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Un fiume che è una leggenda. Un corso d’acqua fantasma che si muove nelle viscere di Napoli. Sono mille i misteri del Sebeto, un mito magico e inossidabile di Neapolis che ancora oggi fa parlare di sé. Nel cuore del city. Il Centro Direzionale. di LAURA CIOTOLA Non solo antiche mura di città esistite in altre epoche si nascondono nell’entroterra di Napoli. Non solo cadaveri di celebri personaggi del passato sono stati misteriosamente inghiottiti dal sottosuolo partenopeo. Nel XIV secolo c’era un fiume a Napoli, che scendeva dal Monte Somma per attraversare Casalnuovo, Volla e Ponticelli fino a Napoli dove si diradava in due direzioni, per sfociare l’una al Ponte della Maddalena, l’altra alla collina di Pizzofalcone. Questo fiume non c’è più. Sparito. Scomparso. E’ il caso di dirlo: inghiottito dalla stessa terra sulla quale, un tempo, faceva bella mostra di sé. Viene il dubbio che il Sebeto sia esistito solo nelle leggende popolari che lo vedono in eterna lotta con il Vesevo, il fuoco, per ottenere il predominio del territorio. E forse basterebbe una leggenda a ricordarlo se non fosse che la stessa Napoli, che lo ha nascosto tra le sue tenebre, quasi a volerlo anche beffeggiare, porta ancora i segni della sua esistenza. L’epigrafe in marmo di età imperiale, rinvenuta scavando nei pressi di Porta del Mercato ne è una prova. Tale epigrafe, infatti, rappresenta un tempietto in onore al Sebeto che porta la scritta “P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho” a testimonianza del fatto che P. Mevio Eutico consacrò un secello al leggendario fiume. Altra prova dell’esistenza del Sebeto si trova a Largo Sermoneta, dove una fontana che venne costruita nel 1635 dall’architetto Cosimo Fanzago per volere del Vicerè Fonseca, ancora oggi, ricorda il fiume scomparso. E tuttavia, nonostante i segni che lo vogliono come realmente esistito, potremmo ancora continuare a considerare il Sebeto come

SEBETO Un fiume che è una leggenda - raccolta articoli

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Sebeto fiume fantasma - raccolta articoli

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Page 1: SEBETO Un fiume che è una leggenda  - raccolta articoli

Un fiume che è una leggenda. Un corso d’acqua fantasma che si muove nelle viscere di Napoli. Sono mille i misteri del Sebeto, un mito magico e inossidabile di Neapolis che ancora oggi fa parlare di sé. Nel cuore del city. Il Centro Direzionale.

di LAURA CIOTOLA

Non solo antiche mura di città esistite in altre epoche si nascondono nell’entroterra di Napoli. Non solo cadaveri di celebri personaggi del passato sono stati misteriosamente inghiottiti dal sottosuolo partenopeo. Nel XIV secolo c’era un fiume a Napoli, che scendeva dal Monte Somma per attraversare Casalnuovo, Volla e Ponticelli fino a Napoli dove si diradava in due direzioni, per sfociare l’una al Ponte della Maddalena, l’altra alla collina di Pizzofalcone. Questo fiume non c’è più. Sparito. Scomparso. E’ il caso di dirlo: inghiottito dalla stessa terra sulla quale, un tempo,

faceva bella mostra di sé. Viene il dubbio che il Sebeto sia esistito solo nelle leggende popolari che lo vedono in eterna lotta con il Vesevo, il fuoco, per ottenere il predominio del territorio. E forse basterebbe una leggenda a ricordarlo se non fosse che la stessa Napoli, che lo ha nascosto tra le sue tenebre, quasi a volerlo anche beffeggiare, porta ancora i segni della sua esistenza.L’epigrafe in marmo di età imperiale, rinvenuta scavando nei pressi di Porta del Mercato ne è una prova. Tale epigrafe, infatti, rappresenta un tempietto in onore al Sebeto che porta la scritta “P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho” a testimonianza del fatto che P. Mevio Eutico consacrò un secello al leggendario fiume.Altra prova dell’esistenza del Sebeto si trova a Largo Sermoneta, dove una fontana che venne costruita nel 1635 dall’architetto Cosimo Fanzago per volere del Vicerè Fonseca, ancora oggi, ricorda il fiume scomparso.E tuttavia, nonostante i segni che lo vogliono come realmente esistito, potremmo ancora continuare a considerare il Sebeto come frutto dell’immaginazione umana se non fosse per il fatto che penne troppo illustri hanno parlato del fiume scomparso.L. Giunio Columella e Papinio Stazio furono forse i primi.Virgilio, nel VII libro dell’Eneide lo chiamò “Sebthide Ninpha” e, nell’età umanistica, Boccaccio, Pontano e Sannazzaro battezzarono il fiume che in origine era chiamato Rubeolo, con il nome di “Sebeto”.Se questo fantomatico fiume sia realmente esistito rimane un mistero, ma c’è chi giura che, negli anni ‘70, nei pressi di Gianturco, ci fosse una specie di torrente che sarebbe potuto essere un affluente del Sebeto, e che, per via del colera, all’epoca incombente su Napoli, venne sotterrato.Altre voci vogliono che il Sebeto ancora scorresse sulla terra dove oggi sorgono le “isole” del Centro Direzionale, per costruire il quale si decise di deviare sottoterra il corso del fiume. Ma l’acqua, come si sa, per passare non chiede il permesso e sembrerebbe essere proprio l’acqua del Sebeto quella sulla quale, da qualche anno, galleggia la Parrocchia Sacra Famiglia – Giuseppini del Murialdo.Molti infatti raccontano che un improvviso allagamento di case che si trovano a ridosso dello stesso Centro Direzionale avvenne proprio per lo scoppio del Sebeto, che si è probabilmente ribellato al percorso sotterraneo a cui l’uomo ha tentato di costringerlo.

