nostre indagini al di ladel dominio del rigore, non significa sostenere che possiamo ab-bandonarci alle piu insulse fantasticherie o all’1mprovv1saz1one,all’istinto, ecc. Significa soltanto riconoscere (il che certamentenon e poco) che le nostre indagini sulla screnza non po_ssono_ ve-nire circoscritte al Campo di cio che E: effettivamenteassiomatizza-to o potenzialmente assiomatizzahile. Senza dubb1o_1l metodo as-siomatico e uno degli strumenti piu potenti della scienza della no-stra epoca; ma esso non puo e non deve distoglierci dal prenderein considerazione anche certi aspetti della ricerca scientifica chenon risultano indagabili con tale strumento. Trattasi di aspettl ilcui studio richiede, esso pure, grande attenzione e grande impegno.

`”Esso non ci porta subito a risultati altrettanto notevoli quantoquelli conseguiti mediante l’analisi dell’aspetto assiomatico delle

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Scienza e realismo

teorie; ma e difficile negare che sono essi pure risultati assai illu-minanti.E comunque uno studio cui sarebbe dogmatico rinunciare apriori, essendo ormai chiaro che questa rinuncia comporterehbe larinuncia ad affrontare problemi, come ad esempio quello del valo-

re conoscitivo della matematica, che presentano un indubbio in-teresse per chi voglia indagare non una idea astratta di scienza mala scienza cosi come si e venuta costituendo nella realta storicaconcreta.

Sembra qui il caso di ricordare che gia Gaston Bachelarde giunto a scrivere in tutte lettere che e necessario “restituire lacoscienza del non rigoroso perché sia possibile una piena presa dicoscienza del rigore” (Le mtiomzlisme appliqué, 1949). Interpretan-do liberamente il senso delle parole ora riportate, possiamo dire cheuno studio controllato dei rapporti fra concetti esattamente defi-niti e nozioni fornite di una certa indeterminatezza _ come appun-to quelle piu sopra accennate - ci e di estremo aiuto per giungeread una piena presa di coscienza del significato, dei limiti, delle im-plicanze di quegli stessi concetti rigorosamente definiti che inter-vengono negli anzidetti rapporti.

In effetti, se noi prendiamo in esame una teoria rigorosamen-te costituita (per esempio una teoria matematica integralmente as-siomatizzata o l’apparato logico-matematico di una teoria fisica)senza prestare alcuna attenzione ai suoi rapporti con il linguaggiocomune, con il patrimonio scientifico-tecnico della sua epoca, coni problemi generali cui questo patrimonio da luogo, ecc., tale teo-ria ci si presentera come un edificio del quale non comprendiamola funzionené le motivazioni: non comprendiamo, in particolare,quali effettivi vantaggi essa offra rispetto a un discorso disorgani-co e impreciso. In altri termini: la teoria rigorosamente costituitaci apparira come un edificio concettuale da accettarsi senza giusti-ficazione, con un atto in ultima istanza dogmatico.

Essa ci apparira inoltre priva di qualsiasi dinamica. Ed infattisono proprio le concezioni non rigorose (espresse nel linguaggiocomune o in linguaggi propri di fasi precedenri della ricerca scien-tifica) cio che spinge lo scienziato a tentare vie nuove, a rielabora-re i sistemi di assiomi attualmente in uso, a correggerli, ad ampliar-li, o eventualmente sostituirli con alrri del tutto diversi. Conside-rata al di fuori di questa dinamica l’accettazione di una teoria ri-gorosa viene proprio ad assornigliare a cio cui essa pili si contrap-poneva: cioe alle conoscenze intuitive.

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Logiczz e dialettica

Lannecessita di-estendere le- nostre indagini anche _al non ri-goroso e dunque qualcosa di inevitabile. Non Sl., tratt di -includerenel nostro esame gli stati d’anin1o (incomunicabili e QaSSf3S8@f1_) delsingolo scienziato, ma una infinita dnnozioni, d1_dat1, di nessrcheper il rnomento fuoriescono dal dominio gia solidamente costitui-to della ragione e che tuttavia questa non puo trascurare prop;i0perché ha il compito di razionalizzarli. L oggetto della filoso 1a

della scienza non deve essere costituito soltanto dalle teorie per-fettamente costruite, ma anche da quelle appena abbozzate» 111 Viadi rapido sviluppo.

4. Il mezfodo dialettico

E fuori dubbio che lo studio dei rapporti _del tipo teste ac-cennato non puo venire eseguito con gli _stessi metodi utiliazatlper studiare i rapporti fra proposizioni di una teoria _scientiiicarigorosa. Accadra si, in taluni casi, che alcune nozioni all_1n1z1onon esattamente definite vengano poi determinate con preC1S10n€attraverso opportuni accorgimenti, e possano in tal modo entrarea far parte di trattazioni logicamente perfette; e questo un proces-so oggi hen noto ai filosofi della scienza, cheagli hanno <;la1lO 11

nome di esplicazione (da non confondersi con spiegazione _)- ES-so puo venii`é”E"<T§i“”§:hematizzato: srha un termine dal significatoampio e impreciso ,Qeuzgplicandumli gli si fa corrispondere un termi-ne preciso (explicatuml,“c`E7 siede alcune ma non tutte_ le carat-teristiche dellleiiplicandum e, se del caso, qualcuna in P1113 S1 fi'giona sull’explicatum invece di ragionare sull’eXpl1candum. Con (210

si compie un enorme guadagno in esattezza, ina siyperde in ric-chezza semantica perché l’eXplicatum non possiede lintera gammadi significati (di sfumature, di implicanze, ecc.) che caratterizzava-no l’e>5ph@§lg,;13i,,In taluni casi si giungera persino a_ far CQUI-spondlere al medesimo explicandum due explicata diversi, il primodei quali coglie un aspetto dell’expl1candurn mentre 'il secondo DC

puntualizza un altro. Si riuscira cosi a inserire la noz1one_1n esameentro uno, o eventualmente entro due sistemi, ove_ tutti 1 rapportisono chiaramente determinati, cioe entro sistemi rigorosarnentematematizzahili; e si potra anche sostenere che 1 risultati ottenutiin questi sistemi valgono per la nozione inizialmente considerata.Ma e ovvio che, in realta, valgono non per essa hensi per il suoexplicatum (o i suoi explicata). Non si esclude, con cio, che gettino

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Scienza e realismo

un’autentica luce anche sulla nozione primitiva (come si verifica,ad esempio, per la nozione di “labirinto del continuo” cui abbia-mo fatto cenno nel secondo paragrafo), ma si tratta comunque diuna luce riflessa: ottenuta mediante uno spostamento di piano,cioe mediante una traduzione della nozione (e dei prohlemi ad es-sa relativi) da un linguaggio ad un altro.

Vi sono dei casi in cui questa traduzione viene pacificamenteaccolta, e si giunge perfino a dimenticare che la nozione rigoro-samente definita (l’eXplicatum) scaturiva da una precedente no-zione assai piu vaga (l’eXplicandum). In altri casi pero una proce-dura del genere sembra destinata ad alterare profondamente la na-tura della nozione primitiva, sicché si preferisce conservare questanozione con tutte le sue indeterminatezze anziché sostituirla, sa-crificandone l’originaria ricchezza di significati.

Cio accade soprattutto per le nozioni che vengono introdottenella descrizione dei fenomeni storici. In questi casi infatti E: pro-prio l’indeterminatezza di tali nozioni cio che permette di appli-carle a situazioni in movimento, nelle quali - diversamente dacio che accade nei fenomeni temporali studiati dalle scienze esatte_ questo movimento non obhedisce ad alcuna regolarita (per esem-pio di tipo matematico).

Il metodo dialettico, a cui e dedicato il presente paragrafo, eproprio sorto dal tentativo di razionalizzare situazioni del genere,che si sottraggono per la loro stessa natura ad ogni applicazione delmetodo logico-rnatematico. Alcuni studiosi sembrano ritenere chei fenomeni di tipo storico, particolarmente quando si tratta distoria delle costruzioni concettuali (come appunto le teorie scienti-fiche), possano venire descritti solo con metodi psicologici (peresempio analizzando i processi mentali che hanno condotto questoo quello scienziato a ideare un certo gruppo di assiomi matematicio una data ipotesi fisica). I fautori del metodo dialettico ritengo-no invece che il ricorso a metodi psicologici sia gravemente ridut-tivo perché ci impedisce di prendere in considerazione vuoi i fat-tori obiettivi (economici, ecc.) che di solito intervengono nella pro-duzione dei fenomeni di tipo storico con un peso ben maggioredei fattori meramente psicologici, vuoi i profondi nessi che emer-gono all’interno di tali fenomeni nel corso del loro sviluppo (nes-si che fuoriescono dal genere di legami ordinariamente studiati dal-la logica, anche se talvolta affiorano nello sviluppo delle stessepiu rigorose teorie scientifiche: si pensi per esempio al reciprocorichiarnarsi di “poli” formalmente antitetici come, in matematica

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Logica e dialettica

e in fisica, le nozioni di continuo e discontinuo). L’ambizione delmetodo dialettico sarebbe per l’appunto quella di risultare appli-cabile alla dinamica dei fenomeni testé accennati, senza cadere nenelle astrattezze della matematica né nel soggettivismo della ps1-cologia.

_ _ _ _

Quali sono dunque i lineamenti pid caratteristici di tale meto-do? Riservandoci di tornare varie volte su questo interrogativo nelseguito del volume, qui vogliamo anzitutto far notare che abbiamoespressamente parlato di “metodondialettieei e non di 3931531,chalet,tiea;Q~perché on ' l` 'ame ere~che-lafeliale-t-»tica condurr 4 va-logic-ai e tanto meno che questa nuo-va logica dovrehbe sostituire la logica formale. Per una critica va-lidissima di questa assurda pretesa, rinviamo al_noto saggio diPopper, dal titolo C/oe casa é la diazletzfica? Cio cui il metodo dialet-tico ambisce, E: soltanto - come gia ricordammo -- (ill poter V§-nire applicato con successo ai processi (per esempio di tipo stori-co) ai quali il metodo assiomatico non risulta in alcun modo ap-plicabile.

_ _ _

I lineamenti che possono venire assunti a caratterizzare il me-todo dialettico sono, a nostro avviso, particolarmente due. Cerche-remo di esporli in forma molto schematica, fermandoci soprattuttosul secondo.

_

1. In primo luogo il metodo dialettico ci rammenta che il fe-nomeno da studiare (per esempio un processo di tipo storico) vaconsiderato in tutto il complesso dei suoi rapporti interni, nes-suno escluso, cioe tenendo conto dei rapporti (bidirezionali e ua-riabili col parametro tempo) che intercorrono tra i suoi moltepl1c1fattori, da considerarsi sempre come strettamente solidali fra loro.Con questa esortazione esso denuncia il carattere rllusorio dellapretesa di poter esaminare il fenomeno preso in considerazioneisolandone alcuni fattori e immaginando che il rapporto i§ra_duequalsiasi di tali fattori (per esempio A e B) possa venire chiarito afondo limitandosi a studiarne una sola direzione (per esempio quel-la da A a B, e non quella da B ad A). Ovviamente cio non esclu-de che, in taluni casi, possa rivelarsi assai opportuno procedereall’isolamento di pochi fattori e allo studio di una sola _direzionedei loro reciproci rapporti; ma va tenuto presente _che 1 risultaticosi ottenuti saranno solo provvisori, dovendo Yenire _sempre 1n-

,tegrati da altre considerazioni, senza di che l’1mmag1ne del fe-nomeno in esame risultera limitata e distorta. _

Senza dubbio as lecito osservare che una analoga esigenza di

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integrazione e presente nello studio di tutti i fenomeni, qualunquesia il metodo con cui tale studio viene condotto. Ma per i fe-norneni che possono venire esaminati soltanto con il metodo dia-lettico iper quelli, ad esempio, che fanno riferimento a situazioniin movimento nelle quali questo movimento non obbedisce ad al-cuna regola-rita matematica), l’esigenza di una visione globale e parti-colarmente significativa, perché e in gioco una glohalita fluida,nella cui costruzione intervengono un numero illimitato di fattori.

A questa globalita fluida si attribuisce talvolta il nome di “uni-ta_ dialettica,” a proposito della quale va pero osservato che l’at-tributo “dialettica” sta solo ad indicare che si tratta di una unitaessenzialmente dinamica, che scaturisce da un fitto intreccio difattori non determinabili a priori, e spesso legati gli uni agli altrida rapporti molto complessi, tra cui puo essere presente anche unrapporto di contraddizione.

2. In secondo luogo, cio che caratterizza il metodo dialetticoe proprio l’importanza specialissima da esso attribuita al rappor-to di contraddizione. Trattandosi di un punto di particolare im-portanza, sara hene cercare di chiarirlo anche per mezzo di qual-che richiamo storico.

Come me noto, secondo Hegel il compito fondamentale delmetodo dialettico sarebhe quello di tradurre lo sviluppo del pen-siero (e con esso di tutta la realta) in una successione di “triadi”costituite, ciascuna, da una tesi, un’antitesi e una sintesi. L’anti-tesi scaturirehbe dalla tesi stessa, in quanto questa rinvierebhenecessariamente alla propria negazione; e la sintesi scaturirebbedalla coppia tesi-antitesi in quanto le due, negandosi a vicenda,rinvierebhero a una nuova affermazione capace di “superarle”ovvero di “conciliarle” (cioe di precisare i limiti del loro reci-proco contraddirsi, al di la dei quali risulterebhe possihile acco-glierle entrambe).

_ Per verita si potrehhe osservare che la fecondita della nega-aione era gia stata scoperta, ben prima di Hegel, dai matematici1 quali ne avevano fatto largo uso nelle dimostrazioni per assur-do.‘l\/la 1 seguaci di Hegel sostengono che nella dialettica la ne-gaaione rappresenta qualcosa di hen piu importante che un sem-plice artificio dimostrativo; esso riuscirehhe infatti a cogliere lastruttura piu profonda del pensiero (e della stessa realta) ove so-no sempre riscontrahili due tendenze, l’una in antitesi con l’altra.La presenza di queste due tendenze antitetiche avrebbe una fun-zione determinante nei fenomeni di tipo storico, in quanto sta-

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Logica e dialettica

rebhe all’origine della loro stessa dinamicita. Di qui la necessitadi fare ricorso al metodo dialettico per studiare tali fenomeni, e,in ultima istanza, per studiare l’intera realta se si vuole coglierlanel suo divenire storico (e non solo nel suo aspetto statico).

Senza duhbio gli avversari del metodo dialettico possono ahuon diritto sollevare contro di esso numerose obiezioni, accu-sando tutti coloro che vi hanno fatto ricorso (e in primo luogo lostesso Hegel) di avere costruito le loro triadi dialettiche sulla ba-se di termini equivoci, di metafore illusorie, di analogie fanta-stiche, prive di qualsiasi fondarnento reale.

Una elencazione precisa e accurata di tutte queste obiezionisi trova nel saggio di Popper poco sopra citato, che merita divenire considerato veramente esemplare per rigore e chiarezza.Un solo difetto gli puo venire rimproverato: quello di identifi-care il metodo dialettico (inteso in tutta la sua generalita) con ilmetodo triadico hegeliano. Cosi per esempio egli scrive che “ladialettica [...] e una teoria la quale afferma che qualcosa -- inparticolare il pensiero umano - si sviluppa- secondo un proce-dimento caratterizzato dalla triade dialettica: tesi, antitesi, sin-tesi.” I fautori odierni della dialettica, pur riconoscendo i meri-ti di Hegel nell’avere evidenziato -- mediante le sue triadi -l’importanza della contraddizione, non semhrano affatto dispo-sti ad accogliere la successione delle triadi hegeliane e nemmeno,in generale, il ricorso al metodo triadico.

Vedremo per esempio, nel seguito della nostra trattazione (inparticolare nel sesto capitolo), che per Mao Tse-tung il cornpitoessenziale del metodo dialettico consiste nell’individuare le con-traddizioni presenti nei fenomeni studiati (in genere fenomeni ditipo storico), nel determinare caso per caso se si tratta di con-traddizioni piu o meno profonde, nel coglierne tutti gli effetti,e infine nell’indicare la via per risolverle. Il fatto stesso che eglianalizzi la funzione della contraddizione senza fare riferimento alcaso specifico della contraddizione tra tesi e antitesi, Sta ad indi-care che per lui il metodo dialettico non ha piu nulla a vedere colmetodo triadico hegeliano.

Diversamente da Mao, il filosofo sovietico I. S. Narski sem-bra ancora riconoscere l’importanza della triade tesi-antitesi-sintesi,ma e facile rendersi conto che ne da un’interpretazione assai di-versa da quella di Hegel. Si rifiuta infatti di scorgere nella sintesi

‘fla mera congiunzione di tesi e antitesi (sia pure entro ben de-terminati limiti); tale congiunzione e, secondo lui, inaccettahile

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perché manifestamente vietata dalla logica formale. I1 Vero scopo “i

del metodo dialettico sarebbe quello di farci reinterpretizre latesi e l’antitesi chiarendole una per mezzo dell’altra, fino a ri-muovere la presunta identita dei concetti da esse adoperati. Pro-prio sulla base di questa reinterpretazione, e solo su di essa, sarainfine possihile parlare di affermarle entrambe nella sintesi. lnaltre parole, anche per lui la contraddizione e al centro del me-todo dialettico, come stimolo ad approfondire e precisare l’auten-tico senso della tesi e dell’antitesi, portandole a un piano ove illoro carattere antitetico si dissolve. A differenza di cio che accadenelle teorie scientifiche, la contraddizione andra risolta, non conun mutamento degli assiomi che stavano alla base della teoriarivelatasi contraddittoria, ma con un approfondimento e una rein-terpretazione dei concetti usati.

Un altro valente studioso sovietico, B. M. Kedrov, pur ac-cettando anch’egli la terminologia hegeliana, dimostra con chia-rezza di avere compreso che il punto piu delicato del metododialettico consiste nel rapporto fra contraddizione e superamentodella medesima: superamento che non si raggiunge “mediante unqualche accordo [fra sostenitori della tesi e sostenitori dell’an-titesi] o attraverso delle concessioni reciprocheu.” poiché “...laverita non sopporta un metodo eclettico, non sopporta la ciarla-taneria conciliativa.”

Siamo dunque hen lungi dallidentificazione della dialetticacon l’affermazione che lo sviluppo del pensiero (e della realta)sarehbe caratterizzato da un processo triadico di tipo hegeliano.Richiamarsi al metodo dialettico significa oggi riconoscere la ne-cessita di ampliare la nozione di ragione, rifiutandosi di identifi-carla con la sola razionalita (pure importantissima) che si esprimenella logica formale; e significa soprattutto riconoscere che que-sto arnpliamento deve venire compiuto attraverso un riesame ap-profondito della funzione spettante alla contraddizione (alle an-tinomie, ai paradossi e in generale alla negazione).

5. Il ricoifso alla dialetiiciz iiello studio clel “patrimonio scientifica-teciiico”

Nell’ultimo paragrafo del primo capitolo ahhiamo tentato diabbozzare una nozione _ quella di “patritnonio scientifico-tecnico”_ distinta dalla nozione di “teoria scientifica,” sebhene in stretta

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relazione con essa. In tale sede abhiamo anche sottolineato che unadelle principali differenze fra “patrimonio scientifico-tecnico” e teo-rie scientifiche risiede nel fatto che queste ultime sono tutte forma-lizzabili almeno in via di principio, in quanto proprio la formaliz-zazione rappresenta il modo piu rigoroso di esporle, mentre quellosi sottrae ad ogni tentativo di formalizzazione perché i fattori checoncorrono a costituirlo sono innumerevoli e variahili di epoca inepoca.

Stante questa situazione, Ee ovvio che non avrebbe senso volerapplicare allo studio dell’anzidetto “patrimonio” quella medesimalogica formale che rappresenta lo strumento piu idoneo all’esamedelle singole teorie scientifiche. Diventa quindi spontaneo, dopoquanto abbiamo chiarito nel paragrafo precedente sul metodo dia-lettico (da noi interpretato come essenzialmente proteso ad amplia-re la nozione di razionalita), chiederci se lo strumento piu idoneoallo studio del “patrimonio scientifico-tecnico” non possa proprioesserci fornito dal metodo dialettico. Il difficile prohlema dellacompatibilita tra i due metodi (logico iormale e dialettico) potrebhecosi venire avviato a soluzione sulla base della distinzione fra ilCampo di applicazione dell’uno e quello dell’altro.

Esistono almeno tre motivi che possono venire addotti per giu-stificare lapplicazione del metodo dialettico allo studio del “patri-monio scientifico-tecnico ” :

1) questo “patrimonio” possiede una ineliminahile dimensionestorica tesrquindi va trattato econ lo stesso tipo di categorie, nonrigide, normalmente usate nella descrizione di qualsiasi fenomenostorico;

2) esso ha un tipo di rapporto nettamente particolare con leteorie scientifiche, perché viene arricchito non solo dai loro successima anche dai loro insuccessi, in quanto questi ci ohhligano a rive-derne i fondamenti, a modificarli e perfino, in taluni casi, a sosti-tuirli;

3) ha una struttura che si presenta nel contempo come multi-pla e come unitaria: multipla perché generata da tante acquisizioniscientifiche e tecniche fra loro distinte, unitaria perché costituitadall’intreccio di queste acquisizioni, non dal semplice accostamentodi esse, prese ciascuna nella sua singolarita. (Si ricordino le paroledi Quine citate nell’ultimo paragrafo del capitolo primo: “vediamola totalita della scienza come un unico sistema [...] in alcune particonnesso in modo vago, ma in nessuna parte privo di connessione. ”)

Qualcuno tentera forse di ohiettare che l’applicazione del me-

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todo dialettico allo studio in questione non arreca alcun autenticovantaggio. Esso si ridurrebbe infatti _ secondo tali critici _ adasserire che E: impossibile applicare a1l’esarne del “patrimonio scien-tifico-tecnico” la logica formale, Cosa questa sulla quale e facile tro-varsi d’accordo; ma non fornirebbe il henché minimo suggerimentoconcreto circa il modo di condurre tale esame.

A nostro parere, le cose non stanno esattamente cosi. Purtrop-po non possiamo, per ovvie ragioni di spazio, confutare l’accusatesté accennata fermandoci ad analizzare -- come sarebbe interes-sante - tutte le forme particolari nelle quali si articola in concre-to tale patrimonio. Possiamo comunque riconoscere agevolmenteivantaggi che derivano dall’inquadrarlo in una concezione dialettica.Chi puo invero negare che, se ci ponessimo da un punto di vista non-dialettico, dovremmo qualificare come un’autentica assurdita l’attri-buzione al “patrirnonio” in questione di un carattere unitario enel contempo di un carattere multiplo? e che dovremmo di conse-guenza respingere la nozione stessa di “patrimonio scientifico-tec-nico,” pur rivelatasi tanto importante nell’esan1e del “fenomenoscienza” considerato nella sua concretezza storica? Ma vi e dipiu: chi puo negare, sempre che si ponga da un punto di vistanon dialettico, l’assurdita della tesi secondo cui il patrimonioin questione verrebbe accresciuto tanto dai successi quanto dagliinsuccessi delle varie teorie che confluiscono in esso, tanto dalleloro conquiste quanto dai loro errori, e perfino dal loro scontrar-si in ostacoli che non riescono a superare?

Per non arretrare di fronte a tali “assurdita,” occorre ammet-tere che il “patrimonio scientifico-tecnico” ha una “natura” deltutto diversa da quella delle teorie scientifiche; teorie che risul-terebbero manifestamente inaccettabili se viziate da pari contrad-dizioni.

Il fatto Ez, invece, che se non limitiamo il nostro sguardo al-le teorie rigorosamente costituite, ma lo arnpliarno alla “scienza indivenire,” ci imbattiamo spesso in contraddizioni gravissime chenon hanno per nulla fermato la ricerca scientifica ma anzi l’hannofortemente stimolata. Basti pensare alle famose “antinornie dellateoria degli insiemi”; esse parvero in un primo tempo delle au-tentiche sconfitte della razionalita scientifica (e come tali forni-rono occasione a una pericolosa rinascita di indirizzi filosofici ditipo nettamente irrazionalistico), ma invece, col trascorrere deglianni, si rivelarono in grado di aprire nuovi orizzonti a tale ra-zionalita, si da poter venire considerate, non come sintomi di

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Logica e dialettica

crisi, bensi di grande vitalita della matematica. E altrettantopotrebbe ripetersi per le antinomie emerse nella nuova fisica,ad esempio per l’antinomia onda-corpuscolo, che_ non tardo adare luogo a possenti sviluppi teorici e sperimentali. _ _

lfattribuzione di una natura dialettica al “patrimonio scien-tifico-tecnico,” e la conseguente affermazione che per studiarlooccorre applicare il metodo dialettico (non _la logrca formale)comporta appunto che non si rinunci a fare ricorso a tale nozio-ne per il semplice fatto che essa presenta delle proprieta contrad-dittorie. Evidentemente, come ahbiamo chiarito _nel paragrafoprecedente, uno studio accurato di tali proprieta ci mostrera cheesse, pur essendo contraddittorie se considerate ad un certo pia-no, non lo saranno piu se considerate ad un piano prim profondo;ma cio non toglie che a un primo esame risulterebbe molto diffi-cile accettarle, se ci si ponesse da un punto di vista non dralettlco.

Per essere disposti ad accogliere la nozione in esame, occor-re avere chiararnente compreso: 1) che la decisione di applicareil metodo dialettico allo studio del “patrimonio scientifico-tecni-co” non ci impedisce affatto di continuare ad applicare_ scrupolo-samente la logica formale nella costruzione delle teorle scienti-fiche; 2) che tale applicazione non arresta affatto le nostre inda-gini, ma anzi le sprona vigorosamente, perché ci spinge ad analiz-zare in modo sempre piu profondo le proprieta antitetrche di det-to patrimonio, illuminandole l’una per mezzo dcll’altra. _

Vogliamo negare la razionalita di una indagine approfonditadella nozione di “patrimonio scientifico-tecnico” (della sua coin-plessa struttura, ecc.), solo perché essa esige l’uso di metodr di-versi sia da quelli applicati nella maternatica sia da quelli appli-cati nelle scienze empiriche? ma allora, per qual motivo chiame-rerno “razionali” tanto i metodi applicati nella matematica quantoquelli applicati nella fisica, nella chimica, ecc., _pur non potendonegare che sono nettamente diversi gli uni dagli altrr?

La presunzione che si possa parlare di razionalita solo quandosi applicano certi determinati metodi, fissati a priori, non puoche essere frutto di ci_eco dogmatismo. Una autentica consapevo-lezza critica deve invece indurci ad ammettete che la razionalitapossa esplicarsi in forme sempre nuove; e ad ammettere,‘d1 con-seguenza, che nulla possa vietarci di considerare come inconte-stabilmente razionale anche la dialettica.

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Capitolo terzo

La questione del realismo

1. Il problema del solipsismo

Le` prime e piu. radicali obiezioni al realismo provengonocome e noto, dal solipsismo. Cominceremo quindi la nostra inda-gine _accennando alla tesi centrale di questo antico e paradossale1nd1r1zzo; non certo per farne un esarne dettagliato ma perchéessa_ puo offrirci alcuni spunti di qualche interesse’per i para_grafl successivi._ Tale tesi pub Yenire cosi riassunta: -esisto soltanto io (ove1l termrne _io ’ designa il mio essere inclivicluale concreto), men-tre tutt1` gli altrr esseri (uomini e cose) sono unicamente mie$136, croe, la loro presunta esistenza oggettiva é illusoria. Il noc-ciolo dell argomento e questo: una Volta stahilita una certa baseper gli enunciati esistenziali (base che nel caso presente e iden-tificata con 1l mio percepirli) diventa impossihile manipolare ta-le base in modo da riuscire ad oltrepassarla.

Il solrpsismo subi parecchi sviluppi nel corso dei secoli, assu-mendo forme spesso molto sofisticate. Le piu recenti sono i1cosi detto solrpsismo “linguistico” di Wittgenstein e quello “me-todlco ’ d1_ CNMP- Come e noto, questi due autori hanno esercita-to e continuano _ad esercitare una profonda influenza su larghesdllem dl f11f’S0f1, 1 quali, pur senza accoglierne appieno tutte letesi, pe condividono - in linea di principio - la nuova e carat-teristica impostazione del problerna della conoscenza.

_ Ma I}OIi sarebbe esatto ritenere che solo i filosofi, e non gliSCl€1]Z12t1, sr siano scontrati con la sconcertante posizione del soli-PS1S11}0- LH tr0v}am0, per esempio, seriamente discussa dal fisicoEflstfgl? Ludwig B0l1IZn}ann, uno_ dei massimi scienziati dellaine e secolo scorso. Linteressantrssima tesi da lui sostenuta al

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La questione del realismo

riguardo e che il solipsismo non pub venire confutato per viapuramente dimostrativa, poiché l’immagine che esso fornisce delmondo, sebbene ripugni al senso comune, e perfettamente coe-rente dal punto di vista logico.

Riteniamo doveroso dire in modo esplicito che, pur dissen-tendo da altre posizioni di Boltzmann, ne condividiamo appienola ,tesi testé citata, e che anzi la riteniamo particolarmente si-gnificativa dal nostro punto di vista, sembrandoci costituire unanuova prova contro la pretesa che la logica esaurisca tutta la ra-zionalita.

Vale la pena comunque aggiungere che, secondo il grande fi-sico austriaco, l’unico modo per demolire la base logicamenteineccepibile del solipsismo consisterebbe nell’esigere che ven-gano precisate le regole per l’uso degli enunciati esistenziali. Ci li-miteremo a riferire, in proposito, un significativo brano dello stes-so Boltzmann citato da E. Bellone nel suo volume Il mondo dicam: (1976):

Se qualcuno dovesse asserire - scrive Boltzmann in tale brano - chesolo le proprie sensazioni esistono, rnentre quelle degli altri sono soltantol’espressione nella sua mente di certe equazioni fra certe sue sensazioni, noidovremmo in primo luogo chiedere quale senso egli attribuisca a tutto cio,e se egli esprima questo senso in modo appropriato.

La sottigliezza di queste considerazioni di Boltzmann e fuoriduhhio (esse precorrono certe argomentazioni che verranno piutardi sviluppate dal “Circolo di Vienna”). Va pero subito aggiun-to che, se oggi nessuno scienziato aderisce alla tesi Centrale delsolipsismo, non E: per merito di tali considerazioni. I motivi chelo inducono a respingere il solipsismo sono piu semplici e piu im-mediati.

Potremmo cosi riassumerli: quando ci sforziamo di entrare incontatto con altri individui o con oggetti qualsiasi del mondo checi circonda, li percepiamo come qualcosa che, pur dipendendo inparte dal nostro modo di prenderli in esame, riesce indubhiamen-te a condizionarci. Chi volesse sostenere che questi individui odoggetti, che interagiscono con noi, sono soltanto “l’espressionenella nostra mente di certe equazioni fra certe nostre sensazioni”(per usare le stesse parole di Boltzmann) dovrehhe rinunciare apriori a tenere conto della ricchissima messe di esperienze con-crete (di vittorie e di sconfitte) che ci vengono fornite - ogni qual-volta tentiamo di approfondire il nostro contatto col mondo - sia

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Scienza e realismo

dalla effettiva vita quotidiana sia dalla articolatissima e laboriosaricerca scientifica.

Si dira, forse, che respingere il solipsismo senza riuscire a dar-ne una confutazione logica e segno di impotenza e di rozzezza; anostro avviso, pero, tale rifiuto non e affatto segno di rozzezza,qualora venga utilizzato, non per spegnere tutti gli interrogativiche trovano espressione nella tesi solipsistica, bensi per riformu-larli in termini meno paradossali, e rendere con cio pid critica lanostra concezione della conoscenza, ossia per renderci pid consa-pevoli delle difficolta cui andiamo incontro ogni qualvolta parlia-mo dei nostri contatti con cio che e altro da noi.

Segno di effettivo dogmatismo sarehhe, invece, prendere al-la lettera la tesi solipsistica, assumendola come risoluzione defini-tiva di tutti i problemi gnoseologici; e cioe partire da essa per ne-gare validita ad ogni ulteriore indagine sui processi conoscitiviconcreti: per esempio, sui metodi di prova 0 di confutazione ado-perati dalla scienza, e inoltre sulla maggiore o minore profonditadei risultati conseguiti, ecc.

2. Difficoltai del realismo ingenuo

Se laatesi. centrale del solipsismo ci sorprende per la sua sot-tigliezza e paradossalita, quella del cosi detto “realismo ingenuo”ci si presenta invece come del tutto naturale e universalmente ac-cettabile; in effetti suole venire accolta senza discussione dall’uo~mo comune e da non pochi scienziati militanti._ Essa puo venire cosi riassunta: esiste una realta che trascende

1 soggetti conoscenti, e cioe trascende il mondo fenomenico omondo delle nostre percezioni; E: tuttavia connessa a questo mon-do delle percezioni in un doppio senso: perché ne sta ontologica-mente alla base e perché occorre proprio partire dalle percezioniper giungere a conoscerla.

Un esame anche sommario di queste due connessioni sara perosufficiente a porre in luce le difficolta insite in entramhe. E questobastera a farci duhitare della “‘naturalezza” e “universale accet-tabilita” del tipo di realismo che stiamo esaminando.

Per designate la prima connessione ahhiamo appositamenteusato un’espressione alquanto vaga, affermando che i1 mondodelle percezioni troverehhe la propria base ontologica nell’anzi-detta realta che lo trascende. Ma che cosa significano le parole

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La questione del realismo

“stare alla base di” o “trovare la propria base in”? La rispostapid spontanea parrebhe essere questa: la presunta realta trascen-dente e la “causa” delle nostre percezioni. Ma proprio una rispo-sta del genere si e rivelata, ormai da tempo, del tutto inaccet-tabile. E stato Kant a porlo in luce, dimostrando _ con una ce-lebre analisi della categoria della causalita -- che essa puo venireapplicata solo al mondo fenomenico (cioe come affermazione cheun certo fenomeno e o non e causa di un altro), sicché non risultain alcun modo utilizzabile per designare i rapporti fra il mondofenomenico e quello della realta che gli starehbe alla base.

Come ahhiamo accennato nel paragrafo precedente, i motivi- semplici e immediati - che inducono lo scienziato a respinge-re il solipsismo si hasano in ultima istanza sulla necessita di tene-re conto, ogni qualvolta tentiamo di approfondire i nostri contat-ti con il mondo che ci circonda, della resistenza che questo mondooppone alle nostre indagini: resistenza della quale riusciamo tal-Volta vittoriosi mentre altre volte ne siamo sconfitti.

Orbene, se possiamo ritenere che questa resistenza sia suffi-ciente a provarci che il mondo da -cui siamo circondati non e pu-ramente soggettivo (sehbene le percezioni cui fa riferimento ah-biano senza dubhio un carattere sogettivo), solo uno studio ac-curato della struttura concreta di tale mondo ci autorizzera a pre-cisare, grado a grado, quale funzione spetti, nella produzione ditale struttura, al fattore soggettivo e quale invece al fattore nonsoggettivo. Una cosae asserire che il mondo fenomenico dipende,oltre che da noi, anche da qualche essere “altro da noi,” e un’altracosa, del tutto diversa, e pretendere di stabilire a priori in checonsista questa dipendenza.

Trattasi di un problema che potra venire chiarito solo attra-verso una difficile analisi di tutti gli elementi sensoriali e concet-tuali che intervengono nei processi conoscitivi e particolarmentein quelli scientifici.

Il secondo tipo di connessione fra il mondo fenomenico e larealta “altra da noi” della quale -ahbiamo parlato si incentra sul-la tesi secondo cui occorrerehhe proprio partire dai fenomeni perriuscire in qualche modo a conoscere l’anzidetta realta. Anche qui,pero, si annidano gravi difficolta, forse ancora superiori a quelleinsite nel primo tipo di connessione. Esse risultano collegate allaseguente domanda: come e possihile passare dal mondo delle per-cezioni essenzialmente soggettive, a un mondo che trascende in totoil soggetto?

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Scienza e realismo

In genere si afferma che tale passaggio verrebbe operato me-diante un processo astrattivo. Ma se. teniamo presente che tutte leproprieta del mondo fenomenico sono legate ai nostri sensi, nonsi comprende come risulti possibile con tale processo elevarsi aproprieta di carattere non soggettivo. Ed infatti: o astraiamo soloda alcune proprieta sensibili, e allora quelle che rirnangono do-po tale astrazione saranno ancora proprieta sensibili, cioe sog-gettive; o astraiamo dalla totalita delle anzidette proprieta, e al-lora, dopo compiuta l’astrazione, non ci resta pid nulla.

Se ne ha una riprova analizzando cio che e stato fatto dai gran-di pensatori del Sei e Settecento. I meccanicisti (come per es. Des-cartes) cercarono di seguire la prima via astraendo solo dallecosi dette qualita secondarie (colori, suoni, odori, ecc.), e giunse-ro a isolare le cosi dette qualita primarie (geometrico-meccaniche)che ritennero di poter attrihuire alla realta oggettiva; ma il loro ri-sultato venne poi contestato nell’Ottocento, sia perché la distin-zione stessa fra qualita primarie e secondarie si rivelo priva difondamento, sia perché venne osservato che le qualita geometri-co-meccaniche sono esse pure legate al soggetto, e quindi non pos-seggono il carattere oggettivo ipotizzato dai meccanicisti. Nel Set-tecento il filosofo-teologo George Berkeley segui invece la se-conda via, astraendo da tutte le qualita sensihili; ma proprio que-sta astrazione totale lo porto a negate l’esistenza della presuntarealta oggettiva ipotizzata dai meccanicisti. Ne concluse che l’uni-ca realta esistente as quella delle nostre percezioni sensibili: “es-se est percipi.” Al di la di essa, cioe del mondo fenomenico, sa-rebbe lecito fare riferimento solo ad una realta del tutto differen-te da tale mondo, cioe all’essere divino che produrrebbe direttamen-te in noi (in un significato del verho produrre completamente di-verso da quello usuale) le percezioni sensibili. Si tratta, come eovvio, di una conclusione agli antipodi del realismo; essa Vienecomunemente considerata come l’esempio pid tipico di idealismosoggettivo.

ll fallimento di tutti i tentativi rivolti a giustificare la secon-da tesi del realismo ingenuo _ cioe la pretesa possibilita di par-tire dal mondo fenomenico per giungere alla realta ad esso sotto-stante - non comporta l’automatico abhandono anche della pri-ma tesi, che afferma l’esistenza di tale realta qualificandola appun-to come fondamento del mondo fenomenico. Fin dall’antichitainfatti alcuni importanti indirizzi filosofico-scientifici, corne adesempio il pitagorismo, hanno sostenuto che, per giungere al-

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La questione del realismo

l’anzidetta realta, occorre prescindere dal mondo fenomenico efare invece appello alla matematica. Per giustificare questa dot-trina i pitagorici teorizzarono, come E: noto, il carattere aritmeti-co della realta stessa, attrihuendo al numero intero un significatopressoché rnistico. Gvviamente questa interpretazione e da tempocaduta, ma con essa non e caduta la convinzione di poter coglie-re attraverso il calcolo la “vera natura” della realta; essa E: con-divisa piu o meno consapevolmente da parecchi fisici-matematici.Questo realismo matematizzante ha senza dubbio esercitato unainfluenza positiva sullo sviluppo della scienza moderna, ma E: filo-soficamente insostenihile. Oggi sappiamo infatti che esistono teo-rie matematiche fondate su assiomi nettamente diversi (si pensialla geometria euclidea e alle non-euclidee, oppure ai diversi tipidi algebra, ecc.), e quindi possiamo concluderne che la tesi, secon-do cui la “vera natura” della realta sarehhe di carattere matenia-tico, E: priva di un preciso significato per la plurivocita del termi-ne stesso “1nate1natica.”

Ricorderemo infine che altri indirizzi filosofici _ per es. quel-lo di Bergson -- hanno recentemente sostenuto la necessita di fa-re appello, per giungere alla conoscenza della “vera realta,” aqualcosa che non e né il mondo sensibile né la razionalita mate-matica, ma e un atto intuitivo capace di farci penetrare, di un so-lo tratto, cio che esiste nel profondo della realta, al di sotto del-la superficie di essa costituita dal mondo fenomenico (unico og-getto della conoscenza scientifica). E chiaro pero che l’esistenzadi tale atto intuitivo ha unicamente una base fideistica e che al-trettanto puo dirsi della sua capacita di farci penetrare il nocciolodella realta, celantesi al di sotto del mondo fenomenico.

Senza dubbio questo indirizzo filosofico proviene da una giu-sta esigenza - quella di salvare l’istanza realistica superando legravissime difficolta del realismo ingenuo -; ma tale istanza vie-ne salvata solo a prezzo di una non rneno grave concessione al dog-matismo e all’irrazionalismo.

