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Scrittura e pronuncia del latino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Disambiguazione – Questa voce riguarda il sistema di scrittura della lingua latina. Se cerchi lo script latino, l'insieme di grafi usato da vari sistemi di scrittura, vedi Alfabeto latino . Un alfabeto per il latino fu adottato fin dall'VIII secolo a.C. , cioè fin dagli albori della storia di Roma . Come generalmente accade, quando un popolo inventa un alfabeto o ne adatta uno "straniero" alle esigenze della propria lingua, c'è un'alta corrispondenza tra grafemi e fonemi , cioè ad ogni lettera corrisponde (esclusi eventuali allofoni ) un solo suono. Questo con tutta probabilità avvenne anche con il latino. L'evoluzione di una lingua, tuttavia, porta il parlato a divergere dallo scritto (si pensi per esempio all'inglese , al gaelico o al francese ). Il latino non fu esente dall'evolversi e lo testimoniano alcuni fenomeni fonetici avvenuti nel corso del tempo, in particolare il rotacismo . In generale, queste modifiche nel parlato furono introdotte anche nello scritto (talvolta, come nel caso del rotacismo, con delle apposite leggi), almeno fino all'epoca classica. Indice [nascondi ] 1 Grafemi o 1.1 Formazione ed evoluzione dell'alfabeto latino o 1.2 Il modo di scrivere o 1.3 L'influenza del greco 2 Corrispondenze tra grafemi e fonemi o 2.1 La sillabazione o 2.2 Le quantità vocaliche e sillabiche o 2.3 L'accento 3 La pronuncia classica o restituta o 3.1 Le vocali 3.1.1 I dittonghi o 3.2 Le consonanti 3.2.1 L'assimilazione delle consonanti o 3.3 Versione semplificata 4 La pronuncia ecclesiastica o 4.1 Pronuncia classica ed ecclesiastica a confronto 5 Note

Scrittura e Pronuncia Del Latino

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Scrittura e pronuncia del latinoDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

 Disambiguazione – Questa voce riguarda il sistema di scrittura della lingua latina. Se cerchi

lo script latino, l'insieme di grafi usato da vari sistemi di scrittura, vedi Alfabeto latino.

Un alfabeto per il latino fu adottato fin dall'VIII secolo a.C., cioè fin dagli albori della storia

di Roma. Come generalmente accade, quando un popolo inventa un alfabeto o ne adatta uno

"straniero" alle esigenze della propria lingua, c'è un'alta corrispondenza tra grafemi e fonemi,

cioè ad ogni lettera corrisponde (esclusi eventuali allofoni) un solo suono.

Questo con tutta probabilità avvenne anche con il latino. L'evoluzione di una lingua, tuttavia,

porta il parlato a divergere dallo scritto (si pensi per esempio all'inglese, al gaelico o

al francese). Il latino non fu esente dall'evolversi e lo testimoniano alcuni fenomeni fonetici

avvenuti nel corso del tempo, in particolare il rotacismo. In generale, queste modifiche nel

parlato furono introdotte anche nello scritto (talvolta, come nel caso del rotacismo, con delle

apposite leggi), almeno fino all'epoca classica.

Indice

  [nascondi] 

1 Grafemi

o 1.1 Formazione ed evoluzione dell'alfabeto latino

o 1.2 Il modo di scrivere

o 1.3 L'influenza del greco

2 Corrispondenze tra grafemi e fonemi

o 2.1 La sillabazione

o 2.2 Le quantità vocaliche e sillabiche

o 2.3 L'accento

3 La pronuncia classica o restituta

o 3.1 Le vocali

3.1.1 I dittonghi

o 3.2 Le consonanti

3.2.1 L'assimilazione delle consonanti

o 3.3 Versione semplificata

4 La pronuncia ecclesiastica

o 4.1 Pronuncia classica ed ecclesiastica a confronto

5 Note

6 Bibliografia

7 Voci correlate

8 Altri progetti

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9 Collegamenti esterni

Grafemi[modifica | modifica sorgente]

L'alfabeto della lingua latina è il sistema di scrittura per il quale lo script latino è stato sviluppato.

I grafemi che costituiscono l'alfabeto del latino sono i seguenti (tra parentesi quelli non usati in

epoca classica):

A B C D E F G H I (J) K L M N O P Q R S T (U) V X Y Z

L'alfabeto originario come è conservato nelle epigrafi non conosceva una distinzione tra

lettere maiuscole e minuscole. Esisteva già nel I secolo a.C. una grafia corsiva, dalla quale

si sviluppò nella tarda antichità la semionciale, che già presentava lettere abbastanza simili

alle odierne minuscole. Dalla semionciale si sviluppò, in epoca carolingia, la scrittura

carolina, che può essere considerata la prima vera minuscola non corsiva usata per

l'alfabeto latino.

La lettera V, che aveva doppio valore, vocalico e semiconsonantico (/u/, come in puro,

e /w/, come in tuono), ebbe come minuscola u; in seguito, verso il XVIII secolo[senza  fonte], si

scelse di sdoppiare V-u in V-v con valore ormai divenuto consonantico (vir), e U-u con

valore vocalico o semiconsonantico (ubi, quis).

La lettera J fu introdotta durante il Medioevo, inizialmente come pura variante grafica per

la I in fine di parola, poi per indicare il valore semiconsonantico di I (/j/, come in aiuto);

ebbe meno fortuna dello sdoppiamento di v e u, tant'è vero che ad oggi nelle edizioni

di testi letterari latini arcaici, classici o tardi (non medievali) non è quasi mai usata la

lettera j, mentre la u consonante è segnata con v.

Formazione ed evoluzione dell'alfabeto latino[modifica | modifica sorgente]

L'alfabeto latino deriva da un alfabeto greco occidentale (l'alfabeto greco non era uguale in tutto

il territorio ellenico, ma si differenziava da regione a regione, soprattutto per quanto riguarda

lettere assenti negli alfabeti più arcaici), probabilmente tramite la mediazione dall'etrusco, o

forse direttamente da quello di Cuma, colonia greca nei pressi di Napoli.

Ad ogni modo, l'alfabeto arcaico era lievemente diverso da quello classico, anche per la

pronuncia di alcune lettere. Tra le consonanti, le velari presentano una situazione molto

interessante.