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E probabilmente, il Sebeto ancora scorre nell’entroterra partenopeo reclamando la luce del giorno, in cerca di una crepa che gli permetta di riprendere il suo corso di vita misteriosamente interrotto. Chissà che quel giorno non riporti in superficie anche cadaveri e tesori scomparsi, facendo finalmente luce su altri misteri inabissati tra le tenebre della città del sole.

(13 ottobre 2009)

IL FIUME SCOMPARSO

Prof. Giovanni De Sio Cesari

 

 

Napoli è nota come la città dove scorre il fiume Sebeto: sul lungomare vi è anche una artistica fontana seicentesca  che raffigura il Sebeto e non mancano gruppi folcloristici, associazioni, teatri, imprese commerciali che si richiamano al suo nome.

 Però se domandate  a un Napoletano dove sta il Sebeto,  risponderà che non lo sa, resterà confuso, forse anche un po mortificato. Se poi cercate su una piantina di Napoli non trovate da nessuna parte un fiume di nome Sebeto, anzi  non trovate nemmeno  nessun fiume di qualunque nome: solo un stradina  fra la

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ferrovia  e il mare porta questo nome illustre: il fiume più vicino è il Sarno che scorre oltre il  versante opposto a Napoli del Vesuvio, a oltre 40 chilometri

Ma allora dove è finito questo fiume? Non pretendiamo di risolvere il  mistero, presumibilmente irrisolvibile, ma di proporre un ricognizione  se non esaustiva  almeno completa, anche se sintetica, degli aspetti storici e topografici alla cui luce poi valutare le ipotesi preposte

 

 

RICOGNIZIONE STORICA

 

Il problema del Sebeto nasce tutto da un verso dell’Eneide.Nel Libro VII Virgilio fa una specie di rassegna delle genti e dei miti dell’Italia: in essa dal verso 733-740 leggiamo

 

Nec tu carminibus nostris indictus abibis,Oebale, quem generasse Telon Sebethide nymphafertur, Teleboum Capreas cum regna teneret,        735iam senior; patriis sed non et filius aruiscontentus late iam tum dicione premebatSarrastis populos et quae rigat aequora Sarnus,quique Rufras Batulumque tenent atque arua Celemnae,et quos maliferae despectant moenia Abellae,        740

 

 

 

Nella versione italiana tradizionale di Annibal Caro:

 

Èbalo, te n'andrai, del gran Telonee de la bella Ninfa di Sebetofiglio onorato. Di costui si diceche, non contento del paterno regno,

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Capri al vecchio lasciando e i Teleboi, fe' d'esterni paesi ampio conquisto,e fu re de' Sarrasti e de le gentiche Sarno irriga. Insignorissi appressodi Bàtulo, di Rufra, di Celennee de' campi fruttiferi d'Avella.

 

Si parla quindi di un eroe mitico, Ebalo indicato come  figlio della ninfa del Sebeto  e di Telone: nei versi seguenti si accenna alle sue conquiste e si cita anche  il fiume Sarno tuttora esistente e ben conosciuto: solo quindi un vago accenno al Sebeto, una localizzazione piuttosto generica, nessuna descrizione, nessun accenno a Napoli

 A collegare il Sebeto a Napoli  sono invece due autori di poco posteriori:  Stazio e Columella

Publio Papinio Stazio,  nato a Napoli nel 40 d. C,  nelle Silvae scrive : “il Sebeto vada orgoglioso per quella che ha nutrito”

 Lucio Giunio Moderato Columella era nato invece a Cadice ma possedeva delle proprietà in Campania: scrisse un’opera unica nel suo genere ,nell’antichità,  “De re rustica”, un vero trattato di agricoltura che fece testo fino al 1700: in esso si trova scritto; “la colta Partenope è bagnata dalla benefica acqua del  Sebeto "

In tutte e due i casi quindi solo una semplice citazione,che pero ci danno la certezza storica che il Sebeto, ricordato da Virgilio, esisteva effettivamente  e che esso era a Napoli . 

