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1 SCIVOLATE di Dodi 2

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SCIVOLATE

di Dodi

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A mio padre,

al mio bimbo,

ai miei amici.

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PREMESSA. MI SERVE UNA VACANZA pag. 7

IL GIORNO PRIMA E’ SEMPRE MOLTO IMPORTANTE pag. 13

VIA, VERSO L'AVVENTURA pag. 29

LE PRIME ORE IN CANADA pag. 41

L'HOTEL DE GLACE AL MATTINO pag. 45

IL GELO DI QUEBEC CITY pag. 51

L'HOTEL DE GLACE DI SERA pag. 65

UN MATTINO DI DUBBI pag. 69

SI PARTE, MA LE ASPETTATIVE SON DELUSE pag. 77

MEGLIO NON ESAGERARE pag. 93

IL CONTADINO CANADESE MI PORTA ALL'HOTEL pag. 99

LA LITIGATA CON IL GRUPPO. pag. 111

MAI CONTARE SULLE ASSICURAZIONI pag. 125

IL RIENTRO IN ITALIA pag. 139

EPILOGO RUMENO pag. 149

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PREMESSA. MI SERVE UNA VACANZA

Marzo 2008.

Mario, che già segue per la associazione la questione delle moto in fuoristrada nel Sinai, torna dal Quebec dopo essere stato inviato dalla rivista Mototurismo per un servizio fotografico che uscirà nei mesi successivi. Mi racconta di un viaggio particolare che ha fatto in cinque giorni con un veicolo molto simile ad una moto: una motoslitta a motore, con cingolo posteriore di trazione e due sci all’anteriore. Un veicolo inventato in Canada una cinquantina di anni fa e che proprio in quel paese ha i suoi maggiori seguaci. Con piste segnalate mantenute da club di appassionati che consentono un vero e proprio turismo alternativo. Mi dice: “l’agenzia locale è molto ben organizzata. Senza alcun sforzo e non avendo mai usato la motoslitta prima, io sono riuscito a fare tranquillamente tutto il percorso. Se organizziamo una cosa così per i nostri soci ci penso io a seguire tutto con l’agenzia locale, che farà tutto

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il resto quando i soci arriveranno là. Tu dovresti solo preoccuparti di promuovere l’iniziativa nel sito, gestire le iscrizioni dei soci e prenotare i voli aerei necessari tramite una agenzia viaggi italiana. In cambio per noi dello staff che organizziamo potrebbe esserci, se arriviamo ad un certo numero di iscritti, una gratuità sul posto da parte dell’agenzia e ci sarebbe quindi per noi solo da pagare il volo aereo”.

Visto le premesse la mia risposta è quasi scontata: “Va bene, Mario, mettiamo questa cosa in programma e poi vediamo se troviamo sufficienti iscritti per farla.”

Novembre 2008

Da qualche settimana è uscito su Mototurismo lo splendido servizio fotografico di Mario sulle motoslitte. Noi presentiamo questa idea alla convention dei soci e ci mettiamo in attesa di iscrizioni. Ma di queste ne arriva una sola e pensiamo quindi che il viaggio non si farà

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Gennaio 2009,

Sono alla fiera di Padova quando una coppia di ragazzi molto educati e semplici chiede informazioni su questa iniziativa e giurano che se si dovesse fare loro ci sono. Chiedono intanto di associarsi al nostro club. Ma io gli dico: “se vi volete associare solo per fare questo viaggio è meglio che aspettate, perché la partenza non è confermata”. Passa qualche altro giorno ed un amico che aveva appena terminato il viaggio attorno al mediterraneo con me, Giorgio, mi chiama e mi dice che se la cosa si dovesse fare ci sono di sicuro anche lui ed un suo amico. Messi insieme tutti sono 5 iscritti: sono ancora pochi rispetto a quanto richiesto dalla agenzia canadese. Chiedo a Mario di verificare se la gratuità promessa per uno del nostro staff c’è anche con questi numeri inferiori. La risposta che abbiamo è positiva. Confermiamo quindi pubblicamente l’iniziativa nel sito e con gli interessati, quindi ci mettiamo in attesa di altri iscritti, che di solito arrivano sempre all’ultimo momento.

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Febbraio 2009.

La tariffa del volo aereo è ancora molto buona ma non arriva nessun altro iscritto. Anzi al contrario rinuncia il primo iscritto di novembre. A voler fare questo viaggio sono rimasti quindi solo 4 soci. Verifichiamo di nuovo le condizioni con l’agenzia canadese. Anche se con un leggero sovrapprezzo (che compensiamo con la penale che ci rimane da chi ha rinunciato, senza aumentare il costo del viaggio agli altri quattro iscritti) le condizioni rimangono per noi dello staff le stesse: motoslitta ed hotel gratis lungo il tour per il capogruppo, una volta arrivato in Canada a sue spese.

Io sono tornato dal giro attorno al Mediterraneo molto stressato. Il programma di viaggi primaverili ed estivi che abbiamo messo in cantiere è molto impegnativo. Per prepararli tutti sono ora veramente stanco. E’ da moltissimo tempo che non faccio più qualcosa di tranquillo solo per il gusto di farlo per me e purtroppo ho anche una situazione in

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casa che mi porta ad aver voglia di stare da solo.

Decido quindi che almeno per quei primi otto giorni di Marzo staccherò da tutto e da tutti e partirò per questa nuova avventura:

UNA SETTIMANA IN MOTOSLITTA IN CANADA.

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IL GIORNO PRIMA E’ SEMPRE MOLTO IMPORTANTE

Venerdì 27 febbraio 2009.

Mi sveglio presto al mattino mentre in casa dormono ancora tutti. Senza nemmeno fare colazione vado in ufficio. Nei giorni scorsi avevo cercato di terminare quante più cose avevo iniziate. Prima di partire per un viaggio, corto o lungo che sia, cerco sempre di lasciare incompiute meno cose possibili.

Tra le altre cose da fare ce ne è una molto speciale, alla quale sto pensando da un po’ di tempo e che continuo per vari motivi a rimandare. “Questa mattina” mi dico “ è il momento di concretizzare”.

La mia situazione famigliare è un po’ complicata. Se dovessi mancare improvvisamente per qualsiasi motivo (come e successo ad esempio ad Alberto la settimana scorsa, mio coetaneo quarantacinquenne e socio della mia associazione) in mancanza di mie volontà

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scritte le mie proprietà ed i miei ricordi per legge andrebbero a finire dove io non desidererei, lasciando invece chi vorrei io senza niente. Insomma, basta qui con i giri di parole: voglio fare il testamento!

Ne ho gia parlato nei giorni scorsi con un mio amico avvocato. Dovevo andare da lui una delle sere appena passate, ma poi non avevo trovato il tempo. Non deve essere pero una cosa difficile anche farlo da solo. Guardo su internet e trovo innumerevoli esempi. Un foglio di carta bianca, una biro.... “io sottoscritto Dodi nel pieno delle mie facoltà mentali eccetera”. Ne faccio due copie identiche. Una la metto dove so che sarebbe sicuramente trovata se non tornassi a casa (ad esempio dal Canada). L’altra la metto in una busta, per spedirla in mattinata al mio amico avvocato, che cosi ho letto su internet che è meglio fare.

Nel cortile il furgone è già pronto dalla sera prima, caricato con la moto rossa mezza smontata e legata. Devo portarla stamattina da Sisto e Damiano a Formigine, per farla sistemare dopo il

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Raid Mediterraneo, che ho terminato a meta gennaio. Preferisco portarla prima di partire, cosi quando torno magari è gia pronta ed in ogni caso guadagnerò così questa settimana di tempo.

Per un motivo futile prima di finire la colazione con Magica stiamo gia litigando, come al solito. E’ un peccato, lo sappiamo entrambi, soprattutto stamattina, perché io poi partirò per il viaggio prima che lei ritorni a casa. Salutarci così litigati non è bello per niente. Li accompagno in garage: un gran bacione a Julien, che per fortuna sembra ancora indenne dalla tensione famigliare che ormai in casa c’è da troppi mesi e loro se ne vanno.

Poco dopo lascio casa anche io con il furgone. Dopo una sosta all’ufficio postale, per spedire la busta all’avvocato, scendo dai monti fino a Formigine. Scarico la moto rossa e spiego a Sisto quel che c’è da fare. Carico sul furgone l’altra moto, quella verde, che è pronta; è stata sistemata dopo il viaggio in America di agosto scorso ed i mesi passati in

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container. Saluto il meccanico e vado verso il centro di Modena.

Ad un distributore mi fermo per fare gasolio. C’è un cartello: i motociclisti sono obbligati a togliersi il casco prima di fare benzina. Curioso, quando vado alla cassa chiedo spiegazioni di quel cartello. Mi dicono “abbiamo avuto una rapina da parte di alcuni che in moto erano entrati dentro per pagare senza togliersi il casco, in modo da non farsi riprendere dalle telecamere. Da allora abbiamo paura e vogliamo che il casco sia tolto prima di fare benzina”. Li capisco, ma penso anche a quante volte, praticamente sempre, io ho fatto benzina e pagato così, con il casco in testa.

Voglio acquistare in un negozio specializzato di abbigliamento per moto di Modena indumenti intimi caldi, da indossare in Canada sotto a quelli che mi fornirà l’agenzia, come mi ha consigliato Mario. Maglietta di fibre tecniche, wind-stopper, calze pesanti, guanti di seta (per quando dovrò togliere i guanti pesanti e fare le foto). La calzamaglia termica e il

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passamontagna pesante li ho già, ben collaudati nel freddo del raid invernale. Cerco anche calze di seta da mettere sotto ai calzettoni pesanti ma loro non le hanno. Mi consigliano un ipermercato vicino. Nel frattempo mi ricordo di una cosa che mi stavo dimenticando: sono nel parcheggio del supermercato quando chiamo al telefono Giuseppe. Gli chiedo se c’è un modo per scoprire quanto fa pagare Mommi il suo viaggio in Marocco di Aprile, che ha proposto nelle stesse date del nostro. Nel suo sito infatti il prezzo del tour non c’è. Lui mi racconta: “con Mommi ci siamo sentiti prima che noi partissimo per il nostro Raid attorno al Mediterraneo. Mi aveva telefonato lui, per avere delle informazioni sulla Tunisia, facendo però con me il misterioso a proposito di una sedicente casa motociclistica che gli avrebbe chiesto di organizzargli quella cosa. Mommi mi ha anche detto, ma con toni che mi avevano dato un po’ di fastidio, di prepararsi per collaborare con lui in futuro, lasciandovi. Io gli ho risposto che quella eventualità al momento non era

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neanche da prendere in considerazione e non vi avrei mai tradito. Quanto fa pagare il viaggio in Marocco però non lo so, ma lo posso scoprire anche senza chiederglielo direttamente”.

Gran brava persona Giuseppe. Preciso, intelligente, colto, socievole quanto basta senza essere troppo chiacchierone. Senz’altro uno dei collaboratori migliori dell’associazione della quale sono fondatore e presidente formale ma forse più imperatore nei fatti, come tutti i miei soci sanno. Dico a Giuseppe: “tu per il tuo futuro devi fare quello che credi meglio per te. L’importante se ci sono dei problemi con noi è che tu me ne parli prima di decidere eventualmente di andartene, così che se è possibile trovare una soluzione la si trovi nell’interesse reciproco”. Ma mentre gli dico questo sono però certo che Giuseppe non ci abbandonerà, di sicuro non per andarsene ad aiutare Mommi.

Riparto verso casa in direzione di Vignola. Sono fermo ad uno dei primi semafori incontrati sulla mia strada (in tutti gli

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altri incroci ormai hanno fatto delle rotonde) e sono a Spilamberto. Sono quasi le 12,30 e di fronte a me c’è un grande negozio di articoli sportivi per escursionisti ancora aperto. “Forse li hanno le calze di seta”, mi dico. Appena la luce diventa verde entro nel loro parcheggio. Le calze di seta non le hanno però hanno dei troller non troppo costosi studiati a misura per essere il bagaglio a mano dell’aereo. Al mattino a casa avevo cercato una borsa né piccola né grande per quello scopo ed una l’avevo anche trovata, ma il troller a ruote è senz’altro meglio. Loro mi indicano dove possono forse avere le calze di seta: una sartoria di prestigio a poche decine di metri di distanza. Ci arrivo che il titolare ha già il lucchetto della saracinesca in mano. Lui le calze le ha, anche se inizialmente mi dice un prezzo al quale non sarei disposto ad acquistarle. Trovata la scatola il prezzo è molto inferiore, solo 20 euro. Così anche quel capo di abbigliamento finisce tra quelli pronti per il mio viaggio.

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Sono quasi tornato al furgone e sto per ripartire verso casa quando mi viene una idea. “Sono a Spilamberto, è ora di pranzo, Cristina - la ex-moglie dalla quale sono separato da ormai tre anni- lavora a poche centinaia di metri da qui. Quel che ho scritto nel mio testamento in qualche modo riguarda anche lei, che sarebbe per legge ancora la mia erede principale, fin che non siamo divorziati. Aspetta che la chiamo e le chiedo se ha tempo per mangiare un panino con me, così le spiego cosa succede”. Lei accetta. Dopo due minuti ci incontriamo sulla strada. Bacini sulla guancia di circostanza ed entriamo nel primo bar che troviamo.

E’ molto tempo che non ci vediamo. Parliamo del più e del meno, dei suoi famigliari in Romania, di mio padre. Lei ascolta molto e parla poco. Poi finalmente le dico del mio testamento, del fatto che la mia volontà scritta non rispetta esattamente quel che la legge vorrebbe che succedesse alle mie cose per quando non ci sarò più. E l’informo che “se però tu non farai niente con

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avvocati contro le mie volontà -tecnicamente si dice impugnare un testamento - i miei beni allora potranno andare a chi avrò deciso io, tra i quali per una parte ci sei comunque anche tu”. Lei mi guarda un po’ spaventata e mi dice che “sei matto a pensare ad un testamento. Sei giovane e non dovresti nemmeno pensarci!”. Ma io le dico che “aver fatto un testamento non toglie niente alla mia ferma volontà di esistere ancora il più a lungo possibile, di godere delle mie cose e di visitare tutti i posti che non ho ancora visto. Il testamento non lo avrei fatto se fossi stato in una situazione famigliare diversa e semplicemente averlo fatto, visto appunto la mia situazione, mi fa vivere più tranquillo”. Lei ascolta ma non mi dice però che se morissi prima del tempo rispetterà le mie volontà, cosa che io speravo di sentirmi dire. Pazienza, ci ho provato.

Lei sapeva già che io sarei partito dopo poche ore per andare in Canada: lo aveva letto al mattino nella newsletter che

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avevo inviato a tutti i miei indirizzi email la notte prima. Mi abbraccia quando ci salutiamo e mi dice “divertiti e riposati”. E io mi ritrovo a pensare, da solo mentre torno al furgone, che per andare in quella avventura che sto per affrontare, nonostante il tempo trascorso dopo la nostra separazione, sarebbe ancora lei la miglior persona che potrei desiderare di avere con me. Anche se la nostra storia è finita perché i nostri interessi erano diventati troppo diversi e non c’era più occasione di spendere del tempo piacevolmente insieme. E soprattutto per troppo tempo era stato da lei incompreso il mio desiderio di avere una famiglia completa, con un bambino. Lei comunque sempre allegra nonostante quello che succede, coraggiosa ed amante delle cose un po’ pazze ed avventurose, ancora molto carina nonostante siano già passati ormai 14 anni da quando la vidi la prima volta. Un attimo bambina bisognosa di protezione ed un attimo dopo donna ormai trentenne, dallo sguardo di ghiaccio (e quando vuole cattivo) sulla quale

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comunque sai che se hai bisogno puoi sempre contare.

Arrivo a casa che sono già le due del pomeriggio. Devo ancora preparare tutto per il mio viaggio. Nei giorni scorsi avevo fatto una lista che ora mi aiuta a non dimenticare niente. In un paio di ore la valigia è pronta. Un’altra ora per sistemare le ultime cose al computer e sono quindi pronto per partire per andare da Antonio. Mi ha invitato ad andare a dormire da lui la sera prima della partenza per il Canada, visto che lui abita solo a quattro km di distanza dall’aeroporto di Malpensa e lavora proprio li.

La vecchia Fiat Ritmo ormai d’epoca che uso a casa in inverno per i piccoli spostamenti (e che pensavo di usare anche per arrivare a Malpensa) proprio ieri aveva avuto delle piccole mancanze di alimentazione del GPL. Probabilmente niente che potrebbe impedirmi di arrivare a destinazione ma siccome è una gran bella giornata di sole e la moto verde è in garage appena sistemata, decido che da

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Antonio ci vado in moto. Telefono a Magica per salutarla e lei mi dice che sta per ritornare a casa. Non mi va per niente di partire senza rivederla, dopo la litigata del mattino, così l’aspetto. Dopo aver parlato un po’ , mentre io ho già il casco in testa ci salutiamo che lei infine è sulla porta. Ci guardiamo con occhi molto diversi rispetto a come c’eravamo salutati al mattino. Prima di arrivare da Antonio nel mio telefonino mi arriva un suo sms “eppur ti amo io a te…” al quale io non riesco però a replicare con le sue stesse importanti parole. Dentro la parola “ti amo” io ho sempre visto un sottointeso “per sempre” che nel caso della mia relazione con Magica non riesce più a trovare il suo posto. Per quella continua sensazione di incertezza che mi accompagna da quasi due anni, dopo qualche mese aver iniziato la mia relazione con lei. Le discussioni tra noi continue e quotidiane, anche feroci. I punti di vista pratici ed estetici sempre diversi tra noi su quasi tutte le cose. I diversi interessi tra noi. La sua non-accettazione del mio lavoro-passione

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secondo il quale il mio tempo per lei ed il bambino dal suo punto di vista non è mai sufficiente. Le sue continue scenate di gelosia ingiustificata ed ingiustificabile. Queste cose troppe volte mi avevano fatto pensare e mi facevano continuamente pensare che la nostra storia non sarebbe durata molto. Nonostante i suoi lunghi capelli scuri e lucidi, gli occhi stupendi ed il suo sorriso dolcissimo quando non è arrabbiata. Nonostante quando è tranquilla lei sia la donna più buona ed intelligente che io abbia mai incontrato, ed anche la miglior mamma e la miglior cuoca che un uomo possa desiderare. Nonostante che quella con lei sia la mia prima relazione con una famiglia vera, con un bambino speciale da crescere che mi chiama papà. Con una casa, un giardino ed altri miei beni materiali costruiti e messi da parte con mie fatiche e sacrifici che diventerebbero improvvisamente inutili senza loro due. Con la mia soddisfazione nel fare cose che io so importanti anche per garantire a loro un presente oggettivamente migliore. Tutte motivazioni che anche dopo le

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litigate più feroci tra noi (che tutte le volte scaricavano veleno in circolo nel mio organismo, che poi impiegava anche giorni a riprendersi) finora mi avevano convinto ad andare avanti ancora. Godendo periodi di tregua facendo finta che tutto stesse andando bene, sempre in attesa però con paura della nostra prossima ed improvvisa tremenda litigata. Come piccole isole di gioia in mezzo ad un oceano normalmente agitato e troppo spesso burrascoso. E quindi senza più la parolina magica “ti amo (per sempre)” da parte mia e che a lei mancava come l’aria. Una spirale discendente che faceva si che senza sentirsi amata “per sempre” e sentendosi trascurata le sue violente lamentele fossero sempre più frequenti e la mia voglia di dirle “ti amo” via via di conseguenza sempre inferiore ed ormai troppo vicina a zero.

