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1 SCOCA – DIRITTO AMMINISTRATIVO PARTE 1 Organizzazione amministrativa Capitolo 1 La pubblica amministrazione e la sua evoluzione 1. L’unificazione amministrativa A seguito dell’unificazione politica del Regno d’Italia come Stato unitario si è avvertita l’esigenza di unificare le diverse organizzazioni preunitarie sotto il profilo delle strutture e delle funzioni tanto che le singole discipline amministrative allora vigenti hanno subito un processo di uniformazione al diritto vigente in Piemonte (c.d. piemontesizzazione). Dunque, con la prevalenza del sistema piemontese rispetto agli altro è avvenuta la soppressione del vecchio ordinamento e la sua sostituzione nell’ambito del diritto amministrativo, in quanto il Regno sabaudo era il solo stato costituzionale al momento della formazione del Regno d’Italia ed il Governo piemontese, a partire dalla legislazione del 1859, aveva provveduto ad emanare leggi fondamentali, quali quelle sull’ordinamento comunale e provinciale, sul Consiglio di Stato e sull’ordinamento giudiziario ed erano inoltre stati pubblicati i codici penale, di procedura penale e di procedura civile, tanto che l’ordinamento piemontese risultava il più aggiornato anche se non in tutti i settori del diritto. Inoltre, con l’annessione delle antiche province del Piemonte (che furono sancite con plebisciti) e le preoccupazioni legate alla politica interna, da cui l’unificazione amministrativa del 1865, ed esterna relative alle Potenze europee, il processo di integrazione territoriale e di unificazione politica era oggetto di forte accelerazione al fine della unificazione giuridica ed organizzativa. L’unificazione amministrativa interna, infatti, fu definitivamente attuata con legge 20 marzo 1865, n. 2248, costituita da un solo articolo e da sei allegati, distinti con le lettere da A a F, ed in particolare l’allegato E riportava l’abolizione del contenzioso amministrativo. In particolare, il 1859 ed il 1865 segnano la conformazione del sistema amministrativo dello Stato italiano al modello piemontese, nonostante le resistenze dei rappresentanti lombardi, toscani napoletani e siciliani che rivendicavano una propria autonomia, mentre il Veneto nel 1866 ed il Lazio nel 1870 trovarono, al tempo della loro annessione, un sistema in vigore già unificato rispetto al quale si estesero automaticamente e così Trento e Trieste, a seguito della prima guerra mondiale. 2. La fisionomia originaria dell’amministrazione pubblica italiana. L’amministrazione delineata dalla legge di unificazione del 1865 non si differenzia di molto da quella adottata nel Regno di Sardegna. In particolare, a partire dagli anni cinquanta del secolo XIX, l’amministrazione piemontese era stata oggetto di riforme semplificatrici e razionalizzatrici, per cui l’avvento dell’amministrazione unitaria, presentava caratteri di semplicità, uniformità, accentramento ed accentuata gerarchia. Questi caratteri furono trasmessi anche all’organizzazione amministrativa del Regno d’Italia, per cui le strutture organizzative furono concentrate negli enti territoriali di Stato, Provincia e Comuni. Vi erano poi altri enti, diversi dagli enti territoriali, caratterizzati da una struttura associativa, quali gli ordini professionali e le Camere di Commercio. In tale contesto, la qualificazione pubblica dell’organizzazione amministrativa veniva identificata con quella statale e viceversa lo Stato veniva a comprendere ogni amministrazione

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SCOCA – DIRITTO AMMINISTRATIVO

PARTE 1 Organizzazione amministrativa

Capitolo 1

La pubblica amministrazione e la sua evoluzione 1. L’unificazione amministrativa A seguito dell’unificazione politica del Regno d’Italia come Stato unitario si è avvertita l’esigenza di unificare le diverse organizzazioni preunitarie sotto il profilo delle strutture e delle funzioni tanto che le singole discipline amministrative allora vigenti hanno subito un processo di uniformazione al diritto vigente in Piemonte (c.d. piemontesizzazione). Dunque, con la prevalenza del sistema piemontese rispetto agli altro è avvenuta la soppressione del vecchio ordinamento e la sua sostituzione nell’ambito del diritto amministrativo, in quanto il Regno sabaudo era il solo stato costituzionale al momento della formazione del Regno d’Italia ed il Governo piemontese, a partire dalla legislazione del 1859, aveva provveduto ad emanare leggi fondamentali, quali quelle sull’ordinamento comunale e provinciale, sul Consiglio di Stato e sull’ordinamento giudiziario ed erano inoltre stati pubblicati i codici penale, di procedura penale e di procedura civile, tanto che l’ordinamento piemontese risultava il più aggiornato anche se non in tutti i settori del diritto. Inoltre, con l’annessione delle antiche province del Piemonte (che furono sancite con plebisciti) e le preoccupazioni legate alla politica interna, da cui l’unificazione amministrativa del 1865, ed esterna relative alle Potenze europee, il processo di integrazione territoriale e di unificazione politica era oggetto di forte accelerazione al fine della unificazione giuridica ed organizzativa. L’unificazione amministrativa interna, infatti, fu definitivamente attuata con legge 20 marzo 1865, n. 2248, costituita da un solo articolo e da sei allegati, distinti con le lettere da A a F, ed in particolare l’allegato E riportava l’abolizione del contenzioso amministrativo. In particolare, il 1859 ed il 1865 segnano la conformazione del sistema amministrativo dello Stato italiano al modello piemontese, nonostante le resistenze dei rappresentanti lombardi, toscani napoletani e siciliani che rivendicavano una propria autonomia, mentre il Veneto nel 1866 ed il Lazio nel 1870 trovarono, al tempo della loro annessione, un sistema in vigore già unificato rispetto al quale si estesero automaticamente e così Trento e Trieste, a seguito della prima guerra mondiale. 2. La fisionomia originaria dell’amministrazione pubblica italiana. L’amministrazione delineata dalla legge di unificazione del 1865 non si differenzia di molto da quella adottata nel Regno di Sardegna. In particolare, a partire dagli anni cinquanta del secolo XIX, l’amministrazione piemontese era stata oggetto di riforme semplificatrici e razionalizzatrici, per cui l’avvento dell’amministrazione unitaria, presentava caratteri di semplicità, uniformità, accentramento ed accentuata gerarchia. Questi caratteri furono trasmessi anche all’organizzazione amministrativa del Regno d’Italia, per cui le strutture organizzative furono concentrate negli enti territoriali di Stato, Provincia e Comuni. Vi erano poi altri enti, diversi dagli enti territoriali, caratterizzati da una struttura associativa, quali gli ordini professionali e le Camere di Commercio. In tale contesto, la qualificazione pubblica dell’organizzazione amministrativa veniva identificata con quella statale e viceversa lo Stato veniva a comprendere ogni amministrazione

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che poteva essere considerata pubblica, per cui le province ed i comuni veniva considerati enti dotati di personalità giuridica propria e definiti quali “membra dello Stato”. L’organizzazione pubblica dello Stato si divideva in amministrazione facente capo alla persona giuridica Stato ed amministrazione indiretta, relativa agli enti territoriali minori. L’organizzazione interna della Provincia e del Comune è dominata da organi dello Stato ed al vertice della Provincia vi è un organo collegiale, la Deputazione provinciale presieduta dal Prefetto, organo periferico dello Stato. Il Consiglio provinciale, elettivo, era convocato soltanto per brevi sessioni e la Deputazione provinciale era l’autorità tutoria sui Comuni e sulle Opere pie. Al vertice del Comune, invece, vi era il Sindaco, nominato dal Governo, formalmente dal Re, tra i consiglieri comunali e gli veniva riconosciuta la qualifica di Ufficiale del Governo. Anche il Consiglio comunale, inoltre, era elettivo e si riuniva in via ordinaria soltanto due volte all’anno. La struttura organizzativa dell’amministrazione pubblica italiana rispondeva al criterio di assoluta uniformità, in quanto fortemente accentrata nell’effettiva unitarietà dell’ordinamento e dell’unità politica del Paese che è anche propria dell’amministrazione diretta dello Stato, la quale si struttura a livello centrale nei Ministeri, organizzati in direzioni e sezioni ed a livello periferico nelle Prefetture e nelle Sottoprefetture, da cui la rigidità delle relazioni gerarchiche che rendono l’amministrazione un corpo compatto nelle sue strutture interne estremamente semplificate. 3. Evoluzione dei modelli organizzativi. A seguito dell’aumento delle funzioni dell’amministrazione pubblica, l’organizzazione della pubblica amministrazione italiana viene a subire una progressiva evoluzione. Si verifica, infatti, dapprima un processo di dilatazione e diversificazione delle strutture organizzative dello Stato e degli enti territoriali minori con massiccio incremento degli enti pubblici ausiliari e strumentali tanto che, in tempi recenti, si assiste all’introduzione di nuovi modelli organizzativi, quali dipartimenti, agenzie, autorità indipendenti, società a partecipazione pubblica e organismi di diritto pubblico ognuna. Tali innovazioni hanno avuto una loro stagione di fioritura, come nel caso dell’agenzia autonoma delle Ferrovie dello Stato, istituita con la nazionalizzazione delle strade ferrate fin lì gestite da società private, sulla base di concessioni e che si erano rilevate inadatte a svolgere compiti di carattere operativo – aziendale e tale esigenza venne parimenti avvertita nel caso delle aziende municipalizzate di Comuni e Province nei servizi di illuminazione delle strade urbane, degli acquedotti, del trasporto pubblico fino ai forni comunali. Primi esempi di differenziazione del modello organizzativo sono stati l’azienda autonoma dello Stato e l’azienda municipalizzata, in risposta all’ingresso degli enti pubblici nei settori economici e soprattutto in quello dei servizi. Negli ultimi anni del secolo XIX si assiste alla moltiplicazione degli enti funzionali, ossia strutture organizzative dotate di personalità giuridica pubblica, destinate a svolgere funzioni specifiche e determinate. Durante il ventennio fascista furono istituiti enti pubblici nazionali, quali INPS (Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale), INAM (Istituto Nazionale Assistenza Malattie), INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) in risposta alle esigenze derivanti dall’allargamento dei compiti dello Stato che ha visto altresì la trasformazione di organismi privati, quali le Opere pie in I.p.a.b. (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza) e di organismi totalmente nuovi in numerosi settori che vanno dal credito all’assistenza, alla previdenza, alle attività culturali ed artistiche. Fu pubblicizzato l’I.N.A. (Istituto Nazionale di Assicurazioni). A partire dagli anni Cinquanta si assiste, invece, all’abolizione degli enti c.d. inutili. In definitiva, i modelli di aziende autonome e di enti pubblici funzionali hanno avuto una intensa utilizzazione fino agli ultimi decenni del XIX secolo, per poi essere progressivamente

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trasformati dapprima in enti pubblici economici e poi in società a partecipazione pubblica, ritenute più agili ed efficienti nella propri struttura organizzativa. 4. L’organizzazione regionale La Carta costituzionale, in vigore dal 1 gennaio 1948, ha arricchito il panorama degli enti pubblici territoriali, inserendovi la Regione ex art. 114 Cost., designato quale ente dotato di potere legislativo, in determinate materie di cui all’art. 117 Cost, nonché di potere statutario e con attribuzione di funzioni amministrative previa devoluzione alla sua competenza legislativa. La Regione, di fatto, esercitava le sue funzioni amministrative mediante delega alle Provincie, ai Comuni ed agli altri enti locali ovvero mediante propri uffici, rimanendo un centro di indirizzo, promozione e coordinamento di attività operative demandate ad enti già esistenti. Istituite tardivamente nel 1970, le Regioni hanno sviluppato le loro strutture operative, invece di delegare le loro funzioni agli enti locali ovvero di avvalersi dei loro uffici, con l’effetto di appesantire l’organizzazione pubblica complessiva al punto che numerosi organi vengono a decidere, fornire pareri, sviluppare intese in modi e forme diverse. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, legge cost. 18 ottobre 2001, n.3, è stato modificato l’art. 114 Cost, per cui si è delineata una nuova potestà legislativa in capo alle Regioni che si estende ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (art. 117, comma 4, Cost.), e cioè si è invertito il previgente sistema che lasciava allo Stato la competenza generale e residuale ed attribuiva alle Regioni la potestà legislativa solo nelle materie tassativamente elencate. Il nuovo criterio generale di distribuzione delle funzioni amministrative tra enti di governo territoriali si basa sui principi di sussidiarietà1, differenziazione2 ed adeguatezza3, per cui le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario, siano conferiti a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato (art. 118, comma 1, Cost.4). Tale nuovo criterio non è stato ancora pienamente attuato, in quanto sono presenti forti resistenze nella ripartizione delle funzioni amministrative. 5. Le riforme dell’ultimo decennio del secolo scorso. A partire dagli anni Novanta sono stati aggiornati i vecchi modelli organizzativi e ne sono stati disegnati di nuovi. Le riforme si sono ispirate ai principi della separazione delle funzioni di indirizzo e controllo (che spettano all’organo politico: Sindaco-Presidente della Provincia, Giunta, Consiglio) dalle funzioni operative e di gestione (che spettano ai dirigenti o ai responsabili del servizio), della razionalizzazione e della flessibilità organizzativa nonché della semplificazione amministrativa.

1 Sussidiarietà significa che le attività amministrative devono essere svolte in via ordinaria dall’entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i comuni) mentre i livelli amministrativi territoriali superiori (Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comunità montane ed isolane e Unioni di comuni) intervengono solo come sussidio (dal latino subsidium, aiuto) nei casi in cui il cittadino o l’entità sottostante siano impossibilitati ad agire per conto proprio. 2 Differenziazione significa che la distribuzione delle funzioni non deve necessariamente avvenire in modo uniforme fra enti territoriali dello stesso livello. Di conseguenza, per procedere nell'attribuzione delle funzioni occorre tener conto delle dimensioni e di diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi. 3 L’adeguatezza richiede che l’attribuzione delle funzioni avvenga nel modo più adeguato per lo svolgimento delle stesse; si tiene, quindi, conto che l’ente, da solo o in associazione con altri enti, abbia a disposizione un’organizzazione adatta a garantire l'effettivo esercizio delle funzioni) 4 Art. 118 comma 1 , Cost: Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

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In particolare, il principio della separazione delle funzioni politico – amministrative da quelle prettamente amministrative è stato affermato in sede di privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, per cui gli organi di ogni amministrazione si distinguono in organi politico – amministratici, c.d. organi di governo, ed in organi tecnico – amministrativi, identificati nella dirigenza. E’ stata altresì riordinata la Presidenza del Consiglio come struttura destinata ad assicurare l’unità di indirizzo politico ed amministrativo del Governo, con compiti di impulso, indirizzo e coordinamento nonché l’organizzazione interna dei Ministeri con riduzione del relativo numero da 19 a 12, poi a 14 ed infine a 18, in attesa di successiva riduzione. La struttura organizzativa del Ministero trova strutture di primo livello, quali dipartimenti o direzioni generali. Viene disciplinata la figura del Segretario generale, ma solo per i Ministeri articolati in direzioni generali e sono previsti uffici di diretta collaborazione con il Ministro. Dato saliente è l’introduzione delle Agenzie, strutture organizzative autonome, talvolta dotate di personalità giuridica, che svolgono attività di carattere tecnico – organizzativo di interesse nazionale, operando al servizio della amministrazioni pubbliche comprese quelle regionali e locali e sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministro. Ulteriori modificazioni sono state introdotte nel periodo 2002 – 2004. In particolare, è stata disposta la trasformazione della Prefettura in Ufficio territoriale di Governo (UTG), con relativo ridimensionamento dei compiti di mero coordinamento con gli altri uffici periferici dello Stato. A partire dagli anni Novanta, agli enti territoriali minori, quali Province e Comuni, è stata attribuita autonomia normativa, organizzativa e d amministrativa, nonché impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e leggi di coordinamento con la finanza pubblica. Il Sindaco ed il Presidente della Provincia sono eletti direttamente dal corpo elettorale e l’assetto organizzativo interno degli enti territoriali minori è disciplinato dalla legislazione nazionale che regola altresì il sistema elettorale degli organi di governo e delle funzioni fondamentali ai sensi di cui all’art. 117 Cost. In definitiva, alla luce delle ultime riforme del quadro amministrativo pubblico, questo si presenta assai diverso da quanto previsto originariamente, in quanto alla semplicità è seguita la complicazione, alla uniformità la differenziazione dei modelli, all’accentramento il decentramento e l’affermazione delle autonomie, per cui il risultato non può essere ritenuto soddisfacente in quanto l’evoluzione del sistema si è rilevato affatto lineare per i molteplici ritardi e cambiamenti di indirizzo. Così nel caso della riforma della distinzione tra funzioni politico – amministrative e funzioni prettamente amministrative, laddove la finalità espressa era propriamente quella di garantire il ruolo di indirizzo e direzione da parte delle forze politicamente maggioritarie e l’imparzialità da sottrarre agli organi politici, per cui i dirigenti (organi tecnici) sono stati posti alle dipendenze degli organi politici. 6. Lo sviluppo delle autonomie L’evoluzione del quadro organizzativo ha visto la modificazione dell’originario corpo amministrativo compatto e riferibile allo Stato in una serie di corpi separati, e ciò a seguito del mutare dei rapporti tra Stato ed enti territoriali minori che da “membra dello Stato” si evolvono in enti autonomi, elevati ad enti equiordinati rispetto allo Stato. In tale processo evolutivo s’individuano due tappe, di cui la prima riguarda lo Stato in posizione dominante quale centro di indirizzo unitario del sistema complessivo e le strutture amministrative degli enti territoriali non sono più considerate amministrazione indiretta dello Stato centralista; la seconda fase vede l’amministrazione complessiva presentarsi come “policentrica”, ossia articolata in più centri di elaborazione di indirizzi politico – amministrativi facenti capo agli enti territoriali ai quali è riconosciuta ampia autonomia, dove lo Stato non ha più una posizione dominante ma diventa una componente equiparata alle altre.

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La prima tappa prende avvio con le riforme crispine (Crispi rende elettiva la carica di Sindaco nei comuni maggiori, in seguito ci sarà l’estensione a tutti i comuni, abolisce la Deputazione provinciale, rende elettivo il presidente della Provincia) e s’interrompe nel ventennio fascista per poi concludersi nel 1948 con la Costituzione. La seconda fase, invece, si estende a tutto il periodo successivo e trova pieno riconoscimento con la legge n. 3 del 2001 di riforma costituzionale. Resta ferma l’ingerenza dello Stato nell’amministrazione degli enti territoriali di Comuni e Province soprattutto nell’ambito dei controlli riconosciuti di competenza del Prefetto ed alla Giunta provinciale da lui presieduta al fine di indirizzare e dirigere le amministrazioni locali. Tale situazione non cambia granché fino all’avvento del regime fascista, che s’ispira alla sostanziale unità dell’amministrazione pubblica, per cui il Sindaco, ora denominato Podestà, torna ad essere organo nominato dallo Stato e alla Provincia è preposto il Presidente, carica governativa. Dopo la caduta del regime fascista, nel 1943 vengono ripristinati gli organi elettivi. La Costituzione, all’art. 5, comma 1, stabilisce che “la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, e all’art. 130 è prevista la modifica del sistema dei controlli di merito da sanzionatorio a collaborativo ed affida alla Regione i controlli sugli enti territoriali minori (articolo poi abrogato con la legge di riforma costituzionale n. 3 del 2001). Negli anni Novanta del XX secolo la potestà statutaria è riconosciuta anche a Comuni e Province e sono ridotti i controlli statali sulle Regioni e quelli regionali sugli enti locali. Il punto d’arrivo è la legge costituzionale n. 1 del 2003 di riforma del Titolo V della parte II della Costituzione che all’art. 114, comma 2 ha sancito che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione. Pertanto, il principio autonomistico non viene soltanto enunciato, ma è disciplinato nelle sue linee essenziali realizzandosi in concreto mediante l’attribuzione agli enti autonomi sia della potestà statutaria che della potestà regolamentare con conseguente riduzione dell’ambito riservato alla legge dello Stato e delle Regioni in ordine al disegno organizzativo di comuni e province. Le Regioni, infatti, hanno anche potestà legislativa e non altri limiti nel disegnare la loro organizzazione, loro attribuzioni e modo di operare se non quelli previsti nella Costituzione e sono dotate di potestà statutaria, di potestà regolamentare in ordine alla loro organizzazione e svolgimento delle loro funzioni. Tale percorso non può ritenersi compiutamente attuato, in quanto la trasformazione del sistema organizzativo è ancora in fase di evoluzione. 7. La fisionomia attuale dell’amministrazione pubblica. A seguito del passaggio dal tipo di amministrazione concentrata tutta nello Stato al sistema attuale caratterizzato dal principio autonomistico, il panorama dell’amministrazione pubblica risulta fortemente caratterizzato intorno agli enti territoriali che, nel quadro di una eccessiva complessità, incidono negativamente sul frazionamento delle competenze degli uffici delle varie amministrazioni da cui i diversi tentativi di ridurre i medesimi enti territoriali mediante l’abolizione delle Province, al fine di rendere più semplice il quadro amministrativo generale e più spedita l’azione amministrativa. Infatti, intorno agli enti territoriali operano numerose strutture pubbliche e private, a volte ritenute inutili, tanto che migliaia sono i soggetti che vanno a comporre il quadro dell’organizzazione amministrativa pubblica con relativo sovrappeso nella spesa per il mantenimento degli stessi. Negli ultimi anni si è avviato un processo di privatizzazione che ha comportato la trasformazione di molti enti pubblici e di tutte le aziende autonome statali e della aziende municipalizzate in società private in società per azioni. Invero, non si è avuta una completa

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privatizzazione in quanto tali società restano disciplinate secondo il diritto pubblico ed il relativo controllo resta affidato alla Corte dei Conti. Si parla, infatti, di pubblica amministrazione in senso sostanziale, in quanto la P.A. in senso formale è costituita dai soli enti di natura pubblica. Inoltre, è stato introdotto il modello delle Autorità indipendenti, ossia di strutture dirette da un organo collegiale, costituito da persone competenti e di moralità ineccepibile, che opera al riparo dall’indirizzo politico di governo assicurando la massima imparzialità. Così l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il Garante per la protezione dei dati personali, la Commissione nazionale per le società e la borsa, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’amministrazione pubblica, dunque, ha cambiato completamente la sua fisionomia originaria seguendo le tendenze razionalizzatrici nell’eliminazione di strutture organizzative ritenute superflue e di quelle preesistenti si è inteso modificare il loro modo di operare secondo l’integrazione europea, in quanto molte funzioni dell’amministrazione interna sono state trasferite agli organi dell’Unione europea e molte loro attività sono state rimesse alla disciplina comunitaria. Pertanto, l’Unione europea ha influito decisamente sull’impostazione della politica economica nazionale consentendo il superamento del precedente sistema c.d. di economia mista (pubblico- privata). 8. Sul modello costituzionale dell’amministrazione pubblica Ulteriore problema è quello di verificare se dalla Costituzione possa ricavarsi un modello di amministrazione pubblica, nonostante le poche disposizioni ad essa dedicate nella Carta. La dottrina, in particolare Mario Nigro, ha sostenuto che i modelli di amministrazione emergenti dalla Costituzione sono tre, di natura disomogenea e tra loro perfino configgenti, in quanto l’amministrazione si presenta come apparato servente del Governo ex art. 95 Cost., come complesso autocefalo regolato direttamente dalla legge ex. artt. 97 e 98 Cost. e ancora come modello autonomistico e comunitario ex artt. 5 e 114 e ss. Cost. Eppure, nonostante le critiche, un modello di amministrazione ricavabile dalla Costituzione è individuabile seguendo un altro insegnamento, che prende in considerazione gli articoli 97 e 98 Cost, per cui si distingue tra funzione di governo e funzione di amministrazione, laddove la prima sta nella determinazione dell’indirizzo politico – amministrativo e nell’individuazione degli obiettivi da raggiungere secondo il principio autonomistico presente in tutti gli enti territoriali; mentre la seconda consiste nella gestione concreta, ispirata ai principi di buon andamento ed imparzialità, secondo gli obiettivi fissati dal governo. L’amministrazione, dunque, dal punto di vista soggettivo, risulta articolata in una struttura tecnica, autonoma rispetto alla funzione di governo ad essa collegata, laddove quest’ultima è ormai svolta a diversi livelli di governo mediante i molteplici enti territoriali. Pertanto, anche gli atti degli organi di governo sono assimilati ai provvedimenti amministrativi anche sotto il regime delle impugnazioni. Di rilievo è l’intervento del legislatore del ’90 che, nel rispetto del dettato costituzionale, ha delineato la chiara distinzione tra politica ed amministrazione. Purtroppo, tale tendenza si è arrestata bruscamente in quanto gli organi amministrativi sono finiti per dipendere sostanzialmente dagli organi politici, così nello spoils system (che consiste nella pratica con cui le forze politiche al governo distribuiscono a propri affiliati e simpatizzanti cariche istituzionali, la titolarità di uffici pubblici e posizioni di potere, come incentivo a lavorare per il partito o l'organizzazione politica), dichiarato costituzionalmente illegittimo ex artt. 97 e 98 Cost (Corte cost. sent. 23 marzo 2007, nn. 103 e 104).

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Capitolo 2 Le amministrazioni come operatori giuridici.

1. Le amministrazioni come figure soggettive Fin qui abbiamo considerato le amministrazioni pubbliche come strutture organizzative, i cui modelli si sono evoluti nel tempo. Ora consideriamo le amministrazioni pubbliche come operatori giuridici, alle quali è affidato il compito di curare gli interessi pubblici mediante strumenti giuridici, ossia con atti giuridici e ponendo in essere fattispecie giuridiche. Le amministrazioni pubbliche, pertanto, si presentano come figure soggettive, ossia centri di riferimento di situazioni giuridiche soggettive che consentono loro di operare giuridicamente. La soggettività giuridica è riconosciuta sia a persone fisiche che giuridiche, da cui la distinzione tra centro di azione e centro di responsabilità nell’agire giuridico che implica non soltanto la soggettività giuridica, ma altresì l’avere il riconoscimento della personalità giuridica. In particolare, Massimo Severo Giannini indica la soggettività giuridica immateriale allorché si pongono problemi di ordine patrimoniale ai fini della tutela della sicurezza dei traffici che deve avere una struttura giuridica di riferimento ai fini della tutela dei terzi. Le amministrazioni pubbliche, di fatto, possono anche non avere personalità giuridica ma restano pur sempre figure soggettive. Tuttavia, numerose sono le amministrazioni pubbliche aventi personalità giuridica, quali lo Stato e tutti gli enti pubblici, sia territoriali che funzionali. Le figure soggettive non personificate, invece, sono molto più numerose nell’ambito del diritto pubblico, in quanto la legge attribuisce loro la personalità giuridica secondo i principi del diritto pubblico. Invero, l’elemento che contraddistingue la persona giuridica è l’essere un centro di imputazione giuridica, da cui derivano atti ed effetti giuridici, con la consequenziale responsabilità patrimoniale di cui essa risponde soprattutto nel campo degli affari economici. Nel settore pubblico, restando essenziale la nozione di soggetto giuridico, appare meno rilevante la nozione di persona giuridica, mentre ciò che conta è che vi siano centri di imputazione dell’attività diretta alla cura degli interessi pubblici, tanto che il legislatore ha previsto che le amministrazioni acquistino o perdano la personalità giuridica senza conseguenze sul piano sistematico. Così le aziende autonome dello Stato che nel tempo hanno acquistato personalità giuridica ovvero le USL che da articolazioni del Comune sono diventate Aziende dotate di personalità giuridica. 2. Nozione di imputazione giuridica Le figure soggettive sono tali in quanto agiscono, svolgono azione giuridica, ossia pongono in essere atti rilevanti per il diritto. Esse restano semplici organismi, apparati amministrativi che vengono inseriti nel loro quadro organizzativo secondo apposite norme di organizzazione ed a tali figure sono imputati gli atti che esse compiono. Il problema dell’imputazione veniva originariamente risolto mediante il modello della rappresentazione necessaria, per cui l’atto giuridico compiuto da una persona fisica produce direttamente effetto nei confronti della persona giuridica, ai sensi di cui all’art. 1388 c.c. Dunque, alla persona giuridica vengono imputati soltanto gli effetti giuridici prodotti dagli atti compiuti dal rappresentante, così come accade nella rappresentanza delle persone fisiche incapaci. Nella seconda metà del secolo scorso si è posto anche il problema della capacità di agire della persona giuridica unitaria dello Stato, in quanto il previgente modello della rappresentanza (per cui l’atto giuridico compiuto da una persona fisica produce direttamente effetto nei confronti della persona giuridica) è apparso inadeguato per la struttura organizzativa della persona giuridica dello Stato, che comporta un numero rilevante di rappresentanti e per le

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limitazioni proprie del modello della rappresentanza che riguarda soltanto gli atti volontari e quelli negoziali, per cui l’atto compiuto dal rappresentante resta come atto del rappresentante e non viene considerato come atto del rappresentato Viene allora elaborato un diverso modello di imputazione giuridica, la c.d. teoria organicistica dello Stato, per cui lo Stato viene inteso come organismo superiore, amplificazione dell’organismo umano, e come questo capace di volere ed agire attraverso i propri organi, per cui gli effetti dell’atto compiuti dalla persona giuridica sono imputati all’organo che viene riconosciuto titolare dell’azione compiuta. Con la figura dell’organo, infatti, si ha un rapporto di imputazione rispetto al quale l’effetto giuridico dell’atto non viene soltanto imputato alla persona giuridica, ma anche l’atto giuridico che lo produce, per cui si ha imputazione di effetti e di atti nei termini di imputazione formale. Tuttavia, la persona giuridica è anche il soggetto titolare dell’atto, in quanto autore del medesimo, per cui si delinea un rapporto di immedesimazione organica tra l’organo e la persona giuridica. Di immedesimazione organica si può parlare a condizione che tale nozione sia intesa nel rapporto di imputazione svincolata dalla sua concezione originaria, in cui essa serviva ad attribuire la capacità di agire alle persone giuridiche che attraverso gli organi in esse immedesimati acquistavano esse stesse la capacità di agire. La figura soggettiva, infatti, diventa titolare di atti giuridici, ma per avere la capacità di compierli deve sussistere il rapporto organico tra gli atti ed i suoi organi. Di qui l’imputazione indiretta dell’atto ad un soggetto diverso dal suo autore che dipende necessariamente dalla naturale inidoneità in cui il soggetto della imputazione si trova nel produrre fattispecie giuridiche. Nella teoria organicistica, infatti, l’organo è inserito necessariamente nel quadro organizzativo della persona giuridica, per cui si presenta come ufficio ovvero come titolare dell’ufficio, con attribuzione e delimitazione dei relativi compiti, che sono solo quelli rientranti nei limiti della competenza propria dell’ufficio. L’organo, peraltro, è necessariamente una o più persone fisiche, in quanto la persona fisica è termine essenziale per il rapporto di immedesimazione dal momento che è la sola ad avere la idoneità naturale di agire, di compiere atti giuridici. Pertanto, è la sola alla quale è possibile imputare atti giuridici da essa materialmente compiuti. Nel rapporto di imputazione corre tra il termine attivo, ossia il centro di imputazione, ed il termine passivo, ossia il centro cui si imputa. Le figure soggettive diverse dalle persone fisiche sono i termini passivi del rapporto di immedesimazione e l’imputazione degli atti e degli effetti riguarda i loro organi, quali termini attivi del rapporto. L’imputazione organica, fondata sull’idea della immedesimazione dell’organo nella struttura organizzativa della persona giuridica, comporta che sia quest’ultima titolare delle situazione giuridiche attive e passive nonché di poteri e doveri da cui l’adozione di atti giuridici imputati alla persona giuridica. 3. L’organo come strumento di imputazione. Imputazione organica corrisponde ad imputazione alla figura soggettiva di atti ed effetti giuridici, per cui l’imputazione dell’atto è compiuta in capo all’organo e con essa la tutela di coloro che entrano in rapporto con la figura soggettiva, che non potrà sottrarsi alla responsabilità degli atti viziati in quanto attribuiti all’organo e non a se medesima. Di qui il problema della imputazione dei meri atti ed, in particolare dei fatti illeciti, in quanto secondo alcuni l’imputazione giuridica concerne tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti, sia leciti che illeciti, e perfino atti di conoscenza. Invece, secondo altri l’organo

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imputa alla persona soltanto atti e non fatti, dato che le imputazioni di fattispecie fattuali non richiedono che il fatto sia naturalisticamente riferibile all’organo. Tale ultima tesi sembra preferibile, in quanto è propriamente alla figura soggettiva che il diritto riconosce la possibilità di curare i suoi interessi attraverso il compimento di atti rilevanti rispetto al soggetto e non già di meri fatti. Inoltre, per i fatti illeciti civili, l’imputazione segue regole generali di diritto privato, mentre regole specifiche sono previste dal diritto pubblico per le persone giuridiche dell’amministrazione pubblica. Dunque, per l’imputazione organica di atti illeciti è preferibile parlare di “ascrizione”, lasciando il termine imputazione alla responsabilità. L’imputazione di fatti illeciti si fonda sul nesso di causalità materiale, per cui essi non sono espressione della soggettività giuridica, ma significa che sono compiuti materialmente da un soggetto che ne è riconosciuto autore: compiere un fatto illecito significa compierlo materialmente, compiere un atto giuridico significa esserne materialmente l’autore. 4. Organo ed ufficio La nozione di organo (es. dirigente del Comune) rileva soltanto rispetto al tema delle imputazioni giuridiche, in quanto l’organo è un centro operativo di imputazione di atti ed effetti della persona giuridica. Tale nozione di organo non attiene al tema della organizzazione in senso proprio, in quanto esso si qualifica come ufficio di imputazione. Infatti, l’organo quale strumento di imputazione deve essere riguardato come ufficio (es. ufficio tecnico del Comune), e cioè come entità organizzativa. Di qui il problema del rapporto di imputazione che si radica nell’organo oggettivamente considerato come ufficio, ovvero nella persona fisica preposta a tale ufficio? In tale ottica, il rapporto di imputazione corre tra la persona fisica c.d. titolare dell’organo e la figura soggettiva, per cui organo in senso proprio dovrebbe essere considerata la persona fisica indicata come titolare dell’organo, inteso come ufficio. Di fatto, l’organo è parte integrante della complessa struttura organizzativa della figura soggettiva, per cui tale può essere inteso come ufficio e costituisce una specie del più ampio genere di uffici. Inoltre, dal punto di vista funzionale, l’organo è strumento di imputazione, in quanto è soltanto la persona fisica che è titolare dell’ufficio ad essere indicata come titolare dell’ufficio, c.d. unità organizzativa. La persona fisica resta termine attivo del rapporto di imputazione che agisce anche come tale e per se stessa, per cui ogni organo può imputare alla persona giuridica tutti e solo tutti gli atti ed i relativi effetti che egli compie nell’ambito della competenza che gli spetta secondo il disegno organizzativo della persona giuridica. Infine, con la riforma del 1992 – 1993 si distinguono le funzioni politico – amministrative da quelle prettamente amministrative ed il numero degli organi si è incrementato con l’acquisizione di ruolo da parte di tutti i dirigenti, ai quali spetta adottare gli atti ed i provvedimenti amministrativi compre gli atti che impegnano l’amministrazione all’esterno (art. 4, comma 2, d. lgs. n. 165/ 20015).

5 Art. 4, comma 2 dlgs 165/2001: Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

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Capitolo 3 Le strutture organizzative

1. Il disegno organizzativo delle strutture. Le strutture delle amministrazioni pubbliche sono il supporto necessario per lo svolgimento di attività complesse a queste demandate in funzione del risultato finale. Secondo la scienza dell’organizzazione, il tema dell’organizzazione investe il problema della divisione, coordinamento e razionalizzazione del lavoro di più persone. Problema avvertito da ogni struttura operativa e non soltanto nelle amministrazioni pubbliche, in quanto si pone la questione della distribuzione dei compiti differenziati su una pluralità di centri di lavoro secondo criteri e principi idonei ad assicurare il raggiungimento di propri scopi. Le strutture organizzative pubbliche, in particolare, sono organizzazioni formali, costituite per raggiungere scopi determinati sulla base di atti formali di costituzione, modificazione e di estinzione secondo il principio di legalità che le avvolge. Inoltre, queste sono burocratiche, in quanto l’attività lavorativa fondamentale è regolata dal principio procedimentale costituita dalle fasi di iniziativa, acquisizione e valutazione dei dati di conoscenza, decisione ed esternazione degli atti giuridici finali nonché delle attività a queste strumentali. Ciascuna di tali attività costituisce una funzione in senso atecnico, finalizzata al raggiungimento del risultato finale unitario. Invero, il disegno organizzativo di qualsiasi struttura organizzativa si articola in centri di lavoro, che ne costituiscono le unità strutturali elementari tanto che il disegno organizzativo risulta composto dalla somma di uffici, quali centri di lavoro, e dai compiti ovvero ruolo ad essi assegnati, nonché dalle relazioni esistenti tra essi. L’indicazione del numero, dimensione e ruolo degli uffici è regolata secondo il principio di legalità: sono infatti norme giuridiche a disciplinarli. 2. La nozione di ufficio Gli uffici sono le unità elementari di base di qualsiasi struttura organizzativa, che investe il piano organizzativo, risultando estranei al tema della soggettività e delle impugnazioni, laddove all’interno di essi è ricondotta la figura dell’organo. La distinzione tra ufficio ed organo è stata caricata di diversi significati tanto che l’ufficio è stato considerato dalla dottrina come “astratta sfera di competenze” in quanto riferito allo svolgimento di funzioni ed esercizio di poteri. Considerato, poi, in termini di competenza, la dottrina successiva ha riguardato all’ufficio sul piano strettamente giuridico con riferimento alle persone fisiche ivi operanti, per cui l’ufficio è stato valorizzato come centro di lavoro, ossia servizio personale prefigurato, predeterminato di un’attività lavorativa coordinata con altri centri di lavoro che, nel loro insieme, consentono alla figura soggettiva di svolgere le loro funzioni. Ciascun ufficio, infatti, è dotato di un proprio ruolo, per cui il soggetto ad esso preposto è centro della dinamica giuridica ed il suo ruolo, assegnato secondo un disegno organizzativo, risulta modellato sulla base delle risorse umane e strumentali di cui si compone. 3. Rapporto d’ufficio. Rapporto di servizio. Munus ed officium. L’ufficio è composto di (servizi di) persone fisiche che prestano ivi la propria attività lavorativa e che fanno capo al titolare dell’ufficio, il quale è la persona fisica che, assegnando compiti specifici agli addetti, dirige il lavoro dell’ufficio di cui è responsabile anche nei rapporti con gli altri uffici. All’interno dell’ufficio si determina una relazione organizzativa denominata gerarchia propria, dal contenuto variabile secondo i modelli organizzativi e modulato secondo le diverse esigenze.

