Sei Bellissima Stasera - Samantha Young(1)

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  • 8/17/2019 Sei Bellissima Stasera - Samantha Young(1)

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    Il libro 

    ONO   TRASCORSI  QUATTRO   ANNI  DA  QUANDO  J OCELYN  B UTLER , GIOVANE   AMERICA NA , SI  È  LASCIATA   ALLE  SPALLE  UN  Tcominciare una nuova vita a Edimburgo, seppellendo il suo dolore, ignorando i suoi demoni, cercando insomma di dimenticarela sua vita precedente e di guardare avanti senza lasciarsi coinvolgere da alcuna relazione sentimentale.¶ L A SUA ESISTENZA SOLITARIA PROCEDE BENE FINO  A QUANDO TRASLOCA IN UN NUOVO  APPARTAMENTO IN DUBLIN STREET, DOVE INCONTRA

    BRADEN C ARMICHA EL. BELLO, BRILLANTE E MOLTO RICCO, BRADEN È UN UOMO  ABITUATO  A OTTENERE TUTTO CIÒ CHE DESIDERA E DETERMINATO  Aincrinare le difese solidissime di Jocelyn.¶ S APENDO QUANTO LEI SIA  RESTIA  A QUALSIASI TIPO DI RELAZIONE, LUI LE PROPONE UN  AC CO RDO CHE SODDISFERÀ LA LORO FORTISSIMA  ATTRAZIO NEsenza creare alcun legame tra loro.¶ JOCELYN, INTRIGATA , AC CETTA, MA SI RENDE SUBITO CONTO CHE PER  BRADEN NON È  ABBA STANZA  E CHE LUI LA DESIDERA  VERAMENTE, FIN NELprofondo dell’anima. E lei è davvero sicura di non volere qualcosa di più? Sarà capace di chiudere la porta in faccia all’amore?

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    L’autore 

    S AMA NTHA Y OUNG È UNA SCRITTRICE SCOZZESE  VENTISEIENNE CHE SI È LAUREATA  ALL ’UNIVERSITÀ DI EDIMBURGO NEL2009. H A STUDIATO STORIA  ANTICA E MEDIEVALE, E QUESTO SIGNIFICA CHE LE PIACCIONO LE COSE  VECCHIE. D ALFEBBRAIO 2011 HA  AUTOPUBBLIC ATO I SUOI BESTSELLER  young adult  SU AMAZON. È AUTRICE DI QUATTRO SERIE,dieci romanzi e un romanzo breve. Sei bellissima stasera  è il suo debutto nella fiction di genere.

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    OMNIBUS

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    Samantha Young

    S E I B E L L I S S I M A S T A S E R AUn amore a Dubl in Street 

    Traduzione di Federica Garlaschelli 

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    QUESTO LIBRO È UN’ OPERA DI FANTASIA . PERSONAGGI E LUOGHI CITATI SONO INVENZIONI DELL’  AUTRICE E HANNO LO SCOPO DI CONFERIRE  VERIDIC ITÀ  ALLA  NARRAZIONE. QUALSIASIanalogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

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    PROLOGO

    Contea di Surry, Virginia 

    Mi stavo annoiando.Kyle Ramsey continuava a dare calci allo schienale della mia sedia per attirare la mia attenzione, ma ieri aveva fatto lo stesso con

    Dru Troler, la mia migliore amica, e non volevo farla rimanere male. Si era presa una cotta pazzesca per Kyle. Mentre Mr Evansscribacchiava un’altra equazione alla lavagna, restai dunque a fissare Dru che, seduta accanto a me, disegnava un milione di cuoricininell’angolo del suo quaderno. A dire il vero avrei dovuto seguire la lezione, dal momento che in matematica ero una frana. Mamma epapà non sarebbero certo stati contenti se mi fossi presa un’insufficienza nel primo quadrimestre del primo anno.

    «Mr Ramsey, sarebbe così gentile da venire alla lavagna a risolvere questa equazione, oppure preferisce rimanere dietro a Jocelynper dare qualche altro calcio alla sua sedia?»

    Tutta la classe ridacchiò e Dru mi lanciò uno sguardo accusatorio. Io feci una smorfia e fulminai Mr Evans con un’occhiataccia.«Se non le dispiace resterei qui, Mr Evans» rispose Kyle in tono altezzoso e insolente. Alzai gli occhi al cielo, rifiutandomi di

    voltarmi nonostante sentissi il suo sguardo trafiggermi la nuca.«Era una domanda retorica, Kyle. Alzati e vieni qui.»Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il lamento con cui Kyle si arrendeva alla sua sorte. Nel vedere la direttrice,

    ammutolimmo tutti quanti. Cosa ci faceva Ms Shaw nella nostra classe? La sua presenza poteva significare una cosa soltanto: guai.«Ooh» mormorò Dru a bassa voce. Aggrottando la fronte, la guardai. Fece un cenno in direzione della porta. «Sbirri.»Incredula, mi voltai di nuovo verso la porta ora socchiusa e, mentre Ms Shaw bisbigliava qualcosa a Mr Evans, vidi che

    effettivamente c’erano due agenti in corridoio.«Miss Butler.» Sentendo la voce di Ms Shaw, volsi subito gli occhi verso di lei, stupita. La direttrice fece un passo avanti e il cuore

    mi balzò in gola. Il suo sguardo era cauto e comprensivo, e d’un tratto avrei voluto fuggire da lei e da qualunque cosa fosse venuta adirmi. «Vuole seguirmi? Prenda le sue cose.»

    Di solito questo era il momento in cui in classe si levava un coro di gridolini e mormorii su quanto fosse grosso il guaio in cui miero cacciata. Tuttavia, proprio come me, i miei compagni avevano intuito che si trattava di qualcosa di diverso. Quale che fosse lanotizia che mi attendeva in corridoio, nessuno mi avrebbe presa in giro.

    «Miss Butler?»Scossa da una scarica di adrenalina, mi ritrovai a tremare senza riuscire a sentire praticamente nulla a parte il rombo del sangue

    nelle orecchie. Era successo qualcosa alla mamma? O forse a papà? O alla mia sorellina, Beth? Questa settimana i miei genitori si

    erano presi qualche giorno di ferie per rilassarsi dopo un’estate davvero stressante. Oggi avrebbero dovuto portare Beth a fare unpicnic.«Joss.» Dru mi diede un colpetto, e non appena il suo gomito sfiorò il mio braccio mi scostai di scatto dal banco, facendo stridere

    la sedia contro il pavimento di legno. Senza guardare nessuno, armeggiai con il mio zaino, sbattendoci dentro tutto quello che avevosul banco. La stanza aveva cominciato a riempirsi di sussurri che sibilavano come un vento gelido attraverso la fessura di una finestra.Per quanto non volessi sapere che cosa mi aspettava, non vedevo l’ora di uscire dalla classe.

    Riuscendo in qualche modo a mettere un piede davanti all’altro, seguii la direttrice in corridoio e ascoltai Mr Evans chiuderedelicatamente la porta alle mie spalle. Non dissi nulla. Mi limitai a guardare prima Ms Shaw e poi i due agenti, che mi fissavano conocchi carichi di fredda compassione. Accanto al muro c’era una donna di cui prima non mi ero accorta. Aveva un’espressione grave matranquilla.

    Ms Shaw mi toccò il braccio e guardò la propria mano posata sul mio maglione. Non avevamo mai scambiato più di una parola, eadesso mi stava toccando il braccio? «Jocelyn... questi sono gl i agenti Wilson e Michaels. E A licia Nugent del DSS.»

    La guardai con aria interrogativa.Ms Shaw sbiancò. «Il Dipartimento dei servizi sociali.»

    La paura mi ghermì il petto e dovetti sforzarmi per riuscire a respirare.«Jocelyn» proseguì la direttrice. «Mi dispiace moltissimo doverti dare questa notizia... ma i tuoi genitori e tua sorella Elizabeth

    hanno avuto un incidente d’auto.»Rimasi in attesa mentre sentivo il mio petto serrarsi.«Sono morti tutti sul colpo. Mi dispiace moltissimo.»La signora dei servizi sociali venne verso di me e cominciò a parlare. Io la guardavo, ma non riuscivo a vedere altro che i suoi

    colori, né a sentire altro che il suono ovattato delle sue parole, come se qualcuno avesse aperto un rubinetto accanto a lei.Non r iuscivo a respirare.In preda al panico, tentai di aggrapparmi a qualcosa, qualunque cosa potesse aiutarmi. Sentii delle mani su di me. Parole calme,

    sussurrate. Guance bagnate. Sale sulla lingua. E il mio cuore... Batteva così forte che sembrava sul punto di esplodere.Stavo morendo.«Respira, Jocelyn.»Quelle parole mi vennero ripetute all’orecchio in continuazione, finché non riuscii a concentrarmi su ciò che mi chiedevano di fare.

    Dopo un po’ i miei battiti rallentarono e i miei polmoni si aprirono. I puntini davanti ai miei occhi cominciarono a svanire.«Brava, così» stava sussurrando Ms Shaw, mentre la sua mano calda mi disegnava dei cerchi sulla schiena nel tentativo diconfortarmi. «Così.»

    «Dovremmo cominciare ad andare.» La voce della donna dei servizi sociali si aprì un varco nella nebbia che mi avvolgeva.«Okay. Jocelyn, sei pronta?» domandò Ms Shaw a bassa voce.«Sono morti» risposi. A vevo bisogno di capire che sensazione dessero quelle parole. Non poteva essere vero.«Mi dispiace, tesoro.»Un sudore gelido mi inondò la pelle, le mani, le ascelle e la nuca. Tutto quanto il mio corpo fu percorso dai brividi, e non riuscivo a

    smettere di tremare. Un attacco di vertigini mi fece sbilanciare verso sinistra e, senza alcun preavviso, il contenuto del mio stomaco

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    ormai in subbuglio risalì sino alla gola. Mi piegai in avanti, vomitando la colazione sulle scarpe della signora dei servizi sociali.«È sotto shock.»Ero sotto shock?O si trattava di mal d’auto?Un attimo prima ero seduta là . Là, in un posto caldo e sicuro. E nel giro di pochi istanti, assordata dallo stridore del metallo...... mi ritrovai in un luogo completamente diverso.

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    Scozia. Otto anni dopo 

    Era una bellissima giornata per trovare una nuova casa. E una nuova coinquilina.Uscii dal vecchio e umido pozzo delle scale del mio palazzo in stile georgiano e mi ritrovai in una Edimburgo meravigliosamente

    calda. Abbassai lo sguardo sui miei graziosi shorts di jeans a righe bianche e verdi che avevo comprato qualche settimana fa daTopshop. Da allora non aveva fatto altro che piovere ininterrottamente, e temevo che non sarei mai riuscita a indossarli. Oggi, però, ilsole faceva capolino al di sopra della torre d’angolo della chiesa evangelica di Bruntsfield, scacciando la mia malinconia e restituendomiun briciolo di speranza. Pur essendo una che a soli diciott’anni aveva infilato dentro una valigia una vita intera negli Stati Uniti perdecollare verso la propria madrepatria, i cambiamenti non erano proprio il mio forte. Non più, a ogni modo. Mi ero abituata al mioenorme appartamento perennemente infestato dai topi. Mi mancava la mia migliore amica Rhian, con cui avevo vissuto sin dal primoanno all’Università di Edimburgo. Ci eravamo conosciute nello studentato e avevamo fatto subito amicizia. Eravamo entrambe moltoriservate e stavamo bene insieme per il semplice fatto che nessuna delle due insisteva affinché l’altra parlasse del proprio passato. Dalmomento che in quel primo anno insieme si era creata tra noi una certa sintonia, per il secondo anno decidemmo di prenderci unappartamento (o una “casetta”, come diceva Rhian). Adesso che eravamo laureate, Rhian si era trasferita a Londra per cominciare ildottorato e io ero rimasta senza coinquilina. Come se non bastasse, avevo perso anche il mio secondo amico più caro, James, il

    ragazzo di Rhian. Era andato anche lui a Londra (una città che detestava, potrei aggiungere) per stare insieme a lei. E la ciliegina sullatorta era che il mio padrone di casa stava divorziando e aveva bisogno di riavere il suo appartamento.

