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sentenza 26 maggio 1981, n. 70 (Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rel.Elia; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Azzariti) c. Pres. regioni Puglia, Piemonte (Avv. A.Romano), Umbria (Avv. Duranti)Author(s): Giuseppe VolpeSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1855/1856-1859/1860Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172568 .
Accessed: 28/06/2014 19:17
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1855 PARTE PRIMA 1856
una norma penale siffatta, dalla quale verrebbero a discendere
effetti sfavorevoli al reo.
Per questi motivi, dichiara inammissibile la questione di costi
tuzionalità dell'art. 168, n. 1, cod. pen. (modif. dall'art. 13 d. 1. 11
aprile 1974 n. 99), sollevata dal Pretore di Vittorio Veneto con
l'ordinanza 17 aprile 1975 (reg. ord. n. 247/1975).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 maggio 1981, n. 72
(Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rei.
La Pergola; Pres. regione Lombardia c. Pres. cons, ministri
(Avv. dello Stato Azzariti).
Corte costituzionale — Giudizi principali — Deposito tardivo
del ricorso — Inammissibilità (Cost., art. 117, 118; legge 11
marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamen
to della Corte costituzionale, art. 31, 32; d. pres. 20 dicembre
1979 n. 761, stato giuridico del personale delle unità sanitarie
locali, art. 8).
È inammissibile, in quanto tardivamente depositato nella cancelle
ria della corte, oltre i dieci giorni dalla notificazione, il ricorso
con cui una regione ha promosso questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 8, 11°, 2° e 3° comma, d. pres. 20 dicembre
dicembre 1979 n. 761, sullo stato giuridico delle unità sani
tarie locali, nonché in quanto necessario dei comma dal quarto al settimo dello stesso articolo per contrasto con gli art. 117 e
118 Cost. (1)
La Corte, ecc. — Come risulta dagli atti (senza che la difesa
regionale lo abbia contestato in alcun modo), il ricorso con cui la
regione Lombardia ha impugnato l'art. 8, 1°, 2° e 3° comma, d. pres. 20 dicembre 1979 n. 761, nonché in quanto necessario dei comma
dal quarto al settimo dello stesso articolo per contrasto con gli art.
117 e 118 Cost., è stato depositato nella cancelleria di questa cor
te tardivamente, oltre i dieci giorni dalla notificazione, fissati dagli
art. 31, ultimo comma, e 32, ultimo comma, della legge 11 marzo
1953 n. 87, quanto all'impugnativa diretta delle leggi regionali e
statali: il deposito è infatti avvenuto il 27 marzo, mentre la notifi
cazione risale al 14 marzo 1980.
Ora, è vero che, in base al capoverso dell'art. 152 cod. proc.
civ., « i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la
legge stessa li dichiari espressamente perentori ». Da un lato, però, la formulazione testuale dell'art. 31, ult. comma, della legge n.
87 del 1953, sottolineando la doverosità del deposito entro dieci
giorni dalla notificazione del relativo ricorso, comporta per ciò stes
so che il termine vada rispettato a pena di decadenza. D'altro lato,
questa corte ha ritenuto in varie decisioni (v. specialmente le sen
tenze n. 15 del 1967, Foro it., 1967, I, 1099 e n. 30 del 1973,
id., 1973, I, 2006, nonché l'ordinanza n. 109 del 1975, id., Rep.
1975, voce Corte costituzionale, n. 68) che i termini per la costi
tuzione in giudizio presso di essa risentano delle « peculiarità dei
giudizi di costituzionalità » e dell'« autonomia della loro discipli na processuale »; e che, pertanto, i termini medesimi siano « pe
rentori per tutte le parti». Tali criteri s'impongono anche nei
casi in esame, escludendo la pertinenza del richiamo all'art. 152
cod. proc. civ. (la cui considerazione non potrebbe comunque
venire dissociata da quella degli art. 153 e 154 del codice stesso);
tanto più che nelle disposizioni sul funzionamento della corte il
punto di riferimento del processo costituzionale non è rappresen tato dal diritto processuale civile, bensì dalle « norme del regola
mento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giu risdizionale » (cui rimanda esplicitamente, « in quanto applicabi li », l'art. 22, 1° comma, della stessa legge n. 87 del 1953).