3. Perplessita di alcuni scienziati oalierni di fronte alla tesi realista

Abbiamo detto, nel precedente paragrafo, che il realismo in-genuo e ancora oggi condiviso da non pochi scienziati militanti.Qccorre pero fare una notevole eccezione, per quanto riguarda icosiddetti “scienziati teorici,” in particolare fisici. Molti di essi,

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Scienza e realismo

infatti, hanno cominciato a respingere tale realismo nella formache aveva assunto presso i meccanicisti del Sei e Settecento, ein seguito -- convinti della identificazione tra realismo e mec-canicismo - sono giunti ad elevare seri dubhi contro ogni tipodi realismo. Sembra assai interessante seguire l’iter dei loro dubbi,tanto piu che questi sono scaturiti da riflessioni nate all’interno stes-so della scienza, e non da artificiose pregiudiziali filosofiche.

Il primo spunto che ha dato luogo a tali riflessioni e connes-so alla scoperta della inesistenza di “cose,” come il calorico e l’ete-re, che per secoli erano state ritenute reali. Il riconoscimento diquesta inesistenza ha fatto sorgere, in modo spontaneo, le seguen-ti domande: perché, diversamente da quanto accade per il caloricoe l’etere, siamo oggi disposti ad ammettere l’esistenza degli elettro-ni e dei fotoni, altrettanto inosservabili (almeno direttamente)?perché non ci limitiarno a considerarli anch’essi come puri “enti diragione”?

Per rispondere a questa domanda si e dovuto affrontare in Viagenerale il problema: che significato puo avere il termine “esisten-za” attribuito ad un ente non direttamente osservabile? Si e giun-ti cosi a stahilire che, per dare un senso a tale esistenza, occorre fa-re riferimento all’intera teoria in cui l’ente in questione trovasi in-serito; si potra, allora, attribuirgli legittimamente una esistenza sequesta teoria nella sua gloloalita si rivelera in grado di resistere alvaglio dell’osserVazione (per l’importanza spettante alla considera-zione di una teoria nella sua globalita, rinviamo a quanto detto nelcapitolo primo).

Cosi, per esempio, potremo ritenere legittimo attribuire unaesistenza agli elettroni, ai fotoni, ecc. finché quella sezione dellafisica che parla di essi continuera a venire considerata come verifi-icata dai dati osservativi. Invece non riteniamo piu legittimo attri-buire una esistenza al calorico o all’etere, perché le teorie che par-lavano di essi sono ormai da tempo smentite da tali dati.

Questo tipo di argomentazioni e, da qualche decennio, concor-demente accettato da gran parte dei iisici teorici (e non solo daessi). E chiaro pero che, in questo modo, la categoria dell’esistenzaviene strettamente legata alla nozione di osservazione; e poiché ilmondo direttamente osservabile E: i1 mondo delle nostre percezioni,se ne ricava che l’esistenza, nel -senso testé definito, risulta inscin-dibile dal soggetto. Di qui la diffidenza dei fisici di fronte all’auten-tico realismo.

A rinforzare queste conclusioni sono intervenute, all’inizio

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\

La queslione del realismo

del secondo quarto del secolo, le radicali innovazioni recate dallameccanica quantistica a proposito degli stessi procedimenti di osser-vazione. Ed infatti, mentre i dati osservativi, da cui prendevanole mosse le teorie della fisica classica, possedevano senza dubbiouna certa oggettivita per lo meno dal punto di Vista scientifico, inquanto la loro dipendenza, di principio, dal soggetto osservatore(dipendenza cui sogliono fare appello i sostenitori del soggettivi-srno idealistico) non impediva al fisico di ritenerli identici perchiunque osservasse i medesimi fenomeni, il contrario accade in-vece per i dati osservativi da cui prendono le mosse le teorizzazio-ni della meccanica quantistica. I principi stessi di questa meccani-ca implicano invero Yincontrollabilita di principio (nell’ambito ditale teoria) della interazione fra i fenomeni microscopici osserva-ti e gli strumenti di osservazione (appartenenti di necessita almondo macroscopico). Ne segue che, per parlare sensatamente deidati osserVativi,~occorrera precisare tutte le condizioni in cui Ven-nero di Volta in Volta osservati (cioe gli strumenti usati per os-servarli, l’istante in cui li si Z: osservati, ecc.). In altri termini:queste condizioni verranno a far parte integrante dei dati stessi,e ne risultera che e per principio impossibile separate, entro talidati, cio che risulta oggettivo (nel senso attrihuito a questo ter-mine dalla fisica classica) da cio che risulta invece prodotto daglistessi strumenti di osservazione.

Di fronte alla sorpresa di dover ahbandonare il Vecchio con-cetto di oggettivita, e ben comprensibile che lo scienziato odiernoprovi un effettivo disorientamento, e, invece di limitarsi a con-cluderne l’impossibilita di mantenere in Vita i dogmi del realismoingenuo, si senta tentato di accogliere una concezione filosoficadi carattere piu 0 meno apertamente idealistico.

Va pero subito aggiunto che questa tentazione si mantiene aun livello piuttosto Vago e generico, e comunque sganciata dalcampo delle ricerche concrete, le quali pertanto non vengono daessa minimamente turbate. Queste ricerche continuano in realtaa Venire svolte oggi come ieri con il manifesto scopo di cogliereun qualcosa che e irriducibile al soggetto conoscente, cioe Vengo-no svolte in una prospettiva sostanzialmente anti-idealistica. L’uni-ca novita e il presupposto che tale “qualcosa” potra risultare deltutto diverso dall’immagine che la gente comune e il fisico classi-co si fabbricavano degli oggetti reali.

In effetti un conto Ee ammettere il carattere relativo dei datiosservativi, o la necessita di introdurre nuove categorie nella ela-

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Scienza e realirmo

borazione teorica di tali dati, e un altro conto, del tutto diverso,E: 1I1V€C€avere la pretesa di legare il carro della fisica moderna auna filosofia apertamente idealistica.

4. IZ convenziomzlirmo fisicoz suoi meriti e sue eiifficoltai

L’indirizzo di pensiero che, a nostro avviso, ha maggiormen-te contrihuito all’abhandono del realismo ingenuo, e il conven-zionalismo. Trattasi di una concezione filosofico-scientifica dellamassima importanza teorica e storica, che pero - come ha scrit-to Moritz Schlick -- “nasconde in sé il pericolo di gravi frainten-dimenti.” Proprio per questa sua importanza e pericolosita, rite-niamo opportuno analizzarlo con una certa ampiezza, dedicandoa tale analisi uno spazio maggiore di quello che altri le attrihuisco-no e impostando la nostra trattazione in forma alquanto diversada quella usuale.

Gia abbiamo sottolineato pili volte l’importanza del meto-do assiomatico nella matematica moderna, e nel secondo capitoloabbiamo fatto rilevare che l’abhandono dell’epistemologia carte-siana fu soprattutto dovuto alla scoperta del carattere convenzio-nale (non evidente) degli assiomi posti alla base delle varie teo-rie matematiche. Orbene il convenzionalismo fisico e stato senzadubbio molto influenzato dal convenzionalismo matematico, main hreve ha raggiunto un peso assai maggiore di esso nelle indagi-ni filosofiche intorno al problema della conoscenza.

Inizieremo la nostra analisi facendo rilevare che la scopertadi un certo carattere convenzionale anche nella fisica contrihuiin misura notevolissima alla creazione di un ambiente favorevoleall’accoglimento delle innovazioni rivoluzionarie prodottesi in talescienza all’inizio del nostro secolo. A nostro parere, e questo unfatto sul quale hisogna riflettere con una certa attenzione, percomprendere tutta la portata del convenzionalismo.

La prima domanda che sorge in proposito e la seguente: conche diritto sosteniamo che il diffondersi di una consapevolezzaconvenzionalistica tra i fisici dell’inizio del nostro secolo ha co-stituito la premessa della Vittoria conseguita dalla rivoluzione ein-steiniana e da quella quantistica, mentre altre rivoluzioni della fi-sica (per esempio quella galileiana) non richiesero nulla di simile,cioe poterono venire compiute mentre si continuava a ritenere chele scoperte della fisica fossero delle verita assolute?

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La questione del realism/o

Non e difficile rispondere a questa domanda facendo notare:1) che la rivoluzione galileiana nacque dalla contestazione totaledella scienza precedente (la fisica aristotelica) ai cui principi ven-ne negato ogni e qualsiasi valore; 2) che le rivoluzioni prodottesiall’inizio del Novecento non potevano seguire una via analoga,non potendosi negare in modo completo la validita della fisicaclassica sorretta da numerose prove e innumerevoli applicazioni.Cio che si poteva contestare alla fisica classica era tutt’al pifi un’al-tra cosa: era la pretesa che i suoi principi costituissero delle ve-rita assolute, evidenti, intuitive, immodificabili. Orloene la criticapid decisa ed efficace di questa pretesa fu proprio opera del con-venzionalismo, ed e per questo che abbiamo sostenuto che il con-venzionalismo rappresento la premessa diretta della rivoluzionequantistica come di quella relativistica.

ll carattere specifico delle convenzioni e quello di non essere névere né false, ma di essere accettate o respinte in base a considera-zioni che non hanno alcun valore necessitante. Ne segue che taliconvenzioni potranno venire accolte in riferimento ad un certosettore fenomenico senza che cio ci costringa ad accettarle per al-tri settori. Orhene, il fatto di interpretare i principi della fisicaclassica come semplici convenzioni, ci autorizzera a continuarea ritenerli validi per certi settori, mentre li sostituiamo con prin-cipi nettamente diversi in riferimento ad altri settori.

Potremo per esempio affermare che i principi della meccani-ca classica servono a descrivere con notevole esattezza i moti deicorpi che posseggono una velocita molto inferiore a quella dellaluce, senza essere percio costretti a sostenere che serviranno al-trettanto hene per tutti i corpi, anche quelli di velocita prossi-ma alla velocita della luce. Oppure potremo affermare che servo-no a descrivere con notevole esattezza i fenomeni gravitazionali,senza essere costretti a sostenere che si applicano altrettantoiheneai fenomeni termici o elettromagnetici. Ebbene e proprio la con-sapevolezza di questo valore, effettivo ma limitato, che ha per-messo di cercare nuovi principi per quei campi ove i principiclassici si rivelavano inapplicahili; e stata essa a permetterci dioperare alcune rivoluzioni radicali, senza contestare in toio la va-lidita della vecchia scienza.

Il merito piwfi importante del convenzionalismo fisico risiedeproprio qui: nel ifornirci una piena consapevolezza circa la possi-bilita di modificare o sostituire alcuni principi “classici” relativa-mente ad un settore (nuovo) del mondo fenomenico pur conti-

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nuando ad accettarli relativamente ad altri settori, ove essi si so-no rivelati fecondi di numerose applicazioni. Il presupposto diquesta consapevolezza e il riconoscimento che i principi in esamenon rappresentano delle Verita assolute, ma il frutto di una ri-flessione ottenuta su determinati settori dell’esperienza, fruttonon estendibile, fuorché con un atto dogmatico, alla totalita delmondo fenomenico.

Negare questo merito al convenzionalismo, significherebherifiutarsi arhitrariamente di prendere atto di cio che as accadutonella storia effettiva delle ricerche scientifiche durante gli ultimidecenni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Ed as fuori dub-bio che quanto e accaduto in tale periodo ha avuto riflessi delmassimo rilievo anche sulla concezione generale della realta._ Seinfatti si poteva pensare che questa realta possedesse le proprietageometrico-meccaniche elaborate dalla scienza classica hnché siimmaginava che i principi della geometria e della meccanica costi-tuissero delle verita assolute, non si potra pin pensare nulla disimile una Volta cornpreso che tali principi sono delle mere con-Venzioni. Cadra in tal modo il pilastro fondamentale del realismoingenuo, per lo meno nella formulazione pid importante che ave-Va aV11tO in passato.

Ma se il convenzionalismo ha senza dubbio il merito cui ab-biamo ora accennato, esso va pure incontro -- come gia si e det-to - al pericolo di gravi fraintendimenti. A nostro avviso, questirisultano direttamente connessi al seguente problema: qual E: ilmotivo per cui riteniamo che alcuni principi (di carattere conven-zionale) siano accettabili in una certa zona delle nostre osservazio-ni empiriche e non in altre? _

In generale si e ritenuto di dover rispondere a qu_es_to inter-rogativo facendo appello al seguente criterio: i principi di unascienza Vanno accettati in quanto utili e finché si rivelano tali;vanno invece abhandonati quando non lo sono pifi. Per essere pixiprecisi: Vanno accettati per quei settori fenomenici ove constatia-mo che possono Venire applicati utilmente, non per _quell1_ oveinterviene qualche fatto nuovo, sicché il tentativo di _applicarliporta a risultati in manifesto contrasto con i dati empirici. Quan-to ora detto equivale ad asserire che il convenzionalismo ci con-durrehhe necessariamente ad una concezione utilitaristica dellascienza; ci costringerebbe cioe a considerarla non come un pro-cesso conoscitivo ma come un processo che si svolge per intero

)nella sfera dell utile.

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La questions del realismo

La nostra opinione al riguardo 2: tuttavia alquanto diversa.Noi ammettiamo senza duhbio che il convenzionalismo possa Ve-nire integrato da una concezione utilitaristica della scienza, maci semhra illegittirno affermare che debba necessariamente con-durre ad essa. Cio che rafforza in noi tale opinione e, ancora unaVolta, l’osservazione non prevenuta clell’effettiVo comportamentoal riguardo di parecchi scienziati militanti.

E fuori duhhio, infatti, che oggi gran parte degli scienziati mi-litanti accetta senza difficolta la tesi, secondo cui i principi delleVarie teorie scientifiche sono convenzioni, sempre ritoccabili o so-stituihili; anzi, E: proprio l’accettazione di tale tesi che li conducea compiere il massimo sforzo onde riuscire a formulare i principiin questione con scrupolosa esattezza per poter dominare con pre-cisione tutte le conseguenze prossime e lontane da essi ricavahili,e sulla base di queste conseguenze procedere ad eventuali ritocchidei principi stessi. Ma non per cio tali scienziati accettano la con-clusione agnostica, secondo cui, dato il loro carattere convenzio-nale, questi principi sarebbero privi di qualunque valore conosci-tivo. Essi sono naturalmente disposti ad ammettere che le teoriescientifiche sono di grande utilita, ma a loro parere questa utili-ta dipende proprio dal fatto che sono Vere. In altri termini: sonoutili in quanto Vere, non sono Vere in quanto utili.

Per essere pid precisi: la scoperta di una certa convenzionali-ta dei principi scientifici, e quindi delle teorie su di essi costruite,ha condotto senza alcun dubhio gli scienziati militanti ad ammet-tere il carattere relmfiuo della scienza, ma non a relegarla dal pia-no conoscitivo a quello meramente utilitario. Ovviamente non efacile conciliare il valore relativo, limitato, delle teorie scientifichecon il loro valore conoscitivo; e non si puo dire che gli scienziatimilitanti i quali mostrano, nel loro concreto operare, di ritenerliconciliabili, siano poi in grado di giustificare davvero il proprioatteggiamento. Pero sarelohe gravernente erroneo non tenere con-to di questa situazione tanto complessa o limitarsi a dire che essaE: frutto di incoerenza. Assai piii consapevole sembra, invece, laposizione di chi prende francamente atto che nella scienza attualesi danno delle conoscenze che meritano a buon diritto il titolo di“conoscenze Vere” senza percio essere né assolute, né illimitatamen-te applicabili.

Ma per spiegare questa esistenza occorre modificare la nostraconcezione tradizionale di Verita. Occorre far tesoro dell’insegna-mento dei convenzionalisti, applicandolo alla nozione stessa di

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conoscenza, ammettendo cioe che anch’essa e convenzionale e per-tanto modificabile. Se ne potra allora concludere che la Vecchianozione di conoscenza era adeguata a un livello della ricerca scien-tifica assai diverso da quello attuale; e che invece va profonda-rnente rinnovata se vogliamo adeguarla sul serio allo stato dellascienza odierna.

In altri termini: il convenzionalismo puo, anzi deve, venireaccettato, ma non in forma dogmatica. Cioe deve venire accettatosenza collegarlo necessariamente ad una concezione utilitaristicadella scienza; cercando invece di inglobarlo in una nuova conce-zione che concilii il carattere relativo (limitato, circoscritto) deiprincipi scientifici con il loro valore conoscitivo, in un senso deltermine “conoscenza” diverso da quello tradizionale.

5. Il criteria della pmssi

Per parlare, come si e fatto alla fine del paragrafo precedente,di “conoscenze Vere” seppure solo “relativamente vere,” occorrecomunque indicare un vaglio a cui fare ricorso per discernere leconvenzioni meramente arbitrarie da quelle che posseggono uncerto valore conoscitivo (ove, hen inteso, si interpreti questaespressione in senso non tradizionale).

La prima speranza potrehbe, ovviamente, essere quella ditrovare il vaglio anzidetto nella coerenza interna delle teorie scien-tifiche, onde concluderne che posseggono un valore conoscitivole teorie (convenzionali) fornite di tale coerenza mentre non loposseggono quelle sprovviste di essa. Questa speranza, pero, si ri-vela subito illusoria, poiché anche un sistema convenzionle so-stanzialmente arbitrario puo venire costruito in modo da risulta-re del tutto coerente. E chiaro quindi che dovremo rivolgercia un altro ordine di considerazioni, non concernente soltanto lacoerenza logica interna delle teorie.

Proprio a questo fine puo essere utile riprendere in esame imotivi _ accennati nel primo paragrafo - in base a cui gli scien-ziati sogliono respingere senza ombra di dubbio la tesi centraledel solipsismo, anche se non e confutabile con argomenti pura-mente logici. Come si e detto, essi la respingono perché in mani-festo contrasto con quanto insegna la pratica quotidiana della ri-cerca scientifica. Sembra interessante notare che un appello atale pratica lo si ritrova anche in Schlick, quando cerca di dimostra-

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La questione del realismo

re contro i convenzionalisti che il principio di conservazione del-l’energia -- qualunque sia il modo in cui preferiamo formularlo --possiede per lo scienziato un valore ohiettivo: esso infatti ci diceche é “impossibile creare il lavoro dal nulla; impossibilita, questa,che quotidianamente esperimentiamo [sono esattamente questele parole di Schlick] in prima persona nel nostro corpo e che,senza dubhio, e del tutto indipendente dal modo in cui preferia-mo esprimerla.”

Ma quale valore possiamo attrihuire ad argomenti del gene-re, che, facendo appello a cio che lo scienziato esperimenta nelsuo lavoro quotidiano, si hasano in ultima istanza su riflessionidi ordine pratico anziché prettamente teorico, come sarehbe desi-derabile quando si discute intorno a un problema come quello del-la conoscenza? E ovvio che si tratta di un interrogativo molto se-rio, perché investe il problema generale del comportamento delloscienziato e dell’uomo comune, non solo di fronte alle ohiezioniparadossali del solipsista, ma anche di fronte agli argomenti (dimo-stratisi tanto fecondi nello sviluppo della scienza moderna) delconvenzionalismo fisico.

Al fine di affrontare la questione in tutta la sua complessita,converra risalire alle sue pid lontane radici filosofiche.

Ahbiamo detto poco sopra che sarebbe desiderabile, quandosi discute intorno al prohlema della conoscenza, hasarsi su rifles-sioni di ordine puramente teorico e non di ordine pratico. Ma E:

davvero lecito accogliere, come ovvia, una netta separazione frai due ordini? ]`-3 bensi Vero che si tratta di una separazione giu-stificata da una lunga tradizione filosofica, ma Z: tutt’altro chepacifico il peso da attrihuirsi a questa tradizione.

In effetti, riflettendo sul concreto svolgersi della vita quoti-diana e sull’effettivo procedere della ricerca scientifica, non sipuo fare a meno di concluderne che la pratica e per lo piu intrisadi teoria e la teoria e intrisa di pratica, sicché appare estremamen-te artificioso volerle considerate come del tutto distinte l’unadall’altra. O si nega a priori ogni valore conoscitivo a cio che ac-cade nella vita quotidiana e nella vita scientifica (ed e cio che noici rifiutiamo di fare, come ahbiamo detto fin dall’Av1Jertenz¢z), osi deve ammettere che il conoscere e l’agire sono assai rneno scissifra loro di quanto pretendono certi filosofi. Il fatto e che questisogliono farsi un’idea astratta dell’attivita conoscitiva, e preferi-scono fondare le proprie speculazioni su questa idea, anziché pren-dere le mosse da una seria riflessione sulle conoscenze concrete.

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Non senza motivo nel primo capitolo abbiamo introdotto l’e-spressione “patrimonio scientifico-tecnico” per indicate l’edifi-cio complessivo della scienza (anziché mantenere i termini usatida Quine o da Lakatos); volevamo infatti fin d’allora sottolineareche, nel groviglio di innumerevoli fattori i quali concorrono allaformazione di tale edificio, non ~e tracciabile una linea di nettademarcazione tra i fattori solitamente caratterizzati come teorici equelli solitamente caratterizzati come pratici. E non e neanche ilcaso di aggiungere che questa inscindibilita tra il teorico e il pra-tico diventa ancora pifi manifesta quando si passa dall’ambito del-le scienze naturali a quello delle scienze sociali. In effetti, chesenso potremmo attribuire ad una teoria dei movimenti rivoluzio-nari (per esempio alla teoria di Lenin), se essa non tenesse seria-mente presente l’aspetto pratico di tali movinienti ed anzi nonpotesse servire di guida effettiva alla concreta azione rivoluzio-naria?

Ci sembra di poterne concludere _ utilizzando un’espressioneintrodotta nel secondo capitolo _» che i fattori teorici e quelli pra-tici dei nostri processi conoscitivi formano un’unita dialettica,onde non vi e nulla di illecito nel fare appello all’attivita pratica(o prassi), quale criterio di verita da applicarsi alla valutazionedel carattere obiettivo dei risultati (pur sempre relativi) delle ri-cerche scientifiche.

Qualcuno obiettera, a questo punto, che il fare appello al cri-terio della prassi significa, inultima istanza, accogliere la tesicentrale deli pragmatismo secondo cui non si potrehhe parlare' diverita o non verita di una teoria scientifica, ma solo della sua uti-lita, cioe della sua capacita di farci conseguire dei successi pratici.La differenza fra le due concezioni (quella realistica qui sostenutae quella pragmatistica) emerge pero con chiarezza non appena sitenga conto che il pragmatista _ accettando Senza discutere le sepa-razione tradizionale tra fattori pratici e fattori teorici _ contrappo-ne il successo pratico di una teoria alla sua verita, onde si ritiene au-torizzato a negate alla scienza un qualunque valore conoscitivo,mentre dal punto di vista realistico poco sopra esposto tale con-trapposizione risulta invece insostenibile proprio per l’unita dia-lettica fra teoria e prassi.

Aggiungasi un’ultima osservazione: che lad prassi di cui noiabbiamo parlato e sempre “prassi sociale,” il che comporta molteimplicazioni, assai significative, di cui il pragmatista non suoletenere conto. Implica, per esempio, che la validita di un ritro-

cs \

La questione del reqlirmo

vato ,scientifico non puo venire unicamente valutata in base alleoperazioni eseguite dal singolo scienziato in laboratorio ma anche,e soprattutto, in base all’utilizzazione che ne viene fatta nella produ-zione (utilizzazione che dipende ovviamente dal tipo di societa incui tale ritrovato viene applicato, corretto, perfezionato).

Cosi inteso, il criterio della prassi perde quel carattere sogget-tivo che spesso gli viene, implicitamente o esplicitamente, attri-buito da chi lo usa in una prospettiva non tealistica. Infatti, comescrive Mao, la prassivsociale porta a “risultati oggettivi,” la cuioggettivita non viene sminuita dall’aspetto soggettivo delle opera-zioni del verificare.

D’altra parte _ cosa non meno importante _ tali risultati, puressendo oggettivi, non presentano affatto un carattere di assolutez-za; onde segue che la prassi sociale, proprio perché connessa a unaentita essenzialmente storica come la societa, non pub costituire uncriterio capace di garantire la verita assoluta (metastorica) di unateoria o di un qualsiasi ritrovato. Essa rappresenta uno strumen-to fondamentale per la ricerca della verita relativa (nel senso spiega-to alla :Eine del paragrafo precedente) non per la ricerca di unapresunta verita assoluta.

Certo, non si deve dimenticare _ scrive Lenin _ che il criterio dellaprassi, in sostanza, non pub mai confermare o confutare completamenteuna rappresentazione umana qualunque essa sia. Anche questo criterio e tal-mente “indeterminato” da non permettere alle conoscenze dell’uomo di tra-sformarsi in un “assoluto”; ma nello stesso tempo E: abbastanza determinatoper permettere una lotta implacabile contro tutte le varieta dell’idealismo edell’agnosticismo.

ll filosofo cinese Zhang Enci, dopo avere riportato questoiondamentale brano di Lenin, aggiunge (nel volume Conoscenzae veritai Seccmdo la teoria del riflesso, 1977):

E molto importante riconoscere questo carattere relativo del criteriodella prassi. Da un lato ci puo impedire l’ipostasi della conoscenza urnananell’assoluto _ cioe la trasformazione di una verita essenzialmente relativain verita assoluta e imrnutabile _ d’altra parte cio puo prevenire l’atteg-giamento che consiste nel negate, in modo semplicistico, verita che laprassi attuale non puo provare, ma che la prassi futura potra certamentedimostrare. In ogni caso, riconoscere questa relativita non pub che giovareallo sviluppo della scienza; in effetti ipostatizzare nell’assoluto conoscenzerelative, oppure rifiutare nuove teorie che la prassi non puo immediata-mente provare, costituisce sempre un ostacolo al progresso scientifico.

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Scienza e realismo

6. IZ processo di czpprofondimenzfo

Il richiamo, pid volte espresso nel paragrafo precedente, a te-nere conto - nei dibattiti intorno al problema della conoscenza edella realta - di cio che concretamente accade nella vita quoti-diana e nell’effettiva ricerca scientifica, ci suggeris-ce ora di pren-dere in esame un aspetto del processo conoscitivo spesso trascura-to dai filosofi. Si tratta in breve di questo: nella nozione stessadel conoscere e contenuta l’idea dell’ “andare oltre al gia conosciu-to,” sicché una analisi veramente completa del prohlema dellaconoscenza deve studiare non solo i singoli atti conoscitivi ma illoro succedersi in una serie, dove ciascun atto cerca di integrare eperfezionare i risultati ottenuti dagli atti precedenti. E precisa-mente qui che vanno cercate le radici del processo di approfon-dimento, come processo inscindihilmente legato a quello cono-scitivo.

Come e ben noto, la nozione di approfondimento e largamen-te usata nel linguaggio comune. Ci si riferisce ad essa ogniqual-Volta si auspica che un argomento venga chiarito pid di quantofosse stato fatto in passato: che a tale scopo se ne esaminino tuttii risvolti, lo si confronti criticamente con argomenti affini, si cer-chi di sviscerarne i pid reconditi presupposti e le pid remote con-seguenze.

Che si tratti di una nozione molto importante, lo dimostra lostesso largo uso che se ne fa nella vita quotidiana. Non as perouna categoria ben determinata, come risulta dal fatto che il pro-cesso per approfondire un argomento si avvale delle vie pid di-verse: ora fa ricorso all’analisi ora alla sintesi, ora alla generaliz-zazione ora alla particolarizzazione, ora ad ardite analogie ora allaricerca di precise differenze tra casi apparentemente molto simili.Pretendere di rinchiudere tale processo entro regole fissate a prio-ri, sarehhe impresa vana. La sua caratteristica e di poter veniresviluppato nelle direzioni pid diverse con artifici ideati caso percaso senza preclusioni di sorta.

Anche gli scienziati parlano spesso di approfondimento, edessi pure lasciano una notevole liherta alla scelta dei mezzi usatiper conseguirlo (il che non esclude che sarehhe di notevole in-teresse tentar di catalogare questi mezzi, caratterizzandoli uno ri-spetto all’altro).

Cosi per esempio affermano che l’algehra dell’Ottocento haapprofondito il problema, gia ampiamente discusso dai matematici

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La questione del realismo

greci, della quadratura del cerchio; per ottenere tale approfondi-mento hanno reimpostato il problema determinando le condizio-ni cui esso dovrebhe soddisfare (una Volta tradotto in terminialgebrici) per poter venire risolto con riga e compasso e dimo-strando, nel caso specifico, che queste condizioni non sono soddi-sfatte_ Oppure affermano che la fisica atomica dei primi decennidel nostro secolo ha approfondito il significato della famosa ta-bella periodica di Mendelejeff in quanto e riuscita a dimostrareche il numero Z di elettroni rotanti intorno al nucleo, secondoil modello atomico di Rutherford, e eguale al numero d’ordine chel’atomo occupa in tale tabella. Oppure affermano che la teoriadella relativita generale ha approfondito il risultato, gia noto,dell’identita fra massa gravitazionale e massa inerziale in quantoha dimostrato che esso si ricava dai principi della teoria, ecc.

Se i mezzi per conseguire Fapprofondimento in questione sonodiversi da un caso all’altro, il significato dell’approfondimento ri-mane pero sempre il medesimo: esso consiste nel “razionalizzare”un ,risultato che per l’innanzi veniva accolto senza alcuna spiega-zione convincente. Si pensi alle “regole di quantizzazione” siste-maticamente adoperate fin dalla prima fase della meccanica quan-tistica, ma solo per la loro utilita, e invece razionalmente spiegatenella seconda fase di tale meccanica. Uapprofondimento si presen-ta qui, come gia negli esempi precedenti, quale trapasso da unlivello ad un altro, ove un certo risultato che nel primo livello ap-pariva immotivato riesce invece seriamente motivato nel secondo.E un trapasso che a volte coinvolge soltanto l’aspetto teorico delprohlema “approfondito,” mentre altre volte fa intervenire delleentita delle quali prima non si aveva notizia (per esempio gli elet-troni rotanti intorno al nucleo).

Un fatto va comunque sottolineato per l’importanza che essoha dal punto di vista gnoseologico: l’approfondimento rappresentasenza duhhio una fase del processo conoscitivo, ma una fase ca-ratteristicamente dinamica, perché la sua essenza consiste nel pas-saggio da un livello, che in certo senso viene negato per la sua li-mitatezza, ad un altro livello che si presenta come superiore alprecedente, in quanto lo supera per capacita esplicativa, cioe percapacita di chiarire cio che antecedentemente era lasciato nell’o-scurita.

Ma non basta. L’approfondimento di cui si parla nella scienzaha pure un altro carattere molto importante. Come nello sviluppodella tecnica la costruzione di un nuovo dispositivo (meccanico,

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Scienza e realirmo

elettromagnetico, ecc.) non esclude mai che si riesca in futuro acostruirne altri migliori, cosi nello sviluppo della scienza l’appro-fondimento di una conoscenza non ci porta mai a risultati chechiudano definitivamente la ricerca, esaurendo il prohlema. Perquanto questo appaia oggi spiegato, e sempre possibile in futuroinquadrarlo entro un nuovo schema concettuale, dove ricevera unaluce attualmente neanche immaginabile.

Si pensi per esempio a cio che significo per gli studi sullegeometrie non euclidee il radicale mutamento di prospettiva do-vuto alla trattazione proiettiva delle proprieta metriche, ideatada A. Cayley Verso il 1870. In seguito a questa trattazione la geo-metria euclidea, quella iperholica e quella ellittica, che si presen-tavano fino allora quali sistemi del tutto indipendenti (e relativa-mente ai quali -il prohlema centrale era quello della coerenza in-terna di ciascuno di essi), vennero improvvisamente ad assumerel’aspetto di tre particolarizzazioni fra loro parallele di una mede-sima geometria: la cosi detta geometria proiettiva. Vale 'la pena,per comprendere il significato di questa svolta, riferire le parolecon' cui Cayley concluse la propria argomentazione: “Le proprie-ta metriche di una figura non sono proprieta di tale figura consi-derata in se stessa, a parte da qualsiasi altra cosa, ma le sue pro-prieta considerate in connessione con un’altra figura, chiamatal’assoluto” (dipendendo appunto dalla figura che si assume comeassoluto, se le proprieta metriche risulteranno soddisfare gli as-siomi di una o l’altra delle tre anzidette geometrie: euclidea, iper-holica o ellittica).

E chiaro che questa non definitivita dei risultati raggiunti me-diante l’approfondimento (come inteso nell’amhito della scienza)mette ulteriormente in risalto l’importanza di tale processo, mo-strando che esso costituisce veramente una delle componenti es-senziali della ricerca scientifica.

Interpretare lo sviluppo della scienza, oltreché come conqui-sta di sempre nuovi dati empirici, anche come successione illimi-tata di approfondimenti, ha pure notevolissime ripercussioni nel-l’amhito della filosofia. Vale infatti a sottolineare la completa ir-riducibilita della nozione di conoscenza -- quale emerge dall’ef-fettivo articolarsi dellascienza - alla nozione tradizionale chepretendeva di vedere nella conoscenza il conseguimento di risulta-ti assolutamente veri, definitivi, irnmodificabili.

A questo punto va aggiunto un’ultima interessante osserva-zione: esiste una manifesta incompatibilita fra approfondimento

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La questione -del realismo

e interpretazione convenzionalistica delle teorie scientifiche: Nonha infatti alcun senso affermare che una di tali teorie cost1tu1sc_aYapprofondimento di un’altra, se ammettiamo che esse_ siano 1l

frutto di mere convenzioni. E noto che quando due giochi si hasa-no su regole non perfettamente identiche, essi risultano incon-frontabili fra loro. Crbene cosi dovrehhe accadere anche per leteorie scientifiche, qualora fossero puramente convenzionali. Manella pratica scientifica accade invece, assai spesso, che una teo-ria approfondisca i risultati dell’altra, come abbiamo cercato_ diillustrare con numerosi esempi. Se ne conclude che, a meno di rite-nere che sia lecito costruire una filosofia della scienza del tutto di-staccata da tale pratica, dovremo respingere una concezione dellascienza che non vada oltre il convenzionalismo. _

Nel quarto paragrafo abhiamo francamente riconosciuto alconvenzionalismo il grande merito di avere posto in luce l’1ncon-ciliahilita della vecchia nozione di conoscenza con l’attuale strut-tura delle conoscenze scientifiche. Con altrettanta sincerita dob-hiamo ora prendere atto che esso non e in grado di rendere contodel processo di approfondimento, che pure rappresenta ‘uno dermomenti piu caratteristici della scienza moderna. Trattasi dr unalacuna di notevolissima gravita.

_

ll nostro prossimo compito sara quello di discutere se riescapossibile superare questo gravissimo limite quando, invece di con-siderare il convenzionalismo come un risultato definitivo della cri-tica filosofico-scientifica, ci si sforzi di ingloharlo entro una filo-sofia a carattere realistico hasata sopra una nuova concezione del-la conoscenza.

7. Verso una nuova concezi0f1€della fedlfél

Finché si pensava che l’autentica conoscenza avesse il compitodi portarci a risultati assolutamente veri, non si poteva fare ameno di concepire la realta come qualcosa di statico; ossia comequalcosa che sarehhe costituito di elementi ultimi in modo taleche, quando si riuscisse a coglierli, si perverrehhe a una conoscen-za del reale non ulteriormente perfezionahile.

Quando piu tardi si e interpretata la scienza come un insiemedi teorie fondate su principi del tutto convenzionali, si E: dovutorinunciare a tale visione statica della realta. Ma si e rinunciato adessa, non per sostituirla con una visione dinamica del reale, hensi

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Scienza e realismo

per sostenere - per lo meno da parte di numerosi autori - chela scienza non avrebhe bisogno di alcuna concezione della realta:la scienza sarebbe infatti un’attivita merarnente pratica, direttaalla scoperta dell’utile, non del Vero.

La concezione della scienza come un insieme di successivi ap-profondimenti ci costringe, ora, a mutare nuovamente rotta. Cicostringe cioe a interpretare la scienza come un’autentica attivitaconoscitiva, in quanto -- come gia ricordammo _ risulterehloeimpossibile dire che una teoria ne approfondisce un’altra se nonsi ammettesse l’esistenza di un oggetto comune ad entrambe: og-getto che puo essere del tutto teorico come negli esempi che -ab-biamo attinti dalla matematica, o non puramente teorico comenegli esempi che abbiamo presi dalla fisica e dalla chimica. Inquesti ultimi casi non potremo pero dire che l’oggetto in questio-ne e costituito di elementi ultimi, perché l’ammissione di elemen-ti siffatti escluderebbe la possibilita di proseguire illimitatamenteil processo di approfondimento; gia notammo, infatti, che se po-stulassimo l’esistenza di tali elementi dovremmo di conseguenzaammettere che, una Volta afferratili, otterremmo una conoscenzaassoluta del reale, non ulteriormente approfondibile.

Una Volta preso atto che i successivi approfondimenti, dei qua-li ahbiamo parlato, hanno un effettivo valore conoscitivo,. pur sen-za giungere ad esaurire la conoscenza degli oggetti cui si riferi-scono, diventa naturale attribuire al nostro conoscere un signifi-cato diverso da quello tradizionalmente assegnatogli. Non si potrapid dire, cioe, che esso ci fa conseguire dei risultati veri nel vec-chio senso di questo termine, cioe “assolutamente veri.” Si dovradire invece che ci porta a risultati “sempre pid veri,” cioe quali-ficahili - secondo le incisive parole di Lenin -- come “cono-scenze transitorie, relative, approssimate,” sempre sostituibili conaltre “pid complete e pid precise.”

La nota pid caratteristica del nuovo concetto di conoscenzadiventa cosi, secondo quanto ahbiamo gia ricordato nel paragrafoprecedente, quella della dinamicita: dinamicita non attrihuibileesclusivamente al soggetto che cerca di conoscere il mondo, maai risultati stessi da lui via via ottenuti, i quali vengono cosi adacquistare un valore di verita solo in quanto inseriti in una cate-napdipconoscenze tutte transitorie e relative, e tutte sostituihili daaltre pid complete e pid precise.

Per spiegare pid chiaramente l’importante innovazione qui de-lineata, possiamo dire che kiwdimensione storica entra a far parte

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La questions del realismo

della nozione stessa di verita, sostituendo in tal modo la vecchianozione statica di essa. Mentre, secondo questa ultima nozione,la conoscenza vera sarehbe una conoscenza che adegua la realta(e, una Volta adeguatala, non potrebbe poi riuscire ad adeguarlapid di prima), secondo la nuova nozione la conoscenza vera (ma diverita relativa) e invece una conoscenza che non adegua bensiapprossima la realta, dove nel verbo “approssimare” e insito ilpid o il meno che erano invece esclusi dal verho adeguare.

Ma non hasta. Una volta preso atto del carattere intrinseca-mente dinamico della verita, sara gioco forza rinunciare al carat-tere statico tradizionalmente attribuito alla realta stessa. Se infat-ti la realta fosse qualcosa di statico, diventerebhe irnpossibile ne-gare questa medesima staticita ai risultati ottenuti dai processiconoscitivi, una volta che si tratti di risultati autenticamente veri,anche se pensassimo questi risultati veri come un semplice limitea cui tendono i risultati effettivamente conseguiti dalla scienza.(Va notato che i1 verbo “approssimare/’ il quale interviene nellanuova concezione della verita, esclude per principio l’idea stessadi un limite assoluto, il quale risulterebbe privo per definizionedi dimensione storica.)

Orbene, come alobiamo cercato di provare con una serie diesempi, la struttura della scienza moderna, quale risulta da unaattenta considerazione del suo effettivo operare, E: incompatibilecon l’ipotesi di una verita assoluta e definitiva il cui conseguimen-to segnerebbe la fine della ricerca. In altri termini: E: una strut-tura che si presta a venire descritta dal verho “approssimare” nondal verbo “adeguare.” Solo un atto di astrazione ingiustificata po-trebbe farci immaginareiiche, a un certo punto delle nostre inda-gini, queste si concluderanno e si arresteranno per avere comple-tamente esaurito l’oggetto indagato. Ahbiamo parlato di “astra-zione ingiustificata” perché nulla ci autorizza a ricavarla dall’esa-me di cio che effettivamente accade nel concreto della ricercascientifica.

Se dunque non vogliamo venir meno al canone che avevamoenunciato fin dall’inizio della nostra trattazione (al canone cioedi elaborare una concezione della scienza aderente a cio che lascienza e nella sua realta storica) clovremo rinunciare esplicitamen-te ad attribuire alla realta stessapun carattere statico. Come dallastaticita del reale si ricava la staticita della verita, cosi dal caratte-re non statico ma dinamico di questa, si ricava il carattere dinami-co della realta.

