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Istinto di piacere A. McIntyre - C. Featherstone - J. Bacarr © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion marzo 2009 Prima edizione Harmony Passion giugno 2009 Prima edizione Harmony Passion luglio 2009 Questa edizione Harmony Special Edition gennaio 2012 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. Il diario di Cozette 7 8 9 10 25 agosto 11 17 settembre 12

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A. McIntyre - C. Featherstone - J. Bacarr

Istinto di piacere

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Diary of Cozette

Addicted Cleopatra's Perfume

Spice Books Spice Books Spice Books

© 2008 Pamela Johnson © 2009 Charlotte Featherstone

© 2009 Jina Bacarr Traduzioni di Alessandra De Angelis, Barbara Serra/Grandi & Associati

e Andrea Marti/Grandi & Associati

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion marzo 2009 Prima edizione Harmony Passion giugno 2009 Prima edizione Harmony Passion luglio 2009

Questa edizione Harmony Special Edition gennaio 2012

HARMONY SPECIAL EDITION ISSN 1722 - 067X

Periodico bimestrale n. 86 del 4/01/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 102 del 24/02/2003 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Il diario di Cozette

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Prologo

Devo fare una premessa. Benché sia una donna di umili origini, mi considero molto ricca... intimamente ricca. Infatti possiedo una fortuna di cui molte donne della mia epoca non godono. Mi riferisco a quelle, e sono tante, che non traggono alcun piacere dal talamo nuziale. Credo che proprio per loro sia stata coniata l'espressione doveri coniugali per definire un aspetto della vita matrimoniale che non è affatto un dovere, almeno per quel che mi riguarda! Però il mio viaggio verso la libertà e il piacere non è stato fa-cile. Anzi, la via che ho percorso è stata costellata di buche, sa-lite impervie e ripide discese; spesso ho camminato sull'orlo di un precipizio e ho rischiato di precipitare in un baratro senza fondo o di perdere la strada. Devo ammettere che il pericolo mi ha sempre provocato un brivido di eccitazione e ho avuto spesso il sospetto di essere una donna insolita per la mia società, in cui la patina esterna delle convenzioni e dei formalismi ipocriti nasconde vizi, mor-bosità e perversioni di ogni genere, come vermi sotto un sasso. A volte mi meraviglio di essere sopravvissuta ed essere uscita re-lativamente intatta dalle prove a cui mi ha sottoposto questo mondo. È con orgoglio che posso affermare di non essermi mai fatta plagiare, di non aver ceduto a chi voleva assoggettarmi. È stato proprio il mio carattere indomito a salvarmi, forse. Quando sono arrivata a casa di Robert e Virginia Archibald ero giovanissima. Sono stata al loro servizio per oltre dieci anni e ho imparato molto; ho avuto da loro ben più di un tetto sopra la testa, un piatto caldo e un letto in cui riposare. Questa è la mia vita, e in questo diario racconto la mia storia, le avventure e

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gli episodi che hanno contrassegnato la mia crescita, la mia tra-sformazione da ragazzina a donna in ogni senso della parola. Non tutti i ricordi sono piacevoli, e la luce di alcuni si è affie-volita nel tempo come quella di una stella morente, ma altri momenti sono impressi in maniera indelebile nella mia memoria e mi riscaldano il cuore e il corpo come un buon brandy. Non solo era sconveniente, secondo le convenzioni dell'epo-ca, che una donna si abbandonasse ai piaceri della carne, ma era proibito per una servetta come me parlare delle tresche che ve-deva o a cui partecipava. In privato è accettabile che noi donne godiamo dei momenti di passione all'interno del vincolo coniu-gale, ma prima delle nozze siamo considerate creature senza e-sigenze né desideri. Perché mai solo gli uomini dovrebbero esse-re passionali? O è una bugia che la società ci voleva far credere? Per alcuni potevo essere considerata una zitella all'età in cui scrivevo le mie memorie. A diciassette anni, non ero né sposata né fidanzata. La dice lunga sul mio carattere forte e indipenden-te il fatto che io continui a esserlo per scelta, non per mancanza di pretendenti. Uno o due dei miei spasimanti si sono graziosa-mente offerti di prendermi in moglie per fare di me una donna rispettabile. Però il mio cuore non era puro. Sono sempre stata incline ad assaggiare il frutto delizioso del peccato, ma il gusto di buona parte degli uomini che ho conosciuto non mi ha appa-gato. Negli occhi di molti ho visto di sfuggita il riflesso del mio uomo ideale, ma ci sono voluti anni, e un inaspettato scherzo del destino, per farmi trovare un uomo alla mia altezza, che po-tesse tenermi testa e accettare la donna passionale che sono. Sì, sono schiava delle mie passioni, una ribelle sfrontata, co-me non mancavano di farmi notare quell'arpia di mia zia e l'or-rida direttrice dell'orfanotrofio in cui ho vissuto per un breve pe-riodo. Sono profondamente consapevole della potenza e dell'inten-sità della mia sensualità, e non mi vergogno ad ammettere che preferisco ricevere piacere dal corpo di un uomo piuttosto che procurarmelo per mano mia. In entrambi i casi raggiungo lo sco-po desiderato, ma adoro talmente la fragranza virile della pelle di un uomo che non posso farne a meno! La passione, ai miei tempi, era un piacere riservato agli uomi-ni, che fossero sposati o meno. È comunemente accettato che l'uomo abbia dei bisogni carnali da soddisfare; anzi, il suo appe-