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L’attività degli addetti è giuridicamente dovuta ed assume il carattere di dovere d’ufficio, un quanto gli addetti devono prestare il loro lavoro nell’ambito dell’organizzazione di una figura operativa. Di qui la distinzione con il c.d. munus, ossia con l’ufficio in senso soggettivo, che rappresenta la figura attiva nel rapporto di imputazione costituito dalla figura soggettiva investita della cura dell’interesse altrui. Titolare del munus, infatti, è il titolare della funzione sottoposta alle direttive ed ai controlli di altri soggetti anch’essi investiti della cura del medesimo interesse alieno a quello del munus. Pertanto, il rapporto organizzativo in tale ambito può essere assunto da un soggetto privato. Dal munus si distingue l’officium, ossia l’ufficio in senso oggettivo, che rappresenta lo strumento mediante il quale una data collettività, priva di personalità giuridica (ente di fatto), riesce ad agire giuridicamente. Di conseguenza, mentre l’officium è centro attivo di imputazione che gode di propria soggettività in forza della quale è titolare anche di legittimazione sostanziale e processuale per la cura di interessi propri; il munus, invece, riguarda ad interessi alieni rispetti a quelli che sono insiti nella propria struttura organizzativa. Il titolare dell’ufficio, incardinato nell’ufficio, svolge un’attività lavorativa soltanto strumentale allo svolgimento della funzione che resta attribuita alla persona giuridica. Nello specifico, il rapporto d’ufficio sembra estendersi a tutti i componenti dell’ufficio e, dunque, al titolare dell’ufficio e a tutti gli addetti che, tramite l’ufficio, sono legati alla persona giuridica soggettiva. Tale rapporto trova maggiore rilievo nei confronti del titolare dell’ufficio rispetto al quale si rivolge il dovere d’ufficio che gli addetti devono prestare durante la propria attività lavorativa. Distinto dal rapporto d’ufficio è il rapporto di servizio che investe il pubblico dipendente, ossia colui che svolge attività lavorativa in modo professionale, continuativa, permanente ed esclusivo dietro corresponsione di una retribuzione da parte dell’amministrazione pubblica. Questo tipo di rapporto comprende tutto ciò che attiene al trattamento economico della persona fisica che presta la propria attività lavorativa e al suo stato giuridico (es. qualifica, anzianità, mansioni, etc.). Sul piano della responsabilità amministrativa, il rapporto d’ufficio si radica nella giurisdizione della Corte dei Conti. L’atto di investitura del titolare del rapporto d’ufficio deriva da procedimento di nomina o mediante elezione e la nomina può anche derivare da fiducia sulla base di requisiti ritenuti idonei allo specifico ufficio. Quanto al procedimento elettorale, la nomina investe i rappresentanti del corpo elettorale. Per il conferimento degli incarichi dirigenziali, invece, l’atto di investitura dell’ufficio rientra nell’ambito degli atti di esercizio di poteri privati come ravvisato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, di cui a seguito si tratterà. 4. Uffici monopersonali e pluripersonali (collegiali). Se la titolarità è assegnata ad una pluralità di persone fisiche, l’ufficio si caratterizza per la collegialità, la cui disciplina è rimessa al suo ordinamento. In particolare, per la costituzione del collegio è necessaria la presenza fisica di un certo numero di componenti, c.d. quorum strutturale, stabilito dalla legge che, in assenza di previsioni specifiche, deve permanere per tutta la durata della seduta. Il collegio si qualifica perfetto se la normativa prevede la presenza di tutti i componenti del collegio ai fini della validità della riunione. La proposta di deliberazione acquista la dignità di deliberazione del collegio quando sono si espressi favorevolmente i componenti del collegio nel medesimo numero richiesto dalla norma ed il quorum è funzionale (cioè il quorum richiesto per il funzionamento del collegio) a seconda il tipo di collegio ovvero del tipo di deliberazione e che corrisponde alla metà dei

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membri votanti più uno, c. d. maggioranza semplice sebbene siano previste maggioranze qualificate diverse. Durante la votazione può accadere che uno dei componenti si astenga per ragioni di opportunità o perché obbligatovi, per cui l’astenuto viene computato tra i votanti e risulta ininfluente ai fini del quorum funzionale, salto diversa indicazione normativa. I collegi sono costituito da un numero fisso di persone ma possono anche variare nella loro composizione. Il Presidente è titolare di ulteriori poteri strumentali finalizzati al funzionamento del collegio. La deliberazione assunta dalla presenza dei soli membri del collegio si ritiene assunta nel momento in cui i componenti del collegio esprimono la loro volontà e non già quando è approvato il verbale della relativa seduta. La verbalizzazione, infatti, integra un’attività successiva all’approvazione volta a tradurre per iscritto quanto discusso, per cui l’attività tradotta nel verbale è attività capace di produrre certezza giuridica. La dottrina distingue tra collegi di ponderazione, che si riuniscono in un unico corpo più capacità professionali, e collegi di composizione, se la ragione è quella di comporre in unica sede interessi molteplici e diversi tra loro. Inoltre, i primi riguardano ponderazioni di tipo tecnico e sono composti da persone capaci di tale attività laddove i secondi valutano, e non ponderano, fatti e comportamenti relativi a comportamenti differenziati. I primi funzionano soltanto con la partecipazione di tutti i componenti, mentre i secondo possono funzionare anche in assenza di alcuni componenti. Se la ponderazione ha ad oggetto elementi tecnici, si parla di collegi di valutazione (o tecnici), per sottolineare il fatto che sono composti, in tutto o in parte, da persone dotate di professionalità o esperienze specifiche, che non ponderano interessi ma valutano fatti e comportamenti. 5. Le vicende del rapporto. Il funzionario di fatto. L’ordinamento prevede che, qualora il titolare dell’ufficio si trovi in situazioni di temporanea incapacità di prestare la propria attività lavorativa, sia assicurata la necessaria continuità nel servizio dei compiti dell’ufficio strumentale al conseguimento della funzione. Le due figure che assolvono a tale funzione sono quella della supplenza e della reggenza. Il supplente è il titolare di un altro ufficio dell’amministrazione che subentra automaticamente nella titolarità dell’ufficio al verificarsi della vacanza senza specifico atto di nomina. La reggenza, invece, ricorre nei casi di mancata previsione della supplenza, presuppone la nomina interinale del titolare di altro ufficio individuato secondo procedure stabilite. L’incaricato temporaneo conserva la medesima ampiezza di compiti dell’incarico assegnato in origine anche se possono essere previste limitazioni. La cessazione del rapporto d’ufficio, invece, può derivare da varie ragioni ed in passato si consentiva al titolare dell’ufficio di continuare ad esercitare il proprio ruolo anche dopo la scadenza dell’investitura e fino all’insediamento del suo successore, come prevedono alcune leggi di settore. A livello generale, invece, le funzioni attribuite agli organi generali hanno un loro termine di durata previsto per ciascuno di essi entro il quale possono essere ricostituiti e in caso di mancata ricostituzione è prevista la prorogatio per non più di 45 giorni decorrenti dalla loro scadenza, in cui possono adottare soltanto atti di ordinaria amministrazione a pena di nullità. Tale sistema trova fondamento giuridico nell’esigenza di continuità nell’esercizio delle funzioni amministrative, per cui l’invalidità di nomina dei membri del collegio vizia l’investitura dell’intero collegio e la delibera adottata da collegi imperfetti risulta irrilevante ai fini della validità della delibera.

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Ulteriore figura è quella del c.d. usurpatore d’ufficio, ossia colui che con coscienza e volontà assume la titolarità dell’ufficio pubblico prescindendo da formale investitura. Tale figura trova limitazione nel funzionario di fatto laddove manchi la reale volontà usurpatrice. 6. L’ufficio del responsabile del procedimento. La figura del responsabile del procedimento6 rappresenta un esempio di aggregazione e concentrazione di più ruoli all’interno di un unico ufficio o meglio dell’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni adempimento procedimentale nonché dell’adozione del provvedimento finale. Tale figura risponde alle esigenze di funzionalità e trasparenza dell’azione amministrativa, per cui ciascuna amministrazione determina, in prima fase, per ciascun procedimento l’unità organizzativa responsabile dello svolgimento procedimentale e dell’adozione del provvedimento finale. Fin qui vi è distribuzione di ruoli secondo il principio di articolazione dell’attività amministrativa ex art. 97 Cost. In seguito, il dirigente dell’unità organizzativa individua il responsabile del procedimento assegnando a sé o ad altro dipendente addetto a tale unità, la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento relativo al procedimento nonché eventualmente dell’adozione del provvedimento finale, per cui fino a tale assegnazione il funzionario resta responsabile del singolo procedimento. Il ruolo assegnato all’ufficio è individuato dalla legge n. 241 del 1990 e dalle norme regolamentari che nello specifico disciplinano la materia per ciascun tipo di procedimento.

6 legge 241/90 Capo II Responsabile del procedimento - Articolo 4. (Unità organizzativa responsabile del procedimento) (1) 1. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale. 2. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 5. (Responsabile del procedimento) (1) 1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale. 2. Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell'articolo 4. 3. L'unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all’articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 6. (1) (Compiti del responsabile del procedimento) 1. Il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento; b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all'articolo 14; d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

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Il responsabile può essere sia il titolare dell’ufficio che qualsiasi altro addetto scelto tra gli uffici interessati dall’attività procedimentale o anche fuori di essi. Quanto al dirigente dell’unità organizzativa, ai sensi degli artt. 4, 5 e 6 della legge n. 241 del 1990, non è richiesto che egli rivesta la qualifica di dirigente e neppure avere la competenza ad adottare il provvedimento finale che, invece, è predeterminata dalla legge. Pertanto, il dirigente che omette di indicare, all’avvio del procedimento, un diverso responsabile, assumerà egli stesso il ruolo di tale ufficio temporaneo nell’ambito di una responsabilità limitata alla fase procedimentale in senso stretto. 7. Le fonti e i criteri di organizzazione. Nelle organizzazioni complesse, in cui operano molteplici uffici al fine di raggiungere uno scopo comune, le strutture sono disciplinate e realizzate con leggi, regolamenti ed atti organizzativi soprattutto Statuti degli enti territoriali minori con la riforma del Titolo V della Costituzione (attuata con la legge cost.le 3/2001). In particolare, gli atti organizzativi si distinguono tra atti di macrorganizzazione e microrganizzazione quanto alla loro natura giuridica pubblica o privata, in virtù dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, mentre le unità organizzative (gli uffici) si aggregano in senso verticale, secondo la rilevanza del ruolo assunto e in senso orizzontale secondo la differenza tipologica delle attività svolte, tale da formare un relazione piramidale di autorità – responsabilità all’interno del medesimo sistema organizzativo. La struttura organizzativa, infatti, si articola in una pluralità di uffici coinvolti nel perseguimento dell’obiettivo comune dello svolgimento di attività e scelte che ciascuno opera nel rispetto reciproco. A ciascun livello decisionale, infatti, sono ascritti profili di autorità e responsabilità differenti a seconda del grado della scelta effettuata e per agevolare il perseguimento dell’obiettivo comune è riconosciuta la piena attuazione del principio della trasparenza del responsabile del procedimento e della creazione di Uffici per le relazioni con il pubblico e dei servizi di comunicazione pubblica a favore dei cittadini. In relazione al tipo di attività svolta si distingue tra amministrazioni burocratiche deputate all’esercizio delle funzioni pubbliche, ed amministrazioni dal carattere aziendalistico per l’esercizio di pubblici servizi. In relazione alla rilevanza dei compiti assegnati viene distribuito il lavoro tra i vari uffici all’interno delle strutture organizzative, per cui la cura degli interessi pubblici è affidata a ciascuna amministrazione agli uffici centrali e quelli di minor rilievo agli uffici di base, i c.d. uffici periferici. Di qui si parla di accentramento nel primo tipo di struttura amministrativa e di decentramento per i sistemi globali del secondo tipo sovraindicato. In relazione agli interessi pubblici sono assegnati compiti alle strutture amministrative ed il coordinamento e controllo di tali funzioni e competenze avviene mediante raccordo di organi cui spetta elaborare indirizzi unitari ovvero attraverso il finanziamento unitario della attività inerenti all’amministrazione. Lo Stato rappresenta il modello di persona giuridica unitaria che si presenta, al suo interno, come aggregato di una pluralità di strutture organizzative, quali i ministeri, che esprimono ciascuno una propria attività con propri organi senza poter risalire ad una struttura unificata. Si tratta di un modello disaggregato in cui s’instaurano rapporti intersoggettivi nei confronti dei terzi con imputazione delle fattispecie in capo alle singole strutture anziché direttamente allo Stato. Inoltre si rileva il trasferimento a livello comunitario di funzioni in precedenza spettanti in via esclusiva allo Stato, in quanto i soggetti chiamati a rappresentare lo Stato nei rapporti comunitari si sono moltiplicati e ciò è un ulteriore fattore di disaggregazione dell’amministrazione pubblica.

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8. L’Amministrazione dello Stato: caratteri generali. All’interno della struttura delle amministrazioni pubbliche si distingue tra amministrazioni pubbliche, quale concetto generale ed amministrazioni dello Stato, concetto specifico. Invero gli organi dello Stato sono stati considerati dalla dottrina come organi dalla personalità giuridica imperfetta, in quanto il carattere della soggettività risultava inadeguata. Tuttavia, con la maturata consapevolezza che trattasi di centri di imputazione di situazioni soggettive seppure prive di personalità giuridica, le singole amministrazioni in cui si articola lo Stato, quale unico soggetto di diritto, hanno una propria consistenza separata sul piano organizzativo e non anche sul piano della soggettività (Stato: modello di organizzazione disaggregata). Infatti, ciascun ministero ha organi dotati di rappresentanza legale che agiscono nell’ambito delle fattispecie compiute dal ministero e non genericamente dallo Stato, per cui le amministrazioni dello Stato acquistano il carattere di figure soggettive laddove lo Stato è persona giuridica unitaria. Il modello ministeriale, anche grazie ai rapporti con l’Unione europea, è venuto a frammentarsi in tanti altri uffici del Ministero secondo diversi disegni organizzativi, fermo restando che l’amministrazione dello Stato segue la disciplina specifica tipica delle amministrazioni pubbliche relativamente ai procedimenti contabili, finanziari, negoziali, processuali. 9. Le amministrazioni autonome Le amministrazioni, svolgendo attività di produzione di beni e servizi nell’ambito di organizzazioni complesse di tipo burocratico, restano collegate agli organi di vertice cui coincidono i titolari della struttura di riferimento. Il grado di compiutezza del loro disegno organizzativo ne determina il riconoscimento come figure soggettive, per cui la legge in alcuni casi le istituisce come veri e propri enti pubblici. In particolare, il modello organizzativo dell’amministrazione autonoma è ricondotto a quello delle aziende autonome dello Stato e da quelli delle aziende municipalizzate degli enti locali. La dottrina, a riguardo, ne indica il carattere derogatorio della disciplina del modello organizzativo burocratico. Tale modello, in definitiva, è stato pressoché abbandonato a seguito dei recenti processi di trasformazione delle amministrazioni pubbliche in società pubbliche.

Parte I Capitolo 4

Le relazioni organizzative e formule organizzative

In relazione alle strutture compiute che fanno capo ad una organizzazione avente personalità giuridica, si pone un’esigenza di razionalità del sistema che consiste nel raccordare tra loro tali strutture al fine di ricomporla a livello funzionale nell’unitarietà dell’organizzazione complessiva. Molteplici rapporti si pongono tra loro, creando una trama che abbraccia l’intera organizzazione amministrativa. Tali rapporti sono, appunto, le relazioni organizzative, rispetto alle quali si struttura l’organizzazione formale disciplinata dal diritto, quali rapporti giuridici caratterizzati da situazioni giuridiche soggettive correlate e contrapposte di cui sono titolari le diverse strutture organizzative. Questi rapporti si articolano in potestà ed interessi protetti e la consistenza delle relazioni organizzative risulta costante per le strutture dotate di personalità giuridica, viceversa non è costante nelle strutture prive della personalità giuridica.

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Tale differenza si riflette nella struttura sottordinata che, nel primo caso, può chiedere tutela dell’interesse protetto anche in sede giudiziale, laddove nel secondo caso essa deve accontentarsi dei soli rimedi amministrativi. Nel quadro generale delle relazioni organizzative si specificano due tipi di formule: un rapporto potestà – interesse protetto ed un rapporto potestà – soggezione. In particolare, si parla di relazioni infrastrutturali o interne, quanto alle relazioni tra uffici della medesima struttura; di relazioni interorganiche se riguardano strutture o amministrazioni diverse che non hanno personalità giuridica, di relazioni intersoggettive tra amministrazioni dotate di personalità giuridica. Queste ultime sono le relazioni organizzative che interessano maggiormente. Invero le relazioni tra strutture compiute sono rapporti giuridici aventi contenuti diversi, quali potestà di direzione, indirizzo, controllo e così via e l’insieme di queste caratterizza la posizione nella quale le une si collocano rispetto alle altre. Tali posizioni relazionali danno luogo a modelli o formule organizzative raggruppabili nella posizione di autonomia o indipendenza ovvero in dipendenza nelle sue forme di ausiliarietà, strumentalità, dipendenza in senso stretto. La posizione di autonomia si caratterizza per la limitata consistenza delle relazioni organizzative, mentre quella di dipendenza si caratterizza per la forte consistenza delle relazioni organizzative. Quanto ai rapporti o relazioni organizzative dotate di stabilità, si rinviene la posizione in cui un ufficio, struttura compiuta, si trova rispettivamente nei confronti dell’ufficio parte della struttura amministrativa, da cui la posizione di ciascun ufficio nei confronti degli altri uffici nell’ambito della medesima struttura organizzativa. La dottrina ha ravvisato nelle organizzazioni equiordinate una relazione di reciproca indifferenza, in quanto si rinviene tra queste il coordinamento delle azioni rispettive, che invece è escluso nelle relazioni tra uffici caratterizzate da sovra ordinazione – subordinazione. Con il termine “formula organizzativa”, dunque, si fa riferimento ad un modello organizzativo complesso considerato sia rispetto alle strutture che lo compongono sia alle relazioni tra tali strutture. Pertanto, attraverso lo studio delle relazioni organizzative si considera il modo in cui le singole strutture interagiscono tra di loro. Occorre altresì considerare che le relazioni organizzative infrastrutturali, ossia tra uffici della medesima struttura organizzativa, riguardano gli uffici “di line” di una struttura organizzativa e non già gli uffici “di staff”, i quali sono collegati alla struttura compiuta per le funzioni di supporto che ad essa prestano, quali la programmazione, la consulenza, il controllo. Le posizioni relazionali, c.d. formule organizzatorie, si rinvengono anche negli enti territoriali per i quali si è posto il rilievo del diverso grado di dipendenza rispetto allo Stato. In definitiva, esistono tante specifiche disposizioni organizzative quante sono le posizioni relazionali secondo le diverse discipline organizzative positive da cui la consistenza delle medesime relazioni organizzative. 2. La gerarchia La nozione di gerarchia ha subito negli anni una modificazione nella sua applicazione e nei suoi contenuti. Il primo modello di organizzazione amministrativa, infatti, era ispirato ad un modello fortemente accentrato, per cui la gerarchia era l’unica formula organizzativa positivamente utilizzata. Successivamente, tale modello si è andato riducendo nella sua applicazione, per cui si sono preferite soluzioni pluralistiche e decentrate tanto che oggi la gerarchia non attiene più alle relazioni interstrutturali seppure con residua traccia nelle relazioni tra uffici della medesima amministrazione. In particolare, la gerarchia caratterizza oggi i rapporti tra organi ed uffici serventi e tra dirigenti di vario livello nell’ambito della distribuzione dei compiti, per cui all’ufficio

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inferiore viene fatta rientrare la competenza di specifici compiti secondo disposizioni generali in qualsiasi momento modificabili dall’ufficio sovraordinato. Di fatto, le competenze degli uffici inferiori si sono andate modificando nel tempo tanto da essere individuate in via formale e la gerarchia ha subito una prima evoluzione, dal momento che gli atti del primo vengono ad essere oggetti di controllo sotto il profilo della legittimità. La gerarchia è formula organizzativa che contiene in sé tutte le potestà di sovra-ordinazione, quali indirizzo, programmazione e controllo, per cui si può affermare che le relazioni organizzative di sovra ordinazione riflettono l’isolamento di potestà contenute nella formula della gerarchia. Tipica della gerarchia è la potestà d’ordine, quale possibilità dell’ufficio sovraordinato di prescrivere le modalità di comportamento all’ufficio sottordinato mediante atti generali ovvero puntuali nonché potere di revoca e riforma degli atti emanati dall’ufficio inferiore. Tuttavia, a seguito della formazione dello Stato moderno si assiste alla spersonalizzazione degli uffici e del potere gerarchico, per cui la tendenza è quella di valorizzare il rapporto tra uffici. Invero, sotto il profilo giuridico la relazione di sovra ordinazione – subordinazione tra uffici fa riferimento al rapporto di poteri di ordine o di comando nei confronti dell’ufficio inferiore, per cui è necessario che tra i vari uffici vi sia un’identità di competenza, quale presupposto necessario di ogni rapporto giuridico. Considerata la competenza degli uffici gerarchicamente ordinati, infatti, si rinviene che la responsabilità del titolare di un ufficio presuppone la competenza dell’ufficio distinta da quella dell’ufficio sovraordinato, da cui la distinzione delle sfere di competenza che comporta determinazione nell’esercizio più o meno attenuato dei poteri. In proposito la riforma della dirigenza statale di cui al d. lsg. n. 29 del 1993 e d. lgs. n. 165 del 2001, ha attribuito competenze esclusive ai dirigenti ma ha altresì attenuato i poteri di ingerenza del Ministro, il quale non ha più potere d’ordine generale, bensì potere di impartire direttive agli organi, centrali e periferici, dell’Amministrazione. La gerarchia, infatti, tende oggi ad avvicinarsi al rapporto di direzione tanto che ormai sembra sia scomparsa dall’ordinamento amministrativo. A riprova di ciò si consideri il rapporto di gerarchia tra dirigenti di uffici dirigenziali generali e dirigenti delle strutture di livello inferiore nelle quali questi sono articolati, per cui i primi definiscono i compiti dei secondi individuando obiettivi e delegando le specifiche competenze e possono sostituirsi ad essi in caso di inerzia, decidono sui ricorsi gerarchici contro i loro atti e ne organizzano gli uffici, ex art. 16, comma 1, d. lgs. n. 165 del 2001 e art. 5, comma 5, d. lgs. n. 3 del 2004. 3. La direzione La relazione di direzione è la relazione organizzativa tra uffici della medesima struttura ovvero tra strutture e persone giuridiche diverse. Tale relazione fa capo all’ufficio sovraordinato al quale spetta il potere di emanare atti (direttive) con i quali, a differenza del potere di ordine, indica scopi concreti da perseguire, stabilisce ordini di priorità e lascia all’ufficio inferiore la scelta di raggiungere tali scopi. La relazione di gerarchica si va trasformando in relazione di direzione che, nei rapporti intersoggettivi, rappresenta uno strumento organizzativo idoneo a raccordare le figure soggettive pubbliche diverse dallo Stato. La direzione, infatti, costituisce un rapporto di sovraordinazione caratterizzato, a differenza della gerarchia, dal rispetto di una più o meno ampia sfera di autonoma determinazione dell’ufficio o dell’ente subordinato, per cui al potere di ordine si sostituisce il potere di impartire direttive ovvero il potere di indirizzo con cui vengono fissati gli obiettivi da perseguire e l’ufficio o l’ente subordinato resta però libero di determinare i modi ed i tempi dell’azione in uno spazio limitato positivamente. Parimenti, il potere di controllo non si

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estrinseca più in un controllo sugli atti, bensì in un controllo sull’attività svolta dall’ufficio o ente soggetto alla direzione. L’elaborazione della nozione di direzione nell’ambito del diritto amministrativo risale agli inizi del Novecento, allorché il dirigente venne considerato non più come un soggetto della supremazia o della subordinazione. La gerarchia, infatti, venne ridimensionata dalla dottrina successiva che offrì della direzione una versione più obiettiva riassunta in poteri, potestà o atti giuridici di direttiva, specialmente quelli svolti dagli organi di governo nell’esercizio di funzioni di indirizzo politico – amministrativo. Di fatto, la direzione è un rapporto di sovra ordinazione - subordinazione che, secondo la dottrina più recente, riguarda soprattutto la disciplina giuridica dei rapporti tra Ministro – dirigenti, titolari degli uffici dirigenziali, generali e tale relazione si fonda sul criterio della competenza con esclusione della configurabilità di una relazione di sovra ordinazione – sottordinazione. Tale relazione, infatti, ruota attorno alla più ampia funzione di indirizzo politico – amministrativo che trova nei dirigenti generali l’attività di programmazione strategica che si attua sul piano operativo mediante l’utilizzo razionale delle risorse e la fissazione delle strategie medesime. Tale processo interessa gli organi di governo e gli organi di gestione, nelle varie tappe, per cui il concetto di strategia, a differenza di quello di direzione, si precisa nella durevolezza e nella stabilità degli obiettivi assegnati. 4. Il coordinamento. Il coordinamento non è di per sé una relazione organizzativa, bensì il risultato dell’esercizio di poteri inerenti ai diversi tipi di rapporti organizzativi. La dottrina parla di rapporto di equiordinazione tra soggetti preposti ad attività che, pur essendo distinte, sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno unitario in vista di risultati di interesse comune. Esso risponde al fine di assicurare coerenza ed organicità all’attività amministrativa. In dottrina si è ritenuto che il coordinamento sia un rapporto non precisato da norme ordinarie, per cui tutte le parti sarebbero vincolate a comportamenti conseguenti a quelle istanze equiordinate prefissate, in quanto esso realizza il risultato di raccordo tra figure soggettive che esprimono attività di partecipazione ad uguale titolo in tutti gli uffici ovvero enti chiamati contestualmente alla valutazione degli interessi in gioco. Il coordinamento, dunque, non è né un potere, né un tipo di relazione organizzativa, bensì il risultato al quale si può pervenire attraverso relazioni di sovra ordinazione ovvero di equiordinazione. 5. Il controllo Nel dibattito dottrinale, il controllo trova significato nel garantire la regolarità formale e sostanziale del processo di formazione delle decisioni amministrative, per cui esso risulta connaturato al modo di essere della organizzazione amministrativa e si fonda sull’esigenza di verificare la rispondenza dell’attività di strutture pubbliche alle regole formali ovvero al vincolo funzionale. Sotto il profilo giuridico, i controlli possono essere interni, sia interorganici che intersoggettivi, e si distinguono in controlli interni, relativi alla medesima struttura, ovvero controlli esterni. Rispetto all’oggetto, i controlli possono essere controlli sui singoli atti oppure sull’attività dell’ufficio o della struttura soggetta a controllo. Il controllo sugli atti può essere preventivo o successivo, a seconda che sia esercitato prima o dopo che gli effetti siano diventati esecutivi. A seconda del parametro assunto per la verifica, i controlli possono essere di legittimità se il parametro è la legge, ovvero controllo di merito se è l’opportunità dell’attività

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amministrativa, infine controllo di gestione e controllo strategico se i parametri sono l’economicità, l’efficienza e la congruità dell’attività posta in essere o programmata rispetto ai risultati raggiunti o prefissati. Il sistema dei controlli è disciplinato dalla legge generale di contabilità di Stato, r.d. n. 2330 del 1923 e dal testo unico della Corte dei conti, r.d. n. 1214 del 1834 e dal testo unico delle leggi comunali e provinciali, r.d. n. 383 del 1934 oltre a varie leggi di settore. Si tratta di un sistema incentrato soprattutto sul controllo esterno di competenza della Corte dei Conti per gli atti amministrativi statali e su quelli dei Comuni e delle Province i controlli sono soprattutto quelli di legittimità e di merito. La Carta costituzionale ha ridotto il controllo di merito a semplice richiesta di riesame da parte degli enti di controllo affidandoli alla Commissione di controllo sugli atti delle regioni, ai Comitati regionali di controllo sugli atti degli enti locali. Tale assetto ha subito modificazioni a partire dagli anni ’90 sia per gli atti delle Regioni sia per gli atti dei Comuni e delle Province. In linea generale, i controlli preventivi di legittimità si esercitano nei soli confronti degli atti del governo in virtù dell’art. 100, comma 2, Cost. di competenza della Corte dei conti7. Il Dlgs 150/2009 disciplina la cd valutazione delle performance, che completa il cerchio del controllo-valutazione. La tipologia dei controlli si è arricchita con il d.lgs. n. 286 del 1999:

- controllo di regolarità amministrativa e contabile, per la legittimità (verifica la conformità alla legge dell’atto o procedimento oggetto di controllo), regolarità e correttezza dell’azione amministrativa, avente carattere preventivo nei soli casi espressamente previsti dalla legge;

- controllo di gestione, per la verifica dell’efficacia, efficienza, economicità dell’azione amministrativa al fine di consentire ai dirigenti di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati;

- valutazione dei dirigenti, quale presupposto per la responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21, commi 1 e 2, d. lgs. n. 165 del 20018.

- valutazione e controllo strategico, per la verifica dell’attività degli organi di indirizzo politico – amministrativo e valutare le scelte dei dirigenti rispetto agli obiettivi stabiliti dalle norme ed individuare eventuali fattori di ostacolo al raggiungimento di tali obiettivi;

7 Art. 100. Cost: Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione. La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge; al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. La legge assicura l'indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di fronte al Governo. 8 Articolo 21 d. lgs. n. 165 del 2001-Responsabilita' dirigenziale 1. I risultati negativi dell'attivita' amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi, valutati con i sistemi e le garanzie determinati con i decreti legislativi di cui all'articolo 17 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, comportano per il dirigente interessato la revoca dell'incarico, adottata con le procedure previste dall'articolo 19, e la destinazione ad altro incarico, anche tra quelli di cui all'articolo 19, comma 10, presso la medesima amministrazione ovvero presso altra amministrazione che vi abbia interesse. 2. Nel caso di grave inosservanza delle direttive impartite dall'organo competente o di ripetuta valutazione negativa, ai sensi del comma 1, il dirigente, previa contestazione e contraddittorio, puo' essere escluso dal conferimento di ulteriori incarichi di livello dirigenziale corrispondente a quello revocato, per un periodo non inferiore a due anni. Nei casi di maggiore gravita', l'amministrazione puo' recedere dal rapporto di lavoro, secondo le disposizioni del codice civile e dei contratti collettivi. 3. Restano ferme le disposizioni vigenti per il personale delle qualifiche dirigenziali delle Forze di polizia, delle carriere diplomatica e prefettizia e delle Forze armate

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6. Delegazione di funzioni ed utilizzazione degli uffici Le figure soggettive pubbliche possono risultare legate a vicende che implicano rapporti di collaborazione tra figure soggettive diverse. Tali vicende possono raggrupparsi in due modelli fondamentali, quali la delegazione di funzioni e l’utilizzazione di uffici altrui. Nella delegazione la figura soggettiva è titolare di un potere o funzione e ne trasferisce l’esercizio ad altra figura soggettiva, per cui il delegante resta titolare dei poteri o delle funzioni e conserva il potere di indirizzo e controllo sull’attività del delegato. La delegazione può aversi tra enti diversi (delegazione intersoggettiva), tra strutture compiute e tra organi della stessa struttura (delegazione interorganica). La delegazione dà luogo all’esercizio indiretto della funzione amministrativa ovvero amministrazione indiretta e tale modello è tipico delle amministrazioni c.d. aperte così come previsto dall’art. 118, ultimo comma, Cost9. L’utilizzazione degli uffici, infatti, riguarda attività istruttorie e preliminari e non già le funzioni in senso proprio, da cui la fondamentale distinzione rispetto alla delegazione. Tuttavia, alla delegazione ed all’utilizzazione degli uffici si può fare ricorso soltanto in presenza di una espressa disposizione di legge.

Capitolo 5 L’organizzazione amministrativa

1.Il profilo statico dell’organizzazione amministrativa Se si osserva l’organizzazione amministrativa sotto un profilo statico, essa può essere descritta come un insieme di soggetti pubblici che nel loro complesso compongono la pubblica amministrazione. Se però il sistema delle pubbliche amministrazione viene considerato dal punto di vista dinamico, può essere descritto come un disegno organizzativo che è il frutto della valutazione di interessi pubblici, distribuiti in funzioni pubbliche a capo delle quali sono posti soggetti detti “centri di riferimento” degli interessi stessi. Il trinomio funzione, allocazione della funzione e struttura caratterizzano i profili dinamici della pa e contraddistinguono la sua complessità. 2. L’organizzazione amministrativa nell’architettura costituzionale L’organizzazione pubblica, sotto il profilo statico del complesso di soggetti che la compongono, presenta un dato di complessità relativo alla sua correlazione con il sostrato sociale sul quale va ad innestarsi, in quanto essa è espressione della scelta politica del ruolo riconosciuto allo Stato in un determinato momento storico nell’ambito del suo intervento nel settore pubblico. Il sistema della pubbliche amministrazioni è articolato in modo complesso composta da una pluralità di soggetti variamente collocati sul territorio nazionale essenzialmente per ragioni di competenza (per materia o per territorio) loro riconosciute dalle rispettive leggi istitutive. La Costituzione contiene solo sporadici richiami alle singole figure soggettive del modello di pubblica amministrazione, essa si limita infatti a dettare i principi generali ai quali i soggetti, titolari del potere organizzativo, devono attenersi nell’esercizio dello stesso, e delinea i tratti essenziali della separazione tra funzione di indirizzo politico (di governo) e funzione amministrativo. Il richiamo costituzionale alle singole figure soggettive delle pubbliche amministrazioni riguarda il modello ministeriale che pone una riserva di legge sotto il profilo istitutivo di cui

9 Art. 118 Cost ultimo comma: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

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all’ultimo comma dell’art. 95 Cost10. Tale riserva è altresì richiamata all’art. 97 Cost11 in relazione all’organizzazione dei pubblici uffici. A livello costituzionale, infatti, si rinviene la determinazione dell’indirizzo politico amministrativo, ossia l’individuazione degli obiettivi e delle finalità che la comunità statale intende perseguire in un determinato momento storico secondo la determinazione fissata a livello di politica generale. Significativo è il riordino degli enti pubblici di cui alla legge. n. 404 del 1956, con la quale sono stati soppressi gli enti di diritto pubblico e gli altri enti in qualsiasi forma istituiti, soggetti alla vigilanza dello Stato e interessati comunque alla finanza statale i cui scopi risultavano “cessati o non più perseguibili” o “in condizioni economiche di dissesto” o fossero “nell’incompatibilità di attuare i propri fini statutari”. Negli anni Settanta, il tema della soppressione dei c.d. enti inutili tornò nel dibattito parlamentare con l’emanazione della legge sul parastato – legge n. 70 del 1975 – con la quale furono inseriti strumenti per la soppressione dei c.d. enti inutili e, con d.p.r. n. 616 del 1977, venne disposta la soppressione o la trasformazione in enti di diritto privato di quasi tutti gli enti pubblici nazionali rimasti privi delle funzioni da svolgere in ragione del trasferimento o della delega delle medesime ragioni ordinarie. Venne riordinato il S.S.N. (Sistema Sanitario Nazionale) con leggi n. 386 del 1974 e n. 349 del 1977 e n. 833 del 1978. Negli Novanta viene riavviato il dibattito sulla privatizzazione degli enti pubblici e fu indicato il federalismo amministrativo a Costituzione invariata secondo il principio di sussidiarietà, in quanto con le leggi Bassanini (legge n. 59 del 1997 e ss.) si è inteso garantire la semplificazione dell’azione amministrativa e realizzare una forma più accentuata di federalismo amministrativo nel rispetto delle esigenze e delle spinte provenienti dalle sedi europee. Tale percorso ha trovato una puntuale definizione dei compiti, delle funzioni amministrative da dismettere e conferire agli enti territoriali con reciproca delimitazioni delle sfere di competenza delle Regioni, Province e Comuni riservando alle prime compiti di programmazione, regolamentazione ed indirizzo, mentre agli Enti locali sono state riconosciute funzioni di gestione. Il decentramento amministrativo di cui alla legge n. 59 del 1997 è stato attuato con d.lgs. 112 del 1998 al fine di garantire una allocazione delle funzioni e dei compiti amministrativi (c.d. federalismo amministrativo a Costituzione invariata) relativi alla cura ed alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità nonché tutte le funzioni ed i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in capo alle amministrazioni e agli Enti più vicini ai cittadini. Allo Stato, dunque, sono rimaste affidate soltanto le funzioni che gli Enti locali e le Regioni non potevano svolgere rispettando in ciò il principio di sussidiarietà in senso verticale. Il decentramento amministrativo si rinviene: -nella clausola di apertura di cui all’art. 128 Cost12;

10 Art. 95 Cost: Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri. 11 Art. 97.Cost: I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

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-nell’art. 5 Cost., che consacra il principio autonomistico13; - 118 Cost.14, comma 1 e 2, Cost. che prevede la delega di funzioni amministrative da parte dello Stato alle Regioni in aggiunta a quelle elencate nell’art. 117 Cost.15

12 Art. 128 Cost: Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni, ora abrogato dall'articolo 9 della Legge 18 ottobre 2001, n. 3. 13 Art. 5 Cost: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. 14 Art. 118 Cost: Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta' metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Citta' metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attivita' di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarieta'. 15 Art. 117 Cost: La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivita' culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

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e d.p.r. n. 616/ 1977 con esclusione di quelle di interesse locale attribuite con legge della Repubblica agli Enti locali. Federalismo che ha trovato richiamo nella riforma del Titolo V Cost. operata con legge cost. n. 3/ 2001. La scelta del costituente è stata di non consacrare a livello di Carta costituzionale un modello rigido di organizzazione amministrativa, lasciando libero il legislatore di individuare la struttura organizzativa consona al perseguimento degli obiettivi che s’intendono perseguire con quella organizzazione. La dottrina rinviene tre modelli costituzionale di organizzazione amministrativa:

- il primo tipo di amministrazione è quello ministeriale di matrice cavouriana, in quanto apparato servente il Governo dal quale dipende come richiamato all’art. 95 Cost.;

Spetta alle Regioni la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalita' di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potesta' regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Citta' metropolitane hanno potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parita' degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parita' di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione puo' concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. (1) Articolo cosi' modificato dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (G.U. del 24 ottobre 2001, n. 248). Nel testo originario l'articolo 117 della Costituzione, disponeva: "La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni: - ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; - circoscrizioni comunali; - polizia locale urbana e rurale; - fiere e mercati; - beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; - istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; - musei e biblioteche di enti locali; - urbanistica; - turismo ed industria alberghiera; - tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; - viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; - navigazione e porti lacuali; - acque minerali e termali; - cave e torbiere; - caccia; - pesca nelle acque interne; - agricoltura e foreste; - artigianato. - Altre materie indicate da leggi costituzionali. Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione".)