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Scienza e realismo

Tenendo conto del significato che ahhiamo cercato di deli-neare, nel secondo capitolo, per il termine “dialettica,” potremopertanto concludere che la realta presenta una struttura dialettica,struttura che sarebbe vano tentar di rinserrare, in determinazioniaprioristiche, o. di rappresentare in modo esaustivo mediante unqualsiasi rnodello.

E proprio in questa dialetticita che si radica il perenne sforzodell’uomo di ideare nuove teorie scientifiche, di non arrestarsi difronte ad alcuna difficolta e nel contempo di non accontentarsi dialcun successo; cioe di ampliare, modificare, rivoluzionare le vec-chie nozioni e le vecchie categorie, per riuscire ad “approssimare”seinpre meglio la realta nel suo stesso divenire.

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Capitolo quarto

La crescita della .vcienzae la waz mziomzlitd

1. Considemzioni introduttive

Nel capitolo precedente abhiamo cercato di delineate una con-cezione generale della scienza presentandola, oltreché come con-quista di sempre nuovi dati osservativi, come successione illimi-tata di approfondimenti. Per restare fedeli al programma di lavoroproposto nelllflvzzertenza, dovremo ora sforzarci di confrontaretale concezione con il “fenomeno scienza” nella sua effettiva con-cretezza storica, esaminando anzitutto in qual modo le conoscenzescientifiche si siano di fatto accresciute dai ternpi di Galileo ainostri.

Proprio su questo argomento sono sorte infatti, di recente,numerose discussioni, sfociate nella seguente domanda: si tratta ono di un modo “razionale”? o, per lo meno, fino a che punto essopuo dirsi razionale? Per mostrare la complessita del quesito, os-serveremo che esso semhra postulare l’esistenza di una nozioneastorica di razionalita, alla cui stregua giudicare se risultino o norazionali i modi con cui le scienze si sono di fatto accresciute.Dovremo dunque accogliere l’idea di una razionalita diversa daquella che si esplica concretamente nelle scienze, e anzi ad essa su-periore?

Per avviare il dibattito, cominceremo a esporre schematica-mente alcune interpretazioni tradizionali del fenomeno “crescitadella scienza.” Le denoteremo con i seguenti tre termini: schemagalileiano, laplaciano e kleiniano, perché riconducibili, grosso mo-do, alle concezioni di Galileo, di Laplace e di Felix Klein.

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Scienza e realismo

2. Le interpreiazioni tradizionali della crescita della .vcienza

2.1. Schema galileiano. _ Possiamo anzitutto richiamare quan-to alobiamo accennato nel paragrafo 2.1 del primo capitolo: perGalileo l’universo e ritagliabile in zone fra loro inclipendenti, sic-ché_e raggiungibile una conoscenza assoluta e perfetta di cio cheavviene in una di tali zone senza che cio richieda alcunché circale nostre conoscenze di quanto accade nelle altre zone. La cresci-ta della scienza consistera allora nell’aggiunta, all’insieme dellezone gia conosciute, di una nuova zona per l’innanzi ignorata onon perfettamente conosciuta.

Si trattera pertanto di una crescita per semplice accumulazio-ne, ove _ data l’indipendenza anzidetta _ l’aggiunta di unanuova conoscenza non potra esercitare alcuna influenza sulle cono-scenze gia possedute; in particolare, non potra contribuire al loroapprofondimento per il fatto stesso che esse sono gia perfette(cioe pari a quelle che ne possiede la divinita).

2.2. Sc/aema laplaciano. _ Nello stesso paragrafo or ora ri-chiamato del primo capitolo, si e detto invece che, secondo Lapla-ce, l’universo non e ritagliabile in zone tra loro indipendenti, sic-ché, per raggiungere una conoscenza assoluta e perfetta di cio cheavviene in un settore dell’universo, occorrerebbe raggiungere nelcontempo una conoscenza altrettanto perfetta di cio che avvienein tutti gli altri settori di esso. In effetti, l’unico essere in gradodi conseguire una conoscenza siffatta, sara il famoso “démone diLaplace” cioe un intelletto supremo che, possedendo in tutti isuoi dettagli il quadro generale dell’esperienza ad un istante qual-siasi, e padroneggiando perfettamente tutte le tecniche della ma-tematica, riuscira a sintetizzare in una sola formula tutti gli even-ti passati, presenti, e futuri dell’universo.

L’uomo dovra invece accontentarsi di una conoscenza proba-hile dei singoli eventi; conoscenza che, col crescere della scienza,sr approssimera sempre piu a quella dell’anzidetto démone, senzatuttavia poterla mai raggiungere. Comunque, quando egli riesce aconoscere qualche nuovo anello della catena dell’universo, questaacquisizione si ripercuotera sull’intero campo delle conoscenze dalui in quel momento possedute, rendendole tutte via via piu pro-babili.

Il progresso della scienza consistera per l’appunto in questoincremento di probabilita.

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La crescita della _vcienza e la sua razionalita

2.3. Schema kleiaiano. _ E noto che secondo il famoso “pro-gramma di Erlangen,” esposto da Felix Klein nel 1872 (per l’ap-punto all’universita di Erlangen), le varie discipline geometriche_ geometria metrica, geometria affine, geometria proiettiva, ecc._ si possono disporre in una scala gerarchica secondo cui unageometria sita in un certo gradino di tale scala e piu generale epiu profonda delle geometrie site in gradini inferiori, e meno ge-nerale e profonda di quelle site in gradini superiori. L’asserto cheuna certa geometria G e meno generale di un’altra geometria G’,significa che G e un caso particolare di G'; piu esattamente: ilgruppo di trasformazioni che lasciano invariate la figure di G eun sottogruppo del gruppo di trasformazioni che lasciano invaria-te le figure di G'.

In questo quadro concettuale, la crescitpa della conoscenza con-sistera nel passare da una teoria piu ristretta ad una piu ampia cheincluda la precedente. Nell’anzidetto “programma di Erlangen”Klein si e limitato a delineare il progresso delle teorie geometriche,ma per analogia noi possiamo chiamare kleiniano ogni trapassodel genere, qualunque sia la disciplina in cui ha luogo.

3. Critica dei ire sclaemi esposti nel paragrafo precedente

Lo schema galilelano risulta oggi manifestamente insostenibileperché fondato sull’ipotesi che si possa raggiungere una conoscen-za “pari a quella divina” in singoli settori dell’universo, isolan-doli per cosi dire dagli altri. Come si as accennato nel primo capi-tolo, questa ipotesi esercito una funzione molto stimolante al sor-gere della scienza moderna, perché infuse nei ricercatori dell’epo-ca una grande fiducia in se stessi e nella comunita scientifica; sitrattava infatti di attribuire a questa comunita il grandioso com-pito di costruire a poco a poco il granitico edificio del sapere,costruzione a cui ogni scienziato serio avrebbe potuto recare uncontributo personale aggiungendo qualche nuovo mattone ai so-lidissimi muri gia elevati dai suoi predecessori. Ma quella fiduciacomincio a venire meno, quando ci si accorse che tali muri nonerano cosi solidi come si era creduto (per la presenza di nozionitutt’altro che chiare in teorie ritenute validissime, per l’incertez-za delle stesse metodologie da applicare nella ricerca, ecc.), e chein taluni casi l’autentico progresso del sapere esige che siano co-raggiosamente abbandonate le concezioni scientifiche precedenti.

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Sciefzzu e reulirmo

Loschema laplacicmo riesce ad evitare questa difficolta perchésposta l’idea del sapere assoluto dal dominio effettivo dell’intelli-genza finita degli uomini a quello immaginario della “intelligenza-limite” propria del famoso “démone” postulato dal nostro auto-re. In tal modo si avra che nell’ambito delle conoscenze umane _ove non E: pid lecito parlare di proposizioni assolutamente Verema solo di proposizioni fornite di maggiore o minore probabilita-- il progresso del sapere, concepito come frutto del lavoro di ge-nerazioni e generazioni di ricercatori, potra apparire enormementepid articolato che nello schema precedente: cosi articolato da am-mettere che un’opera, pur scientificamente validissima, venga to-talmente eclissata dalle opere elaborate dalle generazioni succes-sive. “La pid perfetta opera,” scrive Laplace “elevandole [lescienze] ad un’altezza da cui esse non possono ormai discendere,da nascita a nuove scoperte e prepara cosi delle opere che do-vranno eclissarla.” Si tratta di una dinamica resa possihile dal ri-fiuto di considerate le opere scientifiche come costituite di tantielementi (mattoni) che non potranno mai venire rimessi in di-scussione.

Malgrado questi vantaggi, e ovvio tuttavia che nemmeno loschema laplaciano puo venire considerato del tutto soddisfacente.Cio che lo rende inaccettabile e il fatto di mantenere in piedi, siapure solo sul piano immaginario dell’intelligenza-limite, la nozio-ne di verita assoluta. Se non sappiamo in concreto che cosa essasia, con che diritto potremo parlare sensatamente dell’articolatoprocesso che ce la farebbe approssimare?

Quanto allot ,schema kleiniano, as certo che esso puo ritenersivalido per lo sviluppo di alcune teorie, ma non per tulle, essendo- casi in cui la crescita della scienza parte proprio dalla negazio-ne di alcune caratteristiche che erano parse essenziali al livello daessa raggiunto nelle fasi precedenti. E degno di nota che un casosiffatto si presenta nello stesso sviluppo delle discipline geometri-che quando si esamina il trapasso dalla geometria euclidea a quel-le non euclidee. E bensi vero infatti, come ahbiamo gia ricordatonel sesto paragrafo del terzo capitolo, che i tre tipi di geometriametrica (euclidea, iperholica ed ellittica) possono venire conside-rati come particolarizzazioni di una medesima geometria pid gene-rale (la proiettiva), ma la loro inclusione in quest’unica geornetrianon esclude affatto che i tre tipi anzidetti risultino fra loro colle-gati da un rapporto di negazione. Possiarno aggiungere che tale in-clusione presenta in un certo senso i caratteri della sintesi dia-

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La crercita della scienza e la rua mziomzlité

lettica; con essa si dimostra infatti che la geometria euclidea e ledue geometrie non euclidee, inizialmente considerate come anti-tetiche, possono, con una opportuna reinterpretazione, coesistereuna accanto all’altra se inquadrate in una geometria di livello pidprofondo.

Per confermare Finadeguatezza dei tre schemi or ora riferiti,si rifletta sul fatto che nel corso dei secoli la crescita della scienzasembra essersi realizzata nei modi pid diversi, come possiamo age-volmente constatare elencando alcuni casi particolarmente signi-ficativi. E certo, ad esempio, che la nascita della scienza vennecontrassegnata da un deciso ahbandono, almeno parziale, del lin-guaggio comune con la messa sotto accusa delle categorie da essousate, considerate troppo vaghe e imprecise per prestarsi ad argo-mentazioni davvero convincenti; nuovi radicali mutamenti di lin-guaggio si avranno anche in momenti successivi, come dimostranola svolta della chimica operata da Lavoisier, il trapasso dall’anali-si matematica settecentesca a quella dell’iOttocento, l’applicazionedell’algebra astratta alla meccanica quantistica, ecc. In altri casiinvece la crescita della scienza e stata dovuta alla scoperta di datiosservativi del tutto nuovi (come quelli che diedero origine aglistudi sulla radioattivita) e alla constatazione che essi non eranoin alcun modo inquadrabili nei vecchi concetti e principi. Altrevolte ancora alla scoperta dell’identita di fenomeni che eranosempre stati ritenuti nettamente diversi (quali i fenomeni ottici equelli elettromagnetici), oppure alla scoperta di gravi antinomienella determinazione della natura di certi fenorneni come la luce,che improvvisamente ha rivelato due aspetti apparentemente con-traddittori (l’aspetto corpuscolare e quello ondulatorio), e cosi via.Né va dimenticato l’impulso recato alla crescita della scienza vuoidalla scoperta dell’origine di taluni errori che potrehhero dirsi“naturali” (ad esempio ii ben noti errori della dinamica aristoteli-ca), vuoi dall’introduzione di nuovi modelli per la spiegazione deivari fenomeni (per esempio dall’introduzione di modelli pura-mente matematici in luogo di quelli meccanici, oppure di modellistatistici in luogo di quelli deterministici), ecc.

Di fronte all’incontestabile pluralita delle vie lungo le qualila scienza si e venuta ampliando e approfondendo, sorge sponta-nea la domanda: possiamo ancora ritenere che il suo sviluppo ri-sulti inquadrabile in uno schema univoco (non importa se apparte-nente all’uno o all’altro dei tre tipi indicati o a un qualche altro

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Scielaza e realirmo

diverso da essi)? E se non possiamo ritenerlo, dovrerno concluder- l

ne che la crescita della scienza non e un fenomeno razionale?

4. Recenti interpreiazioni della crescita della scienza

Ahhiamo accennato, nel primo paragrafo, alla recente fiorituradi interessantissimi dibattiti intorno alla crescita della scienza.Per la verita, essi non sono tanto diretti ad analizzare i modi con-creti attraverso cui la scienza e venuta effettivamente sviluppan-dosi, quanto a scoprire una caratterizzazione generale di talecrescita.

Una delle maggiori difficolta in cui si imbatte chiunque riflet-ta su questi argomenti, risiede nel fatto -_ veramente difficile aspiegarsi -- che la crescita della scienza non venne irnpedita, maanzi in certo senso stimolata, dal crollo di alcune teorie, come adesempio quella di Newton, cui era stato riconosciuto per secoli unvalore scientifico incontestahile.

A tale proposito sono di particolare interesse le posizioni as-sunte da Popper e da Kuhn; posizioni che possiamo delineate ser-vendoci delle parole stesse usate da Lakatos in un interessante ar-ticolo incluso nel volume Crilica e crescita della conoscenza ( 1975):

Cio che distingue l’approccio di Popper consiste principalmente nell’a-ver afferrato tutte le iniplicazioni del crollo della teoria scientifica megliocorroborata di tutti i tempi: la nieccanica newtoniana e la teoria della gra-vitazione di Newton. Dal suo punto di vista, Fatteggiamento corretto nonSta nella cautela nell’evitare errori, ma nella spietatezza nell’eliminarli.Audacia nelle congetture da un lato e severita nelle confutazioni dall’al-tro: questa é la ricetta di Popper. Kuhn la pensa diversaniente. Anch’eglirespinge l’idea che la scienza cresca per accumulazione di verita eterne.Anch’egli deriva la sua ispirazione principale dal rovesciamento della fisicadi Newton da parte di Einstein. Anche per lui il problema principale E:

quello della rivoluzione rcientifica. Ma mentre per Popper la scienza é“rivoluzione permanente” e Patteggiainento critico e il cuore dell’impresascientifica, per Kuhn la rivoluzione e eccezionale e, anzi, extrascientifica,e la critica in tempi “norrnali” e anatema. Anzi, per Kuhn il passaggio dal-Yatteggiamento critico al dogmatismo segna l’inizio del progresso e dellascienza “nor1nale.” Secondo lui l’idea che con la “confutazione” si possachiedere il rifiuto e l’eli1ninazione di una teoria e “falsificazionismo inge-nuo.” La critica della teoria dominante e la proposta di teorie nuove epermessa soltanto nei rari momenti di “crisi.”

Qui non vogliamo discutere la fondatezza delle due tesi chevengono da Lakatos contrapposte l’una all’altra; e neanche voglia-

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La cresclta della scieiaza e la sua razionalita

mo esaminare se siano davvero cosi contrapposte fra loro comeLakatos ritiene o se invece non diano luogo a conseguenze concre-te ahhastanza prossime, come ritiene per esempio Mirko DrazenGrmek (secondo cui la diversita tra le posizioni di Popper e diKuhn inciderehhe piu sulle loro idee generali che non “_al livellpdell’interpretazione dei casi storici conosciuti in dettaglio”). C10che qui ci interessa e renderci conto che i due autori tentanodi chiarire il fenomeno “crescita della scienza,” suggerendone dermodelli ciascuno dei quali risulta ahhastanza intuitivo: in effettle ahbastanza intuitivo sia il rnodello della “rivoluzione perina-nente” avanzato da Popper, sia quello delllalternarsi fra’ periodi didogmatismo (ovvero di scienza normale) e periodi di CI1S1, avanza-to da Kuhn.

Nelle intenzioni dei loro autori, questi modelli dovrebhero conu-piete, rispetto al fenomeno storico in questione, una funzione incerto senso analoga a quella cornpiuta, rispetto ai fenomeni naturali,dai modelli di Volta in volta ideati dagli studiosi di fisica, di chi-mica, ecc; si pensi per esempio ai noti modelli costruiti, in passato,per spiegare i fenomeni ottici, elettrici, termici, ecc. _ _ _

ll fatto che oggi le scienze della natura tendano a ridnnensio-nare la funzione esplicativa tradizionalmente attribuita al inetododei modelli dovrebbe, ovviamente, renderci un po’ sospettosi circal’efficacia di una estensione di tale rnetodo allo studio dei fenonaenistorici. Coinunque anche Lakatos, che pure ha assunto una posizio-ne seriamente critica nei riguardi dei due modelli di'Popper e diKuhn, ha ritenuto di dover fare ricorso al rnetodo in esame, propo-nendo un terzo modello, piu complesso ma senza dubbio piu soddi-sfaccnte (almeno a nostro parere).

_ _

Questo e fondato sul ben noto concetto di “programnia di ri-cerca,” che ci limiteremo a richiamare in poche righe utilizzandoquanto piu possibile le stesse parole di Lakatos. Un “programmadi ricerca” connette una successione di teorie “caratterizzate dauna certa continuita che ne unisce gli elernenti.” Esso consiste di“regole metodologiche” alcune delle quali “indicano quali vie dellaricerca evitare, altre quali vie perseguire.”

L’euristica negativa specifica il “nucleo” del prograrnma che _invvirtu diuna decisione metodologica dei suoi protagonisti non E: “confutabile ; leuri-stica positiva consiste in un insieme abbastanza articolato di proposteno disuggerimenti su come cambiare e syrluppare 1e_ yarianti cpnfutabili delprogramma di ricerca, su come modificare e sofistlcare la cintura protetti-va “confutabile”

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Sgjgnza 3 fwlismo l; La crescita della xcienza e la sua mziomzlité

Si noti che proprio l’esistenza di questa euristica positiva per-mette al programma di essere mantenuto in vita, malgrado la sco-perta di alcuni dati che contraddicono i primi anelli della successio-ne di teorie connessa al programma in questione. Cio puo avveni-re, in quanto si riconosca che tali dati suggeriscono, si, delle modi-fiche anche, rilevanti a quella che ahhiamo chiamato la “cinturaprotettiva” del programma ma non ne toccano il nucleo.

La crescita della scienza consistera allora, secondo il modellodi Lakatos: per un lato, nello sviluppo a volte assai lento di unprogramma, sviluppo che si realizza grado a grado sotto l’azionedi prove empiriche e col ricorso a sempre nuove ipotesi ausiliarie,per un altro lato, nella dialettica di programmi di ricerca compe-titivi, hasati su “nuclei” fra loro diversi. Questi programmi com-petitivi possono coesistere uno accanto all’altro, non essendonecessario, per il sorgere di un nuovo programma, che il Vecchiosia stato del tutto ahhandonato, onde si avra un autentico “plura-lismo teorico.” Scrive in proposito il nostro autore:

La storia della scienza E: Stata e dovrebbe essere una storia di program-mi di ricerca in competizione (o, se si preferisce, di “paradigmi”), ma none stata e non deve diventare una successione di periodi di scienza normale:quanto piu presto comincia la competizione, tanto meglio e per il progresso.

Come poco sopra non ahhiamo voluto discutere la fonclatezzadei due modelli di Popper e di Kuhn, cosi ora non vogliamo discu-tere la fondatezza del nuovo modello di Lakatos. E nemmeno in-tendiamo analizzare in che misura esso si differenzi da quello diPopper e da quello di Kuhn. Tutt’al piu possiamo notare che, al-meno a prima vista, esso sembra attingere alcune idee fondamentaliproprio dal modello di Kuhn; cio risulta abhastanza chiaro da alcu-ne affermazioni di Lakatos stesso, per esempio dalla seguente: “lerivoluzioni scientifiche consistono nella sostituzione di un program-ma di ricerca con un altro.”

La cosa importante dal nostro punto di vista at un’altra: as cheLakatos ci semhra comprendere piu chiaramente degli altri dueautori la funzione dei vari modelli ideati per spiegare la crescita del-la scienza. Questa funzione consiste essenzialmente, secondo lui, nelsuggerirci adeguate “ricostruzioni razionali” della storia della scien-za, restando pero inteso che la validita di queste ricostruzioni (cioedei modelli su cui esse si reggono) va in ultima istanza giudicata,sempre secondo Lakatos, in base alle effettive applicazioni che sene possono fare allo studio concreto di tale storia. In altri termini _84

_\

per usare le stesse parole del nostro autore _ “la storia puo es-sere vista come un ‘controllo’ delle sue ricostruzioni razionali.”

Vale la pena, giunti a questo punto, di porre al centro dellanostra indagine il concetto stesso di “ricostruzione razionale.”

5. Critica alel concetto di ricostruzione razionale, con particolareriferimento cz La/eatos

Compiere la ricostruzione razionale di un dato periodo di sto-ria della scienza significa, secondo la concezione _delineata nel pa-ragrafo prelcedente, esporre lo sviluppo verificatosi entro lascienza (o entro una determinata scienza) durante quel periodo,in forma tale che ne risulti evidenziato il carattere razionale del-lo sviluppo stesso. In altri termini: esporlo in forma tale chequesto sviluppo non ci appaia del tutto caotico, ma contrassegna-to da un certo ordine interno. E un fine, come gia si E: detto,che viene perseguito in forme diverse _ quale piu e quale menosoddisfacente _ tramite i modelli di cui si e fatto parola nel pa-ragrafo precedente; fine di cui vogliamo sottolineare l’analogiacon quello perseguito _ qui pure in forme ora piu ora meno sod-disfacenti _ dalle varie teorie fisiche, chimiche, biologiche, ecc.nei confronti del mondo, a prima vista caotico, dei fenomeninaturali.

Riservandoci di prendere in esame nel quinto capitolo i pro-hlemi connessi al concetto di ordine della natura, vogliamo quifar suhito notare che nella definizione poco sopra riferita di ri-costruzione razionale dello sviluppo della scienza' affiora mani-festamente una certa amhiguita, dovuta proprio al termine “ra-zionale.” Basti osservare che tutti e tre i modelli in questione (diPopper, di Kuhn, di Lakatos) fanno intervenire qualche operazioneche semhra con difficolta caratterizzahile come rigorosamenterazionale: il modello di Popper fa intervenire una intuizione ditipo hergsoniano nella ideazione di una nuova congettura da so-stituire a quella confutata; quello di Kuhn fa intervenire fattorinon scientifici (di carattere psicologico, sociologico, ecc.) nei pe-riodidi crisi che segnano il trapasso da una scienza normale adun’altra; quello di Lakatos fa appello ad argomenti consimili perspiegare l’emergere di un nuovo programma di ricerca che entre-ra in competizione con un programma precedente, il quale non estato ancora del tutto abhandonato dalla comunita scientifica

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Scienza e realismo

naalgrado il gran numero di aggiustamenti cui si e dovuto farericorso per tentare di salvarlo. Non senza motivo Kuhn ha espli-citamente sostenuto, in polemica con Popper, che a rigore nonpuo esservi una vera e propria l0giC6l ma solo una psicologia del-la scoperta scientifica.

_Non e pero su questi aspetti della questione che intendiamoqui soifermarci, bensi su un prololema molto pid generale, il cuiesame ci sembra preliminare a tutta la trattazione.

S1 E: detto che con la ricostruzione razionale della crescita del-la _scienza noi miriamo ad evidenziare il carattere razionale del suosviluppo. Proprio qui tuttavia sorge una domanda di decisiva im-portanza: l’ipotesi da cui partiamo e che lo sviluppo in parola siagia in se stesso razionale, onde, nel tentarne la ricostruzione ra-aionale, non faremmo altro che sforzarci di porre in luce questaintrinseca razionalitaP oppure supponiamo che, considerato in sestesso, tale sviluppo sia privo di un qualsiasi ordine razionale,onde saremmo noi, e solo noi, a rivestirlo di una certa logicitanel preciso momento in cui tentiamo di delinearne una ricostru-zione razionale?

Trattasi di un dilemma analogo a quello, hen noto da secoli,che concerne i rapporti fra scienza (fisica, chimica, ecc.) e mondoreale: la razionalita che la scienza riesce ad evidenziare nel corsodei fenomeni, e una razionalita oggettiva - colta dalla scienzama non creata da essa ~ oppure e una razionalita soggettiva, dicui noi rivestiamo tale mondo nell’atto stesso di sovrapporvi inostri schemi scientifici? Nel caso presente, pero, in cui il mon-do preso in considerazione non e quello dei fenomeni naturalima e il mondo stesso della storia (e in particolare della storia del-le teorie_ scientifiche), il dilemma anzidetto assume un’autenticadrammaticitax Infatti, la seconda ipotesi da esso prospettata (cioolipotesi che il processo storico in questione sia in se stesso pri-vo di razionalita) comporterehhe l’ammissione che tale processo,frutto del lavoro umano, dovrehbe risolversi in una successionecaotica di azioni prive di qualsiasi nesso logico che colleghi l’unaall’altra.

lpopo questo chiarimento di carattere generale, possiamo chie-derci quale sia il corno del dilemma anzidetto verso cui sembrapropendere Lakatos, cioe quello dei tre autori da noi menzionatiche mostra di avere meglio compreso l’importanza della nozionestessa di ricostruzione razionale.

Alcune sue affermazioni non paiono lasciare duhhi al ri-

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La crescita della scienza e la sua razionalitzi

guardo, in quanto sottolineano esplicitamente la netta differenzache egli scorge fra la storia, come processo reale, e la ricostru-zione razionale che ci sforziamo di farne. Bastino due citazioni:“La storia della scienza ei sempre pid ricca della sua ricostruzionerazionale” e “nessuna ricostruzione razionale puo mai coinciderecon la storia reale.” Da esse risulta chiaro che, secondo il nostroautore, la storia della scienza quale processo reale non sarebbe“completamente razionale” come del resto non lo e (sempre se-condo Lakatos) “nessun insieme di giudizi umani.” Stando cosile cose, il nostro compito non potrebhe essere quello di enuclea-re, dal corso effettivo della scienza, una razionalita oggettivamen-te insita in essa, in quanto tale razionalita oggettiva non esiste;sarebhe invece, pid modestamente, il compito di ideare a gradoa grado “la migliore ricostruzione mziomzle della scienza.”

Insomma, la razionalita di cui qui si parla semhra essere, dalpunto di vista di Lakatos, qualcosa di meramente soggettivo,cioe di specifico dello studioso che cerca di comprendere comesi sono sviluppate le teorie scientifiche, non qualcosa di intrin-seco allo sviluppo storico stesso di tali teorie. In altre parole,quando lo studioso di storia della scienza inserisce nel suo pianodi lavoro la ricostruzione razionale di un certo periodo di talestoria, egli affermerehbe soltanto una cosa: di non volersi limita-re ad esporre banalmente la successione dei singoli passi compiu-ti dalla scienza in tale periodo, ma di volerli fare rientrare in uncerto modello di crescita. E uifaffermazione che impegna il suomodo di condurre la ricerca, ma che non riguarda la storia reale.

Va pero riconosciuto che lo stesso Lakatos rivela altroveuna qualche incertezza sul delicato argomento. Cio accade inparticolare quando egli parla della possihilita, anzi opportunita,di ritoccare i modelli in base a cui compiere l’anzidetta ricostru-zione al fine di renderli pid adeguati all’effettiva crescita dellascienza. Quale altro senso potremmo, infatti, dare ai brani incui accenna ad un “progresso nella teoria della razionalita scien-tifica” che sarehhe contrassegnato “dalla ricostruzione di unacrescente massa di storia [...] come razionale”? L’idea stessa ditale progresso parrebhe inconcepibile, se non si ammettesse l’esi-stenza effettiva, nel processo storico reale dello sviluppo dellascienza, di una- qualche forma di razionalita che viene via viameglio approssimata dalle nostre ricostruzioni razionali. Comun-que sia, la presenza nel nostro autore di una qualche sia pure in-diretta concessione all’ipotesi oggettivistica (cioo all’ipotesi che,

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Scienza e realismo

ricostruendo razionalmente la crescita della scienza, noi cerchia-mo di enucleare e approssimare la razionalita oggettiva di talecrescita), non puo che dimostrare la sua piena consapevolezza cir-ca la complessita del problema, e pertanto accrescere la nostra sti-ma per la sua indagine.

Passando a un problema piu generale, possiamo chiederciquale E: l’idea di fondo, invocata da Lakatos per giustificare la tesidella necessita di ricostruire razionalmente la storia della scienza.Bisogna riconoscere che egli e molto esplicito su questo problema.Esistono bensi _ dichiara apertamente -- parecchi storici i quali“considerano con orrore l’idea stessa di ana qualsiasi ricostruzionerazionale,” ma aggiunge subito “la storia senza una qualche ‘dispo-sizione’ teorica e impossihile.” Secondo lui infatti, as una disposi-zione teorica cio che ci fa selezionare gli eventi scientifici e ci indu-ce a connetterli in un certo modo piuttosto che in un altro, ossia cioche ci porta a ricostruire razionalmente il loro sviluppo. “Questadisposizione, naturalmente, puo essere oscurata da una variazioneeclettica di teorie o da confusione teorica; ma né l’eclettismo né laconfusione equivalgono a un modo di vedere ateorico. ” In altri ter-mini: una storia della scienza, che non implicasse una ricostruzionerazionale della medesima, si ridurrebbe alla mera registrazione in-clifferenziata di eventi privi di qualsiasi connessione reciproca, cioesi ridurrebbe ad una esposizione che non ha nulla di storico, nonha nulla in comune con le altre autentiche storie (della filosofia,dei fatti politici, ecc.).

Ma e accettabile questa idea di fondo? E proprio Vero chegli storici della scienza “che respingono con orrore l’idea stessa diuna qualsiasi ricostruzione razionale” si sono sempre limitati amere registrazioni indifferenziate di eventi del tutto isolati unodall’altro? O non e Vero, piuttosto, che hanno cercato di scoprirenel fluire stesso delle teorie scientifiche il filo conduttore della lorostoria? Qui ci troviamo nuovamente di fronte al problema poco so-pra discusso: la razionalita che lo storico della scienza si sforza diporre in luce nello sviluppo delle teorie, e una razionalita che affon-da le proprie radici in tale sviluppo stesso (considerato nella suaoggettivita) oppure e una razionalita che proviene dal modo concui noi siamo in grado di ricostruirlo?

Proprio come e notoriamente impossibile scomporre - se noncon un atto di astrazione arbitraria - un fenomeno continuo neglielementi che lo costituirehhero, cosi as a nostro parere impossihilescomporre il tessuto reale della storia (e in particolare della storia

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La crescita della scienza e la sua razionalita

della scienza) in un aggregato di eventi isolabili, costituenti il ma-teriale che servirehhe alla costruzione di tale tessuto. Noi pensia-mo invece che questo tessuto formi un’unita, entro cui non as pos-sibile separare gli anzidetti elementi dal filo che li connettef filoconduttore che possiede una propria “ragion dfeS;S§I€,” C106 11113

propria razionalita oggettiva, che 'e tanto pid difficile da coglierequanto e piu rigida la pretesa di rinserrarlo in qualche schemaaprioristico di razionalita.

6. Sul possibile ricorso alla zlialettica nelfopera di razionalizzazionedella storia della scieaza

Se riconosciamo che gli eventi umani, in particolare cluelli con-cernenti la ricerca scientifica, sono inseriti in un mtricatissimotessuto di relazioni reciproche, fuori del quale non _e possihile in-tenderli, siamo costretti ad ammettere che lo studio della storiadella scienza dovra avvalersi, senza preclusione di sorta, di tutt1 mezzi in grado di illuminate l’uno o l’altro.di tali rapporti. Doxlrapercio analizzare, sotto i pid diversi aspetti, tanto lo sviluppo 1n-

terno delle teorie quanto l’azione esercitata su tale sviluppo dall am-biente sociale (storia esterna), tanto il processo di creazione dinuove teorie quanto quello di estinzione e abhandono di altre, tan-to i rapporti fra scienza e linguaggio ~(e di conseguenza tra categoriescientifiche e categorie logico-linguistiche) quanto quelli fra scienzae strumenti di osservazione (in particolare apparecchi di misura),tanto l’influenza della scienza pura sullo sviluppo tecnologico quan-to di questo su quella, e cosi via. _

Siamo senza dubbio ben disposti ad ammettere che la ricostru-zione razionale tramite modelli (di cui ahhiamo parlato nel para:grafo precedente) costituisce oggi uno degli strumenti rivelatisi piuefficaci per l’esecuzione dell’articolatiss1mo programma teste accen-nato. Cio che ci sembra invece di dover respingere as la pretesa che,se non ci si vuole limitare a una pura descrizione (o registrazione)dei fatti studiati dalla storia della scienza, sia assolutamente neces-sario fare ricorso allo strumento anzidetto. _ _

Vale la pena, del testo, ricordare che nella fisica moderna lacontrapposizione fra spiegazione (per l’appunto mediante modelli)e clescrizione ha perso ormai gran parte dell’1rnportanz_a che avevaavuto in passato (cosi, per esempio, non E: facile stabilire oggi _se 1

modelli matematici siano davvero esplicativi o soltanto descrittivi).

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Scienza e realirmo

P ’ » .

5552; §u§qu@_d0V{f2mmO _ in quella nuova scienza che e lae a scienza _ contrapporre frontalmente ricostruzione

razloéldale (intesa come spiegazione) e mera descrizione? perchénon Ovrelnmo mtefpretarle come complementari e far uso contem-poraneo _di entrambe nell’intento che una illumini l’altra?

M1 S1 obiettera, con Lakatos, che la storia delle scienze “senza‘?lUf\1Ch@ d15P0SlZ10D€’teorica e impossibile” (come gia ricordammoE? Par-agfafo Pf@C@Cl€1”1tC)- L’ob1‘ezione e senza dubbio seria e dob-iamo tenerne conto. Ma essa C1 induce soltanto a spostare il proble-ma, chiedendociz perché la “disposizione teorica,” di cui non pos-Slalgchlarle a meno, dexte essere cosi rigida come quella indicata daimo _e 1 1 Popper o d1 Kuhn o d1 Lakatos? perché non possiamosostituirla utilmente con una “disposizione” piu flessibile iu artrcolata, piu comprensiva? ’ P _

Si re€3E1(a;1;1c;Ov(§;1§>aEel paraggafo precedente che' anche Lakatogmeme la nostm noziecessglta 1 correggere e ampliare inmterrotta-male “Sem W _one 1 razionalita, per adeguarla alla storiad pre piu. ricca della sua ricostruzione razionale.” Perchéunque non fare r1corso ad una “disposizione teorica” piu aperta atutte le correzioni e a tutti gli ampliamenti?Offe§aH3;r;§tar§reduna disposiaione teorica siffatta ci puo venire

o_ o 1alett1co, di cur abbiamo ampiamente parlatonel secondo capitolo. In effetti esso ha il merito di portare unseriobintributo all apertura della nozione stessa di razionalita, co-me a _ 1amo cercato d1 spiegare 1n tale capitolo, ed e plausibile chePfQPr1<H'questa apertura sia cio che ci pone in grado di cogliere laEamon; 1ta oggettiva della_stor1_a della scienza, razionalita irriduci-le a alcuno schema aprioristico (secondo quanto abbiamo soste-nuto alla fine delparagrafo precedente).mo §e1;;E;;1;’; gnginere di apertura testé accennata, ci limitere-

il metodo dialettico e i1”l1g§ed1mcl:`nEO, ll Iiostro para? assal uuie’ Chedelle teorie Sdemifi h 8 r; 0 1 _ognirci per lo studio dello sviluppo1. h d _ C G. rattasi 1 questo: se riusciamo a stabi-IFC C .e ue teorie T e T sono legate fra loro da un rapporto

d1alett1co, allora dovremo ammettere che esiste fra esse un’effet-UV” f0f'fUf2> ma esiste nel contempo un’effettiva continuita. Digfiliiefgiglgial Fara facile comprendere che dalla stessa negazioneden t _ T, emerge _uno spunto che ci conduce alla creazione

_ a eoria _ Un tipico caso del genere Sl presenta H61 rappor-t1 tra la famosa memoria di Bohr, Kramers e Slater del 1924 dovevenue formulata l’ipotesi degli “oscillatori virtuali,” e la memoria

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La crescita della scienza e la sua raziomzlité

di Heisenberg del 1925 in cui e formulata la meccanica dellematrici. Come e noto, questa ultima costituisce una precisa rot-tura con la precedente, eppure prende in certo senso lo spuntoproprio da essa. Ecco cio che scrive in proposito, con notevoleacutezza, Carlo Tarsitani in un Saggio contenuto nel volume C011-

tfzibuti alla rtoria della meccanicaz quamtisticaz (1977):

...Proprio questo articolo [di Bohr, Kramers e Slater] contiene conside-razioni sul valore di una descrizione coerente dei processi elementari, sulproblema del carattere osservabile di essi in quanto non banalmente colle-gato al loro andamento oggettivo, che prefigurano in modo abbastanza de-ciso talune delle conclusioni pid significative connesse con la formulazionedefinitiva della meccanica quantistica.

Certamente la dialettica non ci offre delle categorie cosi pre-cise come quelle indicate da Lakatos nella sua analisi della cre-scita della scienza. E per esempio incontestabile che il materia-lista dialettico sovietico M. E. Omelyanovsky resta troppo nelvago quando afferma che “a partire dalla fine del XIX secolo co-minciarono a comparire in fisica situazioni paradossali festrema-mente feconde] collegate col fatto che i dati dell’osservazionenon potevano venire inquadrati negli schemi teorici e nelle ideeallora sostenute,” o viceversa che “l’assenza di progressi nella fi-sica delle particelle si spiega col fatto che in tale Campo non ci

si e ancora imbattuti in un paradosso suificientemente in contra-sto con le idee fisiche attuali e, per cio stesso, atto a mostrare inqual modo si debbano modificare le idee”; ma il rilievo da luidato alla paradossalita costituisce senza dubbio un prezioso sug-gerimento per lo storico della scienza. Viceversa la precisione deldiscorso di Lakatos (come di quelli di Popper e di Kuhn) ci fatemere che essa derivi da una ingiustificata generalizzazione diquanto osservato in un caso particolare, sia pure molto importan-te, di progresso della scienza (nella fattispecie, del progresso rc.-lizzatosi col trapasso dalla teoria di Newton a quella di Einstein).

Cio che a noi pare di poter sostenere, as che lo studio delladinamica della scienza, proprio perché non e trattabile con ilmetodo assiomatico, vada perseguito con metodi che concedonoil piu largo spazio alla flessibilita dei concetti; e tale appunto as ilmetodo dialettico. L’applicabilita di questo metodo non esclude,ovviamente, che in taluni casi possa farsi ricorso a considerazioniformalmente pid rigorose; ma intanto ci permette di stare inguardia contro la pretesa di escludere dal campo della razionalita

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Scienza e realismo

tutto cio che non e trattahile con regole rigide, fissate a -prioriQuando Kuhn scrive di trovarsi d’accordo con Lakatos sullanecessita _di modificare la nozione corrente di razionalita onderenderla idonea a “razionalizzare” la storia della scienza, sorge

SPQHfanea la dornandaz perché non prende neanche in conside-razione la possibilita di fare, a tal fine, ricorso alla razionalitadialettica? none forse dettata questa chiusura, da una posizionepreconcetta, criticamente ingiustificahile?

7. Caraileriszfic/he di uno studio della “cresciia della rcienza”_wolzfo con zl metodo dialetlico

Per dare un signlficato piu preciso alla tesi, da noi ahhozza-ta alla fine del paragrafo precedente, circa l’opportunita di ri-correre nal _metodo dialettico nello studio della “crescita dellascrenza, ritemamo necessario affrontare ora direttamente il se-guente problema: quali dovranno essere le caratteristiche di talestudio, perché si possa affermare che esso e veramente svolto inbase al metodo anzidetto?

La nostra risposta si articolera in tre punti, per spiegare i qualidovremo fare ripetutamente riferimento a quanto detto sia fino-ra, ln questo capitolo sia nei capitoli precedenti. l

1. La _prima nozione a cui dovremo fare ricorso e quella diapprofondimento, ampiamente analizzata nel terzo capitolo. Giasapp1amo_che esiste una manifesta incompatibilita tra la tesi se-condo cui una teoria sarebbe in grado di approfondirne un’altrae_quella secondo cui le teorie scientifiche non sarehbero in gradddi conseguire alcuna verita risultando meramente convenzionali.Non e nemmeno 11 caso di aggiungere - tanto la cosa appareoyvia - che esiste unincompatibilita per cosi dire ancora mam81Ore fra la prima delle due tesi ora menzionate e quella di all-c_un1 studiosi moderni i quali sostengono la rigida “chiusura” deilrnguaggi scientifici (E. Frola) o la “incommensurabilita” delleteorre scientifiche (P. Feyerabend).