 Nessuno degli antichi però ha mai cantato il fiume, la purezza delle  sue acque o l’ombrosità delle sue sponde come erroneamente viene spesso riferito.

 L’esistenza del Sebeto ci viene confermato  anche da due importanti ritrovamenti archeologici di epoca greca e romana. Il primo è  una moneta greca del V secolo a.C.  sulla quale è rappresentata  una testa

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giovanile  con un corno in fronte e con la scritta “Sepeithos”: sul retro una donna alata e la scritta : “neapolites”: il giovane dovrebbe raffigurare un dio fluviale mentre Sepeithos è verosimilmente la versione greca del nome  latino Sebetho

Di epoca romana imperiale  è invece il secondo ritrovamento:  un lapide che reca la iscrizione “P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho (P Mvius Eufychus fece ricostrure l’edicola al Sebeto) 

In conclusione:  dalle fonti letterarie e archeologiche possiamo concludere con certezza che effettivamente nella antichità doveva esserci a Napoli un fiume di una certa consistenza tale che ad esso, secondo l’usanza dei tempi, veniva  anche associata una  divinità

 

Tramontò l’Impero Romano, vennero i secoli del medioevo e nessuna altra notizia abbiamo  del fiume, nè del nome, ambedue spariti  nel nulla. Nel 1300 Boccaccio, buon lettore di Virgilio, abitò per qualche tempo a Napoli ma non trovò niente che potesse essere considerato  il Sebeto: anche lui chiese ai napoletani del tempo dove fosse mai questo fiume e. allora come oggi, i napoletani non seppero rispondere.

 Probabilmente del Sebeto non si sarebbe più sentito parlare se esso non fosse stato cantato dai due massimi esponenti dell’umanesimo napoletano, il Pontano e il Sannazzaro

 Giovanni Pontano nacque a Cerreto di Spoleto, nel 1429  ma venne poi al servizio degli Aragaonesi a Napoli, dove morì nel 1503

Nel  1496 compose la "Lepidina”, una lunga egloga che  descrive le mitiche nozze del Sebeto con la ninfa Partenope : a differenza di Virgilio la divinità del fiume è maschile ( come nei reperti archeologici) e viene connesso con l’altro mito illustre  di Napoli, la sirena  Partenope. Nella egloga compaiono anche numerosi personaggi che nei nomi e nei tratti ricordano numerose località di Napoli e dintorni: Posillipo, Mergellina, Monte Echia, Capri, Procida, Resina, il Sarno

Jacopo Sannazaro, (1457 –1530) nato e vissuto a Napoli nella “prosa XII” della sua opera più nota, la Arcadia, canta ancora il Sebeto come luogo di delizie campestri

Nè l’uno ne l’altro autore danno alcuna indicazione concreta del mitico fiume : il primo d’altra parte  canta solo un mito,  il secondo attribuisce al Sebeto un carattere di pace campestre. appunto “arcadico”  che certo

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non poteva avere un fiume che scorreva presso un affollatissima città. In seguito però gli studiosi cominciarono a  interrogarsi  dove si trovasse effettivamente il fiume il cui nome non ricorreva nella toponomastica locale e cominciarono quindi a farsi molte ipotesi, alcune veramente singolari: di esse  riferiremo pero inseguito  

Il mito del fiume andò pero sempre piu crescendo: a meta del 600  il vicere de Fonseca  commissionò al Fanzago una fontana che lo rappresentasse che si trova tuttora al largo Sermoneta ( Mergellina)  ll Sebeto viene rappresentato come un vecchio dalla barba fluente in posizione adagiata su una conchiglia tra due obelischi affiancato da due  tritoni portatori di  piccoli vasi (buccine) da cui sgorga l’acqua.

 Con l’insediamento  dei Borboni nel 1737 Napoli divenne la capitale di un regno indipendente: allora il Sebeto  cantato da Virgilio  ( che, in realtà, come abbiamo visto, lo aveva semplicemente citato ) e cantato poi dai più illustri umanisti napoletani divenne una sorta di gloria nazionale da esaltare

Si, ma dove era il fiume?