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- il secondo tipo è il modello di amministrazione c.d. autocefala secondo gli artt. 97 e 98 Cost., per cui non è prevista alcuna indicazione sulla struttura dell’amministrazione che, invece, è affidata alla discrezionalità del legislatore, caratterizzata però da due elementi fondamentali dell’imparzialità e buon andamento;

- il terzo tipo è il modello c.d. autonomistico o comunitario riconducibile all’art. 5 Cost, che consacra i principi di autonomia e decentramento amministrativo specificati dal Titolo V della Costituzione. L’assenza di un modello certo ed unico ha impedito che si potesse avere una unica nozione di pubblica amministrazione, nella quale fossero contenuti i profili strutturali della pa, così la dottrina ha individuato degli indici di riconoscimento, attraverso i quali valutare se una struttura si possa qualificare come ente pubblico. Tra gli elementi caratterizzanti abbiamo il regime giuridico dei soggetti, il loro inserimento istituzionale all’interno di una organizzazione amministrativa, la costituzione ad iniziativa pubblica dell’ente, l’essere l’ente soggetto al regime dei controlli pubblici, il fatto che lo Stato o un’altra amministrazione partecipino alle spese di gestione, ecc. Oltre a questi indici formali, la dottrina si serve, al fine di individuare l’ente come pubblico, anche di un indice funzionale, ovvero della valutazione in base alla quale un ente può considerarsi pubblico se e nella misura in cui sia funzionale al perseguimento di determinati interessi della società. Sempre la dottrina ha individuato come caratteri essenziali dell’ente pubblico: -l’autarchia, cioè la capacità dell’ente di governarsi, cioè il possesso di potestà pubbliche, funzionali al perseguimento degli interessi attribuitigli dalla legge; - l’autotutela, cioè la capacità dell’ente di risolvere un conflitto di interessi (attuale o potenziale) e sindacare la validità dei propri atti; - l’autonomia, la capacità di emanare provvedimenti espressione di scelte proprie dell’ente (normativa, regolamentare, statutaria, finanziaria, contabile, di indirizzo amministrativo, tributaria, ecc); - l’autogoverno, la facoltà di amministrarsi attraverso organi i cui membri sono eletti da soggetti che ne fanno parte. Il diritto comunitario, poi, usa un criterio funzionale, cioè riferito alle funzioni svolte: esso considera pubbliche amministrazioni solo quelle organizzazioni incaricate dell’esercizio di pubblici poteri, cui è attribuito lo svolgimento delle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello stato o di altre collettività pubbliche.. 3. Il sistema delle pubbliche amministrazioni Un primo criterio per sistemare le diverse pubbliche è stato individuato dalla dottrina nel criterio territoriale, per cui si distingue tra amministrazione statale centrale (Ministeri, agenzie, amministrazioni indipendenti) e periferica (Prefetture, Questure, Uffici territoriali del Governo, ecc) a livello generale costituita dai Ministeri ed amministrazione regionale e locale rappresentata da Enti locali. Un secondo criterio è stato rinvenuto dalla dottrina nell’ambito di intervento distinguendo tra enti pubblici ed enti pubblici economici, laddove i primi sono competenti dell’amministrazione diretta ed indiretta dello Stato, i secondi, invece, svolgono prettamente attività di natura economica. La complessità del sistema delle pubbliche amministrazioni, seppure riordinato con delega al Governo di cui alla legge finanziaria per il 2007, ha impedito di addivenire ad una nozione unitaria di pubblica amministrazione, per cui la dottrina ha individuato ulteriori indici di riconoscimento della pubblicità dell’ente, quali:

- il regime giuridico dei soggetti, da cui la costituzione ad iniziativa pubblica dell’ente secondo le disposizioni costituzionali;

- il loro inserimento istituzionale all’interno dell’organizzazione amministrativa.

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Accanto a tali indici formali, la dottrina ha poi individuato ulteriori criteri di natura sostanziale che attengono al profilo funzionale, per cui un ente si considera pubblico se e nella misura in cui è funzionale al perseguimento di determinati interessi della società. Diversa interpretazione emerge dal diritto comunitario, in quanto il giudice comunitario ha sottolineato come la nozione di pubblica amministrazione deve essere limitata a quelle organizzazioni incaricate dell’esercizio di pubblici poteri cui è attribuito lo svolgimento di mansioni che hanno ad oggetto la tutela di interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche. 4. L’organizzazione ministeriale e le Agenzie Il modello principale dell’organizzazione dello Stato è stato rappresentato, per lungo tempo, dal modello ministeriale risalente alla legge Cavour del 1853, con vertice nei Ministri, quale membri del corpo politico previsti espressamente a livello costituzionale. Le leggi istitutive disciplinavano i Ministeri e tale modello venne superato dalla legge n. 400 del 1988 in cui è stata prevista la possibilità di nominare Ministri senza portafoglio, cioè Ministeri privi di un proprio apparato organizzativo che si avvalgono della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’esercizio delle funzioni loro attribuite. Riguardo l’organizzazione interna delle strutture, sono state individuate due tipologie in base alla suddivisione in Dipartimenti e Direzioni generali.

- Dipartimenti, cui sono attribuiti compiti su grandi materie omogenee e compiti strumentali, ivi compreso quelli di indirizzo e coordinamento delle unità di gestione in cui si articolano i medesimi dipartimenti. Ogni dipartimento è retto da un dirigente generale, nominato con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri e su proposta del Ministro competente. Il Capo del dipartimento opera a diretto contatto con il Ministro e risponde dei risultati raggiunti dagli uffici dipendenti sulla base degli obiettivi assegnati, coordina, controlla e dirige gli uffici di livello dirigenziale generale assicurando la continuità delle funzioni dell’Amministrazione.

In ottemperanza alla nuova configurazione dei rapporti tra vertice politico e vertice amministrativo, ispirata al principio di separazione, al Capo del dipartimento spettano anche poteri di allocazione delle risorse nonché la promozione ed il mantenimento delle relazioni con gli organi competenti dell’UE per la trattazione degli affari di competenza del proprio Dipartimento. Il Dipartimento costituisce la struttura di primo livello dell’organizzazione, e può essere articolato in Direzioni generali (strutture di secondo livello) che dipendono dal Dipartimento. L’articolazione interna degli uffici dirigenziali generali, prevede Uffici dirigenziali diretti da dirigenti.

- Direzioni generali, in cui il Segretario generale opera alle dirette dipendenze del Ministro e provvede alla elaborazione degli indirizzi e dei programmi di competenza del Ministro ponendo in essere un’attività svolta dai Capi di Gabinetto. Gli uffici dirigenziali generali trovano il loro vertice i Dirigenti generali, nominati dai dirigenti. Al di fuori di tale struttura, la riforma ha previsto uffici di staff, che collaborano direttamente con Ministri, Vice-ministri e Sottosegretari ed uffici di line che non gestiscono direttamente affari amministrativi in quanto non appartengono alla struttura dell’amministrazione del ministero. In particolare, in dette strutture rientrano soggetti dotati di particolare esperienza e specializzazione professionale, che possono essere scelti anche all’esterno dell’amministrazione. La struttura amministrativa si arricchisce delle Agenzie, quali strutture che svolgono attività di carattere tecnico operativo a livello nazionale, esercitate da Ministeri ed Enti pubblici. Sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti e sono soggette alla vigilanza del Ministro, pur essendo separate dal Ministero.

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Ad eccezione delle Agenzie fiscali e di quelle di protezione civile e della Agenzie industrie e difesa, che hanno personalità giuridica, risultano istituite l’Agenzia per le normative ed i controlli tecnici, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, l’Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture, l’Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale. Quanto alle Agenzie fiscali (Agenzia delle entrate, delle dogane, del territorio e del demanio) sono attribuite specifiche competenze nei rispettivi ambiti assegnati, L’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (legge finanziaria per il 2007) risponde all’obiettivo della formazione dei dirigenti e dipendenti nella pubblica amministrazione al fine di garantire un adeguato sostegno alle pubbliche amministrazioni nell’ammodernamento e miglioramento delle attività formative. Il legislatore prevede al vertice dell’agenzia un direttore generale, affiancato da un comitato direttivo composto da tre dirigenti della stessa agenzia. Tale struttura di governo e coordinamento al sistema di organizzazione pubblica si completa con la Scuola superiore della pubblica amministrazione assumendo il coordinamento dell’attività dell’Istituto diplomatico, della Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno e della Scuola superiore dell’economia e delle finanze. 5. Cenni sull’organizzazione statale periferica. Sulla base delle funzioni loro assegnate, alcuni Ministeri presentano articolazioni territoriali rientranti nella c.d. amministrazione statale periferica e che determinano una forma di decentramento burocratico. Si distinguono, infatti, organi di competenza generale, quali lo Stato nella sua totalità ed organi a competenza speciale che svolgono funzioni statali inerenti, ad esempio, l’istruzione, la pubblica sicurezza, la gestione finanziaria. In particolare, l’amministrazione pubblica periferica è stata riformata con le leggi Bassanini che hanno portato ad una riduzione del numero di dette amministrazioni e accentramento presso le Prefetture – Uffici territoriali di Governo della maggior parte delle funzioni statali. Ne sono esempio, l’amministrazione statale finanziaria articolata a livello locale e dipendente dal Ministero delle Finanze ed incentrata sulle Direzioni Regionali delle entrate con sede nei capoluoghi di regione come da d. lsg. n. 300 del 1999. 6. Strutture di raccordo interne ed esterne all’amministrazione A livello statale l’amministrazione si presenta come struttura compiuta con una propria “mission” seppure disaggregata in diversi ministeri. Questi presentano elementi interni ed esterni alla loro struttura istituiti allo scopo di raccordare tra loro i Ministeri, gran tendone l’articolazione organica. Strumento di raccordo interno alle singole amministrazioni è rappresento dagli Uffici centrali di bilancio, ex Ragionerie, che, pur essendo estranei ai Ministeri presso i quali sono incardinati, dipendono dal Ministero dell’economia e delle finanze al fine di garantire unitarietà sotto il profilo della spesa e controllano la regolarità economico – finanziaria dell’azione svolta presso i Ministeri, sotto la responsabilità dei dirigenti competenti. Accanto a tali Uffici vi sono strutture organizzative che coagulano le iniziative generali dell’azione politico – amministrativa quali il Consiglio dei Ministri, i Comitati interministeriali ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, coadiuvate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei Ministri è comporto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, art. 9216, comma 1, Cost., con il compito di determinare la politica generale del Governo fissando

16 Art. 92 Cost: Il Consiglio dei ministri. Il Governo della Repubblica e' composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.

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l’indirizzo politico – amministrativo – interno ed esterno – del paese nonché la politica normativa e finanziaria del Governo e soluzione dei conflitti di attribuzione dei vari Ministeri (art. 2, legge n. 400/ 1988). Il Consiglio dei Ministri si avvale dell’Ufficio di segreteria diretto dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio che cura altresì la verbalizzazione delle singole deliberazioni del Consiglio. I Comitati dei Ministri, composti esclusivamente da Ministri, sono designati dal Presidente del Consiglio allo scopo di coadiuvare quest’ultimo. Tra i soggetti di raccordo esterno, invece, troviamo i Comitati interministeriali a composizione mista, tra cui i Ministri, gli esperti ed i rappresentanti delle amministrazioni interessate. Si tratta di organi collegiali non necessari del Governo istituiti per soddisfare esigenze particolari nei settori della P.A. operando un coordinamento dell’attività amministrativa. Con legge n. 537 del 1993 si è operato il riordino dei comitati interministeriali nel CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), con il compito di programmazione e politica economia nazionale; CICR (Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio), con il compito di vigilanza per la tutela del risparmio e l’esercizio del credito; e CESIS (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza), che esercita la funzione di Autorità nazionale per la tutela propria del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ricordiamo anche il SISMI (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) e il SISDE (Servizio per l’informazione e la sicurezza democratica), istituiti con la legge 801/1977. 6.1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo, mantenendo l’unità di indirizzo politico – amministrativo, coordinando l’attività dei Ministri, ex art. 95, comma 1, Cost. Egli è posto a capo della struttura organizzativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, centro motore dell’azione di governo e che è stata riordinata per la prima volta con legge n. 400/ 1988 al fine di garantire l’unità di indirizzo gestionale di cui all’espressa previsione costituzionale, Successivamente, con il d. lgs. n. 300/ 1999 si è inteso rendere maggiormente funzionale l’intera struttura mediante l’accrescersi di compiti amministrativi attribuiti ai servizi tecnici e quelli di protezione civile, turismo e spettacolo. Tale assetto è stato oggetto di revisione altresì con legge n. 233/ 2006 di conversione del d.l. n. 181/ 2006. Il nuovo quadro normativo ha inteso offrire al Presidente del Consiglio un più incisivo compito di impulso, indirizzo e coordinamento delle funzioni costituzionalmente attribuitegli secondo i principi di cui alla legge Bassanini 1, legge n. 59/ 1997, quali: - assicurare il coordinamento funzionale e operativo della Presidenza con le amministrazioni; - potenziare le funzioni autonome e tipiche; - trasferire a Ministeri o Enti o organismi autonomi i compiti operativi e gestionali, con il relativo personale; - garantire autonomia organizzativa, regolamentare e finanziaria; - trasferire alla Presidenza anche funzioni attribuite direttamente dalla legge ai Ministri senza portafoglio. Tali sono le funzioni proprie della Presidenza individuate dal legislatore delegato, tra cui risulta altresì la progettazione delle politiche generali e l’assunzione di decisioni di indirizzo politico generale. Nell’ambito della riforma è stata prevista l’istituzione, con Decreto del Presidente del Consiglio, di una Unità tecnica per la semplificazione e la qualità della regolazione (legge 233/2006), con la relativa segreteria tecnica composta dal capo del dipartimento per gli affari

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

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giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e da professori universitari, magistrati amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari, avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione all’albo professionale, dirigenti delle amministrazioni pubbliche ed esperti di elevata professionalità. Secondo il disposto di cui all’art. 7 del d. lgs. n. 303/1999 al Presidente del Consiglio spetta autonomia organizzativa e contabile, in quanto con propri decreti può individuare aree funzionali omogenee cui affidare compiti e attività. Inoltre, egli può istituire strutture di missione con durata temporanea e con cadenza triennale può, anche attraverso strutture specializzate, procedere alla verifica della razionalità dell’ordinamento e dell’organizzazione della Presidenza. Distinto dagli uffici di staff del Presidente, il Segretario gode di una propria autonomia in quanto svolge funzioni di snodo tra Presidenza e strutture amministrative. Egli, infatti, indica i parametri organizzativi e funzionali nonché gli obiettivi di gestione e di risultato cui sono tenuti i dirigenti generali ad essi preposti impartendo direttive generali per l’azione amministrativa di cui al d.p.c.m. 4 agosto 2000. Al personale della Presidenza, ai sensi di cui all’art. 9, comma 1, del d. lgs. n. 3030/ 1999, sono attribuiti compiti di diretta collaborazione con i Ministri secondo la disciplina del t.u. sul pubblico impiego ed il rimanente personale di cui si avvale la Presidenza sono elencate al comma 2 della norma richiamata. 6.2. CNEL, Consiglio di Stato e Corte dei conti. Organi ausiliari che operano con funzioni consultive sugli atti e sulle attività delle amministrazioni e che la dottrina indica come organi di rilevanza costituzionale:

- il C.N.E.L.(Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), ex art. 99 Cost.17, è stato istituito nel 1957 e riformato in ultimo con legge n. 148 del 2011 è un organo collegiale, composto da 121 membri ora ridotti a 70, ha funzione consultiva delle Camere e del Governo ed iniziativa legislativa limitata alle sole materie dell’economia e del lavoro, mentre la funzione consultiva è obbligatoria nella richiesta del parere alla relazione previsionale e programmatica che il Ministro dell’economia e della finanze è tenuto ad inviare al Parlamento.

- il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico – amministrativa e di tutela della giustizia amministrativa. Istituito nel Regno di Sardegna nel 1831, con la riforma del 1865 ha assunto la duplice funzione giurisdizionale e consultiva. Fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è dotato di un organo di autogoverno, il Consiglio di Presidenza, composto da Magistrati dei T.A.R. e del Consiglio di Stato, competente in materia di stato giuridico dei magistrati, provvedimenti disciplinari ed incarichi esterni dei magistrati. E’ articolato in sette sezioni, di cui le prime e la settima con funzioni consultive e le rimanenti tre con funzioni giurisdizionali, cui si aggiungono l’Adunanza generale con funzioni consultive e l’Adunanza plenaria con funzioni giurisdizionali. L’attività consultiva ha carattere generale, in quanto riguarda la legittimità ed il merito dell’azione amministrativa e viene esercitata attraverso la formulazione di pareri che possono essere di diversa natura a seconda che la richiesta degli stessi sia nella disponibilità dell’amministrazione, oppure essa sia obbligata a richiederli ed anche in ragione della loro efficacia. Quanto alla richiesta del parere al Consiglio di Stato, questa è trasmessa dal

17 Art. 99 Cost: Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l'iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.

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Segretario generale alla Sezione competente che, in assenza di contraddittorio delle parti interessate, esprime la volontà del Consiglio di Stato mediante congrua motivazione sulla base della iniziativa spettante al Ministro o al Sottosegretario su proposta del dirigente del servizio della materia oggetto della relazione.

- la Corte dei Conti coadiuva gli organi titolari di funzioni legislative, di controllo ed indirizzo politico, esecutive e di amministrazione attiva. E’ indipendente dal Governo e dal Parlamento ed è composto da impiegati amministrativi e magistrati. L’art. 100 Cost. attribuisce alla Corte dei conti funzioni di controllo e funzioni giurisdizionali nella materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge, ex art. 103 Cost. Essa svolge funzioni amministrative, quali i provvedimenti che adotta sullo stato giuridico dei propri dipendenti. Inoltre, essa svolge un controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo onde accertarne la conformità alle norme di legge, in particolare sulla legge di bilancio ed un controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato al fine di valutare la legittimità e regolarità delle gestioni tenute da ciascuna amministrazione. La Corte, infine, opera un controllo sulla gestione finanziaria degli Enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. I controlli sono esterni (controllo preventivo, controllo successivo, controllo sulla gestione degli enti cui lo stato contribuisce in via ordinaria, controllo sulla gestione degli enti locali) e interni (finalizzati a garantire una verifica della corrispondenza dell’azione amministrativa ai parametri di legittimità, ai principi di efficacia ed efficienza (controllo di regolarità amministrativa e contabile, controllo di gestione, valutazione della dirigenza, valutazione e controllo strategico). Essa garantisce il controllo sulla copertura economica delle leggi di spesa, per garantire il rispetto degli equilibri finanziari e dei vincoli di bilancio. È anche competente in merito alla certificazione finanziaria dei contratti collettivi di lavoro. Di recente le sono state attribuite le funzioni (legge 15/2009) di controllo sulle gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento, esercitabili anche a richiesta delle competenti commissioni parlamentari. Alla Corte sono altresì riconosciute funzioni giurisdizionali in materia di giudizi di conto e di responsabilità contabile ed in materia pensionistica.

- l’Avvocatura di Stato, fa capo al Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha il compito di provvedere alla tutela legale, mediante patrocinio in giudizio delle amministrazioni. E’ articolata in Avvocature distrettuali a livello regionale ed è composta da Procuratori ed Avvocati dello Stato e da personale amministrativo con vertice nell’Avvocato generale, nominato con D.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. 7. Le Amministrazioni Indipendenti. Le Amministrazioni indipendenti o autorità di regolazione sono state istituite a partire dal 1974, con la Consob (Commissione nazionale per la società e la borsa, d. lg. n. 95 del 1974) che, accanto alla Banca d’Italia, era preposta al risparmio secondo la previsione di cui all’art. 47 Cost18. In generale, tutte le amministrazioni indipendenti sono espressione dell’esigenza di garantire il corretto funzionamento di un settore di mercato (e della sua stabilità) nel quale operano soggetti pubblici e privati, per cui esse intendono garantire che un determinato servizio sia offerto a favore della collettività nel corretto funzionamento dello stesso. La garanzia del corretto funzionamento è assicurata dal conferimento all’amministrazione indipendente, di un complesso di poteri che vanno dalla predisposizione di regole essenziali di funzionamento del settore affidato alla sua regolazione, cui gli operatori devono attenersi, alla garanzia della loro applicazione, alla soluzione dei conflitti.

18 Art. 47 Cost: La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese

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A differenza dei Ministeri, non esiste un modello predeterminato di organizzazione di tali amministrazioni, in quanto i caratteri essenziali delle stesse sono l’indipendenza sia nell’attività di regolazione sia nella previsione di scelta dei vertici riconosciuti in base a specifiche competenze di alta professionalità. L’indipendenza funzionale è data dal fatto che l’autorità è sottratta a qualsiasi tipo di influenza da parte del Governo, mentre a livello strutturale è data dal fatto che i suoi vertici sono composti da soggetti con competenze specifiche, alta professionalità e indipendenza. Accanto al requisito dell’indipendenza si pone la neutralità, per il fatto che tali amministrazioni non appartengono ad un determinato settore cui le stesse sono chiamate a predisporre la regolazione. Infine, si ricorda l’istituzione con legge n. 146 del 1990 della Commissione di garanzia della legge sull’esercizio del diritto di sciopero al fine di contemperare l’esercizio di tale diritto con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, nonché l’Autorità delle telecomunicazioni do cui alla legge n. 249/1997 ed il Garante per la protezione dei dati personali di cui alla legge n. 675 del 1996 modificata da d. lgs. n. 123 del 1997 e successive modifiche. 8. Gli enti pubblici Gli enti pubblici sono soggetti creati da norme di diritto pubblico, per il perseguimento di determinati fini pubblici. Con legge n. 70/ 1975 sono stati soppressi i c.d. enti inutili e sono stati individuati i rispettivi enti necessari, il c.d. parastato, quali INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale), Cassa per il Mezzogiorno, ENEA, enti lirici, ACI. Accanto a tali enti, sono stati individuati enti non soggetti alla legge sul parastato, quali enti pubblici economici, enti locali territoriali (Province, comuni, ed altri enti locali) e gli altri enti pubblici, considerati non necessari né a statuto di specie che continuano ad esistente come enti privati. In particolare, i c.d. enti inutili non sono stati ricompresi nelle categorie menzionate in quanto ritenuti non meritevoli di sopravvivere e, dunque, sono stati soppressi. Negli anni Novanta si è avuto il riordino degli enti pubblici, accompagnato da un percorso di privatizzazioni che hanno visto lo Stato uscire dall’apparato di molti enti, con la tendenza ad allocare le funzioni non accentrandole ma attribuendole agli enti più vicini alla collettività, in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118 Cost. (decentramento amministrativo). Proprio la Costituzione prevede la delega delle funzioni dallo Stato a favore delle regioni sia in vista di una semplificazione amministrativa, che di un federalismo amministrativo nel rispetto delle esigenze e delle spinte europee. inizialmente, con la legge. n. 59/ 1997 (Legge Bassanini), il Governo è stato delegato ad operare il riordino degli enti pubblici nazionali. Pertanto, con legge n. 191/ 1998 si è provveduto a riordinare e razionalizzare gli enti pubblici mediante fusione e soppressione di enti ed organi aventi finalità omologhe o complementari nonché mediante trasformazione in pubblica amministrazione di enti per i quali l’autonomia non risultava necessaria ovvero mediante privatizzazione di enti che presentavano alto indice di autonomia finanziaria. Il legislatore ha voluto riordinare e razionalizzare alcuni enti pubblici, fondere e sopprimere enti ed organi con finalità omologhe e complementari, trasformare in pa enti per i quali l’autonomia non risultava essere necessaria, privatizzare enti pubblici con alto indice di autonomia finanziaria, trasformandoli in società di diritto privato, ecc. Sempre nel quadro del riordino il D.lgs 419/99 ha riorganizzato diversi enti (ANAS, SIAE, ecc), ed affidato alcuni settori prima disciplinati per legge, allo strumento del Regolamento. 9. Gli enti pubblici economici e l’impresa pubblica

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Gli enti pubblici economici sono presenti già nel periodo fascista nel settore ferroviario, tanto che nel 1905 si assistette alla riassunzione di tali enti da parte dello Stato, in quanto essi rappresentano una figura cardine dell’intervento pubblico in economia e con l’affidamento della loro gestione alla direzione del Ministero dei lavori pubblici che, nel 1948, divenne parte del Ministero dei trasporti. Analoga sorte toccò al settore dei tabacchi, che passò all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ed all’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni per il settore postale. Gli enti preposti in tali settori rientrarono nella categoria delle c.d. Aziende autonome, quali strutture organizzative autonome sotto il profilo strutturale ma non funzionale, in quanto organo di vertice delle stesse era individuato nel Ministro di settore. Le Aziende autonome sono state interessate da un processo di privatizzazione che le ha viste trasformate in enti pubblici economici e poi in s.p.a. con loro graduale collocazione sul mercato (es. le poste). Nel settore dei servizi troviamo sempre più aziende municipalizzate, che funzionano come impresa-organo. Così l’IRI che, a partire dagli anni Sessanta, è divenuta una holding raggruppando imprese nella propria struttura societaria operante in ambito finanziario. Fuori dalle holding, invece, restano Alitalia, Rai, autostrade e banche di interesse nazionale. Occorre altresì sottolineare che la direttiva 93/38/CEE ha riconosciuto che le autorità pubbliche possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante riguardo ad un’impresa, in quanto possono controllare la maggioranza dei voti cui danno diritto alle parti di essere ammesse all’impresa oppure il diritto di nominare più della metà dei membri del C.d.A., del Consiglio direttivo o del Consiglio di vigilanza. Pertanto, alla luce di tale richiamo normativo, si ritiene che gli elementi caratterizzanti l’impresa pubblica vanno indipendentemente considerati dalla sua forma giuridica, in quanto si deve tener conto delle regole di mercato. Nonostante il processo di privatizzazione, l’impresa pubblica non scompare totalmente, ma opera ancora per la soddisfazione di interessi generali a carattere industriale o commerciale, ovvero secondo le regole di mercato. 10. il processo di privatizzazione e le società pubbliche. A partire dagli anni Novanta, la situazione descritta nel paragrafo precedente risulta cambiata, in quanto lo Stato inizia a rinunciare al proprio ruolo di imprenditore. Il processo di articola in due tappe: la prima eventuale, consiste nella trasformazione con legge, del soggetto da privatizzare in spa (privatizzazione formale), la seconda nel collocare sul mercato il pacchetto azionario della società in mano pubblica (privatizzazione sostanziale). Il primo settore interessato dal processo di privatizzazione fu quello bancario, in quanto con la legge Amato n. 218/ 1990 gli enti pubblici creditizi sono stati trasformati in s.p.a. controllati da enti pubblici conferenti, le c.d. Fondazioni bancarie, titolari dell’azione bancaria. La successiva fase di trasformazione diretta dell’ente, la c.d. privatizzazione formale, era prevista successivamente con la dotazione del fondo capitale all’ente mediante attribuzione della titolarità delle azioni ai possessori del fondo di dotazione, come nel caso della B.N.L. Invero, in presenza di privatizzazione formale si assiste alla trasformazione della forma giuridica dell’ente pubblico con successiva soppressione del Ministero delle partecipazioni statali di cui al d.l. n. 41 del 1993. Sempre nel 1993 si è provveduto, inoltre, alla dismissione di ENEL, INA, Banca commerciale italiana, Credito italiano, IMI, Stet e Agip. Con legge n. 474/ 1994 si è provveduto ad accelerare le procedure di dismissione delle partecipazioni statali in s.p.a. e si sono create le Authorities di settore, al fine di regolare e

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controllare i servizi di pubblica utilità anche in un momento successivo alla privatizzazione sostanziale. Dottrina e giurisprudenza si sono mostrate in contrasto con la tesi privatistica, in quanto dette società sarebbero di diritto privato, anche in caso di detenzione della maggioranza del pacchetto azionario da parte di un soggetto pubblico laddove i sostenitori della tesi pubblicistica del pacchetto azionario di maggioranza da parte del soggetto pubblico avrebbero riconosciuto la permanenza della natura pubblicistica di tali enti. Invero, si tratta di un cambiamento della sola veste giuridica, in quanto, come ribadito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 446 del 1993) l’assoggettamento di tali società al controllo della Corte dei conti dimostra l’innegabile rilievo pubblicistico che tali società manentengono. Pertanto, le procedure pubblicistiche di evidenza pubblica, evidenziano tale natura pubblicistica anche nella sottoposizione dei contratti stipulati dalle FF.SS: s.p.a.. Ulteriore figure compresa nei soggetti nazionali è l’organismo pubblico, introdotto a partire dalla direttiva 89/440/CEE e che comprende soggetti nazionali, indipendentemente dalla loro natura giuridica, che presentano caratteristiche proprie operanti secondo logiche diverse da qualsiasi imprenditore da cui l’applicazione della disciplina sull’evidenza pubblica. Invero, si tratta di una nozione ampia ma che può essere riassunta in tre punti essenziali:

- natura pubblica dei bisogni che l’ente intende soddisfare; - personalità giuridica di diritto pubblico o di diritto privato; - decisioni dell’ente assunte sotto l’influenza dominante dell’ente pubblico.

In numerose sentenza del giudice comunitario si rinviene, nel caso dell’Ente fiera di Milano che ha ad oggetto attività volte all’organizzazione della fiera, non si svolgono attività lucrative per cui non si rinviene il carattere della reddititività e pertanto esso non costituisce un organismo di diritto pubblico, ma laddove l’ente svolge attività di promozione dei beni degli espositori allora esso svolge attività di offerta di servizi sul mercato che si qualifica come attività economica. 11. Gli organismi di diritto pubblico A seguito dei cambiamenti occorsi nelle pubbliche amministrazioni degli stati membri le strutture amministrative organizzative si presentano differenziate e con l’avanzare del sistema comunitario si è giunti alla scelta di implementare un sistema concorrenziale in diversi settori. In particolare, nel settore degli appalti, il legislatore comunitario ha elaborato la figura di organismo di diritto pubblico, facendo leva sull’azione dei soggetti privati o pubblici tesa a garantire la piena efficacia del principio di libera circolazione, di amministrazione aggiudicatrice secondo un’interpretazione funzionale. Introdotta dalla direttiva 89/ 440/ CEE, la figura di organismo di diritto pubblico comprende tutti i soggetti nazionali, indipendentemente dalla loro natura giuridica che presentano caratteristiche tali da operare secondo logiche diversa da qualsiasi imprenditore privato e che, sotto il profilo funzionale, giustificano l’applicazione della disciplina sull’evidenza pubblica. La normativa comunitaria recepita dal d. lgs. n. 163/ 2006 definisce l’organismo di diritto pubblico come qualsiasi organismo dotati di personalità giuridica, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di quest’ultimi, oppure il cui organi di amministrazione, direzione o vigilanza sia costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico. Invero, si tratta di una nozione ampia che si può riassumere in tre punti essenziali:

a) la natura dei bisogni alla cui soddisfazione il soggetto è istituito, ossia per soddisfare interessi generali aventi carattere non industriale o commerciale;

b) la personalità giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato;

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c) la presenza di una serie di elementi che fanno presumere che le decisioni dell’ente siano sotto l’influenza determinante di un soggetto pubblico, che seguono logiche diverse da quelle dell’imprenditore privato. Invero, la preoccupazione della giurisprudenza è stata quella di evitare che l’ente pubblico, avvalendosi di società o di enti privati, possa provocare distorsioni nella concorrenza del mercato, favorendo imprese che lo Stato membro possa favorire. Pertanto, si è ritenuto legittimo escludere la circostanza che i bisogni siano soddisfatti da soggetti operanti sul mercato tali da assumere un ruolo determinante nella qualificazione dell’aspetto funzionale. In tale ambito si spiega il caso dell’Ente fiera di Milano, in quanto organismo di diritto pubblico competente per l’organizzazione di fiere, esposizioni ed altre iniziative analoghe che costituisce attività economica nell’offrire servizi sul mercato e gli espositori, d’altro lato, beneficiano della promozione dei beni e dei servizi che espongono. In generale, la giurisprudenza ha affermato che l’attività di organizzazione fiere ed esposizioni ancorché soddisfi bisogni di interesse generale, non presenta carattere industriale e commerciale per cui tale attività va inquadrata nell’ambito di un ente rientrante nella categoria di organismo di diritto pubblico. 12. Soggetti privati esercenti pubbliche funzioni. Nell’ambito dei soggetti privati esercenti pubbliche funzioni rientrano le Fondazioni, presenti soprattutto nel settore della ricerca ed in quello bancario, con prevalenza dell’elemento patrimoniale vincolato allo scopo che è altruistico, non di lucro e soprattutto di pubblica utilità, in quanto teso a soddisfare interessi diversi dal fondatore. Caratteri tipici della fondazione sono la destinazione ad uno scopo di interesse pubblico del suo patrimonio, il riconoscimento governativo e il controllo sulla sua attività. La giurisprudenza ha introdotto precisi limiti sull’ammissibilità dello svolgimento di attività imprenditoriale svolta dalle Fondazioni, quanto conseguano i propri fini ideali nell’ambito delle attività imprenditoriali a condizione che tali attività siano strumentali alla realizzazione degli scopi istituzionali della medesima Fondazione. Vi rientrano le fondazioni bancarie, quali persone giuridiche private senza scopo di lucro dotate autonomia statutaria e gestionale laddove la giurisprudenza costituzionale, in ultimo, le ha riqualificato in termini privatistici. Il giudice costituzionale ha riconosciuto che le Fondazioni sono soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali, privati e autonomi. In tale categoria rientrano altresì le S.O.A., Società Organismi di Attestazione, che certificano la qualità delle imprese contraenti della P.A: secondo il modello previgente di iscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori. Tali organismi hanno natura giuridica privatistica con lo scopo di offrire un servizio di rilascio di attestazioni di qualità volte a garantire un determinato livello di qualità da parte degli imprenditori nell’esecuzione dell’appalto. Lo svolgimento di dette attività da parte delle S.O.A. è subordinato all’autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici, sentita la commissione consultiva cui fanno parte i rappresentanti dei Ministeri di lavori pubblici, beni culturali, lavoro, ambiente, trasporti e difesa. L’attestazione rilasciata ha valore di atto pubblico e l’Autorità di Vigilanza può sostituirsi alle S.O.A. nel caso di loro mancato adempimento all’onere di indicare previamente l’atto da adottare, e cioè in caso di inerzia della stessa S.O.A. Nel sistema della qualità, accanto alle SOA operano, quali enti accreditati per la certificazione, autorità tecniche indipendenti che possono chiedere all’Autorità di vigilanza per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di essere autorizzati allo svolgimento di compiti di attestazione tesi a certificare, con apposito documento o marchio di conformità, la

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corrispondenza del prodotto o servizio, con alcune specifiche caratteristiche tecniche previste dalla legge. La loro credibilità è fondata sul sistema di accreditamento che implica che ne venga valutata la competenza tecnica, la neutralità e la indipendenza in base ai criteri stabiliti dalla legge. 13 Gli enti territoriali e locali. La riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, operata con legge cost. n. 3 del 2001 rappresenta un’importante riforma per il sistema delle autonomie locali e regionali sancendo, ai sensi di cui all’art. 5 Cost.19, un assetto policentrico della Repubblica. Il nuovo art. 114 Cost. ha riconosciuto pari dignità costituzionale a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato e si è confermata la scelta del legislatore di abrogare i Commissari di governo e gli organi regionali di controllo di cui agli artt. 124 (abrogato dalla legge 3/2001), 12520 , comma 1 e 130 Cost (anch’esso abrogato). La legge di riforma, infatti, ha rovesciato l’andamento dei pubblici poteri, facendo partire il nuovo sistema dalle istituzioni più prossime ai cittadini, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale e risalendo a quello più elevato secondo il principio della sussidiarietà verticale. L’art. 117 Cost dispone che la potestà legislativa statale venga circoscritta alle funzioni fondamentali degli organi di governo, lasciando alle leggi regionali ed agli statuti e regolamenti degli enti locali, l’allocazione delle funzioni amministrative in primis ai comuni, poi alle province e alle città metropolitane. In questo modo si valorizza l’autonomia statutaria e regolamentare degli enti. La complessità della riforma costituzionale pone un nuovo equilibrio tra Stato, Regioni e Autonomie locali in sintonia con l’art. 118 Cost. che sancisce l’autonomia dei Comuni e delle Province secondo i principi fissati dalle leggi della Repubblica, che ne determinano le funzioni. Di qui la legge n. 131 del 2003 di delega al Governo per la revisione delle disposizioni sugli Enti locali e la stessa ratio è rinvenuta nell’abrogazione dell’art. 129 Cost che qualifica Province e Comuni come circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Con la riforma del Titolo V, infatti, gli enti locali hanno funzioni proprie che trovano il loro fondamento direttamente nella Costituzione ovvero sono destinatari di un conferimento di funzioni da parte dello Stato o della Regione secondo il principio di sussidiarietà. 13.1. Cenni sulla legge 14 settembre 2011, n. 148. Secondo le disposizioni del dl 138/2011, convertito in legge 148/2011, allo scopo di contenere la spesa pubblica sono stati previsti interventi sui sistemi regionali, provinciali e comunali. All’art. 14 si è disposta la riduzione del numero dei consiglieri regionali, da adottarsi entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, nonché la riduzione degli emolumenti e delle utilità previste a favore dei consiglieri regionali. È stato poi istituito un collegio di revisori dei conti per le regioni, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell’ente. Sono stati ridotti anche i consiglieri e gli assessori provinciali, ma se ne dovrà dare attuazione con legge costituzionale. L’art. 16 è dedicato ai comuni, per i è prevista la riduzione dei costi della rappresentanza politica: quelli con popolazione inferiore ai 1000 abitanti, esercitano funzioni amministrative e

19 Art. 5 Cost: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. 20 Art. 125 Cost: Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione.