In netta opposiaione sia con i convenzionalisti di stretta os-;;;;;l1(g1Zil7; ppm gli ultimi autori testé citati, _il materialista dia-d tt d it vepe ne processo di approfondimento il filo con-

u ore e o svi uppo delle teorie scientifiche. Tenendo peroconto del fatto che tale processo si realizza in forme di Volta inVolta d1V@fS@ (come appunto venne osservato nel predetto ca-

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La crescita della scienza e la sua razionalita

pitolo), non pretendera di ricavarne un modello unico, applicabi-le indifferentemente a tutti i casi di “crescita della scienza.”

In particolare non pretendera di ricavarne una visione con-tinuistica della storia della scienza. L’esistenza di un legame diapprofondimento fra una nuova teoria T' e una vecchia teoria T nonesclude, infatti, che il trapasso da T a T’ implichi una svolta radi-cale (una vera coapare per usare la terminologia loachelardiana).Trattasi per lo piu di una svolta dovuta _ come scrive Omelya-novskij -- proprio alla scoperta entro la vecchia teoria di qualchesituazione paradossale, situazione tanto pid idonea a generate talesvolta quanto maggiore e la sua paradossalita. (Si ricordi, in pro-posito, che il metodo dialettico riconosce nella contraddizione lamolla principale di ogni sviluppo.)

Quanto ora detto non significa neppure, sia ben inteso, cheogni approfondimento implichi un’autentica svolta rivoluziona-ria. Potra accadere, invece, che esso richieda soltanto la precisa-zione di un concetto, Yesplicitazione di un’ipotesi sottintesa, lamodificazione di un assioma. In altri casi pero esso esigera pro-prio una trasformazione radicale di tutto intero il quadro cate-goriale della vecchia teoria (il che E: accaduto per esempio nel tra-passo dalla meccanica newtoniana a quella einsteiniana o allaquantistica); e allora avremo cliritto di parlare di vera rivoluzio-ne: _rivoluzione che e stata resa necessaria - come gia si E: detto-- dalla scoperta di qualche contraddizione di fondo nella vec-chia teoria. Va d’altra parte osservato che, cial punto di Vistadel metodo dialettico, le contraddizioni non sono tutte egualmen-te importanti (nel sesto capitolo faremo cenno alla distinzionefra contraddizione principale e contraddizioni secondarie), ondesegue che pure le rivoluzioni scientifiche cui esse danno luogonon avranno tutte la medesirna struttura e la medesima portata.

Sappiamo che, secondo Lakatos, non si puo parlare di rivolu-zione scientifica se non e mutato il “nucleo” stesso del program-ma di ricerca. Ma il metodo dialettico ci fa osservare che, in pa-recchi casi, Fapprofondimento assume un carattere rivoluziona-rio, anche se non si puo parlare di un mutamento siffatto; peresempio e difficile negate un carattere rivoluzionario all’inseri-mento (di cui abbiarno piu volte parlato) delle geometrie me-triche nel quadro generalissimo della geometria proiettiva, eppu-re non sembra agcvole trovare in tale processo l’abbandono di unVecchio programma di ricerca (basato su di un “nucleo” assuntocome inconfutabile in virtu di una decisione metodologica) a fa-

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Scienza e realismo

vore di un altro programma di ricerca (hasato su di un “nucleo”completamente diverso). In hreve: il modello lakatosiano appare,esaminato dal punto di vista del metodo dialettico, troppo rigidoe schematico per potersi adattare a tutta la ricchissima gamma diapprofondimenti che vanno dalla semplice esplicitazione di un’ipo-tesi sottintesa (o da operazioni analoghe) all’autentico approfon-dimento rivoluzionario.

2. La seconda nozione che il metodo dialettico ci invita aprendere in considerazione nello studio della “crescita della scien-za” e quella di “patrimonio scientifico-tecnico.” Ci dice, infatti,che la dinamica delle teorie scientifiche non puo venire compresaa fondo se esse non vengono calate nella dinamica di tale patri-monio.

Con cio non si esclude affatto che possa essere opportuno, intalune circostanze, considerare le teorie scientifiche in se stesse; cioaccade per esempio quando si vuole stabilire un confronto fra lastruttura logica di due teorie o decidere sotto quali condizioni unadi esse puo venire ridotta all’altra (e il hen noto prohlema del ri-duzionismo). E non si esclude neanche che tale confronto possa riu-scire istruttivo, per comprendere il tipo di approfondimento conse-guito nel trapasso da una teoria all’altra (ad esempio e senza duh-bio istruttivo per comprendere Fapprofondimento conseguito neltrapasso dalla teoria ondulatoria della luce sostenuta nel Seicentoda Huygens a quella sostenuta nell’Ottocento da Fresnel, oppureFapprofondimento realizzato nel trapasso dall’algehra dei secoliXVI, XVII, XVIII, essenzialmente incentrata sul prohlema della ri-soluzione delle equazioni algehriche di grado via via superiore, allacosi detta algebra astratta -- teoria dei gruppi, ecc. _ che ha avutoinizio nell’Ottocento). Cio che si esclude e, soltanto, che una conside-razione del genere anzidetto possa darci un’idea realmente adeguatadella dinamica delle teorie scientifiche, se non viene in qualche mo-do integrata dallo studio della dinamica del patrimonio scientifico-tecnico inteso nella sua glohalita.

Abhiamo sottolineato, nel secondo capitolo, l’importanza fon-damentale che il metodo dialettico attrihuisce alla ,categoria dellatotalita. Qui bastera pertanto rinviare a quanto allora detto, ri-badendo che tale categoria occupa _un posto centrale nello studiodella crescita della scienza proprio perché si tratta di un fenome-no di carattere storico, cioe di un fenomeno ove non si puo pre-scindere dal parametro tempo (come lo si intendei nella storia).

3. Il terzo punto su cui il metodo dialettico attira la nostra

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La crescim della scienza e la sua 1”6lZi0/idlilli

attenzione e ilrpnessgqmteoria-prassi. Questo nesso ci dice che E=:.im-possibile cogliere l’autentico significato della crescita della scien-za, limitandosi a esaminarne l’aspetto teorico quasi che questofosse separahile dall’aspetto pratico (tanto piu quando si intendela prassi come prassi sociale).

Tenuto conto di cio, si puo facilmente comprendere perchéil metodo dialettico ci fa giudicare troppo limitativa la ricostruzio-ne razionale della storia della scienza intesa nel senso da noi di-scusso nei paragrafi precedenti. Ma vi e di pin: esso ci fa conside-rare troppo limitativa anche l’interpretazione della crescita dellascienza da noi stessi abhozzata alcune pagine piu sopra, quandosostenemmo che il Vero filo conduttore di tale crescita e costitui-to dal processo di approfondimento.

Una semplice considerazione di questo filo conduttore non cipermette infatti di comprendere per quale motivo certe scoperte,pur notevolissime sotto l’aspetto teorico, non abhiano dato im-mediatamente luogo alla svolta che ci poteva attendere da esse;ovi ahbiano dato luogo solo pin tardi quando si formo intornoad esse un ambiente capace di capirle e di provarne, nella praticasociale, tutta la fecondita. Basti riflettere a cio che as accaduto inalcuni esempi paradigmatici, quali furono il caso della scoperta diMendel o della scoperta di Pacinotti.

Qualcuno obiettera forse che, se lo storico della scienza cercadi ricostruirne lo sviluppo tenendo davvero conto di tutti i fattoridi cui il metodo dialettico gli sottolinea l’importanza, egli finiraper lasciarsi sfuggire la razionalita di tale sviluppo. E un’ohiezioneche si hasa, in ultima istanza, sul presupposto che la storia (comefenomeno globale, che include in sé la storia della scienza) non siain se stessa razionale, e che noi possiamo tutt’al piu renderne razio-nali alcuni frammenti (per esempio i1 frammento costituito dallacrescita della scienza) in quanto riusciamo a inquadrarli in certischemi piuttosto che in certi altri.

Illpresupposto da cui prende le mosse il metodo dialettico as

invece un altro: e il presupposto che la storia (comefenomeno glo-hale) sia oggettivamente razionale, sia pure nel senso della raziona-lita dialettica; e che di conseguenza lo storico della scienza possamettere in luce la razionalita del fenomeno settoriale da lui studiato(la crescita della scienza) in quanto riesce a dimostrare -- sia putsolo per approssimazioni successive -_ che essa partecipa effetti-vamente della razionalita generale della storia dell’umanit£1.

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Capitolo quinzfo

La mztum e l’uomo

1. Il concetto Classico all nmfum

Nello sviluppo millenario del pensiero filosofico e scientifico iltermine “natura” ha assunto parecchi significati assai diversi fraloro. Qui ci limiteremo a prendere in considerazione quello elabo-rato dalla scienza moderna, a partire da Galileo.

Come e noto, essa lo uso per denotare l’universo in quanto re-golato da leggi, cioe in quanto ordinato. E, come pure as noto, que-sta concezione diede luogo a una serie di prohlemi, ormai conside-rati classici, intorno ai quali si accesero le piu impegnative discus-sioni. Ne elencheremo i principali, non perché sia nostra intenzioneintervenire in tali discussioni, ma perché cio serve a delineate ilquadro generale che fa da sfondo alle analisi svolte nei successiviparagrafi.

a) I./ordine della natura proviene da una divinita che la tra-scende, cioe che le impone tale ordine dal di fuori, oppure e insitonella natura medesima che potra pertanto venire identificata conla stessa divinita? Per illustrare la varieta delle risposte, loasti men-zionare quelle di Newton e di Spinoza. Newton afferma esplicita-mente »- nel famoso Scollo genemle _ che dio “regge tutte lecose... come signore dell’universo” onde la natura risulta collegataa lui da un rapporto di servitu; Spinoza invece lo considera comeimmanente alla natura e percio, in ultima istanza, coincidente conessa (claus sive nmfum).

b) L’ordine di cui si as detto te identico in tutto lo spazio 0 E:

diverso da una zona all’altra? E risaputo che secondo la fisica aristo-telica le leggi dell’universo sarehhero diverse nel mondo suhluna-re e in quello superiore, onde non si potrehbe parlare di un unicoordine. Spetta a Newton il grande merito di avere dimostrato che

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la legge fondamentale della gravitazione vale per entrambi i mondi,e avere cosi abhattuto la harriera che li divideva.

c) L’ordine della natura e identico in tutti i tempi o dobbiamoinvece supporre che le leggi naturali siano variate da un’epoca al-1’altra? Il prohlema si presenta ancora oggi irto di difficolta, percui rinviamo al volume La szfruttum clella scienza di E. Nagel (1968),in particolare a quanto ivi detto nel capitolo undicesimo. Basti riferi-re qualche sua affermazione: “Forse l’indicazione piu prohlematicacontenuta nella dottrina dell’emergenza e quella secondo cui le stesse‘leggi di natura’ possono carnhiare e in epoche cosmiche differentisi manifestano nuovi modelli di dipendenza tra gli eventi,” ossiache “le strutture stesse degli eventi si vanno modificando con iltempo.” Trattasi, secondo Nagel, di un’ipotesi possihile ma “al-tarnente speculativa, per la quale non risulta facile fornire prove ra-gionevolmente conclusive.” La maggiore difficolta consiste nel fat-to che, per sapere che nel passato le cose stavano in un certo modo,dobhiamo inferire gli eventi passati da quelli presenti, facendo pro-prio uso “di leggi che non sono caml;>iate.” “Per conseguenza l’as-sunzione che tutte le leggi siano simultaneamente implicate in unprocesso di mutamento si annienta da sola, in quanto che, essendoil passato 'del tutto inaccessihile alla conoscenza [salvo, come si edetto, a far uso di leggi che non sono camhiate], non sarernmo ingrado di fornire alcuna prova per tale assunzione.”

cl) L’ordine del mondo organico e identico a quello del mondoinorganico? Che le leggi di quest’ultin1o valgano anche per quello,non suscita problemi; ma la domanda e, se per il mondo organiconon valgano, in sovrappiu, alcune leggi specifiche, irriducihili aquelle del mondo inorganico. Trattasi, come é noto, del problernadella ricluzione delle leggi hiologiche alle leggi chimico-fisiche, o sesi vuole del problema del meccanicismo in senso lato. E un problemache continua ad essere della massima attualita, e si puo attrihuirealla biologia molecolare il grande merito di avere dissolto gli ultimiduhbi sulla continuita fra sistemi viventi e sistemi fisici.

e) L’ordine della natura vale anche per l’uomo? In un certosenso la risposta risulta ovviamente positiva, in quanto anche l’uo-mo e sottoposto alle leggi sia del mondo inorganico sia di quelloorganico (abhiamo detto “ovviamente,” pero solo per la Culturamoderna, poiché in altre epoche culturali sembrava invece ovvioche l’uomo “in quanto spirito” fosse soggetto ad influenze del tut-to diverse, per esempio angeliche o demoniache). Ma anche pernoi la risposta cessa di essere cosi facile, non appena si passi da ge-

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Scienza e realismo

neriche affermazioni di principio a indagini precise su cio che ca-ratterizza la vita umana. Basti accennare a due ordini di problerniche continuano ad essere al centro di ricerche del pili alto impe-gno: 1) il prohlema dei rapporti fra mente e cervellog 2) il proble-ma del collocamento dell’evoluzione umana nel quadro generaledell’evoluzione biologica. Per dare un esempio della complessitadi quest’ultimo problema, ci liniiteremo a ricordare che l’evoluzio-ne umana ha due componenti -- quella propriamente hiologica equella culturale -- onde si rende necessario chiarire anzitutto ilrapporto tra esse. Le opinioni in proposito sono molto diverse e lavivacita dei dihattiti, fra chi sostiene la piena indipendenza delledue componenti e chi invece le ritiene strettamente collegate, sta adimostrare quanto sia profondo l’interesse dell’argomento.

2. .S`z¢ll’og_getti1/ini dell’ordine mztumle

E ovvio che il concetto classico di ordine naturale, delineato nelparagrafo precedente, si fonda sull’interpretazione tradizionaledelle leggi di natura, intese come oggettive e assolute. Orbene nono neanche il caso di ricordare che questa interpretazione non epiu oggi sostenihile, dopo le critiche sollevate dal convenzionali-smo contro il realismo ingenuo (per le quali rinviamo al terzo ca-pitolo); onde segue che anche il concetto classico di ordine natu-rale dovra venire profondamente rinnovato.

Ma per renderci conto della complessita del prohlema sara op-portuno accennare anzitutto a una questione in certo senso preli-minare. Nell’ipotesi che le leggi di natura posseggano un’esisten-za oggettiva assoluta, quale sara lo strumento cui dovrerno fare ri-corso per riuscire a conoscerle?

Le indagini piu serie sull’argomento hanno da tempo individua-to due possihili vie da seguire, antitetiche fra loro: la via degli in-duttivisti i quali ritengono che i dati stessi di osservazione sianoin grado di condurci alla conoscenza voluta, e la via degli anti-in-duttivisti che negano tale possibilita.

Tra i primi va anzitutto annoverato John Stuart Mill, il qualeformulo alcune farnose regole che dovrehhero guidarci a ricavarele anzidette leggi generalizzando i fatti osservati e le loro connes-sioni (fatti e connessioni che sono sempre particolari). ComeMill stesso riconobhe, tali regole valgono pero solo nel presuppo-

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sto che i processi naturali si svolgano ordinatamente e non caotica-mente. In altri termini: questo presupposto generale costituisce labase della logica induttiva, onde non puo venire esso stesso provatoinduttivarnente.

Un moderno studioso di logica induttiva, il neo-positivista Ru-dolf Carnap, ha cercato di aggirare la difficolta testé accennata, so-stenendo che la logica induttiva non ha il cornpito di dimostrare lavalidita di un determinato asserto generale (legge o ipotesi) sullabase di certe osservazioni (o evidenze), ma solo di calcolare il gra-do di prohabilita che queste ultime forniscono a tale asserto. An-che il suo tentativo, pero, si o rivelato insoddisfacente, per l’insor-gere di alcune ben note conclusioni manifestamente inaccettabili (i

cosi detti pamdossi della conferma).Si e cosi rinvigorito lo schieramento anti-induttivista, che o

quello cui abbiamo fatto cenno fin dal primo capitolo quando ahhia-mo esposto la tesi secondo cui non sarebhe a rigore possihile com-piere alcuna osservazione empirica se non entro il quadro di unaqualche teoria, gia preventivamente accolta sia pure in via prov-visoria. Il piu celebre anti-induttivista odierno e senza duhbioKarl Popper, del quale ahhiamo gia fatto piu volte parola; comee noto, egli ‘ha inquadrato il proprio anti-induttivismo in unaconcezione della “crescita della scienza” che abhiamo rapidamentedelineato nel capitolo precedente, servendoci delle parole diLakatos. Proprio questa concezione pero, come allora ahbiamoaccennato, va incontro a gravi difficolta, in quanto sembra co-stringere Popper a compiere larghe concessioni al soggettivismo idea-listico quando parla dell’invenzione di una nuova teoria da sostitui-re a quella “falsificata” (invenzione che sarebbe sostanzialmente do-vuta ad un atto intuitivo di tipo hergsoniano).

Non intendiamo qui entrare nel merito degli accesi dibattiti frainduttivisti e anti-induttivisti. Cio che ci preme di porre in rilievoe che, malgrado la loro modernita, tali dibattiti si svolgono - comegia ahhiamo poco sopra notato - nel quadro della concezione classi-ca dell’ordine naturale, cioe partendo dall’ipotesi che le leggi di na-tura dovrebbero avere una esistenza oggettiva e assoluta. Ovviarnen-te sia gli induttivisti che gli anti-induttivisti sostengono che la scien-za non ci fa conoscere leggi siffatte, ma nel sottofondo delle loro ar-gomentazioni sembra di poter leggere che cio costituirebbe un pun-to negativo per la conoscenza scientifica.

Cerchiamo dunque di chiarire in che senso tanto gli uni quanto

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gli altri sembrano fare riferimento al concetto classico di ordine na-turale.

Per quanto riguarda Mill (ci limiteremo, per desiderio di sem-plicita, a considerare lui solo fra gli induttivisti) bastera chiederci:che cosa lo spinge ad ammettere con franca onesta che le regole del-la sua logica induttiva esigono in ultima istanza di venir fondatesu di un presupposto non dimostrabile per via induttiva? La rispo-sta non e difficile: cio che lo spinge a questa ammissione as la suaconvinzione che, o l’ordine della natura risulta qualcosa di assoluto,o non si puo parlare di ordine bensi soltanto di caos, ma in tal casonon si potrebbe impostare seriamente alcuna ricerca scientifica. Ilriferimento al concetto classico di ordine naturale appare qui cosievidente, da non richiedere ulteriori commenti.

Per quanto riguarda Popper, sara necessaria una riflessione al-quanto piu sottile. Abbiamo detto che egli sostiene la necessita difare ricorso all’intuizione, quando si tratta di inventare una nuovateoria, da sostituirsi a quella falsificata; ove e chiaro che il termine“intuizione” significa che la nuova teoria non trova, in ultima istan-za, alcuna giustificazione razionale. Ma perché non puo trovarladal punto di vista di Popper? L’unica risposta plausibile sembraessere la seguente: perché si ipotizza che, per essere razionale, talegiustificazione dovrebbe venire cercata nell’ordine assoluto dellanatura sottostante ai fenomeni; ma e ovvio che l’ordine in que-stione, proprio in quanto supposto esistere al di la del mondo fe-nomenico non potra suggerire nulla allo scienziato che opera in que-sto mondo. Se le co-se stessero davvero cosi, diventerebbe perfetta-mente logico concludere con Popper: la nuova teoria non potravenire ideata, se non facendo ricorso ad atti meramente soggettivicome l’intuizione o, se vogliamo, la fantasia.

Cercheremo di spiegare nel quinto paragrafo come il proble-ma dovra venire profondamente modificato, quando si sostitui-sca, all’interpretazione classica dell’ordine naturale, una interpre-tazione dialettica di esso. Prima, pero, riteniamo opportuno de-dicare il prossimo paragrafo all’analisi di una delle maggiori dif-ficolta cui va incontro l’interpretazione classica.

Tale analisi rendera infatti pin agevole chiarire i meriti spet-tanti, anch-e su questo argomento, alle critiche dei convenzionali-sti, e il contributo che pub dare il metodo dialettico a far tesorodi esse senza cadere nei loro incontestabili difetti.

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3. La correzione della mztum ad opera delfuomo

La difficolta, di cui ahhiamo fatto testé parola, e connessa allaseguente domanda: quale possibilita avra l’uomo di intervenire sul-la natura, se questa va pensata _ secondo quanto ci insegna laconcezione classica di essa _ quale universo regolato da leggi og-gettive?

Prima di accingerci a discutere questa domanda, occorre por-re in chiaro una questione pregiudiziale.

Qui non intendiamo prendere in esame l’intricatissimo pro-blema, che fu Centrale per la metafisica classica, del “libero arbi-trio” né quello, ad esso connesso, se il comportamento umano ri-sulti o no determinato da cause naturali. Il problema che voglia-mo affrontare e molto pifl concreto: esso riguarda la vita quotidia-na, e particolarmente la vita come si svolge nel mondo moderno,ove la tecnica ha assunto il peso che tutti le riconoscono.

I legami inscindibili, cui abbiamo fatto cenno parlando delcriterio della prassi, fra la scienza e la tecnica hanno posto in lu-ce che oggi pid che mai ha perso significato contrapporre l’unaall’altra. Ne segue che conoscere la natura costituisce la premessaindispensabile per intervenire su di essa.

Ricordando quanto gia ahhiamo chiarito nel terzo capitolo,possiamo ribadire che, se il nostro intervento si rivela efficace, ecioe risulta effettivamente in grado di trasformare la natura, essocostituisce la migliore conferma della validita delle nostre cono-scenze; qualora invece non riveli tutta l’efficacia che ci si atten-deva da esso, questo scacco di ordine pratico costituisce il pifi se-rio sprone a rivedere e approfondire tali conoscenze.

Ma, se conoscere la natura equivale a trasformarla, quale va-lidita possiamo ancora attribuire alla concezione classica della na-tura come sisterna rigorosamente ordinato?

Al fine di illustrare e chiarire il senso da attrihuirsi all’inter-Vento dell’uomo sulla natura, riteniamo opportuno fare ricorsoad una metafora che, sebhene poco calzante, puo tuttavia _ al-meno a nostro parere _ esserci di un certo ausilio per una primatrattazione del problema. Cercheremo di esporla avvalendoci dialcune interessanti pagine ricavate dall’opera di E. Nagel citatanel primo paragrafo del presente capitolo: pagine dedicate, nonprecisamente all’argomento ora in esame, bensi all’analisi dellenozioni di caso e indeterminismo.

Si indichi con l’espressione “catena causale” il succedersi di

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eventi che si producono in base ad una determinata legge di na-tura; e con l’espressione “catene causali indipendenti” si indichi-no due o piu catene (o linee) ciascuna delle quali “viene suppostacome determinata dal carattere ‘intrinseco’ della linea, ma nondeterminata dalla ‘natura’ dell’altra.”

Sulla base di questa convenzione linguistica, potremo ora di-re, con Nagel, che “un evento e descritto appropriatamente comel’intersezione comune di un numero indefinito (se non infinito)di linee.” Orbene, mentre ciascuna di tali linee risulta determi-nata dalle leggi della natura, il fatto che esse si intersechino pro-prio in un certo punto anziché in un altro sarebbe un fatto con-tingente. La metafora e usata da Nagel per darci un’idea del mo-do come possono conciliarsi, in natura, il caso e la necessita. Noila useremo invece per suggerire una possibile spiegazione intui-tiva (contro cui in seguito solleveremo varie critiche) del tipo diintervento con cui l’uomo cerca di modificare il decorso dei feno-mem naturali.

» » .Attenendocr alla metafora in esame, l’1ntervento dell’uomopotrebhe venire concepito come diretto, non gia a modificare icaratteri intrinseci delle singole linee causali (caratteri immodifi-cabili perché fissati dalle leggi di natura), ma a spostare il puntodi incontro di tali linee. Trattasi di un fine che egli sara tanto -pidin grado di raggiungere, quanto meglio conoscera i caratteri in-trinseci delle linee in questione, cioe le leggi di natura.

Sulla base della distinzione testé accennata (fra caratteri in-trinseci delle linee casuali e posizione di una linea rispetto all’al-tra) risulterelohe dunque possibile conciliare i due aspetti, a pri-ma vista contraddittori, che sono compresenti nell’intervento uma-no sulla natura: cioe il piu scrupoloso rispetto delle leggi di na-tura (impossibilita di alterare la forma delle anzidette “linee cau-sali”), e la possibilita di modificare il decorso di alcuni singolieventi (correggendo la posizione reciproca di tali linee).

Qualcuno puo addirittura giungere a vedere in questo inter-vento un’opera di razionalizzazione della natura, nel senso seguen-te: le linee causali erano disposte “a caso,” onde il loro incontrar-si in un punto o nell’altro era puramente fortuito; l’azione uma-na le costringe ad incontrarsi ove vogliamo noi, e percio sostitui-sce l’ordine al caos.

Qui pero occorre suhito fare due osservazioni: 1) l’ordine cheverrehbe cosi sostituito al caos ha un significato radicalmente di-verso dall’ordine di cui abbiamo parlato nel primo paragrafo (os-

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sia non é un ordine clella natura, ma un ordine “umano” che noiimponiamo alla natura); 2) l’ammissione che la posizione reci-proca delle linee causali sia qualcosa di fortuito intacca profonda-mente la nozione, delineata in tale paragrafo, della natura comeordine (limita infatti questo ordine alla forma, o struttura, delleleggi che regolano il decorso dei fenomeni, ma lo esclude dalla di-sposizione delle linee causali determinate da tali leggi).

Queste osservazioni, apparentemente marginali, hanno tutta-via il merito di indurci a riflettere con pid agguerrito spirito cri-tico sull’accettabilita o meno della spiegazione che l’anzidettasuggestiva metafora ci aveva suggerito dell’intervento umano suifenomeni naturali.

Che si tratti di un intervento effettivo, senza dubbio capacedi modificare, in molte occasioni, il decorso naturale degli even-ti, nessuno puo seriamente negarlo. Ma quali sarebhero le conse-guenze che dovremmo trarre dalla “spiegazione” or ora esposta?A rigore, essa riesce a conciliare l’esistenza di un ordine rigorosodella natura e la possibilita umana di modificarlo, postulando laloro coesistenza su piani diversi: l’ordine anzidetto riguarderehbeinfatti un aspetto della natura (la sua conformita a leggi) e l’in-tervento umano ne riguarderebbe invece un altro, del tutto di-verso. Ma cio significherebbe che l’ordine della natura non e to-tale, in quanto lascerebbe degli interstizi ove domina il fortuito;e sarebhe per l’appunto in questi interstizi che opererebbe l’azio-ne umana.

Possiamo dichiararci soddisfatti di questa “legalita parziale”della natura? O dobhiamo francamente ammettere che il caratte-re parziale di questa legalita E: incompatihile con l’idea di ordinesu cui era basato il concetto classico di natura? e che di conse-guenza Ee proprio questo concetto che va radicalmente modifica-to, interpretandolo in forma diversa da come lo si e interpretatoin passato?

Non si dimentichi che l’intervento dell’uomo sulla natura nonha luogo approfittando degli interstizi lasciati vuoti dalle legginaturali (cioe approfittando di cio che tali leggi non dicono), maproprio attenendosi scrupolosamente alle loro prescrizioni, in ot-temperanza al famoso aforisma baconiano “natura nisi parendovincitur.” Questa riflessione ci spinge a cercare la soluzione delladifficolta in un’altra direzione: cioe nell’abbandono dell’inter-pretazione meccanica dell’ordine naturale.

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4. Riflessi sul concetio di mztum della crizfica dei com/enzionalisti

Le critiche _ di cui abbiamo parlato nel terzo capitolo - solle-vate dal convenzionalismo fisico contro la concezione classicadei principi scientifici hanno un riflesso immediato sull’interpre-tazione dell’ordine naturale. Ci dicono infatti che tale ordine nonpuo venire considerato come qualcosa di assoluto (in particolareCll meccanico) come ritenevano gli iniziatori della scienza moder-na. E questa una tesi molto importante, da cui si ritiene solitamen-te di poter concludere che l’ordine anzidetto e soltanto una nostraC0§1V@HZi0D€, Glaeaccogliersi finché si rivela utile, e invece da re-spingersi non appena cessi di essere tale.

hnalogamente a quanto abbiamo sostenuto in tale capitolo,possiamo suhito precisare di trovarci pienamente d’accordo sullaprima tesi, ma non sulla seconda.

La nostra franca accettazione della prima tesi dipende dall’averconstatato che il concetto classico di ordine naturale va incontro atroppe difficolta, perché si possa pretendere di mantenerlo in pie-di. Ne E: un esernpio illuminante quella che abhiarno espostanel paragrafo precedente, cui non e stato possibile portare una so-luzione nemmeno con la distinzione fra catene causali e colloca-zione di ciascuna di esse rispetto alle altre.

Per quanto riguarda lamseconda Atesi, occorre qualche conside-razione alquanto pili diffusa onde chiarire la nostra posizione neisuoi confignti, E anzitutto doveroso riconoscere, che essa fareh-be scomparire d’un tratto la difficolta esposta nel paragrafo pre-cedente e tutte quelle ad essa analoghe. A nostro avviso, pero,questo risultato (indubbiamente positivo) dovrehbe venire pa-gato ad un prezzo troppo alto: il prezzo di derealizzare quelloche era stato considerato, pressoché da sempre, l’oggetto specifi-co di tutte le ricerche scientifico-naturali. Queste ricerche, inter-pretate da secoli come essenzialmente dirette a conseguire una co-noscenza sempre piu completa della realta naturale, verrehherocosi a perdere -- lo si dichiari apertamente o no - il lorocarattere di attivita conoscitive.

Verrebhe inoltre as perdere ogni consistenza quel programmadi unificazione che guido -- come ricordammo nel primo paragra-fo -- il lavoro di generazioni e generazioni di ricercatori, impe-gnati nello studio dei diversi settori della natura. E bensi Veroche convenzionalista potrebhe rispondere: tale programma di

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unificazione averrebbe semplicemente spostato, in quanto, anzi-ché riferirlo alla presunta realta naturale, lo si riferirebbe aiprincipi generali posti convenzionalmente alla base delle teorieelaborate dalle differenti discipline scientifiche. Ma se E: cosi,perché mai si sarehhero incontrate tante difficolta per conseguiretale unificazione? Perché mai si sarebbe considerato come unautentico successo ogni passo faticosamente compiuto Verso que-sto conseguimento?

Ancor piu grave e una seconda ohiezione, riassumibile nellaseguente domanda: se, accettando l’impostazione dei convenzio-nalisti, ammettiamo che l’ordine della natura Ee un mero prodottodel soggetto, che senso potremo attrihuire all’aforisma haconianopiu sopra riferito, secondo cui occorre obhedire alle leggi dellanatura, occorre seguire la sua logica, per riuscire a piegarla ai no-stri fini? Eppure e difficile negare ogni valore a tale aiorisma, sepensiamo agli straordinari successi che vennero conseguiti dallamoderna tecnologia proprio con l’attenersi all’ordine della natu-ra, cioe con l’obbedire alle leggi via via scoperte dalle variescienze.

A questa obiezione i convenzionalisti piu coerenti rispondono,negando che le tecniche abbiano progredito per il solo fatto di ave-re tenuto conto del presunto ordine della natura scoperto dallescienze. E, a riprova di cio, giungono ad esaltare le tecniche spes-so molto ingegnose, ideate da popoli che hanno sviluppato la pro-pria civilta al di fuori della zona di influenza della scienza “gali-leiana” (nel piu ampio significato del termine). E innegabile chela difesa di queste tecniche e tutt’altro che priva di giustificazio-ni, e che averle volute considerate come insignificanti e soltantoil frutto di una mentalita cieca e dogmatica. Una cosa e, pero, rico-noscere la piena dignita di tali tecniche, e un’altra, del tutto di-versa, e rifiutarsi di prendere atto che nel campo tecnologico sonostati raggiunti indiscutihili successi (qui non vogliamo discuterese per il hene, o no, dell’umanita) proprio applicando le scopertedella scienza, cioe ohhedendo a quello che ahbiamo chiamato“l’ordine della natura.”

Ritorneremo in un prossimo paragrafo sui rapporti fra scienzae tecnica. Cio che ci importa per ora sottolineare, e che l’esistenzaincontestabile degli anzidetti successi rende molto difficile negareuna certa oggettivita alla nozione di natura. D’altra parte e puredifficile negare che la concezione tradizionale della natura, illu-strata nel primo paragrafo del presente capitolo, e oggi insosteni-

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bile dopole critiche dei convenzionalisti all’assolutezza delle leg-gi scientifiche.

_ iii tratta di due tesi apparentemente contrapposte, che tuttaviasi rivelano entramhe legittime e che proprio per cio dovrannovenire simultaneamente accolte in una nuova concezione dell’ordi-ne naturale.

5. Un lentativo di applicare la aliczletzfica al concetto di mzzfum

Per chiarire il nostro programma di accettazione parziale del-le tes1 convenzionalistiche, converra richiamare ancora una voltale conclusioni cui eravamo giunti su tale argomento nel terzo ca-PH010: In tale sede avevamo detto di essere hen disposti a ricono-scere 1 meriti di questo indirizzo nella critica dellinterpretazioneassolutistica dei principi scientifici, ma di non ritenere che larintincia a tale interpretazione dehha necessariamente condurci adattribuire alle teorie scientifiche una funzione esclusivamente stru-mentale, negando loro qualsiasi capacita di farci conoscere unarealta indipendente dal soggetto. A nostro parere, essa ci condu-ce _soltanto a negare che le scienze ci facciano scoprire delleverita assolute; il che non esclude affatto che ci possano far co-gliere delle verita relative, fornite di una base obiettiva e sempreapprofondibili.

Una analoga conclusione potremo ora trarre a propositodel concetto di natura. Potremo dire cioe che va decisamente re-spinta una interpretazione assolutistica di tale concetto, ma che cionon esclude affatto che esso possegga una base ohiettiva, e possat(anzi, dehba) venire continuamente ritoccato e integrato onde riu-scire a cogliere sempre pifi a fondo la realta. Cosi ad esempio ogginon ha pin senso assimilare la natura a un immenso orologio, costrui-to e_v1a via ricaricato da dio (pensato come il grande orologiaio del-luniverso), secondo un’immagine largamente usata nel Settecento egiustificata dalla concezione meccanico~cosmologica di Newton. E ov-v1o .che tale immagine va oggi modificata, ma non in modo arbi-trario hensi per adeguarla alle conoscenze ognor pifi profondefsehhene sempre relative) via via procurateci dallo sviluppo delleindagini scientifiche particolari.

Per renderci conto della direzione in cui va compiuta questamodifica, occorre tuttavia fare una premessa.

Che cosa comporta di nuovo la nozione di natura, rispetto

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alle visioni settoriali dei singoli campi fenomenici, forniteci dallevarie teorie scientifiche? Essa comporta, come risulta ormai chia-ro, una visione unitaria dell’universo. Ma esiste oggi una teoria,che sia in grado di suggerirci tale visione, come la teoria gravita-zionale di Newton suggeriva l’anzidetta immagine dell’universoquale immenso orologio?

E facile rispondere di no. Questa risposta si fonda sulla stessastruttura ohe oggi hanno assunto le teorie scientifiche: strutturafondamentalmente assiomatica che circoscrive in modo nettissimoil campo di validita di ciascuna teoria, e dissolve di conseguenzala pretesa di applicarla al di fuori di tale Campo.

Per un analogo motivo non si puo ritenere che una visioneunitaria dell’universo sia ottenibile dal semplice accostamento didue o pid teorie. Queste infatti, quanto pin vengono presentatein forma rigorosa, tanto pid risultano isolate l’una dall’altra (sal-vo nel caso in cui l’analisi della struttura logica di due teorie dimo-stri che la prima e una sottoteoria della seconda o viceversa).

La nozione di natura come visione unitaria dell’universo dovrapertanto venire fatta dipendere da qualcosa che non si riduce aduna singola teoria scientifica o alla semplice somma di pifi teoriesingolarmente intese. Stando cosi le cose, sorge spontanea l’ideadi collegarla a cio che nel primo capitolo abbiamo chiamato “ilpatrimonio scientifico-tecnico”: patrimonio che, includendo in séil parametro tempo, dovra abbracciare - come allora si e detto --sia le teorie perfettamente compiute sia tutti i fattori teorici epratici che concorrono alla loro formazione incidendo in variomodo sulla dinamica della ricerca.

Ma gia sappiamo dai capitoli precedenti che il metodo piiiidoneo per trattare tale patrimonio e quello dialettico. Ne seguirache, in questa prospettiva, anche la nozione di natura andra trat-tata con tale metodo. Se ne conclude che essa risultera si unanozione unitaria fornita di base oggettiva, ma non rigida qualela si pensava ai tempi di Newton, bensi articolatissima, flessihi-le, dinamica.

Quanto alla base oggettiva, e chiaro che la nuova nozione dinatura dovra averla - come gia pifi sopra accennammo _ nellarnisura in cui l’hanno le conoscenze scientifiche particolari inclusenel patrimonio scientifico-tecnico. Quanto al carattere unitario,at chiaro che dovra averlo del tutto simile al carattere unitariodi tale patrimonio, cioe come carattere che esclude la possihilitadi suddividere il tutto in settori isolati l’uno dall’altro, pur am-

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mettendo che i legami tra questi settori siano i piu diversi possi-bili, ora stretti ora labili, ora rigidi ora mutevoli col trascorreredel tempo.Possiamo riassumere tutti questi aspetti della nuova nozio-ne di natura, affermando che essa va concepita come, una unitadialettica: unita dialetticai di fattori reali, oggettivi, non puramen-te costruiti dalla mente dello scienziato.Questa nuova concezione ci permettera, fra l’altro, di impo-stare in forma nuova i prohlemi che abhiamo accennato nel se-condo paragrafo. Non si trattera piu di chiederci, con Mill, se lasua logica induttiva risulti o no in grado di garantirci che la na-tura procede ordinatamente e non caoticamente; lfordine natura-le non va piu inteso, infatti, quale ordine rigido (come lo imma-ginava il concetto classico di natura) di cui lo scienziato dovreh-be presupporre l’esistenza onde poter eseguire le proprie ricerche:

e invece un ordine che viene gradualmente determinato man manoche si sviluppa il patrimonio scientifico-tecnico, assumendo leforme piu varie (ora deterministiche, ora prohabilistiche, ora incerto senso finalistiche), _e che viene “garantito” non da argomen-tazioni filosofiche generali (anteposte alle indagini scientifiche) madall’esistenza di teorie cui spetta il titolo di “Vere” (sia pure solodiverita telativa) in quanto provate in base al criterio della prassi.E neanche si tratta di chiederci se, allorquando una vecchia teoriascientifica viene ahhandonata perché smentita dall’esperienza, lanuova teoria che cerchiamo di sostituirle sia, o no, il frutto di unamera intuizione (di tipo hergsoniano) dello scienziato ricercatore:questo processo di invenzione e, infatti, inserito nello sviluppo delpatrimonio scientifico-tecnico, e quindi partecipa della complessae articolatissima struttura dialettica di esso, ove non ha sensopretendere di isolare un fattore dall’altro (per esempio, l’invenzionedalla sperimentazione o dalla riflessione sui risultati positivi e nega-tivi delle teorie precedenti), restando comunque inteso, come ab-hiamo piu volte rihadito, che tale patrimonio possiede una inconte-stahile base oggettiva.