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tito sessuale è considerato una prova del suo vigore e della sua prestanza fisica. Per contro, la sensualità femminile non solo è considerata una stranezza, ma addirittura viene ritenuta da molti una qualità inesistente, inutile. La donna a letto deve pensare solo al piacere del marito e al fine ultimo della procreazione, ba-sta. Le donne perbene, a cui sono stati inculcati i precetti a cui conformarsi per divenire mogli ideali, spesso guardano con di-sprezzo quelle che si ribellano ai dettami della società che ci vorrebbe tutte pupattole scialbe, miti e prive di desideri. Una donna perfetta per la buona società è colei che si diletta nella lettura, che sa suonare il piano, ricamare, conversare amabil-mente ma solo con altre donne, e non dimostra mai di saperne più di un uomo. Se poi è impegnata in opere caritatevoli e par-tecipa agli eventi mondani più di rilievo, tanto di guadagnato. Cosa vogliamo dire della moglie che resta ad attendere il ma-rito che è in viaggio per presunti affari? Che donna degna di lo-de! Ho conosciuto le ragazze che i bravi mariti vanno a trovare in segreto... Per molto tempo non ho posseduto nessuna delle qualità che ho elencato, ed ero considerata meno accettabile dello sterco di cavallo. Ma sono sopravvissuta, grazie alla mia padrona e alla sua incredibile gentilezza e generosità. È lei che mi ha plasmato e mi ha tirato fuori della misera esistenza ai bordi della strada, per rendermi una donna dignitosa. A dispetto delle rigide con-venzioni sociali, sono stata fortunata ad avere con la mia padro-na un bel rapporto. Leale, zelante e instancabile, ho servito con impegno lord e lady Archibald per anni. Sono stata vicina alla mia padrona nei suoi momenti difficili e il nostro legame è più intimo e forte di quello di tante domestiche con i loro datori di lavoro. Ogni incontro, ogni nuova conoscenza ha rappresentato una pietra miliare sul cammino della mia crescita, personale e sessu-ale. Ogni uomo che ho avuto la buona sorte di conoscere mi ha reso più saggia e mi ha permesso di vedere più profondamente nell'animo umano, in primo luogo nel mio. Non è stata un'esi-stenza malvagia per una giovanetta che ha dovuto trovare la sua strada da sola. Ma non devo divagare. Permettetemi di cominciare le mie memorie presentandomi. Il mio nome è Anne Cozette Bennett;

