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Osvaldo Semino RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE E DEI FIUMI E DEI FIUMI E DEI FIUMI E DEI FIUMI puntoacapo

Semino promo

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Osvaldo Semino

RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE

E DEI FIUMIE DEI FIUMIE DEI FIUMIE DEI FIUMI

puntoacapo

Partendo da una descrizione attenta e accurata del paesaggio, Osvaldo Se-mino riesce in questi racconti a ricre-are felicemente un ambiente quotidia-no senza facili nostalgie del passato o cadute nel localismo, offrendo un effi-cace ritratto dell’Aureliana di ieri e di oggi, con storie, talvolta a sfondo au-tobiografico, calate sia nel presente, sia nel periodo della sua giovinezza, sia nel passato più lontano ma non per questo remoto della guerra.

€ 10,00 In copertina:

Fotografia di Osvaldo Semino

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Le impronte

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Osvaldo Semino

RACCONTI DELLA VALLE E DEI FIUMI

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Presentazione

L a memoria è una cosa strana. A volte non si ricordano cose anche importanti del presente e, per contro, affiorano ricordi lontani di particolari apparentemente secondari senza alcuno

sforzo. Giunto ad una età anagrafica in cui è più piacevole ricordare il passato

(più lungo), che programmare il futuro (più breve), mi sono accorto che i ricordi affioravano spontanei e copiosi, soprattutto nei mesi estivi quanto mi stabilivo nella casa di campagna; la casa dei miei avi.

La casa, l’Aureliana, è una vecchia casa-fortezza appartenuta nel peri-odo medievale alla nobile famiglia genovese degli Spinola e già dall’aspetto ha sempre chiaramente mostrato il compito che doveva svolgere: quella di costruzione fortificata posta a guardia della via di comunicazione rappresentata, nell’antichità, dal corso del fiume Lemme. Ho fatto tesoro di questi ricordi e li ho scritti e quando non bastavano i ricordi ho pescato a piene mani nella mia fantasia, con il risultato che alla fine non ho più saputo o voluto distinguere tra gli avvenimenti ac-caduti, quelli che sarebbero potuti accadere e quelli che mi sarebbe pia-ciuto fossero davvero accaduti. Quindi le brevi vicende narrate in questi racconti a volte sono vere, altre volte le ho sentite narrare dai nostri vecchi, altre volte ancora sono del tutto inventate, anche se la parte fan-tastica fa sempre riferimento alla mia memoria di quando ero bambino ed ascoltavo le leggende dai vecchi di Aureliana.

Sono brevi storie che spaziano temporalmente da tempi indefiniti ai giorni nostri e hanno la pretesa di essere considerati piccoli affreschi di vita, di racconti legati alle mie famiglie paterna e materna, in particolare i due nonni, alle prime illusioni giovanili, nonché alla crudezza della guer-ra civile degli anni 1943-45, senza dimenticare qualche momento buffo o episodi dei tempi attuali. Per inquadrare la posizione geografica, ricor-do che sto parlando di luoghi posti ai margini dell’Alto Monferrato, quello collinoso che si appoggia e finisce per fondersi con le prime pro-paggini dell’Appennino Ligure.

La casa-fortezza invece esiste davvero da 500 anni. Spero continui ad ispirare storie mai raccontate e sarei felice se qualcuno vi si ritrovasse come in un luogo, in un tempo proprio.

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A Lisa, mia nipote La donna più importante della mia vita

Ciascuno di noi forse porta scritta in una recondita particella del corpo, la propria finale condanna. Ma perché andare determinatamente a dis-seppellirla? Dino Buzzati, Cronache Terrestri

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LE STORIE DI AURELIANA

A ureliana è una tenuta costruita, verso il 1500, come villa-fortezza, dall’aspetto ancora severo, che testimonia un glo-rioso passato. Si trova in comune di Capriata d’Orba

(Alessandria) ed è una frazione posta tra l’Alto Monferrato e l’Appennino Ligure, tra le valli dei fiumi Lemme e Orba, a due passi dalla Liguria, in una terra da sempre di confine, di vino buono, di gente dal carattere un po’ chiuso.