 

RICOGNIZIONE TOPOGRAFICA

Nel territorio  di Napoli non vi sono sorgenti che possano alimentare fiumi perenni: Invece vi sono, ancora facilmente riconoscibili, una serie di valloni  nei quali, a regime puramente torrentizio, scorreva  dell’acqua  quando pioveva, e se le piogge erano molto intense  potevano anche avere effetti devastanti, : vengono definiti “cavoni” o anche “canaloni” quelli più profondi ,e poi “arene” quelli più aperti  Di tali corsi tutti discendenti dalle pendici dai Camaldoli ,la collina  più elevata della zona (480 metri) tre sono i principali che ricevono poi acqua da molti altri secondari e, benche ormai privi di acqua, sono però pienamente riconoscibili

 Nessuno di essi ha un vero proprio nome ben definito: noi per comodità di esposizioni, ci riferiremo ad essi come canalone di Miano, della Sanità  e della Arenella.

Il primo,quello  di Miano,  nasce presso l’attuale Policlinico, passa sotto l’attuale ponte di S. Rocco   quindi del pù moderno ponte di Bellaria divide  il parco di Capodimonte da Miano, per scendere quindi a valle presso le attuale  vie Masoni e S. Maria ai Monti fino ai Ponti Rossi. Il percorso è ancora  attualmente perfettamente conservato  anche se

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l’acqua non vi scorre quasi più  Poi il canale  proseguiva per l’attuale via arenaccia (da cui il nome) e corso Novara per gettarsi, oltre la stazione ferroviaria, in mare sotto l’ancora esistente Ponte della Maddalena Dall’arenaccia in poi i il tratto è stato interrato  in epoca  recente: ne rimane ancora qualche traccia nella  toponomastica : Via Ponte di Casanova e si vede ancora qualche vestigia del ponte

Il secondo  canalone è quello delle Sanità, non più esistente ma di cui si hanno ricordi storici fino all’800. Era una diramazione del precedente : si staccava nei pressi dei parco  di Capodimonte, scendeva per la Sanità ( per via Arena della  Sanità, appunto), per il borgo di Vergini, scendeva per via Cirillo e via  Carbonara lambendo le mura della città, quindi si gettava in mare percorrendo l’ultimo tratto nell’attuale Via del  Lavinaio  (“lava” cioè corso di acqua) dove vi erano anche dei mulini mossi da acqua ( donde un vicolo Molino) : la foce non era lontana dal Ponte della Maddalena dove sfociava l’altro canalone. Nel 1400,  per l’ampliamento delle mura cittadine,  fu deviato per l’attuale via Cesare Rossarol e fatto quindi confluire nel canalone di  Miano, all’Arenaccia

Quando pioveva copiosamente il corso del  canalone alla Sanità  e ai Vergini diventava  impetuoso e pericoloso e poteva provocare  molti danni : era proverbiale a Napoli l’espressione:” lava dei Vergini” per indicare  cosa che non si può contenere. Per questi inconvenienti nell’800 il corso fu dirottato e fatto confluire  nell’altro corso della Arenaccia, più  a monte, con una condotta forzata attraverso la collinetta di Miradois

Il terzo corso d’acqua scendeva dall’Arenella. Esso è riconoscibile  solo topograficamente ma non si hanno notizie storiche poiché, a differenza dei primi due, si è prosciugato  in un tempo lontano lasciando solo una traccia: il nome Arenella  data alla  zona di provenienza. Presumibilmente attivo nell’antichità,  si è poi prosciugato nel medio evo: ipotizziamo perche si è deviato  probabilmente nel canalone che va verso Soccavo. Il suo percorso però è tuttora facilmente  riconoscibile anche se occupato da antiche stradine che scendono giù dalla collina . Si originava  dalla zone degli Ospedali, scorreva prima per la Via

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Gerolomini, quindi per Due Porte all’Arenella, vico Nocelle  e quindi in Via F S Correra detta ancora  il Cavone : un tratto incassato  profondamente fra due alture e pieno di caverne. Quindi attraversava  l’attuale piazza Dante, scendeva per l’attuale  via Monteoliveto (la  Posta) per gettarsi in mare nella zona di Piazza Municipio.

Riceveva degli affluenti fra cui si riconoscono agevolmente  il  tratto di Via Conte della Cerra ( presso vico Nocelle) e quello della Via S. Antonio ai Monti (Ventaglieri)

I corsi di acqua di cui abbiamo parlato hanno regime torrentizio perche Napoli, in realtà è su un rilievo,costituito dalla  propaggine più orientale dei Campi Flegrei. Ad oriente però della città antica vi è una zona pianeggiante  racchiusa fra le alture di Napoli e il  Vesuvio ( monte Somma)  nella quale vi sono pure delle sorgenti, nel comune di Volla (da “polla”, cioè sorgente) in località Lufrano captate però dagli acquedotti già nel passato ) Inoltre un’altra fonte si trova a Somma Vesuviana alle pendici del monte Somma in località detta S. Maria del pozzo.   E’ una zona bassa, anche attualmente soggetta ad allagamenti in caso di  piogge intense. Fino al secolo sorso era segnata da paludi  che si estendevano d’altronde per una vastissima zona tutto intorno  a Napoli. ( vi è ancor la chiesa di S. Anna  alle paludi: un lungo canale, costeggiato dalla via dell’Argine fu costruita per far defluire l’acqua in mare nella zona di S Giovanni a Teduccio: il canale è stato interrato solo da qualche decennio  