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sono nata in un'umile famiglia di Manchester, minore di sette figli. Mio padre perì in un incidente in miniera. I miei fratelli mo-rirono tutti di colera, come mia madre. Spesso mi chiedo perché la malattia abbia risparmiato solo me. Questo è il mio diario che contiene i ricordi di una vita piena di passione ma anche di prove ardue e intrighi. Ho frequentato per molti anni un ambiente saturo di contraddizioni, con nobil-tà, educazione e serietà esteriori, e vizi segreti. Nonostante ciò sono cresciuta, sono migliorata, mi sono formata come una sta-tua creata dal marmo grezzo, e ho gustato i frutti proibiti che hanno reso la mia vita più interessante, come vedrete. Ho pensato spesso che prima o poi giungerà il momento in cui qualcuno sarà affascinato dalla mia storia e leggerà con dilet-to le pagine vergate da una giovane e semplice servetta di nome Cozette. È per questo che ho insistito a scrivere il mio diario, sapendo che è ciò che mia madre avrebbe voluto. Darei qualsiasi cosa affinché potesse leggere lei stessa le mie memorie. Non me ne vergogno; ho fatto sempre il mio dovere e ho preso le mie decisioni. Non rinnego nessuno degli episodi che ho vissuto, e alterarli in qualche misura per renderli più gradevoli ai lettori sensibili sarebbe come derubarmi della mia natura, negare quella che sono. Colui che mi è più caro tra tutti gli amanti che ho avuto, mentre eravamo intenti a conversare nel suo letto, mi ha detto che per andare avanti non si può dimenticare il proprio passato, ma occorre accettarlo completamente, farlo proprio. Perché è il mio passato che mi ha reso la donna che sono oggi e che lui ama. Oltre a essere appassionato, sensuale e pieno di talento erotico, il mio amato è anche molto intelligente e sensibile, e devo ammettere che ha ragione. Se i vostri sensi, ottenebrati dalle tensioni e dai crucci della vita, anelano a essere risvegliati alla passione, spero trovino ap-pagamento nel leggere il resoconto della mia giovinezza e ven-gano infiammati dal fuoco del mio spirito vivace e indomito. Cozette

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25 agosto Fra qualche mese compirò quattordici anni. Mia madre mi ha in-formato che ha deciso di mandarmi dai miei zii perché lei non ha più la forza di occuparsi di me. L'ho supplicata di lasciarmi stare con lei. Separarci mi sembra una crudeltà infinita. Dopotutto siamo rimaste io e lei. Abbiamo seppellito mio padre e i miei fratelli, tutti tranne uno, Everett, che però in questo momento lotta tra la vita e la morte. «Mamma, ti prego, posso aiutarti ad aver cura di Everett. Non hai pensato a cosa potrebbe succedere se ti ammalassi anche tu?» obiettai quando mi annunciò la sua decisione. «Basta discutere, Anne Cozette. Ho già scritto agli zii e ho invia-to loro un po' di soldi, quelli che sono riuscita a racimolare, per an-ticipare le spese che sosterranno per te. Ti aspettano alla fine di questa settimana. C'è una carrozza che parte venerdì mattina, e tu la prenderai.» Mentre parlava, passava in rassegna il mio vestiario, in cerca di punti da rammendare o modifiche da apportare. Buona parte del mio guardaroba era composto da abiti della mia sorella maggiore che mi erano stati passati in seguito alla sua dipartita. Io, caparbia, continuai a implorare e a supplicare finché, sfinita, mia madre si accasciò sul bordo del letto, con i pugni chiusi al pet-to, scossa da penosi singhiozzi. Io mi inginocchiai accanto a lei per stringerla tra le braccia e consolarla come potevo, e lei mi guardò, con gli occhi rossi e gonfi di pianto. «Purtroppo non vedo altro modo, Anne. Non c'è alternativa. Ho visto i miei figli andarsene a uno a uno. Tu sei l'ultima che mi sia