La nuova concezione della natura ci indica infine una via perrisolvere la difficolta esaminata nel terzo paragrafo, senza caderenegli inconvenienti suscitati dal convenzionalismo. Ahbiamo giadetto che si tratta di una difficolta davvero gravissima, qualorasi accetti il concetto classico di natuta; essa pone infatti in lucela presenza di una autentica contraddizione fra i due fatti (en-tramhi incontestahili) che la natura si svolge secondo un ordine

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oggettivo, e che l’uomo puo cio malgrado piegarla ai sgoi fin? PIO'prio rispettando tale ordine. l\/la S€,_ C0316 abblamo Ftt°> -3-ina`tura va concepita quale unita d1alett1ca,_ e non quale Slsffema mec'canico, la presenza in essa di contraddizioni perde ogni caratterescandaloso. La presenza di una contraddizione entrol una unitadialettica vi compie infatti una afunzione positiva dela massimaimportanza; la funzione disstimolarne la dinamicita., di P036 mcrisi l’unita solo per risolvere questa crisi ad un live o sempre

‘ /tu profondo;_ _

P Nel caso specifico qui in esame, la contraddizione fra la naturacome ordine e l’intervento umano per p1€g21{12\ al PITQPY1 15111, Sf

risolve tenendo conto che l’uomo _stesso (vuoi come _s§ngO O VL101

come collettivita) fa egli pure parte della nathlfffb C01}S} Cram Com;unita dialettica. In altri termini: egli ne e_uno degli’ innumerewéiéfattori, il che implica, non g1a_che si trovi in ba 13 1 essa, ina.partecipi attivamente al complicato processo attraverso cui _si vienerealizzando l’ordine naturale. Ovviamente e un fattore il qua e_possiede una propria specificita che lo distingue da altri fattori, maanche questa specificita entra nel processo anzidetto, sicche inter-Vento umano per modificare la natura e a pieno titolo un intervento“dall’interno” e non “dall’esterno.” Né esiste motivo onde Stllplf'si se tale intervento risulti potenziato dalla conoscenza scieiétifica,poiché questa conoscenza rappresenta essa stessa un genere 1 f3Pjporto (e uno dei piu tipici) tra il fattore uomo e gh altrl fa'f'fOr1della natura.

.'E chiaro che le considerazioni teste abbozzate sono ben lupgidal risolvere i problemi emersi nel secondo e nel terzo paragfa 0,semhrano pero in grado di indicate una via che puo condurre,se precisata e sviluppata, alla loro risoluaione: via tanto piu signi-ficativa, quanto piu ignorata dagli studiosi specializzati di questiargomenti.

6. Scienze specialistic/ae e concezioffze genemle della mztum

Tutti sanno che le scienze moderne danno luogo alla formazionedi teorie a carattere sistematico, che mirano a possedere una strup-tura sempre piu rigorosa. Nonostante il carattere astratto _d1_ taiteorie (dovuto proprio a questa struttura) ahbiamo cercato di dimo-strare che esse pur non facendoci conseguire delle verita assolute,riescono a fordirci una conoscenza effettiva (incompleta ma sempre

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Sciefzza e realismo

approfondibile) di ben determinati settori della realta; e ahbiamoanche discusso la dinamica della scienza consistente nella sostituzio-ne di vecchie teorie con altre piu complete e piu profonde.

Nell’ultimo paragrafo abbiamo poi cercato di esaminare il con-cetto di natura, mostrando che esso si ricollega oggi, non alle singoleteorie, ma al patrimonio scientifico-tecnico considerato nel suocomplesso (cioe come insieme non solo delle teorie pienarnente ela-borate, ma anche di teorie in formazione, e di tutti i fattori teoricie pratici che concorrono allo sviluppo delle conoscenze scientifiche).Proprio basandoci su questo legame, ne abhiamo ricavato che ilconcetto di natura deve oggi possedere un carattere essenzialrnentedialettico, e con riferimento a tale carattere ci siamo sforzati dichiarire il senso dell’intervento dell’uomo sulla natura (interpretatonon gia come intervento, sulla natura, di un essere ad essa estra-neo, ma come azione che si svolge all’interno dei processi naturaliin quanto l’uomo é uno dei fattori di tali processi).

Vogliamo ora chiederci se la ricerca di una concezione generaledella natura (come ad esempio quella rapidamente abhozzata nelparagrafo precedente) presenti un qualche interesse per lo scienziatomilitante, oppure rientri solo nell’ambito dei problemi filosofici.

Per essere chiari, possiamo suddividere questa domanda in duepunti: 1) i successi ottenuti dallo scienziato specialista nelle sueindagini settoriali contribuiscono- o no allo sviluppo di una conce-zione generale della natura? 2) lo scienziato militante si rende onon si rende conto, oggi, del contrihuto che egli reca a tale sviluppo?

Alla prima domanda E: facile dare una risposta nettamente po-sitiva. I successi conseguiti nelle indagini specialistiche rientranoinfatti, sia pure senza esaurirlo, in cio che abbiamo chiamato il“patrimonio scientifico-tecnico” e lo arricchiscono in prnisura mag-giore o minore a seconda della loro importanza, delle loro applica-zioni, dell’influenza che esercitano in campi collaterali. Ne risultaovviamente che contribuiscono allo sviluppo della concezione ge-nerale della natura, dato che questa concezione e proprio connessaa tale patrimonio.

Assai piu arduo te invece rispondere al secondo quesito. E infat-ti incontestahile che non pochi scienziati militanti si rinchiudonooggi cosi strettamente nella propria disciplina specialistica, da noninteressarsi piu in verun modo di cio che accade nelle altre disci-pline, e tanto meno delle ripercussioni che i propri risultati possonoavere in campo generale (da essi chiamato “filosofico” in sensospregiativo).

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La mztum e Vuomo

Possiamo affermare, forse con un certo ottimismo, che questainterpretazione della specializzazione come rigida chiusura va oggilentamente estinguendosi, sotto l’in1pulso della stessa dinarnica del-la scienza che impone -- in sede di ricerca, non di teorizzazionerigorosa - sempre piii fitti rapporti fra indagini di campi settorialidiversi. Malgrado questo diffondersi di una certa interdisciplina-rieta, resta comunque assai scarso l’interesse per i prohlemi generali.131 il fenomeno che suole venire indicato con l’espressione “neutra-lita filosofica della scienza.”

Proprio a questo tipo di neutralita puo venir fatto risalire ildiminuito rilievo oggi attribuito al concetto di natura. Taluno giun-ge a ritenere che la scienza attuale possa fare completarnente a me-no di esso e, per conseguenza, debba disinteressarsi dei problemiche gli sono connessi.

Cosi e accaduto che anche i filosofi se ne sono occupati in mi-sura sernpre minore, giungendo a considerarli prohlemi del passato,e accentrando invece tutte le proprie indagini sull’uomo, sulla so-cieta, sui problerni religiosi, ecc. quasi che l’uorno non viva nellanatura e non ne faccia parte. E inutile dire che questa scissione fraproblemi scientifici e problemi filosofici ha contribuito moltissimoa emarginare la scienza dalla cultura, diffondendo -- non solo nel-l’ambito dei filosofi e dei letterati, ma persino in quello degli scien-ziati _ la convinzione che la scienza sia un’attivita inferiore: unamera fabbrica di strumenti (teorici e pratici) sernpre piu sofisticati,a disposizione di chiunque risulti in grado di servirsene. E qui chesi radica la convinzione che essa sia neutrale non solo filosofica-mente ma anche praticamente.

Riservandoci di riprendere in esame quest’ultimo argornentonell’ottavo paragrafo, qui ci limiteremo a menzionare un fatto mol-to sintomatico, anche se marginale; il fatto che parecchi giovaniscienziati della nostra epoca (convinti del sernpre minore peso cul-turale della scienza) cominciano a chiedersi affannosamente: a cheservono le pesanti fatiche che dobbiamo quotidianarnente soppor-tare al fine di condurre avanti le nostre indagini specialistiche?

La nostra risposta a questi giovani e la seguente: *non e Veroche la scienza sia filosoficamente neutrale e sia percio ernarginahiledalla Cultura. Senza dubbio il legarne tra scienza e filosofia nonpuo piu essere, oggi, quello medesimo del passato, Ma cio non si-gnifica che esse risultino, ormai, del tutto indipendenti l’una dal-1’altra. Sara un rapporto piu complesso di quello che immaginava-

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Scienza e realismo

no Newton e i suoi contemporanei, ma non per cio meno impor-'EE1l1'C€.

Per illustrarne la specificita, puo essere opportuno un rapidis-simo excursus storico.

E un fatto incontestahile che l’uomo ha sempre cercato di co-struirsi una qualche immagine del mondo in cui si trovava a vivere.Trattasi di una esigenza che E: ancora viva oggi come lo era inpassato, e della quale abbiamo il dovere di tenere seriamente conto.

Nei primordi della storia da noi conosciuta, egli se ne costruialcune immagini del tutto fantastiche a carattere prevalentementeanimistico. Lo sviluppo della razionalita (si pensi per esempio al-l’opera dei fisici-filosofi presocratici) riusci a poco a poco a “retti-ficare” - usiamo di proposito questo termine bachelardiano -- taliimmagini, depurandole dalla loro primitiva veste mitica. Le stessereligioni contribuirono a questa depurazione, elevandosi esse me-desime dalle piu ingenue forme politeistiche a forme piu raffinatedi monoteismo. Era la stessa maggiore conoscenza del mondo feno-menico a rendere via via necessaria questa trasformazione.

Fu all’inizio dell’era moderna che la grande fiducia nella razio-nalita scientifica, ritenuta capace di procurarci delle verita assolute,riusci a convincere gran parte degli studiosi che la scienza stessasarehhe stata in grado, non solo di rettificare le immagini tradizio-nali del mondo, ma di elaborarne una nuova, assolutamente Verae definitiva_ Il fatto stesso che le teorie scientifiche non avevanoancora raggiunto il livello di rigore cui siamo oggi abituati, autoriz-zava a pensare che esse avrehbero potuto venire generalizzate inmodo da dare origine a tale concezione. E per l’appunto una convin-zione di questo genere che sta, direttamente o indirettamente, allabase delle varie forme di meccanicismo, seicentesco e settecentesco.

Fu nell’Ottocento che le sottili analisi critiche della razionalitascientifica (sfociate nel convenzionalismo) tolsero ogni base a talivisioni meccanicistiche. Si diffuse allora -- in larghi strati di ricer-catori, impegnati in indagini di carattere prettamente specialistico-- la convinzione che la scienza ormai privata di qualsiasi funzioneautenticamente conoscitiva, non avrehbe piu avuto alcunché da direcirca la concezione generale (filosofica) del mondo. Fu per l’appun-to questo disimpegno a generate Finterpretazione della scienzacome attivita teoreticamente neutrale; neutralita che veniva indi-rettamente a favorire il mantenimento delle vecchie visioni miti-che, presentandole come del tutto estranee alla scienza e quindiinattaccabili dalle scoperte di quest’ultima.

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La nature e Vuomo

Cio che noi contrapponiamo a tali conclusioni e cosi riassumi-hile: senza duhhio la scienza della nostra_ epoca, a carattere net-tamente specialistico, non puo piu illudersi - come S1 illudeva lascienza settecentesca - di esserein grado di elaborate una _conce-zione “razionale” (assolutamente vera ,ne definitiva) dell’un1verso.Questo non significa pero che essa non dehba contribuire a retlzfz-cczre le vecchie concezioni di esso, ancora oggi assai diffuse, dimo-strandone coraggiosamente Yincompatihilita con il nostro patri-monio scientifico-tecnico.

Il compito di elahorare una concezione dell’universo nuova, dasostituirsi a quelle ormai incompatibili con il nostro patrimonioscientifico-tecnico, spettera a un altro tipo di studioso, che potrem-mo qualificare come “scienziato-filosofo.” l/importante 6, CO'munque, che tale nuova concezione risulti aperta, flessibile, capacedi fare ininterrottamente tesoro di tutte le rettifiche che la scienzale suggerisce.

7. La mzionalilti scientifica e la -tecnicd

E hen nota la posizione di Auguste -Comte sui rapporti fra lascienza e la tecnica. A suo giudizio la prima va completamente di-stinta dalla seconda:

lo spirito umano deve procedere alle ricerche teoriche facendo comple-tamente astrazione da' ogni considerazione pratica. E certo che linsieme dellenostre conoscenze sulla natura, e quello dei procedimenti _per modificarla anostro vantaggio formano due sistemi essenzialmente distinti fra loro, cheE: conveniente concepire e coltivare separatamente.

Una Volta affermata questa completa separazionepil nostro au-tore si sente _autorizzato a presentare i loro rapporti _in una formamolto rigida e semplice: il primo dei due anzidetti-sistemi (quellocostituito dalle -ricerche teoriche) sara “la base del secondoi” men-tre il secondo (cioe l’insieme dei procedimenti per modif1care“lanatura) non potra fornire alcun contrihuto al primo. In sintesiz leapplicazioni piu importanti derivano costantemente da teorie for-mate con un semplice intento scientifico, teorie che sovente venne;-ro coltivate per molti secoli Senza produrre alcun risultato prat1co._

Alohiamo riferito la posizione di Comte, che ha se non altro 1l

merito dell’estrema chiarezza, per poter piu agevolmente sottolinea-re la profonda distanza che ci separa da essa.. Non sarebbe lecito ~~113t

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Scienza e realismo

tuttavia dimenticare che rappresento, per parecchio tempo, la con-cezione dominante negli ambienti scientifici; in essa si riflette l’esi-genza, diffusasi in Francia nei primi decenni dell’Ottocento, di dareuna nuova impostazione (“piu razionale”) ai procedimenti tecnici,che per l’innanzi erano stati abbandonati nelle mani di ingegnosiinventori (per lo pili semplici artigiani), sprovvisti di cultura e in-capaci di comprendere a fondo il significato generale delle lorostesse invenzioni. La svolta allora compiutasi provoco persino unmutaniento di parole; al termine “tecnica,” da quel momento usatosolo in senso quasi spregiativo, venne infatti sostituito quello“pin nobile” di “scienza applicata.”

Oggi la situazione risulta profondamente modificata; basti pen-sare che non si parla piu soltanto di tecniche pratiche, ma perfinodi “tecniche della ragione.” Comunque, non e di queste ultimeche vogliamo qui occuparci hensi soltanto delle tecniche pratiche,cioe dei procedimenti - come scriveva Comte -- rivolti a “modi-ficare la natura a nostro vantaggio.” I motivi che hanno deter-minato questa profonda modifica sono sostanzialmente di duetipi: az) considerazioni di ordine storico; b) considerazioni di ordinefilosofico.

Le prime possono venire riferite molto rapidamente, osservan-do che nell’antichita la tecnica si as sviluppata assai prima dellascienza, e che, in epoca moderna, gli iniziatori della rivoluzionescientifica ricavarono non pochi suggerimenti proprio dall’osserva-zione di cio che facevano i tecnici. Sono ben note le frasi concui Galileo introduce la prima giornata .dei Discorsi:

Largo campo di filosofare a gl’intelletti specolativi parmi che porga lafrequente pratica del famoso arsenale di voi, signori veneziani, ed in parti-colare in quella parte che mecanica si domanda: atteso che quivi ogni sortedi strumento e di rnachina vien continuamente posta in opera da numerogrande d’artefici, tra i quali, e per l’osservazioni fatte dai loro antecessori, eper quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi fa-cendo, as forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso.

Del resto non e a credere che oggi i proccdimenti dei tecnicinon forniscano piu alcun prezioso suggerimento agli scienziati.Basti citare un famoso esempio che dimostra tutto il contrario. Ciriferiamo al cosi detto “calcolo simbolico” introdotto alla -fine delsecolo scorso da Oliver Heaviside per le sue ricerche di elettrotec-nica; calcolo aspramente combattuto dai migliori matematici del-l’Universita di Cambridge, in quanto basato su concetti inesatti

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La mztura e l’uomo

(accusa senza dubbio giustificatissima). Come e noto, i1 grandefisico P.A.M. Dirac si varra con grande profitto nel 1926 di un’en-tita analoga a quelle usate nel calcolo anzidetto (trattasi della fa-mosa “funzione di Dirac” che in verita non e una funzione nelsenso classico di questo termine) senza lasciarsi arrestare dalleobiezioni cui poteva andare incontro da un punto di vista rigoro-samente logico. Ebbene, circa un quarto di secolo pin tardi, i ma-tematici puri riusciranno a dare una forma del tutto soddisfacenteai calcoli anzidetti, collocandoli in una teoria assiomatizzata (lacosi detta “teoria delle distribuzioni”) che si rivelera ben prestouno dei rami pid fecondi dell’analisi moderna. L’utilita del sugge-rimento fornito loro dai tecnici e, in questo caso, cosi lampanteda non aver bisogno di commenti.

Per quanto riguarda, infine, le scienze applicate, possiamo ri-petere ancora una Volta che la tesi comtiana della loro totale subor-dinazione alle scienze pure si rivela, anche qui, del tutto insoste-nibile. Basti menzionare l’esempio dell’odierna “matematica ap-plicata.” Come e ben noto, essa costituisce ormai un ramo auto-norno della grande famiglia delle discipline matematiche: ramosenza dubbio legato da vari nessi alle discipline matematiche tra-dizionali (algebra, ecc.) ma che non puo dirsi dipendente da essepiu di quanto queste dipendano l’una dall’altra. A conferma dellasua autonomia ci limiteremo a ricordare che la matematica ap-plicata si e ormai creata da tempo i propri specifici strumenti dicalcolo altamente sofisticati, e che non solo non si presenta affat-to come subordinata ad altre discipline ma anzi sta imprimendoun’autentica svolta, molto significativa, a tutta la scienza.

E fuori dubbio che le considerazioni di ordine storico testébrevemente riferite ebbero un grande peso nella trasformazionedei rapporti fra scienza e tecnica cui abbiamo poco sopra accen-nato. Esse vanno tuttavia integrate, come gia detto, da alcune con-siderazioni di ordine filosofico.

A tal fine ricorderemo anzitutto che sin dal quinto paragrafodel terzo capitolo abbiamo abhozzato non poche critiche controla pretesa - riscontrabile in pressoché tutta la tradizione filoso-fica _ di porre una netta separazione fra teoria e prassi. Ahbiamofra l’altro ripetuto piu volte, in quello e in altri capitoli, che laprassi (soprattutto se intesa come prassi sociale) fornisce le piuattendibili convalide alle verita gradualmente conseguite dalle in-dagini teoriche. Gli esempi or ora citati di preziosi suggerimentiche le scienze hanno ininterrottamente ricavato dalla tecnica, val-

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gono poi a mostrarci concretamente che l’apporto della prassi allateoria non ha luogo soltanto nella fase di convalida delle conoscen-ze elaborate in sede teorica, ma anche nella fase iniziale (creativa)di tali conoscenze.

Dobbiamo d’altra parte ricordare quanto abhiamo gia dettopid volte, e cioe che la scienza non si riduce a un semplice raggrup-pamento di piu teorie; ipercomprendere appieno il senso di questeteorie, nonché il fondamentale fenomeno della crescita della scien-za, si rende infatti necessario calare le teorie scientifiche in quellacomplessa realta cui ahbiamo dato il norne di “patrimonio scienti-fico-tecnico.” Orbene, e facile convincerci che un contributo essen-ziale al costituirsi di questo patrimonio e proprio fornito dalletecniche (donde si giustifica il doppio titolo che abbiarno attribui-to al patrimonio stesso). Basti pensare che le teorie, almenoquando hanno raggiunto un’autentica completezza formale, si pre-sentano come degli edifici ciascuno dei quali possiede una propriastruttura statica, ben determinata; alla loro staticita, si contrap-pone invece la mobilita del patrimonio scientifico-tecnico, ove unruolo fondamentale e proprio compiuto dal parametro tempo. Maquale altro fattore di questo patrimonio e meno rigido del fattore“tecnica”? Sappiamo infatti che i tecnici, proprio per non sentirsiobhligati a rispettare i canoni del rigore logico, sono stati i piiiarditi e i pili spregiudicati nell’avanzare proposte (si pensi all’esem-pio poco sopra riferito di Heaviside) da mettersi alla prova deifatti; in alcuni casi queste proposte si sono mostrate feconde apren-do nuove vie alla stessa scienza, in altri casi si sono rivelate sterili,e sono state rapidamente sostituite da altre. Chi puo negare chequesto susseguirsi di tentativi pid o meno riusciti costituisca unadelle principali fonti della dinamica del “patrimonio scientifico-tecnico”? Proprio perché il lavoro dei tecnici si avvale - nel-l’avanzare proposte per risolvere problemi concreti _ ora delleesperienze gradualmente acquisite “da numero grande d’artefici”come scriveva Galileo, ora dei risultati di questa o quella teoriascientifica estendendoli, se del caso, al di la del Campo di validitadi tale teoria, esso ci offre un esempio impareggiahile di lavoroche fuoriesce da qualunque schema precostituito.

Senza dubbio non si tratta di un lavoro qualificabile come“razionale” nel senso ristretto di questo termine (cioe nel sensodi una razionalita puramente logica), ma si tratta pur tuttavia diun lavoro che presuppone attente riflessioni sull’operare umano(sia su quello degli scienziati puri, sia su quello degli operai, dei

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Liz nature e Vuomo

contadini e degli artigiani). Perché dovremmo dunque escluderloa priori dalla sfera della razionalita?

In effetti la tecnica e la scienzaenon solo non sono fra loro op-poste, ma anzisi integrano a vicenda. Né la prima e totalmentesubordinata alla seconda, né la seconda alla prima. Il loro rap-porto e un tipico esempio di rapporto dialettico, chesupera l’anti-tesi fra razionalita pura delle teorie assiomatizzate e ingegnositadell’operare pratico, dando luogo a un senso nuovo e pid ampiodella razionalita: E: un processo che realizza nella forma pili evi-dente quella razionalita dialettica di cui ahbiamo piu volte par-lato nei capitoli precedenti.

8. La non-neumzlitd pratica della scienze »

Nel sesto paragrafo abhiamo sostenuto la non-neutralita filo-sofica delle scienze, cercando di dimostrare che ancora oggi, mal~grado la loro specializzazione, esse possono incidere sulla concezio-ne generale del mondo; anzi, debbono farlo, se non vogliamo chevengano emarginate dalla cultura con grave danno sia delle scienzestesse sia della medesima Cultura. Il nucleo della nostra dimostra-zione si e basato sostanzialmente su due punti: 1) lesscienze ci for-niscono una effettiva- conoscenza della realta, pur non facendociconseguire delle verita assolute ma soltanto relative; 2) lfupomo hasempre mirato a costruirsi una concezione generale (filosofica)del mondo, la quale e, essa pure, solo relativamente vera, e oggiva continuamente corretta e perfezionata in base ai risultati piurecenti delle conoscenze scientifiche. I/anzidetta incidenza dellescienze sulla concezione filosofica del mondo dipende, dunque,dalla loro capacita di correggere e integrare ininterrottamente taleconcezione, accrescendone la “presa” sulla realta.

Con cio non viene ovviamente negato che la concezione filo-sofica del mondo sia opera dell’uomo che la elaborai;iiima essa nonrisulfa solfanto opera dell’uomo (non risulta cioe un prodottodella sua mera fantasia) proprio in quanto essa e anche dovuta a,un secondo fattore: la realta che le scienze ci fanno via via conosceresia pure in modo relativo e non assoluto.

Se la scienza ci portasse a una conoscenza assoluta della realta,noi potremmo sostenere che essa e in certo senso neutrale, perchéle verita che ci procura - in quanto assolute l-‘non dipendereb-hero in alcun modo dal soggetto che conosce, né dalle condizioni

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sociali in cuiegli opera, né dalle categorie logiche o dagli strumen-tl osservativi usati per conoscere. Se, viceversa, nelle scienze (econseguentemente nella concezione generale del mondo che su diesse si regola e si misura) non fosse presente il secondo fattore dicui abbiamo testé parlato, le scienze e la filosofia risulterebberodelle costruzioni puramente soggettive: costruzioni senza dubhionon neutrali, perché dipendenti per intero dall’uomo che compiele ricerche scientifiche e dalle condizioni sociali in cui egli opera,ma in ultima istanza non neutrali solo in quanto arhitrarie.

_ Solo la compresenza dei due anzidetti fattori _ l’uno sogget-t1VO, l’altro oggettivo _ ci fa comprendere che la scienza non ené' neutrale né arbitraria. E solo l’esistenza di un incontestabilerapporto dialettico fra tali due fattori ci fa comprendere che lascienza non e suddivisihile in due momenti separati (l’uno nonarbitrario e l’altro non neutrale) ma e, nella sua stessa glohalita,non arbitraria e non neutrale, cioe possiede questi due carattericome caratteri intrinseci e ineliminabili.

Proprio tenendo conto di questo rapporto dialettico, non po-tremo illuderci di riuscire ad accrescere l’impegno della scienza(cioe la sua non-neutralita) contestandone l’obiettivita, come sem-brano sostenere alcuni pur Valenti studiosi. Non potremo cioe illu-derci di accrescere l’impegno degli scienziati piu seri, affermando_ a guisa di boutade _ che le ricerche scientifiche non avrebbe-ro mai avuto, e non avrebbero oggi, alcun valore conoscitivo e diconseguenza non avrebbero mai dato alcun impulso allo sviluppodella civilta.

Non sosteniamo certo che Vada condannato a priori il ricorsoalla boutade, purché si tenga hen presente che essa e soltanto unabattuta di spirito, cioe si tenga presente che essa puo avere ungrande valore di stimolo, ma non altro. Essa puo avere il merito difarci scoprire certe contraddizioni, che la tradizione teneva celate(consapevolmente o no); ep noi sappiamo bene, avendolo sottoli-neato piu volte, la funzione estremamente positiva esercitata dallacontraddizione. Non avremmo difeso con tanto accanimento ilmetodo dialettico, se non fossimo fermamente convinti di talefunzione. Ma sappiamo pure che questa funzione deve esplicarsiin un approfondimento dei prohlemi, non in un mero cornpiaci-mento per il paradosso.

Nel caso specifico della scienza, abbiamo dichiarato pifl e piuvolte che il convenzionalismo ha avuto dei grandi meriti, abbatten-do la vecchia concezione che attribuiva alla scienza la capacita di

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farci cogliere delle verita assolute e imrnodificabili; ma l’approfon-dimento dei prohlemi aperti dal convenzionalismo non ci ha por-tati a una conclusione agnostica, cioe a negate che la scienza pos-segga un effettivo valore conoscitivo (quasi che non risulti in gradodi farci cogliere _ sia pure in forma né assoluta né definitiva _una realta indipendente dal soggetto). Cosi ora siamo hen dispostia riconoscere che la scoperta di cette contraddizioni fra lo svilup-po della scienza e quello della civilta possiede dei grandi meriti;ma sosteniamo nel contempo che queste contraddizioni non ciportano affatto a negare il contributo che la scienza ha recato ereca alla civilta: esse ci portano unicamente a interpretare informa dialettica, non dogmatica, questo contrihuto.

Interpretarlo in forma dialettica significa, per un lato, non at-tribuire al progresso scientifico un potere magico, non vederenella scienza un’attivita metastorica, sganciata da tuttiti travaglie le lotte della societa, ma significa, per l’altro lato, non dimenti-care _ come gia sottolineammo parlando della non-neutralita fi-losofica della scienza _ che ogni progresso nella conoscenza dellarealta ha sernpre avuto un’effettiva funzione liheratrice.

Da questo punto di vista anche il progresso della tecnicanon puo venire denigrato e colpevolizzato di tutti i mali dellasocieta, dimenticando il grande contributo che esso ha dato afarci sentire rneno succubi di forze “altre da noi,” naturali o

sovrannaturali.Senza dubbio tale progresso (determinante per lo sviluppo del~

la societa industriale moderna) ha dato luogo a molti entusiasmigravidi di equivoci. Citero in proposito un brano a mio giudizio as-sai significativo di H. Poincaré, uno dei massimi scienziati deglianni a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, il quale certamentenon puo venire qualificato come “positivista” (credo che questacircostanza rneriti di venire sottolineata, perché spesso la fede nelprogresso tecnico-scientifico viene considerata come prerogativa delpositivismo! ):

...se io mi felicito dello sviluppo industriale non e soltanto perché essofornisce un facile argomento agli avvocati della scienza, ma soprattutto per-ché da allo scienzito la fede in se stesso e anche perché offre un immensocampo di esperienza, nel quale egli si urta con forze troppo colossali perchéabbia la possibilita di sollevarsene. Senza questa zavorra, chissa se non abban-donerebbe la terra, sedotto dal miraggio di qualche nuova scolastica, o senon si disperderebbe credendo di non avere fatto che un sogno (La valeur dela science).

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'L’interesse del hrano ora riferito risiede nel fatto che esso con-tiene senza dubbio alcune affermazioni, che riteniamo del tuttocondivisibili; per esempio Faffermazione che losviluppo dell’indu-stria (reso possibile da quello della scienza e della tecnica) ci rivelala presenza di forze pesantemente reali, che non ci permettono diabhandonarci a Voliimetafisici, credendo che l’oggettivita' della na-tuiawsia soltanto un sognoc. Accanto ad essetrapela pero una inca-pacita completa" di prevedere cio che sarebbe accaduto solo mezzosecolo 'pid tardi, e cioe che il travolgente sviluppo dell’industria nonavrebbe soltanto generato una sempre maggiore fede dell’uomo inse stesso, ma pure alcune profonde e Vgravissime contraddizioni dacui avrebbero tratto alimento nuove, pid pericolose, fughe Versoconcezioni irrazionalistiche. Oggi constatiamo infatti che la societaaltamente industrializzataimpone al singolo individuo un tipo nuo-vo di asservimento, costringendolo a certe forme di attivita piutto-sto che a certe altre, orientando in determinate direzioni i suoi biso-gni, i suoi gustice perfino i suoi pensieri. Di qui una sempre pidaspra ribellione contro le societa industrializzate, “livellatrici,” ingrado di spegnere ogni anelito di liberta; e una ribellione che spes-so si esplica in una contestazione generale della scienza, della tec-nica, e della stessa razionalita.

Alla scienza e alla tecnica si muovei infatti il rimprovero di averereso possibile questo processo di scandaloso asservimento dell’uomodella nostra epoca, o per lo meno di averlo enormemente incremen-tato. In effetti, e difficile negare che chi ha nelle sue mani le levedel potere, possiede oggi dei mezzi di propaganda e di repressioneche una Volta erano .pressoché inimmaginabili.

Un approfondito esame critico del problema ci permette tutta-via di ridimensionare la portata delle argomentazioni testé riferite;ed e proprio la dialettica marxistala suggerirci questo approfondi-mento, Essa ci 'insegna infatti a studiare nella sua Vglobalita il pro-cesso storico di forrnazione e di sviluppo della societa altamente in-dustfializzata in cui viviamo; processo che non puo venire corn-preso, isolando uno dei suoi fattori (lo sviluppo scientifico-tecnico)senza tenere conto della lotta di classe nella quale esso trovasi in-serito.

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Lo studio del processo anzidetto nellasua glohalita non solovarra' a dimostrare il carattere illusorio e dtopistico della battagliache alcuni pretenderehbero di ingaggiare contro la scienza e latecnica, ma varra per di pid a convincerci che l’incremento'di spi-rito critico causato dallo sviluppo della razionalita scientifica e

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La nature e Vuomo

proprio in grado di fornirci strumenti sempre pid raffinati pei*l’analisi della societa in cui viviamo, e in particolare per l’anal1s1delle radici profonde delle sue contraddizioni. _

L’errore compiuto dai moderni denigratori della razionalitascientifica risiede nella loro pretesa di isolare lo sviluppo di talerazionalita dal processo storico globale di cui essa fa parte. Ela mancata comprensione dell’unita dialettica di questo processoa favorire una visione distorta della funzione compiuta dallascienza e dalla tecnica; visione che trae in inganno anche parec-chie persone in buona fede, e che E: largamente utilizzata dallaclasse sfruttatrice, ben lieta di dirottare sulla scienza la coiitesta-zione -degli sfruttati, tentando cosi di nascondere le proprie re-sponsabilita.

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Capitolo .vesio

I compiti della dialetticanella compfensione e lrasformazloae delle societa

1. Limiti della presente indagine

I problemi coinvolti nell’argomento indicato dal titolo delpresente capitolo sono moltissimi e di grande difficolta. E quindiopportuno precisare che ci occuperemo soltanto di alcuni di essi.Per essere espliciti, limiteremo la nostra indagine a quei problemila cui analisi pub venire, a nostro parere, agevolata dalle rifles-sioni compiute nei capitoli precedenti, malgrado l’eterogeneitadella tematica trattata in tali capitoli e in questo.

Non affronteremo per esempio la discussione dei prohlemiconnessi ai giudizi di valore, pur riconoscendo esplicitamente chenon si pub prescindere da tali giudizi quanclo si studiano le strut-ture sociali, le loro crisi, le trasformazioni cui queste crisi dannoluogo. Non cercheremo pertanto di rispondere ai seguenti ben notiquesiti: i giudizi di valore sono del tutto autonomi rispetto aquelli teoretici? se non lo sono, quale as il legame fra gli uni e glialtri? Trattasi di un legame di dipendenza (in un senso o inquello inverso), oppure di un legame di tipo del tutto diverso?

E neppure affronteremo i prohlemi connessi al trapasso dallavalutazione all’azione; per esempio i seguenti: che Cosa pub spin-gerci dalla valutazione negativa di una societa alla decisione ditrasformarla? quale criterio dovra guidarci nella scelta dei mezziper attuare questa trasformazione?

Una volta stabilito di non prendere in esame i problemi testéelencati, il nostro compito si restringe notevolmente, e diventaallora facile constatare che alcuni risultati conseguiti nei capitoliprecedenti possono venire effettivamente trasferiti con una certautilita al campo (circoscritto) dei temi qui presi in considerazione.Apparira chiara per esempio, fin dal prossimo paragrafo, l’analogia

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esistente tra le funzioni attribuibili alla logica nei sistemi giuridicie nelle teorie scientifiche, onde si potra ricavare il suggerimentodi costruire anche in riferimento ai pritni una nozione simile aquella di “patrimonio scientifico-tecnico ” da noi largamente utilizza-ta nello studio delle scienze; restando inteso che entramhe qu€St€no-zioni si rivelano, per il modo stesso in cui vennero definite, es-senzialmente trattabili con il metodo dialettico. Né meno fecondarisultera l’applicazione, allo studio della dinamica sociale, del con-cetto di contraddizione, di cui si e ripetutamente illustrata l’im-portanza nell’esame della dinamica delle teorie scientifiche Al-trettanto pub ripetersi, a proposito del trasferimento che cerche-remo di fare, all’analisi della categoria di “classe,” delle conside-razioni svolte a difesa della oggettivita (ma non assolutezza) del-le principali categorie della fisica, della chimica, ecc.

Tenendo conto della sistematica utilizzazione qui compiuta dinumerosi risultati ottenuti nei capitoli precedenti, qualcuno po-trebbe essere tentato di pensare che tutta intera la nostra indagi-ne sia stata compiuta in vista di cib che ci proponiamo di direnel presente capitolo. Rispondiamo che questa interpretazioneva al di la delle nostre intenzioni. Il fine che ci siamo propostidi raggiungere e assai piu modesto, anche se non privo di uncerto interesse: e quello di dimostrare che la frattura tra i processiche formano l’oggetto caratteristico delle discipline matematico-naturali e i processi che formano l’oggetto caratteristico delle di-scipline giuridico-sociali e forse meno profonda di quanto si siasoliti immaginare, donde si deduce che il conseguimento di unaapprofondita consapevolezza critica a proposito del primo gruppodi discipline pub rivelarsi notevolmente utile anche per lo studiodel secondo gruppo.

2. Sistemi giaridici e patrimonio delle istituzioni civili

Come b hen noto, gli studiosi di diritto hanno cercato, da lun-go tempo, di elaborate in forma sistematica il complesso delle leg-gi che reggono le varie societa; e in questa loro opera si sonoavvalsi di tutti i mezzi che potevano contrihuire a rendere vieppiurigorosa la sistemazione delle leggi anzidette.

Per conseguire uno scopo siffatto, essi hanno ovviamente te-nuto presente il modello delle discipline matematiche. E poichénel nostro secolo i1 massimo rigore e stato raggiunto, in campo

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matematico, con Yassiomatizzazione delle teorie, cosi anche glistudiosi di diritto hanno fatto largo uso, nella loro opera di siste-mazione, del metodo assiomatico, applicando all’uopo le pid sofi-sticate tecniche della logica formale. aI risultati in tal modo otte-nuti sono stati davvero notevolissimi, e hanno contrihuito, fra l’al-»U0, alla creazione o al potenziamento di nuovi rami della logica(per esempio la cosi detta logica deontica) rivelatisi indispensabiliper la formalizzazione dei cornplessi di leggi che costituiscono unordine giuridico ~(complessi che chiameremo “sistemi giuridici”).L’analogia esistente fra questi sistemi e le teorie costruite dallescienze matematico-naturali, malgrado qualche differenza delletecniche logiche adoperate nei due diversi casi, epoggi riconosciutada tutti e costituisce senza dubhio urfimportante acquisizione del-le moderne indagini metodologiche.

Se la struttura di una qualsiasi societa (per lon meno allorchéquesta abbia raggiunto un certo livello civile) as certamente connessa.al sistema delle leggi in essa vigenti - onde Yassiomatizzazione diquesto sistema dovra risultare di grande utilita per la comprensio-ne di tale struttura - e ovvio tuttavia che tale assiomatizzazionenon risultera altrettantoutile per la comprensione della dinami-ca delle societa, cioe del processo di trasformazionec dar un tipodi societa ad un altro. lnfatti, la presentazione assiomatica di unsistema giuridico tende, proprio per il suo carattere estremamenterigoroso, a farcelo considerate come un tutto a sé, chiuso nellapropria logica, analogamente a cio che accade per le teorie scien-tifiche assiomatizzate.

Nel primo capitolo abbiamo spiegato, pero, che la scienza nonsi riduce a una collezione di teorie, ciascuna chiusa in se stessa;abbiamo detto cioe che, per comprendere tutto il significato diqueste teorie, non hasta esaminarle l’una isolatamente dall’altra,ma occorre calarle in cio che abbiamo chiamato il “patrimonioscientifico-tecnico" lin continua evoluzione, il quale include in sé,accanto alle singole teorie considerate nella loro compiutezza, unvasto campo di indagini non assiomatizzabili (indagini che vanno:dalle prime esplorazioni di un gruppo di fenomeniai tentativi diinquadrarli in questa o quella teoria, dai pid sottili dibattiti meto-dologici all’analisi delle implicanze filosofiche degli assiomi assun-ti a base delle nostre deduzioni, ecc.). Orbene qualcosa di similesi puo ripetere, a nostro parere, anche per i sistemi giuridici;e cioe, se vogliamo comprenderne 'tutto il significato, non pos-siamo limitarci a esaminarli l’uno isolatamente dall’altro,lma dob~

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loiamo calarli in un tessuto pifi ampio che include in sé, oltre ai si-stemi giuridici stessi, un complesso di istituzioni, di leggi nonscritte, di costumanze, ecc. per cui e essenziale la considerazionedel parametro tempo (come viene inteso dalle discipline storiche).Possiamo chiamarlo “patrimonio delle istituzioni civili” al finedi sottolinearne l’analogia con il “patrimonio scientifico-tecnico.”

E come, per comprendere la dinamica della scienza, dobbiamoproprio fare riferimento a questo patrimonio, cosi per comprende-re la dinamica dei sistemi giuridici semhra ovvio che dovremofare riferimento, non solo ai singoli sistemi considerati nella lorocompiutezza, ma a quel tessuto articolatissimo e variahile, cui ab-hiamo dato il nome di “patrimonio delle istituzioni civili.”

Cio non implica, sia hen inteso, alcuna sottovaluvtazione del-l’opera di assiomatizzazione dei sistemi giuridici. Questa opera- nella quale si sono distinti gli studiosi di diritto, di formazioneneo-positivistica _ ha avuto il merito di evidenziare la strutturadi tali sistemi, i loro principi generali e le conseguenze di questiprincipi, gettando su di essi una luce altrimenti irraggiungibile.Essa non hasta pero a farci comprendere la dinamica che ha con-dotto, in certe epoche storiche, all’ahbandono di un sistema dileggi costituente un ordine giuridico per sostituirlo con un altro.In altre parole: pure in questo carnpo, come gia in quello dellescienze matematico-naturali, il metodo assiomatico (loasato su unrigoroso uso della logica formale) esercita una funzione preziosis-sima, ma solo entro certi ben determinati limiti. Per comprenderela dinamica dei sistemi giuridici occorre fare rilerimento ancheal patrimonio delle istituzioni civili: patrimonio che ovviamentenon potra venire studiato con la sola logica formale ma richiede-ra .- cosi almeno ci suggerisce la sua analogia con il patrimonioscientifico-tecnico - che si faccia ricorso al rnetodo dialettico.

Considerareil patrimonio delle istituzioni civili alla luce delmetodo dialettico, significa sforzarsi di cogliere la complessa soli-darieta dei suoi eleirientipur nell’ininterrotto fluire del patrimoniostesso, individuando tutte le contraddizioni che emergono in esso,la specificita di queste contraddizioni da un’epoca all’altra, ladinamica cui esse danno luogo, le nuove contraddizioni che sor-gono via via che si risolvono quelle al momento pifi urgenri. Signi-fica prendere atto che nessuna istituzione puo venire consideratacome un’entita,metastorica, isolabile dalle altre, cosicché essawvacomunque giudicata in riferimento ad, una situazione ben deter-minata enon in astratto. Cosi accade per esempio della famiglia,

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della religione, della proprieta, che hanno assunto di epoca inepoca forme diverse, onde non si pub pretendere che il sistema dileggi da cui vengono regolate oggi sia identico a quelli da cuivennero regolate in passato o da cui lo saranno in futuro.