     Avevo passato le ultime due settimane a rispondere ad annunci di ragazze che cercavano una coinquilina. Finora era stato un fiasco.Una non voleva dividere la casa con un’americana. Vi lascio immaginare la mia faccia sbigottita. Tre degli appartamenti eranosemplicemente... orribili. Sono abbastanza certa che una delle ragazze fosse una spacciatrice di crack, e la casa dell’ultima sembravaessere più utilizzata di un bordello. Speravo davvero che il m io appuntamento di oggi con Ellie Carmichael andasse per il verso giusto.Era la casa più costosa che avessi programmato di vedere e si trovava dal lato opposto rispetto al centro.

    Ero sempre parsimoniosa con i soldi della mia eredità, come se spenderne il meno possibile potesse in qualche modo smorzare ilgusto amaro della mia “buona” fortuna, ma ormai ero sull’orlo della disperazione.

    Se volevo diventare una scrittrice, mi servivano il giusto appartamento e la giusta coinquilina. Vivere da sola era una possibili tà, certo. Potevo permettermelo. Tuttavia, la pura verità era che non mi piaceva l’idea di starmene in

    assoluta solitudine. Nonostante la mia tendenza a tenere per me l’ottanta per cento di me stessa, mi piaceva essere circondata dipersone. Quando mi parlavano di qualcosa che non capivo, potevo vedere quel qualcosa dal loro punto di vista, e ritenevo che la

    prospettiva sul mondo di ogni bravo scrittore non dovesse avere confini. Nonostante non ne avessi bisogno, il giovedì e il venerdì seralavoravo in un locale in George Street. Il vecchio cliché era proprio vero: alle orecchie dei baristi giungono sempre le storie piùinteressanti.

     Avevo fatto amicizia con due colleghi , Jo e Craig, che però vedevo soltanto sul lavoro. Se volevo un po’ di vita intorno a me,dovevo trovarmi una coinquilina. Tra i pro c’era il fatto che questo appartamento era poco distante dal locale.

    Mentre tentavo di reprimere l’ansia di dovermi trovare una nuova casa, con lo sguardo cercavo un taxi che avesse la luce accesa. Adocchiai la gelateria pensando che mi sarebbe piaciuto avere il tempo di entrare a togliermi un piccolo sfizio, rischiando così di nonvedere il taxi che stava venendo verso di me sul lato opposto della strada. Alzai la mano e controllai che non arrivasse nessuno,contenta che il tassista mi avesse notata e avesse accostato. Attraversai di corsa l’ampia strada, riuscendo nell’impresa di non finirespiaccicata come un insetto verde e bianco sul parabrezza di qualche disgraziato, e mi precipitai verso il taxi con un unico obiettivo:afferrare la maniglia.

    Ma, invece della maniglia, afferrai una mano.Perplessa, lasciai che il m io sguardo risalisse da quella mano maschile e abbronzata fino a un lungo braccio, per raggiungere poi un

    paio di spalle larghe e un volto oscurato dal sole che splendeva proprio dietro la testa. Il tizio era alto, sicuramente più di uno e

    ottanta, e torreggiava sopra il mio metro e sessantacinque.Domandandomi come mai questo ragazzo avesse una mano sul mio taxi, esaminai l’abito costoso che indossava.Gli sfuggì un sospiro. «Da che parte vai?» domandò con voce roca e profonda. Vivevo qui da quattro anni ormai e ogni volta che

    sentivo un accento scozzese perfetto un brivido mi correva ancora lungo la schiena. Il suo, nonostante l’essenzialità della domanda, miscatenò proprio un signor brivido.

    «Dublin Street» risposi automaticamente, sperando di essere io quella con la distanza maggiore da percorrere in modo che micedesse il taxi.

    «Bene.» Aprì lo sportello. «Vado anch’io in quella direzione e, dal momento che sono già in ritardo, ti proporrei di condividere iltaxi piuttosto che perdere dieci minuti a decidere chi ne abbia più bisogno.»

    Una mano calda si posò in fondo alla mia schiena e mi sospinse delicatamente in avanti. Sbalordita, lasciai che quel tizio mispingesse dentro il taxi, scivolai sul sedile e mi allacciai la cintura, domandandomi in silenzio se avessi fatto un qualche cenno diassenso. Non mi sembrava.

    Sentendo Mr Eleganza farfugliare al tassista Dublin Street come destinazione, aggrottai la fronte e mormorai: «Immagino di dovertiringraziare».

    «Sei americana?» A quella domanda innocua, alzai finalmente lo sguardo sul passeggero accanto a me.Oh, okay. Wow.Sui trent’anni, poco meno o poco più, Mr Eleganza non era bello in senso classico, ma aveva un luccichio negli occhi e una certa

    curva nell’angolo di quella bocca sensuale che, insieme al resto del pacchetto, trasudavano sex appeal. Dal fisico disegnato dal suocostoso completo di ottimo taglio color grigio argento, capii che era uno sportivo. Sedeva con la disinvoltura di chi sa di essere inperfetta forma, e sotto il gilet e la camicia bianca si indovinava un addome piatto e scolpito. Gli occhi azzurri sembravano perplessisotto le lunghe ciglia, e pur con tutta la mia buona volontà non riuscivo a digerire il fatto che fosse moro.

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    Io preferivo i biondi. Da sempre.Tuttavia nessun biondo aveva mai fatto contorcere il mio basso ventre dal desiderio al primo sguardo. Un volto deciso e mascolino

    mi guardava dritto in faccia: mento allungato, solcato da una fossetta, zigomi larghi e naso aquilino. Un velo di barba scura disegnavaun’ombra sulle sue guance, e i suoi capelli erano arruffati. Nel complesso, quell’aria trascurata sembrava fare a pugni con laraffinatezza del suo completo griffato.

    Mr Eleganza, accortosi che lo stavo squadrando spudoratamente, inarcò un sopracciglio, e il mio desiderio si quadruplicò,cogliendomi del tutto impreparata. Non provavo mai attrazione immediata per gli uomini, e dopo i miei anni da adolescente scatenatanon avevo mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di accettare una proposta sessuale.

    Eppure non sono certa che riuscirei a rifiutare una sua proposta.Non appena quel pensiero balenò nella mia mente mi irrigidii, sorpresa e spaventata. Le mie difese si innalzarono all’istante, e

    cancellai dal mio volto qualsiasi espressione che non fosse di fredda cortesia.«Sì, sono americana» risposi, ricordando infine che Mr Eleganza mi aveva fatto una domanda. Distolsi lo sguardo dalle sue labbra,

    su cui era apparso il classico sorrisetto di chi aveva capito, e mi finsi annoiata, ringraziando il cielo che, con la mia carnagioneolivastra, fosse impossibile vedermi arrossire.

    «Sei qui di passaggio?» mormorò.Irritata com’ero dalla mia reazione a Mr Eleganza, decisi che meno avessimo parlato, meglio sarebbe stato. Chissà quali idiozie avrei

    potuto dire o fare. «No.»«Al lora sei una studentessa.»Quel tono non mi andava proprio. “Allora sei una studentessa.” L’aveva detto alzando metaforicamente gli occhi al cielo, come se gli

    studenti non fossero altro che dei mantenuti, dei fannulloni senza un vero obiettivo nella vita. Girai la testa di scatto, intenzionata arispondergli per le rime, e lo sorpresi a guardarmi le gambe con interesse. Stavolta fui io ad alzare un sopracciglio e rimasi adaspettare che staccasse i suoi occhi incantevoli dalla mia pelle nuda. Accortosi che lo stavo fissando, Mr Eleganza alzò lo sguardo sulmio viso e vide la mia espressione. Credevo che avrebbe tentato di dissimulare il fatto che mi stava mangiando con gli occhi, o cheavrebbe distolto subito lo sguardo o qualcosa del genere. Non mi aspettavo certo di vederlo semplicemente alzare le spalle per poisfoderare il sorriso più lento, malizioso e sexy che qualcuno mi avesse mai rivolto.

     Alzai gl i occhi al cielo, opponendomi al calore che si era sprigionato tra le mie gambe. «Ero  una studentessa» risposi con un pizzico

    di stizza. «Vivo qui. Doppia cittadinanza.» Perché mai gli stavo dando spiegazioni?«Sei metà scozzese?»Feci un cenno d’assenso appena percettibile, segretamente affascinata dalla “z” dura con cui aveva pronunciato la parola “scozzese”.«E adesso che sei laureata cosa fai?»Perché voleva saperlo? Lo guardai con la coda dell’occhio. Con quel che costava il suo completo a tre pezzi, io e Rhian avremmo

    potuto nutrirci di classiche porcherie da studenti per tutti e quattro gli anni di università. «Tu cosa fai? Quando non sei impegnato aspingere ragazze dentro i taxi, intendo.»

    Un ghigno fu la sola reazione alla mia frecciatina. «Cosa pensi che faccia?»«Avvocato, direi. Rispondi alle domande con altre domande, sei prepotente, e poi quel ghigno...»Scoppiò in una risata possente, profonda, che si riverberò dentro il mio petto. Mi guardò con un luccichio negli occhi. «No, non

    sono un avvocato, ma tu sì che potresti esserlo. Se non ricordo male, hai risposto a una domanda con un’altra domanda. E quello»indicò la mia bocca mentre i suoi occhi, accarezzando la curva delle mie labbra, si incupivano «è un ghigno a tutti gli effetti.» La suavoce si era fatta ancora più roca.

    Quando i nostri occhi si incontrarono per rimanere fissi gli uni negli altri molto più a lungo di quanto fosse opportuno per dueeducati sconosciuti, il mio battito cardiaco decollò. Avevo le guance in fiamme... e non solo le guance. Mi sentivo sempre più eccitatada lui e dalla muta conversazione tra i nostri corpi. Quando i miei capezzoli si indurirono sotto il reggiseno, rimasi talmente sbigottitada ritrovarmi catapultata nuovamente nella realtà. Staccando a forza gli occhi dai suoi, mi misi a osservare il traffico fuori dal finestrinoe pregai che questa corsa in taxi finisse non alla svelta, di più.

    Man mano che ci avvicinavamo a Princes Street e a un’altra deviazione dovuta ai lavori di costruzione della rete tranviaria avviati dalcomune, cominciai a domandarmi se non sarei riuscita a fuggire dal taxi senza dovergli più parlare.

    «Sei timida?» domandò Mr Eleganza, mandando in frantumi le mie speranze.Non riuscii a trattenermi: a quelle parole mi voltai verso di lui con un sorriso confuso sulle labbra. «Prego?»Lui piegò la testa, guardandomi con gli occhi socchiusi. Sembrava una tigre impigrita, che mi scrutava con attenzione come per

    valutare se valesse la pena di avventarsi su un pasto come me. Rabbrividii nel sentirlo ripetere: «Sei timida?».Lo ero? No. Non timida. Piuttosto, di solito mi crogiolavo nell’indifferenza, e la cosa mi piaceva. Era un atteggiamento più sicuro.

    «Cosa te lo fa pensare?» Non emanavo certo timidezza, vero? Feci una smorfia al pensiero.Mr Eleganza alzò di nuovo le spalle. «La maggior parte delle donne approfitterebbe del fatto che sia imprigionato in un taxi insieme

    a loro. Insomma, non starebbero zitte un attimo, mi sbatterebbero in faccia il loro numero di telefono... e non solo.» Il suo sguardocadde per un istante sul mio seno prima di tornare a posarsi sul mio viso. Un’ondata di sangue bollente mi salì fino alle guance. Nonricordavo l’ultima volta che qualcuno era riuscito a mettermi in imbarazzo. Non ero abituata a sentirmi intimidita, così mi sforzai discrollarmi di dosso quella sensazione.