Il viaggio in moto fino a casa di Antonio è piacevole. Dopo tanti km fatti in inverno con la moto rossa, riscopro il piacere della protezione aerodinamica e della maggiore stabilità della moto verde.

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L’ultima volta che questa moto l’avevo usata seriamente era stato quando ero arrivato a San Francisco lo scorso agosto nel viaggio Route 66. Poi c’erano voluti mesi per farla rientrare in Italia con il container : era arrivata solo pochi giorni prima di partire per il mio viaggio di Natale e non avevo fatto in tempo neanche a metterla in moto.

La casa di Antonio è diversa da quello che mi aspettavo. Così giunto di fronte al suo portone gli telefono convinto di avere sbagliato indirizzo. E’ una vera e propria villa, arredata con tanto gusto. Antonio ha cucinato per me e per gli amici che stanno arrivando. Ma non ha cucinato un semplice piatto di pasta come sarei forse riuscito a fare io impegnandomi al massimo. No, ha cucinato complicate ricette con risultati eccellenti. “Un uomo single da sposare subito” scherziamo tutti con lui a cena. Gli altri ospiti chiacchierano tutta la sera di moto (soprattutto dei difetti del GS 1200 di Sandro). Oppure raccontano aneddoti della loro vita lavorativa. Lorenzo, come

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Antonio, è un ispettore del nucleo forestale CITES che appunto lavora in aeroporto di Malpensa. Sandro è un poliziotto motociclista che fa la volante a Milano.

Io soprattutto ascolto. Così fanno anche Giuseppe e le due ragazze presenti, Paola e Laura, compagne di Lorenzo e Sandro. Verso la fine della cena sono sopraffatto da una stanchezza strana e ho anche freddo, nonostante in casa la temperatura sia perfetta. Il cibo cucinato da Antonio è stato veramente eccellente e così ho mangiato troppo rispetto al mio solito. Quando gli altri ragazzi se ne vanno, a me sta per arrivare un gran mal di testa. Riesco a prevenirlo con una limonata bollente come faccio di solito e riesco ad addormentarmi prima che sia troppo tardi.

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VIA, VERSO L'AVVENTURA

Sabato 28 febbraio 2009.

La notte passa tranquilla nonostante le aspettative negative della sera. Antonio mi sveglia che sono in un sogno non piacevole che però, come accade con tutti i sogni, dopo pochi minuti che mi sono svegliato non lo ricordo già più. Doccia e barba veloci mentre sento un po’ di freddo. Non ho nemmeno fame, sono ancora pieno da ieri sera. Mangio solo due mandarini, un po’ sforzato.

Arrivo all’aeroporto molto presto e saluto Antonio. Sono tra i primi a fare il check-in. Il troller lo tengo come bagaglio a mano, per essere sicuro che non vada perso nel volo. Mi metto in attesa di fronte all’ingresso dei banchi delle compagnie americane ed arriva la coppia conosciuta a Padova, Luca e Luciana. Mi avevano fatto una ottima impressione a Padova e me la confermano qui. Sono due persone della mia età, poco più che quarantenni, non molto alte, dall’aspetto

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molto tranquillo e sereno, educati. Dopo un po’ arrivano anche Giorgio con il suo amico Pietro.

Giorgio ha un paio di anni più di me ed è un uomo alto e robusto. Lo conobbi indirettamente nel 2007, quando ebbi con lui uno scontro via sms per un hotel diverso dalle sue aspettative nel viaggio a Capo Nord. Pensavo che non ne volesse più sapere della nostra organizzazione, quando con mia sorpresa aveva chiesto l’anno dopo, nell’estate appena trascorsa, di partecipare al viaggio in Turchia con Giuseppe e noi l’avevamo ripreso con noi. In quel viaggio il suo atteggiamento era stato diverso da quello avuto durante il viaggio di Capo Nord ed anche Giuseppe, che era stato con lui in quel suo primo viaggio, era stato sorpreso. Nell’inverno avevo poi avuto modo di conoscerlo personalmente anche io, quando all’ultimo momento si era iscritto al giro attorno al Mediterraneo. Al mio ritorno avevo raccolto alcuni commenti molto negativi sul suo conto da alcuni compagni di viaggio, infastiditi dal

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suo modo di fare sempre sfottente e critico, ma a me era stato tutto sommato simpatico ed avevo apprezzato moltissimo la sua idea di arrivare a Genova al ritiro delle moto con un quadro fotografico per me, sottoscritto da loro come ringraziamento. Giorgio era comunque una persona esigente, poco tollerante per determinate questioni e molto più accondiscendente su altre, che si faceva notare in un gruppo e non rimaneva nell’ombra. Anche per il suo modo un po’ goliardico di giudicare male sempre un po’ tutto e per la sua voce abbastanza alta. Una persona da tenere sotto controllo.

Pietro non riuscirò ad inquadrarlo: quello che memorizzo di lui è la sua conoscenza del Brasile ed il suo sicuro interesse per le donne brasiliane, che si legge nel suo sguardo vissuto. Per il resto sembrerà per tutto il viaggio una persona tranquilla alla quale più o meno va bene tutto. Salvo poi scatenarsi improvvisamente in proteste che io giudicherò inopportune nei modi e nei contenuti nell’ultima sera che sarò

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con lui e con il gruppo (e che racconterò diverse pagine più avanti).

L’attesa del volo è in compagnia di Antonio e Lorenzo che tutti belli vestiti in divisa dovendo fare un servizio in aeroporto passano a trovarci al nostro gate di imbarco.

L’aereo non è pieno. Al check-in avevo chiesto un posto al finestrino e mi avevano detto di si ma sono invece nella fila centrale. Non ho nessuna altra persona nei due posti di fianco e potrei anche sdraiarmi e dormire; ma preferisco finire di leggere “in Vespa da Milano a Saigon” e poi iniziare “La Cina in vespa” del grande Giorgio Bettinelli scomparso a settembre. Luca e Luciana sono sulla mia stessa fila. Giorgio e Pietro sono invece distanti da noi, molte file più avanti.

L’aria condizionata e pressurizzata come in tutti gli aerei è molto secca. Io tengo addosso solo un pile leggero, non ho freddo ma non ho nemmeno caldo. Verso la fine del volo sento che dovrei coprirmi di più, ma per pigrizia non lo faccio.

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Pagherò cara questa pigrizia nei giorni successivi.

Arriviamo a Newark con cielo sereno. Prima di fare il controllo di polizia ci sarebbe anche la toilette, ma penso dentro di me che posso anche aspettare. “Mai rimandare una pisciatina o una fotografia: dopo non ci potrebbe più essere l’occasione giusta per farla!” penso tra me nella lunga attesa per il controllo e rischio di farmela addosso. Per guadagnare anche pochi minuti preziosi devo chiedere addirittura a Giorgio di farmi passare davanti a lui nel controllo di Polizia.

Prima del check-in per salire sull’aereo per Quebec city, che parte dopo diverse ore, ci mettiamo a mangiare in un angolo del terminal dove c’è un fast food. Io non ho fame per niente e sono molto gonfio, probabilmente per lo stress e la stanchezza (secondo il fuso italiano, sarebbe già ora di andare a dormire mentre per noi qui in America sono solo le 18 di sera)

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Nell’attesa io racconto di come iniziai ad organizzare viaggi in moto. Il primo viaggio in moto in Romania nel 1995 con Massimo, che andava a trovare delle sue amiche con le quali si scriveva lettere da mesi; il mio innamoramento per Cristina, 15 anni più giovane di me; l’incontro nell’inverno del 1995-96 con quelli che poi diventeranno i miei cognati e la loro proposta di un business insieme; la mia idea di organizzare turismo in moto in quel paese; l’incontro con Nanni e la creazione della associazione 2000MOTO nel gennaio 1996; il mio primo viaggio in Romania in auto alla ricerca degli hotel dell’aprile 1996; il mio articolo su motociclismo sulla Romania dello stesso mese; il primo viaggio con Nanni e Massimo per collaudare il mio tour rumeno del giugno 1996 e poi il mio esordio come tour-leader di un grande gruppo nell’agosto 1996. Gli anni seguenti, con la Turchia come nuova destinazione. L’incontro con Nelik nel 2001, il primo terribile viaggio in Russia nell’agosto 2002 con un gruppo di 27 moto e 42 persone, i viaggi successivi in Russia

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sempre molto numerosi, fino a quello nel 2005, quando al ritorno stanco ormai della situazione interna in 2000MOTO decisi di fondare la nuova associazione andando per la mia strada con chi mi voleva seguire. Il 2006 entusiasmante (nonostante la mia separazione, avvenuta anche per colpa del mio viaggio in Russia dell’estate precedente) con il mio viaggio fino a Samarcanda ed altri 4 viaggi estivi di tanti nuovi soci; il viaggio fino a Dakar del natale 2006; il 2007 con la conferma del lavoro svolto; il 2008 come affermazione di essere noi una realtà tra le più importanti del settore e l’ingresso di amici in gamba nella associazione a darmi una mano. Ma anche le difficoltà di tenere dietro a tutto da solo, o quasi; il numero di programmi aumentati per la richiesta di fare anche sempre cose nuove. Giorgio sentenzia che forse ora l’associazione è troppo grande per essere piccola e troppo piccola per essere grande. Probabilmente ha ragione, ma la soluzione che credo di capire mi suggerisce lui io non la condivido. Diventare grandi a volte vuol dire perdere

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di vista l’obiettivo vero per il quale si sono volute fare delle cose. Ed il mio obiettivo, da sempre, da quando ho fondato l’associazione, è stato quello di conoscere amici e trovare le risorse per poter viaggiare in moto senza spendere niente, o quasi, dando in cambio i miei servizi a qualcun altro che li gradiva, non quello di arricchirmi. Per cui sono restio a farla diventare qualcosa più grande di me, una azienda. Tra le due alternative (crescere oppure ritornare ad una dimensione più piccola di quella che è già diventata) quest’ultima la vedo a me più congeniale.

Luca e Luciana dietro mio invito raccontano del loro lavoro e delle passioni. Luciana ha una concessionaria di auto e ci racconta delle sue disavventure con l’ufficio comunale di Bergamo per farsi portare l’acqua per il servizio antincendio. Nonostante nei disegni finali di lavori eseguiti venti anni fa i tubi dell’acqua comunale risultavano arrivare fino al suo portone, quando ne ha avuto bisogno e hanno scavato nella strada i

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tubi che dovevano esserci non c’erano !!! I lavori anche se erano stati al tempo pagati dal Comune all’impresa non erano stati fatti ed ora la messa in opera di quei tubi l’aveva dovuta pagare di nuovo lei. Che Italia! Luca contrariamente alle apparenze è un uomo forte. Ha fatto alpinismo seriamente e ci racconta di essersi trovato in situazioni molto difficili, che io penso dentro di me che altre persone meno modeste di lui, se le avessero vissute, ce le avrebbero in bocca in ogni momento anche senza nessuno che gliele chieda. Lavora in un settore molto importante in questo periodo, la installazione di pannelli foto-voltaici per la produzione domestica di energia elettrica in rete con il gestore che acquista l’energia che viene prodotta in più. Sono molto incuriosito di questa cosa e la vorrei fare anche io a casa mia, perché la vedo una necessità della società moderna e probabilmente una spesa veramente ben fatta. Ma allo stesso tempo sono molto scettico sui veri tempi di rientro dell’investimento molto oneroso e sui rischi collegati alla necessità che

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debba esserci il contributo pubblico attuale per tutti i 20 anni promessi perché alla fine l’investimento si paghi e finisca per essere remunerativo. La mia domanda, che mi ronza nel cervello da tempo, è molto semplice ed attende risposta: se fosse davvero un investimento così sicuro, che a distanza di 10 anni dà così buoni frutti, chi ha i soldi o le banche non si offrirebbero di farlo loro gratuitamente sul tetto dei cittadini, in cambio dell’uso dei loro tetti per ospitare il loro apparato produttivo ? Invece che dover convincere i proprietari delle case a fare mutui ipotecari, dove comunque rimangono i singoli cittadini ad essere impegnati con i finanziatori a pagare le rate, scaricando su di loro i rischi di quel che potrebbe cambiare nei prossimi 20 anni in tema di contributi? Domande che rimangono senza risposta anche dopo il colloquio con Luca.

Siamo al gate di imbarco dell’aereo per Quebec City. Nelle sedie di fronte a noi c’è un operatore dell’aeroporto, almeno così sembra dal cartellino e dalla tuta che

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porta. E’ un uomo di colore ed è estremamente grasso. Masse di lardo malamente coperte da una maglietta, che appoggia su altre parti del corpo ed in parte ai braccioli della sedia. Chiacchiera con due sue colleghe un poco più giovani, anche loro di colore ed anche loro già sformate dall’adipe, ma non ancora nella condizione dell’uomo. In Italia è già notte fonda, io sono spossato e il mio mal di pancia è sempre più forte. Mangio più per dovere che per piacere quello che trovo al bar e che mi sembra più adatto alle mie condizioni: due yogurt per bambini alla frutta che non capisco neanche che frutta è.

Il volo interno è su un aereo molto piccolo, comunque a reazione. Nel buio della notte dura solo un’ora e trenta minuti, un tempo che passa in un attimo, mentre continuo la lettura di “La Cina in Vespa”. Mi prometto di comprare il giorno dopo, durante la visita della città, una cartina della Cina, perché altrimenti capisco poco rispetto a quello che invece vorrei e potrei capire. La cartina nelle

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prime pagine del suo libro infatti è assolutamente insufficiente alla vera comprensione dei luoghi visitati dal grande viaggiatore.

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LE PRIME ORE IN CANADA

All’arrivo in Canada prima di passare il controllo dei documenti sono un po’ preoccupato che per qualsiasi motivo o contrattempo non ci sia nessuno fuori ad aspettarci da parte dell’agenzia canadese. Qui è già mezzanotte ma per noi italiani sono le 6 del mattino, quindi sono già più di ventiquattro ore che non dormiamo. Mentre ero a Newark avevo cercato inutilmente tra le mie carte il numero di telefono dell’agenzia, senza trovarlo. Se non ci fosse nessuno fuori per noi, sicuramente da qualche parte il numero lo troverei, perché sono sicuro che ce l’ho con me anche se non l’ho ancora trovato. Ed in ogni caso al limite potrei tirare giù dal letto Mario con una telefonata in Italia per farmelo dare da lui, se anche riguardandoci meglio ancora non lo trovassi. Ma tutto questo non sarebbe sicuramente una prova di efficienza da parte mia e spero quindi che chi deve essere ad aspettarci ci sia.

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Finalmente arriviamo all’uscita e posso togliermi la preoccupazione da addosso: quel qualcuno c’è, con un bel cartello evidente.

Uscendo dall’aeroporto per salire sul minibus che ci deve portare all’hotel abbiamo modo di apprezzare subito la temperatura estremamente bassa che c’è in questi posti: 20 gradi sottozero. La sensazione è identica a quella che si prova ad esempio in uno stabilimento alimentare quando si entra dentro alle grandi celle freezer: si avverte un freddo secco che ti punge e ti stringe la pelle dove questa è scoperta, specie la faccia.

E’ strano come alla stessa latitudine di Milano (parallelo 46 circa) qui, su un altro punto del globo, ci sia una temperatura così tanto più bassa.

Dopo mezz’ora circa siamo al centro turistico di Duchenay, dove c’è la base delle motoslitte e l’hotel. Il minibus si arrampica sulla collina sulla strada gelata, ove hanno scaricato qua e la un po’ di sabbia per dare aderenza alle ruote delle auto. Il sale infatti con queste

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temperature troppo basse non sarebbe efficace. Il nostro autista ci scarica davanti alla reception. All’interno è un caldo piacevole, ci togliamo le giacche e prese le chiavi delle camere andiamo a prenotare la colazione per il giorno dopo, che come da contratto non è inclusa nel costo dell’albergo prepagato in Italia. Quando chiediamo alla reception quale scala prendere per arrivare in stanza, contando che ormai sia questione di pochi minuti al caldo prima di essere sotto le meritate lenzuola, la risposta è una doccia fredda per tutti noi: “le vostre camere non sono in questo fabbricato ma in un altro, lontano circa 300 metri, molto più in basso, quasi all’ingresso del centro turistico”. Imprecando in cuor nostro per la sistemazione ci rimettiamo il nostro abbigliamento pesante e torniamo fuori al gelo della notte. Scendiamo a piedi per raggiungere il nostro caseggiato, rischiando più volte di scivolare sul ghiaccio che non dappertutto è stato raggiunto dalla sabbia. Io sento un freddo dentro che mi preoccupa, i colpi di tosse sono secchi e dolorosi. Cammino quasi

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correndo per rimanere al freddo il minor tempo possibile. Poi finalmente all’una di notte sono dentro la mia stanza riscaldata, in un letto che è molto comodo.

L’appuntamento con gli altri è per le 8,45 di domattina, davanti alla reception, per andare insieme alla colazione prevista per le 9

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L'HOTEL DE GLACE AL MATTINO

Domenica 1 marzo 2009

Per colpa probabilmente del fuso orario secondo il quale per me è quasi pomeriggio, nonostante la necessità di dormire mi sveglio comunque prima di quello che avrei voluto. Dopo una doccia e dopo aver messo in ordine il bagaglio, mi attardo a leggere ancora il libro di Bettinelli fino a quando è l’ora dell’appuntamento con gli altri.

Non sto per niente bene, ho il raffreddore e la tosse e forse anche qualche linea di febbre.

Fuori dalla mia porta c’è un biglietto di Luca e Luciana. Mi scrivono che sono già tutti e quattro ad aspettarmi alla reception per la colazione. Li raggiungo comunque in perfetto orario ed insieme entriamo nel grande salone, dove c’è proprio tutto per un breakfast veramente eccezionale. Ce lo godiamo e poi, dopo il pagamento unico con la mia carta di credito, raccolgo i contanti da ciascuno di

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loro, così che io mi evito di cambiare per spese magari da farsi in città più tardi.

Alla reception vorrebbero ora consegnarci un sacco per ciascuno, lasciatogli per noi da quelli delle motoslitte. In quel sacco dovremo mettere i bagagli da tenere con noi durante l’escursione, da domani fino a Venerdì. Gli chiediamo se i sacchi li possono tenere fino a sera e loro storgono un po’ il naso, perché questi puzzano un po’ di benzina. Poi li sistemano in uno sgabuzzino dove non daranno fastidio. Insieme ai sacchi neri c’è anche una busta per ciascuno di noi, dove ci sono i documenti per sottoscrivere il tour ed il noleggio. Lasciamo li anche quelle: non abbiamo voglia di tornare nelle nostre camere, visto come sono lontane.

Una signora cinquantenne molto simpatica e che qualche decennio prima doveva anche essere molto carina, visto gli occhi che ha, è al banco informazioni del hotel. Le chiediamo istruzioni per la visita all’hotel de glace e per raggiungere il centro di Quebec city. Lei, dopo averci pensato un po’, ci sconsiglia l’autobus

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perché l’ultima corsa tornerebbe troppo presto e soprattutto perché visto che noi siamo in cinque, il taxi comunque per noi è più economico.