Esporre via via con il massimo rigore questi sistemi di leggiserve, come gia si e detto, a enucleare i principi che stanno allaloro base c tutte le conseguenze che se ne possono derivare. Tal-volta si attribuisce a tali esposizioni rigorose il tacito fine di fis-sare nel tempo le leggi in questione, presentandole come immodi-ficabili. Cib tuttavia non e esatto, perché la conoscenza di tutte leconseguenze connesse a una certa struttura pub essere proprioutilizzata per dimostrare l’inadeguatezza di tale struttura alla vitacivile di oggi; come il conoscere esattamente tutte le conseguenze- prossime e lontane - di certi principi fisici pub servire a per-suaderci che tali principi sono ormai insostenibili.

Operare “irazionalmente” non significa affatto operare al finedi mantenere in vigore le strutture giuridiche di oggi; significasoltanto averne una conoscenza la piu esatta e completa possibi-le: conoscenza che si ottiene sia precisando la forma assiomaticadi tali strutture, sia studiando il travaglio di lotte che condusseroa imporle in sostituzione delle strutture dominanti nelle epocheprecedenti. Che si tratti di una indagine “razionale” sembra chia-ramente incontestabile, ma E: ovvio che si tratta di una “razionali-ta” pid ampia di quella, puramente logico-formale, che presiedeal metodo assiomatico.

Fare appello al metodo dialettico, significa per l’appunto fareappello a questa razionalita piu ampia,‘ piu articolata, non circo-scrivibile in schemi prefissati; significa sforzarsi di cogliere il pa-trimonio delle istituzioni civili nel suo sviluppo storico, ponendo afuoco le contraddizioni ancora oggi in esso presenti, da cui bisognapartire per sostituire un nuovo sistema giuridico a quello vigente.

Abbiamo spiegato nel quinto capitolo che solo una visionedialettica della natura ci permette di comprenderecome sia possi-bile conciliare un intervento attivo su di essa con la franca ammis-sione che il decorso dei fenomeni naturali E: regolato da leggi; cosiora ripetiamo che solo una concezione dialettica della storia cipermette di comprendere come sia possibile intervenire attivamen-te su di essa, pur riconoscendo che si sviluppa in base a fattorioggettivi. Riservandoci di riprendere piii ampiamente l’argomen-to nel quarto paragrafo, vogliamo qui riloadire che solo una visionemeccanicistica della storia ci fa scorgere in tale antinomia qualcosa

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I compiti della dialettica nella comprensione e trasformuzione delle .vocietd

di insuperabile. Essa viene invece risolta se ci rendiamo conto chesi tratta di fattori estremamente complessi i quali determinano dia-letticamente e non meccanicamente il decorso degli eventi. Masi tratta di fattori che vanno individuati scrupolosamente (anchefacendo ricorso all’assiomatizzazione dei sistemi giuridici), perchée proprio dalla loro esatta conoscenza che _occorre partire per poterintervenire con efficacia sullo sviluppo dei fenomeni sociali. Comeabbiamo ga detto pm v01t@, ¢<m<>S¢@f¢ <=‘ Operare 9011 S0110 duesettori separati dell’attivita umana; as solo un atteggiamento meta-fisico che ce li fa ritenere contrapposti l’uno all’altro'. La dialettica,al contrario, ce ne fa cogliere la profonda unita: unita che emergecon lampante chiarezza da una riflessione non prevenuta sullacomplessa dinamica delle istituzioni C1V1l1.

3. Sulle contmddizioni, interpretate come mozfore della slam:

Abbiamo sottolineato l’importanza di individuare, nello stu-. . . . . . - cc 'dio dei fenomeni sociali, le contraddizioni emergenti nel patri-

monio delle istituzioni civili” allo scopo di comprendere raaional-mente (nel senso ampliato del termine razionalita) per quali com-plessi motivi in una certa epoca si e elahorato un nuovo sistemagiuridico da sostituire a quello che era stato fino allora accolto.

Ora perb ci sembra opportuno prendere in esame la funzionedella contraddizione da un altro punto di yista; e cioe non _piusoltanto in riferimento al processo conoscitivo mediante cui cisforziamo di comprenderesempre piua iondo il sigmficato dellosviluppo dialettico delle istituzioni civili, ma proprio in riferi-mento a questo sviluppo stesso, considerato nella sua oggettivita.In altre parole: ci sembra opportuno studiare quali funzioni ah-biano le contraddizioni emergenti nello sviluppo _ang1_detto, indi-pendentemente dal fatto che noi siamo o no capaci di individuarlee di partire da esse per approfondire il significato della dialetticadelle trasformazioni sociali. ‘ _ ,

In questo studio ci sara ovviamente di guida lesame attentodi cib che as effettivamente accaduto nella storia: esame rivolto,come gia si e osservato nel quarto capitolo a proposito della sto-ria della scienza, non solo a registrare scrupolosamente 1 fatti ondeinserirli nei quadri teorici che lo storico tentera di elahorare perfarne una “ricostruzione razionale,” ma ad enucleare il loro au-tentico filo conduttore, cioe la connessione oggettiva tra un singolo

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evento e l’insieme di tutti gli eventi costituenti il- fluire del proces-so storico.

, Orhene un esame siffatto ci mostra agevolmente che le cosesogliono procedere cosi: le istituzioni vigenti in una certa societae in una certa epoca, per quanto codificate in sistemi di leggi rigo-rosamente assiomatizzabili, non riescono ad impedire che si pro-ducano mutamenti via via piu profondi nelle relazioni fra i membridi tale societa (nei loro rapporti economici, nei loro costumi pub-blici e_privati, nel loro stesso modo di concepire la vita, ecc.).Cominciano allora ad affiorare le prime contraddizioni fra l’ordi-ne giuridico in vigore e la realta sociale in rapida trasformazione.Si presentano inctal caso due possihilita: o i custodi di questoordine cercano di imporlo a qualunque costo, oppure accettanodi apportarvi lievi modifiche onde adattarlo alle nuove condizioni.l\/la sia le misure repressive sia gli adattamenti in parola (spesso leune e gli altri si intersecano fra loro) riescono ben difficilmente aimpedire che l’anzidetta contraddizione si ingrandisca e si rafforzicol progredire del tempo.

In parecchi casi questa crescita si estrinseca in un moltiplicar-sidi piccole contraddizioni, apparentemente disarticolate fra loro.Esse aggravano la situazione, ma non danno luogo ad alcun muta-mento radicale dell’ordine costituito, cfinché non affiori il, filoconduttore che le collega le une alle altre: filo capace di far emer-gere l’autentico fulcro del conflitto fra il Vecchio e il nuovo.

E proprio a questo punto che acquista un peso 'decisivo l’inda-gine conoscitiva diretta a farci scoprire il fulcro anzidetto; scopertache permettera di convogliare su di esso tutte le forze impegnatenella trasformazione della societa. Ma si tratta di un processostorico tutt’altro che semplice e spontaneo; esso e_ per lo piupreceduto da un gran numero di movimenti che incentrano lapropria azione ora sull’una ora sull’altra delle contraddizioni parti-colari poco sopra accennate. Di qui il carattere disorganico deimovimenti in questione, che giunge talvolta a celare il tessuto co-mune che li sottende. Di qui l’accusa di irrazionalita, spesso ripetutacontro di essi da chi non _sa (o non vuole) inquadrarli in unprocesso storico piu ampio incontestahilmente dotato di unasua autentica razionalita, .sia pure dialettica e non meccanica.

La forza propulsiva delle contraddizioni via via emergenti nel-le societa, il contrilouto decisivo da esse recato alla dinamicastorica icostituiscono un fatto hen difficilmente negabile, oggi,da un qualunque studioso di questo genere di fenomeni. Ma e stato

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soprattutto Mao Tse-tung a richiamare la nostra attenzione sul-l’esistenza, fra le molte contraddizioni presenti nelle varie situa-zioni storiche, di quella che merita di Volta in Volta il titolo difcontraddizione principale,” nonché sulla necessita di sceverarlacon chiarezza dalle altre perché E: proprio dalla risoluzione di talecontraddizione che dipende il successo di tutti i movimenti diretti amutare radicalmente un certo tipo di societa.

ln ogni caso - egli scrive nel famoso saggio Sulla contnzdalizione -- eassolutamente certo che in ciascuna delle diverse fasi di sviluppo del processo[storico] esiste solo una contraddizione principale che svolge la funzionedeterminante.

La perentorieta di questa affermazione pub forse apparirci scon-certante, ma essa ci sorprendera assai meno se riflettiamo sul fattoche il discorso di Mao non vuol avere un carattere puramente teo-retico, bensi Vuole costituire una ben precisa guida per la praticarivoluzionaria.

E quindi necessario - egli prosegue - nello studio di ogni processo[...] fare ogni sforzo per trovare la contraddizione principale. Una Volta tro-vata questa contraddizione principale, e facile risolvere tutti i problemi. Equesto il metodo che ci' insegna Marx nel suo studio della societa capitalisti-ca. Questo stesso metodo ci e indicato da Lenin e Stalin, nel loro studiodell’imperialismo e della crisi generale del capitalismo e nel loro studiodell’economia sovietica. Ma migliaia di studiosi e di uomini d’azione noncomprendono questo metodo; e percio essi si muovono letteralmente nelletenebre, non riescono ad afferrare il nocciolo della questione e non possonoquindi trovare il metodo per risolvere le contraddizioni.

Il carattere perentorio di cui abbiamo fatto parola non e delresto privo di una certa quale giustificazione teoretica, perché Maocerca di convalidare la propria tesi in base a un numero cospicuodi esempi difficilmente contestabili, ricavati dalla recente storiacinese, esaminati con la passione di combattente ma anche con laserieta di competente studioso. Da essi risulta sia il carattere og-gettivo delle contraddizioni via via esaminate, sia l’impossiloilita didare un significato aprioristico alla distinzione tra contraddizioneprincipale e contraddizioni secondarie.

Gli aspetti di una contraddizione, quello principale e quello secondario,si trasformano l’uno nell’altro e il carattere della cosa cambia in conseguenza.Se in un determinato processo o in una determinata fase di sviluppo dellacontraddizione 1"aspetto principale e A e quello secondario B, in un’altra

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fase o in un altro processo di sviluppo la posizione rispettiva di questiprocessi si capovolge...

Riconoscere che le contraddizioni da noi riscontrahili nello svi-luppo delle societa non sono tutte eguali fra loro e che nessunae“di per sé” principale o “di per sé” secondaria, significa ricono-scere il carattere dialettico, non solo delle nostre conoscenze stori-che, ma della storia stessa nella sua oggettivita.

4. Individuo e rivoluzione

Ahbiamo osservato, nel paragrafo precedente, che le trasforma-zioni sociali sono connesse al profilarsi sempre pid metro di undivario tra gli istituti giuridici che reggono una societa e i rap-porti reali esistenti, in concreto, fra gli individui che la compon-gono.

Come si E: cercato di spiegare, questo divario da luogo a unmoltiplicarsi di contraddizioni particolari, fra le quali ne emergeuna “principale” (diversa da un processo storico a un altro, nonchéda una fase all’altra del medesimo processo) che svolge una funzionedeterminante. L’esplodere di tutte le anzidette contraddizioni segnal’avvio di un processo rivoluzionario; ma la vera e propria rivolu-zione consiste nell’affrontare e risolvere la contraddizione princi-pale. Orbene, quale potra essere la funzione dell’individuo in que-sto processo, se esso scaturisce da contraddizioni fornite di unaautentica oggettivitaP

Gia abbiamo fatto cenno, nel secondo paragrafo, a questo pro-hlema sia pure prospettandolo in termini leggermente diversi. Eabbiamo ricordato che un problema analogo si era presentato nelquinto capitolo a proposito dei rapporti uomo-natura, trattandosidi conciliare la possibilita di un intervento attivo dell’uomo sullanatura con l’ammissione che questa E: regolata da leggi fornite diuna certa oggettivita.

Malgrado l’analogia fra le due situazioni problematiche (inter-vento dell’uomo sulla natura, e intervento dell’uomo in un processorivoluzionario), non e difficile pero rilevare alcune profonde dif-ferenze fra esse.

Per intervenire attivamente sui processi naturali modificandolia proprio vantaggio, l’uomo potra fare ricorso talvolta ad unateoria scientifica, talaltra Volta ad una teoria scientifica diversa:

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teorie che ovviamente danno luogo a due differenti rappresentazionidell’ordine naturale. Ma il trapasso da una teoria all’altra non im-plica affatto il mutamento globale di tale ordine, bensi soltanto --come ora si e detto -_ delle nostre rappresentazioni di esso, e, at-traverso l’utilizzazione della nuova teoria, il mutamento di alcuniprocessi particolari che la vecchia teoria non riusciva a dominate.

Nel caso invece dell’intervento dell’uorno in un processo rivo-luzionario, si trarta di qualcosa di molto piu radicale. L’abbandonodi una teoria della societa a favore di un’altra non implica, infatti,che si cerchi soltanto di modificare la nostra rappresentazione deifenomeni sociali e, per conseguenza, di correggere il decorso di qual-cuno di tali fenomeni; il fine che ci si propone e ben piu ambizioso:e quello di capovolgere lo stesso ordine socile, mutando radical-mente la struttura stessa della societa.

»La tentazione sogettivistica e qui particolarmente forte: trat-tasi della tentazione di sostenere che la struttura delle societa e pu-ramente opera umana, onde spetterehhe unicamente all’uomo sosti-tuire una struttura all’altra sia pure sotto lo stimolo delle contrad-dizioni che egli Verrebbe scoprendo nelle passate costruzioni. Eccoallora delinearsi la tesi, secondo cui il fattore principale di tuttele trasformazioni sociali sarebbe l’individuo, sostenuto da unaprofonda fede in nuovi valori morali e civili, nonché fornito diuna ferrea volonta (sarebbe, in altri termini, l’eroe).

Senza dubbio non vogliamo qui negare l’importanza dell’azio-ne individuale, del coraggio in essa espresso, dei sentimenti che lasorreggono; ma affermiamo che il motore dei grandi eventi storici,come appunto le trasformazioni rivoluzionarie delle societa, va cer-cato in qualcosa di piu generale, di pid oggettivo, come appunto lecontraddizioni cui abbiamo fatto cenno nel paragrafo precedente.Queste contraddiiioni non entrano in gioco solo come stimolo delleazioni dei singoli individui, ma come fattore autentico della dina-mica storica: esse danno luogo a movimenti che si protraggono neltempo e coinvolgono la partecipazione di pid individui, sopravvi-vendo alla loro scomparsa. La concezione romantica dell’eroe, chesarebbe in grado di imprimere, da solo, una svolta decisiva allolsviluppo dei fenomeni sociali, E: ormai tramontata da tempo e nonvale la pena fermarci a confutarla; comunque ritorneremo nel pros-simo paragrafo sul problema della mediazione fra azione individua-le e rnovimenti di massa. Per ora ci limitiamo a sottolineare ancorauna Volta la funzione delle contraddizioni nelle grandi trasforma-zioni della societa.

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Dopo quanto ahbiarno cercato di chiarire nel secondo capitolocirca il ruolo incontestabilmente primario che il metodo dialetticoriconosce alle contraddizioni, sara intanto facile concludere che es-so costituisce il metodo piu adeguato allo studio delle grandi tra-sformazioni rivoluzionarie: trasformazioni connesse, appunto, al-l’esplosione di una serie di autentiche contraddizioni oggettive al-l’interno delle societa coinvolte da tali trasformazioni.

Di qui la necessita, se vogliamo veramente comprendere afondo un processo rivoluzionario, di sottoporlo ad una serrata ana-lisi impostata con metodo dialettico, e proprio per cio non rinchiudi-bile in schemi rigidi, aventi la pretesa di poter venire uniformemen-te applicati ad ogni situazione storica. Si tratta senza dubbio di unaanalisi razionale, ma di una razionalita dialettica, che sappiamo ir-riducihile alla mera logica formale.

Un’analisi siffatta ci condurra, fra l’altro, a distinguere netta-mente il processo rivoluzionario dall’esplosione di una rivolta.Questa E: un evento storico generalmente di breve durata, che eper lo piu suscitato dall’affiorare nella societa di qualche contraddi-zione “secondaria” (nel senso poco sopra spiegato di questo termi-ne) particolarmente atta a commuovere gli animi ed a generare im-mediati sentimenti di sdegno. Quello invece e un processo lungoe articolatissimo, che si incentra su quella che abhiamo chiamato la“contraddizione principale” e coinvolge non solo una o pin rivoltema difficilissime lotte per la trasformazione di fondo della strutturastessa della societa. E un processo che puo protrarsi anche findopo che la rivoluzione abbia “vinto” (nel senso che un nuovoordine giuridico sia stato instaurato in luogo del Vecchio).

Né E: a credere che la comprensione della dialettica storica,esplicantesi in un processo a lungo termine del tipo testé accennato,finisca per frenare l’impegno rivoluzionario del singolo individuo.Chiunque ahhia partecipato a un processo del genere, anche se essonon ha poi conseguito tutti gli scopi che si era proposto, sa moltobene che sentirsi inserito in un movimento il quale trascende dimolto la propria persona non indeholisce ma rafforza lo spiritocomhattivo. Contrapporre la dedizione e l’entusiasmo alla ragionee un errore che si radica in una interpretazione meccanicistica deisentimenti e della razionalita. E un errore che puo e deve venirecorretto mediante una comprensione dialettica' dell’individuo e del-la storia.

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I compiti della dialettica nella- compremione e trasformazione delle societd

5. .S`ull’im‘erpretazi0ne del concelto di classe

Gia si e precisato piu volte, parlandop dei rapporti fra teoriae prassi in riferimento alle scienze della natura, che la secondanon va intesa soltanto come prassi del mero individuo(per esem-pio dello sperimentatore che mette alla prova una teoria scientifi-ca), ma anche come prassi sociale, ossia prassi di una intera collet-tivita che verifica, utilizza e perfeziona quotidianamente le leggiscientifiche mediante le loro applicazioni. Quanto ora detto illustra,in un caso specifico, il carattere sociale dei processi attraverso cui siesplica l’attivita conoscitiva e pratica dell’uomo, se essa ha da risul-tare veramente efficace.

Passando ora agli argomenti che formano l’oggetto specificodel presente capitolo, dovremo subito ricordare che, in questo ca-so, e ancora meno possibile comprendere a fondo la dialettica teo-ria-prassi, quale si rivela nei fenomeni storici, se non si fa esplicitoe costante riferimento a fattori di carattere essenzialmente sovra-in-dividuale. E indiscutibilmente uno dei maggiori meriti di Marxavere dimostrato, mediante le sue rigorose analisi socio-economi-che, che gli autentici protagonisti della storia non sono gli indivi-dui ma le classi; queste infatti, ed esse sole, posseggono la forzaper intervenire in modo determinante nella risoluzione delle gran-di contraddizioni delle societa.

Trattandosi di risultati notissimi, intorno a quali sono statecompiute da tempo ricerche specialistiche di indubbio valore,sarebhe manifestamente superfluo tentare di aggiungere in questasede ulteriori prove a conferma della validita scientifica dell’anzi-detta tesi di Marx. E del resto risaputo che essa viene oggi larga-mente utilizzata, in forma esplicita o implicita, da pressoché tuttii moderni studiosi di storia, anche da quelli che sono ben lungidal condividere le posizioni politiche di Marx e dei suoi conti-nuatori.

Ci sembra invece di una certa utilita tentare di rispondere aduna obiezione, di carattere essenzialmente metodologico, sollevatada varie parti contro il modo con cui suole venire interpretatala nozione di “classe.” E una risposta che ci sentiamo, in certosenso, nel dovere di dare proprio in questa sede perché, come siVedra, essa utilizza largamente i risultati ottenuti nei capitoli pre-cedenti a proposito della portata conoscitiva dei concetti scientifi-ci (nello stretto senso di questo termine).

Ifohiezione in parola puo venire cosi schematizzata: la classe

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e soltanto un “nome” non una realta, e percio non ha senso voler-la considerare quale autentica protagonista di eventi _ come ap-punto i fenomeni storici _ che posseggono invece una loro ef-fettiva realta. I/obiezione, ovviamente inquadrabile entro unaconcezione convenzionalistica delle categorie scientifiche, suole ve-nire cosi sviluppata e integrata: la categoria di “classe” fu senzadubbio adeguata, come ha dimostrato Marx, ad una certa fasedello sviluppo della scienza (nel caso presente, della scienza eco-nomico-sociale) ma non e pid adeguata alla fase odierna, assai pidcritica e consapevole dei propri limiti, quindi essa va oggi corag-giosamente abbandonata.

Per rispondere a questa obiezione, cominceremo ad osservare_ ricollegandoci, come gia detto, a quanto ampiamente discussonei capitoli precedenti _ che l’esistenza, entro la categoria diclasse, di un elemento convenzionale (come entro tutte le altreCategorie scientifiche) non implica affatto che essa non posseggauna base oggettiva; tale esistenza implica soltanto che la classenon va considerata come una categoria assoluta e metastorica.Come gia accennammo, Marx venne condotto a elaborarla scienti-ficamente dai suoi studi (cui tutti hanno riconosciuto un granderigore) sui processi di produzione; studi che gli fecero scorgereproprio nei conflitti di classe la radice profonda dei grandi rivol-gimenti del passato. Voler negare, in nome della consapevolezzacritica generata dal convenzionalismo, questa base oggettiva si-gnificherebbe non rendersi conto che _ in questo come in tuttigli altri casi, cioe come nel caso delle discipline fisiche, biologi-che, ecc. _ la ricerca scientifica si rivela in grado di conseguiredelle verita oggettive, anche se non assolute. In parole diverse:la critica convenzionalistica pili sofisticata pub senza duhbio ren-derci consapevoli del carattere non assoluto della tesi di Marx,come di qualsiasi altra scoperta scientifica, ma non puo autorizzar-ci a concluderne che _ essendo priva di un carattere assoluto _essa risulterebbe priva di ogni base oggettiva.

Nel caso specifico, intervengono poi altri argomenti _ oltrequelli validi per tutte le categorie scientifiche _ a ricordarci chela categoria di classe quale fu elahorata da Marx, pur avendo pienadignita scientifica, non va in alcun modo assolutizzata. Essi si ba-sano sulla constatazione, molto banale, che i mezzi di produzionehanno subito, e continuano a subire, notevoli mutamenti soprat-tutto dovuti allo sviluppo delle tecnologie, alla scoperta di nuovefonti di energia, all’introduzione di nuovi mezzi di trasporto, ecc.

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E ovvio che, in seguito a cio, anche la categoria di classe dovrasubire notevoli rielaborazioni; ma si potrebbe facilmente dimostrareche 'queste rielaborazioni rientrano, come ‘caso particolare, inquel processo di approfondimento di cni abbiamo a lungo parlatonei capitoli precedenti. E un processo il quale non esclude_ affat-to che la categoria da approfondire possegga una base oggettiva; cidice solo che essa va continuamente arricchita di nuovi elementi,che va inquadrata in sempre pin cornplesse relaziom, per _potervenire utilizzata con profitto nello studio dei nuovi contesti con-creti che costituiscono l’oggetto delle nostre indagini; Sono bennote le parole scritte in proposito da Mao: “se 1, rivoluzionarlnon modificano rapidamente la propria conoscenza per unifor-marla alla nuova situazione, non potranno condurre la riyoluzionealla Vittoria.” E ancora pin esplicite sono le dichiarazioni _ sena-pre sull’argomento in esame _ del filosofo cinese Zhang Enci:

Marx ed Engels sono stati i pifx grandi pensatori della storia dell’uma-nita; in non hanno affatto esaurito la conoscenza della societa _umanae non sono giunti al “termine” della yerita. Anche il pensiero d1‘M2IXe di Engels ha subito i limiti delle condizioni stor1che._ Tntti 1 risultati dellaloro attivita riflettono le condizioni_dell’epoca _in cni vivevano e non ol-trepassano il campo d’azione che tal1 condizioni offrivano.

6. Sui rapporti fm imliuidui e clasri

Una Volta assodato che la classe non puo venire interpretatacome un’entita metafisica la quale esisterebbe al 'di 'la degli indi-vidui che la compongono e al di la delle situazioni storiche, sene ricava Yimpossibilita di far rientrare i rapporti tra individuie classi in uno schema meccanico da applicarsi allo stesso modoin tutti i tempi e in tutte le circostanze. _ ,_ ,

Riteniamo pertanto opportuno, al fine di dare un idea un pofedele della complessita di tali rapporti, modificare a questo pan-to l’impostazione della nostra indagine, passando da considerazio-ni di carattere generale come quelle finora_ svolre, ad alrre pdl

carattere alquanto diverso, legate a situazioni storiche. contingen-ti delle quali abbiamo (o crediamo di avere) esperienza dlretta-Esse avranno, come e ovvio, un valore soltanto ipottico, ma p0-tranno cio malgrado risultare, entro questi limiti, di una qualcheefficacia. _ _ _ _ _ _ 1 _

A partire dal secolo scorso, 1 rapporti fra individui e c assi

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Scienza e realismo

sogliono venire realizzati attraverso i partiti, che si autodefinisco-no come espressioni dirette delle classi, interpreti autentici dei lorointeressi, sole forze capaci di dar loro una seria organizzazione.Mentre la classe, pur essendo una categoria scientifica provvistadi effettiva base oggettiva, non si presenta come qualcosa di im-mediatamente pcrcepihile nell’esperienza, il partito invece si pre-senta come un’entita storica hen determinata che l’individuo trovainnanzi a sé e con la quale deve fare concretamente i conti. Oggii partiti assumono su di sé, in forma sempre piu chiara, il com-pito di dirigere la lotta di classe tenendo conto di Volta in Voltadelle nuove circostanze in cui la lotta di classe si svolge.'A riprova della variahilita di queste circostanze, basterehbesottolineare a titolo di esempio la diversita fra le forme recente-mente assunte dalla produzione capitalistica e quelle che essa pos-sedeva in un passato pur ahhastanza prossimo. Ci riferiamo inparticolare alla organizzazione di tale produzione in imprese mul-tinazionali, che non sono piti neanche tenute a rispettare gli in-teressi dei singoli stati come accadeva agli inizi del nostro secolo.Come e noto, tale nuova organizzazione tende a mutare la strate-gia ste-ssa, usata dalla classe capitalistica nella sua lotta contro laclasse antagonista. Qui ci limiteremo ad aggiungere che le multi-nazionali stanno assumendo le funzioni una Volta svolte dai sovra-ni assoluti, con la conseguenza di svuotare in misura via viamaggiore il contenuto reale della forma, “democratica” di alcuniregimi (forma democratica che puo venire tanto piu agevolmentemantenuta in vita, quanto piu viene ridotto il suo effettivo potere).

E chiaro che gli sviluppi testé accennati del capitalismo nonpossono fare a meno di avere profonde ripercussioni anche sullastruttura dei partiti, in particolare di quelli che si propongono didifendere la controparte della moderna classe capitalistica. Questisi trovano, pertanto, costretti ad assumere un’organizzazione in-terna sempre piu centralizzata nell’esplicito intento di conseguireuna funzionalita via via maggiore nelle loro lotte. Sarehbe ridicoloaccusarli di mancanza di un’autentica vita democratica, quando l’in-tera societa attuale si orienta Verso strutture la cui democrati-cita si riduce gradualmente a un puro nome, privo di contenutoreale.

E ovvio che questo carattere centralizzato dei partiti rappre-senta, pero, un effettivo ostacolo al loro contatto reale con gliindividui. Finiscono in tal modo per incontrare sempre nuove dif-ficolta ad espletare quella funzione di mediazione fra individui e

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nam”s,M:-f.=.a~;>,

I compiti della diulettica nella comprensione e trasformazione delle societri

classe che sembrava rientrare nei loro compiti precipui. Parecosi profilarsi una nuova contraddizione che potrehbe assumerein futuro un ruolo assai importante: essa riguarda la possibilitache sorgano movimenti di massa, al di fuori dell’ambito dei par-titi. Ritorneremo su di essa alla fine del paragrafo.

Non e ovviamente il caso di discutere, qui, il reale peso giaoggi posseduto da tali movimenti di massa. Pub essere inrfece diun certo interesse far presente che l’azione del singolo all’1nternodi un movimento siffatto sembra possedere un ruolo, che essanon puo avere all’interno di un partito saldamente organizzato.In altri termini: man mano che il rapporto individui-partiti diventameno dialettico, assumono un’importanza maggiore i movimenti dimassa, che risultano caratterizzati da una dinamicita nettamentesuperiore a quella assunta (per imotivi sopra accennati) dai pattltl.

Confrontando ora la dialettica delle societa con quella dellescienze, sembra non del tutto priva di fondamento l’idea di ten-tare un nuovo parallelismo, oltre a quello (tra teorie scientifichee sistemi giuridici, da un lato, patrimonio scientifico-tecnico e pa-trimonio delle istituzioni civili, dall’altro) di cui -si e fatto parolanel secondo paragrafo. Trattasi in breve di proporre un nuovo pa-rallelismo sul generis tra la funzione compiuta oggi dai partiti mo-dernamente strutturati e quella delle teorie assiomatizzate, da unlato, e, dall’altro, tra la funzione delle masse e quella del patrimo-nio scientifico-tecnico; a giustificazione di questa proposta ci limite-remo a far notare che tanto i partiti modernamente strutturati quan-to le teorie assiomatizzate posseggono una solida organizzazioneinterna che da loro una certa comprensibile rigidita, mentre sia lemasse sia il patrimonio scientifico-tecnico sono caratterizzati da unacomune fluidita e da una comune disponihilita Verso le piu arditeinnovazioni.

Come ahhiamo detto piu volte nei precedenti capitoli del presen-te volume, la distinzione fra teorie assiomatizzate e patrimonio scien-tifico-tecnico (non assiomatizzabile) non implica affatto alcuna sotto-valutazione delle funzioni spettanti alle prime o al secondo. Sitratta di funzioni diverse ma entrambe della massima importanza;l’importanza della funzione compiuta dalle teorie non risulta infattiin alcuno modo oscurata dal riconoscimento che e soprattutto dalpatrimonio scientifico-tecnico che provengono gli impulsi a rinno-vare la scienza, a create nuove teorie, a tentare nuovi metodi diricerca.

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Scienza e realismo

,_ Analogamente possiamo ora sostenere che non si nega affattolimportanza della funzione compiuta attualmente dai partiti, quan-do si rrconosce che ie soprattutto-dai movimenti di massa che pro-vengono gli impulsi a rinnovare la societa. Questa funzione dei mo-vrmenti di massa e del resto implicitamente riconosciuta dai partitistessi che, non senza motivo, si sforzano in ogni modo di dirigeretali movimenti.

La contraddizione, cui poco sopra abbiarno fatto cenno, sem-hra trovare gui il punto di massima tensione, non potendosi esclu-dere_ az przorz che, nello sforzo di dirigere i movimenti di massa, unPafflw perda la propria carica ideologica mantenendo solo l’or-ganizzazione centralizzata che e lo strumento indispensabile peresercitare l’anzidetta direzione.

Un’altra via per risolvere la contraddizione sembra invece esse-re la seguentea che i movimenti di massa, operando al di fuoridella r1g1da _logica dei partiti, e commettendo spesso azioni appa-rentemente irrazronali, riescano dialetticamente a dar luogo ad unaP111 Profonda razionalita, aprendo la via alla forrnazione di par-titi di tipo nuovo la cui serieta si esprime piu nella chiarezza ideolo-glca che non nella rigidita organizzativa,

7. Sui mpporti fm masse e Cultura

‘ Vogliarno ora affrontare un altro gruppo di problemi, per lacur trattazione ci saranno di particolare utilita i risultati conseguitinelle ultime pagine oltreché nei capitoli precedenti. Anche questiproblemi ci condurranno a individuare un’importante contraddizio-ne, intorno a cui ci semhra necessario acquisire piena consape-volezza.

Abbiamo gia parlato piu Volte, nel sesto paragrafo, di movi-menti di massa, illustrandone i caratteri notevolmente diversi daquellr dei partiti. Ora occorre illustrare rapidarnente i caratteri dicio che siamo soliti chiamare “cultura,” ponendoli a confrontocon quelli dei partiti e delle masse, nonché dei sistemi giuridici edel patrimonio delle istituzioni civili, o _ risalendo piu indietro_ delle teorie scientifiche e del patrimonio scientifico-tecnico.

_ Quando ci si riferisce alla cultura posseduta da una certa so-creta _in un determinato periodo, non si intende parlare di unedrficio organrcamente costruito, paragonabile al sistema di leggiche costrtuisce la base di un ordine giuridico. Quest’ultimo infat-

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ti e, alrneno di principio, rigorosamente assiomatizzabile, mentrela Cultura si articola in un nurnero indeterrninato di attivita, di cuinon e neanche possibile fissare una Volta per tutte 1’importanza(né in assoluto né relativamente l’una all’altra): per esempio ta-lunerdiscipline, come la teologia, sono state in altre epoche al cen-tro della cultura mentre non lo sono piu oggi; al contrario, certeattivita tecniche erano una Volta collocate ai rnargini della cultu-ra, mentre oggi vi hanno assunto un ruolo notevole nella qualitadi “scienze applicate,” ecc. Questa ricchezza e indeterminatezza diarticolazioni fornisce alla cultura un, carattere fluido, intrinseca-mente dinamico, che non puo fare a meno di sottolinearne le ana-logie con il patrimonio scientifico-tecnico e con quello delle istituzio-ni civili. Ovviamente si tratta di analogie che non annullano le dif-ferenze; ma si tratta pur sempre di differenze molto piu lievi diquelle che separano tali patrimoni da costrutti rigorosarnente as-siornatizzahili come le teorie scientifiche o i sistemi giuridici.

Proprio il carattere fluido testé accennato ci fa agevolmentecornprendere che l’individuo potra compiere, nel mondo dellacultura, un ruolo as~sai piu rilevante di quello che esso compiein organismi fortemente accentrati che hanno assunto un caratterepressoché impersonale, come le odierne grandi imprese industrialio i partiti modernamente strutturati. Cio non significa, sia heninteso, che gli individui, in quanto protagonisti della cultura, sianototalmente liheri nelle proprie mosse, ma vi sono certamente piuliheri che in un organismo forternente accentrato. Essi subiscono,anche nell’amhito della cultura, pesanti influenze (soprattutto adopera della tradizione che orienta, consapevolmente o no, granparte delle loro iniziative); ma si tratta di influenze indirette, chenon vincolano in modo rigido le loro azioni, predeterminandonei compiti e i possibili esiti.

Una volta schematicamente chiariti i caratteri strutturali del-la cultura (chiarimento che ha richiesto la puntualizzazione dellefunzioni in essa spettanti all’opera degli individui), siamo final-mente in grado di affrontare l’oggetto specifico del presente pa-ragrafo, cioe il problema dei rapporti fra masse e cultura.

Quanto abhiamo detto sulla struttura delle une come dell’altra(cioe sul loro carattere per principio non assiomatizzahile) paresuggerirci che si tratti di rapporti agevolmente descrivibili comedialettici, analoghi cioe ai rapporti che siamo soliti riscontrareall’interno delle unita dialettiche, caratterizzate appunto dalla pe-renne fluidita dei loro costituenti.

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Per accogliere questa conclusione, occorre pero superare unostacolo in apparenza assai arduo. Sappiamo infatti dal secondoCaP{fQl<? che una delle caratteristiohe essenziali dei rapporti dia-lettici e la loro bidirezionalita, mentre nel caso presente proprioquesto carattere viene a mancare. Ed invero nessuno pone indubbio che la cultura eserciti un’influenza talvolta assai profondaSulle masse, mentre e opinione comune che queste non siano ingrado di csercitare alcuna seria influenza sulla cultura (per lo me-no se la intendiamo nella sua globalita).

ln realta le cose sono assai piu complesse di quanto appaiaa prima V1Sta. La presunzione che la cultura abbia tutto da inse-gnare e nulla da apprendere dalle masse, non e altro -- a benconsiderare le cose -- che un pregiudizio derivante da una con-cezione aristocratica, dogmaticamente accolta per secoli e secoliS1a_Pure non senza qualche resistenza per lo piu di scarsa effiicacla: .La storia ci insegna invece che questo modo di pensaregiustificabile _entro societa rette da sistemi giuridici a carattere riiglclamenui af1S§0<ffa'Q1C0, risulta oggi privo di consistenza. Il crollodei vecchi ordini giuridici provocato dal succedersi di numerosef1V01UZ1CjHi (sia pure spesso conclusesi con poco soddisfacenti com-promessi) ha infatti mutato, assai profondamente, le cose, sicché11 voler mantenere in piedi l’anzidetta concezione della culturaappare sempre meno sostenibile; e di conseguenza appare insoste-n1b1le la pretesa che i rapporti fra cultura e masse ahhiano uncarattere non dialettico, per svolgersi in una sola direzione e nonanche in quella inversa.

_ llpfatto e che le masse stanno oggi diventando in modo viavia piu manifesto uno dei grandi protagonisti della storia e ciocomporta un incremento della loro influenza su tutti i fattori dellosyiluppo della societa. Esse hanno assunto da tempo un ruolo de-cisivo nella produzione ed e pertanto ben comprensibile che loassumano in tutte le attivita della vita civile: dall’attivita poli-tica a quella culturale.E 1 l\/(ga chedcosa possono dare le masse agli uomini di cultura?

a oman a gia poco sopra formulata, che appare particolarmen-te imharazizante quando ci si riferisce alla cultura scientifica. Sipuo infatti ammettere senza grande difficolta che le masse sianoin grado di fornire nuove ispirazioni ai poeti e agli artisti, attiran-do la_ loro attenzione su aspetti concreti della vita moderna chesfuggirebbero allo ~studioso rinchiuso in un aristocratico isola-mento; ma che suggerimenti sono in grado di dare allo scienzia-

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to puro o applicato, i cui prohlemi sorgono e si risolvono entrol’ambito di teorie gia ben costituite?

Riteniamo che questa domanda abbia il merito di porre inluce una contraddizione di fondamentale importanza, che spessoviene taciuta o velata - non senza motivo -- da troppe personeche occupano posizioni di responsahilita nell’amhito culturale enon solo in esso. Nel mondo moderno tanto le scienze quanto lemasse hanno run peso via via crescente, ma sembrano avanzareistanze antitetiche (sul prohlema della specializzazione, su quel-lo del rigore argomentativo, ecc.): sara dunque fatale che laVittoria delle unc comporti la sconfitta delle altre, o si potifa tro-vare un livello piu profondo in cui riusciranno a conciliarsi?

Per agevolare il conseguimento di questo livello piu profondo,riteniamo utile richiamare alcune riflessioni cui siamo stati con-dotti nei capitoli precedenti:

1) Allorché ahbiamo sottolineato l’importanza essenziale, neidihattiti piii moderni intorno al prohlema della conoscenza, delcriterio della prassi, abbiamo cercato di spiegare che questa pras-si va intesa non solo come prassi individuale ma anche, e soprat-tutto, come prassi sociale; con che diritto potremo dunque pre-tendere ora che essa escluda da se stessa l’apporto delle masse?

2) Allorché abbiamo analizzato l’incidenza delle critiche con-venzionalistiche sull’interpretazione piu moderna della scienza(ossia delle leggi scientifiche, dell’ordine naturale, della crescitadelle teorie, ecc.), abhiamo sottolineato le difficolta che incon-trano filosofi e scienziati a concepire la verita in modo diverso daquello tradizionale (ossia slegandola clall’attributo di assolutezzache generalmente viene unito a quello di oggettivita); orhene chipuo escludere che le masse possano fornirci un contributo decisi-vo allo scopo di superare tali difficolta, .proprio perché esse sonomeno di noi condizionate dalla ttradjzione, e in particolare da quel-la idealistica che ha dominato per millenni la filosofia che staalla base della nostra Cultura?

3) Allorché abbiamo affrontato, nel quinto capitolo, il tema del-la “neutralita filosofica” della scienza, abbiamo cercato di spie-gate che, 'per sconfiggere' tale neutralita (che rappresenta unadelle pili pericoloso tentazioni degli scienziati di oggi), hisogna por-re in chiaro come le scoperte scientifiche -- anche se non sonoin grado di elaborare una precisa concezione del mondo _ sonopero in grado di dinuostrare Yinsostenihilita _di vecchie concezioniancora assai diffuse, suggerendoci la necessita di tentarne corag-

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giosamente delle nuove, caratterizzate dalla piu radicale aperturacritica; ebbene, chi puo negare l’interesse delle masse per que-sta battaglia ideologica, quando si ricordi che esse sono stateindotte per troppo tempo ad accettare condizioni di spietato sfrut-tamento per il solo fatto che queste venivano loro imposte in no-me di concezioni mistiche e irrazionali dell’universo? e che pro-prio per cio non intendono rinunciare, oggi come ieri, alpcontri-huto che la scieiiza “ha dato, e puo dare, all’ahbattimento di taliconcczioni?