La maestosità della costruzione lascia tuttora intravedere la grandiosi-tà delle forme. La costruzione, probabilmente sorta a guardia della “via del sale”, che dall’Appennino permetteva di raggiungere Genova attra-verso il Passo della Bocchetta, permetteva di contemplare lo splendido panorama della vallata del fiume Lemme che si indovinava scorrere lento e sinuoso, là giù in fondo alla vallata, bordato in entrambe le rive dalla macchia verde di un tratto di bosco, favorito dalla frescura dell’acqua.

Un alone di mistero aleggiava su Aureliana, e ciò interessava Sara, studentessa, ventitré anni, prossima ad una laurea in Lingue Straniere all’Università di Genova che dell’Aureliana stava diventando, prima per curiosità e poi per passione, la storiografa. Il suo era un interesse giusti-ficato dal fatto che lei, in estate, trascorreva due mesi in quel luogo, che riteneva magico, ascoltando le storie delle donne più anziane: le nonne, così le chiamava, anche se solo una era veramente la sua, in senso pa-rentale. Anche lei, come tutti gli abitanti stanziali o estivi, era una Semi-no. Tutti si chiamavano Semino perché discendevano da un unico cep-po e lei amava sentir raccontare la storia che voleva far risalire la co-struzione di Aureliana verso il 1500, per la precisione nel 1582, quando la nobile famiglia Spinola di Genova fece costruire questa grande villa-fortezza, in alto sul versante del fiume Lemme, in mezzo al grande bo-sco del Gazzolo. Le uniche certezze che aveva derivavano dal fatto di conoscere la situazione dell’inizio del ‘900, quando i progenitori di Sara, cinque fratelli Semino, acquistarono il maniero dagli Spinola.

Gli eredi dei Semino nacquero, crebbero e si moltiplicarono all’ombra delle possenti mura di Aureliana; infatti, ricordò Sara, suo

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padre, suo nonno e suo bisnonno, nacquero qui. Ma prima dell’acquisizione dei Semino, quale era la storia e quali segreti custodiva Aureliana, fino a risalire al 1582, e anche più indietro? Sara si buttò a capofitto nelle ricerche su internet e nelle biblioteche genovesi. Esami-nò una grande quantità di documenti e rogiti notarili antichi e trovò la conferma delle probabili origini romane della prima costruzione del sito. Costruzione romana che era posta, come si è già ricordato, a guar-dia della “via del sale”, in quel percorso che arrivava da Genova vali-cando il Passo della Bocchetta e che doveva essere una delle tante dira-mazioni della via Postumia.

Non si avevano notizie certe di quando, sulle precedenti tracce della costruzione romana, fu eretta la successiva costruzione. Credenze po-polari riferivano che, nonostante l’argomento fosse sempre fumoso, questa successiva costruzione fosse promossa e appartenuta all’ordine dei Templari. Il famoso, ma misterioso ordine cavalleresco divenuto potentissimo e che svanì nel 1300 come una bolla di sapone. Sì, perché Sara si ricordava sempre che, fin da piccola, le storie che aveva ascolta-to intorno al mondo di Aureliana erano veramente incantate, talvolta strane quando non erano addirittura circondate da qualcosa di misterio-so. A partire da quando era molto piccola, lei trascorreva interi pome-riggi con la bisnonna, Cecilia, una donna volitiva e vivacissima nello spirito, nonostante le molte primavere. Si sedevano sul limitare dell’orto e, sotto un melo che di storie doveva davvero averne sentite molte, Cecilia iniziava a raccontare di quando lei, poco più che giovi-netta, nei primi anni del ‘900 era venuta all’Aureliana perché andata in sposa a Pietro Semino, il bisnonno di Sara. Quello che però più interes-sava Sara, quando ascoltava, era quello che la nonna Cecilia raccontava circa la vita e le curiosità di Aureliana. La nonna non sapeva di storia, ma dava per certo che, secondo quanto le era stato raccontato, quel maniero custodisse storie ora tragiche, ora strane; ad esempio che in tempi più recenti avesse perfino ospitato Giuseppe Mazzini per il tem-po del suo presunto esilio in Francia, che invece avrebbe trascorso pro-prio tra le mura di Aureliana, ospite dei proprietari del maniero. Cecilia ricordava ancora la “salle à manger”, con le grandi porte che si apriva-no nel piano nobile della costruzione. E Sara ascoltava, ascoltava incan-tata, talvolta un po’ inebetita, ma con una promessa certa, quella di cer-care un giorno tutto delle storie di Aureliana.