Dopo aver dato appuntamento al taxi alle 11 nel parcheggio dell’hotel di ghiaccio, che sta qualche centinaio di metri più sotto da dove siamo, scendiamo a visitare questa particolare struttura, che nessuno di noi ha mai visto prima.

E’ una esperienza molto interessante. Insieme alla visita del centro storico di Quebec City sarà per me la cosa migliore di tutta la trasferta in Canada. L’hotel ha una struttura costituita da settori ad arco gotico, comunicanti tra loro, alti all’interno circa 5 metri. Sono di neve pressata. Nel video in cui mostrano la costruzione del fabbricato si capisce in che modo vengono realizzati: ci sono delle armature metalliche con quella forma che vengono messe una di fianco l’altra, poi cannoni sparano neve mescolata ad acqua (per rinforzare la neve) sulle strutture, per una altezza di qualche metro. Una miscela che nel

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freddo terribile dell’inverno canadese si solidifica come cemento. A quel punto le strutture metalliche vengono sfilate fuori ed iniziano i lavori di finitura all’interno. Nei posti giusti vengono aggiunte colonne quadrate di ghiaccio purissimo e trasparente. Con speciali motosega da ghiaccio e con scalpelli a mano vengono realizzate tutte le decorazioni delle stanze dell’albergo, vere e proprie opere d’arte tematiche. Si creano, sempre con ghiaccio trasparente, il bancone della reception, quello del bar, le panchine della discoteca, i banchi e l’altare della chiesa. Nei corridoi, sotto lastre di vetro come cornici fanno bella mostra di loro tutti i marchi delle ditte sponsor di questa realizzazione, tra le quali la più importante è The North Face, che ha anche un negozio di souvenir a fianco della biglietteria. La costruzione dell’hotel di ghiaccio oltre che degli sponsor gode comunque anche di entrate dirette, tra le quali la più importante è quella della biglietteria per la visita diurna o notturna (il biglietto è separato) Ma anche per il pernottamento: per

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provare infatti l’ebbrezza di dormire su un letto di ghiaccio, all’interno di pareti di ghiaccio, l’addetto ai biglietti mi dice che serve da un minimo di 250 dollari ad un massimo di 600, secondo la camera o la suite scelta.

Il taxista è puntuale ed ha un mini-van da 6 posti. Giorgio finisce nella fila più in fondo e soffre terribilmente del beccheggio dovuto agli ammortizzatori sfondati. Il taxista è molto grasso e dall’aspetto un po’ laido, comunque simpatico. Io sono seduto al suo fianco e cerco di chiacchierare un po’. Gli chiedo spiegazione, anche per conto degli altri, del motivo per il quale c’è il volto della Regina inglese Elisabetta II sulle loro banconote da 20 dollari. Lui sembra non capire la mia domanda e la sua spiegazione nel suo inglese masticato mi è altrettanto incomprensibile. La mia era comunque una domanda nemmeno da fare che dimostrava solo la grande ignoranza sul paese del quale ero ospite, sul quale prima di partire non mi ero documentato per niente. Come scoprirò su internet

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facendo una ricerca appena rientrato in Italia, la regina Elisabetta II infatti non è monarca solo della Gran Bretagna ma è monarca e capo di stato di altre 17 nazioni nel mondo, tra le quali appunto il Canada. Queste nazioni che hanno come capo di stato questa Regina sono una parte delle nazioni che aderiscono volontariamente a quello che si chiama Commonwealth delle nazioni, tra le quali molte repubbliche, quasi tutte ex-colonie dell’impero britannico che fu.

Il taxista vorrebbe portarci a vedere un recinto chiuso con dei Wapiti, una particolare specie di cervo canadese e che si vedono in lontananza dalla strada, ma noi rinunciamo.

Prima di arrivare in città a sorpresa ci congela con una domanda che, dopo le nostre richieste, improvvisamente lui ha per noi: “come si chiama quella famosa attrice porno italiana ? ”

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IL GELO DI QUEBEC CITY

Il taxista, al quale nel frattempo eravamo riusciti a dare una risposta al suo importante quesito, ci porta fino al lungofiume ai piedi della vecchia Quebec City. Il tassametro indica esattamente i 75 dollari previsti alla partenza. Lui cerca di spiegarmi dove verrà a prenderci all’ora che vorremo noi nel pomeriggio, ma io non capisco. Allora stacca il tassametro e per essere sicuro che noi abbiamo capito ci porta lui gratis a vedere dove è il posto. Fa un lungo giro con l’auto per salire fin sulla piazza dove c’è l’hotel Chateau Frontenac, il palazzo più importante, l’icona della città presente in tutte le cartoline del Quebec. Mi mostra una Creperie : proprio di fronte ci aspetterà alle 17. Ci riporta quindi dove si era fermato all’inizio e qui ci scarica: siamo di fronte all’entrata del traghetto che attraversa il fiume San Lorenzo.

L’aria è gelida, ancora più fredda di ieri. Non mi basta la cuffia di lana acquistata all’hotel di ghiaccio e la giacca tirata fin

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sul bavero. No, devo calarmi sul viso anche la bandana dell’associazione, che pensavo mi sarebbe stata necessaria solo a partire dal giorno dopo durante la guida. In pratica cammino lasciando fuori solo gli occhi. Non ho preso con me i guanti di seta e tengo le mani in tasca. Al momento comunque non ho voglia di fare fotografie. Il fiume San Lorenzo è molto grande ed uno dei più lunghi del nord-America, oltre 3.000 km. Qui, in questa stagione, e’ sempre ricoperto quasi interamente di lastre di ghiaccio di dimensioni variabili da molto piccole a molto grandi, che si muovono velocemente spinte dalla forte corrente. Due grandi barconi fanno la spola da una parte all’altra del fiume per portare auto e persone, attraversando i ghiacci che comunque sembra non creino alcun problema alla loro navigazione. Nel fiume anche due barche di rematori che lo affrontano per sport in queste particolari condizioni. Una di queste barche rimane incastrata tra due blocchi di ghiaccio molto grandi e viene trascinata verso valle dalla corrente diverse decine di

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metri prima che con diversi sforzi di remi gli sportivi riescano a districarsi. “Ognuno è libero di scegliersi il modo che preferisce per farsi male e rischiare la vita” penso tra me.

Le piccole strade della città antica sono tutte piene di negozi di souvenir o gallerie d’arte. Il commento di Giorgio, appassionato di quadri, è che non ha mai visto una cittadina turistica piena di gallerie d’arte come quella. Alcuni quadri sono veramente belli. I migliori che vediamo sono di dimensioni comunque talmente grandi da essere probabilmente non trasportabili con spedizioni normali fin da noi, dall’altra parte dell’oceano. Molto belli sono anche gli oggetti in legno scolpito, di vari stili, che ci sono in diversi negozi di artigianato. Non mancano anche i negozi di souvenir di bassa leva come ci sono ovunque, con le solite magliette irriverenti in maggioranza a tema sessuale o che storpiano sigle famose (come F.B.I - Female Body Inside – ed altre simili che ora non ricordo più). In un negozio, che secondo quello che c’è scritto nella

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insegna dovrebbe essere gestito da veri eschimesi, compro un fucile in legno che spara elastici per il mio piccolo Julien. Vorrei prendere per lui anche un modellino di una motoslitta e quello di uno scuolabus, ma in quel negozio non ce li hanno. Rimando quindi questo acquisto a dopo pranzo. Cerco anche qualcosa per Magica, che però non trovo.

Camminiamo senza una cartina ed una meta. Il centro è comunque molto piccolo e non ci si perde. Nel parco c’è almeno un metro di neve, forse anche di più. Incassato in profondità dentro la neve, dove in estate probabilmente c’è un prato o un campetto sportivo normale, c’è un campo da hockey. Qui diversi adolescenti giocano tra loro in piccoli gruppi. Alcuni carrozze trainate da grandi cavalli dalle zampe pelose portano in giro i turisti. I cavalli quando sono fermi in sosta vengono protetti da spesse coperte di lana. Sul tetto di una casa due ragazzi, ancorati con cavi per non cadere, con un grande martello in plastica bianca percuotono con colpi pesanti il ghiaccio

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presente vicino alla grondaia per farlo cadere. Dal basso stiamo per un po’ a guardare ma i ragazzi, dopo aver tolto quello più sporgente e pericoloso, rinunciano perché lo strato è troppo grosso e resistente per riuscire a spezzarlo. Camminiamo quindi fino alla cittadella, nel punto più alto della città, sede delle famose Giubbe Rosse, ma scopriamo arrivati la in cima che da novembre ad aprile è chiusa per neve. Torniamo sui nostri passi. Luca e Luciana sempre carini insistono perché io accetti finalmente di mettere i loro guanti che hanno appena acquistato e che avevo rifiutato un’ora prima, convinto che non mi fossero indispensabili. Da qualche minuto ho iniziato a fare foto e capisco che invece le mani devo tenerle coperte. Decido quindi di accettare l’offerta ma quando provo ad infilarmeli la loro misura è troppo piccola per me. Pazienza. Però sono molto pentito di aver lasciato all’hotel i miei di seta che ho preso proprio per occasioni come questa.

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Si è alzato un vento pungente e la sensazione di freddo è ancora più forte. Scendiamo verso la piazza attraversando il cortile interno del palazzo Chateau Frontenac. Scopro in una targa d’ottone che qui nel 1945 si svolse la prima conferenza della F.A.O, la organizzazione delle Nazioni Uniti per l’agricoltura e l’alimentazione nata con lo scopo di ridurre la fame nel mondo.

Arrivati nella piazza, Luca, Luciana e Pietro hanno voglia di andare al chiuso. Io e Giorgio continuiamo qualche decina di metri sul belvedere che guarda il fiume, a lato del castello-hotel. Qui è stata ricavata una lunga pista orizzontale in ghiaccio per bambini che con rudimentali slitte di legno scendono gareggiando a coppie. Partono da una rampa di accelerazione con una discesa ripidissima, in cima alla quale occorre comunque salire a piedi, trascinando la propria slitta su un percorso a fianco mantenuto non scivoloso con sabbia. Alla fine della lunga pista ghiacciata una zona di decelerazione in ghiaia consente ai ragazzini di fermarsi

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senza danni. Un signore di mezza età con un piccolo chiosco di legno vende una specie di glassa (che poi scopriremo essere sciroppo d’acero). Il liquido bollente viene venduto raffreddato dentro a piccoli bicchieri di plastica oppure, in modo più simpatico, versato come un rigagnolo sul bancone ghiacciato. Il liquido addensato all’istante dal gelo viene poi arrotolato attorno ad un legnetto a partire da un lato. Si mangia come fosse un lecca-lecca. Sono tutte cose interessanti da vedere e fotografare ma succede, nell’attesa dei bambini che scendono con gli slittini e mentre poi mangiamo lo sciroppo d’acero, che le mie mani letteralmente congelano e non c’è verso di riscaldarle.

Quando torniamo nella piazza non c’è più traccia degli altri tre. Giorgio con il telefonino manda sms per localizzarli mentre io devo seriamente pensare a come risolvere il problema delle mie mani ghiacciate. In attesa di risposta dagli altri ci rifugiamo dentro al centro informazioni che è nella piazza. Qui faccio la scemata

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di mettere le mani sotto l’acqua tiepida per accelerare il processo di decongelamento, anche se so che questa cosa non andrebbe mai fatta (bisognerebbe solo aspettare nell’aria riscaldata dell’ambiente). Ne pago come previsto le conseguenze con dolori lancinanti. Ai vari sportelli del centro informazioni ci sono ragazze bellissime con gli occhi chiari. Per i depliant, a centinaia diversi tra loro, è però tutto self-service. Io ne prendo alcuni che mi sembrano interessanti per questa nostra esperienza invernale e per quella che forse faremo in estate: un opuscolo sulle regole di utilizzo delle motoslitte e le relative multe, un altro sugli incidenti con gli animali selvatici (specie alci) ed un ultimo (più per curiosità che per altro) su come prepararsi e sopravvivere lungo una strada particolare che entra nell’interno del paese e per centinaia di km attraversa regioni inabitate e selvagge. Raggiungiamo quindi gli altri tre in un ristorante vicino. All’unisono ordiniamo bistecche e patatine: oggi l’unica differenza nei nostri gusti alimentari è tra

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la chi la vuole ben cotta e chi solo poco più che al sangue. Non mi accorgo di come entriamo in quella discussione, ma di sicuro capisco quando è ora di smetterla altrimenti finisce che litighiamo tra noi. Il tema è quando l’acquisto di un bene diventa anche un investimento. Giorgio pontifica che l’acquisto di oggetti di collezione è sempre una “coglionata”, che tutti quelli che lo fanno sono dei “coglionazzi” (lui compreso) e che alla fine ci si rimette sempre dei soldi perché non si riprende mai quello che si è speso. Fanno eccezione secondo lui solo investimenti molto costosi per l’acquisto di opere d’arte particolari o oggetti da collezione molto rari. Lui cita ad esempio fra gli acquisti ben fatti il famoso francobollo Gronchi Rosa (che lui dice di avere nella sua collezione – io invece nella mia non ce l’ho) e sul quale nasce tra me e lui anche una discussione particolare sul motivo della sua rarità, dovuta al ritiro della circolazione da parte delle poste poco dopo la sua emissione. Lui sostiene perché il viaggio del Presidente Gronchi non fu realizzato, io

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sostengo invece che fu per errori di disegno della cartina, anche se non ricordo i dettagli. Ma io rinuncio ad insistere perché lui non sente ragioni (a casa scoprirò che avevo ragione io: il francobollo fu ritirato per errori nel disegno del Perù che suscitò le ire e le proteste di quella nazione). Io condivido alcune sue osservazioni sul fatto che i collezionisti non comprano per fare investimenti, perché tanto poi non venderanno mai fino alla loro morte (e quelli che ereditano una collezione il più delle volte non conoscono il valore della stessa e finiscono con lo svenderla). Però ritengo che oltre a quelli che cita lui ci sono anche altri oggetti molto rari e preziosi che ormai non caleranno più di prezzo e che se acquistati a prezzi decenti possono rappresentare una forma di investimento. Cito ad esempio i primi numeri di importanti e conosciuti fumetti come Tex, Topolino, Diabolik che hanno raggiunto da anni e per ciascun albo quotazioni anche dieci volte più alte del Gronchi Rosa che citava lui come buon esempio. Ma niente da fare: per Giorgio

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acquistare quei fumetti è da coglionazzi. Come ho anticipato dobbiamo smetterla di discutere perché entrambi siamo talmente forti nella nostra posizione che altrimenti finisce male. Soprattutto perché Giorgio continua a dire che tutti quelli che fanno spese convinti di fare investimenti in settori e cose diverse da quelle che dice lui sono dei coglionazzi e io non ci sto a sentire giudizi così, anche se non sono rivolti direttamente a me ma in senso generale. Luca e Luciana ascoltano e basta. Pietro ricorda a Giorgio che in linea di principio anche altre cose universalmente riconosciute come preziose come l’oro o altri minerali in senso assoluto possono essere considerate di valore zero, visto che è solo la loro rarità a renderle così costose e non altre questioni. Poi cita un suo amico che colleziona modellini di macchinine d’epoca e compra e vende in quel settore. Ma non fa neanche in tempo a dirlo che Giorgio subito sentenzia che è un coglionazzo soprattutto lui. Insomma, per concludere, quel pomeriggio in quella discussione si scopre che tra me e Giorgio

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c’è probabilmente una antipatia reciproca più o meno latente che poi come è inevitabile che sia nei momenti di tensione sfocerà in discussioni diverse e più drastiche la sera dopo.

Andiamo verso l’appuntamento con il taxista. Prima mi fermo in un negozio di souvenir per prendere i modellini della motoslitta e dello scuolabus per Julien. Mentre mi muovo tra gli scaffali urto senza volerlo con la macchina fotografica che ho a tracolla un piattino di ceramica. Questo cade a terra e si frantuma in tre pezzi. Mi scuso e sono pronto a pagarlo ma la signora titolare del negozio, una figura semplice di circa quaranta anni con una frase disarmante mi dice “non preoccuparti, era già rotto”. Mai bugia mi era sembrata più bugiarda di quella ma non riesco a replicare nulla, se non un mio sorriso di gratitudine che viene raccolto da una sua espressione serena che sembra solo dire “welcome in Quebec”. O meglio “bienvenu en Quebec” visto che qui, come scoprirò anche meglio il giorno seguente, è il francese e non

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l’inglese la lingua del posto, nonostante la regina Elisabetta II sulle banconote.

Giorgio e Pietro hanno capito che l’appuntamento con il taxista è nella piazza di fronte alla porta dell’hotel Chateau Frontenac. Io ricordavo che era invece di fronte alla Creperie, che però io ora, dalla posizione dove siamo, non capisco più dove è. Vista la sicurezza dei due rinuncio ad insistere, abdico momentaneamente al mio ruolo di capogruppo e sto alle loro decisioni, che adesso sono quelle di aspettare il taxista al caldo della galleria d’arte che c’è li di fianco e dalle cui vetrine si può osservare fuori. All’esterno infatti il vento è più gelido di prima. Sono poco passate le 5 del pomeriggio da pochi minuti quando Pietro si precipita fuori. E’ sicuro di aver visto passare senza fermarsi il nostro taxista dentro all’auto del mattino, che loro due avevano memorizzato. Io non ricordavo più non solo il modello, ma neanche la marca, che le auto neanche le guardo. Usciamo tutti ma del taxista neanche l’ombra. Io chiedo a Pietro se è

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sicuro che fosse proprio il nostro taxi ma lui è sicuro ed è sicuro anche del tipo di auto. Pare anche infastidito che io gli abbia chiesto conferma. Pietro e Giorgio sono convinti che da li a poco il taxista ripasserà e che stia solo girando attorno alla piazza, perché li dove siamo noi non si poteva fermare. Io non sono convinto per niente che sia così ma mi adeguo alla loro sicurezza. Dopo aver aspettato nel vento gelido un tempo che a me pare anche più lungo del necessario, riprendo in mano io la situazione, mi metto alla ricerca del bigliettino da visita del taxista (attimi di panico perché subito non lo trovo) e gli telefono. Lui è tranquillamente parcheggiato che ci aspetta da dieci minuti dove ci aveva detto al mattino, davanti alla Creperie, che probabilmente lui sapeva essere l’unico posto della piazza dove poteva fermarsi. Gli dico dove siamo noi e dopo 30 secondi ci raggiunge. Con nostra sorpresa è con una auto diversa da quella del mattino, evidenziando così come fosse sbagliata anche l’altra convinzione di Pietro.