Né si dica che lo scienziato di oggi puo fare tranquillamentea meno degli incoraggiamenti che le masse sono in grado di dar-gli. Ahbiamo infatti ricordato, proprio nell’anzidetto capitolo, latormentata situazionei in cui si trovano parecchi giovani scienziatidella nostra epoca, che si chiedono affannosamente a che servanole loro quotidiane fatiche di ricercatori. E certo che la compren-sione delle masse puo costituire per loro non solo un prezioso in-coraggiamento, ma un valido sostegno. Ed E: un sostegno piu im-portante di quello che potrebbe loro provenire da enti saldamenteorganizzati, perché si puo sempre supporre che questi enti - adifferenza delle masse - lo diano a loro fini specifici che nulla han-no a che vedere con la cultura (cosi accade infatti per il sostegnoeventualmente dato, anche a ricerche apparentemente disinteressate,dalle grandi imprese industriali).

Ma le masse sono anche in grado di fornire un prezioso chiari-mento intorno ad un altro interrogativo, cui abbiamo fatto cennonell’ultimo paragrafo del quinto capitolo: si tratta del problema,che oggi assilla molti serissimi scienziati, se la scienza possa avereun autentico valore culturale, quando constatiamo quotidiana-mente che i ritrovati tecnico-scientifici sono soprattutto utilizzatida chi puo compiere grandi investimenti di denaro e semhranoquindi ottenere per effetto il progressivo asservimento dei sin-goli individui ai detentori di grandi capitali.

Cio che le masse spontaneamente ma fermamente oppongonoa chi, in base a queste constatazioni, si erge a critico severo delprogresso scientifico-tecnico, cui vortebbe opporre una cultura“libera” da ogni contaminazione scientifica, e riassumibile in po-che righe: la pretesa di fermare tale progresso invocando argomen-ti puramente moralistici o tentando di contrapporgli vecchie con-cezioni del mondo a sfondo idealistico, e frutto di mera fantasiaed e percio destinata al fallimento. La vera contraddizione prin-cipale della nostra cultura non e quella fra il progresso scientifico-

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tecnico e l’aspirazione romantica a un tipo di vita che fu propriodell’era prescientifica (era che puo apparire degna di rimpiantosolo a chi non ne abbia esaminato realisticamente tutti gli aspet-ti, anche i piu crudi e ripugnanti). La contraddizione principaledella nostra cultura e la stessa contraddizione (fra lavoro e capitale)insita nelle societa entro cui la nostra cultura (quella scientifico-tecnica come quella umanistica) si radica e si sviluppa. _

Ne segue che i mezzi cui hisogna fare ricorso per estirpare 1

mali generati, entro questa societa, dal progresso scientifico-tecni-co sono ben altri e ben piu seri di quelli spesso proposti dairomantici denigratori della razionalita scientiiica e, con essa, d1tutto il mondo moderno.

Tali mezzi non si incentrano sulla “conversione” degli indivi-dui, ma sul mutamento radicale della struttura della nostra so-cieta. Non fanno appello alla coscienza morale dei singoli, maapquella rivoluzionaria delle masse. Ci dicono in altri terminiche,per sradicare i pericoli cui puo dar luogo il progresso -scientifico,e necessario che le masse -- rese razionalmente consapevoli dellapropria forza e del ruolo decisivo da esse assolto nello sviluppodella societa nonché in quello della cultura -- affrontino a v1soaperto il problema di assumere nelle proprie mani la direzionedel processo rivoluzionario che travaglia la nostra epoca. E neces-sario che assumano tale direzione non nell’intento di riportarel’umanita ad una utopistica civilta di tipo agrario-pastorale, maper dare inizio a una civilta veramente nuova, che superi dialetti-camente quella attuale partendo proprio dalle sue contraddiziomzcontraddizioni che non possono venire semplicisticamente nega-te o velate quasi fossero un parto della nostra immaginazione,ma, al contrario, vanno approfondite, esasperate, portate alle estre-me conseguenze, fino a farne scaturire una autentica soluzione,che potra soltanto consistere in un reale, coraggioso, processo r1-

voluzionario.

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Note fimzli

A queste poche pagine che, a parte l’Appendice, pongono ter-mine al presente volume, ahhiamo preferito dare il titolo di Noiefimzli anziché quello di Conclusione. Quest’ultimo infatti ci sem-hra troppo amhizioso e in netto contrasto con lo spirito stesso del-la nostra indagine, che venne espressamente condotta nel sempliceintento di aprire e discutere alcune prospettive di solito prese inscarsa considerazione, e non gia nell’intento di sostenere che i risul-tati cosi conseguiti risolvano definitivamente questo o quel proble-ma portandolo, per cosi dire, a conclusione.

Ci limiteremo pertanto ad abbozzare, in queste Note, alcuneriflesisioni personali sugli scopi che hanno guidato l’intero nostrolavoro, nella speranza che possano riuscire di qualche utilita allettore il quale desideri rendersi conto della sua impostazione ge-nerale, a prescindere dalla validita o meno delle argomentazionispecifiche svolte nel corso della trattazione.

Per semplici motivi di comodita, ahhiamo ritenuto opportunosuddividerle in cinque punti che non hanno pressoché nulla ache vedere con la successione dei capitoli.

1. Tenendo conto dell’ininterrotto riferimento, presente intutti i capitoli, a cio che fanno e pensano, in concreto, la genera-lita delle persone e in ispecie degli scienziati militanti, qualchelettore sara prohahilmente tentato di concluderne che il realismoqui delineato non sarebbe altro che una forma alquanto rammo-dernata del Vecchio indirizzo risalente a Thomas Reid, universal-mente noto come filosofia del senso comune.

Dobbiamo francamente confessare che questa non ci parrebbeaffatto un’accusa oltraggiosa. Riteniamo infatti doveroso, per ilfilosofo che intende affrontare responsabilmente un problema cosifondamentale come quello della conoscenza e della realta, non

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Scienza e realirmo

abbandonarsi a sottigliezze incomprensibili per l’uomo comune,tutt’al piu capaci in un primo tempo di divertirlo ma poi, sesviluppate in forma sistematica, di infastidirlo e irritarlo. E delresto ben noto che molti autorevoli pensatori della nostra epocatendono oggi a rivalutare seriamente il senso comune; basti pen-sare a Bertrand Russell, ai cosi detti filosofi del linguaggio ordina-rio e a Karl Popper.

La cosa grave e che l’uomo comune della nostra epoca, convin-to dai grandi successi quotidianamente conseguiti dalla scienzapura e applicata, tende a riconoscere un valore incontestahile al-le conquiste scientifiche, delle quali si potranno, secondo lui,porre in discussione _ sul piano etico _ le applicazioni, ma non_ sul piano teoretico _ la verita. Orbene, e proprio questa suafede nella verita dei ritrovati scientifici che oggi va invece profon-damente modificata.

Non senza motivo ci siamo fermati a lungo sulle critiche delconvenzionalismo, le quali hanno posto in luce l’esistenza in ogniteoria scientifica di innegabili fattori convenzionali, onde seguel’impossibilita di qualificare uno qualunque degli anzidetti ritro-vati come assolutamente vero. Per quanto grande possa dunqueessere il nostro desiderio di tenere conto del senso comune, e chia-ro che oggi non possiamo accogliere il tipo di realismo che costitui-sce il supporto della filosofia da esso ispirata. Uno dei fatti cheha dato piu diretto impulso a tutta la nostra indagine e stato pro-prio il riconoscimento di questa situazione paradossale: da unlato la civilta in cui viviamo ci spinge irresistibilmente ad attri-buire un valore assoluto alle scoperte scientifiche, da un altro latol’analisi critica spregiudicata della struttura della scienza semhraindurci a ritenere che in ultima istanza questa e unicamente costi-tuita di convenzioni.

2. Le soluzioni del paradosso testé accennato, che soglionovenire fornite dalle filosofie occidentali, non ci sono sembrateconvincenti, malgrado l’incontestabile sottigliezza delle loro argo-mentazioni. Questa nostra opinione e, nel presente lavoro, piut-tosto presupposta che non dimostrata; essa e infatti il risultato dialtre indagini antecedenti, qui appena accennate. Comunque, pa-recchie analisi ora svolte su argomenti per cosi dire collaterali(per esempio sul solipsismo, sulla crescita della conoscenza scien-tifica, ecc.) sembrano a nostro parere confermare l’impronta idea-listica presente in tali filosofie, anche se esse si proclamano fa-vorevoli al realismo. E questo il motivo che ci ha spinti a cercare

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Note ,finali

una soluzione diversa, piu soddisfacente, in un indirizzo di pen-siero _ il materialismo dialettico _ generalmente trascurato daifilosofi occidentali, in quanto da essi considerato dogrnatico e ar-retrato rispetto ai piu caratteristici sviluppi della scienza con-temporanea.

La tesi centrale, e dal nostro punto di vista la piu significa-tiva, di tale indirizzo materialistico consiste nell’affermazione dellanecessita di rinnovare radicalmente e coraggiosamente la nozionestessa di proposizione vera, riconoscendo che si puo parlare di veritaanche senza esigere che essa possegga il carattere di assolutezza tradi-zionalmente attribuitole. Si potra in tal modo accogliere la concezio-ne comune, secondo cui la scienza e effettivamente in grado di con-seguire delle verita, ma aggiungendo che si tratta di verita rela-tive, non assolute. E urfaggiunta che concede parecchio alle criti-che dei convenzionalisti, senza pero cadere nell’agnosticismo gene-ralmente considerato quale punto d’arrivo ohhligato di tali critiche.

Ma quale differenza esiste, fuorché nel nome, tra la tesi testéaccennata secondo cui i risultati conseguiti dalle scienze sono del-le verita relative, e la hen nota tesi secondo cui esse sono dellesemplici ipotesi? La differenza risiede nel fatto che, secondoil materialismo dialettico, esiste un criterio capace di garantirel’oggettivita (non l’assolutezza) delle verita conseguite dalla scien-za: E: il criterio della prassi (in particolare della prassi sociale), cheoccupa una posizione di primissimo piano in tutto l’indirizzo inesamve, anche presso i cosi detti marxisti non materialisti.

I/esame di questo criterio e stato in effetti uno dei compiticentrali che ci siamo proposti; e dobbiamo confessare che, a nostroavviso, esso ci ha condotti a risultati di un certo interesse per cioche riguarda i rapporti tra la scienza e la tecnica (uno dei problemiche non puo fare a meno di interessare chiunque rifletta sul tipodi civilta in cui stiamo vivendo). Ci ha inoltre permesso di chiari-re a noi stessi il processo di approfondimento, che costituisce unadelle fasi essenziali del processo conoscitivo quando si attribuiscaa quest’ultimo il compito di farci conseguire delle verita relative;il carattere specifico dello sviluppo della tecnica (per cui e insen-sato pensare che la risoluzione odierna di un prohlema tecnico,per quanto perfetta, escluda che 'se ne possa trovare domani unamigliore) si ripercuote invero sui ritrovati stessi della scienza _garantiti dal criterio della prassi _ escludendo che uno qualsiasidi essi sia in grado di chiudere definitivamente una ricerca, quasiche questa non possa venire, per principio, ininterrottamente

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Scienza e realismo Note fimli

proseguita si da conseguire delle conoscenze sempre “piu comple-te e piu precise” (secondo le incisive parole di Lenin).

3. Se il processo di approfondimento puo senza dubhio for-nirci il filo conduttore dello sviluppo delle teorie scientifiche,questo filo pero non ci fornisce ancora -- almeno cosi sembra, anostro parere, suggerirci uno studio attento di storia della scien-za -- un quadro completo della dinamica delle ricerche scientifi-che, intese in tutta la loro complessita. E precisamente allo scopodi studiare questa dinamica che ahbiamo introdotto5 in relativo ac-cordo con alcuni autori occidentali, la nozione di “patrimonioscientifico-tecnico,” sostenendo che, per comprendere a fondo lanascita e lo sviluppo delle teorie scientifiche nonché il loro signi-ficato conoscitivo e pratico, occorre calarle in tale patrimonioperepnemente variabile da un’epoca all’altra.

E a questo punto che ahbiamo nuovamente dovuto fare ricor-so all’indirizzo materialistico-dialettico poco sopra accennato, -sem-brandoci ovvio che il patrimonio in questione non possa venireesaminato con i medesimi metodi (logico-formali) indispensabiliper lo studio delle teorie scientifiche modernamente strutturate;cioe esposte in rigorosa forma assiomatica. Orbene il suggerimen-to che tale indirizzo ci ha fornito e stato di applicare allolstudioin questione il metodo dialettico, appositamente costruito per l’ana-lisi dei fenomeni storici.

Ahbiamo cosi dovuto prendere in esame i caratteri specificidi questo metodo, sia per ribattere le obiezioni solitamente ele-vate contro di esso, sia per dimostrare che esso e perfettamenteconciliabile con l’accennata interpretazione realistica del processoconoscitivo, inteso come processo che conduce ad autentiche ve-rita (non pero assolute, ma relative e sempre approfondibili). Euna conclusione che ci semhra giustificare l’attrihuto di “dialet-tico,” con cui abbiamo ritenuto di poter qualificare il particolare ti-po di realismo (materialismo) da noi delineato allo scopo di risol-vere la grave antinomia della quale ahbiamo fatto parola alla finedel primo punto.

L’applicazione del metodo dialettico ci e parsa, inoltre; moltofeconda per la trattazione di parecchi problemi di notevole inte-resse, come quello per esempio di conciliare l’esistenza di un ordi-ne oggettivo della natura con la possibilita, per l’uomo, di interve-nire su di es-sa onde piegarla ai propri fini.

Di -particolare importanza, dal punto di vista filosofico, estato l’aiuto che il metodo dialettico ci ha fornito per- chiarire il

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significato generale che la scienza possiede ancora oggi, malgradoil peso in essa assunto dalle ricerche specialistiche. Cosi abloiamopotuto proporre nuovi argomenti a favore della tesi, che da tem-po ci sta a cuore, della “non neutralita filosofica” della scienza.

4. Ma la conclusione di maggior peso, cui ci ha condotti il ri-conoscimento della validita spettante al metodo dialettico, as stataun’altra, cosi riassumihile: occorre ampliare coraggiosamente eradicalmente la nozione ordinaria di razionalita.

Dobbiamo confessare che la consapevolezza di questa neces-sita e stata una delle conquiste piu difficili delle nostre indagini,che ha richiesto lunghe e laboriose riflessioni. All’inizio dei no-stri studi filosofico-scientifici avevarno infatti ritenuto che tuttala razionalita dovesse venire identificata con quel tipo particolaredi razionalita che possiamo riscontrare nelle teorie scientifiche.Cio che ci ha costretti a correggere tale convinzione e stato so-prattutto lo studio della storia della scienza, esaminata nella suaeffettiva concretezza (cioe nella complessita dei suoi legami con lastoria della filosofia, nonché con lo sviluppo della societa, con lesempre nuove domande che le masse ponevano agli scienziati, conle varie forme di lotte che lo spirito critico dovette affrontare perliberarsi dal peso della tradizione).

L’ostacolo piu difficile da superare per accogliere l’amplia-mento della nozione di razionalita suggerito dalla dialettica fusenza duhbio dovuto alla funzione centrale che questa attrihuiscealla negazione, alle situazioni paradossali, ecc. lnfatti la raziona-lita scientifica, basata sulla logica formale (il cui valore e, oggi co-me ieri, incontestahile), esclude per principio la contraddizione,in quanto la presenza di una contraddizione entro una qualsiasiteoria la rende senza dubbio inaccettahile. Di qui la domanda: co-me ammettere che la contraddizione possa compiere un ruoloessenziale entro una nozione ampliata della razionalita?

Eppure gli studi piu moderni intorno alla dialettica tendonoproprio ad incentrarla sulla contraddizione. Per giustificare que-sta tenclenza, abbiamo dovuto riflettere sul fatto che essi inter-pretano la contraddizione come lo strumento indispensabile perrendere espliciti gli ostacoli di fondo che impediscono lo svol-gersi coerente dei nostri pensieri e delle nostre azioni. L’analisidello sviluppo del patrimonio scientifico-tecnico ci fornisce innu-merevoli esempi al riguardo, alcuni dei quali straordinariamenteilluminanti. Questi esempi .ci mostrano che la scoperta di un pa-radosso nonirappresenta affatto una sconfitta per la ragione; al

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Scienza e realismo

contrario, e proprio essa che rende possibile individuare i puntioscuri delle precedenti argomentazioni e che ci costringe, di con-seguenza, a reimpostare i prohlemi su di un piano pid profondo,ove essi possono trovare una soluzione.

E stata precisamente questa constatazione a vincere le nostreiniziali riserve, facendoci riconoscere la funzione incontestabil~mente positiva della contraddizione, nel senso attribuitole dal-Finterpretazione della dialettica dovuta a Lenin ed a Mao Tse-tung.Cosi abbiamo dovuto ammettere che proprio questa as la via, lungola quale dovremo cercare l’ampliamento della nozione di razio-nalita, reso necessario dalle considerazioni sopra accennate.

5. Come gia ricordammo, una delle nostre preoccupazioni fudi portare qualche nuovo argomento a favore della “non neutra-lita filosofica” della scienza. Di qui siamo stati naturalmente in-dotti a prendere in esame anche il problema della sua “non neu-tralita pratica,” tanto piu che ci sembrava abbastanza spontaneoricollegare questa a quella.

ll problema specifico ora accennato ci ha inline aperto la viaverso un nuovo tema che, almeno a prima vista, si presenta assaidiverso da quelli antecedentemente presi in considerazione: inten-diamo riferirci al tema della dialettica delle trasformazioni sociali.

Dobbiamo confessare che sarebbe stato difficile sottrarci com-pletamente alla tentazione di affrontarlo, soprattutto per il fatto chegli scritti ove Mao espone il proprio punto di vista sulla contrad-dizione (scritti che ci sembrano, come gia accennammo, della mas-sima importanza per comprendere il significato attuale della dia-lettica) sono dedicati per l’appunto ai problemi storico-sociali. Evero che, a nostro avviso, la sua fondamentale distinzione fracontraddizione principale e contraddizioni secondarie e valida an-che al di la del campo specifico ove egli l’ha introdotta; ma sem-bra pressoché impossibile tentare di spiegarla senza fare un qual-che riferimento proprio a questo campo.

D’altra parte eravamo, e siamo, ben consapevoli che, per inol-trarci nel nuovo tema, occorrerehbe scrivere un nuovo volume, esoprattutto occorrerebbe avere una competenza specifica superiorealla nostra. Abbiamo pertanto scelto una via che forse apparirapoco persuasiva: quella di limitarci a esporre, a proposito delnuovo tema, alcune riflessioni che sembrano direttamente sugge-rite dalle analisi compiute sui temi precedenti. E ovvio, comun-que, che l’eventuale accettazione dei punti di vista presentati nel

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Note finali

resto del volume non comporta affatto che si condivida anche quan-to schematicamente delineato nell’ultimo capitolo. _ _

Ci siamo di conseguenza sentiti autorizaati - al Pflfclpalescopo di dimostrare la “non neutralita sociale e political dellaconcezione realistica e dialettica che forma l’oggetto centrale delvolume - di acccnnare ad alcuni argomenti che da tempo C1

stanno particolarmente a cuore, sottolineando _ovv1amente, Com?era doveroso, il carattere soltanto ipotetico di certi parallelismie di certe analogie su cui sono fondatelle nostre consideraaiomrNon vorremmo, comunque, che l’attual1ta S161 Pfobleml Sfloratlnelle ultime pagine suscitasse nel lettore limpressione Che ‘SSS1

costituiscano il tema centrale dell’indagine, c1oe quello che ha,direttamente o indirettamente, ispirato l’intero nostro lavoro.

In realta, tuzfti i temi indicati in questo _breve elenco sono, 3nostro giudizio, di grande importanza, _ed e in base a_questa con-vinzione che ci siamo permessi di offrirne una smtesi schematlcaal lettore, il quale desideri cogliere d’un colpo d occhio limpo-stazione generale che ahbiamo voluto dare al volume.

Possiamo comunque assicurarlo che saremo sinceramente gra-ti delle critiche che ci verranno mosse, da qu2lL1DQU§ Paffe Pf0‘vengano. Cio che personalmente ci importa, non e 1nfatt1_ avereragione, ma approfondire razionalmente 1 probleml traffatl-

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Appenclice

Sul concetto all “crlsi” della mziomzlitd scienlifica *

I. La concezione galileilzmz del progresso scientifico

E nota la famosa tesi di Galileo, secondo cui noi saremmo ingrado di raggiungere (mediante la scienza) una conoscenza delreale che Ez, si, infinitamente meno estesa di quella divina -- per-ché la divinita conosce infinite cose che noi ignoriamo - ma chedal punto di vista intensivo e, sia pure in settori limitati, altret-tanto perfetta e assoluta quanto la conoscenza divina. Di quila concezione del progresso scientifico come semplice aggiuntadi nuove verita assolute a quelle gia in nostro possesso, le qualiultime non verrebhero in alcuna misura modificate dall’aacquisi-zione delle nuove verita.

E inutile dire che questa concezione fu accolta per lungo tem-po da parecchi scienziati militanti e che servi loro di validissimosprone a proseguire le proprie severe indagini, anche in mezzoalle maggiori difficolta; In ottemperanza a tale concezione essicercarono con tenacia, quando si trovavano di fronte a due spie-gazioni altefnative delmedesimo fenomeno, un qualche criterioin base a cui decidere quale delle due dovesse ritenersi Vera equale falsa; per le scienze empiriche (fisica, ecc.) si penso che talecriterio potesse venire fornito da appositi esperimenti “cruciali.”La prima idea di siffatti esperimenti risale a Bacone, che nelNovum Organon parlo di imtantia crucis, per metafota tratta dal-le croci, che si mettono ai hivi delle strade, ad indicate la bifor-cazione; tali “instanze”, cui si fa ricorso “quando, durante la ricer-ca di una natura, l’intelletto sta incerto e _come in equilihrio nel

* Estratto da “Scientia,” fascicolo 5, 6, 7, 8, anno LXIX, vol. 110, 1975.

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.S`cienz2z"e' realismo

decldefe 3 quale 'fffl due nature, 0 piu di due, debba essere asse-gnata o attribuita la causa della natura esaminata,” possono tal-volta Xerure rinvenute - sempre secondo Bacone - fra le “instan-Ze 813 ln Pf@C€d€11Zaeseguite “ma piu spesso sono nuove e devo-no essere rintracciate e applicate espressamente e a bella posta, escoperte con grande intelligenza e dopo lunga osservazione” (traddi E. De Mas, Bari, 1965). `

` Come e noto, la possibilita di costruire esperimenti cruciali sa-ra energicamente negata, all’inizio del nostro secolo, da P. Duhemchesollevera, contro l’idea stessa di tali esperimenti, alcune acutecrrtiche, _ben presto accolte da pressoché tutti gli episternologi e gliscienziati. Ma oggi si suol fare qualcosa di piu: si respinge in bloc-co tutta intera la concezione “galileiana” poco sopra delineata. Ledue piu gravi obiezioni sollevate contro di essa riguardano preci-sarnente 1 due punti, che abbiamo menzionati all’inizio del para-grafo: la presunta possibilita di raggiungere conoscenze assoluta-mente valide, sia pure in settori limitati della ricerca scientifica, ela presunta indipendenza dei risultati conseguiti in un settore ri-spetto a quelli via via conseguiti in quello stesso o in altri settori.

P2 chiaro che, se per “crisi” della scienza si intende l’abbandonodell anzidetta concezione, essa rappresenta ormai da anni un fattoacquisito, sul quale non varrebbe piu la pena discutere. Ma in ve-rita il senso di tale espressione (“crisi” della scienza) E: oggi moltopiu ampio e profondo, riguardando proprio le nuove concezioniche si sono cercate di sostituire a quella abbandonata.

Il. Scienza globale e approssimazione della veritci .vecomlo Laplace

A questo punto occorre aprire una breve parentesi su Laplace,generalmente ritenuto il piu autorevole assertore del meccanicismoottocentesco, e come tale considerato l’erede diretto della concezio-ne della scienza galileiano-newtoniana. Cercheremo invece di dimo-strare che nella concezione laplaciana della scienza si riscontranoalcune differenze di fondo dalla concezione testé illustrata, differen-ze estremamente utili a comprendere il significato delle ulteriori va-r1az1o_ni che si produrranno al riguardo dai tempi di Laplace ainostri.

Dovremo percio prendere le mosse dal notissimo brano di La-place? 11? cui egli espone le linee generali del suo determinismo mec-can1c1st1co :

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Sul concetta di “crisi’?. della. mzionalitri scientifica

Un’Inte1ligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze dacui é animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compon-gono, se per di piu fosse abbastanza profonda per sottomettere questi datiall’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei piii grandicorpi dell’universo e dell’atomo piu leggeroz nulla sarebbe incerto per essae l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi. Lo spirito uma-no offre, nella perfezione che ha saputo dare all’astronomia, un pallido esem-pio di questa Intelligenza. Le sue scoperte in meccanica e in geometria, unitea quella della gravitazione universale, l’hanno messo in grado di abbracciarenelle stesse espressioni analitiche gli stati passati e quelli futuri del sistemadel mondo. Applicando lo stesso metodo ad altri oggetti delle sue conoscen-ze, e riuscito a ricondurre a leggi generali i fenomeni osservati e a prevederequelli che devono scaturire da circostanze date. Tutti i suoi sforzi nella ri-cerca della verita tendono ad avvicinarlo continuamente all’lntelligenza cheabbiamo immaginato, ma da cui restera sempre infinitamente lontano [...]La curva descritta da una semplice molecola di aria o di vapore e regolatacon la stessa certezza delle orbite planetarie: non v’e tra di esse nessuna dif-ferenza, se non quella che vi pone la nostra ignoranza. La probabilita e rela-tiva in parte a questa ignoranza, in parte alla nostra conoscenza. (Trad. di

O. Pesenti Cambursano, Torino, 1967.)

La prima osservazione che qui salta subito agli occhi e la se-guente: la vera scienza, quella dell’Intelligenza suprema, e unascienza globale, non suddivisibile in reparti separati e fra loro in-dipendenti; non ha piu senso, quindi, pretendere che l’uomopossa raggiungere in qualche lirnitato settore una conoscenza in-tensivamente pari a quella divina. Scrive in proposito O. PesentiCambursano: “l’ignoranza di un solo anello del concatenarsi deglieventi infirma il significato di tutta la costruzione scientifica.”

Ne segue che il progresso scientifico non potra piu consisterenella semplice aggiunta di nuove verita (assolute) ad altre gia pre-cedentemente acquisite; esso dovra consistere in un graduale avvi-cinamento alla “onniscienza” dell’anzidetta lntelligenza, avvicina-mento che potra essere maggiore o minore in questo o quel settore,ma non potra rnai far coincidere nemmeno parzialmente la nostrascienza con quella dell’Inte]ligenza in questione.

Di qui il carattere merarnente probabile delle “verita” da noiraggiunte, e l’importanza centrale che viene ad assumere in questoquadro il concetto di probabilita. Non senza motivo il brano diLaplace poco sopra riferito venne da lui collocato proprio nelle pri-me pagine del suo Saggio filosofico sulle prolmbilitri.

Dovremo dunque parlare di un distacco completo della con-cezione laplaciana della scienza da quella che abbiamo chiamato ga-lileiana? Una conclusione siffatta sarebbe inesatta per due motivi:

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Scienza e realismo Sul concetto di "crisi" della mziomzlitd scientificaY

1) perché Laplace continua a parlare della scienza come di una co-noscenza assoluta e perfetta, sia pure limitandosi a prospettarla co-me un semplice “ideale” per noi (realizzato soltanto dall’“Intelli-genza che abbiamo immaginato”); 2) perché, mentre rinuncia al ca-rattere assoluto delle nostre conoscenze effettive, attribuisce perotale carattere al metodo (riducihile sostanzialmente a quello inuso nell’astronomia della sua epoca) a cui affida il compito di pro-curarci conoscenze via via piu approssimate all’anzidetto ideale.

Mostreremo nelle pagine successive che anche queste due tesi,come gia quelle “galileiane” illustrate nel paragrafo precedente,verranno abhandonate nel corso del XIX secolo. Per l’appunto aquesto abbandono e collegato un nuovo senso, piu ampio e piuprofondo, dell’espressione “crisi della scienza” che qui ci propo-niamo di esaminare e discutere.

III. Crisi della concezione ldplacidmz della scienza

Fra le due tesi laplaciane anzidette, la prima a entrare aperta-mente in crisi e stata quella che privilegiava il metodo della mecca-nica Celeste, tentando di presentarlo come unico metodo veramenteidoneo a farci avvicinare alla scienza assoluta e perfetta non solonello studio del “sistema del mondo” (intesa questa espressionenel significato tecnico attrihuitole dall’astronomia) ma nello stu-dio di tutto il concatenarsi degli eventi naturali. Basti infatti ricor-dare che completamente diverso da esso e stato il metodo usatocon tanto successo, nello stesso ambito della fisica, da Faraday eda Maxwell per studiare i fenomeni elettromagnetici. Anche sealcuni storici della scienza sostengono che la teoria maxwellianapuo ancora venire qualificata come meccanicistica, e certo comun-que che trattasi di un meccanicismo del tutto differente da quellodi Laplace (essendo quest’ultimo basato sopra una interpretazione“discontinua” del reale e quello invece sopra una “continua”). An-cora meno sostenibile si rivelo il privilegiamento metodologico la-placianose riferito alle altre scienze della natura (chimica, fisiolo-gia, ecc.); il loro stesso prodigioso sviluppo durante il secolo XIXnon tardo infatti a dimostrare che ciascuna di tali scienze si servivadi metodi suoi propri, elaborati in vistadi uno specifico campodi indagini, e pertanto assai diversi da una disciplina a11’a1tra.

Ma il massiccio fenomeno della specializzazione testé accennatonon ebbe solo l’effetto di far crollare la tesi di Laplace che tendeva

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aeprivilegiare il metodo della meccanica celeste; esso si ripercossedirettamente anche sull’altra tesi, quella cioe che affermava lesi-stenza di una scienza assoluta e perfetta, non posseduta dall’uomoma dall’Intelligenza di cui parla il hrano sopra citato. L’accresc1u-to peso delle scienze effettive, realmente possedute dall’uomo, val-se invero a far comprendere che l’appello alla famosa Intelligenzaera soltanto un artificio privo di qualsiasi fondamento, diretto aestrapolare gratuitamente un modello di scienza (quelloappuntodell’astronomia) dal Campo limitato di questa al campo illimitatodi tutte le conoscenze. _

Cio non significa ovviamente che la tesi in esame fosse privadi interesse; il suo interesse pero non dipendeva da quanto ivi det-to sul tipo di scienza attribuita alla presunta Intelligenza sovruma-na, ma dal problema che Laplace apriva _ consapeyolmente o no- con le sue parole. Trattasi del problema dell’un1ta del sapere,divenuto tanto piu grave quanto maggiore si rivelava l’autonom1adelle singole scienze in seguito al fenomeno stesso della loro spe-cializzazione. La soluzione che Laplace ne fornisce, spogliata dal-l’alone mitico dell’Intelligenza sovrumana, e, in poche parole, duel-la del riduzionismo: qualunque scienza, se veramente tale, puo ve-nire ridotta alla meccanica (base razionale dell’astronom1a).`La fa-mosa onniscienza posseduta dallflntelligenza anzidetta non e altroche la meccanica, opportunamente potenziata nel suo apparato _ana-litico: tutte le altre scienze, man mano che progrediscono, finiran-no per diventare puri e semplici capitoli della meccanica. _

La crisi della concezione laplaciana della scienza e stata proprlola crisi di questa concezione riduzionistica. Caratteristica in propo-sito e la posizione di Mach, il quale sosterra che il presunto prima-to della meccanica sarehbe solo di ordine cronologico (in quantola meccanica e nata prima delle altre scienze), cosicché la pretesadi accrescere il livello di scientiiicita delle altre discipline riducen-dole a meri capitoli della meccanica sarehbe soltanto un’illus1onemetafisica.

IV. Nessi dialetticl fm scienza e concezione filosoflcd delld scienza

Qualcuno puo sollevare a questo punto la seguente domanda:se le cose stanno davvero come vennero descritte neiparagrafi pre-cedenti, se ne dovra concludere che le cosiddette “crisi della scien-za” sono state in realta “crisi della concezione della scienza”? La

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Scienza e realismo if Sul concetto di “crisi” della razionalitzi .vcientifica

risposta puo essere senz’altro positiva, purché si dia esplicitamen=te_atto che una concezione della scienza non e mai sovrapposta allascienza, ma scaturisce proprio da essa.

ln effetti cosi accadde per la concezione che abbiamo chiamatagalileiana, direttamente suggerita dallo stadio iniziale della scienzamoderna, quando si comincio a comprendere che questa portavaa conoscenze incontestabilmente pid valide sia della conoscenzacomune sia delle tradizionali conoscenze filosofiche; e cosi accaddepure per la concezione laplaciana che scaturi, come gia si e accenna-to, da urfobiettiva riflessione sull’efficienza della meccanica raziona-le me sugli straordinari risultati ottenuti dalla sistematica applicazionedi essa allo studio dei fenomeni astronomici.

Ma _ insistera il nostro obiettore _ ammettiamo pure chele concezioni della scienza di cui si E: parlato siano state stretta-mente connesse al differente livello raggiunto nelle varie epochedalle effettive conoscenze scientifiche; cio non esclude tuttavia chela concezione della scienza e l’autentica scienza posseggano una na-tura di principio diversa: filosofica la prima, tecnica (nel senso piulargo del termine) la seconda. Gli risponderemo che questa con-trapposizione fra aspetto filosofico e aspetto non filosofico dellaricerca E: il frutto di meri pregiudizi, che ci allontanano da unavisione fedele della realta. Lo studio realistico della ricerca scien-tifica, cosi come essa si e concretamente attuata nella storia, ci in-segna invece che tale ricerca ha sempre avuto questo doppio aspet-to, talvolta meno percepibile in qualche singolo autore, ma costan-temente presente nel quadro complessivo delle ricerche sviluppatein una qualunque epoca.

In altri termini: quando esaminiamo l’effettivo succedersidelle scienze, non possiamo fare a memo di prendere atto che i dueaspetti sopra menzionati sono inscindibilmente connessi fra loro,sicché non ha senso separare la scienza dalla “concezione dellascienza.” Essi fanno parte di un unico processo dialettico, ed e inquesto articolatissimo processo che vanno studiate e valutate le co-siddette “crisi della scienza” (inclusa quella attuale che ci interes-sa piu da vicino) per comprendere che cosa queste crisi hanno rap-presentato su entrambi i fronti, scientifico-tecnico e scientifico-filosofico.

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V. Recenti mutamenti nella concezione della scienza

Come e ben noto, si sono prodotti a partire dall’inizio del no-stro secolo alcuni profondi rivolgimenti nelle tre scienze fonda-mentali: dapprima nella matematica e nella fisica, alquanto piutardi nella biologia. Ed e ormai ovvio, dopo quanto cercammo dichiarire nei paragrafi precedenti, che tali rivolgimenti, proprioperché profondi e radicali, non poterono fare a meno di coinvolge-re insieme con la scienza anche la “concezione della scienza.”

Trattandosi di questioni conosciutissime, ci limiteremo a ricor-dare che i principali rivolgimenti prodottisi nella fisica furono con-nessi alla teoria einsteiniana della relativita (a quella ristretta epiu ancora a quella generale), e alle teorie quantistiche. Essi eser-citarono profonde influenze anche al di fuori della fisica, per esem-pio nella chimica, nella biologia e nella stessa filosofia. A propositodi quest’ultima puo valere la pena riferire le seguenti parole diReichenbach, perfettamente approvahili anche da chi ijlon condivi-da il suo indirizzo di pensiero: “Se i filosofi di orientamento spe-culativo del nostro tempo negano alla scienza contemporanea ilsuo significato filosofico, un giudizio del genere esprime soltantola loro incapacita di percepire il contenuto filosofico del pensieroscientifico moderno.”

Orbeiiie la cosa che qui ci interessa as illustrare hrevemente co-me si sia venuta modificando in modo radicale la concezione dellascienza, parallelamente alle innovazioni di cui si e fatto parola.

Seguiremo a tal scopo alcune indicazioni del sovietico P.V.Kopnin, che schematizza in otto punti le “peculiarita dell’attualeconoscenza scientifica ” :

1. E cambiata l’opinione sul valore e sul ruolo dell’immagine intuitivanella scienza e, insieme a cio, si e iniziato un rapido sviluppo dei sistemi dellinguaggio artificiale, il quale si discosta sempre pid dall’evidenza [...] llruolo di linguaggio artificiale viene svolto dalla simbologia matematica,che e lo strumento di creazione delle strutture teoriche.

2. Si e verificato un rovesciamento dei ruoli dell’esperimento e delpensiero teorico nel processo diretto a nuovi risultati [...] La teoria none piu una semplice trasformazione di dati sperimentali, bensi una sintesi,nella quale acquista un significato sempre maggiore il pensiero teorico,che compare come potente fattore diretto a promuovere idee fondamcn-tali le quali dauno origine a nuove teorie.

3. La matematizzazione e la formalizzazione della conoscenza E: ormaiun fatto [...] Ovviamente la conoscenza aspira sempre pili a un rigorelogico, e uno degli elementi fondamentali di tale rigore E: la formalizzazione.

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Sciefzza e realismo`~ Sul concetta di “crisi” della razionalita scientifica

4. L’accumulare e 1’inserire nel tessuto della scienza concetti e termi-ni, che [...] sono diretti non Verso l’oggetto studiato ma Verso la cono-scenza intorno ad esso; la creazione cioe di metateorie e rnetascienze.

5. La tendenza alla creazione di teorie fondarnentali, capaci di sinte-tizzare la conoscenza che ci viene dai diversi campi della scienza.

6. Il crollo del criterio del “buon senso,” il quale poggia sull’esperien-za limitata della conoscenza precedente. Si penetra sernpre piii nel campodi asserzioni e costruzioni paradossali e “sottili” che entrano in urto nonsoltanto con il “buon senso” ma anche, cosi almeno sembrerebbe, con larealta in generale intesa in modo ragionevole.

7. Le tendenze alla scomposizione dell’oggetto studiato in strutturee relazioni piii semplici, scomposizione connessa con 1’analisi del sistema.

8, lnfine, l’incremento del ruolo della categoria di probabilita nellacomprensione del rnondo obiettivo e nella costruzione delle teorie scienti-fiche. (Trad. di S. Tagliagambe, Milano, 1972.)

Malgrado il loro carattere schematico, gli otto punti testé rife-riti riescono a indicate con notevole chiarezza, almeno a nostroparere, i principali mutamenti recentemente intervenuti nella con-cezione della scienza. Ce li indicano soprattutto perché pongonoirnplicitamente in luce alcuni gravi limiti delle concezioni prece-denti: per esempio il limite costituito dagli inconsapevoli legamitradizionalmente ammessi fra la conoscenza scientifica e quella co-mune (legami da cui deriva il peso concesso nella scienza all’intui-zione, al criterio del “buon senso,” ecc.); il limite costituito dalmancato uso della formalizzazione delle teorie (proprio perché que-sta venne introdotta solo in epoca recente, prima in matematica epoi nelle altre scienze), nonché delle riflessioni metateoriche;quello costituito dalla scarsa preoccupazione (derivante dal pre-valere delle ricerche specialistiche) di creare “teorie fondamenta-li, capaci di sintetizzare la conoscenza che ci viene dai diversicampi della scienza,” ecc.

Non sembra il caso di fermarci ad illustrate la radicalita di talimutamenti: basti accennare al punto conclusivo a cui essi ci con-ducono: cioe a vedere nella scienza un’attivita sul generis notevol-mente diversa da quella esplicantesi nelle ordinarie forme di cono-scenza, attivita che tiene, si, presenti i dati sperimentali, ma non siesaurisce in essi, poiché sviluppa a fondo, nel massimo rigore, lepiu ardite costruzioni concettuali senza lasciarsi arrestare dal-l’aspetto eventualmente paradossale delle loro conseguenze, dalloro entrare in urto con cio che ci E: sempre parso una visione ra-gionevole della realta.