    Sbalordita dalla sua enorme sicurezza di sé, gli rivolsi un gran sorriso e mi stupii del piacere che provai quando lui, nel vederlo,sgranò leggermente gli occhi. «Wow, hai davvero un’alta opinione di te stesso.»

    Sfoderò a sua volta un sorriso largo e sghembo che rivelò denti bianchi ma imperfetti scatenando un’emozione sconosciuta dentro ilmio petto. «Parlo solo per esperienza.»

    «Be’, non sono il tipo di ragazza che dà il suo numero a un tizio appena conosciuto.»«Ah.» Annuì come se fosse arrivato a capire qualcosa di me, mentre il suo sorriso svaniva e il suo volto sembrava irrigidirsi,

    facendosi impenetrabile. «Sei una di quelle che non fanno sesso prima del terzo appuntamento e pensano solo al matrimonio e aifigli.»

    Reagii al suo giudizio affrettato con una smorfia. «No, no e no.» Matrimonio e figli? Rabbrividii al solo pensiero, e le paure che miportavo dentro giorno dopo giorno vennero a galla serrandomi i l petto.

    Mr Eleganza mi guardò di nuovo e, qualunque cosa avesse visto sul mio volto, si ri lassò. «Interessante» mormorò.No. Non era interessante. Non volevo che questo ragazzo mi trovasse interessante. «Non ho intenzione di darti il mio numero.»Di nuovo quel sorriso. «Non te l’ho chiesto. E anche se lo volessi, non te lo chiederei. Ho una fidanzata.»Ignorai non solo la fitta di delusione che sentii allo stomaco ma, evidentemente, anche il filtro tra il mio cervello e la mia bocca. «E

    allora smettila di guardarmi in quel modo.»Mr Eleganza sembrava divertito. «Ho una fidanzata, ma non sono mica cieco. Il fatto che non possa fare niente non significa che

    non possa nemmeno guardare.»Le attenzioni di questo ragazzo non mi eccitavano. Sono una donna forte e indipendente. Lanciando un’occhiata fuori dal finestrino,

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    mi accorsi con sollievo che eravamo arrivati ai giardini di Queen Street. Dublin Street era proprio dietro l’angolo.«Qui va bene, grazie» gridai al tassista.«Qui dove?» mi gridò lui di rimando.«Qui» risposi più bruscamente di quanto avessi voluto. Quando la freccia del taxi cominciò a ticchettare e l’auto accostò, tirai un

    sospiro di soll ievo. Senza rivolgere a Mr Eleganza un altro sguardo o una parola di più, porsi qualche moneta al tassista e misi la manosulla maniglia.

    «Aspetta.»Mi bloccai e, voltando la testa verso di lui, lanciai un’occhiata diffidente a Mr Eleganza. «Cosa?»«Ce l’hai un nome?»Sorrisi, sentendomi più rilassata ora che stavo per allontanarmi da lui e dalla bizzarra attrazione tra noi.«A dire il vero, ne ho due.»Saltai giù dal taxi, ignorando l’infido fremito di piacere che mi attraversò quando udii la sua risatina di risposta.

    Sin dall’istante in cui la porta si aprì e per la prima volta vidi Ellie Carmichael, capii che probabilmente mi sarebbe piaciuta. Era alta ebionda e indossava una tuta alla moda, un borsalino blu, un monocolo e un paio di baffi finti.

    Sbattendo le palpebre, mi guardò con due grandi occhi azzurri.Io, perplessa, non potei non domandare: «Ho... interrotto qualcosa?».Ellie mi fissò per un istante, come se la mia domanda – ragionevolissima, considerando la sua tenuta – l’avesse confusa. Poi, come

    se si fosse improvvisamente resa conto di portare i baffi finti, li indicò. «Sei in anticipo. Stavo mettendo in ordine.»Mettendo in ordine un cappello, un monocolo e dei baffi? Sbirciai dietro le sue spalle e scorsi un ingresso ampio e luminoso. Una

    bici senza ruota davanti era appoggiata contro la parete in fondo e, su una bacheca fissata a un armadietto in noce, erano attaccatealcune fotografie insieme a un assortimento di cartoline e ritagli vari. Sparpagliate alla rinfusa, sotto un lungo appendiabiti traboccantedi giacche e spolverini, c’erano due paia di stivali e un paio di décolleté nere. Il pavimento era in legno massiccio.

    Molto carino. Tornai a guardare Ellie con un sorrisone sulle labbra. La situazione mi divertiva. «Hai la mafia alle calcagna?»«Scusa?»«Il travestimento.»

    «Ah.» Rise e arretrò, invitandomi a entrare con un gesto. «No, no. È che ieri sera sono venuti degli amici, abbiamo bevuto un po’ troppo e in qualche modo sono saltati fuori tutti i miei vecchi costumi di Halloween.»Sorrisi di nuovo. Dovevano essersela spassata. Mi mancavano Rhian e James.«Jocelyn, giusto?»«Sì, Joss» la corressi. Avevo smesso di essere Jocelyn quando i miei genitori erano morti.«Joss» ripeté, ricambiando il sorriso mentre per la prima volta mettevo piede in quell’appartamento al pianterreno. C’era un buon

    profumo di fresco e di pulito.Come la casa che stavo lasciando era in stile georgiano, con la differenza che questa un tempo era un’unica abitazione da cui adesso

    erano stati ricavati due appartamenti. Be’, a dire il vero le stanze sopra appartenevano alla boutique accanto. Delle stanze sopra nonsapevo nulla, ma la boutique, che vendeva abiti fatti a mano, solo pezzi unici, era proprio graziosa. E questo appartamento...

    Wow.Da tanto erano lisce, capii che le pareti dovevano essere state intonacate di recente, e chiunque avesse restaurato questo posto

    aveva fatto miracoli. C’erano zoccoli alti e arcate spesse, in linea con lo stile dell’epoca a cui risaliva l’edificio. I soffitti erano altissimi,proprio come nel mio vecchio appartamento, e il bianco freddo delle pareti era interrotto da opere d’arte colorate ed eclettiche. Il

    bianco poteva risultare troppo severo, ma il contrasto con le porte in noce scuro e con i pavimenti in legno dava all’appartamentoun’aria sobria ed elegante.

    Ero già innamorata, e non avevo ancora visto il resto.Ellie si sbarazzò in fretta di cappello e baffi e si girò per dirmi qualcosa, ma poi si fermò e, con un sorriso imbarazzato, si tolse

    anche il monocolo, di cui si era scordata. Lo posò sull’armadietto in noce con un’espressione radiosa. Doveva essere allegra di natura.Io in genere tendevo a evitare le persone allegre, ma in lei c’era qualcosa... Aveva un che di affascinante.

    «Comincerei col farti vedere la casa, ti va?»«Buona idea.»Ellie raggiunse con passo deciso la porta più vicina a me, sulla sinistra, e la aprì. «Questo è il bagno. È in una posizione insolita, lo

    so, proprio accanto alla porta d’ingresso, ma c’è tutto quel che serve.»Uhm... lo vedo bene , pensai, entrando titubante.Il rumore delle mie infradito riecheggiò sulle lucide piastrelle color crema del pavimento, che ricoprivano ogni millimetro del bagno

    fatta eccezione per il soffitto, dipinto di un colore tenue e costellato di faretti che proiettavano una luce calda.

    Era enorme.Facendo scorrere la mano sulla vasca con tanto di piedini d’oro a zampa di leone, mi immaginai all’istante lì dentro: musica insottofondo, candele accese e un bicchiere di vino rosso in mano mentre me ne stavo in ammollo in quella vasca, senza pensare a...niente di niente. La vasca era al centro della stanza. Nell’angolo in fondo a destra c’era un box doccia doppio con il più grande soffioneche avessi mai visto, mentre alla mia sinistra c’era una moderna bacinella di vetro posizionata sopra una mensola in ceramica. Chefosse il lavabo?

    Registrai rapidamente tutto quanto. Rubinetti d’oro, specchio gigante, portasciugamani riscaldato...Nel bagno nel mio vecchio appartamento non c’era nemmeno il portasciugamani.«Wow.» Girai la testa e sorrisi a Ellie. «È meraviglioso.»Quasi saltellando sulle punte dei piedi, Ellie annuì, mentre i suoi occhi azzurri mi sorridevano raggianti. «Lo so. Io lo uso di rado

    perché ho un bagno in camera, il che sarà senz’altro un vantaggio per la mia futura coinquilina, che potrà avere questa stanza tutta persé.»

    Mmh , pensai, contemplando il fascino di quel bagno. Cominciavo a capire perché l’affitto fosse così astronomico. Ma uno che potevapermettersi di vivere qui, perché mai avrebbe dovuto andarsene?

    Mentre seguivo Ellie nell’atrio fino all’enorme soggiorno, domandai con fare educato: «La tua coinquilina ha cambiato casa?». Iltono era di semplice curiosità, anche se la mia vera intenzione era scoprire qualcosa su questa Ellie. Se la casa era così straordinaria,allora forse il problema era lei. Ma prima che potesse rispondere, di colpo mi fermai, voltandomi lentamente per ammirare la stanza.Come in tutti questi palazzi d’epoca, i soffitti erano molto alti. Le finestre erano a loro volta alte e ampie e facevano sì che, dalla stradaanimata su cui la casa si affacciava, fiumi di luce si riversassero nell’incantevole soggiorno. Il grandissimo camino al centro della paretedi fronte a noi, chiaramente un puro ornamento che nessuno usava per accendervi il fuoco, conferiva armonia alla stanzadisinvoltamente chic. Certo, è un pochino troppo disordinato per i miei gusti , pensai, osservando i mucchi di libri sparpagliati qua e làinsieme ad altre cianfrusaglie varie tra cui un pupazzetto di Buzz, l’astronauta di Toy Story .

    Non volevo sapere cosa ci facesse lì in mezzo.

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    Sbirciai Ellie, e il perché dello scompiglio che regnava in casa cominciò a essermi chiaro. I suoi capelli biondi erano raccolti in unochignon disordinato, indossava infradito spaiate e aveva un’etichetta con un prezzo appiccicata sul gomito.

    «Coinquilina?» domandò Ellie voltandosi per guardarmi negli occhi. Prima che potessi ripetere la domanda, il solco tra le suesopracciglia chiare svanì e lei annuì, come se avesse capito. Bene. Non era una domanda tanto difficile. «Oh, no.» Scosse il capo.«Non ho mai avuto nessuna coinquilina. Mio fratello ha comprato questa casa come investimento e l’ha fatta ristrutturarecompletamente. Poi ha deciso che non gli andava di vedermi fare i salti mortali per pagare un affitto mentre facevo il dottorato, eallora l’ha lasciata a me.»

    Che fratello gentile.Sebbene non avessi commentato, Ellie doveva avermi letto negli occhi. Sorrise, e un’espressione tenera addolcì il suo sguardo.

    «Braden è un po’ sopra le righe. Non ci si può mai aspettare un semplice regalo da lui. Del resto, come avrei potuto rifiutare un postodel genere? L’unico problema è che abito qui da un mese e la casa è così grande che io mi sento sola, nonostante i miei amicibazzichino sempre qui nel fine settimana. Così ho detto a Braden che volevo cercarmi una coinquilina. All’inizio l’idea non loentusiasmava, ma poi gli ho detto quanto avremmo potuto chiedere d’affitto e così si è convinto. L’uomo d’affari che è in lui non sismentisce mai.»