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L'HOTEL DE GLACE DI SERA

Con altri 75 dollari canadesi ci facciamo portare di nuovo all’hotel a Douchenay, direttamente alla reception. Qui ci sono ragazze diverse dal mattino. Non sanno niente delle nostre borse nere e delle buste dei documenti. Dopo qualche ricerca comunque le trovano e scendiamo di nuovo al fabbricato dove ci sono le nostre camere. Ci diciamo che ci vediamo subito fuori per tornare all’hotel di ghiaccio illuminato per la notte. Tutti ci hanno detto deve essere visto assolutamente, per quanto è bello. Io butto la borsa in camera, vado un attimo in bagno e dopo 5 minuti sono subito fuori per non fare aspettare nessuno. Rimango una decina di minuti nella hall e poi, quasi convinto che siano stati tutti più veloci di me e siano già andati via senza aspettarmi, esco in strada e mi dirigo verso l’hotel. Non ho fatto neanche dieci metri che scorgo però dalla loro finestra illuminata Giorgio e Pietro che sono ancora in camera. Ritorno indietro e vado

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a chiedergli se abbiamo cambiato programma ma mi dicono di no e che escono immediatamente. Ritorno in attesa e passano altri dieci minuti prima che arrivino. Per fortuna che c’è una sedia nella hall, perché io non mi sento bene per niente. Chiamati anche Luca e Luciana possiamo partire. Sul sentiero pedonale che va diritto verso l’ingresso dell’hotel de Glace è troppo facile scivolare. Io sto in fondo alla fila. Al mio secondo slittamento decido che quel percorso non fa per me ed esco da solo da quel sentiero per fare un giro più lungo, dove però passano anche le auto e hanno quindi buttato la sabbia. Il mio passo è così più fermo e alla fine arrivo all’ingresso quando gli altri non sono ancora arrivati. Qui ho conferma di quel che avevo capito al mattino: il nostro biglietto scade alle 20. Per restare anche dopo quel orario in quella che probabilmente diventa una discoteca occorre pagare un altro biglietto. Anche su quello c’era stata discussione tra me e Giorgio nel pomeriggio. Mi riguardo per bene l’hotel con le straordinarie luci che

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cambiano continuamente e che vengono amplificate dalla trasparenza dei ghiacci. Visito con calma le varie suite, che si mostrano diverse tra loro più di quello che mi erano sembrate al mattino, per la loro diversa illuminazione. Scatto tante foto e sono meravigliato dalla flessibilità di ripresa della nuova macchina digitale che ho da qualche mese. Soprattutto mi meraviglia il suo perfetto funzionamento nonostante le bassissime temperature (temevo che al gelo così forte la macchina non funzionasse). Raggiungo gli altri che sono nel bar: stanno bevendo nei bicchieri di ghiaccio! Dopo essere stati usati, questi unici bicchieri devono essere gettati in appositi contenitori su ruote per lo smaltimento, visto che non è certo possibile lavarli. Stiamo vicini a quello che sembra un camino. E’ al centro della sala ma non scalda per niente. Le fiamme, alimentate sicuramente da una sorgente di gas, escono da frammenti di vetro dando l’impressione di ghiaccio che brucia. Ma il vetro che circonda il fuoco comunque è freddo, perché troppo lontane sono le fiamme e troppo grande

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la canna fumaria che porta via il calore. Io non sto bene per niente, ho sicuramente un po’ di febbre e li saluto in anticipo raggiungendo la mia camera. Poco dopo sento rientrare nella stanza anche Luca e Luciana.

Domani sarà il primo giorno di motoslitta e bisognerà essere in forma. Io sono molto preoccupato e spero solo che il mio fisico, come ha fatto sempre di fronte a novità di viaggio entusiasmanti, si svegli messo meglio di come è adesso.

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UN MATTINO DI DUBBI

Lunedì 2 marzo 2009.

Nonostante per la notte io abbia impostato in camera una temperatura interna abbastanza bassa, che di solito è un toccasana per le mie vie aeree quando ho dei principi di raffreddore, mi sveglio al mattino che non sono a posto per niente. E’ il naso soprattutto ad essere costantemente otturato, nonostante le ripetute scariche con le quali ogni volta distruggo i Kleneex acquistati in città. Ogni volta il mio pensiero è “come sono più resistenti i nostri fazzolettini di carta!”

Qui è ancora mattino presto ma è già giorno pieno in Italia. Con uno scambio di sms chiedo consigli a Mario su cosa sia meglio fare. Lui mi tranquillizza dicendomi che oggi sarà una giornata tranquilla, solo 150 km; che il vestiario che ci daranno sarà veramente buono e non avrò freddo. Io sono preoccupato però che l’itinerario preveda di

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allontanarsi molto dalla civiltà e che quindi nel caso poi peggiorassi finirei per trovarmi nei guai. Ma Mario mi conferma che alla sera arriveremo sempre in hotel situati in paesi collegati tra loro da strade asfaltate, così se starò male potrò eventualmente tornare indietro ed interrompere il giro. Ho infatti la voglia di fare questa avventura visto che comunque il volo aereo l’ho pagato. Ma mi sento soprattutto anche la responsabilità di stare con gli altri quattro per essere da interfaccia con l’agenzia canadese, nonostante a dire il vero fino ad oggi io sia stato inutile o sia stato non considerato da loro, quando era successo in città che c’erano da prendere minime decisioni. Ma sono anche consapevole che il clima che c’è qui non è da prendere in scherzo, perché ci si può anche lasciare le penne a queste temperature.

Scambio degli SMS anche con Magica, alla quale comunico i miei dubbi e le mie condizioni di salute. Riesco per la prima volta nella mia vita a mandare anche un MMS con una foto del mio viso, che

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mostra senza mezze misure in che brutte condizioni mi trovo.

Esco prima del tempo dalla mia camera e mi reco alla sede dell’agenzia delle motoslitte che è posta poco lontano. Voglio parlare con qualcuno per sentire anche da loro cosa è meglio fare per me, prima che ci sia troppa confusione legata alle partenze del mattino. L’agenzia Kaumotik mi appare subito ben strutturata: tante motoslitte parcheggiate fuori, tutte dall’aspetto nuovissimo. Una lavagna al muro dentro all’ufficio dove sono segnati altri due gruppi in partenza oltre al nostro, insieme a tante motoslitte prenotate per noleggi senza guida di alcune ore o di un giorno intero. Il nostro gruppo è indicato come composto da 5 persone e 5 motoslitte, mentre noi abbiamo bisogno solo di 4 di queste. Sospetto che ci sia un disguido ma mi riservo di approfondirlo dopo colazione quando ci saranno anche gli altri.

Nella sede ci sono al momento solo due persone. Io parlo con una di queste che ha circa 50 anni. Ha una buffa cuffia di lana

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in testa che sembra più un copricapo peruviano che canadese. Nonostante le apparenze mi appare come il boss della situazione. Gli spiego che mi sento la febbre, anche se non alta; che mi cola il naso continuamente; che ogni tanto ho qualche colpo di tosse (anche se questa era diminuita rispetto a ieri). Lui mi conferma tutto quello che mi aveva appena detto Mario dall’Italia via sms e che quindi secondo lui ce la posso fare. Ma ovviamente mi dice che la scelta deve essere solo mia e lui non vuole responsabilità, perché solo io so come sto veramente. Considerata la mole di documenti da firmare che ci avevano lasciato la sera prima, nella quale per ogni minima evenienza c’era da sottoscrivere che si sollevava l’agenzia da ogni responsabilità, mi dico che quella sua ultima affermazione è un po’ scontata e formalmente dovuta e che quindi i veri consigli sono quelli sentiti a voce: “ce la posso fare!”.

Gli consegno anche la copia di Mototurismo di Ottobre che avevo preso

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con me dall’Italia, dove c’è il grande servizio di Mario sulla loro organizzazione. Questa copia passa di mano suscitando grande soddisfazione ed esclamazioni di gioia in tutti i presenti della organizzazione, che via via stanno arrivando. Sono molto contenti che della loro agenzia si sia parlato in Italia con un servizio fotografico così ben evidente su una rivista. Anche se loro non la conoscono, intuiscono per quel che vedono che questa è molto importante nel piccolo settore dei loro potenziali clienti, i motociclisti.

Salgo quindi la collina per fare colazione nel fabbricato principale e trovo gli altri che stanno già mangiando. Luca e Luciana ancora premurosi si offrono di darmi ancora una volta le loro medicine, ma io cortesemente rifiuto, ripetendo loro per l’ennesima volta (a costo di diventare antipatico) che io non prendo mai medicine che sono solo dei sintomatici perchè tutto quello che fanno è darti la sensazione di stare meglio, mentre in realtà sei ammalato come prima.

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Soprattutto in un caso come questo, dove se mi sentissi meglio senza essere effettivamente guarito potrei poi azzardare situazioni per le quali le mie condizioni di salute potrebbero poi aggravarsi notevolmente, visto il clima che c’è. Insomma, gli spiego che secondo me prendere qualcosa che mi faccia abbassare la febbre o mi tolga la sensazione di malessere generale influenzale, senza risolvere il vero problema che invece la febbre aiuta a superare (i virus delle forme influenzali, al contrario dei batteri delle infezioni, sono insensibili agli antibiotici e solo la temperatura alta nell’organismo – la febbre –li riesce ad uccidere) sarebbe come togliere in una moto nel quadro strumenti la lampadina della spia dell’olio motore. La spia si accenderebbe perché il livello del prezioso liquido è troppo basso, noi con il farmaco sintomatico – togliendo la lampadina – la luce non la vediamo più e continuiamo a viaggiare come se niente fosse. Fino a fondere poi il motore perché comunque, anche senza la lampadina-spia, l’olio mancava lo

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stesso! Sembrano arrendersi alla mia convinzione, ma non sembrano convinti per niente delle mie spiegazioni, probabilmente perché non hanno le conoscenze di anatomia e fisiologia che ho io, avendo studiato loro tutte altre cose .

Quando dopo colazione tutti assieme arriviamo alla base delle motoslitte qui c’è già un gran fermento. Alcune persone di altri gruppi sono in attesa di vestirsi. Almeno trenta motoslitte sono fuori ordinate e pronte a partire. Dopo aver consegnato tutti i moduli alle ragazze della amministrazione (che ci strisciano pure la carta di credito per la garanzia ai danni ai veicoli) altre ragazze ci fanno scendere al piano interrato. Qui sotto ci sono appesi in bella vista almeno un centinaio di completi giacca + pantaloni imbottiti di materiale speciale. Ed altrettanti caschi, stivali e guanti monodito (moffole). Le ragazze dell’agenzia sono molto esperte, indovinano a colpo d'occhio a tutti noi la misura ideale del completo iper-

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tecnologico costituito appunto da giacca + pantaloni imbottiti + stivali + guanti. Iniziamo quindi a vestirci nell’ambiente riscaldato..

Io, febbricitante, appena vestito in maniera così troppo pesante per quel ambiente comincio ad accaldarmi e sudare, nonostante cerco di muovermi il più lentamente possibile.

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SI PARTE, MA LE ASPETTATIVE SON DELUSE.

Appena è possibile usciamo tutti dal fabbricato. Vestiti da capo a piedi per il freddo aspettiamo che ci diano le moto nel posto giusto, proprio fuori al freddo. L'abbigliamento da un punto di vista dell'isolamento termico è veramente eccezionale. Ottimi si rivelano i consigli dati da Mario a proposito di quello da indossare sotto. Io però sono infastidito subito dalla mancanza, o quasi, di tasche nella giacca e nei pantaloni. Ne avrei assolutamente bisogno non solo per riporre il portafoglio ma anche e soprattutto per i pacchetti di Kleenex e la carta igienica che ho con me, per soffiarmi continuamente il naso, che nel freddo che c’è mi cola come una fontana. Una tasca mi servirebbe anche per il navigatore garmin tascabile. Vorrei infatti registrare le tracce del nostro percorso, per la soddisfazione di rivederlo a casa sulle mappe stradali. Ho infatti la curiosità non ancora soddisfatta di capire

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se le piste per le motoslitte sono ricavate battendo la neve su strade rurali secondarie, agibili d'estate, o se invece sono tracciati ricavati nei campi direttamente sul manto nevoso ed ogni anno da inventare. Vorrei anche vedere queste tracce sulle foto di google earth per capire come sono d’estate gli stessi posti che ora noi vediamo ricoperti da metri di neve.

In qualche modo alla peggio riesco ad accomodare nelle tasche tutto quello che mi serve. Il resto che non ci sta lo metto dentro alla borsa della macchina fotografica, che però dovrò tenere a tracolla. Una altra mancanza di cui non mi spiego la ragione è infatti quella di una borsa da serbatoio, che potrebbe benissimo essere messa anche qui proprio dove sta appunto su tutte le moto, ma che nessuno dell'agenzia canadese ha pensato di mettere. Come pure mi stupisco che ci abbiano fornito dei grandi guanti imbottiti mentre sarebbe stato molto più confortevole dotare il manubrio della motoslitta con appendici tubolari

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pelose, dentro alle quali infilare le mani ricoperte da guanti in pile più sottili. Un accorgimento che avrebbe consentito una migliore presa al manubrio ed una più agevole realizzazione di fotografie, grazie ai guanti più sottili ed alla mano subito pronta appena tolta dal manubrio. Ma soprattutto secondo me una soluzione migliore perché quelle cuffie pelose per manubrio invernali avrebbero permesso al calore che deriva dalle manopole riscaldate di diffondersi al loro interno, riscaldando tutta la mano in maniera uniforme, invece che scottare il palmo lasciando le dita gelate, come invece mi accadrà durante il mattino con i guanti forniti. Durante la giornata vedrò tante altre motoslitte ed alcune saranno equipaggiate con questo sistema di appendici pelose al manubrio, così che il mio disappunto al proposito sarà ancora più forte.

Quando siamo tutti vestiti ci consegnano ufficialmente le motoslitte. Il tutto con estrema attenzione anche al più piccolo graffio (segnato sul foglio che firmiamo,

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come quando si prende a noleggio una auto). Ci avvertono che da quel momento fino al prossimo venerdì i veicoli sarà come se fossero nostri e ne risponderemo appunto per ogni minimo graffio. Una cosa normale per ogni noleggio, del resto.

Quello che sarà la nostra guida, un omone dalla faccia simpatica e grande pancia, sulla cinquantina (il gigante buono, come poi lo definirò in seguito tra me e me) legando il mio bagaglio in un modo un po' approssimativo al retro della mia motoslitta mostra anche agli altri come si fa. Facendomi comunque pensare in cuor mio che si sarebbe potuto applicare alla motoslitta un portapacchi ben più funzionale. Ed in ogni caso, anche con quel portapacchi, il fissaggio sarebbe stato più veloce e tenace ad esempio con un semplice ragno elastico come quelli che noi abbiamo per fissare i bagagli sui portapacchi delle nostre moto, invece che con il complicato sistema di cinghie troppo sottili e mal posizionate associate ad elastici troppo forti e corti che ci danno in dotazione loro.

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Le istruzioni per l'uso della motoslitta sono veramente veloci. Avviamento a strappo tirando una manopola a cui è legata una corda sulla destra (facendo attenzione che la manopola rossa di emergenza sia sollevata). Acceleratore a leva, da usare con il pollice destro, come nei quad. Leva del freno a sinistra, dove noi motociclisti abbiamo la frizione (freno comunque che ci viene detto da usare il meno possibile, tanto è poco efficace). Pulsante giallo per inserire la retromarcia. Non c’è il cambio: presa diretta e nessun variatore, velocità direttamente legata ai giri del motore. Ciclo a due tempi, con motore a miscela, abbastanza rumoroso da fermo e molto rumoroso durante la marcia, come scoprirò nelle ore successive. Anche perchè la marmitta esce di fianco, all'altezza del serbatoio. Ci viene detto che sull'asfalto la moto non cambia direzione e va solo diritto. Ci indicano alcune regole generali, tra le quali quella che ricordo meglio è non attraversare una strada asfaltata fino a quando il compagno del gruppo che ci precede non

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ha finito di superarla e non si è messo in un punto grazie al quale anche noi si può sicuramente uscire dalla strada. Altra regola: non superare mai il compagno che ci precede.

La persona che ci ha consegnato le moto, che forse è il titolare dell'agenzia o forse no (era comunque quello che mi era sembrato il più contento di tutti quando avevo consegnato la copia di Mototurismo) ci dice che la motoslitta impareremo ad usarla in un attimo e che dopo che siamo partiti ci sarà anche un grande spazio aperto dove potremo eventualmente esercitarci.

Possiamo quindi partire. Io sono un po' stupito dalla mancanza assoluta di informazioni a proposito del giro che stiamo per fare. Non ci viene data nessuna cartina e nessuna spiegazione verbale. Non sappiamo verso che paesi stiamo andando, se saranno montagne o pianure, prati o foreste, niente. Io non mi sono preparato a supplire a questa carenza, nonostante con Mario prima di partire lo potessi anche fare, convinto

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che questo materiale lo fornisse l'agenzia locale. Non posso quindi rimediare nemmeno volendo. Spero allora che la guida ci spiegherà volta per volta dove saremo e dove andremo, nelle tante soste che immagino di certo faremo durante la giornata e che quello sia quindi il loro metodo. Vedremo. Intanto io devo imparare a tenere sulla destra della pista, larga non più di tre o quattro metri, questo veicolo nuovo per me e che proprio per le sue caratteristiche costruttive scivola appunto, dandomi continuamente quella sensazione di assoluta imprecisione sulla sua effettiva direzione che non diminuisce anzi aumenta all'aumentare della velocità. Probabilmente ad andature molto alte la precisione di guida aumenterebbe, come aumenta per chi molto bravo nel fuoristrada terrestre lancia la moto a velocità elevata sulla ghiaia e sulla sabbia, ma a quelle velocità elevate io non mi sogno nemmeno che potrei pensare di arrivarci. La pista in alcuni tratti attraversa grandi distese aperte, sicuramente dei prati nella stagione

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estiva, visto i grandi irrigatori automatici semoventi sepolti nella neve. Ma più frequentemente siamo in mezzo a boschetti di betulle: piante non molto grandi a dire il vero ma con un diametro del tronco sufficiente a creare seri problemi a chi, uscendo anche solo di poco dalla pista, dovesse sbatterci contro, anche alla velocità relativamente bassa che per ora stiamo facendo noi.

Nelle prime trenta miglia della giornata la mia posizione nel gruppo è quella immediatamente dietro alla guida quindi davanti agli altri tre veicoli del mio gruppo. Dovendo tenere d'occhio, come da istruzioni, che il compagno che mi segue stia arrivando dietro di me, soffro terribilmente della inqualificabile posizione dell'unico specchietto retrovisore esistente sulla mia motoslitta. E’ sulla sinistra ma è completamente coperto alla mia visuale dalla mia mano sul manubrio, in qualsiasi posizione normale io mi sposto con la testa per cercare di vederlo.

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Contrariamente alle mie aspettative la guida non fa mai soste. Ci fermiamo solo un paio di volte di mia iniziativa perchè io devo assolutamente liberarmi il naso, che cola come una fontana nel fazzoletto di carta che ho infilato a mo di assorbente nel passamontagna e che, una volta bagnato, congela e diventa durissimo. La temperatura dell'aria suppongo che sia almeno di 10 gradi sottozero ma di preciso non lo posso sapere: anche un piccolo termometro sulla motoslitta avrebbe aiutato a vivere con più cognizione questa esperienza. L'abbigliamento termico regge alla perfezione, ma i fazzoletti bagnati che infilo nelle tasche per non sporcare in giro comunque gelano anche all'interno di queste.