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rimasta e, grazie a Dio, sei ancora in buona salute. Sei tutto ciò che ho e voglio essere sicura che tu sopravviva. Se resterai qui, non c'è speranza neanche per te. La malattia è dappertutto... non dà scampo.» La guardai negli occhi e capii che la mia infanzia era finita. Per la prima volta compresi il punto di vista lucido e obiettivo di mia madre. Fu come se dentro di me qualcosa si fosse liberato di col-po, come una nave che scioglie gli ormeggi e si stacca dalla ban-china, per allontanarsi dal rifugio sicuro del porto. Mia madre mi stava donando di nuovo la vita, consegnava la mia libertà nelle mie mani. Prima della mia partenza, mi regalò un quadernino con le pagi-ne bianche. «Mi è stato regalato quando mi sono sposata. Avrei dovuto annotarci i ricordi dei momenti più belli della mia vita co-niugale, ma non ho mai avuto modo di scriverci, tra i bambini da allevare e il marito da accudire. Prendilo tu. Tua zia è una donna molto seria, che comprende l'importanza di un'istruzione adegua-ta. Penserà lei a darti l'occorrente per scrivere, così potrai tenere un diario delle tue avventure. Quando avrai imparato a scrivere, spero che avrai il tempo di mandarmi qualche lettera. Mi farebbe tanto piacere! E ricorda una cosa, figlia mia, sto facendo tutto questo solo perché ti voglio bene» dichiarò, commossa. Stringendo al cuore il mio diario, mi aggrappai a quelle ultime parole e me le ripetei nel segreto del mio cuore, mentre la carrozza mi portava via dall'unico mondo che conoscevo e da tutto ciò che mi era familiare, che era mio. Cozette 17 settembre Sono stata molto impegnata con i miei studi. Come aveva predetto mia madre, la zia Eleanor è una donna molto severa. Le interessa che io abbia un'istruzione, questo non si può negare, ma quando non studio devo aiutare la sua domestica, benché mi siano asse-gnate incombenze molto semplici. Non mi dispiace lavorare, per-ché non ho il tempo per pensare; però non mi lascia neanche ab-bastanza tempo libero per scrivere, e questo mi secca, perché vor-rei perfezionare la mia scrittura. Contrariamente a me, mio cugino Edward, che ha tre anni di più, è sempre libero di fare quello che vuole, solo perché è ma-

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schio. Il suo passatempo preferito è tormentare i poveri uccellini indifesi. Una volta l'ho sorpreso mentre stava per affogare un gat-tino per puro divertimento. Quando mi ha intimato di non dire una parola sull'argomento, il luccichio malvagio che aveva nello sguardo è stato un chiaro avvertimento. Mi ha fatto capire che a-vrei fatto bene a tenermi il più lontana possibile da lui. Cozette 28 settembre Sono disperata, perché potrei anche sopportare le condizioni in cui mi trovo a vivere se solo mia zia non fosse tanto cieca. Sono a ca-sa sua solo da qualche settimana, ma ho già potuto constatare che le regole che valgono per me non sono le stesse che vengono ap-plicate al mio caro cugino Edward. Eppure mia zia insiste a soste-nere che ho una malvagia influenza sulla famiglia. Non pretendo di essere considerata una ragazza modello e am-metto che talvolta sono incline a ribellarmi, ma il termine malva-gia implica un'intenzione maligna e perfida da parte mia, il che non è vero. Non sono mai stata ostile di proposito e non sarei mai sgarbata con nessuno, se non per la mia sopravvivenza. È vero, la mia natura tende a cercare la sfida e la provocazione, ma tale at-teggiamento deriva dal fatto che, essendo l'ultima nata, ho sempre dovuto lottare per attirare l'attenzione su di me. Tuttavia, in que-st'episodio sgradevole, non ho alcuna colpa, benché mi sia stata attribuita. Spero che mia zia mi permetterà di inviare una lettera al-la mamma, perché vorrei raccontarle quello che mi è capitato, ma fino ad allora registrerò l'accaduto su queste pagine, a futura me-moria. Qualche giorno fa mi ero rintanata nella casetta sull'albero in giardino, piantato al bordo di un'aiuola. Non pensavo che ci fosse qualcosa di male a starmene lì a leggere in santa pace. Mio cugino Edward è un bel ragazzo, ma la sua avvenenza è una patina di colore che copre un legno marcio. Forse sono stati i suoi privilegi a ottenebrare la sua ragione, non so; resta il fatto che le sue azioni non sono mai quelle che ci si aspetterebbe da una persona educata e sensibile. Mia zia insiste sempre che, dopo aver assolto ai miei obblighi domestici, legga il più possibile per migliorare la mia istruzione, ed è quello che stavo facendo. Secondo lei, essere istruita mi aiuterà a