 

 

 LE IPOTESI

 

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In genere il Sebeto veniva  identificato nel corso di acqua che scorre sotto il Ponte della Maddalena per la semplice ragione che dal 500 in poi costituiva l‘unico corso naturale  di acqua esistente  nelle immediate vicinanze  di Napoli: infatti in epoca aragonese, nella seconda meta del 400, come abbiamo visto, anche  l’altro canalone che discendeva per la Sanità e i Vergini  era stato deviato dal suo corso per il Lavinaio ed era stato fatto confluire in esso: l’altro  fiume più vicino a Napoli infatti come abbiamo visto era il Sarno (pure citato da Virgilio insieme al Sebeto ) che però  sbocca a oltre 40 chilometri di distanza sull’altro versante del Vesuvio  e quindi non può essere certo identificato con il Sebeto

Il Canalone che sfocia alla Maddalena veniva denominato Rubeolo che piu che un nome proprio era il un termine generico che significava “piccolo rivo “

Dalla ricognizione topografica pero abbiamo visto che si trattava solo di un corso torrentizio di scolo di acque piovane senza alcun sorgente: non è possibile allora immaginare che ad esso fosse  connessa un divinità, maschile o femminile che fosse, come invece le fonti storiche chiaramente mostrano

E’ presente anche l’opinione che il Sebeto fosse dall’altra  parte della città e che sfociasse quindi verso piazza  Municipio  e identificabile con il canalone proveniente dall’Arenella. Si parte da una testimonianza di Tito Livio  che porrebbe il Sebeto in quella zone (l’opinione è riportata anche dall’enciclopedia Wikipedia.)  In realtà però Tito  Livio scrive:  

“Publilio, occupata una posizione favorevole tra Paleopoli e Napoli, aveva già privato il nemico di quella reciproca assistenza di cui i diversi popoli avversari si erano serviti” (libro VIII, 23 )

Che una tale posizione fosse quella della foce di un fiume,  che questo fosse poi  il Sebeto è una supposizione priva di qualsiasi riscontro.

Senza poi contare che Tito Livio scrive tre secoli dopo gli eventi, non da nessuna notizia topografica certa  di luoghi che non conosceva.

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Rimarrebbe poi il problema fondamentale che si trattava di un semplice canale

 Si è fatto allora una ipotesi ardita. L’acqua  proveniente  dalle sorgenti  di Volla scorreva nell’antichità  invece verso occidente, costeggiava tutta la città, riceveva come affluenti i corsi di acqua che abbiamo visto,  i tre torrenti della Arenella, della Sanita e di Miano passava  per l’attuale via Foria scendendo quindi  nella zona di Piazza Municipio. Quindi un conformazione topografica molto diversa dall’attuale  in grado di sostenere un fiume vero e proprio per quanto di piccole portata. Tuttavia, guardando ll terreno, il percorso appare poco plausibile:occorre  ipotizzare che la conformazione del terreno sarebbe stata molto diversa dall’attuale e che  la zona costiera orientale ( dove sta il ponte della Maddalena ) fosse nell’antichità più alta di qualche metro. L’ipotesi per quanto suggestiva, però non è suffragato da alcuna prova o indizio nè storico, nè topografico. D’altra parte è comune opinione degli storici, suffragata dalla  semplice ricognizione dei luoghi che Napoli venne costruita si una  zolla tufacea  che aveva una difesa naturale proprio dai canaloni che abbiamo visto. Difficile ipotizzare  che l’acqua potesse risalire per via Foria, che fra la parte orientale di Napoli e il mare ci fosse un  ostacolo naturale in grado di impedire all’acqua di defluire. D’altra parte in epoca storica, nella zona interessata non sono segnalati movimenti vulcanici o tettonici o  bradisismi che potessero determinare tali cambiamenti

Una ipotesi molto originale fu avanzato nel 600 dal Celano secondo il quale il Sebeto scorre ancora ma nel sottosuolo di Napoli: ritiene che esso scorresse all’interno delle mura e  che una violenta tempesta  nel 1342 (di cui abbiamo notizia perché descritta da Petrarca) ha sconvolto la zona della foce situata nella zona di Monterone (nei pressi della Università)  interrandola. Ma nessun fiume scorre sotto Napoli ma solo antichi acquedotti risalenti in parte all’epoca  greco romana. Che il fiume poi scorresse all’interno delle mura  non è compatibile con la morfologia del territorio e nemmeno con gli usi antichi: un fiume che entra in città  attraversando le mura le renderebbe inutili . E’ vero pero che nella zona indicata effettivamente vi era uno scolo di acqua piovana: essa è  ancora facilmente  riconoscibile nella via del Grande Archivio e fungeva da collettore di acque piovane per la città

 

 Allora dove stava il Sebeto: ? Credo che bisogna partire da un fatto  del tutto evidente

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Le colline che contornavano Napoli greca romana non potevano dar luogo  un fiume ma le immediate vicinanze orientali erano e sono tuttora ricche di fonti e di acque.