Mentre siamo fermi durante una delle poche soste che io forzatamente impongo al gruppo per via del mio raffreddore incontriamo anche una famiglia di amici della nostra guida. Sono su due motoslitte, una guidata dal padre ed una dalla madre. Il passeggero della madre è

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il figlio più grande, che ha circa 10 anni. Il padre invece porta con se il figlioletto più piccolo, che avrà più o meno l’età del mio Julien, poco più di 3 anni. Il piccolo ha una tuta imbottita speciale, con una specie di rialzo sotto al sedere e due lunghe appendici con il velcro che si vanno poi a fissare sulla tuta del padre quando questo è seduto, all’altezza della sua pancia, così da essere fortemente ancorato a lui in movimento. Nell’occasione facciamo anche una foto, che rimarrà poi l’unica mia foto con le motoslitte fatta in tutta la mia trasferta canadese. Prima di ripartire, la nostra guida ci dice che il motore che abbiamo sotto al sedere è un motore a due tempi e che va tenuto su di giri, altrimenti si ingolfa. Con quella scusa riparte di gran carriera, seguito da Luca con la sua passeggera Luciana, che dimostra di aver già preso ottima dimestichezza con quel veicolo. La sua motoslitta, biposto, è più lunga della mia e ha due comode poltrone. Io fatico a tenere il loro passo e spesso li perdo davanti a me. Devo quindi decidere quasi sempre da solo quale

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tracciato prendere tra i due che corrono paralleli. Uno è riservato alle motoslitte ed è segnato con paletti rossi. L’altro è per i quad a quattro ruote ed è segnato con paletti blu. Ma ci sono situazioni di tracciato miste non sempre evidenti che a volte mi mettono un po’ in confusione. Dietro di me stanno Pietro e Giorgio. Lui ha voluto mettersi per ultimo, nonostante io ad un certo punto avessi detto di passare tutti davanti, considerata la loro migliore abilità di guida. In quel modo io avrei potuto continuare con più calma, senza impedire loro di correre e senza la pressione psicologica per me di avere qualcuno dietro a cui si fa da tappo.

Che io sono un evidente impiccio Giorgio me lo dimostra in un rettilineo: con una manovra, secondo me comunque pericolosa e contraria alle regole impartiteci (mai superare il compagno di gruppo davanti) a velocità quasi doppia della mia mi supera sollevando nuvole di neve, rallentando poi solo quando giunge dietro al cingolo di Pietro e facendomi poi ripassare davanti.

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La pista passa quindi in mezzo ad un paese dove sono frequenti gli attraversamenti di strade asfaltate trafficate e dove sovente le motoslitte passano a fianco della strada, su quello che d’estate è il marciapiede o la banchina stradale. Arriviamo qui ad un distributore di benzina che sono le 11 e 30 circa. In circa due ore abbiamo percorso solo 30 miglia. La percorrenza me la dice il navigatore, che dalla tasca sta facendo silenziosamente il suo mestiere. Sono di nuovo dietro alla guida. Mi dice di fare attenzione al percorso che farà lui nel parcheggio per arrivare alla pompa. Mi ricorda che li dove siamo, sull’asfalto ghiacciato, la motoslitta non curva. Io sono convinto di fare esattamente quel che ha appena fatto lui ma evidentemente qualcosa lo sbaglio, perché ad un certo punto la mia motoslitta punta decisamente contro la pompa e non al suo fianco dove dovrebbe andare. Non c’è modo di farle cambiare direzione, anche se basterebbero poche decine di cm di spostamento per portarla sulla retta via. La guida con modi molto

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poco gentili mi urla due o tre volte di fare qualcosa che però non capisco. Ad un certo punto spazientito viene verso di me, mi afferra il davanti degli sci senza tanti preamboli e complimenti e mi gira lui per indirizzarmi alla maniera giusta, così che io in qualche altro metro autonomamente mi posiziono infine a fianco della pompa. Gli dico che mi dispiace non aver capito cosa dovevo fare ma con tono altrettanto duro di quello che aveva usato lui con me gli faccio presente che io ho comunque fatto del mio meglio. Gli dico soprattutto di non provare più ad usare quei modi brutti, con me ma soprattutto con gli altri quattro che sono con me. Sembra che abbia capito e mi dice gentilmente come e dove devo mettermi con la motoslitta, dopo che lui mi ha riempito il serbatoio. Attaccato al tappo del carburante, visibile quando lo si toglie per fare il pieno, un sistema ad asta indica in un quadrante posizionato all’interno del tappo la quantità di benzina presente, senza bisogno di elettricità per funzionare. Una semplicità del veicolo probabilmente legata alle temperature estremamente

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rigide nelle quali deve funzionare, così come lo è forse la mancanza di una messa in moto elettrica.

La guida impiega circa dieci minuti per riempire di carburante anche le altre moto oltre la sua e la mia. Io avrei bisogno di una sosta un po’ più lunga, magari al caldo, soprattutto per riordinare il marasma di fazzoletti usati misti a nuovi che si è creato nelle mie tasche. Niente da fare: la guida dice che la prossima sosta si farà fra altre trenta miglia circa, dove mangeremo.

Per ripartire dalla posizione nel parcheggio in cui mi aveva fatto andare la guida questa mi dice di andare in avanti superando un argine di ghiaccio in pendenza trasversale. Ma appena provo a fare come lui vorrebbe mi accorgo subito che non ce la posso fare: la motoslitta scivolerebbe di lato finendo contro il rimorchio parcheggiato vicino. Lui probabilmente uscirebbe senza alcun problema da li in quel modo ma io non sono lui e non so usare la motoslitta come lui, per cui non ci riesco. Penso già che si

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dovrà ricorrere alla manovra di poco prima, afferrare uno sci da una parte e trascinare la mia motoslitta da un lato per metterla diritta, quando Giorgio viene in mio aiuto ricordandomi quel che mi ero già dimenticato….. cioè che esiste anche la retromarcia. In quel modo ne esco senza sforzo: era senz’altro la migliore manovra da fare subito.

Dietro di me, nel ripartire dal parcheggio, Pietro perde aderenza sul fondo ghiacciato. Accelerando al massimo, non so se volutamente o casualmente, fa compiere alla motoslitta ripetuti giri su se stessa. Una manovra che io vedo con la coda dell’occhio e ritengo in cuor mio un po’ avventata.

Dopo la sosta benzina non ci sarà più tregua e non ci saranno più soste. La velocità della guida sarà sempre più elevata. Mentre i miei compagni di viaggio sembreranno indifferenti a questa cosa, io farò sempre più fatica a tenere il ritmo. Anche perché il percorso a volte è tortuoso, con curve cieche dalle quali ogni tanto spuntano dall’altra direzione

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altre motoslitte a velocità elevate e che mi passano a fianco quasi sfiorandomi. Ci sono curve strette prima di salire su ponti speciali che attraversano fiumiciattoli parzialmente ghiacciati: qui se per caso sbagli la curva ci finisci dentro e congeli prima di accorgertene.

Insomma due ore così, con occhi costantemente puntati sulla pista. Nessuna fotografia. Naso che cola libero. Mai che io riesca a staccare il pollice dall’acceleratore per farlo riposare: quando arrivo agli incroci dove la guida e Luca + Luciana, che sono davanti e che vanno più forte, mi stanno aspettando, loro ripartono subito, così io per poterli seguire non riesco nemmeno a mollare il gas un momento

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MEGLIO NON ESAGERARE.

Arriviamo al Relais Sant Anne, un ristorante sulla pista per motoslitte ed accessibile in inverno solo con queste. Ho i muscoli del pollice che mi fanno un male terribile. Quando mi sposto dalla posizione praticamente immobile che ho forzatamente tenuto in quelle due ore sono tutto indolenzito. Soprattutto mi fanno male le articolazioni ed i muscoli degli occhi, che mi segnalano che senza ombra di dubbio ho la febbre oltre 38°, se non bastasse a dimostrarlo anche agli altri a distanza il mio colorito e gli occhi lucidi Chiedo a Giorgio se la guida in motoslitta gli piace e mi dice “si mi piace, ma mi aspettavo una cosa più hard”. Capisco che lui deve aver sofferto alla andatura per lui lenta che io gli ho imposto essendogli davanti. Ma sono sereno: io gli avevo detto di andare davanti e lasciare me in fondo, che io più forte di come stavamo andando (60 km/h nei tratti più veloci e più normalmente andature sui 35-40 km/h) comunque non avrei potuto

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andare, perchè già alcune volte mi era sembrato di andare oltre ai miei limiti. Io gli confesso invece i miei pensieri di tutto il mattino: “al di là del mio stato fisico, andare in questo modo non mi piace per niente. Mi sembra che non c'entra niente con il turismo che io avevo immaginato. Non sappiamo dove siamo e dove siamo passati. Non ci siamo mai fermati per fare foto o guardare qualcosa. Abbiamo sempre viaggiato ad una velocità per la quale era impossibile staccare gli occhi un attimo dalla pista. Questo per me non è turismo in moto, come non lo è fare cinquanta km di pieghe sulle colline senza alcuna sosta per arrivare il più in fretta possibile al bar in cima al passo. Come è quello che fanno da noi sull'asfalto quelli con le moto sportive. Un modo di usare la moto che non mi è mai appartenuto e che anche se sicuramente è divertimento puro per tanti, per me è solo cercare dei rischi quando si potrebbe stargli lontano”.

Mentre mangiamo penso che non potrò continuare in questo modo. Soprattutto

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per la mia salute ma anche per non continuare ad essere un peso con la mia andatura lenta agli altri, che sembrano invece divertirsi, per fortuna per loro. La guida mi informa che ci sono ancora cento km da fare prima dell’hotel di Baie Saint Paul. Io cerco di capire su una carta appesa nel bar dove siamo e se c'è quindi una possibilità di raggiungere presto un punto dove trovare un pick-up e farmi portare direttamente all’hotel della sera, dove poi decidere cosa fare.

Scopro così che le cose non stanno come pensavo che fossero al mattino: secondo quello che mi dice la guida (ma che poi scoprirò nei fatti essere un po’ diverso) nel contratto stipulato con l'agenzia non è previsto alcun servizio di assistenza a loro spese. Nel caso di interruzione del tour prima del tempo, per qualsiasi motivo, tutte le spese da sostenere per riportare la motoslitta alla base e per pagare servizi alberghieri diversi da quelli prepagati sul percorso sono a nostro carico. In effetti nel nostro programma di viaggio preparato per i soci in Italia non si

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parlava né in un modo né nell'altro di questo aspetto importante. Dico in cuor mio che probabilmente la guida ha ragione e se le cose sono veramente così abbiamo organizzato questa cosa in maniera superficiale. Giuro a me stesso che appena arrivato all'hotel devo chiarire questa cosa immediatamente con Mario, che ha organizzato e seguito lui la questione con l'agenzia canadese per la nostra associazione e ha preparato lui questo programma.

Intanto devo trovare il modo di arrivare all'hotel al più presto, aggravando il meno possibile le mie condizioni. La carta appesa nel bar non è abbastanza grande da comprendere anche i paesi e le strade asfaltate fino a Baie Saint Paul ed io non ci capisco quasi nulla. La barista chiama al telefono sue conoscenze. La guida mi prende da una parte e mi dice che la cosa sarà molto costosa: hanno trovato solo una persona che ha un auto con un rimorchio. Io dovrò guidare la motoslitta ancora per circa trenta km per raggiungerlo e poi serviranno 200 dollari.

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Gli dico senza pensarci che la mia vita vale di più di quella somma e che va bene così. Inizio a vestirmi con il pesante e protettivo abbigliamento fornitomi ma quando esco dal bar la guida mi informa tutto sorridente che hanno trovato ora un agricoltore disponibile con un pick-up. E’ più vicino, a soli dieci km, e si accontenta di soli 150 dollari. Fino a lui mi accompagnerà un addetto alla sicurezza delle piste, precedendomi con la sua motoslitta.

Nevica molto fitto. Piccoli fiocchi gelati e leggeri con una struttura cristallina perfettamente visibile, molto diversi dai nostri fiocchi di neve, ricoprono le motoslitte. Basta però soffiarci sopra perché volino via senza sforzo. “Deve essere la differente temperatura di cristallizzazione a crearli così, perché qui ora che sta nevicando secondo me non ci sono zero gradi come succede invece quando normalmente nevica a casa mia ma ci sono di sicuro almeno dieci gradi sottozero”. Lo dico a voce alta ma vengo ripreso da Pietro, che pontifica che

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quando nevica c’è sempre zero gradi e quindi anche li in quel momento non c’è il freddo che dico io. Lo lascio dire senza più contrariarlo, ma sono certo che in quel momento lui ha una altra delle sue certezze che sarebbe facilmente smentita con un po’ di tempo a disposizione. Come verificherò tornato a casa consultando un esperto, può nevicare infatti anche a temperature molto più rigide di zero gradi e questa cosa in Quebec, come da noi in alta montagna, è assolutamente normale.

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IL CONTADINO CANADESE MI PORTA ALL'HOTEL

L’appuntamento con gli altri e la guida è per la sera all'hotel. Gli dico di fare molta attenzione e parto, seguendo la motoslitta che mi deve accompagnare dal contadino, che ha un lampeggiante posteriore. Il mio salvatore va abbastanza piano ma non proprio lentamente, così che ad un certo punto lo perdo davanti a me. Nella distesa bianca, senza alcun paletto di riferimento visibile ed il cielo bianco opaco dalla neve fitta che sta cadendo, riesco a capire dove devo andare solo perché intravedo il suo lampeggiante di fronte. Come previsto in dieci km arriviamo nel cortile della fattoria. Il mio accompagnatore senza scendere dalla sua motoslitta gialla lampeggiante chiacchiera con la moglie in francese. Lei è una donna sui 45 anni dai capelli corti e lo sguardo furbo. Intanto il marito, che deve avere pochi anni di più, come se fosse la cosa più normale del mondo sale sul suo grande pick up rosso,

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lo sistema con il cassone all'indietro appoggiato contro una montagna di neve a margine del suo cortile, prende la mia motoslitta e facendo un lungo giro per salire sulla montagna di neve entra sicuro con il mio veicolo dentro al cassone. “Bravi ed organizzati” penso tra me e me. Mi sistemo nel posto del passeggero a fianco dell'autista mentre la moglie sale anche lei nello stretto spazio dei sedili posteriori in cabina.

Salutiamo l'addetto alla sicurezza delle piste che riparte con il suo lampeggiante da dove era venuto e partiamo verso il mio hotel. Le strade sono ghiacciate e ricoperte da neve come farina gelata appena caduta (e che continua a cadere) che vola dovunque al passaggio delle auto. L'autista del pick-up guida molto sicuro incurante delle condizioni dell'asfalto, secondo me quanto di peggio si possa immaginare in termini di aderenza stradale. Io me ne sto a guardare, con la stessa rassegnazione di quando sono su un aereo, con la quale cerco di tranquillizzare me stesso

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dicendomi che non importa preoccuparsi perché tanto se deve accadere qualcosa accadrà, altrimenti arriverò sano e salvo a destinazione. Mi accorgo qui che con la motoslitta, a forza di sentieri, dovevano essere saliti abbastanza di quota, perché per raggiungere la Highway - che corre lungo il fiume San Lorenzo, lo stesso che passa da Quebec City - dobbiamo scendere parecchio dal paesino dove abita l'agricoltore.

Arrivati sulla superstrada il nostro pick-up viene messo dal suo conducente a 110 km orari fissi mentre il resto del traffico viaggia almeno 30-40 km più lentamente di noi. Ad un certo punto una nuvola bianca si materializza davanti ed inizia a sporcare il nostro parabrezza. In pochi attimi questo si ricopre di una patina opaca e spessa oltre la quale non si vede più niente: spazzavetri in azione ma con misuri risultati. Basta un minuto e capiamo l'origine della nube oscurante: un camion enorme che viaggia anche lui oltre 100 km orari e che solleva il mondo intero al suo passaggio. Superato il mostro

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stradale finalmente un liquido bluastro fuoriesce timidamente dagli spruzzavetri del nostro pick-up e qualche goccia riesce a raggiungere il nostro vetro. Le spazzole ripristinano un po' di visibilità, almeno dalla parte della guida, ed io ritorno un po' più tranquillo. Dalla mia parte rimarrò però quasi accecato fino all'hotel. Chiedo all'autista se non è pericoloso andare così forte ma lui mi dice di stare tranquillo, che il pick-up è un 4 x 4. “Seeeeeeee” , mi dico tra me, “anche io a casa ho un 4x4 ma con il fondo ghiacciato hai voglia...”. Intanto la moglie, che è l'unica che parla un po' di inglese (pochissimo) cerca continuamente di attaccare bottone e mi fa domande su domande, senza però spesso capire le mie risposte (parla inglese meno di me). Il marito non capisce niente di inglese, parla solo francese. Mi dicono che hanno delle mucche. Sono quegli animali che inequivocabilmente nel linguaggio internazionale fanno "mmuuuu" (avessi qui con me la mia invenzione, il cibolario, con i suoi piccoli disegni, come sarebbe più facile capirsi!). Gli chiedo gesticolando se sono mucche da latte, e

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lei mi dice che “no, non sono da latte, sono da carne”, elencandomi le specie, tra le quali io capisco l'unica che conosco, la limousine. Sono circa 50 animali e cerco di capirne di più. “Come fanno con 6 mesi all'anno di neve ?” Risposta ovvia, “gli danno il fieno”. Io gli chiedo se in balle rotonde o quadre e loro mi dicono un po' ed un po'. Quando cerco di approfondire i dettagli tecnici di queste balle di fieno devo arrendermi, perché le loro unità di misura sono inglesi ed io non riesco a comprenderle. Mi trovo a pensare “che strano paese questo, dove i locali parlano solo francese, hanno la regina inglese sulle banconote da 20 dollari, i cartelli stradali sono in km e le unità di misura di volume, peso e dimensioni delle balle di fieno non sono però in litri , chilogrammi, centimetri o metri ma sono in galloni, once, pollici e piedi.”

Sono simpatici e penso che se torno qui in estate in moto magari passo a trovarli. Gli dico che anche io in Italia ho una piccola azienda agricola, con animali che fanno "bbbeeeeeee" . Lei capisce che sono

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capre. Io a dirgli che “no, non sono capre, ma comunque fanno bbbbeeeeeee" . Lei finalmente capisce che sono pecore e dice al marito "mounton". Gli dico dei lupi e che la mia azienda voglio chiuderla. Loro mi dicono delle alci e degli incidenti stradali. La moglie vede che continuamente ho bisogno dei kleneex e mi offre gentile delle salviette umidificate molto più resistenti. Poi, presa da non so cosa, si mette a sfregarmene una sul collo e sul viso con un sorriso ambiguo. Il marito intanto ha gli occhi incollati all’asfalto. Mah...