C era posta generalmente davanti a E e I, K davanti ad A e alle consonanti, e Q davanti

a V e O. Tutt'e tre rappresentavano lo stesso identico fonema, /k/, tant'è vero che con il

tempo confluirono nella sola C. La K rimase in qualche sporadica parola (per esempio,

in Kalendae, che si trova anche scritto Calendae), mentre la Q fu utilizzata solo davanti

alle V che avessero valore semiconsonatico (/w/, come in questus), mentre dinnanzi a

quelle vocaliche si pose C (ad esempio cura).

Pare inoltre certo che C avesse valore sia sordo sia sonoro (/k/, come in casa, e /g/, come

in gas); solo più tardi al valore sonoro venne data una lettera apposita, G. Rimane traccia di

ciò in alcune abbreviazioni di nome, come C. per Gaius o CN. per Gnaeus.

Per quanto riguarda le sibilanti, furono investite dal fenomeno del rotacismo.

Originariamente, l'unica sibilante del latino era /s/ (sorda, come in sarto), resa con la

lettera S. Le s intervocaliche, tuttavia, subirono in latino un mutamento (il rotacismo) che le

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portò man mano ad assumere il fonema /r/. La fase intermedia tra /s/ e /r/ del rotacismo

fu /z/ (la s sonora di esame); abbiamo perciò il mutamento /s/ > /z/ > /r/.

Prima del completamento del rotacismo, quando queste S intervocaliche suonavano /z/,

cominciarono a essere scritte Z. Questa lettera occupava il posto dell'attuale G, fra la F e

la H (cioè la stessa posizione occupata dalla zeta nell'alfabeto greco arcaico, tra

il digamma Ϝ e la eta Η).

Con il compimento del rotacismo (verso la fine del IV secolo a.C.), il fonema /z/ scomparve

totalmente in favore di /r/, che aveva già un suo corrispondente grafema nell'alfabeto, e

cioè R. La lettera Z divenne quindi inutile e fu eliminata; il suo posto nella serie alfabetica

verrà occupato dalla G, indicante la velare occlusiva sonora /g/.

Per la trascrizione di parole greche (vedi anche più avanti) furono introdotte due lettere che

rappresentavano fonemi sconosciuti al latino e che andarono ad occupare la fine della serie

alfabetica (da notare il ritorno del simbolo Z, scomparso dopo il rotacismo, seppur

come consonante affricata e non più come fricativa).

Y corrispose alla lettera ypsilon, rappresentante il fonema /y/ (la u francese di bureau).

Z rappresentò la consonante doppia zeta (/dz/, come l'italiano zona).

Il modo di scrivere[modifica | modifica sorgente]

I Romani, come d'altronde anche i Greci, utilizzavano la scriptio continua, cioè non separavano

le parole le une dalle altre, se non, a volte, con un puntino medio (ad esempio, NOMENOMEN o

NOMEN∙OMEN). Il senso di scrittura, come ben attestato dai reperti archeologici (il Lapis niger,

ad esempio), procedette nei primi tempi in senso bustrofedico, per poi stabilizzarsi nel senso

sinistra-destra proprio di tutte le lingue europee odierne.

Notevoli esempi di scrittura, anche parietale, sono stati rinvenuti a Pompei e ad Ercolano.

L'influenza del greco[modifica | modifica sorgente]

Dal momento in cui l'antica Roma cominciò ad assorbire aspetti della cultura greca

(dal teatro alla poesia alla filosofia), si sentì la necessità di introdurre quei nuovi termini desunti

dalla lingua greca che non avessero corrispondenti esatti in quella latina (i cosiddetti grecismi).

L'opera di traslitterazione risultò tutto sommato abbastanza semplice; come già accennato, gli

unici fonemi greci che non si ritrovavano in latino erano la zeta e la ypsilon, i cui grafemi furono

direttamente trasportati in latino, e le aspirate (phi, theta e chi), che invece furono rese con la

lettera muta corrispondente seguita da h (rispettivamente ph, th e ch). Anche l'aspirazione ad

inizio parola (che in greco non fu segnalata che in epoca tarda con lo "spirito aspro") venne resa

con h.

L'alfabeto greco veniva quindi traslitterato: Α > A; Β > B; Γ > G; Δ > D; Ε > E (breve); Ζ > Z; Η >

E (lunga); Θ > TH; Ι > I; Κ > C o K; Λ > L; Μ > M; Ν > N; Ξ > X; Ο > O (breve); Π > P; Ρ > R o

RH; Σ > S; Τ > T; Υ > Y (o anche, soprattutto inizialmente, U); Φ > PH (inizialmente anche solo

P); Χ > CH; Ψ > PS; Ω > O (lunga).

La lettera gamma (Γ) veniva tuttavia traslitterata in N davanti ad altra consonante velare (Γ, Κ,

Χ, Ξ) in quanto prendeva in questa posizione suono nasale (come in vanga); ad

esempio, ἄγγελοςdivenne angelus.

Per quanto riguarda i dittonghi, non tutti vennero traslitterati vocale per vocale; a causa dei

mutamenti che già in epoca ellenista erano avvenuti nella fonetica greca, alcuni dittonghi

venivano già pronunciati diversamente da come erano scritti. In particolare, αι venne reso

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come ae (αἰθήρ passò a aether), οι come oe (il prefisso οἰκο- divenne oeco-), ει

come ī (Ἡρακλείτος fu resoHeraclitos) e ου come ū (Οὔρανος divenne Uranos). I dittonghi

impropri (quelli formati da vocale lunga più la iota, che nelle moderne edizioni vengono resi con

uno "iota sottoscritto" sotto la vocale) vennero trascritti con la sola vocale lunga, trascurando

la i (Ἅιδης divenne Hades), tranne che in alcune voci entrate molto presto nel lessico (come

ad esempio κωμῳδία, che fu resa, tenendo conto dello iota, in comoedia).

Corrispondenze tra grafemi e fonemi[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Fonologia della lingua latina.

Nel corso dei secoli, il latino ha subito delle modificazioni e il sistema di lettura che ci è

pervenuto è quello usato dall'Alto Medioevo in poi dalla Chiesa e, fino alla nascita delle varie

lingue nazionali, anche come lingua ufficiale dei documenti scritti, oltre che della cultura in

generale. Questo sistema viene chiamato pronuncia ecclesiastica o scolastica proprio perché

divulgato dalla Chiesa; tuttavia questo differisce dal sistema originario della lingua latina.