Anche senza averne nessuna conferma storica o morfologica la soluzione pare allora abbastanza semplice: il Sebeto scorreva nelle immediate vicinanze  orientali della città, scaturendo dalle  sorgenti  che si trovano nel territorio fra le colline e il monte Somma: la zona è stata interessata da molte eruzioni vulcaniche non solo quelle notissima del 79 d, C., che distrusse Pompei  Questi movimenti hanno alterato la zona fra le colline e il Somma e quindi il fiume è sparito e il terreno diventato paludoso fino a che i canali artificiali (come quello di via Argine) non lo hanno prosciugato. Il Sebeto era un breve corso di acqua che scaturiva da una o più fonti  nella zona di Volla.  La divinità poteva essere associata alle fonti più ancora più ancora che al fiume come era uso degli antichi

 

Sebeto, il fiume che si nasconde- di Carlo Missaglia

Origini, percorso, leggende e confusione sul "fiumicello" che fu la vita per la città di Napoli, celebrato da Virgilio e Stazio e oggetto di numerosi studi per la migliore individuazione e la conferma della sua "presenza". L'esigenza di un rio dei primi abitatori di Neapolis per l'approvvigionamento idrico. La presenza di molti pozzi ne certificano l'esistenza. Un fiume di grande rinomanza ma di poca acqua, secondo la definizione di Gino Doria. Si versava in mare attraverso un tracciato sotterraneo.

Sebeto! Sebeto! Quanto si è dibattuto e si dibatte ancora, in particolari e ristrette cerchie di volenterosi studiosi di cose patrie, su questo fiumicello che fu la vita per la città di Napoli.Quanto parlare sulla sua esistenza e sulla sua reale ubicazione.Quanti errori di identità furono fatti. C'è chi lo confuse col Rubeolo, e lo fece sfociare sotto il ponte della Maddalena, ponendone la sorgente alle falde del monte Somma. Questo accadde al Pontano, al Sannazaro, ad Ambrogio Nolano e a tanti altri scrittori che delle nostre cose si interessarono.Pierantonio Lettieri, rinomato ingegnere e cartografo del XVI secolo, ebbe l'incarico dal vicerè don Pietro da Toledo di investigare sull'acquedotto Claudio che, da Serino, attraverso Nola, Pompei, Napoli, la piana di Nisida e Pozzuoli, finiva a Bacoli nella Piscina Mirabilis. Le sue risultanze (1560), frutto di un approfondito studio dei vari ampliamenti della murazione della città di Napoli, e delle acque che ne scorrevano all'interno, furono che il Sebeto non fosse propriamente un fiume. Esso era il portato dell'acquedotto, proveniente dal fiume Sabato. Questo opinione voleva, erroneamente, sostenere il principio che, circa un millennio prima di quel tempo, non fossero esistite né le paludi di Napoli, né quel fiumicello che per quelle scorreva verso il ponte della Maddalena, né l'acquedotto che forniva in parte la città: intendeva l'acquedotto della Volla.

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Sembra abbastanza sui generis negare l'esistenza di un fiume molte volte celebrato da Virgilio (Nec tu carminibus nostris indictus abibis Orbale, quem generasse Telon Sebethide nympha fertur), da Stazio o Columella (Doetaque Parthenope Sebethide ruscida limpha ) e ridurlo a un pezzo di acquedotto. Quanto poi alla esistenza della zona paludosa a est di Neapolis e del fiumicello Rubeolo, che da esso conclude la sua corsa, le argomentazioni le possiamo ridurre a soli quattro punti.Primo: in nessuna descrizione dagli antichi storiografi vien fatta menzione di quelle paludi e di quel fiume; non ne parla Strabone, non Procopio, medico di Belisario, il quale sosteneva che le acque che defluivano dal Monte Somma scorressero verso la piana dell'agro Nocerino-Sarnese, cioè nella parte opposta alla città di Neapolis. Né tanto meno ne scrive Dione Greco, che pur di quelle acque si interessò approfonditamente.Secondo: sono stati rinvenuti in quella zona ruderi di grandiosi edifici antichi non distanti dalle presunte paludi, dal che si può arguire che di paludi non ve ne fossero, a meno che non si voglia dare dello stolto a quel popolo che aveva pensato di abitare in zone poco salubri per la salute. Terzo: la concessione della metà di un mulino dato alle Monache di San Liguori, da parte di Sergio, console di Napoli e maestro della milizia dell'imperatore Alessio di Costantinopoli, col divieto assoluto però, quello di costruire, sia a monte che a valle, qualsiasi tipo di edificio.