Arrivati all'hotel, che io scorgo all’ultimo momento alla nostra sinistra mentre loro stanno proseguendo diritto sulla strada senza accorgersi di nulla, la moglie tutta tranquilla mi dice che deve andare a fare subito la pipì e sparisce nella hall dell’hotel. Non la vedrò più. Appena sono sceso la mia prima curiosità è controllare le ruote di questo straordinario veicolo che a quella velocità senza mai un minimo slittamento ci ha portato fin qui. “Sono gomme chiodate, ecco il segreto! Diavolo

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di un agricoltore, potevi dirmelo subito, che stavo più tranquillo durante il viaggio!” Intanto che io guardo i pneumatici il marito è già dentro alla hall e parla con la signora di mezza età che è alla reception. Le sta chiedendo i 150 dollari promessi per il mio trasporto dalla barista che gli aveva telefonato dal bar sulle piste. La signora dell'hotel, che ovviamente non sa nulla di noi, lo guarda come se lui fosse un matto. Prontamente intervengo dicendogli di stare tranquillo, che i suoi soldi glieli do io. Lui chiede allora dove deve andare a scaricare la motoslitta: la signora a gesti gli indica il retro dell'hotel. Parte spedito, esce dalla hall e si avvia con il pick-up. Io attendo che mi diano le chiavi della stanza poi, per andare a prendere il mio bagaglio, che era rimasto legato alla motoslitta, esco di nuovo e seguo le tracce nella neve del pick-up che è andato verso il parcheggio. Cammino a testa bassa cercando di non scivolare sul fondo ghiacciato del marciapiede. Intanto penso che “di sicuro il pick-up lo troverò sistemato davanti ad una rampa ricavata

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nella neve, che ogni hotel qui in Quebec in inverno avrà di certo preparato per i clienti che arrivano con le loro motoslitte caricate sui loro mezzi”. Niente di più sbagliato: trovo il contadino nel mezzo del parcheggio che ha già slegato la mia motoslitta e la sta tirando a mano fuori dal cassone, senza che ci sia niente su cui appoggiarla. Non credo ai miei occhi e penso: “non avrà mica intenzione di scaricarla così, di peso dal cassone alto più di un metro, senza una rampa ?” Invece si, mi dice di aiutarlo a tirare, che si fa così a scaricare la motoslitta. Sono come in trance, mi sembra una operazione da matti. Ma lui sembra tanto sicuro di quel che deve fare che non mi resta che seguire le sue istruzioni. Tiro anche io con una mano. Con lieve sforzo il cingolo posteriore alla fine arriva in una posizione tale che crolla al suolo, effettivamente senza alcun danno. La motoslitta ora però è appoggiata con i due sci anteriori ancora sul cassone. A me pare proprio un cosa difficile farla scendere per bene. Lui però non è preoccupato: armeggia immediatamente

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con il posteriore del veicolo che appoggia al suolo mentre io di lato osservo e sono sempre meno convinto che lui stia facendo la cosa giusta. Il tutto dura un periodo di tempo troppo breve perché io, che ormai ho capito che sta per succedere un disastro, possa intervenire e fermarlo e.... crash ! la motoslitta crolla al suolo sul lato destro rimanendo "impiccata" con lo sci sinistro appoggiato al cassone, mentre io saluto in cuor mio i 1.500 dollari di franchigia per i danni al veicolo che ho sottoscritto alla consegna con la mia carta di credito. Un altro suo strattone e la moto crolla al suolo anche con lo sci sinistro e si rimette diritta. Io sono sicuro di trovarmi davanti al triste spettacolo della carrozzeria di plastica nera lucida spezzata, o quantomeno seriamente sverniciata, e qualche altra cosa di rotto. Invece niente, solo dei piccoli graffietti sulla plastica gommosa ed opaca della parte più esposta ed un piccolo taglietto di qualche mm sulla gomma della manopola destra, che forse nessuno di quelli dell’agenzia neanche vedrà. La carrozzeria di plastica è uscita

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dalla sua sede ma basta un click perché rientri al suo posto. Sembra davvero che non sia successo nulla e sono ancora incredulo. Inizio a pagare l'agricoltore con i dollari canadesi che ho in tasca 20, 40, 50.... finiti ! Allora apro la cassa dei dollari americani, ne prendo 100 e glieli do in mano, dicendogli che valgono di più di 100 dollari canadesi e cerco di riprendermi un pezzo da 10 dollari canadesi di quelli già dati. Ma lui, con un impercettibile movimento della sua mano, li fa sfuggire alla mia presa e mi guarda con una espressione vacua. Provo di nuovo a riprendermi i miei 10 dollari canadesi pagati in più allungando di nuovo la mia mano ma con un altro suo impercettibile movimento la banconota rimane in mano sua. Rinuncio pensando “ma vaffanc....... tienti 'sti 10 dollari in più e sparisci dalla mia vita, io ho bisogno di andare a letto”.

Se ne và. Io rimango con la motoslitta nel centro del piazzale ed in qualche modo devo toglierla da li in mezzo. Come avevo imparato nell'area di servizio al mattino,

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sull'asfalto ghiacciato la motoslitta non cambia di un cm la sua direzione e mi è inutile tentare di fagli fare qualche manovra sterzando. Provo a mettere la retromarcia, con la quale riuscirei forse meglio, ma la motoslitta si spegne tutte le volte che provo. Ogni volta il motore va riavviato tirando la corda a mano ed è anche un po' faticoso. Al quarto tentativo rinuncio, scendo e trascino a mano il davanti della motoslitta, in modo da indirizzarla verso un posto che mi pare possa andare bene. Poi la rimetto in moto, faccio i venti metri necessari per sistemarla dove non da fastidio e la lascio definitivamente li.

Dentro al vestiario imbottito sono tutto sudato. Mi carico tutti i bagagli addosso e cerco l'ingresso della mia stanza, che danno tutte sul parcheggio come in tutti i motel americani. Ma dopo aver girato inutilmente capisco di essere nel lato sbagliato dell'hotel. “Qui in questo parcheggio si affacciano le stanze pari, mentre io ne ho una dispari, maledizione!” Torno davanti all'hotel,

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rientro nella hall e chiedo da che parte devo andare per la mia stanza, pensando di dover uscire di nuovo e aggirare l'hotel dall'altro lato. Fortunatamente c'è un corridoio interno, al fondo del quale c'è la porta della mia stanza.

Sono le 4,45 del pomeriggio, non ne posso più: mi spoglio e mi butto sul letto. Dopo dieci minuti mi rialzo, faccio bollire un po' di acqua con la macchina per fare il caffé all'americana che c'è in tutte le stanze di hotel di tutto il nord-America e quando è bollente ci sciolgo dentro tutte le bustine di zucchero che ci sono nel kit caffé, almeno sei, per darmi un po' di forze.

Poi chiamo Mario e gli racconto quel che è successo ed i disservizi che ho notato. Una telefonata di 15 minuti (che scoprirò al mio ritorno a casa costerà oltre 40 euro).

Infine mi addormento.

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LA LITIGATA CON IL GRUPPO.

Alle 7 di sera il telefono della stanza mi sveglia: è la guida che mi chiama a cena. In una decina di minuti mi vesto e li raggiungo. Sono tutti e quattro nella hall. Qui finalmente vedo delle dettagliate carte geografiche, una per ciascuno di loro, stese sui tavoli. La guida, con un evidenziatore giallo, sta segnando tutto il percorso del tour che sarà fatto nei cinque giorni, indicando anche le soste dei pranzi, cene, pernottamenti. Sono carte specifiche con le piste per le motoslitte. La guida sta facendo proprio un bel lavoro. Non so se questo lavoro lo sta facendo perché forse Mario dall'Italia ha chiamato il capo dell'agenzia per lamentarsi di questa mancanza (come ho detto, prima di addormentarmi io mi ero lamentato con Mario di questa cosa) o perché invece questo era previsto da sempre. In ogni caso è una cosa ben fatta e va bene così. Ci portiamo al tavolo per la cena.

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Gli altri quattro mi dicono che nel pomeriggio, dopo avermi lasciato, con le motoslitte sono andati veramente forte ed io non ce l’avrei fatta a stargli dietro. La guida dice a tutti che domani la tappa sarà più dura di oggi e dopodomani ancora di più di quella di domani.

Prima di andare a letto dobbiamo decidere cosa fare di me, perché domattina devono partire presto - alle 8 - e non si può organizzare nulla. Gli dico: “ovvio che sia così, sono d'accordo, parliamone. Quali alternative esistono per risolvere il mio caso? “

La premessa della guida è chiara: “le spese per riportare la motoslitta alla base di Douchenay sono tue e gli hotel sono già pagati sul percorso, ma se dormi e mangi da altre parti fino al prossimo sabato dovrai pagarli tu.”

Prima soluzione proposta dalla guida: “c'è un mio amico disposto a guidare la tua motoslitta gratis per tutto il percorso e tu puoi fare da passeggero”. “Non se ne parla neanche, ho paura se guido io piano, figurati se devo fare da passeggero

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ad uno che sicuramente filerà con un missile per tutti i 900 km che mancano alla fine del tour. E poi la posizione del passeggero, a gambe troppo divaricate, potrebbe essermi insopportabile: già avevo avuto quella esperienza per 200 km in California in estate, dove avevo fatto il passeggero su un Harley perché avevo forato la mia Bmw. In quel occasione i legamenti delle mie anche dolevano insopportabili e facevo fatica a scendere dalla moto quando ci fermavamo. In ogni caso le mie condizioni non sono tali da potermene stare al freddo che c'e' per giorni interi già a partire da domattina”. Seconda soluzione: “il mio amico guida la motoslitta da solo, tu raggiungi gli hotel in taxi. Costo di taxi per tutto il giro 700 - 800 dollari, non si sa di preciso, sono circa 1.000 km da fare”. Ci molla li a pensare a quella soluzione e torna dopo poco dicendo che “quella soluzione non si può fare perché non ho trovato nessun amico che ha tempo di fare il tour al tuo posto”.

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Io gli chiedo se molto semplicemente “non posso lasciare la motoslitta li dove sono arrivato e tornare a Douchenay in qualche modo, come avevo capito al mattino che potevo fare se stavo male?”. Mi dice “si, ma il recupero della motoslitta da parte della agenzia ti costerà 300 o 400 dollari e l'hotel dove eravamo ieri, giù a Douchenay , ti costerà circa 200 dollari al giorno più il costo del tuo ritorno a Douchenay. Almeno 75 dollari da Quebec City a Douchanay, più il bus per arrivare a Quebec City.” Facciamo due rapidi conti e vengono sempre fuori quei 800 - 1000 dollari da spendere per me per saltarci fuori.

Giorgio propone una soluzione che inizialmente mi sembra ottimale: “tu noleggi un pick-up qui, carichi la motoslitta e raggiungi autonomamente gli hotel previsti nel giro” Ma quando approfondiamo anche questa soluzione viene scartata: costo del solo noleggio del pick-up almeno 200 dollari al giorni, benzina da pagare, quindi alla fine gli stessi 1000 dollari o più. Ed inoltre io

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dovrei guidare da solo con la febbre, cosa forse possibile al caldo di un abitacolo ma comunque non proprio leggera.

Io sono irritato da questa situazione in cui mi trovo, che avevo dato per scontato che l'agenzia canadese pensasse a risolvere situazioni come queste. Dico alla guida che “se sapevo che le cose stavano così allora sarei rimasto direttamente all'hotel al mattino. Di questo dovevo essere informato, visto che avevo esposto a loro il mio stato di salute”. Il mio tono di voce mentre espongo queste mie recriminazioni con la guida è alterato, anche se non sono proprio furioso. I quattro amici del gruppo mi devono rimproverare perché secondo loro “ te la stai prendendo con la guida, che non c'entra niente”. Io ribadisco che “non ce l'ho con la guida ma al massimo con la sua agenzia, che in qualche modo comunque lui qui rappresenta”.

Cerco comunque di parlargli un po' meno arrabbiato, riconoscendo che forse avevo esagerato nei toni con il gigante buono…. passando a chiedergli intanto la fattibilità

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di una idea che mi viene in quel momento...

Avevo visto la precisione dei dettagli delle carte stradali delle piste per le motoslitte prima esposte sui tavoli. Avevo visto al mattino il grande traffico di escursionisti sulle piste ed i cartelli segnaletici agli incroci importanti. Chiedo allora alla guida “ci sono hotel, o comunque alloggi riscaldati, lungo i 200 km fatti oggi fin qui?” Lui mi dice di si. Allora gli chiedo “secondo te potrei partire dopo un giorno di sosta in questo hotel (o due giorni, se uno non sarà sufficiente a rimettermi in salute), per tornare indietro da solo alla base di Douchenay con la mia motoslitta, sulla strada già fatta oggi? . Facendo però la strada in due giorni, o anche tre. Con i miei tempi, alla mia velocità, con le mie soste, secondo solo quello che mi sento di fare?”. Lui pare entusiasta di questa idea. Mi dice che “in due giorni quella pista di oggi la puoi fare benissimo, troverai sulla pista tanta gente disposta ad aiutarti, ci sono posti da dormire e mangiare sul percorso e non devi preoccuparti. L'unica

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tua vera difficoltà sarà uscire dal paese dove siamo adesso per raggiungere le piste per motoslitte vere e proprie, sulla montagna. Bisogna passare con la motoslitta attraverso parcheggi, aree di servizio, marciapiedi, con un percorso non segnalato e non proprio facile da trovare, per il quale servirà circa una ora. Ma basterà che tu chieda la strada alla gente per trovarla”. Giorgio, che intanto si era spostato da dove era rimasto seduto a cenare, tra me e la guida, mi dice che ”tu sei matto a pensare di tornare indietro da solo, non è vero che il sentiero è sempre ben segnalato” Riesce a mettermi un po’ di paura. Esagera però quando aggiunge che “noi - lui no, che lui in motoslitta e moto d'acqua ci sa andare- siamo tutti dei "coglionazzi", perchè non si parte dall'Italia per andare a fare 1.000 km in motoslitta se questa non la si è mai guidata”. Aggiunge che “io a Pietro gli avevo detto di provare la motoslitta prima di partire, anche se poi lui non l'ha fatto”. Io gli dico che “con il senno di poi ho capito anche io che la cosa non era

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facile come mi avevano detto in Italia. Ma non mi sento un coglionazzo solo perché mi sono fidato di un amico che aveva già provato quella esperienza, come me senza mai averlo fatto prima e non aveva avuto problemi” Guardo Luca e Luciana, ed anche Pietro, per vedere se sentirsi dare dei "coglionazzi" da Giorgio li ha offesi ma non leggo niente sui loro volti. Cosa pensano loro di Giorgio rimarrà per me per sempre un mistero.....

Ma la guida insiste che quella a cui io ho pensato è una soluzione facile. Dico alla guida: “intanto che io rifletto su questa ipotesi pensiamo anche ad un altra soluzione, anche perché un giorno o due di sosta potrebbero non essere sufficienti per me per riprendermi” Allora lui chiede qualcosa alla cameriera, che torna e dice che “forse c'è mio fratello disposto dietro modico pagamento a portare indietro alla base la tua motoslitta sulle piste dopo-domani, se tu non te la senti. Tu puoi tornare verso Quebec City e la base delle motoslitte in autobus quando vuoi. Ho

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provato però a chiamare mio fratello al telefono ma non mi risponde.

“Eccola qui la soluzione”, penso io, ma intanto la guida con aria furba mi dice a sorpresa che ora ha avuto una idea migliore........

Io ascolto incredulo: “io ti riporto la motoslitta indietro stasera alla base e poi, stasera o domattina presto, ritorno qui con la mia macchina e te la presto. Così io se te la senti continui con quella da hotel ad hotel per stare con gli altri e fare anche tu il tour, anche se in macchina. Altrimenti ritorni alla base di Douchenay e ci aspetti li fino a Venerdì. Ovviamente mi devi dare una bella mancia....“ Io gli dico immediatamente “non prendermi in giro, sono già le 9 di sera, siamo a 120 km dalla base via strada asfaltata e oggi avete fatto 200 km sulle piste, mettendoci 6 ore, per arrivare qui, non si può fare una cosa così.” Lui tra l'offeso ed il divertito mi dice “non sto assolutamente scherzando, ho 53 anni e guido la motoslitta su queste piste da quando sono nato; per me sarà

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una cosa divertente e se vuoi scommettere ti dimostro che in poco più di tre ore sono qui di ritorno in macchina” e conclude in modo serio ed imperativo guardandomi diritto negli occhi "give me your key, now ! " A me sembra ancora una cosa da matti ma mi dico con me stesso: “va bene, gigante buono, mi hai convinto. Sei una persona più che adulta; sicuramente sei responsabile visto che una organizzazione come la tua agenzia ti affida dei gruppi; sicuramente conosci quel dedalo di piste e le scorciatoie, sai guidare la motoslitta come io so guidare la mia moto sulle mie strade di casa o anche meglio.... va bene! Non ti voglio togliere la possibilità di far fare bella figura alla tua agenzia e guadagnare anche qualcosa di importante per te, che io altrimenti darei ad altri, e ti ringrazio molto per togliermi da questo casino”.

Pensando che la cosa è risolta, mi alzo ed abbandono la sala per andare in stanza a prendere la chiave della motoslitta.

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Torno nel ristorante che c'è la rivoluzione. Pietro è furioso. Non faccio in tempo ad arrivare al tavolo che mi aggredisce verbalmente dicendomi che “tu non sei una persona seria, sei un irresponsabile che non pensa a noi quattro ed ai guai in cui ci stai mettendo. Se capita qualcosa alla guida stasera, poi noi domani non sappiamo come fare. Io non sono d’accordo e non si può fare che la guida riporta adesso la tua motoslitta alla base”. Io non ci sto a sentirmi offendere così e gli dico in modi altrettanto bruschi “stai calmo ed attento alle parole; non sei tu a poter decidere questa cosa; non puoi stare a sindacare quello che la guida farà da adesso alle 8 di domani mattina perché per quanto ne sappiamo noi lui potrebbe andare con delle donne e non dormire tutta la notte o ubriacarsi fino al mattino senza che noi lo si possa controllare; quindi potrai protestare con me e l'agenzia canadese eventualmente solo se domani alle 8 la guida non sarà pronta a partire come deve essere. Ed in ogni caso l'ha proposta la guida quella soluzione, ha insistito lui quando io per

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primo gli ho detto che era una cosa da matti e quindi quella è una sua decisione di uomo maturo, per la quale non sono responsabile io. Se capitasse veramente qualcosa il responsabile sarà solo lui, che sicuramente però farà in modo parlando con il suo capo di tutelarsi da eventuali incidenti in modo che a voi quattro non debba cambiare nulla per domattina.” Pietro replica dicendomi che “dal momento che tu accetti la proposta della guida è come se fossi tu a decidere che lui deve andare e quindi la responsabilità è tua”. Io provo a replicare che “non è per niente logica questa tua conclusione” ma a quel punto esplode Giorgio, che urlando mi dice che “anche se non te l'ha ancora detto nessuno” e solo lui lo sa come poteva pensare che non fosse mai successo - quando invece purtroppo era già successo in qualche caso, con tutte le persone che ho portato in giro in tutti questi anni “tu sei un gran coglionazzo che mi ha rotto il cazzo. Mi hai rovinato la serata con i tuoi discorsi, mi hai rovinato la giornata andando piano e se non sai guidare la moto” o la motoslitta,

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io non riesco a capire a cosa si riferisce “non sono cazzi miei, io ho pagato, sono un cliente, ci vedremo in tribunale perchè tutto questo è una organizzazione di merda . . ” eccetera eccetera. Io non provo nemmeno a replicare, gli dico solo che “a questo punto anche tu mi hai rotto il cazzo, scrivimi al ritorno le tue ragioni, poi vedremo”.

La guida canadese cerca di fermare la nostra litigata. Per calmarli gli dice che farà allora quello che vogliono loro: “se siete d'accordo andrò a riportare la sua motoslitta alla base stasera, altrimenti me ne starò in hotel”. Lo chiede a Luca e Luciana, e poi Pietro (Giorgio dopo il suo sproloquio stava già andandosene dalla sala) e la loro risposta è scontata: “tu non andare !”