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servizi tramite le unioni di comuni, ma anche i comuni sopra i 1000 abitanti possono prendere parte all’unione per esercitare in forma associata tutte le funzioni fondamentali e i servizi loro spettanti. Saranno organi dell’unione municipale il consiglio, il presidente e la giunta, mentre gli organi di governo dei comuni facenti parte dell’unione saranno il consiglio e il sindaco, non anche la giunta che decadrà dal 2012. 13.2. Potestà legislativa delle Regioni e potestà normativa delle Autonomie locali. Regioni, Province e Comuni presentano un Consiglio, titolare della potestà normativa, ed una Giunta, titolare della rappresentanza dell’Ente. In particolare, il novellato art. 117 Cost. ha riconosciuto alle Regioni la potestà legislativa esclusiva per determinate materie che si aggiunge a quella concorrente con lo Stato, per cui si determina un sistema ripartito di competenze secondo le materie rispettivamente attribuite ai sensi del comma 2 dell’art. 117 Cost. Il comma 3, dell’art. 117 Cost. suddivide le competenze tra Stato e Regione riservando al primo la determinazione, mediante leggi quadro o cornice, dei principi fondamentali ed alle seconde l’emanazione della legislazione specifica di settore. Invero, il nuovo articolo 117 Cost riconosce in capo alle Regioni una potestà legislativa piena in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, per cui la Regione ha potestà legislativa non solo nelle competenze trasversali, ma anche in base a quanto è indicato nelle pronunce della Corte costituzionale secondo il principio della sussidiarietà legislativa. Con la legge n. 142/1990 è stata prevista la possibilità (potestà normativa delle autonomie locali) per i Comuni e le Province di adottare, mediante regolamento, uno statuto con il quale stabilire i limiti fissati dalla legge, le norme fondamentali dell’organizzazione e la determinazione delle attribuzioni degli organi, l’ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, la partecipazione popolare, l’accesso dei cittadini ai procedimenti amministrativi. La potestà regolamentare riconosciuta agli enti locali, è riconosciuta a livello costituzionale all’art. 114 Cost. e concerne l’organizzazione dell’ente, la relativa disciplina e lo svolgimento della gestione delle funzioni attribuire ai Comuni ai sensi dell’art. 118 Cost. al fine di assicurare uniformità del sistema Infine, l’art. 4 della legge n. 131/ 2003, c.d. legge La Loggia, ha previsto che, fino all’adozione dei regolamenti locali, continuano ad applicarsi le norme statali e regionali vigenti. 13.3. Le funzioni amministrative degli Enti locali Nell’originaria previsione dell’art. 118 Cost., le funzioni amministrative degli Enti locali erano attribuite alle Regioni in base al principio del parallelismo tra competenza legislativa e competenza amministrativa. Il nuovo sistema, delineato a partire dalla legge n. 59/1997, ha fornito una nuova chiave interpretativa prevedendo il conferimento alle Regioni ed agli enti locali di tutte le funzioni e compiti amministrativi, relativi alla cura degli interessi e promozione dello sviluppo delle rispettive comunità. Tale sistema segue il principio di sussidiarietà in virtù del quale le funzioni amministrative dovrebbero assegnarsi a quegli Enti che, in ragione della loro vicinanza ai luoghi o ai gruppi di soggetti, risultano meglio rispondere ai bisogni della collettività organizzata. L’assetto delineato dalla legge Bassanini è confluito nel contenuto del nuovo art. 118 Cost., le cui linee guida per la relativa attuazione sono state indicate dall’art. 7 della legge n. 131/ 2003 (c.d. legge La Loggia) che dispone che lo Stato e le Regioni, sulla base delle loro rispettive competenze, conferiscono le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della legge sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

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Pertanto ora la regola è che la competenza diretta e in via esclusiva spetta all’ente locale, mentre l’eccezione è quella della competenza statale, che peraltro interviene solo nelle materie riservate. Le funzioni amministrative vengono così assegnate, quanto possibile, a quegli enti che, per vicinanza ai luoghi o ai gruppi di soggetti, e per la loro struttura più semplice, risultano in grado di far fronte meglio ai bisogni delle collettività organizzate. La piramide viene quindi invertita, nell’ottica di questo principio di sussidiarietà. Quanto all’individuazione delle funzioni proprie dei Comuni e delle funzioni conferite alle Autonomie locali, la definizione è riservata alla legislazione statale esclusiva, in quanto si tratta di funzioni la cui titolarità spetta allo Stato ed alle Regioni. Invero, dall’attuale assetto costituzionale risulta che le autonomie locali siano dotate di funzioni amministrative a seconda delle loro rispettive competenze, funzioni che per i Comuni si presentano come proprie, mentre per Province e Città metropolitane presentano la natura di funzioni conferite con legge dello Stato o della Regione. Il comma 4 dell’art. 118 Cost introduce nell’ordinamento la sussidiarietà orizzontale. Il governo favorisce l’iniziative autonoma dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, pertanto tale principio: nella sua classica concezione prescrive che il pubblico potere intervenga solo laddove l’autonomia privata risulti inefficace e inadeguata per il raggiungimento dell’interesse pubblico, ma questo non può essere il significato inteso dal legislatore costituzionale, che ha piuttosto voluto incentivare la partecipazione dei cittadini alla gestione degli interessi e dei servizi pubblici, senza che essi si sostituiscano del tutto ai pubblici poteri. 13.4. Gli strumenti di raccordo tra i diversi livelli di governo: Stato – Regioni; Regioni – Autonomie locali. La legge n. 3 del 2001 ha delineato un nuovo assetto di governo prevedendo altresì strumenti di raccordo, collaborazione e concertazione. In tale ottica va considerato l’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001, concernente l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni, Province Autonome ed Enti Locali nelle ipore di leggi di determinazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente nonché nella nuova formulazione di cui all’art. 119 Cost. In tali ipotesi, infatti, la Commissione integrata partecipa al procedimento legislativo chiedendo alla Commissione parlamentare in sede referente di accogliere le modificazioni richieste, il cui accoglimento non è obbligatorio. Ulteriori sedi di raccordo delle istanze dei diversi organi di governo sono le Conferenze:

- la Conferenza Stato –Regioni; - la Conferenza c.d. unificata, Stato – Regioni e Stato – città ed autonomie locali.

Nel sistema previgente, tali istituzioni avevano mantenuto la loro posizione soprattutto al momento della concertazione, venendo a rappresentare il luogo privilegiato per il momento della definizione dell’indirizzo politico – amministrativo del governo. La riforma costituzionale, riconoscendo la pari dignità costituzionale delle Autonomie locali, ha provveduto a coinvolgere maggiormente tali enti in ottemperanza ai principi costituzionali di leale collaborazione e partecipazione degli stessi alle decisioni statali e regionali. Pertanto, in virtù della legge n. 59/ 1997 e d. lgs. n. 112/ 1998 sono sorti organismi di raccordo, denominati Conferenze Regioni – Autonomie locali e Consigli delle Autonomie locali. Si tratta di organismi con funzioni consultive, con competenza per materie riguardanti atti regionali e piani di sviluppo nonché compiti di proposta, studio e informazione. Scelta del legislatore, dunque, è quella di preveder un coinvolgimento delle Autonomie locali nella vita della Regione mediante attività consultiva che ben può incidere sull’indirizzo politico – amministrativo della Regione.

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14. Gli strumenti di raccordo interno. Il cd sportello unico è una misura organizzativa che si occupa di svolgere diversi procedimenti connessi, alla quale viene imputata l’intera responsabilità e la gestione del procedimento unico, in modo da evitare che dalla complessità del procedimento stesso, derivino disfunzioni nell’azione dell’amministrazione e nei rapporti con i privati. Inizialmente applicato nel settore delle attività produttive, oltre che dalla normativa nazionale (nasce con DPR 447/98, riformato in ultimo con Dl 70/2011) esso è previsto anche da quella comunitaria (direttiva 2006/123/CE), che impone agli Stati membri di predisporre misure necessarie per consentire ai prestatori di servizi, di avvalersi di sportelli unici ove espletare tutte le procedure e formalità necessarie a svolgere la propria attività, presentare domande, richiedere autorizzazioni, ecc. In questo modo, nell’ottica della semplificazione amministrativa, si concentra in una sola struttura, istituita dal Comune, la responsabilità dell’unico procedimento attraverso cui i soggetti interessati possono ottenere l’insieme di provvedimenti abilitativi, necessari per realizzare un nuovo insediamento produttivo, una nuova impresa, ottenere un finanziamento, o altro. Oltre che nel settore delle attività produttive, lo sportello unico ora opera anche in altri settori quali quello previdenziale (per il rilascio del DURC, Documento unico di regolarità contributiva, che certifica il regolare versamento di contributi ai lavoratori da parte dei datori) e quello per l’edilizia.

Parte II Le situazioni giuridiche soggettive

Capitolo 1 – Nozioni generali

1. Considerazioni introduttive Molti dibattiti sono stati affrontati in dottrina sul tema delle situazioni giuridiche soggettive tanto che alcuni autori parlano di posizione giuridica soggettiva, in quanto ogni società è un insieme di persone, fisiche e giuridiche, con i loro interessi e progetti che l’ordinamento giuridico intende qualificare nel realizzare l’ordine nella vita di relazione della comunità. L’ordinamento giuridico, infatti, attribuisce ai soggetti giuridici il complesso di qualificazioni relative ai loro interessi ed al loro agire, tali sono le situazioni giuridiche soggettive. Per situazione giuridica soggettiva s’intende la situazione o posizione in cui viene a trovarsi un soggetto, per effetto della applicazione di una o più regole di diritto. Molteplici sono le classificazioni offerte dalla dottrina, ma si ritiene, in generale, che nell’individuazione del criterio giuridico di individuazione delle situazioni giuridiche soggettive si debba riguardare secondo alcuni all’interesse, secondo altri ai comportamenti umani. In generale, vi è concordia nel ritenere che le situazioni giuridiche soggettive hanno un sostrato materiale che secondo alcuni sarebbe l’interesse riconosciuto o qualificato, mentre per altri si riguarda ai comportamenti umani classificati come consentiti, doverosi, vietati. Di seguito si illustrano le classificazioni ritenute le più convincenti nel diritto amministrativo in tema di situazioni giuridiche soggettive. 2. Distinzioni delle situazioni giuridiche soggettive. Le situazioni giuridiche soggettive si distinguono a seconda che siano valutate positivamente o negativamente con riferimento all’interesse o all’aspettativa del titolare ovvero secondo l’entità materiale o metagiuridica che è l’oggetto della qualificazione.

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Secondo il primo criterio, le situazioni si presentano come situazioni di vantaggio o di svantaggio a seconda che qualifichino utilità (interesse) o pesi (obbligo) per i loro titolari. Per il secondo criterio, le situazioni si distinguono in attive o dinamiche e situazioni inattive o statiche, in quanto le prime hanno come sostrati interessi, mentre le secondo riguardano comportamenti. Differenza fondamentale, oltre all’elemento metagiuridico, è il tipo di qualificazione di tutela nel primo caso per gli interessi, mentre nel secondo caso per i comportamenti che attengono atti giuridici. Infatti, le situazioni dinamiche elevano comportamenti umani relativi ad atti giuridici, per cui si distingue tra semplici fatti giuridici ed atti giuridici in senso stretto che esprimono, invece, situazioni giuridiche soggettive, a differenza dei meri fatti giuridici, Invero, le modificazioni giuridiche sono collegate a fattispecie giuridiche, per cui si parla di qualificazioni dinamiche relative alle fattispecie di rilevanza giuridica che ne sono elementi costitutivi. Le situazioni statiche, invece, attengono assetti di interessi in quiete e consentono il godimento degli interessi riconosciuti ed attengono interessi irrilevanti per il diritto, quali interessi facoltativi ovvero meramente leciti; laddove le situazioni dinamiche consentono la trasformazione degli interessi e si esercitano in atti giuridici. Esempio di situazione statica o inattiva è il diritto soggettivo, assoluto o relativo, in quanto interesse giuridicamente riconosciuto e protetto; esempio di situazione dinamica è il potere, in quanto situazione giuridica soggettiva diversa dal diritto. Invero, nel diritto soggettivo gli interessi costituiscono il sostrato materiale o metagiuridico della rispettiva qualificazione giuridica, i quali possono essere interessi di conservazione o interessi di modificazione giuridica e che, in ogni caso, non possono essere confusi con i poteri, in quanto essi esprimono atti giuridici tesi a soddisfare i loro titolari, per cui hanno a contenuto pretese giuridicamente protette. Gli interessi di “quiete”, infatti, corrispondono a diritti reali o, in generale, a diritti assoluti, mentre gli interessi della seconda specie si riferiscono a diritti di obbligazione o, in genere, a diritti relativi, i quali presuppongono un rapporto giuridico con altri soggetti in quanto risultano dal collegamento tra la situazione statica ed il comportamento altrui rispetto alla situazione dinamica sottesa al comportamento atteso. 3. Il potere giuridico Il potere è la situazione giuridica soggettiva dinamica per eccellenza, che nasce dal diritto soggettivo inteso come “agere licere” o meglio come “facultas agendi”, cioè come situazione giuridica dinamica. Il problema dell’identificazione del potere come situazione soggettiva è stato studiato dalla teoria generale inizialmente con riferimento a diritti reali e, in particolare, al diritto di proprietà inteso come “diritto di godere e disporre” di cose ex art. 832 c.c. Tuttavia, dato che il godimento implica attività di mero fatto e da assenza di modificazione dell’assetto degli interessi, si è ritenuto che la facoltà di disporre di un diritto non è mai contenuto di tale diritto, bensì esso va considerato come potere giuridico, ossia come diritto potestativo. Nell’ambito del diritto amministrativo, infatti, il potere ha assunto nel tempo rilievo di una situazione di genus comprensiva di situazioni di species, quali il potere in senso stretto ed il diritto soggettivo, in quanto il potere è inteso come energia giuridica che consente al titolare di porre in essere atti aventi rilievo giuridico e, come tale, capace di comprendere appieno situazioni giuridiche soggettive che consento all’amministrazione di porre in essere atti giuridici unilaterali. L’amministrazione pubblica, infatti, è titolare di diritti soggettivi – reali e obbligatori – e di poteri giuridici – paritetici e autoritativi (o potestà), ovvero di poteri ad esercizio consensuale e ad esercizio unilaterale. Tuttavia, nel caso di soddisfazione dell’interesse pubblico, i diritti soggettivi sono tutelati alla stregua di oggetti di poteri discrezionali, per cui non vi è né libertà di godimento né libertà di disposizione, ma entrambi gli aspetti sono

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disciplinati dalla legge e gestiti mediante atti formali, quali provvedimenti autoritativi ovvero negozi giuridici privati, conclusi mediante procedimenti amministrativi. 4.Situazioni dinamiche e rapporto giuridico Le situazioni di svantaggio possono essere statiche o dinamiche a seconda che riguardino il dovere di conservazione di situazioni giuridiche altrui o si collochino in vicende di modificazione di precedenti assetti di interessi. Ad esempio l’obbligazione di “pati” e di non fare relative alla prima categoria ed il dovere di provvedere e l’obbligazione di fare o di dare che appartengono alla seconda. In particolare, il dovere di provvedere è la situazione soggettiva tipica dell’amministrazione mediante la quale non si da luogo ad un rapporto giuridico tra situazioni soggettive. Di fatto, il dovere di provvedere è una situazione autonoma che rende giuridicamente necessario l’esercizio del potere. Le situazioni giuridiche soggettive dinamiche costituiscono un rapporto giuridico in senso stretto, in quanto pretese di comportamenti altrui, quali il diritto di credito che implica l’obbligazione del debitore ovvero l’interesse legittimo che implica il dovere ed il potere dell’amministrazione di provvedere o di non provvedere. Rapporti giuridici sono ravvisabili anche tra amministrazione e cittadini allorché tra loro si stabiliscono reciproci diritti soggettivi ed obblighi, ma anche quando l’amministrazione è titolare di poteri autoritativi ed il cittadino è titolare di interessi legittimi, per cui si genera una facoltà di protezione che stimola il comportamento altrui. Il rapporto giuridico, che potremmo chiamare di diritto amministrativo, tra situazione soggettiva di potere (autoritativo), situazione dinamica e l’interesse legittimo, situazione statica si rinviene essenzialmente nel procedimento amministrativo, quale spazio entro il quale tali situazioni soggettive si confrontano e dialogano tra loro. L’amministrazione pubblica, infatti, determina in concreto l’interesse pubblico da curare e prosegue in tal senso nella scelta dei mezzi migliori per soddisfarlo, il privato partecipa a contribuire alla determinazione degli interessi, pubblici e privati, da soddisfare. Di conseguenza, entrambe gli interessi, pubblici e privati, convivono nel procedimento amministrativo, in quanto l’interesse privato non è estraneo all’amministrazione in quanto esso può funzionare come limite all’interesse pubblico da cui il potere discrezionale dell’amministrazione. 5. L’autonomia privata dell’amministrazione. L’amministrazione può compiere negozi giuridici ovvero altri atti giuridici privati. Recentemente l’art. 1 della legge n. 15 del 2005 (che ha modificato l’art. 1 della legge 241/90) ha stabilito che la pubblica amministrazione adotta atti di natura non autoritativa ed agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. Pertanto, si ritiene che la pubblica amministrazione può porre in essere atti di diritto privato21, compiendo atti su un piano egualitario con i privati e sottoponendosi alla disciplina di diritto comune.

21 Art. 1 legge 241/90: Principi. 1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento comunitario. 1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. 1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1. 2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.

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Invero fin dai tempi antichi si è distinto tra atti che fossero esercizio di potestà pubbliche ed atti sottoposti alla disciplina di diritto privato e tale distinzione servì a sottoporre a disciplina giuridica e controllo giurisdizionale buona parte degli atti del Potere esecutivo. A seguito dell’avvento dello Stato di diritto, tale distinzione è stata estesa agli atti di imperio, soggetti a disciplina pubblicistica, distinguendoli dagli atti di gestione, soggetti a disciplina privatistica. Tuttavia, alla fine degli anni Trenta, la dottrina ha chiarito che anche l’attività di diritto privato deve considerarsi attività amministrativa, in quanto finalizzata alla cura dell’interesse pubblico, tanto da potersi parlare di autonomia privata dell’amministrazione. Tale attività, infatti, sostanzialmente amministrativa e formalmente privatistica, consente di riconoscere l’amministrazione secondo l’autonomia negoziale o privata negli stessi termini in cui è riconosciuta ai privati. Negli ultimi decenni, peraltro, si è fatta strada una diversa concezione secondo la quale gli atti negoziali compiuti dall’amministrazione non presuppongono che l’amministrazione abbia autonomia privata, in quanto l’autonomia privata esprime un potere libero di soddisfare i propri interessi, per cui si viene a negare che tale regola possa essere applicata agli atti amministrativi. In definitiva, si desume che l’autonomia privata, quale potere libero di regolamentare i propri interessi, non può essere riconosciuta all’amministrazione in quanto essa risulta vincolata a curare gli interesse che le sono affidati. Tuttavia, se per autonomia privata s’intende la capacità di porre in essere atti di natura privatistica, allora si può pienamente ritenere che l’amministrazione ne sia dotata. In ogni caso, l’amministrazione deve agire curando l’interesse pubblico e seguire le procedure tipiche previste dalla legge, sia che agisca nella stipulazione di contratti per cui deve seguire il procedimento di evidenza pubblica sia che deve agire mediante atti autoritativi ovvero atti consensuali e privatistici. Riguardo la natura degli atti di diritto privato posti in essere dall’amministrazione, parte della dottrina li considera atti amministrativi, pertanto soggetti alle regole tipiche di questi (Greco parla di atti amministrativi negoziali).

Capitolo 2 Situazioni giuridiche soggettive dell’amministrazione

1. Precisazioni sul potere giuridico e caratteri essenziali del potere della pubblica amministrazione Il potere è termine che designa oggetti diversi e che nel diritto amministrativo individua come pubblici poteri i soggetti dell’apparato amministrativo in quanto potere che la pubblica amministrazione esercita quale autorità nell’ambito dell’attività regolata dal diritto amministrativo classificata con il concetto di “potere giuridico”, che ha rappresentato una diversa funzione in quanto volontà del soggetto indirizzata ad ottenere determinati effetti giuridici consentiti dalla norma. Il concetto di potere giuridico ha raggiunto una sua autonomia misurandosi con il diritto soggettivo, in quanto ad oggi il potere si definisce come l’attitudine a determinare uno o più effetti giuridici previsti dall’ordinamento. Caratteri specifici del potere esercitato dalla pubblica amministrazione sono:

a) sono titolari del potere soltanto soggetti individuati dalla norma; b) determina gli effetti giuridici previsti dall’ordinamento, senza che occorra il consenso del

soggetto interessato; c) si esercita mediante l’adozione di un atto tipico denominato provvedimento amministrativo; d) si confronta con la situazione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo;

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e) è sindacabile, di solito, dal giudice amministrativo e la giurisdizione del T.A.R. e del Consiglio di Stato riguarda la legittimità che si articola in vizi di violazione di legge, competenza ed eccesso di potere. 2. Distinzione del potere della pubblica amministrazione in relazione al contenuto Nella disciplina giuridica del potere della pubblica amministrazione rientra l’assetto degli interessi stabilito con l’esercizio del potere che si distingue sotto tre profili.

a) Poteri di trasformazione e poteri di conservazione. Attengono agli effetti che possono derivare dall’esercizio del potere, quali gli effetti di costituzione, modifica, estinzione di situazioni giuridiche soggettive e la sua esecuzione incide nel reale producendo effetti materiali. In particolare, l’effetto di trasformazione si produce mediante la produzione dell’atto amministrativo positivo, mentre quello di conservazione si produce con l’atto amministrativo negativo e cioè con atto che non produce effetti sul piano materiale. Tali poteri, non trovando alcun approfondimento in dottrina ed in giurisprudenza operano esclusivamente sul piano delle previsioni in quanto stabiliscono che non si proceda ad alcuna modificazione e non incidono nel reale, per cui non vengono coinvolti interessi legittimi.

b) Poteri di indirizzo e poteri di gestione. Tale distinzione risale agli anni Novanta allorché tra gli organi politici, elettivi ed amministrativi si distribuisce il potere che, in precedenza, spettava all’organo politico. Gli organi politici, infatti, pongono indirizzi e scopi che gli organi amministrativi devono seguire nell’esercizio dei loro poteri di gestione, e ciò ha determinato una rivoluzione nell’apparato amministrativo della pubblica amministrazione. Peraltro, il modello della c.d. responsabilità ministeriale sono individuati nel rapporto di gerarchia tra dipendenti ed organo politico, laddove i primi possono esternare ai secondi la volontà dell’amministrazione, in quanto di dipendenti possono preparare l’istruttoria, redigono atti e danno ad essi esecuzione, restando irresponsabili in quanto sono gli organi politici responsabili degli atti assunti sul piano civile, penale ed amministrativo e sul piano politico per i risultati dell’azione amministrativa. La distinzione tra poteri di indirizzo e poteri di gestione riguarda altresì l’eliminazione della concentrazione negli organi politici dell’attività di indirizzo, gestione e controllo con attribuzione ai dirigenti dei poteri di gestione ed agli organi politici il potere di indicare gli obiettivi da perseguire. Pertanto, i dirigenti divengono responsabili degli atti adottati sul piano amministrativo, civile e penale oltre che dell’efficienza della gestione e del raggiungimento degli obiettivi.

c) Discrezionalità amministrativa o pura, discrezionalità c.d. tecnica (valutazioni tecniche) e potere vincolato. Il potere della pubblica amministrazione si distingue in potere vincolato, discrezionale puro, discrezionale tecnico o valutazione tecnica. Invero, la pubblica amministrazione dovrebbe eseguire la legge come specchio della previsione normativa, ma così non è in quanto essa opera nel concreto del divenire dell’esperienza in cui rileva l’interesse pubblico specifico che la legge non può prevedere in tutte le sue possibili evenienze. L’amministrazione, pertanto, deve scegliere la soluzione più opportuna in quanto esercita un potere di scelta che consiste nella discrezionalità amministrativa che si contrappone al potere vincolato che si ha quando la norma risolve la valutazione degli interessi e stabilisce il contenuto del provvedimento da adottare. La discrezionalità c.d. tecnica, invece, è frutto di un giudizio che la norma stabilisce di effettuare e che il giudice amministrativo assimila alla discrezionalità amministrativa.

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La dottrina, peraltro, ha inteso sottoporre a regole giuridiche il potere discrezionale, anche quello tecnico, a tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini altrimenti rimesse all’arbitrio della pubblica amministrazione. 3. Potere vincolato e potere discrezionale puro. La distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale è stata già spiegata dalla dottrina sin dagli inizi, ma la questione che si è venuta a profilare sta nella riflessione se la norma disciplina in modo compiuto l’azione amministrativa ovvero se non vi siano ulteriori margini di scelta in presenza di potere vincolato per cui si è di fronte ad un potere discrezionale. Non si può ripercorrere la complessa indagine della scienza del diritto amministrativo sul tema, ma si può considerare la tesi dominante della dottrina, per cui l’amministrazione deve agire per il soddisfacimento dell’interesse pubblico specifico, quale interesse primario, in quanto imposto dalla norma ovvero che la scelta sia eseguita valutando comparativamente tutti gli interessi pubblici secondari, collettivi e privati, per poi decidere l’assetto degli interessi a seconda dell’interesse prevalente per il singolo caso e che può risultare diverso da quello pubblico primario. In tal senso si spiega l’esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione che ha portato alla previsione di nuovi istituti giuridici, come la conferenza di servizi. In generale, gli enti a fini generali non hanno attribuzione di uno specifico interesse pubblico, mentre lo Stato presenta un’attribuzione di un ben determinato interesse pubblico che viene predeterminato dalla legge in capo ad ogni Ministero, invece per gli enti territoriali sono gli organi politici a fissare indirizzi e scopi da perseguire nell’esercizio del loro potere discrezionale. Invero, quando in un procedimento amministrativo occorre effettuare un esame contestuale dei vari interessi pubblici, ex art. 14 della legge n. 241/ 199022, l’amministrazione procedente indice una conferenza di servizi per arrivare ad una decisione che è frutto dell’insieme dei titolari dei diversi interessi pubblici coinvolti che contestualmente esprimono il loro avviso nella comparazione degli interessi primari e secondari che ivi si presentano.

22 Legge 241 del 1990 Capo IV- Semplificazione dell'azione amministrativa - Articolo 14. (1) (Conferenza di servizi) 1. Qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente può indire (2) una conferenza di servizi. 2. La conferenza di servizi è sempre indetta quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate ovvero nei casi in cui è consentito all'amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle amministrazioni competenti. (2) 3. La conferenza di servizi può essere convocata anche per l'esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall'amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l'interesse pubblico prevalente. L'indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta. 4. Quando l'attività del privatosia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell'interessato, dall'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale. 5. In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici la conferenza di servizi è convocata dal concedente ovvero, con il consenso di quest'ultimo, dal concessionario entro quindici giorni fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA). Quando la conferenza è convocata ad istanza del concessionario spetta in ogni caso al concedente il diritto di voto. 5-bis. Previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni.

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Viene, dunque, in rilievo l’interesse pubblico determinato in concreto nella specifica situazione valutata dalla diverse amministrazioni, per cui la soluzione opportuna può essere più di una un quanto si riguarda all’assunzione degli interessi di tutti e la loro valutazione comparativa in ordine all’interesse primario o secondario in concreto valutato nel procedimento di partecipazione alla conferenza medesima. 4. La disciplina del contenuto del potere discrezionale Secondo una parte della dottrina dall’agire della pubblica amministrazione andrebbe escluso il merito della scelta amministrativa, in quanto sfera inviolabile dell’agire libero dell’amministrazione i cui criteri sarebbero, invece, rinvenibili nell’ambito delle scienze sociali presupposte dalla norma. Invero, la giurisprudenza amministrativa ha da sempre sostenuto l’impossibilità di svolgere un sindacato sulla opportunità della scelta rimessa alla pubblica amministrazione, salvo che nelle materie espressamente indicate dalla legge in cui è esercitata la più ampia giurisdizione estesa al merito. In particolare, la giurisprudenza ha individuato i criteri che la discrezionalità deve rispettare, pur in assenza di espressa previsione normativa, e cioè la non contraddittorietà, la consequenzialità logica di ogni processo decisionale sotto forma di illogicità manifesta, ecc. Il metro utilizzato dalla giurisprudenza per valutare il contenuto del potere discrezionale consiste nella griglia delle regole disciplinanti il potere discrezionale della pubblica amministrazione che si ritiene vincolata per evitare la sanzione di annullamento in caso di impugnativa e che lo stesso giudice assume come principi che causano l’illegittimità del provvedimento. In definitiva, il giudice, in assenza di previsione normativa sull’esercizio del potere discrezionale, ha costruito le proprie regole che costituiscono un reticolo di norme di origine giurisprudenziale tali da confinare in ambiti sempre più ristretti l’agire libero della pubblica amministrazione. 5. La discrezionalità tecnica. La discrezionalità tecnica, in assenza di previsioni normative, è stata riferita alla norma c.d. imprecisa, ossia a quella regola non univoca mediante la quale vengono definiti fatti complessi rispetto a quelli semplici, presupposti dell’applicazione della norma. La dottrina ha rilevato che l’accertamento del fatto ed il suo apprezzamento rappresentano un’attività svolta dalla pubblica amministrazione mediante la quale il fatto è ricondotto alla norma precisa e tale da distinguersi dalla discrezionalità amministrativa, in quanto atti di volontà di un precetto. Il trattamento giuridico della norma imprecisa è l’insindacabilità del potere discrezionale esercitato dalla pubblica amministrazione e tale fattispecie risulta ancora più complessa laddove la norma stabilisce che si debbano operare valutazioni che trovano il loro parametro in scienza c.d. esatte o umanistiche, come la medicina. Ebbene in tutti questi casi si parla di discrezionalità tecnica, in quanto il giudice amministrativo la ritiene sindacabile soltanto in sede di legittimità attraverso le c.d. figure sintomatiche di eccesso di potere. La discrezionalità tecnica è manifestazione di un giudizio conseguente ad un accertamento di fatto, in cui rileva l’applicazione di criteri e parametri scientifici e tecnici e da regole che sono presupposte dalla norma che “incorpora” la tecnica. Invero, il giudice ordinario, civile o penale, può disporre consulenze tecniche per rivalutare le operazioni eseguite e se convenuta la pubblica amministrazione è possibile un accertamento del rapporto con l’attore, soggetto privato, anche in ordine agli accertamenti tecnici mediante consulenza tecnica. Il giudice amministrativo, invece, conosce gli interessi legittimi incisi dall’atto della pubblica amministrazione per cui egli può limitarsi a sindacare la correttezza dell’accertamento e delle

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valutazioni compiute da questa compiute senza peraltro sostituirsi ad essa. Del resto, per effetto della legge n. 205/ 2000 il giudice amministrativo ha oggi il potere di disporre consulenze tecniche in ambito di giurisdizione di legittimità ed esclusiva. Il giudizio di legittimità, infatti, riguarda il rispetto che la pubblica amministrazione eserciti il potere secondo le regole stabilite dalla norma e se questa richiama valutazioni tecniche il giudice amministrativo sarà legittimato a valutarle. In definitiva, il giudice amministrativo ha perso la sua posizione in ordine alla insindacabilità della discrezionalità tecnica, da cui la possibilità di un sindacato che affondi la sua indagine sino alla verifica diretta della attendibilità delle operazioni tecniche. Invero, di recente di è distinto tra giudizi tecnici opinabili e quindi soggettivi, e giudizi tecnici su dati univoci e non opinabili. Il giudizio per i primi sarebbe un sindacato di tipo “debole” attraverso l’eccesso di potere e le sue figure c.d. sintomatiche e come tale rimesso all’amministrazione nell’ambito del suo potere di provvedere. In tal modo si esclude il sindacato sulle prove concorsuali e sugli esami di abilitazione professionale. Invero, l’amministrazione non fa altro che interpretare il dato normativo ed accertare di fatto e valutare , secondo parametri tecnici richiamati dalla norma, la posizione da assumere da cui resta escluso che il giudice possa esprimere un giudizio che, come tale, è riservato al potere dell’amministrazione. Infatti, il giudice se compie un’indagine piena e diretta alla valutazione tecnica dà esecuzione alla norma, la cui tutela, ex art. 24 e 113, comma 1, Cost., deve essere piena ed effettiva in quanto il sindacato giudiziario deve tutelare sia diritti che interessi legittimi.

Capitolo 3 Le situazioni giuridiche soggettive dei privati.

1. Diritti soggettivi dei privati nei confronti dell’amministrazione. Seguendo l’indagine relativa alle situazioni giuridiche di vantaggio si può affermare che i soggetti privati sono titolari, nei confronti dell’amministrazione, di diritti soggettivi – assoluti, relativi, reali ed obbligatori - e di interessi legittimi. Al privato, proprietario di un bene immobile spetta il rispetto che l’ordinamento prevede per tutti i soggetti e se, per esigenze di pubblica utilità, il bene deve essere espropriato, l’amministrazione deve agire nel rispetto del principio di legalità per lo svolgimento del procedimento di espropriazione. In tale ambito, infatti, i diritti soggettivi dei privati sono tali anche nei confronti dell’amministrazione che ha il potere di limitarli o di estinguerli, in quanto tale potere viene in essere mediante l’iter procedimentale in cui vengono tutelati il diritto soggettivo ed il potere avente ad oggetto la limitazione o l’estinzione di quel diritto. Invero, il privato, titolare del diritto soggettivo, non resta privo di tutela in quanto l’ordinamento attribuisce al titolare del diritto una diversa situazione giuridica soggettiva, e cioè l’interesse legittimo che gli consente di partecipare al procedimento al fine di evitare o ridimensionare l’incidenza negativa sul suo diritto. Non può, dunque, parlarsi di trasformazione (o affievolimento) del diritto in interesse legittimo, in quanto si tratta di due vicende separate dal momento che l’interesse legittimo nasce con l’inizio del procedimento ed il diritto soggettivo si estingue solo al momento della conclusione di esso e solo nel caso di provvedimento favorevole per il privato. Il diritto soggettivo può essere tutelato come tale solo se il potere autoritativo di limitarlo o estinguerlo non sussiste o non viene in considerazione, per cui il soggetto pubblico adotta provvedimenti ablatori di cui non ha la titolarità del relativo potere, da cui la nullità del provvedimento adottato in carenza di potere (difetto assoluto di attribuzione).