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uscire dagli abissi sociali in cui sono nata e mi farà diventare una fanciulla educata, degna di lei e della sua famiglia. Le credo, anche se suo figlio non mi sembra migliore, nonostante non sia di umili natali. Edward salì sull'albero ed entrò nella casetta senza chiedere permesso. Sorrideva, ma i suoi occhi tradivano la malizia e i pro-positi disonesti. «Che leggi?» Si sedette accanto a me, occhieggiandomi in modo che trovai decisamente fastidioso e imbarazzante, poi tirò fuori della tasca un mazzetto di cartoline consunte. «Guarda qua che cos'ho...» Ammiccò, mettendomi le cartoline in grembo. Io continuai a tenere lo sguardo fisso sul libro, sperando che se lo avessi ignorato si sarebbe stancato di tormentarmi e se ne sa-rebbe andato. Invece lui insistette, e spinse le cartoline sul libro, coprendomi la pagina. Quando vidi le figure, non riuscii a trattene-re un sussulto scandalizzato: erano delle immagini in bianco e ne-ro di donne in pose discinte, mollemente distese su letti o sedute a gambe divaricate a cavallo di una sedia. Alcune erano coperte da veli così sottili che celavano a malapena le parti intime. Ero sicura che sua madre non sapesse nulla della collezione privata di Ed-ward, altrimenti gliel'avrebbe fatta pagare cara. Orgoglioso come se mi stesse mostrando un trofeo di caccia, le sfogliò a una a una. Io ero rigida, combattuta tra disprezzo e cu-riosità, mentre mi chiedevo perché mi stesse mostrando quelle fo-tografie indecenti. «Un compagno di scuola le ha prese di nascosto al padre. Io le trovo interessanti. Tu no, cugina?» Evitai di dirgli cosa pensavo di lui e delle sue foto sconce. «Vor-rei continuare a leggere, se non ti dispiace.» Speravo di essere stata abbastanza ferma, ma Edward non si lasciò dissuadere. «Secondo me, un giorno sarai desiderabile come queste belle si-gnorine» disse rimettendo le cartoline in tasca mentre mi scrutava avidamente. «Anche se sei ancora acerba e hai vissuto di stenti, sei graziosa. Un po' magra, forse, ma hai tutto quello che serve a soddisfare un uomo. Il mio amico dice che anche se una ragazza non è bella non importa, tanto può procurare piacere ugualmente.» Io mi scostai, perché i suoi modi mi avevano fatto capire che il discorso stava prendendo una piega che non mi piaceva affatto, anche se non comprendevo esattamente cosa comportasse il pro-curare piacere, come aveva detto lui.

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«Mia cara cugina, non ti torcerei un solo capello, lo sai bene. Però, essendo sveglio di intelletto, sono anche curioso di natura. Inoltre, avrai notato che sono un maschio sano e vigoroso, con degli appetiti del tutto normali.» Mi voltai per posare lo sguardo sugli alberi che si intravedevano attraverso l'apertura della casetta, mentre riflettevo su come fare a sfuggire a quel colloquio che mi metteva a disagio; un brivido mi corse lungo la schiena quando mi resi conto che eravamo a una certa distanza dalla casa e che Edward mi bloccava l'unica via di fuga. Si avvicinò sempre di più, finché mi trovai stretta tra lui e la pa-rete di legno. Cercai di divincolarmi, ma lui si premette contro di me, intrappolandomi. «Hai mai toccato un vero uomo?» mi bisbigliò sfiorandomi una guancia con le labbra. La domanda era così assurda che abbassai lo sguardo e mi la-sciai sfuggire una risatina che esprimeva i miei dubbi sulla sua viri-lità. Lui rimase in silenzio e io osai guardarlo. La sua espressione cupa mi riempì di terrore. Prima che potessi muovermi, mi afferrò una mano e se la premette sull'inguine per farmi sentire il suo membro virile. Tenendomi saldamente la mano, se la strofinò ad-dosso. Il suo viso, che di solito era pallido, divenne paonazzo. Lo sentivo inturgidirsi sotto la stoffa dei calzoni. «Visto che hai fatto, ragazzina perversa?» dichiarò in tono di sfida. «Anche se gridi, cugina, dirò che sei stata tu a toccarmi e che hai tentato di sedurmi. La mia adorata mammina ti considera già una presenza fastidiosa e ingombrante in questa casa. Preferi-rebbe di gran lunga sbatterti via piuttosto che pensar male del suo figlioletto.» Tentai di sottrarre la mano, ma lui mi afferrò alla nuca e mi die-de un bacio sulle labbra con forza, continuando a bloccarmi la ma-no dov'era. Avrei voluto gridare e chiedere aiuto, ma ero paralizza-ta dal terrore mentre mi chiedevo se fosse vera la minaccia. Mia zia mi avrebbe veramente scacciata? Mi infilò la lingua in bocca e io girai la testa, poi cominciai a di-battermi, cercando di sottrarmi a quel contatto sgradevole. Lui mi schiacciò distesa sulle assi del pavimento della casetta, coprendo-mi con il suo corpo. Sentii una zaffata del suo sudore mentre cer-cava di sollevarmi la gonna con una mano. Siccome mi agitavo tanto da impedirgli di toccarmi, si strusciò contro il mio ventre, fa-