Io sono doppiamente sconfitto. Mi alzo per ultimo dal tavolo e mi incammino verso la stanza, quando il gigante buono, che tanto buono ora non mi sembra più, mi si avvicina e mi dice piano che “adesso chiamo il mio capo al telefono. Se lui è d'accordo la motoslitta te la riporto alla

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base lo stesso, stasera, anche se gli altri non vogliono”. Gli dico che “a quel punto fai quel che credi, io sono troppo stanco, avvilito ed ammalato per pensare ancora.”

Andiamo nella sua stanza per telefonare ma il suo capo è irraggiungibile. Lui mi chiede allora cosa farò io domani o nei giorni prossimi ed io gli rispondo “non preoccuparti più per me, io vedrò solo domattina cosa fare della mia vita. Una soluzione in qualche modo la troverò come l’ho sempre trovata.”

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MAI CONTARE SULLE ASSICURAZIONI

Martedì 3 marzo 2009.

Alle tre di notte sono già sveglio. In Italia sono già le nove di mattina. Chiamo l'agenzia viaggi di Verona dove avevo fatto l'assicurazione sanitaria per dirgli del mio caso. Loro mi dicono di chiamare direttamente l'assicurazione. Mi leggo per bene tutte le clausole della polizza poi chiamo la MONDIAL ASSISTANCE, con la quale avevo stipulato la polizza GLOBY ROSSO. Mi risponde un anonimo operatore di call-center che mi mette in comunicazione con un altro poi con un altro ancora. Alla fine riesco a spiegare cosa mi sta succedendo. Mi viene detto che sarò richiamato. Così avviene nel giro di pochi minuti: una gentile operatrice mi conforta dicendomi che mi manderanno nel mattino un medico, o qualcuno per portarmi da un medico.

Approfitto che sono sveglio per mandare un SMS a Giorgio. L'assicurazione sanitaria che abbiamo è una sola per me, Pietro e

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Giorgio. A Giorgio io gli avevo scritto una email prima di partire, dicendogli di fare una copia anche lui e prenderla con se. Ma non so se l'ha fatto, nonostante tutto non voglio che se poi capita qualcosa loro siano nei guai. Gli scrivo il numero di telefono della assicurazione ed il numero della polizza. Ma gli scrivo anche che appena tornato in Italia gli restituirò le quote della associazione. Non aggiungo niente ma è scontato quello che vuol dire quel che gli scrivo: “che loro dei viaggi con la mia associazione non ne faranno più”.

Alle 7,40 del mattino, mentre sto dormendo, il gigante buono bussa alla porta della mia stanza e mi dice tutto contento che “è tutto a posto, il mio capo mi ha detto di non preoccuparti, la motoslitta la riportano alla base loro senza spese per te e quindi sei libero da quella preoccupazione.” E’ molto soddisfatto di quel che ha da dirmi e per qualche attimo un po' soddisfatto lo sono anch'io, fino a quando un attimo dopo non penso in cuor mio “maledizione, gigante

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buono che non avevi colpe, se le cose stavano così ed il problema non c'era, allora che senso avevano avuto tutte le discussioni di ieri sera al ristorante per trovargli una soluzione, culminate alla fine con la litigata con tutti quelli che fino ad allora erano miei amici ? Togliti di torno al più presto”. Lo congedo con una stretta di mano poco sincera mentre mi raccomando con lui di “non andare troppo forte sulle piste, i miei ex-amici sono sicuramente più bravi di me a guidare la motoslitta ma comunque non sono degli esperti. Se capita qualcosa, poi nei guai ci siete di nuovo”.

Lui esce ed io me ne torno a letto. Nessuno dei quattro ex-amici si presenta alla mia porta per salutarmi o solo per sentire se sto ancora male. Io non ci penso nemmeno di sacrificare un minimo del mio riposo terapeutico al caldo del mio letto per vestirmi ed andare a cercarli, dopo tutti gli insulti di ieri sera, e così mi riaddormento. Mi dispiace non salutare almeno Luca e Luciana, che nella discussione della sera erano stati gli unici

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a rimanere moderati e mai offensivi, ma pazienza.

Alle 9 mi risveglio che ho fame e vado a fare colazione, ma appena ho finito mi arriva una gran debolezza e torno così nel letto.

Alle 11 mi sveglio di nuovo e realizzo che nessun dottore è venuto a cercarmi e nessuno mi ha telefonato per darmi altre istruzioni. Nervoso telefono di nuovo alla Mondial Assistance in Italia, dove a forza di passa la linea di qua e passa la linea di la riesco finalmente a parlare con una voce maschile che sembra conosca la mia pratica. Io ascolto sbigottito: “guardi, non verrà nessun medico a vederla, il nostro corrispondente ci ha detto che la clinica più vicina a lei è a 325 km di distanza e quindi deve arrangiarsi da solo, a rimborso”

“Come devo arrangiarmi da solo e come la clinica più vicina è a 325 km di distanza? Io sono in un paesino in Quebec dove c'è tutto quel che serve e dove una clinica c'è di sicuro entro qualche km di distanza dall'hotel e comunque” gli dico

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“sono a circa 100 km di distanza da Quebec City, che è la capitale di tutta questa regione. Non sono in un posto sperduto. Non sto bene, ho la febbre e fuori ci sono almeno 15 gradi sottozero, non so se faccio bene a starmene in giro a cercare una clinica per conto mio”. Lui mi dice che allora nel giro di qualche decina di minuti mi richiameranno per dirmi dove devo andare, con mezzi che devo comunque trovare io, a farmi visitare.

Comincio a capire che le cose stanno andando male e mi preparo al peggio. Vado ad informarmi alla reception di come stanno le cose. La stanza deve essere liberata entro le 12,30 altrimenti devo pagare un altro giorno, circa 150 dollari escluso i pasti. L’autobus per Quebec City parte alle 12,30, il biglietto costa circa 30 dollari e la stazione è vicina, meno di 5 dollari di taxi. Il vestiario imbottito ed il casco sono molto ingombranti e non posso prenderli con me perché non ci riuscirei. Chiedo allora se me li possono tenere loro, per consegnarli insieme alla motoslitta all’agenzia: la loro

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risposta è che non ci sono problemi. Intanto dall'assicurazione non chiama nessuno.

Chiamo allora il titolare della agenzia canadese delle motoslitte per dirgli che io devo andare a Quebec City ed ho due problemi da risolvere. Primo problema: trovare un hotel non troppo costoso e non troppo lontano dal centro (nel caso debba poi andare in una clinica a farmi vedere secondo le indicazioni della assicurazione) comunque in direzione dell’aeroporto. Secondo problema: recuperare la mia borsa ed il resto dei miei bagagli lasciati alla base di Douchenay prima della partenza con la motoslitta e consegnare la loro giacca, che non posso lasciare li all’hotel ma mi serve per raggiungere la città senza congelare, visto che la mia è rimasta alla base. Mi da il nome di un hotel a Quebec City che dovrebbe essere a pochi minuti a piedi dalla stazione dell'autobus e mi dice per il secondo problema di chiamare la base a Douchenay e parlare con una ragazza di nome Amy, che potrà raggiungermi alla

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sera in hotel per lo scambio del mio materiale con il loro. Intanto non chiama nessuno dell'assicurazione.

Ho ancora qualche decina di minuti prima che parta l'autobus e ne approfitto per telefonare all'hotel di Quebec City e prenotare la stanza. “Non si sa mai che quando arrivo questo sia già pieno e mi tocchi stare in giro a cercarne un altro, con la febbre che ho.”

Arriva il taxi. Do un ultimo sguardo alla motoslitta parcheggiata davanti alla reception, con la quale mi ero immaginato alla mia partenza in Italia di scivolare silenzioso in mezzo a paesaggi da favola (con la quale non è escluso che in futuro, con altri compagni di viaggio, con altri ritmi ed una guida diversa io non riprovi l'avventura) e mi avvio in taxi verso il bus.

La biglietteria dell’autobus è un bar. Mi danno un biglietto che sembra uno scontrino e che quando arriva l'autobus il conducente mi ritira, lasciandomi così senza ricevuta per un eventuale richiesta di rimborso all'assicurazione. Il costo però

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è modico, solo 23,80 dollari, pari a circa 17 euro. Improvvisamente mi accorgo che la sera prima, fra tante ipotesi illustrate e discusse con la guida, quella di spostarsi da un hotel all'altro, fino a tornare alla base, con i mezzi pubblici, che adesso scopro essere così economici, e non in taxi, costosissimo, nessuno l'aveva pensata ma forse sarebbe stata la soluzione migliore. Pazienza. Intanto non telefona nessuno dalla assicurazione.

Mentre aspetto il bus chiamo l'agenzia viaggi di Verona e gli chiedo di verificare se è possibile anticipare il mio rientro in aereo. Mi confermano che c'è posto anche il giorno dopo e per lo spostamento della data prevista c'è una penale di 180 euro più spese di agenzia. Gli dico di prenotare per domani ed intanto arriva il bus.

Mi accomodo sull'autobus e mi metto in osservazione di quello che vedo fuori e di quello che vedo dentro. L'autobus è pieno a metà, ci sono ragazze e ragazzi giovani, signore di mezza età. Nessuno parla con nessuno, o quasi, per tutta la durata del tragitto, che sarà di circa 1 ora e mezza.

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Davanti a me c’è un ragazzo ciccione tatuato che guarda film con il suo portatile. Fuori una splendida giornata di sole, case semisepolte dalla neve, piccole, ognuna con il suo garage. Alcune industrie di lavorazione del legno dove tronchi, macchinari, camion aspettano il disgelo sepolti dalla neve. Un ragazzo in motoslitta si arrampica su per un pendio ripidissimo: sono sicuro che non ce la farà ad arrivare in cima, anche se poi non capirò come riuscirà a tornare in fondo perché spostandomi con l'autobus gli alberi me lo copriranno alla vista proprio nel momento in cui lui rimarrà bloccato a metà pendio e dovrà fare la manovra per scendere giù. Una cattedrale bellissima grigia sta nel centro di un paese ormai non troppo lontano da Quebec City che però non so proprio che paese sia. Intanto nessuno telefona dalla assicurazione.

Finalmente arriviamo a destinazione. Sceso dal bus il taxista mi dice però che il mio hotel non è proprio vicino alla stazione come mi hanno detto quelli dell’agenzia: è circa a 20 minuti in taxi e

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serviranno circa 25 dollari canadesi, che io ho solo in parte. Lui non accetta la carta di credito ma in via eccezionale può accettare i dollari americani che mancano al totale. Nel tragitto gli racconto un po' dei miei guai e lui mi dice che ha portato in giro altri turisti, specie francesi, che vengono qui con le motoslitte. Nessuno si era mai lamentato, anche se era la prima volta che usavano una motoslitta, anzi erano tutti contenti. “Forse sei finito con una agenzia sbagliata”, mi dice, ma io gli dico che “non c'era niente di sbagliato nell'agenzia, che anzi pareva ben organizzata. Solo che le mie aspettative erano diverse e le cose sono andate da subito storte quando non era chiaro da subito come affrontarle”. Intanto nessuno telefona dalla assicurazione.

Arrivo all'hotel che sono da poco passate le 14 e 30. Do tutti i dollari canadesi che ho al tassista ed il resto in dollari americani come pattuito e lo saluto. La stanza costa un poco di più di quello che mi avevano detto al telefono, per colpa di quella continua ambiguità sul costo netto

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e lordo di tasse secondo la quale, anche nei negozi, nonostante il prezzo esposto alla fine non sai mai, prima di andare alla cassa, cosa costa veramente un oggetto. Sistemato in stanza chiamo Amy della agenzia Kaomoutik per dirle dove sono alloggiato e dove deve portarmi la borsa e ritirare la giacca. Mi dice che sarà all'hotel alle 17,30. Scendo quindi per mangiare qualcosa, che non ne posso più, ma maledizione in quel hotel fino alle 18 è tutto chiuso e non c'è nemmeno una macchinetta distributrice di merendine confezionate. Mi dicono alla reception che dovrei uscire in strada, c'è un centro commerciale vicino. Ma di andare al freddo non ne ho voglia. Torno quindi in camera ed aspetto che arrivino le 17,30 mandando SMS agli amici e a Magica in Italia, mentre alla tv guardo video di vecchi brani degli U2. Alle 17.00 squilla il telefono in stanza: Amy è già arrivata con mezz'ora di anticipo. Raccolgo in fretta le cose da darle e scendo alla reception. Scambio veloce di beni e torno in stanza. Intanto nessuno telefona dalla Mondial Assistance.

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Alle 19,30 scendo per la cena. Mi propongono un buffet italiano che inizialmente mi tenta, poi decido che le cose italiane è meglio mangiarle in Italia e quindi mi faccio portare il menu, dove scelgo portate che mi sembrano più tradizionali dei luoghi. Di fianco a me alla mia destra una coppia di sessantenni giapponesi, sicuramente in viaggio turistico. Nell'altro tavolo alla mia sinistra un gruppo male assortito di sei persone che non si capisce in che rapporti stanno tra loro. Quattro ragazzi sui vent'anni fra i quali due femmine molto carine in viso ma con già troppa ciccia nelle curve, che altrimenti sarebbero proprio giuste, e due persone sui cinquanta anni, lei in abito attillato scuro, né magra né grassa, ancora sexi, lui con giacca e pantaloni grigio, capelli bianchi, immagine di direttore di banca di piccola filiale. Intanto nessuno chiama dalla assicurazione e io sono rassegnato che nessuno chiamerà più.

Torno in camera e per ingannare il tempo scelgo nel menu dei film a pagamento

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quello che dura di più (166 minuti) e che mi pare sia più adatto al sottoscritto, AUSTRALIA, con trama romantico –avventurosa – paesaggistica. Si rivelerà davvero un bel film, strappandomi più volte lacrime, cosa del resto nel mio caso abbastanza frequente quando guardo film di quel tipo.

Mi preparo a dormire che è mezzanotte, mentre dalla stanza a fianco mi arrivano rumori insolenti di due che fanno l’amore.

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IL RIENTRO IN ITALIA

Mercoledì 4 marzo 2009.

Al mattino mi sveglio che i vicini nella stanza a fianco stanno ripetendo la performance della sera. Scendo subito per fare colazione, ottima ed abbondante. Prima di risalire in camera entro nel piccolo negozio di cartoleria, giornali e cose varie dentro all'hotel per comprare dei pacchetti di fazzoletti di carta per il viaggio ed un bloc notes. Ho deciso infatti che per passare meglio il tempo necessario nel ritorno verso casa proverò a raccontare questi giorni. Ma la signora del negozio non accetta la carta di credito e neanche i miei dollari americani. Vado alla reception ed il cambio dollari americani – dollari canadesi non lo fanno. Provo a fare un prelievo alla macchinetta ATM dispenser di cash interna all'hotel, ma l'unica carta di credito che non accetta è la mia VISA. Penso amareggiato che “è incredibile, sono in uno dei paesi più civili al mondo, con quattro carte di credito in tasca ed

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almeno 1.000 dollari americani in contanti e non ho modo di comprare dei fazzolettini di carta per il mio naso che cola”. Alla fine, mettendo insieme tutte le monetine canadesi che ho sparse nelle varie tasche, almeno un pacchetto di kleneex riesco a farmelo dare. Due pacchetti la signora non me li da, perché per arrivare anche al secondo mi manca qualche centesimo di dollaro.. “Ma vaffanc….” .non posso fare altro che pensare.

Il mio aereo per Newark sarebbe alle 13,40 ed io devo essere all’aeroporto almeno tre ore prima, quindi entro le 10,40. Non ho niente da fare in hotel e non ho nemmeno il bloc notes su cui iniziare a scrivere qualcosa. Tanto vale che me ne vado dalla stanza e raggiungo l'aeroporto, dove forse potrò comprare quello che mi serve.

Il cash dispenser dell'aeroporto accetta anche la VISA e faccio un mini-prelievo per le cose più urgenti. Appena apre il check-in della compagnia Continental mi metto in fila, ma scopro arrivato davanti

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alla splendida ragazza dagli occhi grigio ghiaccio screziati di blu (come le sue colleghe altrettanto carine che le sono vicine) che ho fatto il check-in troppo presto : sono in fila per l'aereo delle 11,40 e non per quello delle 13,40. Gli dico che “va bene ugualmente, anzi per me è meglio”, e lei allora mi da un biglietto in stand-by dicendomi però che sicuramente sull’aereo ci sarà posto anche per me. Superato il controllo personale con la necessaria ed ormai abituale rimozione (prima di passare sotto al metal detector) di scarpe, giacca, cintura, portafoglio, telefono… tutto, sono infine dentro alle sale di attesa. Nel negozio c'è quello che mi serve, compreso una bella agendina da regalare a Magica, visto che il giorno che eravamo a Quebec City non avevo visto niente che mi fosse sembrato adeguato. Compro anche un economico trasformatore da 220 a 110 v , con il quale finalmente potrò utilizzare anche in Italia le potenti radio trasmittenti acquistate lo scorso agosto in USA e che erano rimaste inutilizzate arrivato a casa perché la base ricarica-

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batterie funziona a 110 e non a 220 v. Alla fine il conto è più alto di quello che avevo prelevato prima al cash dispenser e devo integrare con la carta di credito.

Terminato di pagare mi ricordo di aver dimenticato la cosa più importante... i fazzolettini di carta. So già che con le monetine che ho ancora in tasca non si compra un pacchetto, visto che la signora dell'hotel il secondo pacchetto non me l'aveva voluto dare. Ma non ho voglia di fare una operazione con la carta di credito per così poco e ci provo ugualmente: verso sul piatto della cassa tutto quello che ho, mostrando il pacchetto in mano. Ma niente da fare, la cassiera mi dice, dopo un rapido conto con le sua dita veloci, che le monete non sono abbastanza... Una donna di circa 35 anni a fianco della cassa in attesa anche lei di pagare le chiede allora quanto ci manca e mette lei una moneta da 25 centesimi di dollaro per me. Grazie: di farmi comprare i fazzolettini di carta da una donna sconosciuta non mi era ancora successo. La cassiera mi vuol dare anche

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il resto, e devo insistere un po’ con la mia salvatrice perché almeno quello lo riprenda lei.

Finalmente ho un bloc notes e posso iniziare a scrivere. Nell'attesa dell'aereo per Newark chiamo però l'amico avvocato in Italia e gli racconto la storia dell'assicurazione che non mi ha più richiamato e che in sostanza quindi non mi ha assistito per niente. Gli do i dati di polizza ed il numero di telefono della Mondial Assistance, nel caso eventualmente potesse sollecitarli lui.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio screziati di blu che era al check-in e che ora è qui all'imbarco, alta snella, carina e dai movimenti eleganti - ora che cammina e non è seduta dietro al banco - mi porta un biglietto con il numero di sedia e mi chiede indietro quello che mi aveva dato prima di stand-by.

Alzatomi in volo, sotto di me sfilano grandi fiumi con grandi blocchi di ghiaccio che galleggiano nella corrente. Piccoli fiumi e laghi completamente ghiacciati. Distese di piccole villette sepolte dalla

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neve. Strade come sottili linee nere a disegnare reticoli e quadrifogli che risaltano nel bianco di base dei prati. Man mano che scendiamo verso Newark i fiumi sono sempre meno ghiacciati, le case sempre meno sepolte, le linee delle strade sempre più larghe, anche se la neve è ancora presente.