Linguisti e filologi si sono cimentati nella ricostruzione del sistema fonologico del latino, un po'

come avvenne per quella del greco antico; in particolare va ricordato il lavoro

dell'umanista Erasmo da Rotterdam nel saggio De recta Latini Graecique sermonis

pronuntiatione. Il sistema fonologico ricostruito (noto come pronuncia restituta o classica,

facendo così riferimento più alla lettura dell'alfabeto, che alla fonologia stessa della lingua)

esiste in varie versioni: in seguito se ne offrirà un quadro più dettagliato e una variante più

semplificata, normalmente accettata come standard nelle università europee.

Il sistema di lettura insegnato nella maggior parte delle scuole europee corrisponde alla

"pronuncia restituita", mentre in Italia viene generalmente utilizzata la lettura ecclesiastica o

scolastica, che ha una più lunga tradizione e tende ad avvicinarsi alla lettura stessa dell'alfabeto

italiano.

La sillabazione[modifica | modifica sorgente]

Ai fini dell’accentazione è necessario dividere correttamente le sillabe di una parola. Di seguito

le regole generali:

Due consonanti si separano sempre, anche nel caso della cosiddetta s impura italiana e

delle consonanti doppie: tem-pes-tas, dic-si (<dixi), ho-rid-zon (<horizon). Nel caso di

gruppi di più di due consonanti, solo l’ultima di separa: mics-ti-o (<mixtio). Unica eccezione

è il caso della cosiddetta muta cum liquida (consonante occlusiva+l/r): pa-tris, sa-

crus, prae-cla-rus, ma-gis-tra. Anche il gruppo f+liquida ha un comportamento simile: ad-

fla-tus. Dal momento che i gruppi SC e GN rappresentano due suoni, si separano: pis-

cis, ig-nis.

Due vocali formano sillaba solo nel caso dei dittonghi; in tutti gli altri casi si separano: cor-

nu-a, e-o-rum, po-e-ta (<poëta, grecismo), a-er (<aër, grecismo). In particolare, da notare

che la i fra consonante e vocale non si consonantizza e forma quindi sillaba a sé: Iu-li-

us, mix-ti-o, au-di-o, en-chi-ri-di-on. Il gruppo TI atono si divide dalla vocale successiva

anche quando suona /ʦj/ nella pronuncia ecclesiastica: ius-ti-ti-a; l'assibilazione, e quindi

anche la consonantizzazione della i che l'ha causata fondendo le due sillabe, risale al II

secolo d.C.[1]

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Il gruppo QV, che si trova sempre davanti a vocale, si lega alla vocale seguente: e-

qui, quin-que.

Il gruppo GV è labiovelare sonora (e si lega quindi alla vocale seguente) solo se è

preceduto da N: pin-guis, an-guis. In caso contrario fa sillaba a sé: ec-si-gu-i-tas.[2]

Le consonanti aspirate si comportano come una sola lettera: a-thle-ta, ma-chi-na, tri-um-

phus.

Il grafema I rappresenta una consonante solo quando si trova ad inizio di parola (Iu-li-

us, ia-nu-a) o fra due vocali; in questo ultimo caso, dato che la I è pronunciata lunga, si

comporta come una consonante doppia e quindi si divide fra le due sillabe: ei-

ius (<eius), hui-ius (<huius), ai-io (<aio).[3] Nei grecismi è invece spesso, soprattutto in

poesia, vocalica, perché il greco non conosce la semiconsonante palatale: I-u-lus (Iulus, da

non confondersi con Iulius).[4]

La lettera H intervocalica (di fatto muta) non ha effetti sulla sillabazione;[5] per convenzione

grafica, in quanto consonante intervocalica, può unirsi alla vocale che la segue: ve-ho, ni-

hil (o anche semplicemente nīl, forma attestata), co-hors.

I composti si sottraggono a queste regole e si dividono prima nei costituenti,[6] che

eventualmente si divideranno poi in sillabe: con-iunx (con+rad. iung-), de-stru-

o (de+struo), sub-e-o(sub+eo), ex-e-o (ex+eo), ob-la-tus (ob+latus). Ovviamente può anche

capitare che la divisione sillabica e quella dei costituenti coincidano: con-tin-go (con+tango,

con apofonia), ad-fe-ro(ad+fero).

Le quantità vocaliche e sillabiche[modifica | modifica sorgente]

Le cinque vocali latine (a, e, i, o, u, più la y greca) possono essere sia lunghe, soprassegnate

con ˉ (ā /a:/, ē /e:/-/ε:/, ī /i:/, ō /o:/-/ɔ:/, ū /u:/, ȳ /y:/), sia brevi, soprassegnate con ˘ (ă /a/; ĕ /e/-/ε/; ĭ/i/; ŏ /o/-/ɔ/; ŭ /u/; y~  /y/). Se una vocale può essere sia lunga sia breve, si dice

ancipite o bifronte. I dittonghi discendenti (vocale+semivocale, come au, ae e oe) sono sempre

lunghi; se due vocali accostate che normalmente sono dittongo non lo formano, si pone sulla

seconda vocale la dieresi (se ae e oe sono dittonghi, non lo sono aë e oë che sono

generalmente derivati dal greco) e ciascuna delle due vocali avrà una propria quantità.

Le sillabe si dicono aperte se terminano per vocale o dittongo, chiuse se terminano per

consonante.

La quantità sillabica non corrisponde sempre a quella del nucleo vocalico:

Sillaba breve: una sillaba è breve solo se è aperta e la vocale è breve.

Esempio: tĭbĭ (tĭ-bĭ) è composto da due sillabe brevi.

Sillaba lunga: la sillaba lunga ha due realizzazioni.

Sillaba aperta con vocale lunga: vītă (vī-tă) è composto da una sillaba lunga e una

breve.

Sillaba chiusa, a prescindere dalla quantità della vocale: pĭscēs (pĭs-cēs) è

composto da due sillabe lunghe.

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Spesso, quando si parla di sillaba chiusa con vocale breve (quindi una sillaba lunga) si

dice che la vocale è lunga "per posizione". In realtà, "posizione" è in questo caso

un'errata traduzione dipositio, che significherebbe invece convenzione: non è infatti la

vocale che si allunga, ma la sillaba, che, a causa della somma della vocale con

l'elemento consonantico finale, era percepita come lunga.[7]

L'accento[modifica | modifica sorgente]

Non è chiaro se il latino possedesse un accento di tipo musicale (come nel greco

antico e probabilmente nel protoindoeuropeo) o di tipo tonico-dinamico (come nelle

moderne lingue neolatine). Lelingue italiche, di cui fa parte il latino, avevano un

accento intensivo fisso sulla prima sillaba. Si ritiene che il latino avesse sviluppato

indipendentemente un accento musicale a tono unico (di elevazione della voce), che

durante l'evoluzione della lingua si mutò in accento tonico.