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cendomi sentire chiaramente tutto il turgore della sua virilità. Mi vergogno a scrivere quello che mi disse poi, ma devo farlo per dovere di completezza. «Fermati e apri le gambe, puttana» ringhiò. Io aprii la bocca per gridare ma lui me la tappò con la mano lu-rida, continuando a spingere in avanti il bacino. Invasa dall'orrore e dal disgusto, fissavo impotente il suo viso rosso stravolto dalla frenesia di quel comportamento animalesco. Rimasi immobile e smisi di lottare, trasformandomi in una specie di bambola di pez-za, inerme e priva di volontà, quando mi resi conto che se avessi denunciato il sopruso nessuno mi avrebbe creduto. Agli occhi cie-chi dei suoi genitori, lui era un figlio modello. Dalla casa arrivò la voce acuta e stridula di mia zia che lo chia-mava. «Non c'è tempo» sbuffò lui, facendomi sentire il suo membro rigido. «Ma la pagherai cara, cugina, per non avermi assecondato. Te lo giuro.» Chiusi gli occhi, sperando che i richiami di sua madre lo indu-cessero a fermarsi. Temevo che la minima reazione da parte mia lo inducesse a procurarmi danni ancora maggiori, perciò rimasi ferma, con le lacrime che bruciavano contro le palpebre serrate, mentre lui mi premeva contro l'inguine con un movimento irregolare e sempre più rapido. Continuò a strofinarsi contro di me finché ebbe un sussulto, emise un gemito soffocato e ricadde sul mio corpo sospirando. Io ero pervasa da un sudore freddo e tremavo per la paura. Edward mi sussurrò un'ultima minaccia all'orecchio. «Con il tempo, cugina, imparerai a compiacere meglio un uomo.» Appena si sollevò leggermente ne approfittai. Gli misi le mani sul petto e lo spinsi via con tutta la forza che avevo, poi mi gettai verso la scaletta di corda e scesi annaspando e inciampando, ma senza fermarmi. Preferivo rischiare di rompermi l'osso del collo pur di non farmi riacciuffare. La risata beffarda di Edward mi risuonava nelle orecchie. Quando toccai terra, lui si affacciò e mi sorrise soddisfatto, con aria crudele. «Nessuno ti crederà, Cozette. Vieni dal fango e fango resterai sempre» mi disse in tono di scherno. Io corsi via e mi nascosi nel bosco vicino. Quando fui abba-stanza lontana mi fermai, mi appoggiai al tronco di un albero e vomitai la colazione, poi mi soffermai a riflettere sulle possibilità