A Newark arrivo che sono le 12. Al controllo immigrazione la giovane ragazza di colore della polizia statunitense mi rimprovera perché all’andata non ho consegnato al momento dell’imbarco per il Canada il tagliando verde che dimostra la mia regolare entrata negli USA. Mi dice che la prossima volta mi faranno la multa. Io le dico che nessuno me l’ha chiesto quel tagliando ma lei mi risponde che devo essere io a consegnarlo, non loro a chiedermelo. Mi chiede cosa sono andato a fare in Canada per così pochi giorni con quel freddo e io le dico delle motoslitte. Poi inizia a sfogliare il mio passaporto e per curiosità, o forse per sospetto, comincia a chiedermi di quali paesi sono i vari timbri che vede. Io non riesco

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assolutamente a riconoscere la maggior parte di questi (molti sono tutti scritti in arabo, compreso le date) e devo quindi dirle che io non lo so. Lei ci rimane male ed il suo sospetto cresce. Lei capisce che sono paesi arabi, vuol sapere in quali nazioni sono stato, quando e perché. Non c’è nessuno dietro di me che aspetta il suo turno e lei se la prende comoda con il suo interrogatorio. Alla fine le spiego che io viaggio in moto ed alcuni dettagli dei giri che ho fatto con quel passaporto e lei finalmente si tranquillizza, prendendomi in simpatia. Iniziava ad essermi simpatica anche lei e penso che è un peccato essere in quella situazione e non in un bar a chiacchierare. Questa è una delle poche volte che mi trovo ad essere interessato ad una ragazza di colore.

Il mio aereo sarà alla sera alle 19 e mi immergo nella scrittura. Erano anni che non scrivevo più a mano ed ho una calligrafia impossibile. Dico a me stesso che se passerà troppo tempo prima di trascrivere il diario probabilmente non

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riuscirò più a capire cosa adesso sto scrivendo.

Alle 15 ho fame e mi sposto di qualche decina di metri da dove stavo, in un Chicago pizza, dove mangio da solo in un tavolino. Ad un certo punto qui ho un flash mentale che dura pochi attimi ma mi diverte: l'orologio della pizzeria è uno smile che ride, con la grande bocca ricurva all'insù e due lineette a rimarcare il sorriso, ma per uno strano gioco di incastri delle lancette delle ore e minuti e dello smile che c'è sotto, quando ci butto l'occhio per la prima volta io ci vedo una falce e martello sovietici! Poi immediatamente vedo meglio ed appunto me la rido da solo.

Alle 18 circa mi chiama l’assicurazione Mondial Assistance e mi chiede come sono messo. Gli dico che “se era per voi, io in Canada potevo anche morirci. Sono a Newark in attesa dell’aereo per l’Italia che io mi sono arrangiato a trovare da solo”. Cercano di giustificarsi dicendo che avevano provato a cercarmi ma dopo aver lasciato l’hotel di Baie Saint Paul ero

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irreperibile al telefono. Gli dico molto incazzato che “sono sempre stato in rete, ho scambiato continuamente SMS e telefonate con l’Italia in tutto quel tempo che aspettavo la vostra telefonata e quindi aspettatevi tutto il mio risentimento una volta tornato in Italia tramite il mio legale”. In tutta risposta l’operatore mi attacca il telefono in faccia.

Salito sull'aereo, per due volte c'è un calo di corrente. Poi il comandante ci dice che non possono partire subito perché c'è un difetto nel sistema che consente il rifornimento di carburante. “Andiamo bene” penso senza però essere troppo preoccupato....

Sull'aereo le hostess cercano di accomodare meglio i passeggeri perché, nonostante ci siano tanti posti vuoti, c'è una famiglia di papà, mamma e due bambini che non riescono a mettere vicini tra loro ed i bambini da soli giustamente hanno paura. Un sacco di gente sola a cui viene chiesto di spostarsi (scambiando il loro posto con un altro simile finestrino

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con finestrino o corridoio con corridoio) si rifiuta per motivi vari futili, mostrando un egoismo che mi disgusta. Anche una coppia di quarantenni di ritorno da Miami con i posti divisi cerca il modo di viaggiare insieme. Alla fine ci riesce quando chiedono al mio vicino di sedia di scambiare il posto con lei, sempre sul corridoio, qualche fila più indietro ed il mio vicino di sedia accetta senza problemi, visto che per lui fare il favore non cambia nulla. Ma è la quinta persona più o meno nelle condizioni simili a cui lo chiedono ed è la prima ad accettare.

“Ma che razza di gente stiamo diventando? “

Il grande aereo decolla con una accelerazione inferiore a quella del piccolo jet con il quale avevo fatto il volo interno Canada – Usa e sembra quasi che non ce la faccia a salire. Poi inesorabilmente il reticolo fantastico di luci della città americana diventa sempre più visibile e poi lontano, fino a quando il buio totale dell'oceano si sostituisce nel finestrino.

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Volare per me è sempre una sensazione strana, che inizio ad accettare meglio solo da poco. Faccio ancora fatica a vivere come una cosa normale l'essere dentro a questa struttura artificiale lanciata a circa 1.000 km orari ad oltre 10.000 m di altezza, che si sostiene grazie alla sua forma in mezzo a quel fluido in grado di farla galleggiare che diventa l'aria a quella velocità. E’ solo con fatalismo quindi che non riesco ad avere troppa paura ed arrivare finalmente in Italia al mattino di Giovedì 5 marzo 2009.

Antonio mi raccoglie e mi porta in ufficio da lui. Attendo qualche ora che termini il suo turno, poi dopo il pranzo in mensa anche con i suoi colleghi andiamo a casa sua. Qui giunti prendiamo appuntamento con un medico che conosce lui. Alle 15 siamo da questo dottore, che mi visita trovandomi quello che per me era ovvio: bronchite, sinusite ma anche una otite, per la quale mi prescrive degli antibiotici.

Fuori è una giornata piovosa e fredda. Io sono arrivato e dovrei ripartire in moto e ho ancora qualche linea di febbre.

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Antonio è disposto ad ospitarmi ancora. A casa mia quando sono partito avevo in programma di arrivare solo domenica. Decido quindi di approfittare della sua gentilezza e fermarmi ancora un paio di notti, per riprendermi bene.

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EPILOGO RUMENO

Venerdì 6 marzo 2009.

La mattina ed il primo pomeriggio li trascorro sereno a riscrivere parte di questo diario con il computer di Antonio. Sto meglio e domani andrò a casa.

Alle 16 circa mi arriva però un sms a sorpresa. “Sono in Romania. Mio nonno è stato operato, è all’ospedale e probabilmente non ce la farà. Ti avviso se succede qualcosa. Ciao. Cristina. “

Il nonno di Cristina “Dumi” ha 93 anni e nei dieci anni che ero stato con la mia ex-moglie era sempre stato per me una persona speciale. Non solo mi aveva sempre trattato come un nipote, ma mi aveva sempre guardato con occhi di ammirazione che mi avevano sempre riempito di orgoglio, visto che lui aveva sempre giudicato molto severamente gli altri uomini che erano stati intorno a sua figlia e alle sue due nipoti.

Ero già stato al funerale di sua moglie quando era rimasto improvvisamente solo.

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La nonna “toto” era morta molto più giovane di lui quattro anni fa. Avevo giurato a me stesso che nonostante la mia separazione da Cristina gli avrei fatto sentire ancora una volta il mio affetto, se proprio non mi fosse stato impossibile. L’ultima volta l’avevo visto nel settembre 2006, quando mi ero fermato a Cluj un giorno sulla strada del mio ritorno da Samarcanda. Poi dopo la separazione da Cristina ne avevo avuto notizie saltuarie da lei o dalla madre, che ogni tre o quattro mesi sentivo al telefono. La sua situazione era normale per un uomo della sua età: molto stanco, senza più i suoi due maiali nel retro della casa ma ancora con le sue amate galline; ed un po’ d’orto nella casetta con giardino, che non voleva lasciare costringendo l’unica figlia ormai in pensione, che invece viveva in un condominio a diverse centinaia di metri di distanza, a trasferte diurne continue e a mantenere in ordine due case, la sua e quella del padre.

Senza pensare troppo alle eventuali conseguenze chiamo l’agenzia viaggi di

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Verona e chiedo di verificare costi e orari di un aereo per Cluj. Antonio è disposto a tenere nel suo garage ancora per un po’ la mia moto e domattina deve recarsi in aeroporto al lavoro, quindi per me il disagio di quella trasferta è veramente minimo.

Chiamo quindi casa e sapendo comunque di fare a Magica una cosa che non le sarebbe piaciuta, la informo di questo mio desiderio. La mia speranza è quella di ricevere la risposta serena di una persona che ti vuol bene e desidera che tu possa fare quello che ti fa sentire meglio, ma non ho neanche terminato di spiegare quello che succede che appena lei sente la parola “Romania” mi attacca in pratica il telefono in faccia. Poi inizia con sms pieni di ricatti morali secondo i quali io in Romania non ci dovrei andare perché lei ci sta male dalla gelosia.

“Eh no bella mia, se stare con te significa non essere più liberi di andare serenamente neanche a fare visita ad un anziano che sta morendo, al quale ho voluto bene e al quale posso far sentire

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quasi sicuramente per l’ultima volta che era per me importante, mi dispiace ma non ci sto !”

Chiamo l’agenzia e confermo il volo.

Sabato 7 marzo 2009

Al mattino alle 10 salgo sull’aereo per Budapest, dove arrivo intorno alle 11,40. Due ore di attesa e poi un altro piccolo aereo a eliche mi porta a Cluj Napoca con una altra ora di volo. Il taxista rumeno mi imbroglia e mi ruba 10 euro, giocando sull’equivoco tra la loro valuta e la nostra quando mi dice il prezzo prima che io accetti la corsa. Arrivo al luogo dell’appuntamento con Cristina che in ospedale è già terminato l’orario per le visite. Riusciamo ad entrare ugualmente: il nonno è ancora cosciente e sembra riconoscermi. Ma è proprio messo male ed io penso in cuor mio senza dirlo a nessuno che forse non passerà nemmeno la notte. Andiamo quindi a casa loro e mi sistemo sul divano per un po’.

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Prima di sera con Cristina vado anche a salutare altri due anziani, suoi parenti che abitano molto vicino. Tanti anni fa avevo regalato a lui i dollari necessari all’acquisto del materiale per la costruzione self-service di un piccolo box auto in lamiera nel cortile del grande condominio fatiscente dove vivevano e vivono tuttora. Quei soldi glieli avevo dati con la scusa, per non ferire il suo orgoglio, che io poi il “nostro” garage l’avrei potuto utilizzare tutte le volte che sarei andato in Romania in moto o in auto, visto che non mi andava di lasciare i mezzi in strada. In realtà io quel box non l’avevo mai utilizzato nemmeno una volta perché il mio regalo aveva avuto solo lo scopo di tenere impegnato l’uomo negli anni seguenti, distraendolo un po’ da quello che rischiava di diventare il suo unico perditempo: la bottiglia di “zuica”, un potente alcolico locale. Quello scopo io l’avevo raggiunto: l’uomo non era caduto in quel vizio e aveva realizzato quello che all’epoca senza i miei dollari sarebbe rimasto per lui solo un suo sogno irrealizzabile.

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Io ero stato molto contento. Aver fatto quella cosa mi faceva sentire bene con me stesso: la Romania mi aveva dato molto (e mi dava ancora molto in quegli anni) e mi faceva quindi piacere sapere che anche io avevo dato qualcosa in cambio.

Domenica 8 marzo 2009

Al mattino rimango solo in casa, perchè Cristina e la madre escono per faccende loro che non mi spiegano. Resto nel divano a scambiarmi per un po’ sms con Magica, che in Italia è in preda allo sconforto perché io sono in Romania ed in casa della mia ex-moglie. Mi manda messaggi pieni di rancore. Io per un po’ le rispondo “che il problema, se c’è, non è il fatto che io stia bene o male qui in Romania. Il problema è che io stia bene o male a casa mia con te. Smettila di essere gelosa.. Preoccupati invece di farmi trovare al mio rientro un’atmosfera amorevole perché se torno che trovo a casa un ambiente ostile io a ripartire ci metterò un attimo”.

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Poi capisco che i suoi messaggi, che insistono nel criminalizzare la mia scelta di essere qui a trovare l’anziano rumeno, mi tolgono la serenità che mi serve e spengo il telefono, avvertendola prima di staccarlo che lo riaccenderò solo al mio rientro in Italia.

Nel pomeriggio torniamo all’ospedale e, sorpresa, il nonno sta molto meglio. Sta dormendo come quasi non gli fosse successo nulla. Si sveglia al nostro arrivo che ha la sua voce di sempre, mi riconosce e lo vedo commosso. Vengono anche altri parenti a trovarlo. Le percentuali di sopravvivenza del intervento che gli hanno fatto sono di pochi punti percentuali anche in persone più giovani di lui, ma io esco da quella stanza che penso che forse una qualche speranza per lui c’è ancora (ed in effetti, lui ce la farà, tornando a casa sua dopo una decina di giorni, meravigliando tutti i parenti ed i dottori che l’avevano dato ormai morto).

Prima di tornare a casa un’altra visita ad un anziana. È la mamma di Cati, anche lei

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ultra-ottantenne. Fu la prima persona ad ospitarmi in casa sua in Romania quando ci arrivai malato nel mio primo viaggio con Massimo nel 1995. E’ ungherese di origine (nata in Transilvania, ma quando la Transilvania era ancora Ungheria). Più volte quando ci parla si sbaglia ed usa la lingua ungherese, che nè io nè la mia ex-moglie capiamo. Lei costruisce ancora con ago e filo dei particolari centro-tavola in cotone ritorto, per fare i quali impiega anche mesi, per poi venderli al massimo per 20 o 30 euro ciascuno. Un passatempo che però la tiene impegnata e con il quale arrotonda la sua veramente misera pensione. Vive con una ragazza universitaria che ospita in casa sua, che però noi non vediamo. E’ molto contenta che siamo andati a trovarla. Dopo qualche decina di minuti, terminata la nostra visita, io e Cristina scendiamo a piedi i nove piani di scale: le condizioni dell’ascensore quando eravamo saliti ci erano sembrate ad entrambi troppo pericolose per rischiare di nuovo.

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Tornato a casa mi arriva un mal di testa così forte che alla fine, contrariamente a quello che faccio di solito, per riuscire ad addormentarmi accetto dalle due donne di prendere un analgesico.

Lunedì 9 marzo 2009

Alle cinque del mattino sono già in taxi verso l’aeroporto per lasciare questo paese, del quale avevo sicuramente nostalgia. Era stato dalla mia prima visita in Romania che era iniziato per me un lungo periodo sereno e fortunato. Mi mancava sentire la sua lingua e parlarla come lo so fare (quasi perfettamente) con i suoi abitanti. Avevo voglia di rivedere la gente che mi aveva sempre fatto sentire una persona buona e speciale. Ero in un momento in cui avevo bisogno di calore umano e sapevo che li lo avrei ritrovato.

Nel volo di rientro verso Budapest osservo la luce del sole che si sta alzando dietro di noi. L’aereo viaggia poco meno della velocità di rotazione della terra, perché il sole sta immobile e non ce la fa ad uscire

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dall’orizzonte. Arrivo a Budapest alle 6 e 30 del mattino, alla stessa identica ora in cui mi sono alzato in volo da Cluj, per via del cambio di fuso orario. Un altro aereo e poco dopo le 9 di mattina sono già a Malpensa. Antonio mi viene a prendere e mi porta a casa sua, dove ho la mia moto che mi aspetta. Prima però mi porta di nuovo dal medico che lui conosce, per un controllo al principio di infezione che mi aveva trovato alle orecchie, come eravamo d’accordo da venerdì.

Parto in moto da casa di Antonio che sono quasi le 11 ed è una bellissima giornata di sole. Alle 14 sono davanti al mio meccanico a Formigine, per fare controllare la ruota che non è equilibrata abbastanza (avevo rimontato io lo pneumatico dopo aver cambiato la camera d’aria prima di San Francisco e poi mi ero dimenticato di fargliela controllare) Ma sono anche curioso di vedere a che punto è la sistemazione della moto rossa.

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Poi finalmente vado verso casa, sono estremamente preoccupato per il comportamento di Magica al mio rientro.

Appena arrivato dal suo sguardo capisco che le cose non vanno per niente bene e non si è tranquillizzata neanche un po’. Inizialmente c’è quasi indifferenza, poi torna Julien dall’asilo e mi metto a giocare con lui con il fucile ad elastici che gli ho comprato in Canada, la motoslitta e il piccolo scuolabus.

Dopo pochi minuti lei il piccolo me lo sottrae perché deve andare da qualche parte in auto, dove non me lo spiega.

Sistemo un po’ le cose che avevo con me in viaggio ed intanto loro ritornano a casa. Passano alcuni minuti tranquilli poi lei non ci sta più dentro e scoppia quindi con la sua scenata. Mi accusa di aver fatto di tutto mentre ero in Romania con la mia ex-moglie. Cose che non ho mai neanche pensato e che comunque, se avessi voluto, non avrei avuto bisogno di andare in Romania a farle, visto che la mia ex-moglie abita a tre chilometri da dove abitiamo noi. Magica come fa sempre

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quando è fuori di se cerca di ferirmi in tutti i modi insultandomi e toccando argomenti ai quali lei sa che sono sensibile. Per un po’ provo di rimanere indifferente ma poi non ci riesco. Alla fine come al solito è lite furiosa tra noi. Io perdo il controllo e per non fare cose che non vorrei mai fare scarico la mia rabbia buttando a terra il telefono con tutta la forza che ho, distruggendolo.

Per l’ennesima volta le dico: “basta qui, renditi finalmente conto che il mio problema non è come sono stato bene o male nel mio passato, ma come non riesco a stare bene nel mio presente con te. Per queste nostre litigate. Per dover sempre stare attento, con te, a quello che penso e quello che dico. Perché da sempre continuamente mi fai capire che mi vorresti in realtà completamente diverso da quello che sono, anche se tu mi dici che mi ami. ”

Per confermarle che non scherzo affatto e che questa stavolta è la goccia che fa traboccare il vaso, me ne vado via per un po’ da casa mia, ospite da un amico che

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mi rende disponibile un letto in casa sua per Il tempo di cui avrò bisogno.

Sono però molto triste: in quella ragazza ed in quel bambino avevo riposto all’inizio della nostra storia tante speranze e gli volevo veramente bene. Nonostante pochi mesi dopo averla conosciuta (dopo una sua prima ed improvvisa scenata violenta) avevo smesso di riuscire a pensare quel “per sempre” che mancava così tanto a lei e forse ormai anche a me. Nonostante Julien fosse il bambino eccezionale sotto tutti i punti di vista che avevo sempre voluto.

“Da stasera, nel bene e nel male, con lei o senza di lei” giuro a me stesso “dovrà iniziare per me un periodo diverso da quello che sono stati questi ultimi due anni.”

Il mio diario finisce quindi qui: quella appunto sarà tutta un’altra storia.