Quarto: il fenomeno bradisismico col conseguente impaludamento dei terreni più bassi.Queste osservazioni portano a pensare che il Sebeto, di cui non è materialmente possibile dubitare l'esistenza, debba essere, nel tempo, divenuto uno di quei tanti corsi d'acqua che scorrono sottoterra.Apro una parentesi: finché ci saranno ancora i lavori stradali a via Parco del Castello, andate a vedere alla fine della strada, dove si congiunge con via Acton, e troverete a mano sinistra una larga pozza d'acqua chiara, a un livello ben più alto di quello del mare, altrimenti non l'avrei neanche presa in considerazione per la nota legge dei vasi comunicanti, e domandatevi: ma quell'acqua da dove viene fuori?Nicolò Carletti, famoso architetto e filosofo del Settecento, nelle sue note storiografiche sulla Topografia universale della Città di Napoli (1776), basando le sue conclusioni su documenti di antichi patti e considerazioni sulla natura geologica e su vicende che riguardarono la città stessa, scrive: "Da tempi famosi di Napoli fino a quelli degli Angioini, essere fluito apertamente il Sebeto dal piede del colle ove stavano erette le mura di Palepoli ove dicesi il Pendino di Moccia". Il fiume, seguendo il percorso che passa per San Marcellino, San Pietro a Fusariello, San Pietro Martire, giunge fino al mare. Questo quanto sostenuto dal Carletti. E aggiunge che il Sebeto venne "sotterrato" per il totale innalzamento di quella parte a causa di una lenta azione dei terreni paludosi e un terribile terremoto avvenuto il 15 novembre del 1343, essendo regina Giovanna I.

Per questo i vari scrittori che di ciò si interessarono furono tratti in inganno non trovando traccia dell'antichissimo e decantato Sebeto e lo scambiarono con il Rubeolo. Il Sebeto invece, esisteva ancora e si versava in mare attraverso un tracciato divenuto sotterraneo. La sua presenza era accertata dalla presenza di molti pozzi posti lungo il tracciato che ho prima descritto. Uno era nel chiostro di San Pietro Martire, un altro nella strada dei Calzettai, un altro ancora nella strada degli Zagarellari e poi ancora nel fondo dei Lazzari e dei Barbati. Il più copioso però era sito nel Monastero di San Marcellino. Subito dopo veniva quello del Monterone, per terminare con la sorgente che, come ho già detto, era in località Pendino di Moccia.Per un tratto relativamente lungo, il fiume passa sotto a quella che è oggi l'Università degli studi Federico II. L'acqua del Sebeto, infatti, fu analizzata e pesata dallo stesso Carletti, il quale, oltre ad averla riconosciuta come eccellente, la trovò anche di peso specifico inferiore alle altre acque che in Napoli pervenivano attraverso gli acquedotti della Volla e di Carmignano.Cesare De Seta nel suo "Le Città nella storia d'Italia" sposa la tesi che in parte fu anche del venerato Mario Napoli, che ho conosciuto personalmente e apprezzato.

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Non mi permetto, quindi, di non essere d'accordo. Però faccio notare che, se si dovesse seguire il percorso da lui indicato, non si riuscirebbe mai a giungere in piazza Municipio, per via Medina, soprattutto se volessimo collocare l'acqua del Sebeto tre o quattro metri al di sotto del piano attuale, tanto da portarla all'altezza di quello della Chiesa dell'Incoronata, perché, per caduta, una massa d'acqua proveniente da Monteoliveto devierebbe per Guglielmo Sanfelice o per la Rua Catalana, per giungere così a quel porto che era nella zona di piazza della Borsa, come si è evinto anche dagli scavi ultimi della Metropolitana. Io sono un inguaribile e ostinato indagatore delle cose della nostra città. Continuo, così, a investigare attraverso le antiche carte che vado a cercarmi di persona. Per tornare al Sebeto, questo mitico fiume, torrente o rio che sia stato, qualcosa deve pur essere stato se ne è ancora presente il nome nella nostra memoria. Gino Doria ha detto che il Sebeto è un fiume di grande rinomanza, ma di poca acqua. Voglio allora fare un viaggio fra le notizie che sono pervenute sino a noi, che oltre a sancirne l'esistenza ne delineano anche il percorso che per me è quello illustrato dall'architetto Carletti.