    D’istinto capii che Ellie voleva molto bene a suo fratello (che era chiaramente piuttosto benestante), e che erano molto uniti. Glielosi leggeva negli occhi mentre parlava di lui, e io conoscevo quello sguardo. L’avevo studiato anno dopo anno, affrontandolo a testaalta e sviluppando uno scudo contro il dolore che provavo nel vedere quel tipo di amore dipinto sui volti degli altri, gli altri cheavevano ancora una famiglia.

    «Un gesto molto generoso» risposi in tono diplomatico, non abituata ad avere a che fare con persone che lasciavano trasparire iloro sentimenti pur conoscendomi appena.

    Sebbene la mia risposta non fosse propriamente un invito a raccontarmi di più, Ellie non parve infastidita. Continuò a sorridere e,uscendo dal soggiorno e attraversando l’atrio d’ingresso, mi condusse fino a una stanza adibita a cucina. Era lunga e un po’ stretta, maall’estremità si apriva in un semicerchio dove erano disposti tavolo e sedie. Le rifiniture della cucina stessa erano lussuose quantoquelle del resto della casa. Gli elettrodomestici erano i migliori che ci fossero in circolazione e, in mezzo agli elementi in legno scuro,c’erano degli enormi fornelli in stile moderno.

    «Molto generoso» ripetei.

    In risposta alla mia osservazione, Ellie sbuffò. «Braden è troppo generoso. Non mi serviva tutta questa roba, ma lui ha insistito. Èfatto così. Prendi la sua fidanzata, per esempio: la asseconda in tutto e per tutto. Sto solo aspettando che Braden si stufi di lei come facon tutte le altre, visto che questa è una delle peggiori che abbia avuto. È così evidente che le interessano più i suoi soldi di lui.Persino Braden ne è consapevole, eppure dice che è un accordo, e a lui sta bene com’è. Accordo? Come si fa a parlare così, dài?»

    Come si fa a parlare così tanto? Mi ritrovai a reprimere un sorriso mentre Ellie mi mostrava la camera da letto principale che, come lei, era davvero disordinata.

    Blaterò ancora un po’ di quella persona palesemente insulsa che era la fidanzata del fratello, e io mi domandai come si sarebbe sentitoquesto Braden se avesse saputo che la sua sorellina stava spiattellando la sua vita privata a una perfetta sconosciuta.

    «E questa potrebbe diventare la tua camera.»Eravamo sulla porta dell’ultima stanza in fondo all’appartamento. C’erano un’imponente finestra a bovindo con un davanzale su cui

    ci si poteva sedere e tende jacquard lunghe fino al pavimento, un meraviglioso letto in stile rococò francese, uno scrittoio in noce euna sedia di pelle. Un posto in cui avrei potuto scrivere.

    Me ne innamorai all’istante.«È bellissima.»

     Volevo abitare in quella casa. A l diavolo l’affitto stratosferico. Al diavolo la coinquilina chiacchierona. Avevo vissuto abbastanza alungo all’insegna della frugalità. Ero sola in un paese che avevo adottato. Mi meritavo un po’ di comfort.

     A Ellie mi sarei abituata. Parlava tanto, sì, ma era dolce e carina, e nei suoi occhi c’era una gentilezza innata.«Perché non cerchiamo di conoscerci meglio davanti a una tazza di tè?» Ellie stava sorridendo di nuovo.Poco dopo mi ritrovai da sola in soggiorno mentre Ellie preparava il tè in cucina. D’un tratto mi resi conto che non contava nulla che

    lei mi piacesse. Essendo lei a offrirmi quella stanza, ero io  a doverle piacere. Sentii l’ansia rodermi le budella. Non ero esattamente lapersona più socievole del pianeta, e al contrario Ellie aveva tutta l’aria di esserlo. C’era il rischio che non riuscisse a “capirmi”.

    «È difficile» annunciò Ellie rientrando in soggiorno. Aveva in mano un vassoio con tè e dolcetti. «Trovare una coinquilina, intendo.Sono davvero pochi quelli della nostra età che possono permettersi un posto del genere.»

     Avevo ereditato molti soldi. «La mia famiglia è benestante.»«Ah, sì?» Mi mise davanti una tazza di tè e un muffin al cioccolato.Con le dita che tremavano intorno alla tazza, mi schiarii la gola. Un sudore freddo aveva preso a scorrermi sulla pelle e il sangue mi

    rombava nelle orecchie. Era così che reagivo ogni volta che mi trovavo sul punto di dover dire a qualcuno la verità. I miei genitori e la 

    mia sorellina sono morti in un incidente stradale quando avevo quattordici anni. L’unico parente che mi è rimasto è uno zio che vive in  Australia. Dal momento che non ha voluto prendermi in custodia, mi hanno data in affidamento. I miei genitori avevano un mucchio di soldi. Il nonno di mio padre era un petroliere della Louisiana e mio padre, proprio come me, era stato oculatissimo nel gestire la sua eredità. Quando ho compiuto diciott’anni, è diventato tutto mio. Il mio battito e il tremito delle mie mani si placarono quandoricordai che Ellie non doveva per forza sapere la mia triste storia. «La famiglia di mio padre era originaria della Louisiana. Il miobisnonno ha fatto un sacco di soldi con il petrolio.»

    «Wow, interessante.» Sembrava sincera. «E i tuoi hanno lasciato la Louisiana?» Annuii . «Sì, si sono trasferiti in Virginia, ma mia madre veniva dalla Scozia.»«Quindi sei per metà scozzese. Fantastico!» Mi rivolse un sorriso complice. «Anch’io sono scozzese solo per metà. Mia madre è

    francese, ma la sua famiglia si è trasferita a St Andrews quando lei aveva cinque anni. È scandaloso, ma non so una parola difrancese.» Ellie sbuffò e restò in silenzio, in attesa di un mio commento.

    «E tuo fratello lo parla il francese?»«Ah, no» rispose Ellie agitando la mano in aria. «Io e Braden siamo fratellastri. Abbiamo lo stesso padre. Le nostre madri sono

    entrambe vive, ma nostro padre è morto cinque anni fa. Era un uomo d’affari molto conosciuto. Hai mai sentito parlare della Douglas

    Carmichael & Co.? È una delle più antiche agenzie immobiliari della zona. Era del padre di mio padre, che la rilevò quando era moltogiovane e avviò una società di sviluppo immobiliare. Era anche proprietario di diversi ristoranti e negozi di souvenir. Si era costruitoun mini impero. Quando è morto, Braden ha preso il suo posto. Adesso è lui quello a cui tutti leccano i piedi, da cui tutti cercano diottenere qualcosa e, dal momento che tutti sanno quanto siamo legati, hanno provato a sfruttare anche me per arrivare a lui.» Storsele sue labbra graziose in una smorfia amareggiata, che sembrava completamente estranea al suo volto.

    «Mi dispiace.» Dicevo sul serio. Comprendevo che cosa si provasse. Era uno dei motivi per cui avevo deciso di lasciarmi la Virginiaalle spalle per ricominciare da capo in Scozia.

    Come se avesse percepito la mia assoluta sincerità, Ellie si rilassò. Non riuscivo proprio a capire come fosse possibile aprirsi in quel

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    modo con un amico, figuriamoci con uno sconosciuto, eppure la franchezza di Ellie non mi intimidì. Certo, si sarebbe potuta aspettareche contraccambiassi parlandole di me, ma quando mi avesse conosciuta meglio avrebbe capito che non sarebbe successo, non avevodubbi.

    Con mia sorpresa, un silenzio r ilassato era calato tra noi. Come rendendosene conto a sua volta, Ellie mi sorrise dolcemente. «Cosaci fai a Edimburgo?»

    «È qui che abito adesso. Doppia cittadinanza. Mi sento più a casa in Scozia.»La risposta le piacque.«Studi?»Scossi il capo. «Mi sono appena laureata. Il giovedì e il venerdì sera lavoro al Club 39, in George Street, ma adesso come adesso

    sto più che altro cercando di concentrarmi sul libro che sto scrivendo.»Ellie parve entusiasta di quella rivelazione. «Ma è bellissimo! Ho sempre sognato di avere un’amica scrittrice, ed è così coraggioso

    inseguire i propri sogni. Mio fratello crede che il dottorato sia uno spreco di tempo, visto che potrei lavorare per lui, ma io adoroquello che faccio. Tengo anche dei corsi all’università. È così... Ecco, mi rende felice. E io sono una di quelle orribili persone chepossono permettersi di fare quello che amano anche se non ci guadagnano granché.» Fece una smorfia. «È terribile, vero?»

    Io non amavo dare giudizi. «È la tua vita, Ellie. Hai la fortuna di essere ricca, e questo non fa certo di te una persona orribile.» Nellamia mente sentivo riecheggiare la voce nasale della mia psicologa del liceo: “Adesso perché non applichi lo stesso ragionamento a testessa, Joss? Accettare la tua eredità non ti rende una persona orribile. È quello che i tuoi genitori desideravano per te”.

    Dai quattordici ai diciotto anni avevo vissuto con due famiglie affidatarie nella mia città natale in Virginia. Nessuna delle due eraricca e, dalla grande casa di lusso, dal cibo e dagli abiti raffinati a cui ero abituata, mi ritrovai a mangiare spaghetti in scatola inquantità e a condividere i vestiti con una “sorella” adottiva più piccola che casualmente era alta come me. Con l’avvicinarsi del miodiciottesimo compleanno, poiché tutti quanti sapevano che avrei ricevuto una notevole eredità, ero stata avvicinata non solo da diversiimprenditori della mia città intenzionati a sfruttare quella che supponevano essere una bambinetta ingenua e ad assicurarsi uninvestimento, ma persino da un compagno di classe che voleva finanziassi il suo sito Internet. Credo che l’aver vissuto allo stessomodo dell’altra metà della gente durante gli anni della mia formazione e l’essermi poi vista circondata da persone false e da leccapiedipiù interessati alle mie tasche gonfie che non a me fossero due delle ragioni per cui ero restia a mettere mano ai miei soldi.

    Standomene lì seduta con Ellie, che aveva una situazione finanziaria simile alla mia e che, come me, si trovava a fare i conti con i

    sensi di colpa (seppur di altra natura), mi sentii sorprendentemente in sintonia con lei.«La stanza è tua» annunciò Ellie di punto in bianco.La sua allegria improvvisa mi strappò una risata. «Non vuoi sapere altro?» le chiesi.Facendosi d’un tratto seria, Ellie annuì. «Mi hai fatto una buona impressione.» Anche tu mi hai fatto una buona impressione. Le sorrisi sollevata. «Allora mi piacerebbe molto venire a vivere qui.»

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    Una settimana dopo avevo traslocato nel lussuoso appartamento di Dublin Street. A differenza di Ellie e del suo disordine, a me piaceva che intorno a me fosse tutto perfettamente a posto, e dunque mi misi subito

    a sistemare le mie cose.«Sicura di non volerti sedere a bere una tazza di tè insieme?» domandò Ellie dalla porta mentre io ero in camera mia, circondata da

    scatoloni e un paio di valigie.«Voglio mettere a posto tutto quanto, così poi potrò rilassarmi e non pensarci più.» Le rivolsi un sorriso rassicurante per far sì che

    non pensasse che volessi levarmela di torno. Ho sempre odiato questo aspetto di un’amicizia appena nata, l’estenuante dover sondarea vicenda le proprie personalità nel tentativo di capire come l’altro reagirà a un certo tono o atteggiamento.

    Ellie si limitò ad annuire comprensiva. «Okay. Be’, io ho una lezione tra un’ora e anziché prendere un taxi andrò all’università apiedi, il che significa che devo avviarmi adesso. Così avrai un po’ di spazio per te e un po’ di tempo per familiarizzare con la casa.»