L'accento latino, quale che sia la sua natura, segue tre regole fondamentali:

legge della baritonesi: l'accento di parole plurisillabiche non cade mai sull'ultima

sillaba; vi è però qualche apparente eccezione, costituita da parole troncate: parole

con l'enclitica -cetroncata in -c (illìc, illùc, illàc, istìc, istùc, istàc) o con l'enclitica -

ne troncata in -n (tantòn); due nominativi della terza

declinazione, Arpinàs e Samnìs (che formano gli altri casi dai temiArpināt-

e Samnīt-); alcuni perfetti contratti, come fumàt e audìt (da fumā(vi)t e audī(vi)t);[8]

legge della terzultima: l'accento non cade mai oltre la terzultima sillaba;

legge della penultima: in parole con almeno tre sillabe, se la penultima sillaba è

lunga avrà l'accento; se essa è breve, l'accento cadrà sulla terzultima.

In pratica, quindi, per le parole con meno di tre sillabe il problema non si pone. In quelle

di più di due sillabe, invece, l'accento può cadere solo sulla terzultima e penultima

sillaba e la quantità di quest'ultima è il discrimine tra le due opzioni. Ad

esempio, roris si accenterà senza dubbio ròris; recrĕo, la cui penultima sillaba è la e

breve, si leggerà rècreo; pensitātor, la cui penultima sillaba contiene una vocale lunga,

si leggerà pensitàtor; superfundo ha la penultima sillaba chiusa, quindi lunga, e sarà

letto superfùndo.

Bisogna tuttavia tenere presente che le particelle enclitiche (-que, -ve, -ne, -dum, -pte, -

ce, -dum) attirano l'accento sulla sillaba che le precede (di fatto l'ultima della parola cui

si legano), sia essa breve o lunga. Ad esempio, marĕque si leggerà marèque, anche

se la penultima sillaba della parola complessiva è breve;[9] questo fenomeno si

chiama accento d'ènclisi. Può anche capitare che, sebbene una parola porti una

particella enclitica, l'accento venga calcolato sulla penultima sillaba reale e l'intera

parola considerata un'unica entità: è il fenomeno dell'epèctasi. A causa dell'epectasi

possono quindi formarsi coppie come itàque (ită + que: "e così") e ìtăque ("pertanto").

Nel secondo caso, la sensibiltà dei Latini aveva perso coscienza delle due componenti,

considerando la parola come una nuova entità a sé e risemantizzandola.[10]

La pronuncia classica o restituta[modifica | modifica sorgente]

Il modo di leggere il latino così come era giunto fino al XX secolo (soprattutto nel

contesto scolastico ed ecclesiastico) mostrava diverse divergenze dalla relazione "ad

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ogni grafema un fonema"; ciò spinse ad avviare una ricerca approfondita su quale

potesse essere l'effettiva pronuncia originaria del latino.

La pronuncia nota come restituta è frutto del lavoro di glottologi, linguisti e filologi che,

a partire dalla fine del XIX secolo, hanno tentato di ricostruire, sulla base di studi

comparati con altre lingue antiche o dei (pochi) indizi che possono giungere dalla

trattatistica di epoca classica, la pronuncia originale dei Romani di quel periodo. Si noti

che tale pronuncia è oggi utilizzata per lo studio e l'insegnamento del latino in tutte le

università e scuole superiori del mondo[senza  fonte], escludendo il sistema scolastico

italiano (e, a volte, il sistema scolastico tedesco), dove resiste ancora la cosiddetta

"pronuncia ecclesiastica".

Le vocali[modifica | modifica sorgente]

La pronuncia scientifica postula una differenza di suono tra vocali lunghe e vocali brevi.[11]

A

ă /ɐ/ (come nel tedesco Theater);

ā /a:/ (lunga come in lago);

E

ĕ /ɛ/ (la e aperta breve di ecco);

ē /e:/ (la e chiusa lunga di bere);

I

ĭ /ɪ/ (la i dell'inglese big o tedesco mit, a metà tra le italiane e ed i); se in principio di

parola o fra due vocali (in quest'ultimo caso è pronunciato lungo) si consonantizza

in /j/ (come in iena);

ī /i:/ (lunga come in fine);

O

ŏ /ɔ/ (la o aperta breve di occhio);

ō /o:/ (la o chiusa lunga di ora);

V (U)

ŭ /ʊ/ (come nell'inglese put o tedesco Bund); si consonantizza in /w/ se in principio di

parola o fra due vocali;

ū /u:/ (lunga come in lupo).

Y (solo nei grecismi; fu sempre considerata una lettera straniera)[12]

y~  /ʏ/ (simile a ɪ, ma arrotondata);

ȳ /y:/ (come il francese bureau, o la ü tedesca, lunga).[13]

Da notare che nei fonemi della e e della o le brevi sono

aperte e le lunghe chiuse, a differenza del greco dove le

brevi ε ed ο sono chiuse e le lunghe η ed ω sono aperte.

Page 8: Scrittura e Pronuncia Del Latino

È inoltre possibile (ma tutt'altro che certo) che ove ci fosse

nella scrittura un'oscillazione tra la i e la u (come

in maxumus/maximus), vi fosse la presenza di un suono

simile ai fonemi della y.

I dittonghi[modifica | modifica sorgente]

I dittonghi classici sono quattro:[14]

AU: /ɐʊ+/;

AE: /ɐɛ+/ o anche /ɐɪ +/;

OE: /ɔɛ+/ o anche /ɔɪ +/;

EU: /ɛʊ+/.

Ad essi vanno aggiunte due coppie di vocali

probabilmente dittongatesi con il passare

del tempo, e il dittongo greco yi:

EI: /ɛɪ +/;

UI: /ʊɪ +/;

YI: /ʏɪ +/.

Le consonanti[modifica | modifica sorgente]

B: normale /b/, a meno che non sia intervocalica, nel qual caso diviene /β/ (una specie

di v, ma bilabiale anziché labiodentale).

Esempi: bini /'bi:.ni:/; laudabas /lɐʊ+'da:βa:s/; arbor /'ɐr.bɔr/.

C: sempre suono velare /k/ (come in casa); forse palatalizzata (/c/, suono palatale da

non confondere con l'affricata presente in cielo, /tʃ/) prima di e ed i.