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2. Il problema dei diritti c.d .resistenti. Alla fine degli anni Settanta la Corte di cassazione ha individuato diritti non limitabili né estinguibili ad opera dell’amministrazione, tanto da creare la categoria dei diritti non degradabili, c.d. diritti resistenti alla quale venivano ricondotti quei diritti costituzionalmente riconosciuti. Primo tra tutti il diritto alla salute, esteso anche al diritto all’ambiente salubre. Invero, il carattere resistente del diritto deve comportare l’assenza di poteri amministrativi che ne possano determinare l’ablazione, per cui l’amministrazione risulta priva del potere di affievolire il diritto costituzionalmente garantito. Sul piano sostanziale, peraltro, la tutela degli interessi privati, in caso di collisione con gli interessi pubblici, comporta l’impossibilità di soddisfare i secondo e viceversa la soddisfazione dei primi impedisce di costruire una categoria di diritti resistenti all’esercizio del potere. La giurisprudenza ha ritenuto che le controversie relative resistenti siano di competenza del giudice ordinario e non in quella del giudice amministrativo. In pratica, però, questa ripartizione di competenza giurisdizionale non è possibile in quanto il giudice ordinario non può annullare i provvedimenti amministrativi che vengano riconosciuti illegittimi, ma può soltanto condannare al risarcimento del danno ovvero applicare misure interdittive degli interventi pubblici. Il legislatore non ha mai riconosciuto tale categoria di diritti, ma si è limitato a disciplinare i provvedimenti cautelari del giudice amministrativo in tema di interessi essenziali della persona, quali il diritto alla salute, all’integrità dell’ambiente, ovvero altri beni di primario rilievo costituzionale, affermando altresì la giurisdizione del giudice amministrativo. La Cassazione, invece, ha mantenuto fermo il suo orientamento e la Corte costituzionale, di recente, ha affermato che non è ravvisabile alcun principio o norma del nostro ordinamento giuridico che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente protetti (sentenza n. 140 del 2007) e ciò consente una migliore composizione tra diritti privati ed interessi pubblici. 3. L’interesse legittimo In tema di interesse legittimo si pone la tutela giuridica dei privati che si trovano di fronte all’amministrazione dotata di poteri autoritativi dal cui esercizio possono derivargli vantaggi o svantaggi. L’interesse legittimo, infatti, consente al privato di difendere il suo patrimonio giuridico dall’azione intrusiva dell’amministrazione ovvero di sollecitare o sostenere l’azione amministrativa diretta all’ampliamento del suo patrimonio. In particolare, l’interesse legittimo si qualifica come oppositivo nel primo caso (ex. espropriazione) ; mentre nel secondo caso si parla di interesse legittimo pretensivo ( esempio la richiesta di provvedimento favorevole, in caso di concessione in uso esclusivo di bene demaniale). Entrambe le due specie di interesse legittimo hanno la medesima struttura ed i medesimi mezzi di tutela, per cui esso sussiste in tutti gli ordinamenti moderni ove il potere autoritativo è retto dal principio di legalità ed è anche al riparo dal controllo giurisdizionale. Altri ordinamenti hanno risolto in maniera diversa il problema della tutela dei privati nei confronti dell’azione amministrativa: come in Germania che si fa riferimento a diritti pubblici soggettivi, quali species della categoria del diritto soggettivo. In Italia, invece, la necessita di elaborare una figura diversa dal diritto soggettivo è stata determinata dall’evoluzione della tutela giurisdizionale prevista nei confronti dell’amministrazione rendendo inevitabile il ricorso all’interesse legittimo.

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La tutela dei privati nei confronti dell’amministrazione, infatti, già nel periodo del Regno d’Italia aveva carattere prettamente amministrativo in omaggio al principio della separazione dei poteri, per cui i Tribunali del contenzioso amministrativo erano gli organi che facevano capo al contenzioso amministrativo. In occasione della legge di unificazione amministrativa (legge n. 2248 del 1865) il principio della separazione dei poteri venne superato e la tutela dei diritti soggettivi venne affidata al giudice, che allora era soltanto il giudice ordinario e gli interessi non riconosciuti come diritti soggettivi rimasero senza tutela, amministrativa contenziosa. In tale situazione venne istituita con la riforma del 1889 la IV Sezione del Consiglio di Stato, c.d. perla giustizia amministrativa, che venne ad assicurare la tutela contro atti e provvedimenti delle autorità amministrative o di corpi amministrativi deliberanti che abbiano ad oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici, ossia un interesse considerato dal legislatore quale elemento metagiuridico che non può consistere di per sé in una situazione giuridica soggettiva. 4. L’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva L’”interesse” ha dato luogo ad un intensa ricerca teorica che, per tappe successive, ha consentito di attribuire sostanza alla generica espressione utilizzata dal legislatore del 1889. I primi commentatori della legge, infatti, avevano escluso che si fosse creata una nuova situazione giuridica soggettiva, per cui ove di diritti si fosse parlato la tutela era quella offerta dal giudice in forza della legge del 1865. Al fine di giustificare la tutela giurisdizionale, affidata alla IV Sezione del Consiglio di Stato, si utilizzarono vari espedienti facendo ricorso alla tutela in modo diretto dell’interesse pubblico ed in modo occasionale a quello privato, ritenendo che l’interesse privato ricorrente fosse in verità un diritto soggettivo, che veniva affievolito dagli atti e provvedimenti amministrativi contro i quali si era presentato ricorso. Da tale ricostruzione emerge, dunque, che l’interesse legittimo non era concepito come una situazione giuridica soggettiva al pari del diritto soggettivo, per cui la tutela giurisdizionale era nel senso pieno del termine. L’interesse legittimo, allora, si distingue nelle due categorie di interessi pretensivi ed interessi oppositivi, da cui si tenta di rendere concepibile la tutela giurisdizionale anche ad interessi non riconosciuti come diritti soggettivi. Di qui la tesi di Giuseppe Chiovenda che, all’inizio del secolo scorso, superando la distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, portò al riconoscimento di un bene, oggetto del diritto soggettivo sostanziale, al titolare dell’azione, ossia del diritto di rivolgersi al giudice amministrativo in quanto qualificazione giuridica da cui si riconosce altresì la tutela giurisdizionale. Secondo tale tesi, infatti, l’interesse del privato si riduce ad un interesse di ordine processuale, in quanto il titolare è legittimato a proporre ricorso al giudice amministrativo. Tuttavia, l’interesse legittimo resta privo di qualsiasi rilevanza giuridica sul piano sostanziale, seppure assume rilievo sul piano processuale nei termini di potere di agire in giudizio. Di qui, l’interesse legittimo assurge a dignità di situazione soggettiva sia pure sotto il solo diritto processuale. 5. L’interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale. Inteso come situazione processuale, l’interesse legittimo nasce a seguito dell’adozione del provvedimento se favorevole, per cui si tutela l’interesse pubblico curato dall’amministrazione e l’interesse legittimo si pone come reazione contro il provvedimento sfavorevole e come tale non sussiste prima di quest’ultimo.

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Ritenere sussistente una situazione soggettiva di diritto sostanziale richiede che essa trovi riconoscimento e tutela prima del processo, per cui l’interesse del privato doveva trovare legittimazione già nel momento dell’azione amministrativa. Si cercò, allora, di individuare quel valore del diritto oggettivo che garantisse il privato nella titolarità dell’interesse legittimo e lo si individuò nella legittimità dell’azione amministrativa. Tuttavia, tale nozione di legittimità contrastava con il valore in concreto rimesso al soggetto, in quanto essa riguardava in generale l’azione amministrativa che, invece, andava collegata ad un interesse proprio del soggetto privato. Abbandonata l’idea dell’interesse legittimo ancorato alla legittimità dell’azione amministrativa, la dottrina ha preso atto dei limiti della relativa tutela per cui, secondo una visione concreta e realistica, si è posto come oggetto dell’interesse legittimo la stessa azione dell’amministrazione in quanto strumentale ad acquisire un bene della vita, ossia un interesse sostanziale rappresentato da tale comportamento. La Costituzione ha definitivamente sanzionato il carattere di diritto sostanziale dell’interesse legittimo con l’art. 24 Cost23 collocando l’interesse legittimo accanto ai diritti soggettivi e parimenti gli artt. 10324, comma 1 e 113 Cost25. Il contenuto dell’interesse legittimo risulta dalla giurisprudenza e dalle diverse disposizioni legislative e dalla legge sul procedimento amministrativo. 6. L’interesse legittimo come situazione giuridica risarcibile Riconosciuto il carattere sostanziale dell’interesse legittimo se ne è ricavata la sua risarcibilità in caso di violazione da parte dell’amministrazione sia per il mancato o ritardato esercizio del potere sia per l’illegittimo esercizio del potere. La dottrina ha confermato la tutela risarcitoria avverso comportamenti dannosi dell’amministrazione in caso di danno ingiusto per lesione di un interesse giuridicamente rilevante , ossia di lesione di interesse legittimo. Fino alla fine del secolo scorso, prima della sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la giurisprudenza non riteneva possibile il risarcimento del danno soprattutto perché preoccupata di tutelare le finanze pubbliche contro esborsi da risarcimento. Successivamente, dopo circa 110 anni dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, l’interesse legittimo ha trovato riconoscimento sotto il profilo risarcitorio seppure con diversi problemi. Il primo problema attiene alla concezione di interesse legittimo, per cui se si assume che esso abbia ad oggetto il bene della vita a cui aspira il suo titolare, allora la misura del risarcimento

23 Art. 24 Cost: Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. 24 Art. 103 Cost Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate 25 Art. 113 Cost: Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

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deve parametrarsi a tale valore laddove tale valore sarà prognostico in caso di interesse legittimo inteso come bene che il titolare teme di perdere. Viceversa, se l’interesse legittimo ha ad oggetto il comportamento dell’amministrazione, allora esso vive nel procedimento e la misura del danno risarcibile è dato dal valore di tale interesse che può derivare dalla determinazione per la lesione dell’interesse finale avente ad oggetto il bene illecitamente sottratto. In giurisprudenza si seguono entrambi gli indirizzi della dottrina sovra richiamati, ma la giurisprudenza amministrativa più consolidata ritiene che l’azione risarcitoria sia strettamente dipendente dal favore dell’esito dell’azione di annullamento del provvedimento lesivo, in quanto il risarcimento può essere chiesto se il danneggiato non ne abbia tempestivamente chiesto e poi ottenuto l’annullamento.

Parte 3 Capitolo 1

L’attività amministrativa

1. Verso la costruzione di una disciplina speciale dell’azione amministrativa. Con la formazione dello Stato unitario la dottrina e la giurisprudenza hanno messo in luce come la sola disciplina applicabile agli atti amministrativi fosse il diritto privato e che, pertanto gli atti che comportavano il consenso dei privati non potevano che essere costruiti come atti consensuali. Lo schema consensuale venne esteso alle convenzioni pubblicistiche e gli atti c.d. ablatori vennero ritenuti validi pur in assenza della volontà della parte privata in quanto compensata dalla volontà di legge. In tale contesto, in assenza di una disciplina speciale, gli atti dello Stato venivano intesi come atti sovrani e laddove si richiedevano atti consensuali si applicava la disciplina di diritto privato. In particolare, l’attività di diritto privato svolta dallo Stato si caratterizzava per lo sdoppiamento tra Stato e Fisco, in quanto idoneo ad operare in posizione paritetica rispetto ai cittadini e, in secondo tempo, ricomposta ad unità la personalità dello Stato in quanto dotato di una doppia capacità di diritto pubblico e di diritto privato da cui la distinzione tra atti di imperio e atti di gestione. Di qui, l’amministrazione inizia ad essere pensata come titolare di poteri unilaterali, in quanto capace di esercitare il relativo potere pur in assenza del consenso dei destinatari dei provvedimenti e, parimenti, si è affermato il principio di legalità, per cui l’amministrazione veniva ritenuta idonea dei soli poteri unilaterali previsti dalla legge e che doveva esercitarli sempre e comunque nel rispetto della legge. Conseguentemente, la tutela dei privati nei confronti degli atti unilaterali dell’amministrazione si spostava nell’ambito della tutela offerta dal principio di legalità e si riteneva che l’atto amministrativo, caratterizzato da esecutività ed esecutorietà, poteva essere ritenuto viziato seppure atto legittimo in quanto oggetto di eventuale annullamento. 2. L’azione amministrativa tra disciplina privatistica e disciplina pubblicistica Nell’ultimo decennio del secolo XIX si forma il diritto amministrativo e, accanto agli atti unilaterali, si specificano insieme agli atti consensuali anche i contratti, disciplinati dalla leggi di contabilità di Stato. L’attività amministrativa dall’essere soggetta al diritto pubblico ed in parte al diritto privato, trova un doppio statuto giuridico, in quanto dottrina e giurisprudenza si concentrano per

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l’attività amministrativa di diritto pubblico nella nozione di provvedimento amministrativo e per quella di diritto privato nelle forme proprie di diritto privato, ossia nella stessa posizione assunta dal soggetto privato. Massimo Severio Giannini, in particolare, definisce ogni ente pubblico dotato di autonomia privata sol perché è persona giuridica, in quanto le norme sulla plurisoggettività non distinguono tra soggetti persone fisiche e soggetti persone giuridiche. La giurisprudenza, inoltre, ha evidenziato come le regole di diritto pubblico si estendano alla formazione del contratto in quanto tese a tutelare il perseguimento dell’interesse pubblico tanto che la dottrina ha ravvisato come l’amministrazione non possa utilizzare poteri di autonomia privata ma debba pur sempre esercitare poteri amministrativi. Negli anni Ottanta, la dottrina afferma che l’attività amministrativa può esprimersi con strumenti privatistici in quanto attività funzionalizzata e soggetta a regole generali diverse dall’attività dei soggetti privati. Nell’ambito delle nuove riflessioni si pone l’attenzione al contratto di diritto pubblico, in quanto si espressione del potere unilaterale del potere dell’amministrazione anche in atti bilaterali in cui convergono poteri diversi ma coincidenti nel regolamento di interessi cui l’atto giuridico da vita. In definitiva, accanto ai contratti di diritto privato in cui l’amministrazione si pone in fattispecie bilateriali, si riconosce in capo all’amministrazione un potere unilaterale non privatistico in cui si delineano gli accordi pubblicistici, le convenzioni pubblicistiche. 3. L’attività amministrativa tra autorità e consenso. Il valore precettivo del potere amministrativo. La concezione attuale della dottrina maggioritaria considera l’attività amministrativa sia autoritaria che consensuale. Sotto il primo profilo, si designa una nozione strettamente tecnico – giuridica, in cui si spezza la nozione di sovranità, quale potere autoritativo nel disciplinare interessi altrui e si riguarda al potere precettivo dell’amministrazione nell’elaborazione di regolamentazione di interessi pubblici e privati rispetto al quale l’atto amministrativo si pone come imperativo. Il potere imperativo, infatti, si esprime mediante atti precettivi unilaterali ed anche in atti bilaterali – consensuali, così negli accordi previsti dalla legge sul procedimento, laddove per la prima tipologia di atti il consenso non è necessario. Nel caso in cui l’atto consensuale è indispensabile per il raggiungimento di un determinato regolamento di interessi, allora, il potere amministrativo non può considerarsi autoritativo, in quanto il consenso del privato condiziona tale regolamento. Al potere precettivo, dunque, si riconosce il c.d. vincolo di scopo, in quanto finalizzato al raggiungimento di un interesse pubblico rispetto a quello degli amministrati e tale principio si fonda sulle regole di imparzialità, proporzionalità e trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto l’amministrazione agisce tendendo conto dell’applicazione dei suddetti principi nel perseguire l’interesse pubblico e nella tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei privati. 4. Segue. L’attività consensuale dell’amministrazione Tanto in dottrina quanto in giurisprudenza l’attività consensuale dell’amministrazione riguarda la posizione del privato che assume nelle obbligazioni nei confronti dell’amministrazione, per cui consensuali possono essere anche atti sfavorevoli al privato ed in tal caso si esercita un potere autoritativo. L’amministrazione ha facoltà di scegliere tra accordi o per provvedimenti e si tratta di una scelta discrezionale che va operata secondo il criterio dell’interesse pubblico. Inoltre, non vi è alcuna corrispondenza tra atti di autorità ed atti consensuali ed atti di diritto pubblico ed atti di diritto privato, in quanto entrambe le categorie possono essere configurate come atti consensuali di diritto pubblico e viceversa.

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Nell’ambito delle fattispecie consensuali, i contratti prevedono la necessità del consenso dei privati laddove gli accordi non lo richiedono. Nell’attività di programmazione e di pianificazione, invece, l’accordo assume carattere centrale, in quanto si sostituisce agli atti autoritativi nella negoziabilità dell’assetto degli interessi in gioco. 5. Segue. Distinzioni vecchie e nuove. L’attività amministrativa è stata oggetto di numerose operazioni di classificazione in senso oggettivo ed in senso soggettivo. Alcune di tali distinzioni sono state tradizionalmente tralasciate, in quanto l’attenzione si è spostata sugli atti e sui provvedimenti, mentre altre trovano ancora piena validità. Rileva, infatti, il criterio teleologico, in merito all’interesse pubblico perseguito, in quanto l’attività amministrativa, al di là delle sue denominazioni, è attività necessariamente razionale nel suo esplicarsi nelle fasi di ideazione, programmazione, progettazione, decisione, realizzazione, esecuzione e valutazione dei risultati. Pertanto, in linea astratta, va considerata l’attività amministrativa in quanto tale al di là delle sue specificazioni. 6. Attività e funzione amministrativa. L’attività amministrativa in senso stretto ha una sua configurazione materiale o pregiuridica, in quanto l’ordinamento giuridico attribuisce efficacia a determinati suoi atti e si specifica come attività amministrativa diretta in quanto cura di interessi pubblici. Molteplici sono i modi in cui l’attività amministrativa viene presa in considerazione, ma è evidente che l’interesse pubblico si pone come interesse non appartenente all’amministrazione, ossia al soggetto che pone in essere l’attività di cura, per cui occorre domandarsi chi ne sia il titolare. In modo più aggiornato si ritiene che gli interessi pubblici sono interessi di cui sono titolari le collettività di riferimento degli apparati amministrativi che li hanno in cura e, in ultima istanza, il popolo al quale viene riferita la sovranità. 7. Modi e forme della rilevanza giuridica dell’attività amministrativa L’attività amministrativa consiste nel complesso di atti puntuali che assurge a fattispecie in quanto considerate dal diritto. Oggetto della valutazione giuridica, infatti, è l’attività amministrativa di volta in volta considerata nel suo insieme ovvero in segmenti separati secondo criteri diversi. In definitiva, l’attività amministrativa assunta come tale pone il problema della consistenza del principio di legalità e della relativa riserva di amministrazione, in quanto attività finalizzata all’emanazione del provvedimento in cui si racchiude il procedimento ed al quale fanno riferimento il controllo di gestione, il controllo strategico e la responsabilità dirigenziale e così via. Tali sono alcuni dei modi in cui si esprime l’attività amministrativa rispetto alla quale, in ultimo, è stato aggiunto un nuovo istituto, la conferenza dei servizi in cui convergono più procedimenti connessi al fine di conseguire un determinato risultato concreto. Dalla valutazione dell’attività amministrativa, può emergere la responsabilità dell’amministrazione pubblica, presa in considerazione in quanto illecita: nella fattispecie dell’illecito entra l’attività e non solo l’atto o il provvedimento amministrativo.

Capitolo 2 Principi e azione amministrativa

1. Principi generali dell’azione amministrativa dalla legge b. 241/1990 alla legge n. 15/ 2005.

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L’art.1, comma 1, della legge 241/1990 enuncia i principi dell’azione amministrativa in quanto determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia e pubblicità secondo le modalità previste dalla legge e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti. La novella di cui alla legge n. 15/2005 ribadisce tali principi ed affianca a quelli nazionali i principi dell’ordinamento comunitario aggiungendo, in particolare, la trasparenza dell’attività amministrativa. Nulla di nuovo aggiunge il comma 1- bis edlla legge, in quanto l’amministrazione adotta atti di natura non autoritativa secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente. Infine, il comma 1- ter prevede che i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurino il rispetto dei principi di cui al comma 1, ed in tale disposizione si conferma l’orientamento giurisprudenziale da tempo consolidato. Invero, dall’art. 1 della legge emerge una crisi con il principio di legalità in quanto sotto il profilo del primato della legge formale e sotto il principio dell’applicazione del principio si rileva che il principio di legalità è fortemente contraddetto dalla prevalenza delle fonti normative comunitarie e dall’accrescimento delle fonti secondarie nonché dalla elaborazione di principi da parte della giurisprudenza relativi all’attività amministrativa. 2.Principi giuridici e principio di legalità. Dalla crisi del principio di legalità emerge il tentativo da parte della dottrina di estendere la portata del principio a tutte le disposizioni costituenti il diritto in senso tecnico, ossia la possibilità di estendervi la sua applicazione fino al merito dell’attività amministrativa. Di qui, la legittimità dell’azione amministrativa viene a risolversi nella conformità del provvedimento secondo parametri normativi o meno assunti come precostituiti, per cui la stessa legittimità assume contenuto diverso e sostanziale contrapponendosi al concetto di autorità. Il principio di legalità si espande fino a comprendere i criteri e le regole proprie dell’agire dell’amministrazione e a colmare eventuali lacune dell’ordinamento giuridico anche grazie all’opera della giurisprudenza che ha contribuito a formulare i principi relativi all’azione. 3. Principi e norme non giuridiche: in dibattito antico Il problema dei criteri di esercizio dell’azione amministrativa ha investito la riflessione sulla discrezionalità amministrativa, ma è soprattutto all’inizio del secolo scorso che l’attenzione della dottrina si è posta sulle regole sociali e sui valori di giustizia capaci di indirizzare l’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Nella riflessione sui criteri extra- giuridici, il dibattito degli anni Venti ha riguardato al rispetto della legalità e al merito, un quanto attività assolutamente vincolata oppure discrezionalmente libera e tale orientamento venne confermato successivamente da M.S. Giannini che classificò dette regole in regole morali, regole sociali, regole di buona amministrazione, regole di correttezza amministrativa e principi di politica. Invero, tali regole venivano riconosciute come regole giuda delle concrete scelte operate dall’amministrazione. 4. I principi alla ricerca della giuridicità. In Francia la riflessione è stata diversa, in quanto i canoni di condotta dell’azione amministrativa sono stati censurati in sede di sindacato di legittimità da parte del Conseil d’Etat, che ha posto l’esigenza di porre un limite a tali regole nella misura della stabilità che l’azione amministrativa deve assicurare nella propria attività e di cui il giudice è tenuto a garantirne il legittimo esercizio.

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Anche la cultura anglosassone e statunitense ha mosso un approccio realistico all’analisi dei criteri guida dell’azione amministrativa, rinvenendo regole di azione concrete e specifiche che offrono canoni capaci di controllo. In Italia, il Consiglio di Stato ha affermato che le regole tecniche o sociali sono necessaria per l’applicazione di norme giuridiche in quanto consentono un ampliamento della sfera della legittimità. Pertanto, per soddisfare tali esigenze di tutela la dottrina ha offerto una sistemazione teorica a tali regole e principi dando rilevanza alla legittimità piuttosto che al merito. Si afferma, infatti, che l’ultima fonte di tali criteri è data dall’esperienza, che deve ritenersi desumibile dalla media degli uomini secondo l’elaborazione propria delle discipline sociali oggettivamente riconosciute capaci di produrre le singole fattispecie. In definitiva, si afferma che è l’esperienza a fornire elementi sufficienti perché l’agente possa esternare una norma ovvero una regola capace di disciplinare il caso concreto suscettibile di accertamento oggettivo. 5. Principi e mutevolezza delle regole non giuridiche. La dottrina è andata molto al di là dell’esistenza di tali criteri che guidano l’azione amministrativa e tra le varie soluzioni proposte si è sostenuto la rilevanza giuridica che non sia nella norma extra legem, ma nell’inosservanza di essa tanto da parlare di invalidità esclusivamente amministrativa, in quanto difformità dell’azione amministrativa nel rendersi efficiente secondo il principio di opportunità. Rinconsciuti come insuscettibili di identificazione, tali regole risultano flessibili nel loro continuo adattarsi alla realtà mutevole, da cui si deve negare che i medesimi canoni possano essere considerati norme giuridiche o norme dotate di rilevanza giuridica. Invero, non si contesta che qualsiasi regola possa avere contenuto di norma, ma soltanto che tali criteri risultano di difficile inquadramento sistematico e, dunque, privi di stabilità e certezza giuridica. Tuttavia, le norme o regole sociali possono essere formulate anche in modo indefinito e secondo principi scientifici ed assurgere a rilievo giuridico in sede di controllo di legittimità in quanto riflesso di una disciplina più ampia determinata da esigenze di ordine, correttezza che sono poste a fondamento dell’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione. Di qui, l’ampliamento operato dalla dottrina in riferimento al principio di legalità che si pone quale fonte di esigenza di certezza dell’azione amministrativa in sede di controllo di legittimità. 6. I principi generali dell’ordinamento A tale esigenza offre risposta tutta la elaborazione teorica sui principi generali dell’ordinamento che hanno contribuito ad ampliare il principio di legalità nell’indirizzare l’azione amministrativa. Lo stesso Mortati, infatti, afferma che tali criteri non devono essere intesi come corpo di regole compiute nella loro formulazione, in quanto piuttosto criteri generali o direttive d’azione da cui ogni persona dovrebbe ricavare elementi necessari per stabilire la relativa disciplina d’azione. Parimenti, negli ordinamenti di common law sono proprio i principi generali ad essere il principale limite all’azione amministrativa rispetto ai quali si pone l’attenzione del giudice amministrativo. La nostra giurisprudenza, inoltre, ha da tempo riconosciuto che i principi generali costituiscono regole dell’azione amministrativa tali da caratterizzare il diritto amministrativo in quanto tali principi sono stati elevati a valori guida generali dell’azione amministrativa. 7. Segue, I principi di buona amministrazione in particolare.

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Tra i principi generali dell’ordinamento meritano attenzione i c. d. principi di buona amministrazione, in relazione ai quali si esclude che possano essere considerati principi generali dell’ordinamento. Invero, si tratta di regole di esperienza di cui già si è parlato che non possono essere confusi con i principi generali dell’ordinamento. In tal senso si spiega il c.d. principio di buona amministrazione, che già presente nell’ordinamento giuridico fascista, assolve all’esigenza insita nell’ordinamento giuridico statale di regolare l’attività delle persone giuridiche pubbliche. Il principio è stato assunto all’art. 97 Cost26. insieme a quello di buon andamento e di imparzialità, laddove il buon andamento concerne l’ordinazione dell’amministrazione al suo fine primario, cioè all’interesse pubblico specifico e si pone come canore di regolamentazione primaria; il secondo riguarda il rispetto degli interessi secondari e si atteggia criterio positivo. Anche l’imparzialità vige come principio positivo nell’attuale ordinamento giuridico, in quanto essa è imposta dall’evoluzione dell’ordinamento. Meno agevole è la conclusione per il buon andamento, in quanto si tratta di una nozione che si riferisce specificamente agli uffici pubblici, per cui esso si profila sotto il duplice profilo funzionale e strutturale negli elementi organizzativi dell’amministrazione e che regge l’azione amministrativa nella cura del pubblico interesse. In conclusione, l’amministrazione trova un orientamento in regole precise e puntuali stabilite dall’ordinamento giuridico ed in altri criteri guida della sua azione che vincolano nel merito le proprie scelte e che fungono da misura di valore di quelle scelte.

Capitolo 3 Il procedimento amministrativo

1. La nozione di procedimento amministrativo Le amministrazioni perseguono fini pubblici previsti dalla legge ed il procedimento amministrativo è definito come la serie di atti ed attività funzionalizzate all’adozione del provvedimento amministrativo, che rappresenta l’atto finale della sequenza e che consiste nella decisione volta a produrre un determinato assetto di interessi cui il medesimo procedimento è predisposto nella cura dell’interesse pubblico. Procedimento amministrativo, dunque, rappresenta il processo decisionale formalizzato attraverso il quale le amministrazioni pubbliche esercitano i poteri e le potestà ad esse attribuite dalla legge per la cura di un interesse pubblico il cui esercizio deve avvenire nel rispetto dei principi di imparzialità, ragionevolezza e proporzionalità. 2. La disciplina giuridica del procedimento amministrativo Con la legge n. 241/ 1990 sono state emanate norme che disciplinano il procedimento amministrativo e l’azione amministrativa, in particolare il diritto d’accesso ai documenti amministrativo. 2.1. Segue. La competenza legislativa e normativa in materia procedimentale.

26 Art. 47 Cost: I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

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Le disposizioni contenute nella legge del 1990 si applicano esclusivamente ai procedimenti amministrativi che si svolgono tra amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali salvo quanto stabilito in materia di giustizia amministrativa. In particolare, il legislatore costituente delle riforma del Titolo V della nostra Carta costituzionale ha ridefinito il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni ed ha attribuito alla competenza esclusiva statale la sola materia dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, per cui in tale ambito deve ritenersi sussistente la competenza legislativa delle Regioni relativamente all’ordinamento e all’organizzazione amministrativa regionale e degli enti pubblici ed ha attribuito la titolarità delle funzioni amministrative proprie e la potestà regolamentare a Comuni, Province e Città metropolitane in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117 e 118 Cost.). In generale, la legge n. 241/1990 ha trovato applicazione generalizzata a tutte le amministrazioni pubbliche. 3. Struttura e funzione del procedimento amministrativo. La struttura del procedimento amministrativo non è definita dalla legge 241/1990. La dottrina e la giurisprudenza hanno suddiviso il procedimento amministrativo in fasi: la fase di iniziativa, la fase istruttoria e la fase decisoria. Invero, la decisione amministrativa si forma durante lo svolgimento del procedimento che termina con l’emanazione del provvedimento finale, per cui durante l’iter decisionale si snoda un contiunuum di azioni e momenti che si presentano unitari tra loro. Quanto all’atto interno al procedimento si rinviene la sua forza lesiva delle posizioni giuridiche dei destinatari, in quanto si richiede l’adozione di un parere, obbligatorio ma non vincolante, al fine dell’adozione del provvedimento finale con effetto lesivo per il privato laddove detto parere non sia stato legittimamente richiesto ovvero rilasciato. Sotto il profilo funzionale, il procedimento amministrativo serve a rendere palese il fatto di realtà da cui si ricava l’esigenza di cura dell’interesse pubblico, c.d. interesse primario, verso cui indirizzare l’intero processo decisionale che si conclude con il provvedimento ed acquisire agli altri interessi, pubblici e privati, presenti nel fatto, c.d. interessi secondari. Inoltre, il procedimento serve ad accertare l’esistenza e le caratteristiche del fatto e a valutare correttamente la consistenza degli interessi coinvolti nonché individuare le norme che disciplinano l’esercizio del potere rispetto al caso concreto. 4. L’apertura del procedimento e l’iniziativa procedimentale Il procedimento si apre con il primo atto, l’atto di iniziativa procedimentale. Dall’art. 2 della legge 241/1990 si ricava che l’avvio del procedimento può avvenire ad istanza di parte ovvero d’ufficio, per cui nel primo caso l’amministrazione è sollecitata dal privato o da altra amministrazione, mentre nel secondo caso è la stessa amministrazione a dare avvio al procedimento27.

27 Articolo 2. (1) (Conclusione del procedimento) 1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. 2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni. 3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di

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Di regola, i procedimenti ad istanza di parte sono destinati a conclusione con provvedimento che amplia la sfera giuridica del privato (ex. concessione d’uso di bene demaniale). Tuttavia, nel caso di primo atto che l’amministrazione pone in essere per il perseguimento di interesse pubblico, l’iniziativa procedimentale viene a coincidere con il primo atto posto dall’amministrazione (ex. espropriazione di terreno privato per realizzare opera pubblica). 5. L’istruttoria procedimentale e il responsabile del procedimento. Con l’introduzione nell’ordinamento amministrativo dell’istituto del responsabile del procedimento il legislatore ha dato un volto alla pubblica amministrazione ed ha individuato un polo certo di riferimento per il privato che non può più smarrirsi nell’indistinto amministrativo. Il responsabile del procedimento realizza, a livello di riorganizzazione della P.A., le esigenze di semplificazione e di efficienza alle quali la legge generale sul procedimento si ispira, che segna un’evidente frattura con il sistema antecedente caratterizzato dalla frammentazione delle competenze e dall’inesistenza di una guida unitaria della sequenza procedimentale.

competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. 4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione. 5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza. 6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall'inizio del procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. 7. Fatto salvo quanto previsto dall'art. 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'art. 14, comma 2. 8. La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo. (2) 9. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 , dal Decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. (2) Comma così modificato dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Articolo 2-bis. (1) (Conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento) 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'art. 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. (...) (2) (1) Articolo inserito dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. (2) Comma abrogato dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Il testo precedente così recitava: "Le controversie relative all'applicazione del presente articolo sono attribuite alla giusdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni."

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Mancava, prima della l. n. 241, un soggetto che si facesse carico di portare la sequenza procedimentale al traguardo provvedi mentale, mancava una figura organizzatoria funzionale alla semplificazione procedimentale. La semplificazione voluta dagli artt. 4 e ss. della l. 241 è stata condivisa e assecondata dalla giurisprudenza e dalla legislazione regionale. Entrambe hanno sottolineato la necessità che per ogni procedimento sia individuata un’unica unità organizzativa al fine di rimuovere oggettivamente la preesistente frammentazione delle competenze e gli inevitabili ritardi ed inefficienze che ne derivano. L’art. 6 l. 241 inizia (lett. a) con l’attribuire al responsabile del procedimento il potere-dovere di valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità e i requisiti di legittimazione nonché i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento. Si tratta di verificare la sussistenza di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari all’adozione dell’atto finale; al contrario, nel caso di loro assenza, avrà luogo l’interruzione della sequenza procedimentale che sfocerà, comunque, in un atto espresso (art. 2) e motivato (art. 3), avendo, comunque, l’interessato diritto alla risposta. Di seguito (lett. b) l’art. 6 attribuisce al responsabile del procedimento il compito di accertare d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari, adottando ogni misura necessaria all’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. Questa disposizione, sulla quale si tornerà in seguito approfondendo le innovazioni introdotte con la l. n. 15/2005, va coordinata con quella di cui all’art. 18, secondo comma, secondo cui qualora l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento provvede d’ufficio all’acquisizione dei documenti stessi o di copia di essi. Ne deriva un capovolgimento dell’antecedente assetto circa la distribuzione dell’onere della prova tra privato e amministrazione alla quale vengono trasferiti adempimenti istruttori che prima gravavano sul privato, attenuandosi il formalismo prima dominante nella maggior parte dei procedimenti quanto alle condizioni di ammissibilità, ai presupposti, stati e qualità. Nella prospettiva di attenuare il formalismo e di migliorare i rapporti tra privati e P.A. è stato pure previsto che il responsabile può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali. Il responsabile del procedimento deve collaborare con il privato ponendolo in condizione di rimuovere difetti, irregolarità, incompletezze, impedimenti presenti nell’istanza da lui presentata, che, se non eliminati o corretti, renderebbero l’iniziativa inefficace in quanto priva del requisito della legittimazione o delle condizioni di ammissibilità. Inoltre (lett. c) l’articolo in commento attribuisce al responsabile del procedimento la facoltà di proporre l’indizione della conferenza di servizi o, avendone la competenza, di convocarla direttamente, attivando questo efficacissimo strumento di semplificazione essenziale per imprimere speditezza all’azione amministrativa.28

28 Articolo 3. (Motivazione del provvedimento) (1) 1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. 2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.

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Riassumendo: All’atto di iniziativa procedimentale segue la fase dell’istruttoria in cui si svolgono tutte le attività necessarie a chiarire le questioni rilevanti per la decisione finale. Durante la fase istruttoria l’amministrazione accerta e valuta il fatto di realtà e la sua rilevanza per l’interesse pubblico, acquisisce ulteriori fatti significativi e tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti nonché esercita potestà discrezionali con valutazione comparativa degli interessi coinvolti. Un ruolo decisivo in tale fase è svolto dal responsabile del procedimento che, ai sensi di cui all’art. 4 della legge, ove non sia direttamente stabilito per legge o per regolamento, le amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun procedimento relativo agli atti di

4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 3-bis. (1) (Uso della telematica) 1. Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l'uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati. (1) Articolo aggiunto dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Capo II Responsabile del procedimento Articolo 4. (Unità organizzativa responsabile del procedimento) (1) 1. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale. 2. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 5. (Responsabile del procedimento) (1) 1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale. 2. Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell'articolo 4. 3. L'unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all’articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 6. (1) (Compiti del responsabile del procedimento) 1. Il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento; b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indìce le conferenze di servizi di cui all'articolo 14; d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale. (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15.