    Mi piaci sempre di più. «Buona lezione.»«Buon divertimento.»Risposi con un grugnito e la salutai con un cenno della mano mentre lei, dopo avermi rivol to un sorrisino amabile, uscì.Non appena sentii la porta d’ingresso chiudersi, mi lasciai cadere sul mio nuovo letto incredibilmente comodo. «Benvenuta in Dublin

    Street» mormorai fissando il soffitto.

    I Kings of Leon presero a cantare a squarciagola “Your sex is on fire ”, strappandomi un borbottio per il fatto che qualcuno stessegià disturbando il mio momento di solitudine. Con un colpo d’anca, tirai il telefono fuori dalla tasca e sorrisi nel vedere il nome suldisplay.

    «Ehi, tu» risposi in tono allegro.«Al lora, ti sei già trasferita nel tuo nuovo appartamento ipercaro, ultralusso e supersontuoso?» domandò Rhian senza preamboli.«Sbaglio o è invidia allo stato puro quella che sento?»«Indovinato, lurida fortunella che non sei altro. Stamattina quando mi hai mandato quelle foto per poco non vomitavo nella

    scodella dei cereali. Ma esiste davvero un posto del genere al mondo?»«Devo forse dedurre che l’appartamento di Londra non è all’altezza delle tue aspettative?»«Aspettative? Mi sto svenando per pagare una stramaledetta scatola di cartone che spacciano per casa!»Sbuffai.«Oh, ’fanculo» borbottò Rhian avvilita. «Mi mancate tu e la nostra reggia infestata dai topi.»«Anche a me mancate tu e la nostra reggia infestata dai topi.»«Lo dici mentre contempli la tua vasca da bagno con i piedi a zampa di leone e i rubinetti d’oro?»«No, mentre me ne sto sdraiata sul mio letto da cinquemila dollari.»«Che in sterline sarebbero?»«Non lo so. Tremila?»«Oh, Gesù, dormi su sei settimane di affitto.»Con un gemito mi misi a sedere per aprire lo scatolone più vicino. «Vorrei non averti mai detto quanto pago d’affitto.»«Be’, ti meriteresti una bella predica per come stai sprecando i tuoi soldi per un affitto quando ti saresti potuta comprare una casa,

    ma chi sono io per parlare?»«Appunto, e non mi servono prediche. È questo il bello dell’essere orfani. Niente prediche di gente preoccupata per me.»Non so perché lo dissi.Non c’era niente di bello nell’essere orfani.Né nel non avere nessuno che si preoccupasse per te.

     All’altro capo del telefono, Rhian restò in silenzio. Non parlavamo mai dei rispettivi genitori . Era la nostra zona proibita.«Comunque sia» proseguii, schiarendomi la voce «sarà meglio che mi rimetta a sistemare le mie cose.»

    «La tua nuova coinquilina è lì?» Rhian riprese la conversazione come se non avessi detto nulla sul fatto di essere senza famiglia.«È appena uscita.»«Hai già conosciuto i suoi amici? C’è anche qualche maschio? Prestante magari? Prestante abbastanza da mettere fine ai tuoi

    quattro anni di astinenza?»Il sorriso scettico affiorato sulle mie labbra svanì quando mi balenò in mente un’immagine di Mr Eleganza. Pensare a lui mi scatenò

    un brivido sulla pelle che mi fece ammutolire. Non era la prima volta che s’insinuava nei miei pensieri negli ultimi sette giorni.«Che significa?» domandò Rhian in risposta al mio silenzio. «C’è qualche bel maschione?»«No» tagliai corto mentre mi affrettavo a scacciare Mr Eleganza dalla mia testa. «Non ho ancora conosciuto nessuno degli amici di

    Ellie.»«Che noia.»Non proprio. L’ultima cosa di cui ho bisogno nella mia vita è un ragazzo. «Senti, devo finire di sistemare qui. Ci sentiamo più

    tardi?»«Certo, tesoro. A dopo.»Riattaccammo e sospirai, fissando tutti i miei scatoloni. Non desideravo altro che buttarmi di nuovo sul letto e farmi una lunga

    dormita.«Su, mettiamoci all’opera.»

    Qualche ora dopo avevo finito. Tutti i miei scatoloni erano ordinatamente ripiegati nel mobile nell’ingresso. I miei vestiti erano appesio nei cassetti. I miei libri erano allineati sulla mensola e il mio portatile aperto sulla scrivania, in attesa delle mie parole. Avevo messouna fotografia dei miei genitori sul comodino, un’altra mia e di Rhian a una festa di Halloween sulla mensola e, accanto al portatilesulla scrivania, la mia foto preferita. Io con in braccio Beth e mamma e papà alle nostre spalle. Eravamo nel cortile sul retro, duranteun barbecue che avevamo fatto l’estate prima che morissero. L’aveva scattata il nostro vicino di casa.

    Sapevo che in genere le foto attiravano domande, ma non riuscivo proprio a nasconderle. Servivano a ricordarmi, pur

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    dolorosamente, che amando qualcuno non si poteva che finire con il cuore spezzato... Tuttavia non riuscivo a sopportare l’idea disepararmene.

    Mi baciai le punte delle dita e le posai dolcemente sulla foto dei miei genitori.Mi mancate.Dopo un momento, una goccia di sudore che mi scivolò lungo la nuca mi fece emergere dalla nebbia della mia malinconia e

    arricciai il naso. Faceva caldo, e io mi ero avventata su scatoloni e valigie con la stessa foga di Terminator all’inseguimento di JohnConnor.

    È ora di provare quella meravigliosa vasca da bagno. Vi versai del bagnoschiuma e aprii l’acqua calda, cominciando immediatamente a ri lassarmi nel sentire il profumo intenso di fiori di

    loto. Tornata in camera mia, mi tolsi la maglietta e i calzoncini sudati per poi passeggiare nuda, libera e soddisfatta, nell’atrio del mionuovo appartamento.

    Mi guardai intorno sorridendo, senza riuscire ancora a credere che tutta quella meraviglia sarebbe stata mia almeno per altri seimesi.

    Con la musica che usciva a tutto volume dal mio smartphone, mi immersi nella vasca e mi appisolai. Fu soltanto perché l’acquacominciava a raffreddarsi che riemersi dal regno dei sogni. Non potendo sentirmi più tranquilla e appagata di così, uscii goffamentedalla vasca per prendere il telefono. Non appena intorno a me fu calato il silenzio, lanciai un’occhiata al portasciugamani e mi raggelai.

    Merda.Neanche una salvietta. Guardai storto il portasciugamani come se fosse colpa sua. Avrei potuto giurare che la settimana scorsa ci

    fossero delle salviette. Adesso per forza di cose avrei lasciato una scia d’acqua per tutto l’ingresso.Brontolando sottovoce, aprii la porta con un gesto deciso e uscii nel grande atrio.«Uhm... salve» disse una voce profonda e strozzata, facendomi alzare di scatto gli occhi dalla pozza che stavo lasciando sul

    pavimento di legno.Un gr idolino scandalizzato mi si bloccò in gola mentre fissavo dritto negli occhi Mr Eleganza.Cosa ci faceva qui? In casa mia? Uno stalker! Restai lì con la bocca spalancata mentre cercavo di capire che accidenti stesse succedendo. Ci misi un po’ ad accorgermi che i suoi

    occhi non guardavano il mio viso ma correvano su e giù per il mio corpo nudo, molto nudo.

    Con un urlo biascicato che esprimeva tutto il mio terrore, mi premetti un braccio sul seno. Due occhi azzurri incrociarono i mieiocchi grigi, che li fissavano sbigottiti. «Cosa ci fai in casa mia?» Mi guardai rapidamente intorno in cerca di un’arma. Un ombrello? La punta è di metallo... potrebbe funzionare...

    Un altro suono strozzato attirò di nuovo i miei occhi verso i suoi e sentii tra le mie gambe un’ondata di calore indesiderata e deltutto fuori luogo. Aveva di nuovo quello   sguardo. Tenebroso, avido di sesso. Odiai la reazione istantanea che scatenava nel miocorpo, considerato che quel tizio avrebbe potuto essere un serial killer.

    «Voltati!» gridai, tentando di nascondere quanto mi sentissi vulnerabile.Mr Eleganza alzò immediatamente le mani in segno di resa e pian piano si girò, dandomi la schiena. Vedendo le sue spalle

    sussultare, strizzai gli occhi. Quel bastardo stava ridendo di me.Con il cuore che batteva all’impazzata, feci per precipitarmi in camera mia a recuperare dei vestiti – e magari anche una mazza da

    baseball – quando i miei occhi intercettarono una fotografia sulla bacheca di Ellie. Era uno scatto di lei con... Mr Eleganza.Ma che diavolo...?Perché non me ne sono accorta prima? Ah, già. Perché non mi piace fare domande.  Contrariata dal mio pessimo spirito di

    osservazione, gettai una rapida occhiata alle mie spalle. Vidi con piacere che Mr Eleganza non mi stava sbirciando. Mentre sgambettavoverso camera mia, la sua voce profonda mi seguì, rimbombando per l’atrio d’ingresso fino a raggiungere le mie orecchie. «SonoBraden Carmichael. Il fratello di Ellie.»

    Ma certo , pensai irritata, asciugandomi pr ima di infilare il mio corpo furibondo dentro un paio di shorts e una canotta.Con un cespuglio bagnato di capelli biondo scuro tendenti al castano ammassati sulla testa, tornai come una furia nell’atrio, pronta

    ad affrontarlo.Braden si era voltato. Mentre mi squadrava, le sue labbra si incresparono. Il fatto che fossi vestita non contava. Mi vedeva ancora

    nuda. Era evidente.Indignata, mi misi le mani sui fianchi con fare bellicoso. «Ed entri in casa così, senza nemmeno bussare?»Sentendo il mio tono, inarcò un sopracciglio scuro. «Questa è casa mia .»«Ma accidenti, bussare è semplicemente buona educazione» ribattei.Per tutta risposta si strinse nelle spalle e poi, con nonchalance, si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni dell’abito. Doveva aver

    lasciato la giacca da qualche parte e si era arrotolato le maniche della camicia bianca fino al gomito, scoprendo gli avambracci forti,con le vene in rilievo.

     Alla vista di quelle braccia così sexy, sentii una fitta di desiderio.Merda.Merda merdissima.

     Arrossii interiormente. «Be’, cosa aspetti a scusarti?»Braden mi scoccò un sorriso malizioso. «Non porgo mai scuse che non siano sentite, e non ho intenzione di scusarmi per questa

    faccenda. È stato il miglior momento della mia settimana. Del mio ultimo anno, forse.» Il suo sorriso era così rilassato che per poconon mi ritrovai a ricambiarlo. Ma no, non avrei ceduto.

    Braden era il fratello di Ellie. Era fidanzato.E la mia attrazione per questo sconosciuto era decisamente eccessiva. Non poteva certo farmi bene.«Wow, la tua vita dev’essere proprio una noia» risposi in tono altezzoso ma esitante passandogli davanti. Come accidenti si fa a

    essere spiritosi dopo aver mostrato le proprie parti intime a un tipo che si conosce appena? Non potevo passargli molto alla larga, emi costrinsi a ignorare le farfalle che presero a svolazzare dentro il mio stomaco quando mi giunse una folata della deliziosa coloniache usava.

    Borbottando in risposta alla mia osservazione, Braden mi seguì. Sentivo il suo calore alle mie spalle mentre entravo in soggiorno.

    La sua giacca era buttata su una poltrona, mentre una tazza di caffè quasi vuota era posata sul tavolino accanto a un giornaleaperto. A veva proprio fatto come se fosse a casa sua mentre io me ne stavo in ammollo nella vasca da bagno, ignara di tutto.