Esempi: canes /'kɐ.ne:s/; cinis/kɪ.nɪs/ o /cɪ.nɪs/; licet /'lɪ.kεt/ o /'lɪ.cεt/. Prima di

generalizzarsi, scriveva l'occlusiva velare sorda solo davanti alle vocali palatali (e ed i);

inoltre, prima dell'introduzione della G, trascriveva anche l'occlusiva velare sonora, uso

rimasto nell'abbreviazione dei nomi.[15]

D: normale /d/. Esempi: dono /'do:.no:/.

F: normale /f/. Esempi fines /'fi:.ne:s/.

G: sempre suono velare /g/ (come in gabbia) e labiovelarizzata davanti a /w/; forse

palatalizzata (/ɟ/, suono palatale da non confondere con l'affricata presente

in gelo, /dʒ/) prima di e ed i.

Esempi: guttur /'gʊt.tʊr/; languor /'lɐŋ.gwɔr/; :piget /'pɪ.gɛt/ o /'pɪ.ɟɛt/.

H: letto con aspirazione lieve /h/, probabilmente afono se intervocalico.

[16] Esempi: haud /'hɐʊ+d/; nihil /'nɪ.ɪɫ/ o /'ni:ɫ/.

I semiconsonatica: /j/ (come in pieno, iodio, Caio). Si trova ad inizio di parola e fra due

vocali; fra due vocali è pronunciata lunga (come testimoniano Quintiliano e Velio

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Longo, Ciceronepreferiva per questo scriverla doppia[17]).

Esempi: Iulius /'ju:.lɪ.ʊs/, eius /'ɛj.jʊs/, huius /'hʊj.jʊs/. Contrariamente all'italiano, fra

consonante e vocale è pronunciato vocalico perché due vocali contigue, ad eccezione

dei dittonghi, non fanno sillaba (Iulius è sillabato Iu-li-us). L'uso del grafema "J" per la

semiconsonante era sconosciuto all'ortografia latina classica, ed è stato introdotto

nel '500 da Pierre de la Ramée; nei manoscritti medievali, d'altra parte, i grafemi "I" e

"J" trascrivevano sia la semiconsonante sia la vocale.

K: come C. Il suo uso è limitato a poche parole come kalendae, il

nome Kaeso, Karthago e l'abbreviazione merk (per mercatus).[18] In origine scriveva

l'occlusiva velare sorda davanti alla vocale A e alle consonanti.[19]

L: alcune testimonianze (fra cui Plinio il Vecchio) ci informano dell'esistenza di due tipi

di L in latino:

una descritta come exīlis, che corrisponde a una laterale alveolo/dentale /l/, come

in italiano. Si realizza quando la L è iniziale di sillaba o intervocalica.

una descritta come pinguis o plenus, che corrisponderebbe alla laterale

velarizzata /ɫ/. Questa si realizza davanti a consonante e in finale di parola.

La distribuzione delle due L è la stessa che si ritrova nell'inglese moderno. Nel latino

arcaico sembra che la forma pinguis si realizzasse anche davanti alle vocali posteriori

(a, o e u), come dimostrano parole come volo (dal tema vel-) e famulus (cfr. familia), in

cui la forma pinguis, creatasi da un'originaria exīlis a contatto con le vocali posteriori

delle desinenze, avrebbe attirato nella pronuncia velare le vocali palatali.[20]

M: è la normale /m/, ma in fine di parola probabilmente scompare lasciando

nasalizzazione e allungamento alla vocale che la precede (il che non è escluso

accadesse anche all'interno di una parola se m era l'ultimo elemento di una sillaba

chiusa). Questo è testimoniato non solo dalla scomparsa delle m finali nelle lingue

romanze, ma anche dalla possibilità in poesia già preclassica di sinalefe tra parola

terminante in vocale+m e parola iniziante per vocale (tantum illud, ad esempio, può

essere letto, in pronuncia classica, /tɐn'twɪllʊd/).

Esempi: malo /ma:.lo:/;Romam /ro:.mɐm/ o /ro:.mã/.

N: il suo suono principale è /n/, che però si presenta solo davanti a consonante

alveodentale (/t/, /d/, /s/, /l/, /r/) o a vocale, altrimenti (anche se si trova in fine di

parola e la lettera seguente è l'inizio di un'altra) utilizza allofoni: se davanti a velare

(/k/, /g/) si velarizza in ŋ (come lingua); se davanti a labiodentale (/f/) si labiodentalizza

in /ɱ/ (come anfibi); se (solo in fine di parola) seguita da bilabiale (/m/, /b/, /p/) si

bilabializza in /m/; se davanti a palatale (/c/, /ɟ/, /j/) si palatalizza in /ɲ/ (come gnomo).

È possibile che scomparisse con nasalizzazione e allungamento della vocale

precedente se si presentava come ultimo elemento di una sillaba chiusa.

Page 10: Scrittura e Pronuncia Del Latino

Esempi: navis /'na:.wɪs/; coniunx /'kɔɲ.jʊŋks/; vinco /'wɪŋ.ko:/; infinitas /

ɪɱ.'fi:.nɪ.ta:s/; incido /ɪŋ.'ki:.do:/o /ɪɲ.'ci:.do:/.

P: normale /p/. Esempi pecus /'pɛ.kʊs/; Appius /'ɐp.pɪ.ʊs/.

Q: si trova solo del digramma QV (vedi sotto). In origine scriveva l'occlusiva velare

sorda davanti a o e u.[21]

R: normale /r/ presente anche come monovibrante /ɾ/. Esempi: rosa /'rɔ.sɐ/.

S: normalmente /s/ (sorda, come in sole), ma /z/ (sonora, come in riso) se seguita da

consonante sonora (/b/, /d/, /g/, /m/, /n/). Esempi: sol /'so:ɫ/; Lesbos /'lεz.bɔs/.

T: normale /t/. Esempi: taurus /'tɐʊ+.rʊs/.

V (semiconsonantica): è la bilabiale approssimante /w/, come in uovo, o forse anche

fricativa sonora /β/ (poi passata al /v/ del latino medievale).

Esempi: vina /'wi:.nɐ/ o /'βi:.nɐ/.

X: è la doppia consonante /ks/. Esempi: taxus /'tɐk.sʊs/.

Z: è la doppia consonante /dz/ (come in zona), oppure la sibilante sonora /z/.