Parto da un assunto comune sia a Platone che ad Aristotele che suggerisce: "Le città si dovrebbero far sorgere nelle vicinanze dell'acqua, per maggior comodità degli abitanti, del loro bestiame e dei loro giardini". Partiamo allora dal tipo di scelta fatta dai primi abitatori di Neapolis dove situare il loro insediamento, tenute presenti, appunto, quelle esigenze primarie che coniugassero sopravvivenza e sicurezza. La scelta di quello che ormai non distinguiamo più essere una collinetta, circondata a sud dal mare, a ovest dalla depressione che corre da piazza Dante per via Monteoliveto-via Medina, a nord dal bacino di piazza Cavour-via Foria, per chiudere il cerchio ad est, con l'attuale via Duomo. Ci si accorgerà che quella città era in realtà una grande roccaforte, simile a come era l'ubicazione dell'antica Troja. Per avere una immagine abbastanza propria della città e delle sue altezze si guardi la tavola Strozzi del XV secolo. Si noterà l'andamento delle quote dell'altitudine dei vari fabbricati che, al centro, appaiono più alti, mentre degradano sia sulla sinistra che sulla destra.Bisognava che i napoletani, messisi al riparo da eventuali assalti nemici, pensassero all'acqua. Ecco l'importanza che va ad assumere anche un piccolo rio quando riesce a soddisfare le esigenze materiali di una popolazione.

Napoli era ricchissima di corsi d'acqua. Averne uno, il più a portata di mano possibile che potesse comportare il minor disagio possibile per l'adempimento delle esigenze quotidiane, sarebbe stato l'optimum. Questo uno, quindi, dovrebbe essere proprio il Sebeto, che avendo la sua sorgente all'interno delle mura della città, sarebbe stato il più idoneo, e non soggetto ad attacchi di nemici o di inquinatori, estranei al contesto cittadino. Non si riesce a comprendere perché allora si è sempre cercato di allocare il Sebeto fuori dalle mura, in zone paludose, facendolo nascere dalle pendici del monte Somma o dalla collina del Vomero. È indubbio che fiumiciattoli siano venuti giù da quella che era la parte più alta della zona compresa nell'arco che va da Posillipo al Vomero-Antignano, a Capodimonte, ma teniamo presente che in molti casi questi corsi d'acqua si inabissavano per tornare alla luce, a volte, direttamente in prossimità del mare.Il Sebeto, dunque, dovrebbe essere proprio uno di questi, proveniente dal laghetto che si era andato formando dalla confluenza dei vari torrentelli nella zona di piazza Cavour-Foria. Se si prende in esame la sua sorgente, che il Carletti pone sul Pendino di Moccia, all'incirca all'altezza del complesso di San Marcellino, ci si accorge che la quota altimetrica è pienamente compatibile con un ipotetico percorso in discesa che va da piazza Cavour alla fonte.Mario Napoli cita la Bibliografia geologica d'Italia, un'opera nata presso il Cnr a cura di D'Erasmo e Benassai Sgadari che dà un'ampia descrizione sulla idrografia del sottosuolo di Napoli.Riferisce di fiumi sotterranei che solcherebbero il suolo di Napoli e ne deduce che "qualcuna di queste sorgenti in uno col fluire lungo le cupe del colle vomerese possa, in antico, aver creato un limitato corso d'acqua". Solo che lui quel corso d'acqua lo fa versare verso piazza Municipio, dove era l'antico porto di Napoli.

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Non prende in considerazione l'altro versante, quello che ho descritto appartenere al bacino Cavour-Foria. Quindi, tutto ciò che egli descrive lo fa "vivere" nella zona ovest della città ben distante dalla Neapolis grecoromana, quindi senza quei requisiti che sono alla base per una erigenda nuova città.Se si osserva la tavola topografica della Neapolis del secolo XI, elaborata da Bartolomeo Papasso nel 1892, si nota che, a lato mare, all'altezza del Portus de Arcina, le mura rientrano verso l'interno della città per un tratto lungo, costeggiando il "canale pubblico", che io suppongo debba essere la parte finale del Sebeto, e, dopo averlo superato, all'altezza della porta Ventosa, torna indietro. Valuto questa un'ulteriore testimonianza che rafforza la tesi del Carletti, alla quale sono molto vicino. Torno ora al punto dal quale sono partito, la fontana del Sebeto, che mi ha portato a investigare tra vecchie carte e complesse tesi di famosi uomini di penna e di cultura. Peccato che spesso appaiono troppo legati a ragionare sulle carte, senza verificare, sul campo, una verità confermativa.Allora, può capitare di leggere di corsi d'acqua che, se fosse stata verificata la notizia, ci si sarebbe accorti che correvano in salita, oppure orizzontalmente al pendio di una collina, quasi fosse una mulattiera, senza né argini, né alvei.Fiumare che partendo da Posillipo arrivano al Vomero, passano per Antignano, scendono al Museo e in via Cavone per passare per via Medina prima di raggiungere il mare.Vi renderete conto delle astrusità che a volte vengono fissate sulla carta.