    Infastidita, gli rivolsi un’occhiata rabbiosa da sopra la spalla. Vedendo il suo ghigno da ragazzino innocente ebbi un tuffo al cuore e distolsi subito lo sguardo, sedendomi sul bracciolo del

    divano mentre Braden sprofondava nella poltrona con disinvoltura. Il ghigno era svanito. Restò a fissarmi con le labbra increspate inun sorrisetto, come se stesse pensando a una barzelletta che solo lui poteva capire. Oppure a me, nuda.

     A dispetto della resistenza che gli opponevo, non volevo che trovasse divertente la mia nudità.«Al lora tu sei Jocelyn Butler.»

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    «Joss» lo corressi in automatico.Lui annuì e si rilassò sulla poltrona, facendo scivolare il braccio sullo schienale. Aveva delle mani divine. Eleganti ma virili. Grandi.

    Forti. Un’immagine di quelle mani che mi accarezzavano le cosce mi attraversò la mente prima che potessi impedirlo.Cazzo.Staccai gli occhi dalle sue mani per guardarlo in faccia. Aveva un’aria tranquilla, ma al tempo stesso molto autoritaria. D’un tratto

    mi resi conto che questo era lo stesso Braden che aveva un mucchio di soldi e responsabilità, una fidanzata spocchiosa e una sorellaminore verso cui era senza dubbio iperprotettivo.

    «Pare che tu piaccia a Ellie.»Ellie non mi conosce. «E a me piace lei. Quanto a suo fratello, non ne sono così certa. Sembra un po’ maleducato.»Braden sorrise mostrando i suoi denti candidi, leggermente storti. «Nemmeno lui è certo che tu gli piaccia.»I tuoi occhi stanno dicendo i l contrario. «Ah, no?»«Non so se mi vada che la mia sorellina viva con un’esibizionista.»Risposi con una smorfia, riuscendo a stento a trattenermi dal fargli anche la linguaccia. Era proprio in grado di tirare fuori il mio

    lato più maturo. «Gli esibizionisti vanno in giro nudi in pubblico. Per quel che ne sapevo, in casa non c’era nessuno oltre a me, eavevo dimenticato di prendere un asciugamano.»

    «Dio, ti ringrazio per i piccoli miracoli che compi ogni giorno.»Lo stava facendo di nuovo. Mi stava guardando in quel  modo. Ma si rendeva conto di essere davvero sfrontato?«Seriamente» proseguì, mentre i suoi occhi scivolavano sul mio seno prima di tornare a posarsi sul mio volto. «Dovresti andare

    sempre in giro nuda.»Quel complimento andò a segno. Non potei fare nulla per impedirlo. L’ombra di un sorriso si disegnò sulle mie labbra e lo guardai

    scuotendo i l capo, come se fosse uno scolaretto indisciplinato.Compiaciuto, Braden fece una risatina sommessa. Uno strano e inatteso senso di pienezza si diffuse nel mio petto e capii di dover

    spezzare quell’assurda attrazione istantanea che si creava tra noi. Non mi era mai successo prima, dunque avrei dovuto improvvisare. Alzai gli occhi al cielo. «Sei uno stronzo.»Sbuffando, Braden raddrizzò la schiena. «Di solito le donne me lo dicono quando chiamo un taxi dopo che me le sono scopate.»Sbattei rapidamente le palpebre nel sentire quel linguaggio tanto rozzo. Stava succedendo davvero? Stavamo già usando quella

    parola nonostante ci conoscessimo da così poco?Lui captò la mia espressione. «Non mi dire che detesti quella parola.» Al contrario. Credo che, usata al momento giusto, potrebbe farmi perdere completamente la testa. «No. È solo che non credo

    dovremmo parlare di sesso, visto che ci siamo appena conosciuti.»Okay. Mi era uscita proprio male.Gli occhi di Braden si illuminarono. «Non mi ero accorto che lo stessimo facendo.»Cambiai argomento di colpo. «Se sei qui per Ellie, è all’università.»«A dire il vero, ero venuto per conoscere te, solo che non sapevo avrei trovato te . Che coincidenza, però. Ti ho pensata piuttosto

    spesso da quell’incontro in taxi, la scorsa settimana.»«Mentre eri fuori a cena con la tua fidanzata?» domandai in tono sarcastico, con la sensazione che avere a che fare con lui fosse

    come nuotare controcorrente. Volevo che uscissimo da quel terreno di allusioni ambigue e discorsi sul sesso su cui eravamo finiti perpassare a una normale conversazione tra me e nient’altro che il fratello della mia coinquilina.

    «Holly è andata al Sud a trovare i suoi genitori questa settimana. È di Southampton.»E chissenefrega. «Capisco. Ecco...» Mi alzai, sperando che quel gesto gli facesse capire che doveva andarsene. «Ti direi che è stato

    un piacere conoscerti, ma ero nuda quindi... non lo è stato. Ho parecchio da fare. Dirò a Ellie che sei passato.»Ridendo, Braden scosse il capo e si alzò per rimettersi la giacca dell’abito. «Sei una persona difficile da penetrare.»Okay, era evidente che a questo ragazzo bisognava dire chiaro e tondo come stavano le cose. «Ehi, non ci sarà un bel niente da

    penetrare. Né ora né mai.»Mentre veniva verso di me, facendo sì che mi rimettessi a sedere, era sul punto di soffocare dalle risate. «Davvero, Jocelyn... Perché

    devi far sembrare tutto così sconcio?»Restai a bocca aperta per lo sdegno mentre lui, voltandosi, se ne andava... E aveva avuto l’ultima parola.Lo odiavo.Davvero.Peccato che il mio corpo non fosse d’accordo.

  • 8/17/2019 Sei Bellissima Stasera - Samantha Young(1)

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    3

    Più che una discoteca, il Club 39 era un bar con una piccola pista da ballo quadrata dietro la nicchia in fondo. Si trovava in GeorgeStreet, in un seminterrato. I soffitti erano bassi, come pure i divanetti rotondi e i cubi che facevano da sedie, e la zona del bar era statacostruita ancora più in basso, quindi per raggiungerla i clienti, anche quelli ubriachi, naturalmente, dovevano scendere tre scalini.Chiunque avesse aggiunto quel dettaglio allo schizzo dell’architetto doveva proprio essersi fumato qualcosa.

    Di solito il giovedì sera il locale, con le sue luci soffuse, era affollato di studenti, ma ora che il semestre era finito e che l’estatescozzese incombeva su di noi, la serata era tranquilla e la musica bassa, dal momento che in pista non c’era nessuno.

     Allungai al ragazzo dall’altro lato del bancone i suoi drink e lui mi porse una banconota da dieci. «T ieni il resto» disse ammiccando.Ignorai l’occhiolino ma infilai la mancia nell’apposito barattolo. A fine serata ci dividevamo sempre i soldi , nonostante Jo sostenesse

    che io e lei, grazie alla nostra divisa composta da canotta bianca superscollata e jeans neri attillatissimi, riuscivamo a racimolare piùmance di tutti. La canotta riportava la scritta “Club 39” sul seno destro in un bel corsivo nero ed elegante. Semplice ma efficace,soprattutto quando nel reparto tette una era ben fornita come me.

    Craig era in pausa, quindi eravamo solo io e Jo a servire la piccola folla di avventori che andava diminuendo di minuto in minuto. Annoiata, lanciai un’occhiata all’altro capo del bancone per vedere se Jo avesse bisogno di aiuto.

    Ne aveva bisogno eccome.Ma non per servire qualcuno.

    Mentre porgeva il resto a un cliente, lui le aveva afferrato il polso per poi strattonarla verso di sé sopra il bancone, in modo che sitrovasse vicinissima al suo volto. Aggrottai la fronte e aspettai di vedere come Jo avrebbe reagito. La sua carnagione pallida si tinse dirosso, e Jo prese a tirare indietro il proprio braccio nel tentativo di liberarsi dalla presa del cliente. Il tizio era in compagnia di dueamici che, dietro di lui, ridevano. Che bello.

    «Lasciami andare, per favore» disse Jo a denti stretti, tirando più forte.Non essendoci Craig nei paraggi ed essendo il polso di Jo così sottile che avrebbe potuto spezzarsi, la situazione era nelle mie mani.

    Mi diressi verso di loro, premendo il pulsante sotto il bancone per far intervenire gli uomini della sicurezza che stazionavanoall’ingresso.

    «Su, dài, tesoro, è il mio compleanno. Soltanto un bacio.»La mia mano piombò su quella del ragazzo e le mie unghie affondarono nella sua pelle. «Lasciala andare, brutto stronzo, prima che

    ti strappi un pezzo di mano e te lo inchiodi alle palle.»Lui grugnì di dolore e si allontanò di scatto da me, lasciando andare anche Jo. «Sei proprio una puttanella americana» gemette,

    cullandosi la mano tappezzata di profondi solchi a forma di mezzaluna. «Protesterò con la direzione.»Perché la mia nazionalità saltava sempre fuori in situazioni negative? E che diavolo significava, poi? Eravamo forse in un film per

    adolescenti degli anni Ottanta? Mi limitai a sbuffare, indifferente alle sue parole.Brian, il nostro gigante della sicurezza, comparve dietro di lui. A veva un’aria tutt’altro che divertita. «Problemi, Joss?»«Sì. Per favore puoi portare questo tizio e i suoi amici fuori dal locale?»Non domandò nemmeno perché. Ci era successo solo poche volte di far cacciare qualcuno, per cui Brian si fidava del mio giudizio

    sulla situazione. «Forza, ragazzi, muovete le chiappe» ringhiò. I tre, codardi com’erano, pallidi in volto e ubriachi fradici, sitrascinarono fuori dal locale seguiti da Brian.

    Sentendo Jo tremare accanto a me, le posai una mano sulla spalla per confortarla. «Tutto okay?»«Sì.» Mi rivolse un sorriso poco convinto. «È proprio una serataccia. Prima che venissi al lavoro, Steven mi ha piantata.»Trasalii, sapendo quanto quel fatto dovesse essere doloroso per Jo e il suo fratellino. Vivevano insieme in un piccolo appartamento

    in Leith Walk, dove a turno accudivano la madre, che soffriva della sindrome da fatica cronica. Per riuscire a pagare l’affitto, Jo, cheera bellissima, usava il suo aspetto fisico per attirare uomini molto più anziani di lei che l’aiutassero finanziariamente ad assistere lasua famiglia. Non le importava che tutti le ripetessero in continuazione che era abbastanza intelligente da poter fare qualcosa di piùdella sua vita: era troppo piena di insicurezze. L’unica cosa su cui sapeva di poter contare era la sua avvenenza, che le permetteva

    sempre di accalappiare un uomo che si sarebbe preso cura di lei e della sua famiglia. Ma il fatto che dovesse occuparsi della madrefiniva sempre per mettere in ombra la sua bellezza, e tutti i suoi uomini prima o poi la mollavano.«Mi dispiace, Jo. Sai che se ti serve una mano con l’affitto o qualsiasi altra cosa, non devi fare altro che chiedere.»

     Avevo perso il conto delle vo lte che le avevo offerto il mio aiuto. Aveva sempre ri fiutato.«No.» Scosse il capo e mi diede un bacio affettuoso sulla guancia. «Ne troverò un altro. Come sempre.»Si allontanò, le spalle curve, e per quanto non volessi farlo mi ritrovai a preoccuparmi per lei. Jo era un’incompresa. Poteva darti sui

    nervi con il suo materialismo, ma anche umiliarti tanta era la dedizione che aveva per la sua famiglia. Certo, aveva anche una passioneper le belle scarpe, ma la metteva in secondo piano quando si trattava di assicurarsi che il suo fratellino e sua madre stessero bene.Purtroppo quella dedizione faceva anche sì che calpestasse chiunque incontrasse sulla sua strada, e che venisse a sua volta calpestatada chiunque volesse usare la sua stessa situazione contro di lei.