Esempi horizon /hɔ.'rɪd.zo:n/ o /'hɔ.rɪ.zo:n/.[22] Ai fini della sillabazione, questa

lettera, se pronunciata affricata, scinde i due costituenti: horizon ho-rid-zon.[23] A causa

di questo, nel caso la Z si trovi fra le ultime due sillabe, se la vocale della penultima

sillaba è breve l'accento si sposta a seconda della pronuncia: ho-rìd-zon (affricata; in

questo caso penultima sillaba lunga), hò-rĭ-zon (fricativa; in questo caso penultima

sillaba breve). Fu sempre considerata una lettera straniera.[24]

Per quanto riguarda alcuni digrammi:

PH: originariamente letto

come /pʰ/ (una 

come anche nel greco, a

a f. Esempi: philosophia

poi /ɸɪ.lɔ.'sɔ.ɸɪ.ɐ/poi /'sɐɸ.ɸo:/.

TH: originariamente letto

difficile capire se divenne la fricativa

in think) come nel greco tardo, oppure se perse

l'aspirazione divenendo semplice

più probabile visto l'esito nel latino ecclesiastico.

Esempi: thesaurus

forse /θe:.'sɐw.rʊs/

CH: originariamente letto

chiaro se si fricatizzò in

direttamente perse l'aspirazione divenendo

Esempi: Chaos 

linguista Sidney Allen

giustificare la pronuncia fricativa dei digrammi TH e

CH nel latino classico, soprattutto raffrontandoli col

Page 11: Scrittura e Pronuncia Del Latino

greco (ricordiamo che PH, CH e TH si trovano solo

nei grecismi, veri o presunti come ad

esempio pulcher

variante pulcer, che i Latini avevano erroneamente

fatto risalire a πολύχρους "variopinto"

le lettere corrispondenti si fricativizzarono solo

qualche secolo dopo.

GN: è possibile che la

nasalizzandosi in

perciò /ŋn/ invece di

si ritrova nel latino ecclesiastico è una via di mezzo

tra la nasale dentale e quella velare); è anche

possibile che la

dimostra per esempio la

grafia nosco per

da co+(g)noscere

GM: come in gn

nasalizzazione di

letto /'tɛŋ.mɛn/

GV: è labiovelare sonora solo se preceduta da

N: anguis /'ɐŋ.gwɪs/sé: exiguitas /ɛk.sɪ.'gʊ.ɪ.ta:s/

QV: labiovelare sorda, come in italiano. Tuttavia, nel

gruppo -QVV- (come in

pronuncia oscillava fra due tendenze, una colta e

una popolare: il ceto colto pronunciava -QVO-

(equŏs, sequŏntur

pericolo di confusione fra il nominativo singolare e

l'accusativo plurale perché la quantità della

mantiene separati: nom.

popolo invece -CV- (

QVV- è soltanto un compromesso grafico fra le due

pronunce e per analogia con il resto della flessione

(equus come equi

fini della sillabazione, il gruppo -QV- si lega sempre

alla vocale seguente (

NS: qui la N tendeva a cadere o si riduceva a una

leggera appendice nasale prima della S facendo

allungare per compenso la vocale

precedente: sponsa

VV: se è atono, era

pronunciato /wɔ/ɔnt/. È una grafia postclassica (trascrive la

sequenza vu /vu/

entrambi i suoni, in quanto l'introduzione dei

simboli v e U, come anche di

si deve a Pierre de la Ramée): in origine si

scriveva VO, come si pronunciava.

Page 12: Scrittura e Pronuncia Del Latino

primo elemento fa parte di una sillaba accentata, la

prima è vocale e fa parte della prima sillaba, la

seconda è semiconsonante e fa parte della seconda

sillaba: uva /'u:.wɐ/

probabile che in questa realizzazione la

semiconsonante diventasse una fricativa bilabiale

(vedi sopra, descrizione di

V): uva /'u:.βɐ/

L'assimilazione delle consonanti[modifica

La pronuncia scientifica tiene conto delle possibili

mutazioni che le consonati possono avere le une vicine

alle altre.

Le consonanti sonore

consonante non sonora, diverrebbero le corrispettive

sorde p e t (assimilazione parziale). In particolare,

alcuni nominativi di nomi con tema in

declinazione presenterebbero questa

assimilazione: nubs

trascrizione fonetica larga)

modo più trasparente con i temi in

nominativo una x, cioè

fenomeno avviene chiaramente in greco, dove i

nominativi sigmatici dei temi in

ambo i casi la lettera psi, indicante

intercorrono anche tra parole distinte:

portum sarebbe /ɐt'pɔrtʊm/ponte /sʊp.'pɔn.tɛ/

Per le tre preposizioni

sussistere un'assimilazione totale: questo è testimoniato

dalle grafie evolute di alcune parole composte (ad

esempio, il composto

sia subfero sia suffero

possibile anche tra parole distinte in

fines verrebbe pronunciato

o /ɐt.'fi:.ne:s/ (assimilazione parziale)

o /ɐf.'fi:.ne:s/(assimilazione totale), piuttosto

che /ɐd.'fi:.ne:s/, ob castra

letto /ɔp.'kɐs.trɐ/ oppure

flumine /sʊp.'flu:.mɪ.nɛ/

Versione semplificatasorgente]

Si può assumere una pronuncia semplificata per

la restituta, che si basa sul principio generale di far

corrispondere a ciascun

di far corrispondere ad ogni lettera un particolare suono.

Page 13: Scrittura e Pronuncia Del Latino

Questo è vero eccezion fatta per gli

la doppia natura (aperta o chiusa) della

i doppi valori (vocalici e consonantici) della

A: /a/; è la semplice a. Esempi: alea /'alea/; malum /'ma:lum/.

B: /b/; è la semplice b. Esempi: bonum /'bonum/; ab /ab/.

C: /k/; è la c dura italiana, come in cane.

[34] Esempi: cervus /'kerwus/; vici /'wiki/; canis /'kanis/.

D: /d/; è la semplice d. Esempi: dulcis /'dulkis/; subduco /sub'duko/.

E: /e/, /ε/; è la semplice e, aperta o chiusa. Esempi: ver /'wεr/; elephas /'eleɸas/.

F: /f/; è la semplice f. Esempi: fas /'fas/; aufero /'awfero/.

G: /g/; è la g dura italiana, come in gatto.

[34] Esempi: gerere /'gεrere/; gaudeo /'gawdeo/.