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che avevo. Volevo denunciare il suo comportamento osceno e vil-lano: non poteva cavarsela impunemente. Ancora scossa e senza fiato, giurai a me stessa di non trovarmi mai più in una posizione simile e di non essere più così vulnerabile e indifesa. Ma lui fu furbo a prevenire ogni mia mossa e disse subito ai ge-nitori che io mi ero spogliata davanti a lui e avevo cercato di se-durlo. Che faccia tosta! «È stato molto imbarazzante, madre» disse a mia zia davanti a me, che ero stata mandata a chiamare. «Non volevo offenderla con un atteggiamento sconveniente, ma non sapevo come comportar-mi davanti a tale approccio. Non ho mai visto una ragazza senza niente addosso e quando ha...» «Basta! Ho capito» lo bloccò zia Eleanor in tono secco, solle-vando una mano. «Dovete credermi, madre. L'ho trattata con lo stesso riguardo che le avete dimostrato voi, consapevole delle circostanze sfortu-nate che l'hanno portata a casa nostra.» Io fissavo quel verme schifoso e bugiardo con disgusto e indi-gnazione, incapace di credere che nelle sue vene scorresse il mio stesso sangue. «Anne Cozette, cos'hai da dire a tua discolpa davanti a simili accuse?» mi apostrofò zia Eleanor, fissandomi severa, a braccia conserte. «Con tutto il dovuto rispetto, zia, quello che sostiene il cugino Edward sono solo falsità...» L'espressione autoritaria di zia Eleanor si trasformò in uno sguardo indignato. Io cercai di non farmi intimorire e proseguii imperterrita. «Ero in-tenta a leggere, nella casetta sull'albero, quando lui è venuto a provocarmi e mi ha assalito, buttandosi addosso a me con cattive-ria e prendendosi delle libertà contro la mia volontà» lo accusai con fermezza, lanciandogli delle occhiate severe e sperando che fosse punito come meritava per il suo atteggiamento oltraggioso e sconveniente. «Non può essere vero» obiettò mia zia. «Edward non sarebbe mai capace di un simile comportamento riprovevole. Ti consiglio di confessarmi immediatamente cos'è accaduto veramente, oppure sarò costretta a prendere dei provvedimenti riguardo al tuo futuro. Frederick, hai sentito che cosa ha detto tua nipote su nostro fi-

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glio?» concluse, indignata, rivolgendosi al marito. Mio zio era rimasto in silenzio durante quello scambio di battu-te, estraniato dal discorso. Aveva continuato a bere il tè e a leggere il giornale. Chiamato in causa, non disse una parola in mia difesa, ma si limitò ad annuire stancamente prima di tornare a dedicare la sua attenzione al giornale. Le possibilità che avevo di far credere a zia Eleanor la verità si assottigliavano di minuto in minuto, perciò decisi di giocarmi il tutto per tutto. «Non inventerò una storia per compiacervi e permettervi di i-gnorare il carattere perverso e malvagio di vostro figlio, zia Elea-nor» dichiarai. «Vi ho detto la verità e non ho altro da aggiungere.» Edward fece una smorfia e giunse le mani in segno di preghiera, poi rivolse alla madre i suoi occhioni innocenti, recitando la parte del figlio devoto. «Sei solo una piccola strega linguacciuta» sibilò mia zia. «Appe-na hai messo piede in casa mia, ho capito subito che da te non a-vrei avuto altro che guai. Però mi sono sforzata di allevarti come si deve, e ci ho messo zelo e impegno, in memoria del tuo caro pa-dre. Ora mi rendo conto che permetterti caritatevolmente di conti-nuare a vivere sotto lo stesso tetto di mio figlio metterebbe in peri-colo la sua crescita e la sua educazione, cosa che non posso accet-tare. Perciò non mi dai altra scelta se non quella di mandarti via. Spero solo che un giorno imparerai a comportarti in modo tale da diventare una persona rispettabile in società.» Davanti a quel verdetto ebbi un tuffo al cuore. Che ne sarebbe stato di me?, fu il mio primo pensiero. «Non potete farmi questo, zia!» protestai. «Non ho fatto nulla di male per provocare un simi-le comportamento da parte di Edward, dovete credermi!» «Frederick!» esclamò zia Eleanor, chiamando in causa il marito in tono autoritario. Mio zio fu costretto a malincuore ad alzare lo sguardo verso di me. Nel vederlo scontento ma rassegnato, capii che non aveva al-tra scelta: doveva accontentare quella megera di sua moglie o gli avrebbe fatto passare le pene dell'inferno. In un lampo, mia zia organizzò la mia partenza e trovò un po-sto che mi avrebbe accolto, adducendo come pretesto del mio im-mediato allontanamento da casa sua il fatto che ero ribelle e indi-sciplinata, e avevo fatto ricorso a ogni mezzo illecito per corrom-pere il suo prezioso figlioletto. Mi informò che sarei stata mandata

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in un orfanotrofio i cui proprietari esercitavano un severo controllo sulla condotta dei residenti, rispettando un rigoroso codice morale. «Forse riusciranno a insegnarti le buone maniere, cosa in cui io ho fallito» furono le sue ultime parole. Dietro di lei, Edward sogghignava soddisfatto con aria maligna e beffarda. La carrozza mi condusse via e la mia misera consolazione fu che avevo avuto la forza di trattenere le lacrime per non farmi veder piangere da quel lurido verme. Cozette