    «Vado in pausa. Ti mando Craig.»Sebbene non potesse vedermi, annuii, domandandomi chi sarebbe stata la sua prossima vittima. O forse dovevo chiedermi chi

    avrebbe fatto di lei la sua prossima vittima?«Serata tranquilla, eh?» Un paio di minuti dopo Craig venne lentamente verso di me con una bibita in mano. Alto, bruno e

    prestante, Craig probabilmente prendeva tante mance quante me e Jo. Faceva sempre il cascamorto con tutte, e gli riusciva bene.«È estate» mormorai dando un’occhiata in giro per il locale prima di voltarmi per appoggiarmi al bancone. «Durante la settimana

    ricominceremo ad avere gente solo ad agosto.» Non dovetti spiegare che la ragione per cui i clienti sarebbero aumentati era il festival. Ad agosto, infatti, l’intera città era presa d’assalto: orde di turisti piombavano a Edimburgo, accaparrandosi tutti i tavoli migliori neimigliori ristoranti, ed erano sempre così numerosi che per fare cinque passi ci si impiegavano cinque minuti.

    Tuttavia, le mance non erano male.Craig sospirò e si protese verso di me. «Che noia.» Fece scivolare lo sguardo lungo il mio corpo, scrutandolo lentamente. «Ti va

    una sveltina nel bagno degli uomini?»

  • 8/17/2019 Sei Bellissima Stasera - Samantha Young(1)

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    Me lo chiedeva a ogni turno.Io rifiutavo sempre, dicendogli di farsela con Jo anziché con me, e la sua risposta era: “Già dato”. Per lui ero una sfida amichevole,

    e credo si fosse seriamente autoilluso di poter riuscire a conquistarmi un giorno.«Be’? Ti va?» domandò alle mie spalle una voce dolce e familiare.Mi voltai, sbattendo le palpebre per lo stupore nel vedere Ellie dall’altra parte del bancone. Dietro di lei c’erano un ragazzo che non

    conoscevo e... Braden.Sbiancando in volto all’istante, ancora umiliata da quel che era successo ieri, notai a malapena l’espressione volutamente

    impenetrabile con cui fissava Craig.Distolsi subito lo sguardo e rivolsi a Ellie un sorriso poco convinto. «Ehm... cosa ci fai qui?»Ieri avevamo cenato insieme. Le avevo detto che era passato Braden, ma avevo sorvolato sul fatto che mi avesse visto nuda. Lei mi

    aveva raccontato della sua lezione, e avevo capito perché fosse una docente tanto brava. La sua passione per la storia dell’arte eracontagiosa, e mi ero ritrovata ad ascoltarla con autentico interesse.

    Tutto sommato, era stata una prima cena piacevole. Ellie mi aveva fatto un paio di domande personali che ero riuscita a ribaltare sudi lei. Avevo saputo che era la maggiore di altri due fratellastri: Hannah, quattordici anni, e Declan, dieci. Sua madre, Elodie Nichols,viveva con il marito Clark qui a Edimburgo, nella zona di Stockbridge. Elodie lavorava part-time come manager allo Sheraton GrandHotel, e Clark era un professore di storia classica all’università. Era chiaro, dal modo in cui ne parlava, che Ellie li adorava tutti quanti,ed ebbi come l’impressione che Braden passasse più tempo con questa famiglia che non con sua madre.

    Oggi, a pranzo, Ellie e io ci eravamo prese una pausa dalle nostre rispettive occupazioni per metterci in soggiorno a mangiare unboccone e guardare un po’ di tivù. Non avevamo fatto che ridacchiare per un intero episodio di una classica sitcom britannica e poi,immerse in un silenzio rilassato, eravamo entrate in sintonia. Avevo avuto la percezione che non solo era come se stessi guadagnandoterreno con la mia nuova coinquilina a una velocità sorprendente, ma anche che quel terreno era solido.

    Però, insomma, farmi un’improvvisata al lavoro insieme a suo fratello? Be’, quella avrebbe potuto risparmiarsela. Non che sapessedel mio incidente di ieri con Braden...

    «Stavamo andando al Tigerlily a bere qualcosa con degli amici e abbiamo pensato di passare a farti un saluto.» Mi rivolse un gransorriso, gli occhi che le brillavano con la malizia di una ragazzina, poi guardò Craig di sottecchi con aria interrogativa.

    Tigerlily, eh? Mica male come posto. Notai il grazioso abito con le paillette di Ellie. Faceva molto anni Venti e non poteva non essere

    griffato. Era la prima volta che la vedevo così in ghingheri, e il fatto che anche Braden, accanto a lei, indossasse un abito elegante eche il loro amico avesse a sua volta un’aria tanto raffinata, mi mise un po’ di malumore. Nonostante tutti i miei soldi, non ero abituataal loro stile di vita palesemente trendy, tutto cocktail e crème brûlée. Con una certa delusione, mi resi conto di non avere nulla incomune con questa gente.

    «Oh» mi limitai a mugugnare, ignorando le sopracciglia aggrottate di Ellie.«Ti presento Adam» disse lei voltandosi verso il ragazzo che stava alle sue spalle non appena capì che non avrei risposto alla sua

    domanda inespressa. Ellie lanciò a Adam uno sguardo pieno di calore, tanto che mi domandai se fossero fidanzati. Non che lei miavesse accennato a un ragazzo. Quel bel tipo con i capelli scuri era appena un pochino più basso di Braden e le sue spalle largheriempivano il completo che indossava alla perfezione.

    Gli occhi caldi e scuri di Adam scintillarono sotto le luci del locale mentre lui mi sorrideva. «Ciao. Piacere.»«Piacere mio.»«Adam è il migliore amico di Braden» spiegò Ellie prima di voltarsi verso il fratello. Non appena i loro sguardi si incontrarono, lei

    scoppiò in una risata che, quando si girò per guardarmi di sottecchi, riempì il locale come un’esplosione di bolle di sapone. «Tipresenterei anche Braden, ma credo vi siate già... conosciuti.» Ellie si stava ormai sbellicando, al punto che riuscii a stento a sentire laparola “conosciuti”.

    Mi irrigidii.Sapeva.Strizzando gli occhi, scoccai a Braden uno sguardo disgustato. «Gliel’hai detto.»«Detto cosa?» domandò Adam, perplesso, osservando Ellie che ancora ridacchiava in modo incontrollato.Le labbra di Braden si sollevarono ai lati, divertite, mentre lui rispondeva all’amico senza staccarmi gli occhi di dosso. «Che ho

    sorpreso Jocelyn a vagare nuda per casa.» Adam mi guardò con aria incuriosita.«Non è vero» ribattei in tono aggressivo. «Stavo uscendo dal bagno per cercare un asciugamano.»«Ti ha vista nuda?» intervenne Craig corrugando la fronte.«Braden Carmichael» disse Braden porgendo la mano a Craig sopra il bancone. «Piacere.»Craig la strinse, leggermente sbalordito. Ottimo. Persino gli uomini erano affascinati da lui. Braden sorrise a Craig, ma la sua

    espressione allegra svanì quando i suoi occhi tornarono a posarsi su di me. Percepii una lieve freddezza nel suo sguardo e aggrottai le

    sopracciglia. E adesso cos’avevo fatto?«Ho una fidanzata» disse Braden a Craig per tranquillizzarlo. «Non stavo cercando di rimorchiare la tua.»«No, Joss non è la mia ragazza» rispose Craig scuotendo il capo e guardandomi con un sorrisetto impudente. «E non perché io non

    ci abbia provato.»«Cliente.» Indicai la ragazza in fondo al bancone, felice di aver trovato una scusa per levarmelo di torno.Non appena se ne fu andato, Ellie si appoggiò al bancone. «Non è il tuo ragazzo? Sul serio? E perché? È carino. E ha un debole per

    te, questo è poco ma sicuro.»«È una malattia a trasmissione sessuale ambulante» risposi scontrosa, pulendo con uno strofinaccio una macchia invisibile sul

    bancone nel tentativo disperato di evitare gli occhi di Braden, fissi su di me.«Ti parla sempre in quel modo?»La domanda di Braden mi fece alzare controvoglia la testa. Quando vidi che stringeva gli occhi in direzione del mio collega per

    trafiggerlo con uno sguardo gelido e letale, sentii immediatamente il bisogno di rassicurarlo e difendere Craig. «Lo dice per scherzo.»«Oddio, com’è possibile che i miei dieci minuti di pausa siano già finiti?» si lagnò Jo raggiungendo lentamente il bancone. Puzzava

    di fumo. Non riuscivo proprio a capacitarmi di come si potesse tollerare un vizio che faceva puzzare in maniera tanto disgustosa.

     Arricciai il naso e lei capì subito. Senza prendersela, si limitò ad alzare le spalle e mi mandò un bacio canzonatorio mentre si fermavaper appoggiarsi al bancone di fronte a Braden. Se lo mangiò con i suoi grandi occhi verdi, come se lui fosse una sigaretta che lei nonriusciva a smettere di fumare. «E chi abbiamo qui?»

    «Io sono Ellie.» Come una quindicenne vezzosa, Ellie salutò Jo con la mano. Le sorrisi. Era proprio adorabile. «Sono la nuovacoinquilina di Joss.»

    «Ciao.» Jo le fece un sorriso educato prima di tornare a posare su Braden uno sguardo carico di aspettativa.Il suo palese interesse per lui non mi dava affatto fastidio.«Braden» disse lui rivolgendole un cenno del capo per poi guardarmi di nuovo dri tto in faccia.

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    Okay. Sul serio? Ero sbalordita.

     A essere sincera, devo ammettere che ero pronta a vedere Braden dare fondo a tutte le sue armi di seduttore con Jo. Era alta, conun fisico da modella, e aveva una folta chioma di lunghi capelli ramati lisci come spaghetti. Se già con me Braden Carmichael sitrasformava in un playboy sprizzasesso, ero sicurissima che con Jo avrebbe sfoderato tanto di quel fascino che avremmo dovutoraccoglierla da terra con un cucchiaino.

    Invece era stato piuttosto freddo nei suoi confronti.Il che non mi rendeva per niente felice.Mmh. Ero sempre stata brava a mentire a me stessa.«Braden Carmichael ?» domandò Jo, senza rendersi conto della sua mancanza di interesse. «Oh, mio Dio. Ma tu sei il proprietario

    del Fire.» Accidenti alla mia curiosità per questo ragazzo. «Fire?»«La discoteca in Victoria Street. Hai presente, appena dopo il Grassmarket?» Le ciglia di Jo avevano preso a sbattere a un ritmo

    forsennato.È proprietario di una discoteca. Ma certo.«Già» mormorò lui prima di controllare l’orologio.Conoscevo la mossa. La usavo ogni volta che mi sentivo a disagio. In quel momento avrei tanto desiderato dare uno schiaffo a Jo

    per averlo adulato a quel modo. Braden non avrebbe rimpiazzato Steven. Mai e poi mai.«Adoro quel posto» proseguì Jo, chinandosi un po’ di più sul bancone in modo da offrirgli una visuale dettagliata del suo seno

    piccolo e insignificante.Ops. E questa da dove saltava fuori?«Potremmo andarci insieme qualche volta, no? A proposito, io sono Jo.»Puah! Stava ridacchiando come una bambinetta di cinque anni. Per qualche ragione, quei risolini che sentivo ogni giovedì e venerdì

    sera d’un tratto suonarono molto irritanti.Con un’espressione impaziente, Braden diede un colpetto con il gomito a Ellie come per dirle che era ora di andare, ma lei era

    troppo impegnata a parlottare con A dam per accorgersi della muta disperazione del fratello.

    «Che ne dici?» insistette Jo.Braden mi lanciò uno sguardo indagatore che non riuscii bene a interpretare, per poi stringersi nelle spalle dicendo a Jo: «Ho unaragazza».