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Infatti, diventata più grande, chiese notizie circa le leggende di Aure-liana a Gemma, la decana del luogo, che le disse: – Vuoi sapere delle leggende di Aureliana? Ebbene te le dirò, così come sono state raccon-tate a me, tanti anni fa.

Allora Sara, a bocca aperta e con gli occhi spalancati come una bam-bina, seppe delle leggende. Si raccontava che l’attuale costruzione fosse stata eretta sulle rovine di una precedente che custodiva misteri e leg-gende. Come quella che attribuiva alla costruzione tante finestre quanti i giorni dell’anno, cioè 365, oppure che streghe, di varie forme, belle, brutte, buone, cattive, facete, smorfiose, apparivano allietando o distur-bando gli abitanti o gli ospiti, oppure del fatto che c’era una camera dove la chiave girava inutilmente nella toppa senza aprire mai la porta. Ed ancora che il nome Aureliana derivava dal fatto che il maniero era servito da prigione ad Aurelia Anna, figlia di un rappresentante della nobile famiglia proprietaria, prima degli Spinola, della costruzione, af-finché la fanciulla non potesse più vedere il suo innamorato. E ancora la vecchia leggenda, che conoscevano tutti, secondo la quale nottetem-po una signora vestita di bianco, munita di lume, una cuffia bianca e una sciarpa rossa, entrava pian pianino nelle stanze dei dormienti, a-prendo senza chiavi le porte, pur ben chiuse, si avvicinava ai letti, alza-va il lume in faccia ai dormienti, li osservava un pochino e scompariva, o talvolta si affacciava nella notte all’una o all’altra finestra.

Sara era eccitata e rimase particolarmente colpita dalla storia della signora con la cuffia bianca e la sciarpa rossa che si aggirava nottetem-po nelle stanze del maniero. Chiese notizie a tutti dell’origine della sto-ria e nessuno seppe rispondere. Passata la stagione invernale, con l’arrivo dell’estate Sara, come ogni anno, terminata l’ultima sessione di esami all’Università, si preparò con i suoi genitori a trasferire “armi e bagagli”, come diceva sua madre, all’Aureliana. Era un momento che lei aspettava con impazienza e, in fondo, il fatto era ben accetto da tut-ti. In quel luogo le sembrava di ritornare indietro nel tempo, in compa-gnia della sua solitudine, a fantasticare o solo a trastullarsi con i suoi pensieri, seduta sotto l’ombra del melo ad ascoltare le cicale che non smettevano di frinire e sembravano rendere l’atmosfera ancora più cal-da in quel paesaggio di immobilità che solo la campagna d’estate riusci-va a trasmettere ai sensi. In questo quadro incantato, almeno tale era per Sara, lei passava i suoi giorni leggendo e conversando con i cugini

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che, come lei, trascorrevano l’estate in quel luogo lontano dall’afa delle città.

Un pomeriggio di fine luglio, particolarmente caldo, quando la mag-gioranza degli abitanti di Aureliana si era ritirata per fare il sonnellino pomeridiano, Sara, non avendo più niente di nuovo da leggere, si ricor-dò della riserva di vecchi romanzi di Liala che una sua zia aveva sempre tenuto e che da qualche tempo erano stati accatastati in solaio. Vi si recò, passando dal piano terra, in origine il piano di servizio per la ser-vitù, salendo gli scaloni che conducevano al secondo piano, in origine il piano nobile, poi passando per il terzo piano, il piano dove in origine viveva e dormiva la servitù, per arrivare, salendo un’ultima scala, buia e più stretta, fino al quarto piano ed ai solai. Una volta entrata, cammi-nando con cautela tra mille cose di tutti i generi accatastate senza ordi-ne, in fondo allo stanzone scorse nella penombra l’ammasso di libri di Liala. Rovistando tra i titoli, ne scelse uno, quindi decise di uscire da quel solaio semibuio e polveroso. Fece un primo passo a ritroso, ma inciampando in qualcosa, provocò la caduta di una vecchia riloga di legno appoggiata al muro, che cadde con un colpo secco. Sara sobbalzò e, girandosi, grazie a uno spicchio di luce che tagliava la penombra a partire da un abbaino, la sua attenzione fu attirata da una porzione di parete che si era mostrata, con un tratto di pittura di colore rosso. Vin-ta dalla curiosità, si avvicinò alla parete, spostò il resto del materiale per vedere meglio, sporcandosi le mani e, dopo aver trafficato per buoni dieci minuti, alla sua vista comparve un tratto di una pittura muraria di cui non era a conoscenza, visto che non frequentava il solaio. La pittu-ra, ancora in discreto stato, rappresentava una donna elegantemente vestita con abiti di foggia antica, con una cuffia bianca in testa e una sciarpa rossa al collo. Sara ebbe un tuffo al cuore. La signora con la cuffia bianca e la sciarpa rossa! Certo poteva significare nulla, ma aveva trovato il dipinto proprio adesso e lei sentiva che il fatto non era solo una casualità. Sara era eccitata. Le piaceva pensare che lei, proprio lei, finalmente, aveva trovato l’origine della leggenda della misteriosa signo-ra che si aggirava di notte nelle stanze del maniero. Evidentemente molti anni prima qualcuno aveva raccontato la storia ispirandosi alla signora dell’affresco e solo ora dopo tanto tempo esso era venuto alla luce. Il merito era suo. Il mistero della leggenda era svelato.