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propria competenza l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale. Al responsabile del procedimento è affidato il corretto ed efficace svolgimento della fase istruttorio ed è l’interlocutore con i privati nell’esercizio dell’azione amministrativa. In particolare, valuta i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento, accerta d’ufficio i fatti adottando ogni misura per lo svolgimento dell’istruttoria, indice la conferenza dei servizi, cura le comunicazioni previste dalle leggi e dai regolamenti. E’ altresì l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta da quest’ultimo se non indicandone i motivi nel provvedimento finale. Dunque, il responsabile del procedimento è figura centrale sia nella fase dell’istruttoria che in quella dell’emanazione del provvedimento nonché nello svolgimento di tutti gli adempimenti procedimentali. 6. La partecipazione dei privati al procedimento amministrativo nella legge 241/ 1990. Con la legge 241/1990 muta radicalmente il ruolo dei privati nel procedimento amministrativo, in quanto nel sistema previgente era centrale la posizione assunta dall’amministrazione. Con la legge sul procedimento, infatti, la partecipazione dei privati serve alla migliore cura dell’interesse pubblico, in quanto l’amministrazione è chiamata a valutare l’interesse privato rispetto all’interesse pubblico di cui essa ha cura nell’esercizio del potere amministrativo. Alla disciplina giuridica della partecipazione dei privati al procedimento è dedicato il Capo III della legge del 1990 che esclude l’applicazione di tale istituto per i procedimenti diretti all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione nonché di quelli tributari, in quanto ivi prevalgono esigenze di segretezza su quelle di pubblicità. Il bilanciamento tra principi di trasparenza e di pubblicità ha portato la giurisprudenza ad ampliare le prescrizioni relative alla partecipazione dei privati al procedimento tanto da interpretare in via estensiva la relativa disciplina. Tuttavia, in presenza di discipline settoriali che si applicano a determinati procedimenti, la legge 241/1990 viene a riconoscere una portata più ampia della garanzia procedimentale, in quanto al privato sono riconosciuti strumenti più incisivi di interloquire con l’amministrazione anche oralmente e non soltanto mediante presentazione di memorie scritte e documenti come previsto dall’art. 10 della legge 241/1990, instaurando in tal modo un vero e proprio contraddittorio con l’amministrazione procedente.29 7. La comunicazione di avvio del procedimento.

29 Articolo 9. (Intervento nel procedimento) (1) 1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 10. (Diritti dei partecipanti al procedimento) (1) 1. I soggetti di cui all'articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell'articolo 9 hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall'articolo 24; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15.

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La partecipazione di avvio del procedimento richiede che i soggetti interessati siano messi in condizione di avere conoscenza dell’avvio del procedimento e tale circostanza è garantita dalla comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990. Si tratta di un obbligo posto a carico dell’amministrazione procedente nei confronti dei soggetti che sono indicati al comma 1, dell’art. 7 della legge, ossia a coloro nei confronti dei quali il provvedimento finale è diretto a produrre effetti giuridici ovvero a quelli che per legge devono intervenirvi nonché a coloro nei confronti dei quali il provvedimento può arrecare pregiudizio, L’avvio del procedimento va altresì comunicato ai soggetti che debbono partecipare al procedimento in virtù di previsione di legge. Deroghe a tale obbligo sono previste laddove l’amministrazione non è tenuta a comunicare l’avvio del procedimento in quanto prevalgono esigenze di celerità nell’urgenza di provvedere, comma 1, art. 7 della legge (così nel caso di ordinanze di necessità) ovvero in caso di provvedimenti cautelari, ossia di provvedimenti di sospensione di efficacia di precedenti provvedimenti (ex. la sospensione di autorizzazione a svolgere una determinata attività).30 Il mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento costituisce una violazione di legge e può essere sanzionato nei termini di responsabilità disciplinare del funzionario titolare dell’ufficio che è incorso nella violazione. Nella comunicazione deve essere indicata l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, l’ufficio e la persona responsabile del procedimento, nonché l’ufficio in cui si possono prendere visione degli atti e, dopo la legge 15/ 2005, il temine di conclusione del procedimento e, nei procedimenti ad iniziativa di parte, il termini di presentazione dell’istanza.

30 Articolo 7. (Comunicazione di avvio del procedimento) (1) 1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento. 2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 8. (1) (Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento) 1. L'amministrazione provvede a dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale. 2. Nella comunicazione debbono essere indicati: a) l'amministrazione competente; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. 3. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. 4. L'omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista. (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15.

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Secondo la giurisprudenza, ove la comunicazione non giunga a buon fine in tempo utile, la pubblica amministrazione non perde il potere di svolgere il procedimento e di adottare il provvedimento finale, che va emanato entro un certo termine a pena di decadenza. 8. L’interventore procedimentale e le sue pretese partecipative. Elencati i soggetti che devono ricevere la comunicazione dell’avvio del procedimento, ove questi decidono di intervenire assumono la qualifica di interventori e la legge 241/1990 garantisce la possibilità di partecipare al procedimento amministrativo ad un certo insieme di soggetti che hanno il diritto di ricevere la relativa comunicazione di avvio. Ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge la facoltà di intervenire nel procedimento è assicurata anche a qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici e privati nonché di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui possa derivare pregiudizio dal provvedimento. Il novero degli interventori è decisamente ampio in quanto vi rientrano anche associazioni e comitati portatori di interessi diffusi con relativa loro determinazione di legittimazione in sede processuale sempre che ne ricorra il presupposto di lesione dell’interesse legittimo. In ogni caso, soggetti legittimati ad intervenire nel procedimento sono quelli indicati all’art. 7, comma 1 e all’art. 9, comma 1, della legge. In virtù dell’art. 10 della legge tali soggetti hanno il diritto di prendere visione degli atti del procedimento e il diritto di presentare memorie scritte e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove pertinenti all’oggetto del procedimento. In particolare, il diritto d’accesso agli atti del procedimento consente di acquisire informazioni necessarie per poter interloquire con l’amministrazione e si pone come strumentale al diritto di presentare memorie e documenti. Il contenuto della memoria, infatti, deve indicare asserzioni su fatti rilevanti per lo svolgimento del procedimento in relazione alla posizione dell’interventore. La pertinenza della memoria rispetto all’oggetto del procedimento è valutata dall’amministrazione in riferimento al fatto prospettato e dal punto di vista dell’interesse di cui il soggetto ne sostiene la titolarità. Con la presentazione di memorie e documenti si costituisce un contraddittorio scritto tra interventori e l’amministrazione procedente, laddove le pretese partecipative si qualificano in termini di diritti sebbene parte della dottrina li qualifichi come interesse legittimo definibili come interessi procedimentali. Tale ultima definizione sembra preferibile in quanto non tutti i soggetti legittimati a partecipare al procedimento risultano titolari di un interesse legittimo, in quanto lo sono soltanto i diretti destinatari del provvedimento finale ed i controinteressati di cui all’art.7, comma 1, mentre non lo sono i soggetti di cui all’art.9 della legge. 9. Istruttoria procedimentale e attività di consulenza di amministrazioni pubbliche diverse da quella procedente Nella fase istruttoria possono altresì intervenire altre pubbliche amministrazioni, per cui si determina un’attività consultiva con atti che sono resi sotto forma di pareri. Il ricorso alla consulenza amministrativa avviene quando è necessario acquisire e valutare interessi pubblici coinvolti nel procedimento e quando si tratta di considerare fatti complessi rispetto ai quali l’amministrazione procedente non possiede le necessarie conoscenze tecniche. Ai sensi dell’art. 16, comma 1, della legge le pubbliche amministrazioni sono tenute a rendere pareri ad esse obbligatoriamente richiesti entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta e l’infruttuosa decorrenza del termine, senza che l’amministrazione consultata abbia rilasciato il parere, autorizza l’amministrazione a procedere indipendentemente dal parere,

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salvo che quest’ultimo non debba essere rilasciato da pubbliche amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del territorio e della salute del cittadino.31 Inoltre, ai sensi dell’art. 17, comma 1, ove per espressa previsione di legge o di regolamento sia previsto che l’adozione di un provvedimento debba avvenire previa acquisizione delle valutazioni tecniche di altre pubbliche amministrazioni e queste ultime non provvedano in tal senso ovvero non manifestano esigenze istruttorie nei termini fissati, l’amministrazione procedente, per il tramite del responsabile del procedimento, deve richiedere le suddette valutazioni tecniche ad altre pubbliche amministrazioni che siano dotate di capacità tecnica equipollente ovvero ad istituti universitari. Si ricava, pertanto, che i pareri vengono richiesti in quanto previsti da una disposizione normativa, c.d. pareri obbligatori; ovvero ritenuti utili dall’amministrazione procedente, c.d. pareri facoltativi, al fine dell’adozione del provvedimento finale ed è possibile richiedere l’intervento di altre pubbliche amministrazione che diano garanzia di possedere conoscenze e competenze adeguate al fatto accertato. In ogni caso, viene meno la possibilità di prescindere

31 Articolo 16. (Attività consultiva) (1) 1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri a essi obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. 2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell’amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’espressione del parere. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente comma. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini. 4. Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie i termini di cui al comma 1 possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate. 5. Qualora il parere sia favorevole, senza osservazioni, il dispositivo è comunicato telegraficamente o con mezzi telematici. 6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l'adozione dei pareri loro richiesti. 6-bis. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 127 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. (1) Articolo modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. Articolo 17. (Valutazioni tecniche) (1) 1. Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell'amministrazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini. 3. Nel caso in cui l'ente od argano adito abbia rappresentato esigenze istruttorie all'amministrazione procedente, si applica quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 16. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15.

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da pareri obbligatori in caso di pareri aventi ad oggetto la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del territorio, della salute del cittadino. Il termine per il rilascio del parere è fissato da legge o da regolamento in un periodo massimo di novanta giorni. Come già detto, i pareri possono essere obbligatori o facoltativi, i primi producono effetti vincolanti e non vincolanti a seconda che possono essere o meno disattesi dall’amministrazione procedente nella decisione finale. In particolare, parere vincolante finisce per imprimere l’indirizzo specifico alla decisione finale, mentre il parere non vincolante comporta per l’amministrazione di dare specifica motivazione delle ragioni che giustificano una decisione contraria alle valutazioni espresse nel parere a pena di illegittimità del provvedimento stesso. Il parere, in definitiva, è atto endoprocedimentale, che non possiede capacità lesiva della sfera giudica del destinatario del provvedimento finale, per cui l’amministrazione pubblica può sempre discostarsene (parere non vincolante) e l’eventuale vizio potrà essere fatto valere soltanto mediante impugnazione del provvedimento finale. 10. La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza La legge n. 15/ 2005 ha introdotto l’art. 10 bis nel corpo della legge n. 241/1990, per cui nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’organo competente, prima dell’adozione del provvedimento di diniego, comunica tempestivamente a coloro che hanno dato avvio al procedimento, i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della suddetta comunicazione i soggetti destinatari hanno diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni eventualmente corredate da documenti. Tali prescrizioni non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia di previdenza ed assistenza. Il fatto che l’amministrazione assuma una diversa decisione, comporta per il privato l’impossibilità di ricevere alcuna utilità dal procedimento avviato, tanto che le osservazioni offerte risultano irrilevanti e non condivisibili, di modo che l’amministrazione che sia indotta a modificare la decisione quest’ultima risulterebbe illegittima ove non ritenga di poter accogliere le argomentazioni offerte dal privato.32 La pubblica amministrazione, pertanto, comunica al privato il preavviso di diniego, quale atto endoprocedimentale, privo di autonoma capacità lesiva della sfera giuridica del destinatario dal momento che la pubblica amministrazione decide diversamente da quanto comunicato da quest’ultimo. 11. La conclusione del procedimento attraverso l’adozione del provvedimento L’amministrazione, completata l’istruttoria, è tenuta a decidere mediante il provvedimento amministrativo espresso, di cui all’art. 2 della legge.

32 Articolo 10-bis. (1) (Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza). 1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali". (1) Articolo aggiunto dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15.

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Lo svolgimento del procedimento è contenuto entro il termine previsto dalla legge o dai regolamenti statali e che sono individuati tenendo conto della loro sostenibilità in tema di organizzazione amministrativa ed in base alla natura degli interessi pubblici tutelati. In particolare, tali termini iniziano a decorrere dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal ricevimento dell’istanza di parte. Tale termine può essere sospeso una sola volta per acquisire informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione procedente. L’obbligo di procedere e di provvedere di cui all’art. 2 della legge è stato oggetto di riflessione da parte della giurisprudenza che ha ravvisato come la p.a. non sia tenuta a dare corso al procedimento ed adottare il provvedimento in presenza di reiterate richieste aventi il medesimo contenuto, qualora sia stata già adottata una decisione rispetto al caso concreto in un precedente procedimento in oppugnato e non vi siano sopravvenuti mutamenti delle situazioni di fatto e di diritto. Infine, nell’ipotesi in cui il procedimento non si concluda nel termine prescritto con il provvedimento espresso si determina il c.d. silenzio inadempimento con conseguente possibilità per il privato, che ha avanzato istanza di avvio del procedimento, di ottenere il risarcimento dei danni nonché, nelle more della scadenza del termine, di ottenere sentenza dal g.a. al fine di indurre la p.a. ad adottare il provvedimento.

Capitolo 4 L’accesso alla documentazione amministrativa

1. Pubblicità, trasparenza e diritti di accesso. L’art. 1, comma 1, della legge 241/1990, prevede che l’attività amministrativa persegue fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e da altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.33 Il testo previgente prevedeva soltanto il criterio di pubblicità e di trasparenza, in quanto l’attività amministrativa era intesa soprattutto nella sua conoscibilità all’esterno degli atti da cui desumere le scelte operate. Invero, il concetto di trasparenza, che sia o meno tenuto distinto da quello di pubblicità, riveste carattere metagiuridico, in quanto indica una forma di reazione dell’ordinamento al concetto di segreto d’ufficio, elemento costitutivo dell’amministrazione burocratica. Invero, la legge, recependo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ritenuto l’ammissibilità delle istanze di accesso preordinate al controllo sull’operato

33 Capo I Principi Articolo 1. (1) (Principi generali dell'attività amministrativa) 1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario. 1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. 1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1. 2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69.

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dell’amministrazione, per cui l’istituto dell’accesso viene ad assumere un significato più ampio rispetto a quello della trasparenza. 2. Natura giuridica del diritto di accesso. L’art. 22, comma 1, lett. a) della legge n. 241/1990 definisce il diritto di accesso come diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi, per cui tale diritto riveste natura di diritto soggettivo perfetto.34

34 Capo V Accesso ai documenti amministrativi - Articolo 22. (1) (Definizioni e princípi in materia di accesso) 1. Ai fini del presente capo si intende: a) per "diritto di accesso", il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi; b) per "interessati", tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso; c) per "controinteressati", tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza; d) per "documento amministrativo", ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale; e) per "pubblica amministrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. 2. L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza. 3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6. 4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono. 5. L'acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell'articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale. 6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere. (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 e dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. Articolo 23. (Ambito di applicazione del diritto di accesso) (1) 1. Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall'articolo 24. (1) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 24. (1) (Esclusione dal diritto di accesso) 1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi.

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2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma 1. 3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. 4. L'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. 5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso. 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi: a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione; b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono; e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato. 7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale". (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15. Articolo 25. (1) (Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi) 1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura. 2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. 3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'articolo 24 e debbono essere motivati. 4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27 nonché presso l'amministrazione resistente. Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al

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Invero la giurisprudenza ha qualificato il diritto d’accesso come diritto vero e proprio, mentre un orientamento minoritario lo aveva qualificato come interesse legittimo presupposto che il giudizio proposto contro il diniego di accesso avesse natura impugnatoria. Il Consiglio di Stato, nel 1999, ha privilegiato tale ultima tesi, ritenendo che il legislatore pur avendo qualificato come diritto tale posizione soggettiva, invero si tratterebbe di interesse legittimo la cui tutela è riferita all’impugnazione di un provvedimento autoritativo ovvero all’inerzia dell’amministrazione. Successivamente, alcune decisioni hanno ribadito la natura di diritto soggettivo sia sulla base della sua formale definizione sia sotto il profilo della sua concreta disciplina ed in tali termini si è espressa anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. 3. I soggetti attivi L’art. 22, comma 1, lett. b della legge 241/ 1990 individua i soggetti interessati all’acceso definendoli come soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondete ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. L’istituto, dunque, consente l’accesso indistintamente a tutti i privati al controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione procedente, ma tale situazione non si riferisce indistintamente a tutti i cittadini nei termini di buon andamento della p.a., in quanto non è uno strumento di ispezione popolare sull’operato dell’amministrazione. Il riferimento al diritto comunitario, inoltre, richiama la direttiva 90/313/CEE che persegue il duplice scopi di garantire l’effettiva libertà di acceso a tutte le informazioni relative all’ambiente in possesso delle pubbliche autorità onde rendere disponibili tali informazioni a chiunque ne faccia richiesta. Inoltre, l’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, si informa al principio di leale collaborazione istituzionale tale da trovare giustificazione nella semplice richiesta di informazioni. Tra i soggetti legittimati all’accesso rientrano i portatori di interessi pubblici o diffusi ed anche qui la norma recepisce un orientamento giurisprudenziale che riconosce in capo ai

comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione". 5. Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo. (2) (...) (3) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, dal Decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. Comma così modificato dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Commi abrogati dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. "5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente. 6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti."

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portatori di interessi diffusi l’accesso subordinato alla verifica della rappresentatività dell’associazione o dell’ente esponenziale e della pertinenza dei fini statutari rispetto all’oggetto dell’istanza. Tale principio è altresì confermato dalla legge n. 281 del 1998, i tema di diritti dei consumatori e degli utenti. 4. I soggetti passivi L’art. 23 della legge n. 241/ 1990 stabilisce che il diritto d’accesso si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. L’originaria formulazione della norma consentiva l’accesso nei confronti dei concessionari dei pubblici servizi, ma tale tesi è stata ampiamente criticata in dottrina in quanto dopo la modifica dell’art. 23 introdotta nel 1999 tale figura è stata modificata con quella dei gestori di pubblici servizi, per cui si è riguardato agli atti emanati dai concessionari come veri e propri provvedimenti amministrativi. Il servizio pubblico, pertanto, risulta finalizzato al soddisfacimento di interessi pubblici cui si collegano funzionalmente i gestori dei pubblici servizi, ritenuti soggetti passivi nell’ambito del diritto di accesso come confermato dalla legge. n. 15/2005 di modifica alla legge n. 241/ 1990. 5. Oggetto del diritto di accesso L’art. 22, comma 3, della legge 241/ 1990 dispone che tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati dall’art. 24, comma 1, 2, 3, 5 e 6. Il problema che si pone riguarda il diritto di visionare i documenti quale prerogativa partecipativa in quanto riconducibile all’istituto dell’accesso. Sul punto la giurisprudenza, infatti, ha ritenuto che il diritto di prendere visione degli atti si configura come il medesimo diritto di accesso ai documenti amministrativi, in quanto forma di accesso partecipativo e accesso informativo. La legge qualifica come documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, foto cinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una p.a. e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privati stiva della loro disciplina sostanziale. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che i parerei forniti da consulenti esterni sono esclusi dall’accesso, in quanto il segreto professionale p tutelato dall’ordinamento, mentre gli scritti dell’Avvocatura di Stato sono atti coperti dal segreto, per cui le amministrazioni possono esercitare il potere motivato di diniego o di differimento. Quanto all’accessibilità agli atti di diritto privato dell’amministrazione pubblica, parte della giurisprudenza aveva affermato l’ostensibilità di tali atti, in quanto essi riguarderebbero un’attività di valutazione soggetta al principio di imparzialità; altro orientamento, invece, aveva affermato che il diritto d’accesso rappresenta un’esigenza di perequare la posizione dell’amministrato rispetto a quella del potere pubblico, per cui ne sarebbe giustificabile l’esercizio del diritto di accesso in favore del privato. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha privilegiato la prima soluzione, in quanto buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione attengono sia all’attività procedimentale che all’attività di natura privatistica. 6. Limiti al diritto di accesso. La legge 241/1990 contempla tre categorie di limiti all’esercizio del diritto di accesso:

1) a)l’art. 24, comma 1, esclude il diritto di accesso per i documenti coperti da segreto di Stato e nei casi di segreto o divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge;

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b)nei procedimenti tributari; c)nei confronti dell’attività della p.a. diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione;

d)nei procedimenti selettivi concernenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi. 2) ai sensi dell’art. 8 del d.p.r n. 352 del 1992 possono essere esclusi dal diritto di

accesso i documenti amministrativi: a) quanto dalla loro divulgazione possa derivare una lesione alla sicurezza ed alla difesa nazionale; quando possa arrecarsi pregiudizio ai processi di formazione, determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; c) quando i documenti riguardino strutture, mezzi, dotazioni, personale ed attività strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico e della repressione della criminalità nonché alle attività di polizia e di conduzione delle indagini; quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi o imprese ed associazioni, con riferimento ad interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale Deve essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi, la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i loro interessi giuridici. Il principio guida è l’interesse alla riservatezza, tutelato mediante la limitazione del diritto di accesso che, però, recede quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse, La Corte costituzionale, in particolare, ha affermato nella sentenza n. 425/2005 la legittimità dell’esclusione di autorizzare l’adottato all’accesso alle informazioni sulle sue origini nel caso in cui, ove la madre naturale abbia espresso la volontà di non essere nominata, e tale possibilità non condiziona il divieto per l’adottato di accedere alle informazioni sulle origini alla previa verifica, da parte del giudice, dell’attuale persistenza di quella volontà. 7. Esercizio del diritto di accesso Con d.p.r. 184/2006 sono disciplinate le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data dall’amministrazione. Tale diritto, infatti, si esercita nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente e l’amministrazione è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare la richiesta di accesso. Ricevuta l’istanza di accesso agli atti, l’amministrazione, individuati i contro interessati, deve darne loro comunicazione mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento o per via telematica. Entro i dieci giorni successivi, i contro interessati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso e decorso tale termine, l’amministrazione provvede sulla richiesta previo accertamento della ricezione della comunicazione. Inoltre, tramite istanza scritta l’amministrazione deve comunicare all’interessato, entro dieci giorni dalla richiesta, se questa sia irregolare o incompleta e ciò con qualunque mezzo idoneo a comprovare l’invio. Mentre l’art. 7 detta le formalità per la consultazione dei documenti, l’art. 9 individua le fattispecie di non accoglimento, quali il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso al fine di assicurare la temporanea tutela degli interessi di cui all’art. 24, comma 6, della legge 241/1990.

Parte 4 Il provvedimento amministrativo

Capitolo 1.

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Nozione, elementi, classificazione 1. Nozione di provvedimento amministrativo Nell’indirizzo originario dello studio degli atti amministrativi si utilizzavano i risultati raggiunti dalla dottrina privatistica, per cui si faceva riferimento agli atti giuridici privati. Successivamente, gli atti amministrativi vennero distinti in meri atti amministrativi e negozi di diritto pubblico in base all’elemento psichico della volontà, per cui i negozi di diritto pubblico venivano considerati come dichiarazioni di volontà della p.a. diretta a conseguire fini determinati, riconosciuti e protetti dal diritto (teoria negoziale delle dichiarazioni di volontà della p.a.). Invero, ponendo l’accento sul carattere precettivo dell’atto finalizzato a realizzare un nuovo assetto di interessi, l’atto amministrativo venne inteso come atto di autoregolamento. Inoltre, ponendo in evidenza il carattere autoritativo dell’atto amministrativo se ne escludeva il carattere di negozio privato. Di qui la diversa disciplina relativa alla struttura, alla validità ed all’efficacia del negozio privato rispetto a quella dell’atto amministrativo precettivo, in quanto seppure entrambi sono atti a contenuto precettivo il secondo non può essere considerato negozio sia pure di diritto pubblico. In particolare, l’atto precettivo dell’amministrazione si qualifica come provvedimento, in quanto esprime l’idea del provvedere al soddisfacimento di interessi collettivo e segue la diversa disciplina del provvedimento rispetto a quella del negozio privato. L’azione amministrativa, infatti, avviene per sequenza di atti procedimentali in cui si racchiude la diversa funzione dei singoli atti del procedimento che si conclude con l’atto del provvedimento, laddove i precedenti atti sono finalizzati all’adozione del provvedimento finale. Secono M.S. Giannini la nozione di provvedimento amministrativo si spiega come atto autoritativo, nel senso che è idoneo a modificare situazioni giuridiche altrui, senza necessità dell’altrui consenso. Caratteri del provvedimento:

a) sotto il profilo strutturale è un atto unilaterale in quanto esercizio del potere unilaterale ed autoritativo;

b) sotto il profilo funzionale è atto di cura di interessi pubblici; c) sotto il profilo della formazione è l’atto di conclusione del procedimento; d) sotto il profilo della disciplina è un atto la cui validità è parametrata ai profili funzionali e la

cui efficacia è caratterizzata dalla sua esecutività. 2. Approfondimenti sulla nozione di provvedimento La figura del provvedimento è stata messa in discussione sotto più profili. In senso proprio il provvedimento è atto autoritativo che produce effetti favorevoli per il destinatario, come le concessioni, le autorizzazioni, i permessi e così via. Si tratta di provvedimenti che richiedono la necessaria richiesta ed il consenso dell’interessato, per cui l’amministrazione non può imporre una concessione di uso di suolo demaniale ovvero un permesso da costruire senza che il destinatario non ne abbia fatto richiesta. Tuttavia, non si può escludere qualsiasi profilo di autoritatività, in quanto anche il provvedimento favorevole può essere sfavorevole nei confronti di soggetti diversi dal destinatario. Parimenti, se il provvedimento favorevole non viene rilasciato, colui che lo ha richiesto potrà impugnare il provvedimento negativo al pari di un qualsiasi provvedimento autoritativo. L’autoritatività, dunque, sussiste anche in caso di provvedimenti favorevoli e di provvedimenti negativo oltre che di silenzio su istanze dei privati.

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Vieppiù, nel caso di atti vincolati, l’amministrazione non fa altro che attuare disposizioni di rango superiore che possono essere considerati provvedimenti, per cui è necessario verificare se sussistono o meno i presupposti di fatto cui la disposizione vincolante collega l’adozione del provvedimento o, se si preferisce, il compimento dell’atto di adempimento. Tale verifica è rimessa all’amministrazione nell’ambito del procedimento, per cui se l’atto risulta atto necessario, l’effetto sull’atto sarà di tipo vincolante in quanto il provvedimento assume carattere imperativo. Tuttavia, all’amministrazione non è riconosciuto un potere analogo a quello dei privati in ambito di diritti potestativi, per cui di fronte ad una diversa situazione giuridica al potere autoritativo dell’amministrazione si contrappone l’interesse legittimo, mentre al diritto potestativo di natura privatistica si rinviene la mera soggezione. Il carattere autoritativo, non attiene propriamente al provvedimento, ma al potere che si manifesta nel procedimento anche prima che il provvedimento venga adottato, per cui l’autoritarietà non coincide con la regolazione degli interessi sottesi al provvedimento. 3. La struttura del provvedimento. In assenza di una specifica indicazione normativa sugli elementi costitutivi del provvedimento, a differenza del contratto i cui elementi sono consacrati all’art. 1325 c.c., la dottrina ha preferito fare riferimento ai profili funzionali piuttosto che a quelli strutturali nello studio della struttura del provvedimento. Gli elementi essenziali del provvedimento, pertanto, sono davvero limitati e la cui mancanza determina la relativa nullità. Essi sono:

a) il soggetto ( va considerato l’autore, per cui se il provvedimento non proviene dall’organo che ha il potere di adottarlo, esso è nullo per difetto assoluto di attribuzione)

b) l’oggetto (se manca o è impossibile la sua individuazione o determinazione, il provvedimento è nullo)

c) il contenuto; d) la forma; e) i motivi

4. Sui motivi e sulla forma del provvedimento Quanto ai motivi, ossia al profilo funzionale del provvedimento, si è ritenuto che la causa del provvedimento è funzione (economico-sociale) dell’atto, per cui esso è un atto tipico e persegue interessi pubblici indicati dalla legge. Tuttavia, seppure la funzione del provvedimento è predeterminata dalla legge, l’interesse pubblico concretamente perseguito non è direttamente indicato dalla legge, per cui si possono comporre più interessi pubblici rispetto ai quali l’amministrazione individua e persegue un interesse concretamente determinato. I motivi devono essere esternati nel provvedimento o desumibili da atti comunicati agli interessati nel provvedimento come si rileva nell’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione. Pertanto, la mancanza dei motivi non dà luogo a nullità. Per i provvedimenti amministrativi, salvo rare eccezioni, vige la regola della forma scritta. In definitiva, perché il provvedimento sia considerato esistente occorre che sia reso conoscibile o esternato nella sua regolazione di interessi (contenuto decisionale) e riferibile ad un organo legittimato al potere di adottarlo. 5. Tipologia di provvedimenti Secondo M.S. Giannini le classificazioni relative ai provvedimenti riguarderebbero i procedimenti nei quali essi sono inseriti, da cui se ne ricavano gli effetti ed il contenuto.

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I procedimenti, infatti, sono disciplinati in modo differente tra loro, per cui si distinguono provvedimenti costitutivi e dichiarativi, generali e particolari, normativi e precettivi, di primo e di secondo grado e così via. Molte di queste classificazioni si intrecciano tra loro. In particolare: a) i provvedimenti costitutivi modificano precedenti assetti di interessi determinando la nascita, la modificazione o l’estinzione di situazioni giuridiche soggettive; b) i provvedimenti dichiarativi verificano o certificano situazioni di fatto; c) i provvedimenti generali presentano un contenuto non specifico e particolare, come quelli in ambito territoriale; e) i provvedimenti particolari si riferiscono a situazioni singolari; f) i provvedimenti normativi contengono precetti astratti; g) i provvedimenti precettivi contengono precetti concreti (disposizioni); h) i provvedimenti di secondo grado sono quelli che hanno ad oggetto precedenti provvedimenti (annullamento d’ufficio) o situazioni precedentemente create (revoca); i) provvedimenti in autentici, che non sono provvedimenti ma sono trattati nel diritto positivo come se lo fossero (provvedimenti sanzionatori e provvedimenti di gestione di beni pubblici). In definitiva, il provvedimento è figura di carattere generale e disciplinata in maniera unilaterale per la sua validità ed efficacia. L’amministrazione può agire alternativamente mediante negozi (accordi, contratti) di diritto privato facendo salva, in ogni caso, la cura dell’interesse pubblico. 6. I provvedimenti costitutivi I provvedimenti costitutivi determinano modificazioni nelle situazioni giuridiche soggettive di tipo positivo, provvedimenti favorevoli, ovvero di tipo negativo, provvedimenti sfavorevoli per i destinatari. In particolare, i provvedimenti favorevoli comportano che il privato è titolare di interessi pretensivi laddove per i provvedimenti sfavorevoli si presentano interessi oppositivi da parte del destinatario. Invero, i provvedimenti favorevoli sono iniziati ad istanza del privato, mentre i secondi dono iniziati con atti dell’amministrazione. Inoltre, mentre i provvedimenti sfavorevoli sono inclusi nella categoria dei provvedimenti ablatori, quelli favorevoli si distinguono in autorizzazioni e concessioni. Di qui si riguarda al fatto che i provvedimenti favorevoli sono accumunati in una sola categoria ma suddivisi in due categorie diverse, per cui con le autorizzazione si rimuove un ostacolo che impedisce l’esercizio dei diritti da parte del privato, mentre con le concessioni si conferiscono al privato nuovi diritti. Invero, si deve ritenere che una determinata attività è nella disponibilità del privato in quanto titolare sì di un diritto, ma anche di una libertà che appartiene alla sua autonomia laddove i beni e le attività siano nella disponibilità dell’amministrazione. In altri termini, l’autorizzazione serve a verificare se l’attività del privato sia nella sua disponibilità e se possa essere da lui legittimamente svolta per non contrastare gli interessi pubblici. La concessione, invece, serve ad attribuire diritti, qualità. qualifiche onorifiche ai privati, c.d. utilitates sia trasferendo diritti riservati all’amministrazione sia costituendo ex novo diritti prima inesistenti. Nel caso del passaporto, ad esempio, il nostro ordinamento riconosce che prima del relativo rilascio il cittadino abbia la disponibilità di entrare ed uscire dal territorio nazionale, da cui il relativo provvedimento autorizzatorio. Allo stesso modo, nel permesso di costruire (dapprima licenza edilizia) si presuppone il diritto di costruire che inerisce al diritto di proprietà, per cui il relativo provvedimento ha natura

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autorizzatoria. Successivamente, il legislatore oltre a cambiare denominazione, ha ritenuto che il suddetto provvedimento abbia natura concessoria ed ha imposto la corresponsione di un contributo per il suo rilascio. La giurisprudenza, inoltre, ha ritenuto che tale modifica terminologia comportasse una rilevante modifica sostanziale, in quanto la concessione ad edificare viene a presupporre facoltà preesistenti cosicché il relativo provvedimento ha carattere di autorizzazione che nella legislazione successiva ha preso la nuova dizione di permesso da costruire. 7. I provvedimenti autorizzatori Le autorizzazioni presuppongono la presenza, in capo al privato che le richiede, di diritti, facoltà o possibilità di fatto per cui tali provvedimenti non sono uniformi tanto che vi sono autorizzazioni che servono a verificare che il richiedente sia nel possesso di requisiti tecnici, professionali o di moralità cui la legge condiziona il rilascio del provvedimento, mentre in altri casi la verifica riguarda le caratteristiche oggettive del bene sul quale il richiedente intende esercitare il suo diritto, per cui questa composta scelte di discrezionalità tecnica come nelle autorizzazioni paesaggistiche. Altre volte le autorizzazioni servono ad attuare programmi ovvero il rispetto di contingentamenti, come nell’autorizzazione alla vendita di carburanti. Le diverse specie di autorizzazioni sono denominate in vario modo in licenze, permessi, dispense, abilitazioni, nulla – osta, ma resta comune la valutazione tra l’interesse privato e l’interesse pubblico nel relativo rilascio delle stesse. In particolare, nella dichiarazione di inizio attività, c.d. d.i.a., poi sostituita dalla s.c.i.a., introdotta in generale dalla legge sul procedimento, la dichiarazione, corredata dalle relative certificazioni, può essere utilizzata al posto di atti di autorizzazione nonché di domande per le iscrizioni in albi o ruoli sempre che siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale. Condizione essenziale per il rilascio di tali atti è che questo dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale. Quanto al procedimento di rilascio, una volta ricevuta la dichiarazione, l’amministrazione può richiedere informazioni o certificazioni soltanto se i relativi dati già disponibili da parte dell’amministrazione non siano contenuti in documenti già disponibili da parte dell’amministrazione stessa o direttamente acquisibili presso altre amministrazioni pubbliche. Dopo trenta giorni dalla presentazione della d.i.a. ha inizio l’attività che ne costituisce l’oggetto e di cui è data comunicazione. Nei successivi trenta giorni, ove vi sia carenza delle condizioni prescritte, l’amministrazione vieta la prosecuzione dell’attività e provvede alla rimozioni dei suoi effetti. La natura della d.i.a. ha trovato due diverse tesi interpretative: per la prima si tratta di una dichiarazione al provvedimento autorizzatorio, mentre per altra considerazione si tratta di un atto privato con il quale si richiede un provvedimento amministrativo. La legge devolve le relative controversie al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, per cui anche i terzi possono impugnarlo. A norma del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al citato Decreto Legge sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78 quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale. 8. I provvedimenti concessori.