    Jo sbuffò scuotendo la sua chioma lucida. «E tu lasciala a casa.»Oh, Gesù... «Ellie, non avevi detto che dovevate vedervi con degli amici?» domandai a voce abbastanza alta da farla staccare da

     Adam. Doveva accorrere immediatamente in soccorso del fratello.«Come?»Le scoccai un’occhiata penetrante e ripetei la domanda a denti stretti.

     Accorgendosi finalmente delle espressioni dipinte sui volti di Jo e di Braden, El lie annuì . «Ah, certo. Sarà meglio che andiamo.»Jo assunse un’aria imbronciata. «Non...»«Jo!» chiamò Craig, che aveva bisogno di aiuto in fondo al bancone, dove avevano cominciato a radunarsi altri clienti. In quel

    momento, sentii quasi di amarlo.Brontolando, Jo fece una smorfia infantile a Braden e si affrettò a raggiungere Craig.«Mi dispiace.» Ellie si morse il labbro, guardando Braden.Lui agitò la mano come a dire che non c’era nulla di cui scusarsi, poi arretrò, invitando Ellie ad avviarsi fuori dal locale con un gesto

    da gentiluomo.«Ciao, Joss.» Ellie mi rivolse un cenno di saluto, regalandomi un sorriso radioso. «Ci vediamo domattina.»«Sì. Buona serata.»Osservai la mano che Adam, con fare possessivo, posò in fondo alla schiena di Ellie mentre, salutandomi con un educato cenno del

    capo, la conduceva fuori. Che ci fosse qualcosa tra quei due? Forse. Di sicuro non l’avrei domandato a Ellie, sennò lei avrebbe fattoaltrettanto con me domandandomi della mia vita sentimentale inesistente, poi avrebbe voluto sapere come mai la mia vitasentimentale fosse inesistente. Quello era un argomento di cui non mi andava di parlare con nessuno.

    Sentii un formicolio percorrermi la pelle e, riluttante, lasciai che i miei occhi tornassero ad alzarsi su Braden, che aveva fatto unpasso verso il bancone, la cordiale freddezza di prima rimpiazzata da un calore decisamente troppo confidenziale.

    «Grazie per avermi salvato.» Giuro che la sua voce bassa mi fece fremere fin nelle mutandine.Ribollendo interiormente, mi sforzai di suonare disinvolta. «Nessun problema. Jo è un tesoro, non è cattiva... è solo

    spudoratamente a caccia di qualche riccone da spennare.»

    Braden si limitò ad annuire. Qualunque cosa avesse a che fare con Jo non pareva interessarlo.Ben presto tra noi calò il silenzio, e i nostri sguardi si incontrarono, si avvinghiarono, si incollarono. Non mi resi nemmeno conto diavere la bocca aperta fino a quando i suoi occhi non si abbassarono a fissarla.

    Che diavolo stava succedendo?Distolsi di scatto lo sguardo, sentendomi avvampare mentre mi guardavo intorno per controllare se qualcun altro si fosse accorto di

    quel momento tra noi due. Non ci aveva visti nessuno.Perché non se ne andava?Guardandolo nuovamente, mi sforzai di non apparire nervosa quando in realtà mi sentivo tremendamente a disagio. Tentai senza

    alcun successo di ignorare i suoi occhi che, lenti e appassionati, scrutavano il mio corpo. Doveva smetterla!Quando finalmente il suo sguardo incontrò il mio, feci una smorfia. Non riuscivo a crederci. Aveva praticamente ignorato Jo, ma

    per me si era messo in modalità “seduttore”. Che provasse qualche malsana soddisfazione nel tormentarmi? Allontanandosi dal bancone con un sorriso fugace, Braden scosse il capo.«Cosa c’è?» domandai con aria truce.Lui sfoderò un sorrisetto compiaciuto. Odiavo quando i ragazzi facevano così, anche se si trattava di sorrisetti sexy come il suo.

    «Non so come ti preferisco...» rifletté mentre, fingendosi intento a pensare a qualcosa, si accarezzava il mento «... se nuda o dentroquella canottiera. Una D, giusto?»

    Come? Aggrottai la fronte, completamente disorientata.Poi, d’un tratto, capii.Stronzo!Quell’idiota aveva appena tirato a indovinare che coppa di reggiseno portavo, e ci aveva azzeccato. Non mi avrebbe mai permesso

    di dimenticare quel che era successo ieri. Adesso mi era chiaro.Gli lanciai lo strofinaccio e lui rise, schivandolo. «Lo prendo come un sì.»

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    Poi sparì pr ima che potessi mettere insieme una replica di quelle memorabili, in grado di stenderlo.Giurai su Dio che, quando l’avessi rivisto, l’ultima parola sarebbe stata mia.

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    Lena, l’eroina della mia saga fantasy nonché spietata assassina del regno di Morvern, avrebbe dovuto pianificare il proprio attaccocontro il luogotenente della regina, Arvane, uno stregone che intratteneva una relazione segreta con la nipote della stessa e che sistava servendo della propria influenza e dei propri poteri magici per manipolare le autorità monarchiche e politiche. E invece Lena siera messa a fantasticare di togliere i vestiti di dosso a Ten, il capo delle guardie della regina, che era stato biondo per tutti i primicinque capitoli e che adesso era diventato moro e con gli occhi azzurri. Ten non doveva essere l’eroe romantico. Anzi, non dovevaproprio esserci nessunissimo eroe romantico. Qui si trattava di Lena!

    Frustrata, mi allontanai dal computer con una spinta.Maledetto Braden! Stava guastando persino il mio manoscritto con la sua carica erotica velenosa.Basta. Per oggi avrei chiuso con il lavoro. Sapendo che Ellie avrebbe preso del cibo cinese da asporto per cena dopo la sua giornata

    all’università, decisi di fare un salto nella palestra dietro l’angolo, in Queen Street, per un attacco preventivo alle calorie. In genere nonero attenta alla mia dieta, ma a scuola mi cimentavo in diversi sport e mi piaceva mantenermi in forma, il che era una buona cosa, dalmomento che adoravo le patatine. Patatine grandi, piccole, grasse, deliziose e croccanti. La relazione stretta che intrattenevo con loroera forse la più concreta della mia vita.

    Sfogai la frustrazione per il mio libro su tapis roulant, ellittica, cyclette e pesi fino a che non mi fui ridotta a una gelatina sudata eimpresentabile. L’allenamento mi rilassò al punto che il mio cervello riprese a lavorare. Un personaggio femminile cominciò a prendere

    forma nella mia mente e non volle più saperne di lasciarmi in pace, soprattutto perché era molto simile a me. Sola nella vita,indipendente, determinata. Era cresciuta in affido in Scozia per trasferirsi poi negli Stati Uniti con un visto di lavoro, e aveva finito perinnamorarsi...

    Il personaggio era mia madre. La storia di mia madre era stata felice finché non era finita in tragedia. E a chi non piace una buonatragedia? Mia madre sarebbe piaciuta a tutti. Era risoluta e schietta, ma davvero buona e compassionevole. Mio padre la adorò sin dalprimo istante, ma gli ci vollero sei mesi per riuscire ad abbattere le sue difese. La loro storia era stata straordinaria. Non avevo maipensato di scrivere un romanzo sentimentale, ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea di rendere immortali i miei genitoriattraverso la carta. Sprazzi di ricordi che avevo sepolto sotto una ferrea e gelida determinazione presero a passarmi davanti agli occhi,fino a quando la palestra intorno a me svanì: vidi la mamma davanti al lavandino della cucina, che lavava i piatti perché non si fidavadella lavastoviglie. Papà che le si avvicinava senza fare rumore e, facendole scivolare le braccia intorno ai fianchi, la stringeva a sé e lesussurrava qualcosa all’orecchio. Non so cosa le avesse detto, ma lei si scioglieva, abbandonandosi contro di lui e alzando la testa incerca di un bacio. Poi, d’un tratto vidi papà rincorrere la mamma dentro casa una sera, la porta che sbatteva e io e la mia baby-sitterspaventate come non mai. Mamma che gli urlava contro e lo definiva uno sbruffone, un dannato maschio alfa. Papà che, ringhiando,rispondeva che non sarebbe stato con le mani in mano a guardare uno stronzo qualsiasi provarci spudoratamente con lei lì, sotto ilsuo naso. Mamma che urlava che lui non avrebbe dovuto dare un pugno a quel tipo. “Ma ti aveva messo una mano sul culo!” avevaribattuto papà, mentre io continuavo a guardarli, stupita e frastornata. Qualcuno aveva toccato il sedere alla mamma davanti a papà?Che idiota. “Me ne stavo occupando io!” aveva replicato la mamma. “Non abbastanza velocemente! Tu con quello non ci lavori più!” Daquel momento la discussione era andata inasprendosi, al punto che la mia baby-sitter se l’era data a gambe senza nemmeno aspettaredi essere pagata. Ma io non ero preoccupata per quella lite. Il rapporto tra i miei era sempre stato appassionato. Si sarebbe risoltotutto quanto. E così era stato. Papà si era scusato per aver perso la testa, ma sul fatto che la mamma non avrebbe più dovuto lavorarecon quel tizio era stato irremovibile. Ne aveva fatto un tale dramma che la mamma infine aveva acconsentito, perché quello stronzodel suo collega era... be’, uno stronzo, così avevo immaginato che dovesse esserci stato dell’altro oltre a quello che era successo quellasera. La mamma, dunque, aveva cominciato a lavorare in un altro studio di commercialisti. Il matrimonio era tutta una questione dicompromessi, aveva detto, e papà per lei si sarebbe comportato allo stesso modo.

    I ricordi erano così nitidi. Vedevo la sfumatura dorata degli occhi nocciola della mamma, sentivo il profumo della colonia di papà, lesue braccia intorno a me, la mano della mamma tra i miei capelli...

    Mi ritrovai con il petto stretto in una morsa e inciampai sul tapis roulant, mentre il mondo che mi circondava riprendeva

    consistenza, ma in un groviglio indecifrabile di colori e suoni pulsanti. Il sangue mi martellava nelle orecchie; il battito mi era schizzatoalle stelle così rapidamente che facevo fatica a respirare. Una fitta di dolore mi infiammò il ginocchio, ma la percepii solo vagamente,così come le mani forti che mi aiutavano a rimettermi in piedi, su un terreno solido.

    «Concentrati sul tuo respiro» mi sussurrò all’orecchio una voce nel tentativo di tranquillizzarmi.La seguii e riemersi dal panico, recuperando il controllo del mio respiro.

     Alla fine la nebbia che offuscava i miei occhi si dissolse, mentre il senso di compressione nella mia testa si allentava e i mieipolmoni si aprivano. Tremando per via dell’adrenalina sprigionata dall’attacco di panico, mi voltai a guardare il ragazzo che mi stavasorreggendo. L’espressione dei suoi occhi scuri era preoccupata.

    «Stai meglio?» Annuii per poi alzare lo sguardo ed essere travolta da un’ondata di imbarazzo nello scoprire che avevamo gli occhi delle altre

    persone impegnate sui vari macchinari puntati addosso. Mi liberai delicatamente dalla presa del ragazzo. «Scusa.»Scosse il capo. «Non devi scusarti. Sono solo contento di essere riuscito a prenderti prima che cadessi lunga distesa per terra. Ti

    ritroverai con una brutta botta al ginocchio, però» commentò indicandolo. Abbassai lo sguardo e vidi uno squarcio nei miei fuseaux da palestra, e d’un tratto mi resi conto che mi faceva male i l ginocchio.

    Con una smorfia sofferente, piegai la gamba. «Ottimo.»«Sono Gavin» disse porgendomi una mano che io strinsi educatamente ma senza grande energia. Ero esausta.«Joss. Ah, grazie.»Gavin aggrottò la fronte e mi resi conto che era carino, sempre che si apprezzassero i tipi tutti muscoli, curati e fissati con lo sport.

    Ed era biondo. «Sicura