H: /h/: è una leggera aspirazione; se intervocalica, tuttavia, l'aspirazione molto

probabilmente scompariva.[34] Esempi: hirundo /hi'rundo/; mihi /'mihi/ o /'mi:/;

I: /i/, /j/; se ad inizio parola seguita da vocale, o se intervocalica, si legge come

semiconsonante /j/ (come in jena), altrimenti come i vocalica normale.

Esempi: Iulius /'julius/; ratio /'ratio/;video /'wideo/; iniuria /in'juria/.

K: /k/; è letta come la C.

L: /l/; è la semplice l. Esempi: lateo /'lateo/; alius /'alius/.

M: /m/; è la semplice m. Esempi: mater /'ma:ter/; immo /'im:o/.

N: /n/, /ɱ/, /ŋ/; se davanti a vocale o consonante dentale (t; d; s; z; l; r) è

la /n/ normale di nano (esempi: nugae /'nugae/; intereo /in'tereo/); se davanti a

consonante labiodentale (f) diviene la corrispettiva nasale labiodentale (/ɱ/, come in

infinito; esempi: infinitas /iɱ'finitas/); se davanti a consonante velare (c, k, g) diviene

la corrispettiva nasale velare (/ŋ/, come in vinco; esempi:angustus /aŋ'gustus/).

O: /o/, /ɔ/; è la semplice o, aperta o chiusa.

Esempi: os /ɔ:s/; volo /'wɔlo/; cano /kano/.

P: /p/; è la semplice p. Esempi: pars /'pars/; Appius /ap:ius/.

Q: /k(w)/; come in italiano, è pronunciata come labiovelare, come in quadro.

Esempi: quis /'kwis/; aqua /'akwa/.

R: /r/; è la semplice r. Esempi: rus /rus/; pario /pario/.

S: /s/; è la s sorda, come in sole. Esempi: sal /'sal/; rosa /'rɔsa/.

T: /t/; è la semplice t. Esempi: taurus /'tawrus/; catus /'katus/.

V: /u/, /w/; si pronuncia come u semiconsonantica (/w/, come in uovo) dopo la q, se

intervocalico, se ad inizio parola e seguito da vocale e come semiconsonante nei

dittonghi au ed eu; si legge come vocale (/u/) negli altri casi.

Page 14: Scrittura e Pronuncia Del Latino

[34] Esempi: qui /'kwi/; uva /'uwa/; verum /'werum/; aurum /awrum/; cave /'cawe/; ur

bs /'urbs/; metuenda /metu'enda/.

X: /ks/; è la doppia consonante x, come in xilofono. Esempi: dux /'duks/.

Y: /y/; è la u francese o lombarda, come nel francese lune, o come la ü tedesca.

[34] Esempi: hypnosis /hyp'nosis/.

Z: /dz/; è la z sonora di zaino. Esempi: horizon /ho'ridzon/.

Inoltre:

PH: una aspirata bilabiale sorda /ph/ (più tardi, come stadio intermedio prima di /f/,

forse anche una fricativa bilabiale /ɸ/).

Esempi: philosophia /philo'sɔphia/; Sappho /'sap:ho/.

TH: dentale sorda aspirata /th/. Esempi: thesaurus /the'sawrus/.

CH: gutturale sorda aspirata /kh/. Esempi: Chaos /'khaos/.

Per quanto riguarda i dittonghi, va ricordato che i digrafemi formati da vocale+i (

non /'rεj/; portui sarà

a ae /ae/, i /i:/, oe /oe/Dei digrafemi vocale+u, invece,

in euphonia /ew'ɸo:nia/(/'perseus/ e non /'persews/Anche ae ed oe (salvo i casi particolari con dieresi, come

La pronuncia ecclesiastica

La pronuncia ecclesiastica era quella abitualmente in uso nella

Vaticano II che ha reintrodotto l'uso della lingua volgare nella liturgia cristiana ("reintrodotto" perché di fatto anche l'introduzione del latino fu, a suo tempo, l'adozione di

una lingua volgare: per diversi secoli la liturgia a Roma era stata celebrata soltanto in greco).

Essendo la pronuncia ecclesiastica improntata sul

di quella classica. In linea generale, si può dire che la pronuncia ecclesiastica risenta della fonetica e spesso anche delle convenzioni grafiche delle diverse lingue locali:

pertanto il latino letto in Francia suonava molto simile al

Peraltro, è anche possibile che alcuni fenomeni fonetici presenti in questo sistema di lettura del latino risalgano ad una pronuncia più antica di questa lingua (per

esempio la palatalizzazione delle

Lungo i secoli, la pronuncia del latino finì comunque per essere dominata dalla fonologia delle lingue locali, con il risultato di una grande varietà di sistemi di pronuncia.

A causa della centralità di Roma all'interno della Chiesa cattolica, tuttavia, una pronuncia italianizzante del latino fu via via sempre più consigliata, sebbene gli studi di

Fred Brittain[35] abbiano mostrato che la diffusione di questo tipo di pronuncia non era ancora del tutto consolidata alla fine del

del latino anche nella liturgia cattolico-romana rifletteva la pronuncia del latino utilizzata localmente in altri ambiti (accademico, scientifico, giuridico, etc.). Il

X raccomandò ai Paesi cattolici

venne normalmente interpretato come un invito a fare della pronuncia "romana" lo standard di pronuncia del latino per ogni ministro di culto cattolico che celebrasse un

atto liturgico con la presenza di una assemblea, si trattasse della

ecclesiastica "romana" divenne da allora la più diffusa nella liturgia cattolica, e fu anche la pronuncia preferita dai cattolici anche al di fuori della liturgia. La

accademia di latinità

Al di fuori dell'Italia e della liturgia cattolica, la pronuncia ecclesiastica è utilizzata soltanto nel canto

(sebbene vi siano anche delle eccezioni, come l'

all'ecclesiastica è stata utilizzata anche nel film

Page 15: Scrittura e Pronuncia Del Latino

una resa dei brani musicali filologicamente più attendibile, tuttavia, porta spesso a rivalutare le pronunce regionali del latino, e ad eseguire i testi musicati come li

avrebbe pronunciati l'autore o l'esecutore per il quale erano stati scritti.

In Italia, a differenza del resto del mondo (escluse alcune scuole cattoliche all'estero), la pronuncia ecclesiastica è tuttora insegnata nella maggior parte dei

le seguenti regole:

A: /a/; è la semplice a. Esempi: aqua /'akwa/.

B: /b/; è la semplice b. Esempi: bibo /'bibo/.