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VI. Difficolta ali negare 1/alore conoscitivo alla scienza

Senonché, stando cosi le cose, con quale diritto potremo anco-ra asserire che la scienza e un’attivita conoscitiva? E per l’appun-to in questa domanda che affonda le proprie radici l’odierna “crisidella scienza” di cui tanto si parla negli ambienti pid diversi; crisiche ancora una Volta si presenta inscindibilmente legata alla con-cezione della scienza.

Il marxista Kopnin sostiene, ispirandosi a Lenin, che la scien-za conserva oggi a pieno diritto la qualifica di attivita conoscitiva,sia pure in un senso diverso da quello delle ordinarie forme di co-noscenza; e va dato atto che egli lo fa con piena coscienza di causa,essendo ben consapevole dei mutamenti radicali in essa verificati-si, come risulta dal hrano stesso che abbiarno riferito nel paragra-fo precedente. Ma su di lui ritorneremo pin avanti. ~

La risposta piu facile, pin spontanea, alla domanda poco so-pra avanzata E: pero un’altra. E che la scienza, nell’accez»ione at-tuale del termine, non costituirebbe phi una conoscenza; essa sa-rebbe semplicemente un’attivita costruttrice di simboli, logica-mente connessi fra loro, a cui possono in talune circostanze venirfatti corrispondere certi dati osservativi.

In altre parole: non avremmo piu il diritto di chiamarla cono-scenza .perché non e in grado di conseguire alcuna verita, né as-soluta (nel senso galileiano del termine), né approssimata (nel sen-so laplaciano). Essa sarehbe un’attivita eminentemente soggetti-va - sia pure da connettersi non tanto al soggetto singolo quantoalle cornunita di pin soggetti - che si distingue da altre attivitaparirnenti soggettive (come l’arte, la filosofia, ecc.) solo per la ric-chezza delle sue applicazioni pratiche.

Una volta accolta questa soluzione, il problema sara quello dienucleare i caratteri specifici di tale attivita con particolare riferi-mento alla domanda (che aveva trovato una risposta assai sem-plice, ma oggi inaccettabile, sia in Galileo sia in Laplace): in chemodo puo venire concepito il progresso scientifico?

Qui occorre subito fare, come ci ha insegnato Kuhn, una net-ta distinzione fra progresso “all’interno” di una teoria e progresso“rivoluzionario” che tende a sostituire un Vecchio quadro teoricocon un altro completamente diverso. Il progresso nel primo deidue sensi ora accennati e facilmente definibile, perché consistenella deduzione logica rigorosa di nuove conseguenze, per l’innan-zi non viste, ricavabili dai principi della teoria, o nella risoluzione

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Scienza e realismo

-- sempre a partire da questi principi _ di problemi fino a quelmomento irrisolti. Ben maggiori difficolta si incontrano invece nel-la definizione del secondo tipo di progresso.

Questo ha luogo quando una teoria non riesce piu (o vi riescesolo con molte difficolta) a far rientrare nei propri schemi unnumero via via crescente di dati osservativi. Allora vi sara qualchescienziato che proporra una teoria alternativa (e anche possibileche ne vengano proposte due) e in tal caso si trattera di deciderese la sostituzione della nuova (o di una delle nuove) teoria allavecchia costituisca o no un progresso; si trattera, cioe, di stabilireun criterio che autorizzi a parlare di progresso.

Che si tratti di un problema di difficile soluzione e cosa ovvia;ma si deve aggiungere che esso as complicato pure da un altro pro-blema non meno grave. Qual e il processo che conduce questo oquello scienziato a ideare la nuova teoria alternativa di cui si etesté parlato? Trattasi di una ponderata riflessione sulle insuffi-cienze della vecchia teoria o -- come alcuni sostengono - di unaimprovvisa intuizione, di un colpo di genio, del frutto di una ricca“ fantasia scientifica ”?

Cio che ci importa notare e che, accettando quest’ultirna ipo-tesi, si finisce per fare appello a fattori estranei alla razionalitascientifica, come pure si e fuori di tale razionalita quando, per de-cidere se la nuova teoria costituisca, o no, un progresso rispetto al-la vecchia, non si sa assumere altro criterio discriminante che lamaggiore o minore “bellezza” di tali teorie, la loro maggiore ominore intuibilita (non si puo nemmeno parlare di semplicita per-ché, come Kuhn da dimostrato, in certi casi la nuova teoria risul-ta altrettanto complessa della vecchia), la loro rnaggiore o minorecapacita di affrontare i problemi sollevati dalla tecnica dell’epoca.

E precisamente questo i1 punto in cui l’odierna crisi dellaconcezione della scienza sfocia in una crisi della “razionalita scien-tifica.”

Gia ricordammo, nel quarto paragrafo, l’importanza di studia-re il “fenomeno scienza” nel suo aspetto dinamico, cioe nel succe-dersi delle scoperte scientifiche e delle concezioni della scienza.Ma, se questa successione viene interamente ahbandonata a fattoriestranei, come quelli poco sopra citati, e chiaro che le funzionidella ragione vengono irrimediabilmente ridotte e la scienza stessafinisce per apparire un fenomeno a-razionale, se non irrazionale.

Non e senza motivo che parecchi indirizzi ispirantisi alle ideepoco sopra accennate hanno sostenuto la tesi della completa

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Sul concerto di “crisi” della mzionalité scientifica

subordinazione della scienza a fattori pratici, giungendo a vederenella proposta di nuove teorie o nella scelta fra una teoria e l’al-tra (piu in generale, nella scelta dei “programmi di ricerca”) l’espres-sione diretta delle esigenze di Volta in Volta presenti nella so-cieta dell’epoca o, meglio, nelle sue classi dominanti. Per orahasti sottolineare che un conto e aifermare queste tesi e un altro,del tutto diverso, riconoscere che l’articolatissimo sviluppo dellascienza e delle concezioni della scienza e inseparabile dallo sviluppogenerale della societa. Questo riconoscimento infatti non escludel’esistenza di una dialettica interna al succedersi delle ricerchescientifiche, mentre la tesi della completa subordinazione dellascienza airfattori politico-economici nega categoricamente la possi-hilita stessa di tale dialettica.

VII. Nuovo significato della mziomzlita scientifica

Di fronte alla tesi che nega la possihilita stessa di una dialet-tica interna allo sviluppo delle scienze, gli studiosi come Kopninnon possono fare a meno di parlare di autentico travisamento deifatti; lo scienziato militante sa invero fin troppo bene che nessuna“ricerca venne mai seriamente impostata se non partendo dai risul-tati di ricerche precedenti e dalla valutazione critica dei metodi daesse praticati. Ma qual E: l’origine di tale travisarnento? I seguacidell’indirizzo di Marx, Engels e Lenin _ e Kopnin e appunto unodi essi -- non hanno dubhi al riguardo: il travisamento in esameva fatto risalire al carattere idealistico della concezione dellascienza che sta alla sua base.

Che si tratti di una concezione idealistica risulta a loro parereevidente, se appena badiamo al fatto che, negando alla scienza laqualifica di conoscenza, non possiamo fare a meno di negare unaqualsiasi realta alla natura che essa presume di conoscere, onde si ri-cava che le scoperte scientifiche debhono essere meri prodotti delsoggetto (non irnporta se concepito come singolo individuo oppurecome comunita di piu individui). Ma allora viene a mancare qua-lunque motivo per attribuire un carattere almeno intenzionalmen-te unitario alle teorie che si succedono l’una all’altra e non avrapiu senso parlare di una dialettica interna all’evoluzione delle teo-rie. Non senza motivo lo sviluppo coerente di questo indirizzo harecentemente condotto alla tesi (suggestiva nella sua paradossalita)della completa variazione di significato dei termini scientifici quan-

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Scienza e realismo

do compaiono in teorie diverse; termini che possono, si, apparireprima facie eguali, ma che in verita sarebbero tra loro incommen-surabili e percio renderehhero inconfrontabili le teorie stesse.

Si tratta ancora una volta di una tesi in manifesto contrastocon l’effettiva pratica scientifica, che non ha certo difficolta ad am-rnettere l’esistenza di termini che assumono significati diversi inteorie diverse, ma e ben lungi dal ricavarne che tali teorie risulte-rebbero percio fra loro inconfrontabili. Si pensi per esempio al di-verso significato del termine “numero” nell’aritmetica dei numerinaturali, nella teoria dei numeri razionali e in quella dei reali, teo-rie tuttavia che possono venire confrontate fra loro facendo ricor-so ad opportuni isomorfismi, come ben sa il matematico militante.Il richiamo a cio che concretamente accade hella pratica scientificacostituisce un canone di fondamentale importanza per il filosofodella scienza realista (materialista), la cui costante preoccupazionee di non accettare delle concezioni del sapere scientifico che si la-scino sfuggire i caratteri effettivi del “fenomeno scienza.”

Senza dubhio questo fenomeno possiede oggi _ come ahbia-mo cercato di spiegare piu sopra - dei caratteri nuovi rispetto aquelli comunemente attrihuitigli nei secoli precedenti, caratteriche ci costringono a elahorare una nuova concezione della scienza;ma cio non significa che tale nuova concezione possa prescindereda quello che e sempre stato uno dei due fondamentali protago-nisti delle ricerche: la realta naturale (l’altro essendo l’uomo chesi sforza di conoscerla). Non si dimentichi, infatti, che il riferi-mento a tale realta e uno dei fattori essenziali per comprendere ilnesso che collega fra loro varie teorie; nesso che si radica nel fat-to che queste teorie tendono tutte, sia pure con metodi diversi, adescrivere la rnedesima realta in modo via via piu soddisfacente.

Cio che occorre apertamente riconoscere, tenendo conto deicaratteri peculiari dell’attuale conoscenza scientifica, e che questanon si serve solo di nuovi strumenti di osservazione, ma anche dinuovi apparati concettuali pressoché ignoti alla scienza ottocente-sca: per esempio _ come gia sappiamo - si vale di un linguaggiomolto piu rigoroso (proprio perché artificiale, perché forternente‘matemarizzato e, appunto percio, esente dagli equivoci e dalle im-precisioni del linguaggio comune); non teme di fare ricorso a co-struzioni paradossali e sottili che entrano in urto con il “buonsenso” e con le stesse concezioni ordinariamente ritenute “ragio-nevoli” della realta; adopera la categoria della prohabilita (“nellacomprensione del mondo obiettivo e nella costruzione delle teorie

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Sul concetto di "crisi” della razionalita xcientifica

scientifiche”) in rnisura molto maggiore che la scienza dei secoli pre-cedenti, ecc. _

La consapevolezza dell’enorrne peso spettante al pensiero teo-rico, l’aspirazione a un rigore logico sempre maggiore, la costru-zione di metateorie (nell’intento` di controllare esattamente laStruttura delle teorie) sono senza dubbio caratteristiche idonee a

distinguere hen nettamente le scienze di oggi da quelle del passato;ma non si capisce perché esse dovrebbero farci concludere che lascienza di oggi non e piu conoscenza. _ _ _

E ovvio che, per poter attribuire alla nuova scienza il titolo diconoscenza, dobbiamo liberare il termine “conoscenza” dall’attr1-huto di assolutezza che gli era stato conferito nelle epoche prece-denti (per esempio da Galileo, che riteneva assolute seppure par-ziali le nostre conoscenze scientifiche, e dallo stesso Laplace, cheriteneva assoluta la “conoscenza lirnite” posseduta dalla ianiosalntelligenza da lui fantasticata), e dohhiamo accettare esplicita-mente che l’introduzione di nuove categorie, l’aspirazione a' unrigore logico sempre maggiore, ecc. inseriscano nella nostra nozionedi conoscenza un carattere di perenne rivedibilita, che una voltasarehhe parso impensahile. Ma cio significa soltanto che, ancorauna volta, i mutamenti intervenuti nella scienza hanno prodottoradicali mutamenti anche nella “concezione della scienza” non di-

versamente da cio che era sempre accaduto in seguito alle grandisvolte verificatesi nella storia della scienza. _ _ _

Si aggiunga che, se oggi noi possiamo parlare di scienze rivolteallo studio di fenomeni diversi da quelli che rientravano nell’an1-bito “classico” della ricerca scientifica, per esempio allo studio deiienomeni direttamente collegati all’uomo (psichici, sociali, lingui-stici, ecc.), e proprio perché si E: rinnovata la nostraffcpncezione

,della scienza,” svincolandosi dai rigidi criteri di scientificita accoltlin altre epoche. Sintomatico, da questo punto di vista, e 1l iatto cheKant - in aperto contrasto con quella che poco piu tardi dovevadivenire l’opinione dominante - negava recisamente nel 1_7S6 (PM-

mi priacipi metafisici della scienza della natara) che la ch1m1ca_e lapsicologia (come “dottrina empirica dell’anirna”) sarehbero mai po-tute diventare autentiche scienze perché la matematica “non e appli-cahile” ai fenomeni da esse considerati, mentre solo questa applica-zione puo condurci a scoprire verita apodittiche; “io affermo- egli scriveva - che in ogni dottrina particolare della rratura si

puo trovare solo tanta scienza propriamente detta, quanta e la ma-tematica che si trova in essa.”

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Page 83: Scienza e Realismo

Scienza e realismo

Secondo la concezione realistica che stiamo esaminando, nonspetta invece né all’applicazione della matematica, come pensavaKant, né all’applicazione del metodo sperimentale, come pensavanogli scienziati positivisti del XIX secolo, il compito di fornire unagaranzia - che essi avrebbero voluto assoluta -~ della scientifi-citt di una dottrina, risultando oggi ingiustificato introdurre unaesigenza di assolutezza nei metodi della conoscenza scientifica, co-me pure nei suoi contenuti. Il carattere “razionale” di questa co~noscenza risiede, al contrario, nella sua capacita di autocontrollo edi autocorrezione, cioe nella sua capacita di “padroneggiare” leproprie costruzioni onde correggerle e rinnovarle nella loro struttu-ra e nei loro metodi, al fine di renderle via via piu idonee a coglie-re la realta da conoscersi.

Come gia si e detto, il riferimento a tale realta e un elementoessenziale per l’indirizzo realistico-materialistico, non essendovisecondo esso alcuna diversita, almeno su questo punto, fra le scien-ze naturali e quelle umane. Esse sono scienze in quanto trovano in-nanzi a sé un oggetto da conoscere, e sono effettivamente in gradodi conoscerlo sia pure soltanto in modo approssimato.

Sono qui molto illuminanti le indicazioni fornite da Lenin (inMaterialismo ed empiriocriticismo e nei Quacierni filosofici) circail processo conoscitivo, considerazioni che possono riassumersinei seguenti punti: 1) la realta di cui parliamo non e confondibilecon la “cosa in sé” di Kant, perché 'puo venire conosciuta -- eviene effettivamente conosciuta dalla scienza _ sia pure in modomai completo e assoluto, ma soltanto relativo (“La dialettica ma-terialistica di Marx e di Engels,” egli scrive, “contiene in sé in-contestahilmente il relativismo, ma non si riduce ad esso, ammet-te cioe la relativita di tutte le nostre conoscenze, non nel sensodella negazione della verita obiettiva, ma nel senso della relativitastorica dei limiti dell’approssimazione delle nostre conoscenze aqueste verita”); 2) questa relativita storica implica che possano ve-nire perennemente rinnovati i nostri strumenti del conoscere, siaquelli pratici (osservativi) sia quelli teorici (flessihilita delle catego-rie), rinnovamento che e di fatto riscontrahile nello sviluppo dellascienza e che dimostra la radicale differenza fra l’effettiva'conoscen-za scientifica e la presunta “conoscenza intuitiva” dei metafisici (“LeCategorie,” spiega il materialista L.B. Baienov, “sono un riflessodella realta, mala realta medesima non e un’incarnazione delle ca-tegorie di cui disponiamo [...] Nell’amhito del livello teorico dellaconoscenza ogni descrizione della realta e descrizione nei limiti di

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Sul concetto di “crisi” della mzionalini scientifzca

un certo schema teorico che noi abhiamo accettato, e cheldejvesempre essere tenuto presente nella descrizione di questa rea ta >-

(Trad. di S. Tagliagamhe, Milano, 1972.)

VIII. IZ progresso sciemfifico come appr0f0f1ciiff2€f1f0 COHOSCUWO

Ci siamo soffermati con una certa ampiezza sulla concezione del-la scienza elaborata dall’indirizzo materialistico (nel senso di Len1n)»innanzitutto perché essa ci sembra notevolmente adeguataalle pe-culiarita dela scienza odierna e, in secondo luogo,_p€rQh§C1_ P@‘{°

mettera di delineate un nuovo significato dellaurazionalita scienti-fica, in riferimento al quale risultera agevole indagare se questaattraversi o no la crisi di cui tanto si parla. _ _

Per porci in grado di enucleare tutte le implicanze della _COD-

cezione anzidetta, cominceremo con l’osservare_che essa s1_r1velasubito assai piu capace della concezione antitetica (sommaria1nen-te esposta nel sesto paragrafo) di soddisfare le esigenze dello semi;-ziato militante, il quale, pur essendo convinto delle radicali di -

ferenze esistenti fra la struttura delle nuove teorie e quella delleteorie elaborate nei secoli precedenti, non e disposto ad arnmet-tere che il proprio lavoro sia privo di valoreconoscitivo. _Sappia1T1O

infatti che, nella gran maggioranza dei casi, si mostra assai diffiden-te nei confronti delle sofisticate analisi dei filosofi della scienza 0comunque esterna spesso nei loro confronti un marcato disinte-

réssijunico punto che solitamente attrae la sua attenzione e quel:lo concernente il prohlema del progresso. scientifico. Gccorreradunque esaminare con un certo scrupolo la soluzione che qu€rS'€0

problema trova nell’indirizzo realistico. _ _

Innanzitutto va notato che Lenin stesso fa sovente riferimen-to ai successi della scienza, riconoscendone la grande ;1mp0rt2lHZ2\~

Anzi, egli giunge al punto di sostenere che la sola xria per fI0II1‘

,prendere il significato della conoscenza consistecgproprio nel riflet-tere sul processo che ci conduce da conoscenae transitprie, relati-ve, approssimate” ad altre “piu complete e piu precise. _Ne 131122-

re e il rilievo che gli attribuiscono i prosecutori odrerni dell in 1-

rizzo leniniano, i quali non si lasciano mai sfuggire loccasione persottolineare che la riflessione filosofica sulla conoscenza sciennfi-ca va in ogni caso strettamente collegata, per non cadere in arti-

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Scienza e realismo

ficiose astrattezze, alla riflessione storica sull’effettivo sviluppo del-la scienza, cioe sui modi del suo progredire.

Ed e certo che essi non sono disposti ad ammettere che taleprogresso possa venire spiegato facendo soltanto riferimento alsoggetto conoscente, senza tenere presente l’esistenza dell’oggettoconosciuto. E proprio questa esistenza che consente loro di parla-re di svolte radicali nello sviluppo della scienza senza ridurle a unpuro atto, pressoché gratuito, dello scienziato innovatore. In effet-ti, checché ci dicano in proposito vari autori occidentali, noi pos-siamo ricavare da uno scrupoloso esame della storia delle teoriescientifiche che, per lo tneno in inolti casi, l’idea originale che ca-ratterizza una nuova teoria non nasce affatto da un colpo di genio,ma da un’attentissima riflessione sulle vecchie teorie e da una lun-ga serie di tentativi diretti a correggerle in punti particolari. Riflet-tere sulle vecchie teorie significa partire da cio che gia si conoscedella realta indagata e, tenendo conto delle deficienze che tali teo-rie hanno rivelato, esaminare in quali punti occorra modificare illoro schema teorico per poter giungere ad una conoscenza piu pro-fonda di quelle gia possedute.

Ma che significa “conoscenza piu profonda”? Che criteri pos-sediamo per poter affermare che una conoscenza approssima larealta ineglio di un’altra, iquando non abbiamo modo di confrontar-le con una conoscenza “assoluta e perfetta,” dato che neghiamoper principio la possibilita stessa di assegnare (vuoi in riferimen-to all’uomo, vuoi perfino in riferimento all’Intelligenza fantasti-cata da Laplace) un significato preciso all’espressione “conoscenzaassoluta e perfetta”?

Come e noto, e a questo punto che interviene, secondo l’indi-rizzo in questione, il criterio della prassi. Scrive Lenin: “Per il ma-terialista, il ‘successo’ della pratica umana dimostra la corrispon-denza delle nostre idee con la natura ohiettiva delle cose chepercepiamo,” ove pero non si dimentichi “che il criterio della pra-tica non puo mai confermare o confutare completamente una rap-presentazione umana, qualunque essa sia.”

Ma non corriamo qui il rischio di cadere in una filosofia prag-matistica, che finirehhe per rinnegare uno dei punti piu caratteri-stici della concezione materialistica in esame, cioe l’attrihuzione al-le scienze di un autentico valore conoscitivo? Lenin rispondeesplicitamente di no, perché secondo lui la pratica fa parte dellaricerca scientifica, ma non la esaurisce in se stessa. In caso contra-rio, se cioe il successo pratico di una teoria ne costituisse effettiva-

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Sul concetto di "cri.vi” della razionalitti scientifica

mente la verita, non si capirehbe come mai il criterio della praticanon risulterebhe in grado di confermare o confutare completa-mente una rappresentazione teorica (secondo quanto e detto nel se-condo dei brani citati).

_ _

Il fatto e che anche il successo pratico di una teoria partecipadella “relativita storica” cui si e fatto cenno quando al>b121110 Paid?"to dei limiti dell’approssimazione da noi raggiungihile 'della veri-ta obiettiva. Quindi nernmeno esso ci forn1sce_un criterio di cono-scenza assoluto e universalmente yalido. Noi dovremo cioe ap-plicarlo tenendo conto delle condizioni _storiche ogni Volta che 0adoperiamo. E poiché queste condizioni storiche S§>110 faPPf@S€1f'tate dalla situazione dell’epoca alla quale c1_r1fer1atno,_anche a“verita” che esso puo garantirci risultera relat1va_a tale situazione.Ne segue che lo stesso concetto di progresso viene relat1v1Tza'€0>non per ridurlo ad una mera convenzione, ma_per rappgrtarp co-rnunque ad una situazione concreta. S1 tratta cioe, quan o va un?-mo il progresso realizzato da una teoria, di non trasforrnare tadevalutazione in un atto metastorico, in un confronto astratto 1

teorie.

IX. Le _vtesse crisi della scienza arricchiscono la mzzomzlzm sczen-tificaz

A questo punto occorrera ancora aggiungere qualche oiserya-zione per illustrate il carattere estremarnente complesso de crite-

' assi._

no (giuiielplpure questo criterio ci fornisce un metro uniyersalntin-te valido per stabilire, al di la delle concrete situazionr storip e,la superiorita di una teoria rispetto a un’altra Qche tratti il me esi-mo settore fenomenico della prima), con che diritto potremo after-mare - come di fatto concordemente afferrniamo _ che la scien-za ha compiuto effettivi progressi nel trapasso da un epoca all al-tra, per esempio dall’epoca greca alla nostra? f

Per rispondere a questa domanda occorre a nostro parere aire appello a una nuova nozione (diversa da quella di teoria) one 1

criterio della prassi assume una pregnanza particolare: la nozionedi “patrimonio scientilico” di_un’CpOCa,_ C103 dl gfuPP0_d1; tulle Cacquisizioni scientifiche (teoriche, pratiche, 1'I1CtO€l0l0g1C el accu'mulate e utilizzate in quell’epoca da una data societa. Questo pa-trimonio if in certo senso qualcosa di fluido che puo dl volta 111

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Page 85: Scienza e Realismo

Scienza e realismo

volta svilupparsi sia in ampiezza sia in profondita, ora assimilandonuove teorie e nuove tecniche, ora espungendone altre. Orbene, lastoria ci insegna che e possibile parlare senza equivoci di un’effet-tiva, autentica crescita di tale patrimonio (crescita tutt’altro che li-neare, anzi a volte tormentatissima) appena si guardi al complessodelle realizzazioni conseguite dall’anzidetta societa sulla base ap-punto dell’utilizzazione di quanto contenuto nel patrimonio in esa-me. E un giudizio che si fonda su un esame globizle delle conquistescientifico-tecniche di un’epoca e dei riflessi che esse hanno avu-to sulla cultura in generale; giudizio che partecipa dell’obiettivitadei pid seri giudizi storici autorizzandoci a pronunciare valutazioniincontestabili come quella poca sopra riferita sul confronto fra illivello conoscitivo raggiunto dai greci e quello raggiunto nel no-stro secolo.

Per dimostrare l’in1portanza della nuova nozione, hastera ag-giungere due precisazioni che essa ci suggerisce: 1) il fatto concre-tamente constatabile giorno per giorno che non esistono liiniti a prio-ri nella crescita dell’anzidetto patrimonio, costituisce una prova in-diretta della validita della tesi secondo cui la conoscenza scientifi-ca e, si, in grado di farci cogliere livelli sempre pid profondi dellarealta, ma non di fornircene una visione definitiva; 2) il criteriodella prassi, in base a cui afferrniamo che il patrimonio scientificodi una certa societa e cresciuto da tale a tal’altra epoca, non ci per-mette di asserire nulla di analogo per il “patrimonio metafisico”,poiché le teorie metafisiche non posseggono applicazioni e quindinon possono dar luogo né a successi né a insuccessi, parziali o totali.

Stando cosi le cose, e chiaro che il filosofo della scienza, il qualecondivida la concezione materialistica della scienza sopra delineata,si sentira autorizzato, proprio in riferimento alla nozione compositadi patrimonio scientifico di un’epoca, a parlare di articolatissimi nes-si dialettici fra lo sviluppo della scienza e quello della societa, opid esattamente della “ societa civile,” per usare una ben nota espres-sione hegeliana. Il loro carattere dialettico risiede nel fatto cheessi non sono rigidi, cioe assumono forme diverse da un’epoca al-l’altra, e non sono unidirezionali, in quanto fanno riferirnento siaa un condizionamento dello sviluppo della scienza da parte dellosviluppo della societa, sia all’influenza inversa per cui un certosviluppo della scienza puo favorire un ben determinato tipo disviluppo della societa.

Trattasi comunque di nessi che non riguardano mai, o presso-ché rnai, l’evoluzione di una singola scienza isolatamente conside-

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Sul concetto di "criii” della mzionalité icientifica

rata, ma concernono il complesso delle varie acquisizioni scienti-fico-tecniche, cioe quello che abbiamo chiamato il “patrimonioscientifico” di un’epoca: patrimonio che costituisce, particolarmen-te nell’era moderna, uno dei fattori pid caratterizzanti delle di-verse societa.

E per 1’appunto in tale patrimonio che si realizza, grado agrado, la cosi detta “razionalita scientifica,” non riducibile allevarie tecniche razionali che via via modellano -- in forme bendeterminate e per lo pid diverse da una scienza all’altra _ i sin-goli settori di ricerca. E una razionalita che non si puo dire in crisisperché si E: venuta arricchendo proprio attraverso le stesse crisidella scienza e le accese polemiche a cui queste hanno dato luogo.Lo si voglia o no, oggi essa costituisce di fatto, nei suoi moltepliciaspetti teorici e pratici, qualcosa di irrinunciabile per la societa mo-derna; una conquista che va di continuo coraggiosamente rinnovata,nella consapevolezza che questo e l’unico modo per conservarla.

Ovviamente sarebbe assurdo sostenere che tale razionalita siain grado di risolvere - essa ed essa sola - tutti i problemi del-l’uomo; cio contrasterebbe infatti sia con il Catatteré relativo cheoggi concordernente attribuiamo alla conoscenza scientifica, sia conl’apertura che caratterizza l’attuale concezione della scienza. Ma unconto e riconoscere questa situazione, un altro conto _ ben diver-so -- e trarne motivo per rifiutare ogni valore alla conoscenza scien-tifica, in quanto non assoluta e non onnirisolutiva. La vera “crisidella razionalita scientifica” sta proprio qui: nel fatto che esistanopersone intestardite in tale rifiuto e che la nostra classe dirigente,pur non disposta certo a rinunciare ai risultati pratici della scienza,favorisca ipocritamente il diffondersi di tale rifiuto al fine di fre-nare l’istanza critica intrinseca alla razionalita scientifica, nel mal-

<-celato timore che si finisca per applicarla anche alla valutazionedel modo con cui sogliono venire trattati i problemi organizzatividi fondo del rnondo rnoderno.

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Nota bibliografica*

A CURA DI MARIO QUARANTA

a) Scritti di fnecodologia e di filosofia della scienza

1 Conoscenza fnatefnatica e conoscenza filosofica, in “Rivista di filosofia,”3, 1934, pp. 245-266.

2 Logica e fllosofia delle xcienze, in “Rivista di filosofia,” 3, 1936, pp.250-265.

3. /lnalisi critica del recente indirizzo di logica fownale del Carnap, in“l\/lemorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino,” serie seconda,tomo 70, parte II, 1940-1942.

4 Le origini della fnetodologia fnoderna, in AA.VV., Fondanzenli logici del-la scienza, De Silva, Torino 1947, pp. 1-24.

5. La crisi della logica fownale, in AA.VV., Fondafnenti logici della scienza,cit., pp. 111-135.Difficoltd del concerto di “in_viefne,” in “Aualysis,” 1, 1947, pp. 40-44.L’intnizione nei processi difnostrativi fnatefnatici, in AA.VV., Saggi dicritiea delle xcienze, De Silva, Torino 1950, pp. 115-128.

6.7.

8. Il labirlnto del continao, in “Ai-chimede,” 5-6, 1950, pp. 183-190.9. Il labirinto del continao, in “Archimede,” 1, 1951, pp. 1-7.

10. Convenzionalita e storieita delle teorie scientificlae, in “Rivista di filo-sofia,” 1, 1951, pp. 3-12.

11. Conoscere e agire, in “Rivista di filosofia,” 2, 1952, pp. 45-60.12. Significato filosofico-scientifico delle ricercbe inoderne sagll spazi asrsfaf-

ti, in “Arcl1imede,” 1, 1953, pp. 1-8.13. Riflessioni Salle ricerche di Carnap intorno alla probabilitd e alla inda-

zione, in “Rivista critica di storia della filosofia,” 5-6, 1955, pp. 450-461.14 I/esigenza di una storia integrale della ragione, in AA.VV., Veritd e sto-

ria. Un dibattito sal naetodo della storia della filosofia, Arethusa, Asti1956, pp. 109-129.

15. Matefnatica ed esperienza, in “Il pensiero,” 3, 1957, pp. 332-339.

Questa bibliografia comprende tutti i pid importanti contributi di Ludovico Geymonatrelativi a questi argomenti; metodologia, filosofia della scienza, filosofia generale, storiadella scienza e della filosofia. Per una bibliografia completa degli scritti di e su LudovicoGeymonat si rimanda al volume pubblicato in collaborazione con B. Maiorca da Garzanti,L’a1'ma della critica di L. Geyfnonat, Milano 1977.

173

Page 87: Scienza e Realismo

16

17

Nota bibliografica

_ Sai rapporti tra ieoria scientifiea ed esperienza, in “Acme” (Annalidella facolta di Lettere e Filosofia dell’Universita statale di Milano), S

gf;-3, 1957, pp. 67-71._ 2 perenzeulrattarali fra teorie fnalefnaticlne e teorie fisicbe in AA VV

l1i;Z1oanz19¢20,m§;e¢;ol5cEza statistica per ricercatori, Istituto ,di statieticzi;

18. Maleinatic ~ » _ .

a, fnetarnatenzatica e fzlosofza, 1n “R€Dd1C011t1 di matematicadell’Universit£1 di Roma,” XIX, 1-2, 1960, PP- 124429.

19~ Lflgifq 77“’f@”7‘”7C” 9 018617711 l%0de‘rna, Conferenze del seminario di ma-tematica dell’Universita di Bari, n. 37, Zanichelli, Bologna 1958 pp. 20

20. Filosofia e- filosofia della scienza F ltr' 11' M`1 1 ’

21. Problenai e fnetodi della rnelarnat;nal‘1l§a,1,in 1“2I§r?chi§e0deRP'219?§61

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b)1.

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s.

174

65-70.lingnaggio e la conoscenza .reientifica in AA VV I bl

. _ _ >-, del lin-

glfaggzo, Accademia dei L1 , R 1962 _ pm emi .

igterventi a pp. 25-28 e oma , PP- 161 180. Cfr. anche gh

O\f€“Voci” per l’Enciel0pedia della .vcienza e della t M (1

;1§;;til€lI1lanc§\/11963 [Causalita; _Epieteniologiag Esperien;;mII.ingu;;g;>

Z esrvioni sa naetodo assiornalico, in AA.VV. M la

Rosario, Universidad Nacional del Litoral, Argentiijd 617g6Zc‘§p”II56§,1;;,La rnetafnaternatica dopo Hilbert, in “Atti dell’\lIII éongresso del:$ g(§§1‘;O(;I; 3 settembre - 5 ottobre 1963), Crernonese, Roma

Ifiiéniyggazione del sapere scienlifico, in “De homine,” 15-16, 1965, Pp_

Mateniatica e scienze ernpirielae i S§§T,.MOndadOri, Milano 1968, P; Zgegiali teenzca 68. /lnnaarzo della

asszornatizzazione elle sci , ' S 'EST, Mondadori, Milano lgéfge Lggfrigle teenzea 70. Annaarzo della

Scritti di filosofia

gg fjbégflfzfffili cgriescenza nel posilii/isnio, Saggio critico, Bosca, Torino

Note introdattive ad ana 't' d l l ' -

“Rivista di filosofia,” 3, 1C§33f“ppl zgiiérfalommwo delle “’€”z"’1”

Sal .vignificato filosofico di alenni r l' ' J' al'

W, in _“Arehiyio di f11gS0fia,” 3, 19é3C¢l%pin;ég1§i§2_’ log” '”“"‘””“'192;<Q5@;zp;ndiZ;a;7;lella fzlosofza anstriaca, in “Rivista di filosofia,” 2,

f;3§?f§;2l;;;73e{r;pzrisz‘zca della caasalita, in “Rivista di filosofia,” 4,

£»g3;7f1;l;2l;r;e1§Zpiri5tica della conoseenza, in “Rivista di filosofia,” 2, e Vepistefnologia rnoderna, in “Studi filosofici,” 1, 1943, pp,

Studi per nn nnovo razionalisrno, Chiantore, Torino 1945, pp. X-|-353_

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Nota lvilfllolglu//l1'd

Materialisrno e problenia della C0l1O.S`l`L’)72.'(/, in “l{l\/lHli\ di lil\m<»|lu," 14,

1946, pp. 109-123.La nnona ifnpostazione razionalistica della ricerca _/ll()_\‘()/l1'1/, in “/\|mn

li delle Facolta di Lettere, Filosofia e Magistcro <.\¢.~ll`Ll|\ivc1‘:sili\ di

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1975 pp 325-341.25. Storia della scienza e filosofia, in Scienza e tecnica 76. Annaario della

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175

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Page 88: Scienza e Realismo

Nota bibliografica

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Riferimenti loibliografiei

Diamo qui un elenco delle opere di recente pubblieazione italiana citatenel eorso del volume.

1. FEYRABEND, KUHN, LAKATOS, POPPER, Critica e crescita della eonoscenza,F l ll`, M`l ~1976.

2 Ee %l3Ii;dNE, Ilmfgtondo di carta, Mondadori, Milano 1976. _

3; CI-IANG EN-TSE (ZHANG ENCI), Conoseenza e 1/erita secondo la teorza delriflesso, Lavoro Liberato, Milano 1977.

4. ]. N. FINDLAY, Hegel oggi, ILL M112110 1972; _

E. NAGEL La struttura della seienza, Feltrinelli, Milano 1968.OMELYAIJOVSKII, FOCK e altri, Dinterpretazione materialzstzca della mec-canica auantistica. Fisiea e filosofia in URSS, Feltrinelli,_M1lano 1977.

7 G. PoM1>1L] e G. DALL’AGLIO, Piano degli esperimenti, Emaudi, Torino1 9. . .

8. K?5PoPPER, Clie cosa é la dialettiea?, in Congetture e confutazzonz, Il' B l 1969.

9 3331, I modi del paradosso, Il Saggiatore, Milano 1975.10: M. SCHLICK, Tra realismo e neo-positioismo, Il Mulino, _Bologna 1974.11 C TARSITANI Le divergenze tra Bo/or e Einstein sul sigmfieato delle

ipotesi auantilstieloe, in AA.VV., Contributi alla storia della meccanzcaauantistiea, Domus Galilaeana, Pisa 1976.

5.6.

Le citazioni da Laplace e da Torricelli sono ricavate dai seguenti volumiinclusi nella Collezione dei classici della sctenza.

1. P. S. LAPLACE, Opere seelte, a cura di D. Pesenti Cambursano, UTET,T ' 1967. .

2. El)r'l'ri)Ci1RICELLI, Opere scelte, a cura di L. Belloni, UTET, Torino 1975.

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Pagina

Indice

Aw/erteaza

Iatffodazioae

Capitolo primaSalla categoria della tolalita1. Premessa, 19 - 2. Tofalita e probabilita, 21 - 3. La catego-ria della iotalita ia matematica, 24 - 4. La categoria dellatolalita nelle scienze della aatara, 27 - 5. La caiegoria dellatotaliia aell’edifieio complessizzo della scienza, 30

Capitolo secondoLogica e dialezfzfica1. Il raolo esseaziale della logiea aella seienza odiema, 36 -2. Salla fanzioae conoscitiva della logica e della matemati-ca, 38 - 3. Necessi/fa di estendere le aostre ifadagini anche allenoziofii non esazftamente definite, 43 - 4. Il metodo dialetli-co, 45 - 5. Il ricorso alla dialettiea nello studio del ”patrimo-aio seientifieo-teenico,” 50

Capitolo terzoLa qaestioae del realismo1. Il problema del solipsismo, 54 - 2. Diffieolta del realismoiagenao, 56 - 3. Perplexsita di alcani xeieaziati odierai difroate alla tesi realista, 59 - 4. Il comzeazionalismo fisico: saoimerizfi e sae diffieolla, 62 - 5. Il erizferio della prasxi, 66 -

6. Il pffoeesso di approfoadimento, 70 - 7. Verso una nuovaeoaeezione della realta, 73

Capiiolo qaartoLa erescizfa della seienza e la sua razioaalita1. Conxiderazioni introdattive, 77 - 2. Le iiaterpretazioni tra-

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Indice

dizionali della creseita della seienza, 78 - 3. Critiea dei ireschenii esposfi nel paragrafo precedente, 79 - 4. Reeenti inter-pretazioni della creseita della scienza, 82 - 5. Critica del con-eetto di ricostrazione razionale, con particolare riferirnento aLakatos, 85 - 6. Sul possibile ricorso alla dialettiea nell’0peradi razionalizzazione della storia della seienza, 89 - 7. Caratle-ristielae di uno stadio della “crescita della scienza” svoltocon il nietodo dialetzfieo, 92

Capilolo qaintoLa natara e l’a0rn01. Il coneetto Classico di natara, 96 - 2. Siill’0ggetti11ita del-l’ordine natarale, 98 - 3. La correzione della natara ad operadell’aorn0, 101 - 4. Riflessi della eritiea dei conzzenzionalistisal coneetto di natiira, 104 - 5. Un tentativo di applicare ladialettiea al coneetto di natara, 106 - 6. Scienze specialistic/aee concezione generale della natara, 109 - 7. La razionalitaseientifiea e la tecnica, 113 - 8. La non-neatralita pratiea dellaseienza, 117

Capitolo sestoI coinpizfi della dialettiea nella coinprensione e trasfor-rnazione delle soeieta1. Lirniti della presente indagine, 122 - 2. Sisteini giaridiei e

patrifnonio delle istitazioni civili, 123 - 3. Salle eontraddizio-ni, interpretate corne rnotore della storia, 127 - 4. Individuoe rivolazione, 130 - 5. Salfinterpretazione del eoneetto diclasse, 133 - 6. Sai rapporti fra individiii e elassi, 135 - 7.

Sai rapporti fra rnasse e caltara, 138

Note finali

AppendiceSal concetto di “erisi” della razionaliia scientificaI. La eoneezione galileiana del progresso seientifico, 153 - II.Seienza globale e approssirnazione della verita secondo Lapla-ce, 154 - III. Crisi della eoncezione laplaciana della scien-za, 156 - IV. Nessi dialettici fra seienza e eoncezione filosofieadella seienza, 157 - V. Recenti inularnenti nella eoncezionedella seienza, 159 - VI. Difficolta di negare valore eonoscitivoalla scienza, 161 - VII. Nuovo signifieato della razionalitascientifiea, 163 - VIII. Il progresso seientifieo come appro-fondifnento conoscitii/0, 167 - IX. Le stesse erisi della scien-za arricchiscono la razionalita seientifiea, 169

Nota bibliografica a cura di Mario Quaranta

Riferirnenti bibliografici