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I BINOCOLI DI GERARDO

G erardo era felice. Percorreva a piedi la stradina di campagna che portava allo Spuntone del Diavolo, distante circa un chilometro dal paese di San Cristoforo. Era una mattina di

giugno e faceva già caldo. Camminava spedito con la grande custodia nera a tracolla che sbatte-

va contro il suo fianco destro ad ogni passo. La custodia conteneva uno splendido e fiammante paio di binocoli, che gli erano stati regalati da suo padre per il suo ottimo comportamento nell’anno scolastico appena terminato e la relativa promozione ricca di buoni voti. Doveva provarli per vedere come funzionavano. Sarebbe andato in ferie con i suoi genitori in montagna, sulle Dolomiti, e voleva conoscere tutti i segreti della messa a fuoco prima dell’arrivo a destinazione. Quale mi-gliore posizione dello Spuntone del Diavolo per ammirare il panorama del fiume Lemme, che scorreva lento giù in fondo alla valle. Lo Spun-tone del Diavolo era una grande roccia che si ergeva solitaria a stra-piombo sulla vallata.

La leggenda narrava che il suo nome derivasse dal fatto che il Diavo-lo, per portare più anime all’inferno, spaventasse i viandanti che arriva-vano a San Cristoforo, facendoli fuggire verso il Lemme e li indirizzas-se verso lo spuntone di roccia. I malcapitati, arrivati a quel punto, non avevano altra scelta che cadere rovinosamente nella vallata, pronti per l’Inferno.

Da lì si ammirava, a destra, il panorama offerto dai grandi vigneti di uva bianca Cortese di Gavi, posti sui declivi di entrambe le rive del fiu-me, in territorio appunto del paese di Gavi; mentre a sinistra, in lonta-nanza, si stagliava maestosa la sagoma della villa-fortezza di Aureliana, già in territorio di Capriata d’Orba. Siamo nella zona dove finisce l’Alto Monferrato e inizia l’Appennino Ligure: terra di confine tra Liguria e Piemonte, dove le genti sommano i pregi e i difetti degli abitanti delle due regioni.

Gerardo, appena arrivato allo Spuntone del Diavolo, cercò una buo-na posizione per sedersi e, sfoderati i suoi fiammanti binocoli, iniziò a puntarli verso la valle, armeggiando, nel contempo, sulle due rotelle

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Osvaldo Semino

RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE RACCONTI DELLA VALLE

E DEI FIUMIE DEI FIUMIE DEI FIUMIE DEI FIUMI

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Partendo da una descrizione attenta e accurata del paesaggio, Osvaldo Se-mino riesce in questi racconti a ricre-are felicemente un ambiente quotidia-no senza facili nostalgie del passato o cadute nel localismo, offrendo un effi-cace ritratto dell’Aureliana di ieri e di oggi, con storie, talvolta a sfondo au-tobiografico, calate sia nel presente, sia nel periodo della sua giovinezza, sia nel passato più lontano ma non per questo remoto della guerra.

€ 10,00 In copertina:

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