C: /k/, /tʃ/; ha la stessa pronuncia che ha in italiano: se davanti a a, o, u è

pronunciata /k/, come la c dura di casa, se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /tʃ/,

come la c dolce di cena. Esempi: cervus /'tʃɛrvus/; canis /'kanis/; caelum /'tʃɛlum/.

D: /d/; è la semplice d. Esempi: dolum /'dɔlum/.

E: /e/, /ε/; è la semplice e, aperta o chiusa. Esempi: ver /'vεr/; elephas /'ɛlefas/.

F: /f/; è la semplice f. Esempi: fero /fεro/; efficio /ef'fitʃio/.

G: /g/, /ʤ/; ha la stessa pronuncia che ha in italiano: se davanti a a, o, u è

pronunciata /g/, come la g dura di ago, se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /ʤ/, la

g dolce di gelo. Esempi:gerere /'ʤεrere/; gaudeo /'gawdeo/.

H: muta: non ha suono. Esempi: hirundo /i'rundo/; mihi /mi(:)/;

I: /i/, /j/; se ad inizio parola seguita da vocale, o se intervocalica, si legge come

semiconsonante /j/ (come in jena), altrimenti come i vocalica normale. Nel

gruppo ti+vocale a volta è letta come vocale, altre come semiconsonante.

Esempi: Iulius /'juljus/; ratio /'rat:sjo/ o /rat:sio/; video /'video/; iniuria /i'njurja/.

K: /k/; è la c dura di cane.

L: /l/; è la semplice l. Esempi: lupus /'lupus/; alter /'alter/.

M: /m/; è la semplice m. Esempi: manus /'manus/; immo /'im:o/.

N: /n/, /ɱ/, /ŋ/; se davanti a vocale o a consonante dentale (t; d; s; z; l; r; c /tʃ/; g /ʤ/)

è la /n/ normale di nano (esempi: nugae /'nuʤe/; intereo /in'tɛreo/; incido /in'tʃido/);

se davanti a consonante labiodentale (f; v) diviene la corrispettiva nasale labiodentale

(ɱ/, come in infinito; esempi: infinitas /iɱ'finitas/); se davanti a consonante velare

(c /k/, k, g /g/) diviene la corrispettiva nasale velare (ŋ/, come in vinco;

esempi: angustus /aŋ'gustus/).

O: /o/, /ɔ/; è la semplice o, aperta o chiusa.

Esempi: ora /'ɔra/; volo /'vɔlo/; cano /kano/.

P: /p/; è la semplice p. Esempi: Paris /'paris/; Alpes /'alpes/.

Q: /k(w)/; come in italiano, è pronunciata come labiovelare, come in quadro.

Esempi: qua /'kwa/.

R: /r/; è la semplice r. Esempi: ros /'rɔs/; pirum /'pirum/.

Page 16: Scrittura e Pronuncia Del Latino

S: /s/, /z/; se ad inizio parola o attigua ad una consonante, è la s sorda (/s/, come

in sole); se intervocalica o seguita da consonante sonora è la s sonora (z/, come in

casa). Esempi: sal /'sal/;rosa /'rɔza/; praesto /'prɛsto/; Lesbos /'lɛzbos/.

T: /t/; è la semplice t. Esempi: timeo /'timeo/; raptatus /rap'tatus/; quando T è

seguita da I e un'altra vocale, viene pronunciata come la z italiana sorda /ʦ/.

Esempi: lectio //'lɛkʦjo/, patior/'patʦjor/. La regola non viene rispettata, e la T torna a

pronunciarsi /t/ quando è preceduta da S o X o quando la I è accentata.

U: /u/, /w/: si pronuncia come u semiconsonantica (/w/, come in uovo) dopo la q e nei

dittonghi au ed eu; si legge come vocale (u/) negli altri casi.

Esempi: qui /'kwi/; uva /'uva/; aurum/awrum/; urbs /'urbs/.

V: /v/; si pronuncia come semplice v. Esempio: vinum /'vinum/.

X: /ks/; è la doppia consonante x, come in xilofono; esempio: rex /'rεks/. Normalmente

veniva prescritta una pronuncia /gz/ quando la consonante si trovasse tra due vocali;

esempio:exemplum /eg'zεmplum/.

Y: /i/; è letta come semplice i. Esempio: hypnosis /ip'nɔzis/.

Z: /dz/; è la z sonora di zaino. Esempio: orizon /o'ridzon/.

Inoltre:

PH: /f/. Esempi: philosophia /filo'zɔfja/; Sappho /'saffo/.

TH: /t/. Esempi: thesaurus /te'zawrus/.

CH: /k/. Esempi: Chaos /'kaos/.

GN: /ɲ/; è la gn di ragno. Esempi: gnosco /'ɲɔsko/; agnus /'aɲus/.

TĬ seguito da vocale: /tsj/; è la z aspra di pizza seguita da una i semiconsonantica.

Esempi: otium /ɔt:sjum/; gratiis /'grat:sjis/.

SC: /sk/, /ʃ/; si pronuncia esattamente come in italiano: se davanti a a, o, u è

pronunciata /sk/, se davanti a i, e, ae e oe è pronunciata /ʃ/, come la sc molle di sciare.

Esempi: scio /'ʃio/.

AE e OE: /ε/, /e/. Esempi: caelum /'tʃɛlum/; poena /'pɛna/.

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/dultʃia/ - ma non /'dultʃa/ - nella pronuncia ecclesiastica), oltre che davanti ai dittonghi oe ed ae;

: class. /'thule/, eccl. /'tule/); il terzo era invece pronunciato /kh/, per poi passare semplicemente a /k/ (Christus:

; inoltre nell'ecclesiastico il fonema /j/ può essere usato anche per pronunciare le i seguite da vocale ma precedute da consonante,

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; this is admittedly the value of φ, θ, χ in late Greek, but it had not yet developed by classical Latin times». Una prova del fatto che in epoca ellenistica le lettere greche φ, θ, χ non fossero ancora pronunciate come fricative può essere trovata nell'alfabetocopto (che in realtà è un alfabeto greco adattato per trascrivere l'omonima

): in copto le lettere θ, φ, e χ sono utilizzate nella legatura di /t/, /p/ e /k/ con /h/ o /x/, ma mai come fricative (il copto aveva i suoni /f/ e /x/, ma li trascriveva con altri simboli, derivati da alfabeti precedenti). Oltretutto, è abbastanza improbabile che da consonanti fricative si sia arrivati a delle occlusive, mentre ciò diventa molto più plausibile se si parte direttamente da delle aspirate.