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Condizioni essenziali per l’emanazione dei provvedimenti concessori sono determinati dal fatto che l’amministrazione è titolare di beni, attività ovvero poteri esclusivi, ossia utilitates di cui il privato ha interesse ad acquisire. Diversamente dalle autorizzazioni, nelle concessioni l’interesse pubblico è al centro delle valutazioni da parte dell’amministrazione sia rispetto ai beni coinvolti che rispetto alle attività riservate all’amministrazione. Effetto tipico della concessione è l’attribuzione al privato di utilità patrimoniali, quali utilizzazione di beni, esercizio di attività o anche non patrimoniali, quali cittadinanza, cambiamento o aggiunta di cognomi e onorificenze. Il privato, infatti, è titolare di interesse legittimo che nasce in conseguenza della presentazione della domanda di concessione. Tali atti sono disciplinati come provvedimenti e per la maggiore tutela dei privati si riconosce la tutela del privato in quanto titolare di interesse legittimo e, d’altronde, anche il terzo, contrario al rilascio della concessione, ha anch’esso titolo a partecipare al procedimento e ad impugnare la concessione rilasciata ad altri. Le concessioni si distinguono in costitutive, in quanto assegnano utilitas di nuova creazione, ed in traslative, in quanto trasferiscono una utilitas che è nella disponibilità dell’amministrazione. Nel primo caso rientrano la concessione di cittadinanza o di onorificenza, nel secondo caso le concessioni dei diritti di godimento esclusivo su beni demaniali. 9. I provvedimenti ablatori L’aggettivo ablatario deriva dal latino “auferre” (togliere, asportare) ed indica il carattere di provvedimenti con i quali si priva il privato di una utilitas (bene della vita) per esigenze di interesse pubblico. In riferimento all’oggetto, i provvedimenti ablatori si distinguono in ablatori personali, in quanto incidono sulla libertà o diritti personali ed ablatori reali, se incidono su diritti reali. Carattere comune ad entrambi è l’imposizione di una privazione strumentale alla cura degli interessi pubblici, per cui si tratta di provvedimenti autoritativi dal contenuto sfavorevole per il privato in quanto in essi si manifesta pienamente il potere dell’amministrazione. In particolare, i provvedimenti ablatori personali comprendono gli ordini dell’amministrazione nei confronti dei privati, quali comandi (ordini di fare) ovvero divieti (ordini di non fare) e ve ne sono di vario tipo, come gli ordini di polizia, gli ordini ed i divieti sanitari e così via. I provvedimenti ablatori reali, invece, sono considerati l’inverso dei provvedimenti concessori su beni, in quanto essi estinguono o limitano diritti reali e ne determinano l’acquisto da parte dell’amministrazione. Esempio paradigmatico di provvedimento ablatorio reale è l’espropriazione per pubblica utilità, con la quale viene estinta il diritto di proprietà del privato ed esso viene acquisito a titolo originario da beneficiari, pubblici o privati. In tale ambito rientra altresì la requisizione che ha per presupposto situazioni di emergenza e riguarda beni mobili e beni immobili nonché sequestri e confische ed imposizioni di servitù. I provvedimenti ablatori obbligatori producono l’effetto di far nascere un rapporto obbligatorio tra amministrazione e privato in cui la prima ha il ruolo di creditore ed il secondo quello di debitore e la prestazione consiste in somme di denaro e talvolta in attività personali. Esempio del primo tipo è il tributo, mentre quello del secondo tipo è il servizio militare obbligatorio, peraltro abolit. A tali provvedimenti si applica l’art. 23 Cost. per cui tali prestazioni possono essere applicate soltanto se previste dalla legge, in quanto espressione del principio di legalità.

Capitolo 2

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Il regime dei provvedimenti: l’efficacia 1. Nozioni di teoria generale in tema di efficacia degli atti giuridici L’efficacia dell’atto giuridico esprime la sua idoneità a produrre effetti nell’ordinamento giuridico di tipo costitutivi, modificativi, estintivi o meramente dichiarativi.35 Presupposto dell’effetto giuridico è la sussistenza del rapporto causale tra il fatto ed il valore sotteso al fatto, per cui l’effetto di un contratto, ad esempio, implica il dovere di pagare il corrispettivo pattuito laddove tale prestazione può nella realtà anche essere differita per diverse ragioni. In riferimento all’efficacia, la dottrina distingue tra efficacia ed esecuzione dell’atto, un quanto si è ritenuto che ogni effetto giuridico consegue ad una conseguenza pratica dovuta, ma ciò non di mento l’effetto giuridico va tenuto distinto dalla conseguenza pratica. Quanto al perfezionamento dell’efficacia dell’atto è necessario che sussistano gli elementi essenziali minimi che consento di ascriverlo al tipo normativo al quale si imputano gli effetti voluti. Invero, l’efficacia viene considerata in termini concreti di effettiva capacità dell’atto di produrre conseguenze pratiche in quanto coincide con l’esecuzione o la realizzazione degli effetti dell’atto. Dal punto di vista temporale, l’efficacia è di regola istantanea, ma può essere retroattiva o differita ovvero sottoposta a condizioni sospensive senza pregiudizio per la validità dell’atto. Differenza sostanziale tra inefficacia ed invalidità degli atti consiste nel fatto che mentre la prima è il prodotto di taluni aspetti della volontà del privato, la seconda è il risultato di vizi intrinseci dell’atto. Invero, se l’efficacia di un atto presuppone la sua validità, non è vero il contrario in quanto vi possono essere atti validi ma inefficaci. L’efficacia dell’atto, infatti, non è preclusa dalla presenza di vizi di annullabilità che, fin quando non sono fatti valere, non impediscono la produzione degli effetti giuridici previsti dall’ordinamento. L’inefficacia, di regola, è assoluta, ossia opponibile a tutti, ma vi sono ipotesi di inefficacia relativa, come nel caso di negozio efficace tra le parti stipulanti ma che non produce effetto verso i terzi. Talvolta l’efficacia dell’atto è subordinata all’adozione di un ulteriore atto preventivo (autorizzazione) o successivo (approvazione, omologazione, ratifica), c.d. atti integrativi dell’efficacia. Si distinguono tre tipi di efficacia:

a) efficacia costitutiva, come nel caso di contratto di compravendita che determina la costituzione di un nuovo diritto di proprietà con estinzione del precedente;

b) efficacia dichiarativa, per cui i precedenti atti conservano intanto il proprio contenuto, ma vi è rafforzamento del riconoscimento della situazione oggetto dell’atto con relativa specificazione del suo contenuto;

35 (Art. 1 - principi generali dell’attività amministrativa. 1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento comunitario. 1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. 1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1. 2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.)

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c) efficacia preclusiva che si produce allorché un atto rende incontestabile un fatto che si è prodotto nell’ordinamento, per cui si previene qualsiasi tipo di contestazione. 2. L’efficacia degli atti amministrativi: imperatività, esecutività, eseguibilità, inoppugnabilità. Nella teoria generale l’efficacia degli atti amministrativi riguarda soprattutto i provvedimenti amministrativi, in quanto espressione del potere pubblico predefinito e tipizzato esercitato dagli organi della p.a. Il provvedimento amministrativo, infatti, ha la capacità di trasformare il proprio contenuto dispositivo in conseguenze pratiche reali anche a prescindere dalla volontà del privato e, ad ogni modo, esso esprime l’attitudine a produrre effetti giuridici in senso unilaterale nella sfera giuridica altrui.36 Invero, la legge 241/1990 ha imposto il ricorso al procedimento amministrativo solo laddove la tutela di finalità pubbliche determino la necessità di farvi ricorso in quanto non altrimenti conseguibili attraverso gli ordinari mezzi posti a disposizione del diritto privato. La novella della legge 241/1990 riconosce l’efficacia del provvedimento al pari di quanto previsto per i contratti di diritto privato, in quanto l’atto amministrativo finisce, al pari di una sentenza passata in giudicato, con il fare stato tra le parti ad ogni effetto di legge (art. 2909 c.c.), fermo restando il potere di autotutela della p.a. L’autorità esprime la qualità tipica del provvedimento, quale prerogativa degli enti autarchici. L’imperatività è sinonimo di autorità ed indica la capacità del provvedimento di incidere in senso modificativo nelle situazioni soggettive. L’esecutività consiste nella produzione di effetti da parte di un provvedimento efficace a prescindere dalla sua validità. L’inoppugnabilità individua la caratteristica del provvedimento di cui sia preclusa l’impugnazione innanzi al giudice amministrativo ovvero innanzi all’autorità amministrativa. Inoppugnabilità che non preclude l’esercizio di eventuali poteri di annullamento o revoca da parte dell’amministrazione. 3. L’efficacia nello spazio. Lo spazio, che insieme al tempo, costituisce le coordinate incidenti sull’efficacia dell’atto amministrativo, si correla alla competenza amministrativa, delimitandola, Gli organi di enti territoriali, di articolazione di amministrazioni statali e di enti pubblici nazionali emanano atti i cui effetti sono di norma limitati al rispetto di un ambito territoriale di competenza. Così l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo dell’ufficio tecnico di un Comune è efficace soltanto se la costruzione si trovi sul territorio di tale ente. Eccezioni a tale principio possono rilevarsi, ad esempio, nel caso di carta d’identità rilasciata dal Comune e valida su tutto il territorio nazionale.

36 (Capo IV-bis Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso (1) Capo aggiunto dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15 e comprendente gli articoli da 21-bis a 21-nonies. Articolo 21-bis. (Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati) 1. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci.)

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4. L’efficacia nel tempo L’efficacia temporale rileva sotto un duplice profilo, quello della decorrenza degli effetti e quello della loro durata sino all’eventuale cessazione. Quanto alla durata, gli effetti dell’atto possono distinguersi in atti ad effetto istantaneo, come nell’ordine di demolizione; ed atti ad effetto prolungato, come nella concessione d’uso di bene demaniale ovvero l’autorizzazione all’esercizio di attività commerciale. L’efficacia nel tempo può essere altresì prolungata in presenza di determinati presupposti, mediante un atto che incida in senso modificativo sulla mera durata del rapporto, ovvero rinnovata con un atti che instauri un nuovo rapporto di durata del tutto uguale al precedente. La proroga, dunque, costituisce un provvedimento che va adottato prima della scadenza del rapporto, salvo proroga tacita. In caso di “prorogatio”, grazie alla quale il titolare di un organo competente nell’esercizio delle sue funzioni ancorché sia scaduto il termine in carica e non sia stato nominato o eletto il sostituto, può continuare nel mantenimento della titolarità delle sue funzioni, per cui l’amministrazione, in prossimità della scadenza del rapporto, è tenuta ad avvisare l’interessato. Il provvedimento amministrativo inizia a produrre effetti al momento della sua comunicazione. In particolare, l’art. 21 – bis introdotto dalla novella legge 15/2005 prevede l’obbligo di comunicazione del provvedimento quale condizione della sua efficacia al fine di evitare il ruolo unilaterale tradizionalmente assunto dall’amministrazione, laddove nel sistema previgente tale comunicazione costituiva soltanto la condizione per la decorrenza del termine di impugnazione dell’atto innanzi al g.a. La novella, invece, riconosce in tale obbligo da parte dell’amministrazione la condizione di efficacia del provvedimento, ma non della sua validità, in quanto la mancata comunicazione agisce rispetto alla produzione degli effetti dell’atto e di mancata decorrenza dei termini per l’impugnazione. I terzi controinteressati, allora, sono tutelari rispetto al rilascio del provvedimento favorevole in quanto nei loro confronti è previsto l’obbligo di comunicazione dei provvedimenti amministrativi e tale comunicazione può avvenire anche in via telematica o mediante usi di appropriati strumenti di comunicazione, quale ad esempio la pubblicazione dei bandi di progettazione su riviste specializzate di ordini professionali. In caso di situazioni di conflitto tra effetti ampliativi ed effetti restrittivi prodotti dal provvedimento rispetto alla sfera giuridica del privato, la dottrina ritiene che l’obbligo di comunicazione vada esteso anche ai provvedimenti di diniego di provvedimenti ampliativi nonché al preavviso di rigetto a fronte di provvedimenti comunque limitativi sia nei confronti di interessi oppositivi che pretensivi. In generale, si ritiene che tutti i provvedimenti amministrativi sono da considerarsi tutti recettizi in vi di principio, in quanto spiegano i loro effetti solo al momento in cui entrano nella sfera giuridica di conoscibilità degli interessati, per cui l’atto amministrativo va notificato a tutte le persone interessate. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo. Tale principio, di cui all’art. 21 – quater del novellato testo della legge 241/1990, rileva come l’efficacia giuridica del provvedimento e la sua esecuzione vanno considerato come effetti materiali conseguenti, seppure può verificarsi che l’efficacia dell’atto sia sottoposta a condizione sospensiva o a termine iniziale, ossia a momento temporale futuro e certo dal quale gli effetti del provvedimento si producono (efficacia irretroattiva). In caso di provvedimento sottoposto a procedimento di controllo di legittimità si ritiene che in caso di esito positivo si determina l’efficacia del medesimo, per cui il controllo opera come condizione sospensiva, ossia con effetti retroattivi.

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L’efficacia retroattiva è tipica nei provvedimenti di secondo grado. 5. L’efficacia soggettiva L’efficacia spaziale si correla, oltre alla competenza oggettiva degli enti pubblici, all’ambito soggettivo passivo di riferimento. Sotto il primo profilo, il provvedimento amministrativo può esprime la sua efficacia in ordine a figure soggettive individuali o collettive, private o pubbliche. Invero, l’evoluzione dell’attività amministrativa ha visto il proliferare di destinatari dei provvedimenti amministrativi determinando una rete di rapporti equiordinati tra soggetti istituzionalizzati di pari dignità posti a tutela di interessi pubblici a volte configgenti tra loro. Sotto il profilo soggettivo, i provvedimenti amministrativi possono rivolgersi ad una pluralità di soggetti, per cui si distingue tra:

a) atto collettivo, che ha ad oggetto fatti relativi ad ordinamenti particolari e produce effetti giuridici nei confronti di ciascun appartenente alla categoria di riferimento;

b) atto plurimo, in cui vi è una sola dichiarazione in cui si raccolgono molteplici figure soggettive;

c) atto generale che produce effetti plurisoggettivi in quanto si rivolge a gruppi indeterminati di figure soggettive. L’art. 21 – bis della novellata legge 241/1990 prevede che, dal momento della comunicazione del provvedimento si determina l’efficacia del medesimo, percui i soggetti destinatari dell’atto vanno considerati come i soggetti nella cui sfera giuridica l’atto è destinato direttamente a produrre effetti. 6. L’efficacia oggettiva Il provvedimento amministrativo, al pari di tutti gli atti giuridici, può avere efficacia costitutiva, modificativa, estintiva o anche dichiarativa. Gli atti prodomici al provvedimento esercitano una funzione di supporto limitato a situazioni giuridiche soggettive meramente procedimentali che hanno luogo nella fase istruttoria del procedimento e dai quali il provvedimento finale può motivatamente discostarsi. Il provvedimento può produrre effetti reali (costituzione di nuova proprietà a seguito di espropriazione) ed effetti obbligatori (determinazione di corresponsione di un contributo pubblico o all’imposizione di un tributo). I provvedimenti possono riguardare decisioni amministrative contenziose ovvero irrogare sanzioni amministrative ovvero ampliare la sfera giuridica dei privati mediante autorizzazioni e concessioni nonché attribuire qualità giuridiche mediante atti di certazione. 7. La sospensione dell’efficacia L’art. 21 – quater, comma 2, della novellata legge 241/1990 prevede che l’efficacia o l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La sospensione va accompagnata dall’indicazione del termine prorogabile o differibile per una sola volta o riducibile per sopravvenute esigenze.37

37 Articolo 21-quater. (Efficacia ed esecutività del provvedimento) 1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo. 2. L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.

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Prima della novella, il termine di sospensione veniva considerato come potere implicito della p.a., in quanto insito nell’esercizio della pubblica funzione. La novella, invece, ha ribadito che in tale ambito l’organo competente deve coincidere con lo stesso che ha emanato l’atto in questione oppure con altro organo espressamente previsto dalla legge, per cui si è riconosciuto il progressivo dissolvimento del rapporto gerarchico della p.a. in quanto appare quanto meno dubbio che il ministro, cui spetta il potere di annullare gli atti del dirigente per motivi di legittimità di cui all’art. 14, comma 3 del d.lgs. 165/2001, possa procedere alla loro sospensione in mancanza di disposizione normativa espressa che espressamente la legittimi. Il provvedimento di sospensione costituisce espressione del potere cautelare tale da innestarsi nell’ambito di un procedimento di secondo grado teso all’annullamento ovvero alla revoca di un provvedimento. Pertanto, l’amministrazione sarà legittimata a porre in essere provvedimenti di sospensione atti ad evitare che si producano conseguenze irreversibili o comunque gravi tali da compromettere l’efficacia del successivo potere di autotutela. Conseguentemente, se l’amministrazione non ritenga di dar luogo all’esercizio di autotutela mediante annullamento o revoca del provvedimento, la sospensione dovrà cessare dal produrre i propri effetti e potrà riprendersi l’esecuzione dell’atto già sospeso in via cautelare. Invero, la sussistenza delle “gravi ragioni” all’adozione del provvedimento di sospensione consentono all’amministrazione di operare sia in situazioni di legittimità di un provvedimento, la cui efficacia può essere sospesa istantaneamente, in quanto gli effetti non si sono già prodotti, ovvero in senso durevole, per cui il provvedimento di sospensione assume carattere cautelare in quanto sospende le reciproche prestazioni. 8. L’esecutorietà del provvedimento amministrativo La novella della legge 241/ 1990 ha sottoposto al principio di legalità anche la fase esecutiva del provvedimento mediante apposita disciplina legislativa dell’esecuzione. L’esecutorietà, infatti, indica l’attitudine del provvedimento ad essere portato ad esecuzione anche contro la volontà del soggetto obbligato senza necessità di una pronunzia del giudice. Fondamento della esecutorietà è ora ricondotto alla stessa essenza del potere amministrativo di natura imperativa, in quanto espressione del principio di legalità in relazione al quale è possibile ricondurre l’esecutorietà del provvedimento allo specifico potere che la legge riconosce ai provvedimenti amministrativi nella loro capacità di regolamentare le molteplici fattispecie operative. L’art. 21 – ter della novellata legge 241/1990 al comma 1 prevede che le pubbliche amministrazioni, nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, possano imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti, indicando ai destinatari tempi e concrete modalità esecutive e al comma 2 si specifica che per le obbligazioni pecuniarie si applica la disciplina prevista per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato di cui al D.lgs. 146/1999.38

38 Articolo 21-ter. (Esecutorietà) 1. Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge. 2. Ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

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La norma, dunque, conferma il carattere eccezionale del potere di coazione della p.a. che può esercitarlo nei soli casi previsti dalla legge e quest’ultima, ex art. 23 Cost. (Art. 23. Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.) , è da intendersi in senso stretto con esclusione delle fonti secondarie.

Pertanto, laddove la legge non disponga il potere di coazione dell’amministrazione, essa dovrà rivolgersi al giudice amministrativo per vedere soddisfatte le proprie pretese. Invero, il g.a. deve valutare tra attività di tipo esecutivo cui si fonda l’obbligo imposto al destinatario del provvedimento. In tale ambito rientrano:

a) gli obblighi di fare infungibili che necessitano di azione dell’obbligato e l’amministrazione, nei casi previsti dalla legge, può procedere mediante coercizione dirette (ex. espulsione di cittadino extracomunitario);

b) gli obblighi di fare fungibili, per cui si procede mediante esecuzione d’ufficio (ex omessa demolizione di edificio abusivo da cui l’amministrazione si sostituisce all’amministrazione comunale a spese del proprietario);

c) gli obblighi di consegna di una cosa, per cui si procede mediante apprensione coattiva del bene da parte della p.a.;

d) gli obblighi di dare relativi a somme di denaro, l’esecuzione forzata ha luogo mediante iscrizione in ruoli esattoriali. L’art. 21 – ter della legge 241/1990 stabilisce altresì che il provvedimento costitutivo di obblighi deve indicare tempi e modalità di esecuzione del medesimo, per cui in caso di inottemperanza l’amministrazione agente può procedere all’esecuzione coattiva laddove espressamente previsto dalla legge, ma soltanto previa diffida.

Capitolo 3 L’invalidità del provvedimento amministrativo

1. Inquadramento teorico I termini validità ed invalidità indicano situazioni di vita quotidiana prima ancora che vicende giuridiche. Tuttavia i due concetti indicano qualità dell’oggetto che scaturisce da un giudizio di conformità dello stesso con un modello di riferimento e se tale giudizio è positivo si avrà una fattispecie valida, altrimenti la fattispecie risulterà invalida. Entrambi i concetti sono di tipo relazionale, in quanto il loro significato risulta condizionato dalla natura dell’oggetto interessato dal giudizio di conformità e dalla natura del modello di riferimento ivi adottato. Pertanto, a seconda che l’oggetto di valutazione sia una norma o meno, un atto può risultare o meno caratterizzato da un contenuto precettivo di cui non è necessario valutare il contenuto dispositivo per l’assetto degli interessi che ne deriva. Oltre all’aspetto causale, ossia alla relazione conformità – difformità dell’atto rispetto al modello, la considerazione giuridica della validità – invalidità dell’atto riguarda l’aspetto effettuale, ossia l’individuazione degli effetti giuridici propri che l’oggetto della valutazione è idoneo a produrre a seconda che sia valido o invalido. In particolare, la teoria causale della invalidità ha comportato il superamento del rapporto antinomico tra validità ed invalidità, in quanto non più considerate come correlato negativo l’una dell’altra, bensì qualificazioni dell’atto giuridico e, dunque, semplicemente diverse tra loro. In tempi recenti, infatti, all’interno dell’ampia figura della invalidità il diritto amministrativo ha ritrovato ipotesi di nullità e di annullabilità ciascuna suscettibile di ulteriori specificazioni al proprio interno tali da rendere evanescente qualsivoglia distinzione.

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2. Validità ed invalidità in diritto amministrativo. Nell’ambito del provvedimento amministrativo la legge sul procedimento ha avvolto di precise prescrizioni formali il tema della relativa validità ed invalidità. In particolare, nel diritto amministrativo l’invalidità è un tema antico formatosi in ambito giurisprudenziale in riferimento all’art. 26 del t.u. Consiglio di Stato, che indica i tre vizi di incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, poi racchiusi dalla dottrina nella categoria della illegittimità. Poi, l’art. 45 prevede l’annullamento dell’atto impugnato. Tali previsioni hanno trovato rilievo di diritto sostanziale, in quanto l’annullamento d’ufficio e l’annullamento su ricorso amministrativo hanno come presupposto tali vizi. Invero, l’idoneità del provvedimento invalido a spiegare effetti giuridici si accompagna all’idea dei sovranità. per cui prevale l’aspetto funzionale del provvedimento insieme alla natura pubblicistica curati dall’amministrazione. Di conseguenza, il giudizio di validità del provvedimento è venuto ad indicare la correttezza dell’esercizio del potere della p.a., in quanto la condotta assunta da quest’ultima viene valutata sotto il profilo funzionale, che porta all’esplicarsi dell’attività amministrativa conclusasi nel provvedimento. Invero, la giurisprudenza ha ritenuto che la nullità del provvedimento è da ritenersi disarmonica rispetto al principio di stabilità dei rapporti giuridici, tanto che la recente novella del 2005 ha inserito il Capo IV bis all’interno della legge 241/1990, dedicato espressamente all’efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo e con tale previsione sono state introdotto disposizioni sulla nullità del provvedimento e specificazione della relativa disciplina. Tuttavia, all’invalidità del provvedimento non è stata dettata affatto una disciplina generale, per cui la riforma sembra prevedere soltanto alcuni frammenti normativi a riguardo, che però non hanno ostacolato la ridefinizione della relativa disciplina sul piano sistematico. In particolare, l’art. 21 – octies prevede che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, da cui la perfetta corrispondenza con i vizi di legittimità ed annullabilità ad opera del g.a.39

Tra le cause di invalidità, infatti, vengono ridisegnati i confini della materia mediante l’introduzione di cause di nullità di cui all’art. 21 – septies e di ipotesi di annullabilità di cui al comma 2 dell’art. 21 octies.40

3. I tre vizi: violazione di legge ed incompetenza L’annullabilità del provvedimento è stata mantenuta costante dalla novellata legge nella tipologia ei vizi di legittimità. Violazione di legge ed incompetenza, infatti, indicano entrambe casi di difformità dell’atto rispetto alla disciplina normativa.

39 Articolo 21-octies. -(Annullabilità del provvedimento) 1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 40 Articolo 21-septies. (Nullità del provvedimento) 1.È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge. Il secondo comma è stato abrogato dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Il testo previgente così recitava: "2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo."

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L’incompetenza deriva da violazione di disposizione di rango primario o secondario, e la giurisprudenza vi assegna altresì i vizi relativi ai presupposti per il corretto esercizio in concreto del potere amministrativo quale difetto assoluto di attribuzione. La violazione di legge, invece, riguardala violazione delle norme giuridiche sul procedimento. Diversa è la disciplina processuale relativa ai due vizi, in quanto in ogni caso si ammette l’annullamento da parte del g.a. per motivi di incompetenza, la remissione dell’affare all’autorità competente. Alcune violazioni, come quelle relative alla motivazione, hanno assunto rilevanza diretta grazie alla legge sul procedimento, laddove in precedenza rientravano nell’eccesso di potere da cui l’accertamento c.d. sintomatico da parte del g.a. 4. Eccesso di potere L’eccesso di potere ha assunto un ruolo centrale nella ricostruzione della illegittimità amministrativa e del sindacato sull’esercizio della discrezionalità. Attualmente, l’eccesso di potere si presenta come un vizio composto tra figure eterogenee emerse dalla elaborazione di dottrina e giurisprudenza. Nell’idea del legislatore del 1889, infatti, l’eccesso di potere indicava lo straripamento del potere, per cui l’amministrazione adottava un provvedimento superando i limiti del potere riconosciutogli dalla legge, tanto che la giurisprudenza parlava di sviamento del potere, quale difformità tra scopo reale e scopo legale del provvedimento. Con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere fu oggetto di ulteriori approfondimenti, per cui esso venne accostato al vizio della volontà, in quanto aspetto patologico di formazione del volere dell’amministrazione. L’eccesso di potere, pertanto, si venne a caratterizzare quale vizio della funzione, ossia forma di invalidità correlata all’uso non corretto del potere discrezionale. Nell’esperienza recente, l’eccesso di potere viene ricavato non ex se, direttamente, ma soltanto mediante sintomi, c.d. figure sintomatiche data la difficoltà teorica di controllare la legittimità del provvedimento rispetto alla quale il g.a. deve operare una cognizione indiretta o mediata attraverso tali figure. In tali figure sintomatiche rientrano l’irragionevolezza dell’agire amministrativo, la contraddittorietà tra gli atti del procedimento, l’illogicità tra motivazione e dispositivo, la disparità di trattamento, il travisamento dei fatti, l’incompletezza dell’istruttoria e l’ingiustizia manifesta. Va sottolineato proprio il mutamento di natura dell’eccesso di potere che da vizio ad accertamento sintomatico si è andato trasformando in violazione di principi generali di origine giurisprudenziale e, come tale, si afferma che vizio a cognizione indiretta. 5. Ipotesi di nullità Le fattispecie di nullità sono formalizzate nell’ambito della invalidità del provvedimento accanto alla figura della annullabilità, in quanto il legislatore della riforma ha recepito alcuni spunti giurisprudenziali nell’accoglimento dei tre vizi di illegittimità e dalla presenza del g.a. dotato di poteri di annullamento. In tema di provvedimenti nulli la giurisprudenza si è posta la questione del riparto della giurisdizione, in quanto rileva la discriminazione processuale tra controversie relative all’inesistenza o al cattivo esercizio del potere affermando che, sul piano sostanziale, si viene ad affermare una distinzione tra provvedimenti idonei a degradare il diritto soggettivo a interesse legittimo, con il relativo riconoscimento della competenza processuale in capo al g.a. e provvedimenti inidonei in tal senso di competenza del g.o. Sul versante normativo, invece, si è preferito fare riferimento alle ipotesi di nullità come specificato dall’art. 288 t.u. legge comunale per cui sono riconosciute nulle le deliberazioni prese in adunanze illegali, cui il legislatore del pubblico impiego vi ha fatto ricorso.

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Invero, si tratta di casi la cui violazione commessa comporta la nullità del provvedimento, in quanto la sua validità non risulta condizionata dall’interesse di parte. Tuttavia, illegittimità e nullità risultano il risultato di tecniche normative fondate su piani di interessi differenti, ispirate a logiche diverse, per cui le conseguenze della nullità sono l’improduttività di qualsiasi effetto giuridico del provvedimento in quanto tale, che è dunque insanabile. La giurisprudenza ha riconosciuto le ipotesi di c.d. nullità virtuali derivanti da violazione di norme imperative assoggettate all’art. 1418, comma1 c.c. L’art. 21 septies individua la nullità nelle ipotesi di nullità la mancanza degli elementi essenziali, nel difetto di attribuzione, nel provvedimento adottato in violazione o elusione di giudicato nonché negli altri casi previsti dalla legge. A partire dagli anni Novanta, i giudici amministrativi hanno enucleato ulteriori cause di nullità facendo riferimento agli schemi civilistici per la mancanza degli elementi essenziali del contratto di cui all’art. 1325 c.c. (Art. 1325. Indicazione dei requisiti. I requisiti del contratto sono: 1) l'accordo delle parti; 2) la causa; 3) l'oggetto; 4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità. ) con riferimento all’aspetto funzionale del provvedimento. Parimenti, ala funzionalità dell’atto sono ricondotte ulteriori fattispecie di nullità del provvedimento, quali l’indeterminatezza, l’impossibilità o l’illiceità del contenuto del provvedimento nonché della forma di cui all’art. 1325 c.c. Il riferimento al difetto assoluto di attribuzione recepisce la carenza di potere, coniata dalla giurisprudenza, per risolvere il riparto di giurisdizione sollevando ulteriori questioni. In effetti, la prima questione ha riguardato se il difetto di attribuzione possa venire considerato così netto e differenziato tale da risultare un vizio di mera incompetenza da meritare la disciplina della nullità. A riguardo si è sostenuto che tale vizio rileva allorché il potere non sussiste, per cui si viene ad escludere il difetto assoluto di attribuzione quando l’organo ha adottato l’atto e svolge comunque alcune delle funzioni del settore oggetto del provvedimento. In secondo luogo, la carenza di potere dovrebbe risultare ridimensionata in ambito di provvedimenti ablatori coinvolgenti diritti soggettivi, per cui la regola della nullità risulta idonea ad inficiare qualsiasi provvedimento amministrativo anche se non riguardante diritti soggettivi. La regola della nullità del provvedimento adottato in violazione o elusione di un precedente giudicato avrebbero dovuto suggerire al legislatore un intervento sul piano dei presupposti del giudizio di ottemperanza senza peraltro incidere sulla validità dei provvedimenti amministrativi. Da qui, in assenza di una specifica disciplina processuale e sostanziale, l’interprete è costretto a trasportare nel diritto amministrativo regole privatistiche, come invece è espressamente previsto in materia di accordi. 6. La non annullabilità del provvedimento Il comma 2 dell’art. 21 octies prevede le ipotesi di non annullabilità del provvedimento.41 Secondo una prima ipotesi la norma in esame prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto

41 Articolo 21-octies. (Annullabilità del provvedimento) 1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

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essere diverso da quello in concreto adottato. Tale disposizione riguarda i soli provvedimenti vincolati. La seconda ipotesi che si estende anche ai provvedimenti discrezionali prevede la non annullabilità per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Invero, entrambe le violazioni attengono vizi procedimentali, per lungo tempo trascurati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. La norma, infatti, s’inquadra nell’ambito della maggiore incidenza del sindacato di legittimità sostanziale con ridimensionamento consequenziale della legittimità formale, per cui si afferma che i vizi formali e procedimentali possono non determinare la non annullabilità del provvedimento. Va poi evidenziato che la partecipazione del privato al procedimento svolge un ruolo importante nell’iter decisionale dell’amministrazione, da cui potrebbe fondarsi un giudizio prognostico tale da condizionare la legittimità della partecipazione al medesimo procedimento con riferimento all’annullabilità del provvedimento e non già all’illegittimità del medesimo. Interessa pertanto verificare se, in assenza di espresso richiamo normativo, l’illegittimità possa essere considerata come uno stato viziato del procedimento, in quanto i provvedimenti da considerarsi irregolari, ad esempio per mancata comunicazione di avvio del procedimento, ovvero illegittimi. Sul punto si sono confrontate diverse opinioni, ma è favorevole la tesi della illegittimità del provvedimento per cui, ai sensi del comma 1 dell’art. 21 octies, i provvedimenti vanno considerati annullabili in quanto illegittimi ed anche i provvedimenti non annullabili vanno altresì considerati illegittimi. Parimenti, l’art. 21 nonies in tema di annullamento d’ufficio stabilisce che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies può essere annullato d’ufficio se ricorrono determinate condizioni, per cui nella sua interezza rileva pur sempre l’illegittimità del provvedimento.42 Il meccanismo dell’art. 21 octies richiede una valutazione in concreto, caso per caso e non in via generale, per cui la novità della riforma consiste nell’aver introdotto ipotesi di dissociazione tra illegittimità ed annullabilità che impongono una verifica probatoria giustiziale tipica dei ricorsi amministrativi così come nella valutazione dei procedimenti di riesame in caso di annullamento d’ufficio e convalida. 7.Forme di invalidità: successiva, derivata L’invalidità può essere totale o parziale. Secondo la giurisprudenza l’invalidità di una singola clausola di un provvedimento è idonea ad invalidarlo nella sua interezza nel caso rivesta carattere di essenzialità. L’invalidità parziale si distingue dalla invalidità che colpisce atti formalmente unici ma sostanzialmente plurimi, come la graduatoria, per cui il vizio della singola porzione dell’atto non inficia altre valutazioni. Tuttavia, se viene sollevata una questione procedimentale, ne consegue l’invalidità dell’intero provvedimento. Anche la validità dell’atto va valutata con riferimento al modello normativo di riferimento vigente al momento dell’adozione del provvedimento e tale regola vige altresì per gli atti endoprocedimentali in ossequio al principio tempus regit actum.

42 Articolo 21-nonies. (Annullamento d'ufficio) 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole".

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Le sopravvenienze normative, dunque, non incidono sull’invalidità dell’atto, per cui a seguito dell’entrata in vigore di norme restrittive gli atti che risultano in contrasto con tale nuova disciplina, saranno dichiarati invalidi soltanto se successivamente emanati rispetto all’adozione del provvedimento. Sotto il profilo processuale, dottrina e giurisprudenza hanno distinto tra invalidità derivata ad effetto viziante e ad effetto caducante utile a fini processuali, in quanto l’invalidità dell’atto precedente, non risultando lesivo, non è direttamente impugnabile per cui viene fatta valere con l’impugnazione dell’atto successivo. In tal caso, pertanto, ci si è chiesti se l’atto precedente, dotato di carica lesiva, diventi o meno autonomamente impugnabile con le modalità ordinarie del ricorso giurisdizionale o amministrativo. Invero, si è ritenuto che nel caso di invalidità caducante non è necessario impugnare l’atto successivo in quanto quest’ultimo risulterà travolto dagli effetti di annullamento del precedente. In tutte le altre ipotesi, invece, il privato potrà impugnare gli atti successivi al primo impugnato in quanto colpiti da invalidità. 8. Irregolarità Dottrina e giurisprudenza hanno isolato alcune ipotesi di mera irregolarità, ossia di una difformità che non comporta conseguenze sul regime giuridico dell’atto, che resta valido ma determina altre conseguenze di tipo disciplinare e risarcitorio in capo agli autori materiali dello stesso. Si tratta di violazioni di regole formali sulla corretta redazione dell’atto, come l’intestazione dell’atto ovvero la data desumibile in maniera certa da altri elementi ovvero la sottoscrizione che comunque renda possibile la riferibilità dell’atto a chi ne appare l’autore. Parimenti per l’indicazione del responsabile del procedimento. Tali errori sono ascrivibili alla pubblica amministrazione. 9. Vizi di merito e principio di efficacia I c.d. vizi di merito ancora oggi non hanno ricevuto una sistemazione condivisa, per cui essi vengono collocati nell’area della legittimità o del merito. Tali dubbi interpretativi sono stati determinati dalla questione relativa all’individuazione dei parametri di riferimento, rinvenibili alternativamente in norme giuridiche ovvero in norme non giuridiche relative all’azione amministrativa. Invero, si ritiene che l’espressa previsione legislativa del criterio di efficacia, che deve necessariamente informare l’azione amministrativa, riguarda il dovere di buona amministrazione costituzionalizzato nel buon andamento che oggi ha assunto valore di parametro di riferimento nella valutazione della validità dell’azione amministrativa. Pertanto, secondo un primo orientamento il legislatore avrebbe riconosciuto i c.d. vizi di merito nell’ambito dei vizi di legittimità, da cui l’opportunità di considerare l’efficacia quale requisito di validità di tutti i provvedimenti amministrativi in quanto tali perché conformi all’interesse pubblico. Secondo altra prospettazione, il criterio dell’efficacia rientra nell’ambito della legittimità, che ne risulterebbe ampliata in quanto essa indica una relazione tra contenuto dell’atto e risultati ottenuti che andrebbero adeguati al soddisfacimento in concreto dell’interesse pubblico. Di qui il controllo sulla buona amministrazione si presenta come controllo sulla scelta dell’amministrazione secondo il principio di ragionevolezza mediante la figura dell’eccesso di potere. Il giudizio di adeguatezza, infatti, entra nel paradigma normativo di riferimento e l’attuale assetto normativo considera l’azione amministrativa come vincolata al perseguimento dei fini in quanto strumento di cura in concreto di interessi pubblici.

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Capitolo 4 I provvedimenti amministrativi di secondo grado

1. Considerazioni introduttive a) i provvedimenti di secondo grado quali esplicazione del principio di buona amministrazione I provvedimenti amministrativi di secondo grado sono provvedimenti che hanno ad oggetto un precedente provvedimento amministrativo ovvero il silenzio assenso, art. 20 legge 241/1990.43 L’art. 19 della legge, ha ampliato l’ambito di operatività prevedendo poteri di revoca e di annullamento d’ufficio in capo all’amministrazione anche in materia di segnalazione certificata di inizio attività.44

43 Articolo 20. (1) (Silenzio assenso) 1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. 2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati. 3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti. 5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis. 5-bis. Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (2) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, dal Decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. (2) Comma aggiunto dal Decreto Legge 5 agosto 2010, n. 125 44 Articolo 19. (1) (Dichiarazione di inizio attività Scia) 1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli (2) imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’ articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per

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Invero, mentre con la scia il privato sostituisce gli atti amministrativi di assenso, nella revoca e nell’annullamento sussiste il provvedimento precedente, per cui si esclude che la revoca possa configurarsi come mero provvedimento discrezionale in quanto il termine dei trenta giorni fissato perché l’amministrazione adotti il relativo provvedimento comporta, in ogni caso, la formazione di silenzio assenso.

consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonchè dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezioni dei procedimenti per cui è previsto l'utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione. (3) 2. L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data di presentazione della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. 3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo. 4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. 4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. (...) (4) 6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni. 6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e dalle leggi regionali. (5) (1) Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, dal Decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, dal Decreto Legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e dal Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78. (2) Parole aggiunte dal Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70. (3) Periodo aggiunto dal Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70. (4) Comma abrogato dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Il testo previgente così recitava: "5. Ogni controversia relativa all'applicazione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20." (5) Comma aggiunto dal Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70.

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Pertanto, se la revoca si configura rispetto al potere discrezionale dell’amministrazione, la scia può avere ad oggetto soltanto atti amministrativi dal cui rilascio dipende l’accertamento dei requisiti e presupposti di legge. La revoca, inoltre, ha natura provvedi mentale al pari del recesso, quale manifestazione unilaterale del potere autoritativo ed è assicurato all’adeguamento continuo dell’azione amministrativa che si svolge attraverso moduli consensuali al trasformarsi dell’interesse pubblico secondo il principio dell’efficacia. Invero si è ritenuto che revoca e recesso condividano stessa natura provvedimentale, stessi presupposti, da cui anche il recesso costituisce un provvedimento di secondo grado. Nel nostro ordinamento sono presenti diversi tipi di provvedimenti di secondo grado. Quanto alla sospensione, la proroga e la revoca, tali provvedimenti incidono sul precedente provvedimento sospendono, prorogando ovvero eliminando i relativi effetti. In particolare, il precedente potere non deve essere esaurito, in quanto l’amministrazione possa riesercitarlo quando il provvedimento è ritenuto illegittimo rispetto alla cura dell’interesse pubblico in concreto perseguito. La legge 15/2005 ha previsto alcuni tra i più significativi provvedimenti di secondo grado: l’annullamento d’ufficio e la revoca Nella prospettiva dell’efficacia dell’azione amministrativa, il buon andamento e la corrispondenza dell’assetto degli interessi realizzato nel precedente provvedimento per cui il relativo potere è stato attribuito, comporta in caso del venir meno di tale adeguatezza un nuovo esercizio di tale potere per cui saranno adottati provvedimenti di secondo grado, quali esplicazione del principio di buona amministrazione. Il legislatore con i DD.LL. n 40/2010 e n 78/2010, ha ampliato l’attività edilizia libera e sostituito la dichiarazione di inizio attività (DIA) con la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Il decreto n 40/2010, ha ampliato l’attività edilizia libera, perciò, si possono eseguire senza titolo abilitativo, oltre ad opere minori, anche la manutenzione straordinaria purché non interessino parti strutturali, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici. A tal riguardo è necessario presentare una comunicazione di inizio attività (CIA) accompagnata, per la manutenzione straordinaria, da una relazione tecnica. Per onestà di cronaca va detto che le Regioni hanno impugnato il provvedimento, rivendicando la propria competenza sul governo del territorio. La SCIA ho sollevato di da subito numerosi dubbi interpretativi e non solo (vedesi nostri precedenti articoli), che ne hanno messo in dubbio l’applicabilità nel settore edilizia e la bontà di tale provvedimento. Il Ministero alla semplificazione normativa, ha affermato che: la SCIA si applica all’edilizia; sostituisce la DIA nelle leggi statali e regionali, ma non interferisce con il permesso di costruire e la super DIA; ma nelle arre vincolate occorre acquisire preventivamente l’autorizzazione paesistica. Risulta doveroso sottolineare, che mentre la DIA richiedeva di attendere 30 giorni, prima di iniziare i lavori, con la SCIA l’avvio delle attività può essere immediata dopo la presentazione in Comune. Specifichiamo che la SCIA deve essere corredata da un’asseverazione da parte di un tecnico abilitato, nei quali risultino soddisfatti i requisiti di legge, nonché dagli elaborati tecnici necessari (sostanzialmente gli stessi allegati previsti per la DIA). Tentando di riassumere per semplificare la questione, diciamo che la SCIA, in pratica, si applica a: interventi di manutenzione straordinaria, ma che non incidono su aspetti strutturali, a risanamento e restauro, a ristrutturazione edilizia “leggera”(e quest’ultimo aggettivo non è male), a varianti in corso d’opera al permesso di costruire. Va pertanto specificato, che dopo la presentazione della SCIA, all’ufficio di riferimento, i poteri di vigilanza del Comune sul territorio, possono essere fatti valere entro 60 giorni dalla presentazione, infatti l’autorità pubblica, può esercitare i poteri inibitori vietando la

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prosecuzione dell’attività e ordinato la rimozione degli eventuali effetti dannosi, in caso di accertamento di carenze di requisiti di legge. Contrariamente scaduti i 60 giorni, i poteri sanzionatori sembrano subire un affievolimento in quanto sono attivabili solo se si ravvisa un “pericolo” di danno al patrimonio artistico culturale, per l’ambiente (non si cita espressamente il paesaggio), per la salute, o per la sicurezza pubblica, salvo che non si possa ripristinare la legalità dell’intervento. Non incontra, invece, limiti temporali il potere di vigilanza dell’amministrazioni in presenza di dichiarazioni false o mendaci. Restando comunque applicabili gli istituti dell’annullamento della revoca, anche se si sottolinea che nel Testo Unico dell’Edilizia i titoli abitativi sono irrevocabili. Sottolineiamo che la DIA non sparisce dall’ordinamento, in quanto permane questa alternativa al permesso di costruire (la così detta SuperDIA) disciplinata dal Testo Unico Edilizia e dalle leggi regionali. Il legislatore prosegue, dunque, sulla strada di affidare le funzioni istruttorie e verifica di conformità ai tecnici incaricati dai proprietari, riservandosi l’attività di controllo posteriori. Si ricorda però che la L. n. 241/1990 ha affermato il principio che a fronte di un’istanza del privato l’amministrazione ha il dovere di rispondere entro termini predeterminanti con conseguente rilascio del provvedimento. Nonostante ciò ha continuato a imperare il silenzio rifiuto che è la negazione del diritto ad avere una risposta. Si deve anche considerare che in molti casi di interpretazione delle prescrizioni di piano e delle norme tecniche non è agevole, per cui l’asseverazione non è sempre semplice. Riassumendo il panorama generale sulla semplificazione introdotte, prima avevamo attività edilizia libera e DIA , oggi attività edilizia libera, CIA, CIA con relazione, SCIA per interventi sull’edificato. b) Il problema del fondamento giuridico Il richiamo all’autotutela è stato fin dal passato ritenuto inidoneo a spiegare il riesercizio del potere da parte dell’amministrazione che adotta un provvedimento di secondo grado nella cura pur sempre dell’interesse pubblico. Il problema del fondamento giuridico dei poteri di secondo grado è stato risolto facendo ricorso oltre al principio di autotutela, alla posizione di privilegio dell’amministrazione nei confronti degli amministrati. Pertanto, tali poteri sono stati considerati compatibili con il principio di legalità in quanto espressione di quello stesso potere nel cui esercizio è stato emanato l’atto oggetto del provvedimento di secondo grado. La legge 15/ 2005, e segnatamente per la revoca, la convalida e l’annullamento d’ufficio di cui all’art. 21 – nonies, ha risolto il problema del loro fondamento giuridico riconoscendone la compatibilità con il principio di legalità.45 c) La distinzione tra atti di riesame ed atti di revisione, tra atti ad esito eliminatorio ed atti ad esito conservativo Sotto il profilo funzionale parte della dottrina distingue i provvedimenti di secondo grado in atti di riesame ed atti di revisione. Tra i primi rientrano l’annullamento, la convalida, la

45 Articolo 21-nonies. (Annullamento d'ufficio) 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole".

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conferma e la ratifica ed hanno per oggetto il provvedimento sotto il profilo della validità. I secondi, invece, comprendono la revoca, il recesso, la proroga, la sospensione ed incidono sull’efficacia durevole del precedente provvedimento ovvero dell’accorso nonché sul rapporto giuridico scaturito dal provvedimento di primo grado o dall’accordo. Tale orientamento trova conferma nella legge 15/2005 in quanto l’art. 21 – quinquies in tema di revoca e l’art. 21 nonies, comma 1 e 2 in tema di annullamento d’ufficio e convalida sono collocati nel Capo IV bis che disciplina l’efficacia e l’invalidità del provvedimento, per cui subito dopo le norme sull’efficacia e l’esecutività del provvedimento troviamo la disposizione sulla revoca e subito dopo quelle sulla nullità ed annullabilità si rinviene la disposizione sull’annullamento d’ufficio. La dottrina oggi prevalente configura, invece tali atti come manifestazione del potere di riesame, distinguendoli in atti ad esito conservativo (la conferma, la convalida, la ratifica, la riforma, la conversione e la proroga) ed atti ad esito eliminatorio (l’annullamento, la revoca, il recesso) e tra quest’ultimi è fatta rientrare anche l’abrogazione dell’efficacia o dell’esecuzione di un precedente provvedimento. La sospensione, in particolare, è ricondotta tra gli atti ad esito eliminatorio, in quanto strumentale all’annullamento e alla revoca, mentre l’abrogazione è considerata atto amministrativo con il quale si fa cessare l’efficacia di un precedente atto per mutamento sopravvenuto dell’originaria situazione di fatto o per sopravvenute esigenze di pubblico interesse. Pertanto, l’abrogazione finisce per risolversi nella revoca per sopravvenienza e tale constatazione ha indotto la dottrina ad indicare con tale termine il provvedimento che elimina o rimuove ex nunc un precedente provvedimento, legittimo al momento della sua emanazione in quanto conforme al presupposto indicato dalla legge, ma la cui permanenza sarebbe contra ius in quanto in contrasto con le stesse norme che lo disciplinano. d) Provvedimenti ad esito eliminatorio e tutela del legittimo affidamento Gli atti di secondo grado, in particolare quelli ad esito eliminatorio, e tra questi anche la convalida, hanno sempre posto il problema della tutela effettiva del cittadino e del suo affidamento nella certezza e stabilità delle determinazioni assunte in precedenza dall’amministrazione nei suoi confronti. Invero, nel momento in cui la dottrina e la giurisprudenza hanno escluso l’intangibilità delle situazioni giuridiche soggettive favorevoli nate dall’atto di primo grado, si è posto il problema di ricavare ulteriori regole di bilanciamento che ne legittimassero l’esercizio nella valutazione di tutti gli interessi in gioco, compresi anche gli interessi dei privati. Al pari del principio di legalità e del buon andamento, infatti, la certezza dei rapporti giuridici costituisce un principio fondante l’ordinamento, per cui le esigenze di certezza e stabilità assunte nell’assetto degli interessi dato dal provvedimento costituisce espressione del principio di proporzionalità in cui si contemperano legalità ed efficacia dell’azione amministrativa. La tutela delle situazioni favorevoli, diritti ed interessi legittimi, sorte dal provvedimento di primo grado è stato risolto dalla legge 15/2005 in cui è previsto che soltanto per la revoca si fa espresso riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario, tra cui rientra il principio della tutela del legittimo affidamento nella certezza e stabilità dei rapporti giuridici e tra le possibili interpretazioni favorevoli per il privato rientrano l’annullamento d’ufficio e la convalida. Invero, già l’art. 11, comma 4 della legge 241/1990 aveva riconosciuto in capo all’amministrazione l’obbligo di indennizzare il privato per il pregiudizio subito a causa del recesso unilaterale dagli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo, per cui il legislatore aveva inteso tutelare il privato con equivalente pecuniario e non già nell’assetto di interessi precedentemente cristallizzato nell’accordo.

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e) provvedimenti di secondo grado e omessa comunicazione di avvio del relativo procedimento – art. 21 octies, comma 2. Ai provvedimenti di secondo grado, e in particolare all’annullamento, revoca, convalida e sospensione, non si applica la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 21 octies della legge 15/ 2005, in forza della quale l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento non produce l’annullabilità del provvedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che l’apporto del privato sarebbe comunque ininfluente, in quanto il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La partecipazione nei procedimenti di secondo grado, infatti, rispetto alla quale la comunicazione di avvio del procedimento risulta strumentale, può rilevarsi in una fase di comparazione tra gli interessi in gioco, consentendo ai privati di manifestare i loro interessi e all’amministrazione di ponderare tutti gli interessi coinvolti nel procedimento stesso. Di conseguenza, la giurisprudenza ha ritenuto, subito dopo l’entrata in vigore della legge 241/1990, legittimo limitare l’operatività della norma che prevede la comunicazione dell’avvio del procedimenti di cui all’art.7 in quanto ha richiesto per la sua legittimità la preventiva comunicazione dell’avvio del relativo procedimento sia in materia di revoca che per l’annullamento d’ufficio. Quanto detto trova conferma nella legge 15/2005, per cui, nonostante l’obbligo dell’amministrazione di considerare gli interessi dei destinatari del provvedimento e dei contro interessati, è stato espressamente previsto per l’annullamento d’ufficio, ex art. 21 nonies, che tale obbligo valga anche per la revoca, in quanto gli effetti dell’atto favorevole per il privato vengono meno sulla base di un giudizio di adeguatezza del contenuto dell’atto alla soddisfazione dell’interesse pubblico perseguito a prescindere dalla sussistenza di un vizio di legittimità da cui la previsione dell’indennizzo nella revoca di cui all’art. 21 quinquies, quale conseguenza dell’obbligo per l’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento. f) procedimento di riesame e istanza dell’interessato Nel considerare l’obbligo di avviare un procedimento di riesame da parte dell’amministrazione, il privato richiede l’annullamento o la revoca del provvedimento a lui pregiudizievole. Secondo un orientamento giurisprudenziale, maggioritario anche in dottrina, va escluso l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di revoca o di annullamento di un provvedimento sfavorevole non impugnato e divenuto inoppugnabile per scadenza dei termini, da cui si esclude la formazione del silenzio rifiuto sull’istanza medesima. Ove si ammettesse tale obbligo, invece, il privato potrebbe sollecitare, mediante proposizione di nuova istanza, il relativo esercizio di riesame, che resta un potere altamente discrezionale da parte dell’amministrazione in quanto dovere morale. Invero, il rifiuto dell’amministrazione di avviare un procedimento di riesame su richiesta del privato viene ricostruito come atto meramente confermativo di un precedente provvedimento, non impugnabile autonomamente. L’inoppugnabilità, peraltro, comporta la preclusione per l’interessato di esperire rimedi amministrativi e giurisdizionali avverso il provvedimento, una volta scaduti i rispettivi termini per la loro proposizione, ma non l’intangibilità del provvedimento stesso, in quanto permangono le esigenze di tutela dell’interessato. Il principio di inoppugnabilità, pertanto, può cedere al principio di efficacia, quale costante adeguatezza dell’azione amministrativa all’interesse pubblico ma ciò non comporta una diminuzione della tutela dell’interesse pubblico ma semplice estensione delle garanzie delle quali gode il privato interessato. 2. I provvedimenti ad esito eliminatorio. L’annullamento d’ufficio.

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Tra i provvedimenti ad esito eliminatorio si collocano l’annullamento d’ufficio e la revoca, in quanto il primo comporta l’eliminazione del provvedimento illegittimo ed in contrasto con l’interesse pubblico, la seconda la cessazione degli effetti del provvedimento che, pur essendo legittimo, non è più idoneo alla cura dell’interesse pubblico. A tale categoria è stata ricondotto anche la sospensione, con la quale viene sospesa in via cautelare l’efficacia di un provvedimento amministrativo ovvero il recesso dagli accordi, in quanto atto che incide su un precedente accordo. In riferimento a tali atti, annullamento d’ufficio e revoca, si tratti di istituti studiati in relazione l’uno all’altro, per cui soltanto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo questi incominciarono ad assumere autonoma conformazione. Invero, la recente legge 15/2005 ha attenuato la relativa distinzione disciplinando in generale l’annullamento d’ufficio di cui all’art. 21 nonies con accentuazione del carattere discrezionale laddove la revoca è stata rafforzata nella sua funzione di cura dell’interesse pubblico. L’annullamento d’ufficio, infatti, come già sostenuto da dottrina è giurisprudenza, postula oltre alla illegittimità anche l’inopportunità dell’atto, ovvero che il suo contenuto non sia più idoneo alla cura in concreto dell’interesse pubblico. Pertanto, l’illegittimità dell’atto non è da sola sufficiente a giustificare l’annullamento d’ufficio, diversamente da quanto avviene per l’annullamento giurisdizionale o su ricorso amministrativo, ma occorre fare riferimento all’interesse pubblico, concreto ed attuale, in quanto l’atto illegittimo può essere annullato soltanto quando l’interesse pubblico attuale è l’interesse specifico considerato al momento dell’eliminazione del provvedimento illegittimo rispetto al quale va valutato il precedente assetto di interessi. Il principio, accolto dall’art. 20 della legge 241/1990 con riferimento all’annullamento del silenzio – assenso, ancora il relativo potere all’esistenza di ragioni di pubblico interesse ed è stato codificato dall’art. 21 nonies per cui l’atto illegittimo può essere annullato sussistendone le ragioni di interesse pubblico. L’interesse pubblico deve essere attuale, così come ribadito dalla giurisprudenza, in quanto esso deve essere diverso rispetto a quello del mero ripristino della legalità violata sotteso al provvedimento di primo grado. Da qui la natura di atto discrezionale, per cui l’amministrazione conferisce un nuovo assetto di rapporti giuridici suscettibile di continui cambiamenti nell’ambito del riesercizio del potere rispetto all’atto con conseguente inserimento nell’area dell’amministrazione attiva. L’interesse pubblico all’annullamento va bilanciato con altri interessi pubblici e privati, coinvolti nella scelta amministrativa. Il potere di annullamento è stato configurato dall’art. 21 nonies della legge 15/ 2005 come potere altamente discrezionale in cui si considerano gli interessi pubblici secondari e gli interessi dei destinatari alla conservazione ovvero all’annullamento dell’atto sul quale hanno maturato un legittimo affidamento. Il legislatore ha consacrato la natura discrezionale dell’annullamento e la Corte costituzionale (sentenza 75 del 2000), ed ha previsto due fattispecie di autoannullamento, una di tipo discrezionale finalizzata alla cura dell’interesse pubblico e l’altra di tipo vincolata finalizzata al ripristino della legalità. Tale orientamento trova conferma nell’orientamento che considera l’annullamento del provvedimento per violazione di norme comunitarie, in funzione del ripristino della legalità violata, per cui l’Italia, con l’adesione ai Trattati comunitari, si è obbligata al rispetto del diritto comunitario da cui il potere dell’amministrazione di valutare aspetti diversi dall’esigenza del ripristino della legalità violata. Dal combinato disposta dell’art. 21 nonies con l’art. 21 octies emerge che l’illegittimità è esclusa per i c.d. vizi di merito e si estende a tutti i vizi di legittimità, compreso l’eccesso di potere.

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In particolare, il comma 2 dell’art. 21 octies ha portato all’eliminazione dal panorama giuridico dei vizi formali e procedimentali con l’introduzione, invece, di tecniche diretta a porre in luce il vizio denunciato nel dispositivo in ambito di giudizio di legittimità dell’atto coinvolgendo il giudice sulla correttezza sostanziale dell’atto stesso. Pertanto, l’atto pur essendo annullabile rimane illegittimo e, pertanto, annullabile dalla stessa amministrazione in sede di annullamento d’ufficio. Quanto all’oggetto, qualunque tipo di provvedimento può essere annullato, indipendentemente dalla sua efficacia. Il potere di annullamento non è soggetto a prescrizione, ma deve essere esercitato entro termine ragionevole, salvo eccezioni previste dalla novella del 2005 esercitabili in ogni tempo. La ragionevolezza deve essere considerata caso per caso e soprattutto con riferimento all’attualità dell’interesse pubblico alla caducazione del provvedimento. La decorrenza dei termini dell’annullamento hanno efficacia retroattiva, salvo che tali effetti non siano stati completamente concretizzati prima della caducazione dell’atto viziato. Invero, l’art. 21 nonies non fa riferimento all’effetto retroattivo, per cui la dottrina ha ritenuto che sussistano ragioni tali da escludere la decorrenza temporale degli effetti di annullamento soltanto per il futuro con eventuale rimessione alla discrezionalità amministrativa della possibilità di limitare gli effetti retroattivi del provvedimento di annullamento a garanzia di un più equilibrato rapporto tra istanze di tutela della legalità e dell’interesse pubblico ed esigenze di tutela dell’affidamento del privato. Secondo l’art. 21 nonies, la competenza spetta allo stesso organo che ha emanato l’atto invalido, c.d. auto annullamento, ovvero ad altro organo espressamente indicato dalla legge. Pertanto, si esclude che in assenza di espressa previsione di legge detto potere possa essere esercitato dall’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’atto o appartenente a differente ente territoriale. Ad esempio, il permesso edilizio può essere annullato dalla competente autorità regionale entro dieci anni dalla sua emanazione in presenza di espressa disposizione di legge, ex art. 39 d.lgs. 380/ 2001. Nonostante la riforma costituzionale del 2001 abbia notevolmente valorizzato le autonomie locali, la dottrina è orientata a conservare il potere governativo di annullamento degli atti illegittimi degli enti locali di cui all’art. 138 del d.lgs. 267/2000, in quanto potere previsto a tutela dell’unità dell’ordinamento. Invero, si tratta di un potere discrezionale esercitabile in ogni tempo anche in pendenza di ricorso giurisdizionale contro l’atto medesimo, purché ricorrano gravi motivi di pubblico interesse e deve essere preceduto da una comunicazione all’ente locale dell’avvio del procedimento. La legge 400/1988 prevede altresì che il Governo è legittimato all’esercizio del potere di annullamento degli atti illegittimi di qualunque amministrazione, salvo gli atti delle regioni e delle province autonome. Tale potere deve svolgersi secondo le forme e le garanzie del procedimento che ha portato all’emanazione dell’atto annullando. L’annullamento d’ufficio, dunque, a differenza della revoca, non dà luogo ad indennizzo a favore del privato, salvo che tale annullamento sia disposto nei confronti di provvedimenti illegittimi incidenti su rapporti convenzionali o contrattuali con privati, di cui all’art. 1, comma 136 legge finanziaria 2005. 2.1. Segue: la revoca Attraverso la revoca, l’autorità amministrativa competente, con decisione unilaterale, elimina soltanto per il futuro – efficacia ex nunc – un rapporto considerato inopportuno perché inadeguato alla cura dell’interesse pubblico che precedentemente mirava a soddisfare.46

46 Articolo 21-quinquies. (Revoca del provvedimento)

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La revoca, quindi, prescinde dal vizio di legittimità dell’atto e può essere disposta allorché il rapporto nato da quell’atto non è più opportuna da cui la funzionalizzazione del potere amministrativo al perseguimento del pubblico interesse. La revoca garantisce l’adeguatezza costante della scelta amministrativa con l’interesse pubblico in concreto perseguito attraverso l’eliminazione di un rapporto inopportuno, per cui essa costituisce espressione del principio di efficacia di cui all’art. 1 della legge 241/1990. La revoca, pertanto, si colloca nell’ambito dell’amministrazione attiva, in quanto atto sanzionatorio, di decadenza, rimozione il cui presupposto sta nel venir meno dei requisiti cui la legge subordina la continuazione del rapporto con obbligo da parte dell’amministrazione di indennizzare il pregiudizio subito dal privato. La revoca è disposta dall’organo che ha emanato l’atto o da altro indicato dalla legge e, come per l’annullamento d’ufficio, è sempre possibile considerare la legge in senso ampio tale da includervi anche le fonti normative di secondo grado. La revoca può essere legittimamente disposta oltre che con atto amministrativo, anche con legge da cui la legge provvedimento n. 40 del 2007 con la quale sono state revocate alcune concessioni rilasciate dall’Ente ferrovie dello Stato alla TAV Spa per realizzare la linea ad alta velocità. Il potere di revoca è ammesso in tre ipotesi:

a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto che rende incompatibile l’assetto originario degli

interessi considerati; c) per una diversa valutazione delle ragioni di pubblico interesse in base al quale

l’amministrazione ha adottato il provvedimento. Tali ipotesi sono ricondotte dalla dottrina alla revoca per sopravvenienza, fondata su situazione di fatto che la rende incompatibile con l’assetto di interessi definito nel provvedimento; e revoca c.d. ius poenitendi, quale espressione di una diversa valutazione degli interessi in base ai quali l’amministrazione aveva adottato il provvedimento. In altri termini, la revoca del primo tipo sarebbe comprensiva della revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, laddove la revoca del secondo tipo si fonda su un ripensamento dell’amministrazione di cui la stessa ne renderà conto in sede di motivazione e con liquidazione dell’indennizzo.

1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. (1) 1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico. (2) 1-ter. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico. (3) Comma così modificato dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Comma inserito dalla Legge 2 aprile 2007, n. 40. Comma aggiunto dal Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112.)

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La revoca, ex art. 21 quinquies, può avere ad oggetto soltanto provvedimenti ad efficacia durevole per cui sono irrevocabili gli atti i cui effetti si sono realizzati ed esauriti in quanto l’amministrazione non ha più la possibilità di provvedervi. Sotto il profilo temporale, il legislatore del 2005 conferma il consolidato orientamento della giurisprudenza che considera il potere di revoca esercitabile in ogni tempo con il solo limite dell’attualità del pubblico interesse sotteso all’esercizio di tale potere. L’art. 21 quinquies riconosce che la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre effetti ulteriori, operando la revoca effetti ex nunc. Quanto alle situazioni giuridiche soggettive favorevoli al privato, è previsto l’indennizzo a tutela degli effetti pregiudizievoli conseguenti alla revoca del provvedimento in funzione compensativa del pregiudizio economico subito dal destinatario dell’atto di revoca. La giurisdizione, in tale ambito, è assegnata al g.a. in funzione di giudice unico nell’ambito della giurisdizione esclusiva sulle controversie relative all’indennizzo. In riferimento alla misura dell’indennizzo, si ritiene che esso vada commisurato alla perdita subita, c.d. danno emergente, con esclusione del mancato guadagno, c.d. lucro cessante, al fine di evitare che vi sia coincidenza tra indennizzo, presupposto nella revoca legittima, e risarcimento in caso di revoca illegittima. A riguardo, la legge 40 del 2007 di conversione del c.d. decreto Bersani ha aggiunto all’art. 21 quinques il comma 1-bis sulla disciplina della quantificazione dell’indennizzo dei pregiudizi subiti dai privati in caso di revoca di provvedimento amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incidente su rapporti negoziali. Pertanto, si è affermato, anche nel caso della revoca delle concessioni della TAV Spa, che l’indennizzo deve essere parametrato al solo danno emergente con esclusione del lucro cessante, ossia senza collegamenti al provvedimento revocato, in quanto gli eventuali danni collegati a tale atto andranno risarciti e non già indennizzati. Di fatto, il g.a. esclude la possibilità di cumulo di domande di indennizzo e di risarcimento del danno, in quanto con la prima si presuppone la legittimità della revoca, mentre con la seconda se ne presuppone la rispettiva illegittimità procedimentale. 3. I provvedimenti ad esito conservativo: proroga ed atti ad effetto sanante In tale categoria rientrano gli atti che mirano al mantenimento di un precedente atto o eliminando il relativo vizio che ne mina efficacia ex tunc e senza intaccarne il contenuto ovvero accertandone l’efficacia. Tali provvedimenti si fondano sul principio di economicità, positivizzato dalla legge sul procedimento per cui l’amministrazione prima di eliminare un atto illegittimo o inopportuno deve valutare la possibilità di mantenerlo in vita secondo la ponderazione degli interessi in gioco. In tale ambito rientrano la convalida, la rettifica, la ratifica, la conferma, la conversione e la riforma e la proroga. Quanto al suo fondamento giuridico, non vi è unanimità di opinioni in dottrina, un quanto soprattutto la proroga è ritenuta espressione di un potere generale mentre altra dottrina l’ammette nei soli casi previsti dalla legge. La giurisprudenza, invece, configura la proroga come avvenimento espressione dello stesso potere nel cui esercizio è stato emanato il provvedimento prorogando, da cui la vigenza e l’efficacia del primo atto al quale essa si salda a pena di illegittimità secondo il g.a. e a pena di inesistenza secondo il g.o. Alla scadenza del termine, se non è consentita proroga, è comunque ammessa la rinnovazione del provvedimento, che costituisce una tecnica volta alla prosecuzione dell’originario rapporto che, a differenza della proroga, non richiede rinnovata ponderazione degli interessi coinvolti. I c.d. atti ad effetto sanante, non rientrano nella competenza di autorità diversa da quella che ha emanato la decisione finale, per cui la conseguente sanatoria del vizio ha funzione meramente servente rispetto al provvedimento considerato dall’amministrazione agente.

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3.1. Segue. La convalida e la rettifica La convalida, come l’annullamento d’ufficio, ha ad oggetto un provvedimento illegittimo ma, mentre l’annullamento elimina l’atto, la convalida rimuove il vizio e consolida gli effetti dell’atto rendendolo inattaccabile per il futuro. Tale volontà di sanare l’atto illegittimo deve risultare da dichiarazione espressa della competente autorità. L’art. 21 nonies, in particolare, dopo aver disciplinato al comma 1 l’annullamento d’ufficio, fa salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di pubblico interesse e ne circoscrive l’esercizio entro un termine ragionevole. Quanto al primo presupposto si considera che l’interesse pubblico può rinvenirsi nel fatto stesso che con la convalida si evitano effetti negativi della illegittimità dell’atto; mentre con il secondo presupposto si riguarda all’incertezza dei fattori che vanno tenuti presenti nella valutazione della ragionevolezza. Invero, la norma conferma che la convalida può avere ad oggetto soltanto provvedimenti annullabili, affetti cioè da vizio di legittimità con esclusione di provvedimenti nulli o inopportuni. La competenza all’eliminazione del vizio attraverso la convalida spetta all’organo che ha emanato l’atto viziato e l’interesse alla convalida dell’atto deve risultare prevalente su tutti gli interessi coinvolti nell’esercizio del potere, trattandosi di provvedimento discrezionale. Quanto ai vizi oggetto di convalida,vi rientrano il vizio di incompetenza relativa, i vizi di tipo formale, come l’insufficienza del quorum, l’adozione di un sistema di votazione non previsto dalla legge. Con l’emanazione dell’art. 21 octies, comma 2 non si ritengono più convalidabili, bensì annullabili, i provvedimenti vincolati affetti da vizi formali ininfluenti sul loro contenuto, così come non risultano convalidabili i provvedimenti viziati da eccesso di potere o per mancanza di presupposti cui, ad esempio, quello dell’urgenza. Diversamente sono convalidabili gli atti affetti da vizi procedimentali, quali l’omessa comunicazione di avvio del procedimento o del preavviso di rigetto del provvedimento ad istanza di parte. Quanto agli aspetti temporali, la convalida ha efficacia retroattiva, per cui il vizio viene sanato ex tunc fin dal momento dell’emanazione dell’atto stesso. La convalida, in ogni caso, deve intervenire in un termine ragionevole, per cui va considerato che il termine per impugnare non sia scaduto ovvero che il provvedimento non sia più impugnabile per scadenza dei termini fissati per la sua impugnativa con conseguente consolidazione del pregiudizio relativo alla situazione giuridica soggettiva, rispetto alla quale si ritiene sempre ammissibile la convalida. Dalla convalida si distingue la rettifica che ha ad oggetto provvedimenti non viziati, ma perfettamente validi seppure irregolari. Con la rettifica viene eliminata, con efficacia retroattiva, l’errore materiale non invalidante, come nel caso di erronea indicazione del domicilio del destinatario dell’atto ovvero di errata ubicazione del bene. La legge parla di rettifica soltanto per gli atti degli interessati nell’ambito del procedimento amministrativi, inclusa la possibilità di presentare domanda di rilascio di provvedimento di rettifica di dichiarazioni o istanze incomplete o erronee, ex art. 6, lett. b). 3.2. La ratifica La ratifica non va confusa con la convalida del vizio di incompetenza, in quanto istituti diretti alla conservazione dell’atto. Tuttavia, mentre il primo sana l’atto eliminando un vizio di incompetenza, con il secondo l’amministrazione fa proprio l’atto adottato da un organo

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incompetente al quale la legge ne riconosce la legittimazione straordinaria data la circostanza urgente nella sua adozione. La ratifica ha tradizionalmente operato nell’ambito degli enti locali per le delibere delle giunte comunali e provinciali adottate in via d’urgenza con i poteri dei rispettivi consigli. L’attuale ordinamento ha limitato la ratifica delle deliberazioni assunte in via d’urgenza dall’organo esecutivo degli enti locali limitandone l’applicazione alle sole deliberazioni attinenti alle variazioni di bilancio, mentre per gli atti del sindaco è disposta la sua adesione ad un accordo di programma che deve essere ratificata dal consiglio comunale nel caso di variazioni degli strumenti urbanistici. Nel primo caso il termine è di sessanta giorni, nel secondo è di trenta giorni, a pena di decadenza. 3.3. Segue. Conferma e atto meramente confermativo. Un orientamento giurisprudenziale distingue tra conferma rispetto all’atto meramente confermativo, in quanto, nel silenzio della legge, si ritiene che l’autorità, a seguito di istanza di riesame di un precedente provvedimento negativo ritenuto inoppugnabile, possa ribadire la precedente decisione confermandone la validità. Diversamente, si è in presenza di atto meramente confermativo in quanto la medesima conferma della precedente statuizione avviene senza nuova valutazione degli elementi di fatto e di diritto già considerati. Invero, la c.d. conferma propria presuppone l’apertura formale di un nuovo procedimento comprensivo di fase istruttoria e l’emanazione di un provvedimento di secondo grado, la conferma, con il quale si afferma la legittimità o l’inopportunità del precedente provvedimento. La conferma ha natura di provvedimento discrezionale che sostituisce, con efficacia ex nunc, il precedente provvedimento ed è autonomamente impugnabile per qualsiasi vizio proprio sia in sede giurisdizionale che amministrativo. L’atto meramente confermativo, invece, non è autonomamente impugnabile in quanto espressione di una scelta dell’amministrazione di non riesaminare il proprio precedente provvedimento. Tale distinzione si spiega per esigenze processuali di evitare, mediante l’impugnazione di un atto meramente confermativo, l’elusione della norma sul regime di impugnazione degli atti amministrativi nel termine di decadenza. Invero, tale interpretazione non è apparsa convincente soprattutto perché mina la tutela del privato con il sottrarre le garanzie di cui all’art. 113 Cost. (Art. 113. Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.) per gli atti meramente confermativi, dal momento che il cittadino risulta privato di dimostrare in giudizio il mutamento della situazione sottesa all’originario provvedimento. Di qui la necessità di rivedere la nozione di atto meramente confermativo da cui far dipendere l’impugnabilità dell’atto di mera scelta dell’amministrazione, per cui in presenza di un diverso apprezzamento da parte dell’amministrazione sulle situazioni di fatto o di diritto sopravvenuto si aprirebbe in capo alla stessa l’obbligo di avviare il procedimento di riesame della precedente decisione assunta. 3.4. Segue. La conversione. Diversa dalla sanatoria è la conversione, che mira a sanare un vizio dell’atto mediante conversione, appunto, dei suoi effetti.

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L’istituto, positivizzato dall’art. 1424 c.c., prevede che un negozio nullo possa essere convertito in altro valido in presenza di tutti i suoi elementi, per cui sussistendo tutti i requisiti di sostanza e di forma di un altro atto l’amministrazione può convertire l’atto in quanto ne ricorra l’omogeneità altresì con gli interessi pubblici in concreto perseguiti. Parte della dottrina ritiene che i casi di nullità o inesistenza dell’atto vadano ricavati dalla suddetta disciplina privatistica, per cui il presupposto della conversione è la nullità del contratto. Secondo altra dottrina, invece, la conversione si spiega con riferimento ai soli casi di annullabilità. La competenza spetta all’organo che ha emanato l’atto, ma si esclude che vi sia completa coincidenza tra l’organo che ha emanato l’atto e quello che procede alla conversione in caso di reinterpretazione del suo contenuto. Si esclude altresì che la conversione possa avvenire in sede giurisdizionale, in quanto si finirebbe per ammettere interferenza del giudice nella scelta discrezionale dell’amministrazione. La conversione ha efficacia ex tunc. 3.5. Segue. La riforma La riforma rientra tra i provvedimento di secondo grado ad effetti conservativi. Il procedimento di riesame, infatti, può concludersi oltre che con la conferma o la rimozione degli effetti del precedente provvedimento, con la loro riforma o modifica. La riforma ha efficacia ex nunc, in quanto si colloca nell’ambito di procedimento di annullamento e di revoca dando luogo ad annullamento ovvero revoca parziali. Il potere di riforma rappresenta espressione tipica della potestà d’ordine, in quanto nucleo centrale della gerarchia in quanto si richiede all’ufficio superiore l’annullamento o la riforma di un atto adottato da un ufficio subordinato. L’art. 14 del d.lgs. 165/ 2001 ha escluso espressamente anche il potere del ministro di riformare gli atti dei dirigenti.