Che poi i termini fissati in tema di deposito del ricorso siano
alquanto diversi secondo" le diverse specie di procedimenti — dieci
(1) In termini praticamente identici, Corte cost. 22 dicembre 1980, n.
191, Foro it., 1981, I, 945, con nota di richiami e osservazioni di
Volpe, che dichiarò inammissibili i ricorsi con cui la regione Veneto
promosse questione di costituzionalità dell'art. 8 d. 1. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito dalla legge 29 febbraio 1980 n. 33, sul finanziamento del servizio sanitario nazionale.
Corte cost. 9 febbraio 1967, n. 15, 28 marzo 1973, n. 30, menzio
nate in motivazione, sono riportate in Foro it., 1967, I, 1099; 1973, I,
2006; mentre l'ord. 7 maggio 1975, n. 109 è massimata nel Rep. 1975, voce Corte costituzionale, n. 68.
In dottrina, alle indicazioni contenute in nota alla predetta sent. n.
191/1980, adde Volpe (Pizzorusso, Sorrentino, Moretti), Garanzie
costituzionali, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca,
1981, 349, che esprime opinione conforme alla decisione di inammissi
bilità della corte.
giorni per l'impugnativa diretta delle leggi, venti giorni quanto al
conflitto di attribuzione tra Stato e regioni (in base all'art. 27,
capov., delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costi
tuzionale), di fronte ai trenta giorni prescritti « a pena di decaden
za » dall'art. 36 r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 (recante il testo uni
co delle leggi sul Consiglio di Stato) — non toglie che in tutte
queste ipotesi la doverosa tempestività del deposito, nei tempi
improrogabili prefissati dall'ordinamento, venga presidiata dalla
correlativa sanzione della decadenza, senza di che le controversie
fra lo Stato e le regioni finirebbero per poter essere instaurate
sine die.
Per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso con cui la
regione Lombardia ha promosso questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 8, 1°, 2° e 3° comma, d. pres. 20 dicembre 1979 n.
761, nonché in quanto necessario dei comma dal quarto al settimo
dello stesso articolo per contrasto con gli art. 117 e 118 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 26 maggio 1981, n. 70
(Gazzetta ufficiale 3 giugno 1981, n. 151); Pres. Amadei, Rei.
Elia; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Azzariti) c. Pres.
regioni Puglia, Piemonte (Avv. A. Romano), Umbria (Avv.
Duranti).
Regione — Disciplina della classificazione alberghiera — Que
stioni infondate di costituzionalità — Fattispecie relative alle
regioni Puglia, Piemonte, Umbria (Cost., art. 117).
Sono infondate le questioni di costituzionalità della legge regiona le riapprovata dal consiglio della regione Puglia il 26 aprile
1979, recante « disciplina della classificazione alberghiera »,
della legge regionale riapprovata dal consiglio della regione Piemonte il 10 ottobre 1979, recante « classificazione delle
aziende alberghiere », della legge regionale riapprovata dal con
siglio della regione Umbria il 4 febbraio 1980, recante « disci
plina della classificazione delle aziende ricettive, alberghiere e
all'aria aperta», in riferimento all'art. 117, 1° comma, Cost. (1)
(1) In termini, Corte cost. 4 luglio 1956, n. 15, Foro it., 1956, I,
1025, citata in motivazione, che ritenne legittimi i poteri attribuiti dalle
norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige al commissa
rio del turismo in materia di classificazioni, tariffe e vincoli alberghieri in ragione di molteplici profili di interesse nazionale, tra i quali la
salvaguardia del turista e la generale difesa dell'economia nazionale.
Corte cost. 24 novembre 1958, n. 58 e 4 marzo 1971, n. 39, citate in
motivazione, leggonsi rispettivamente in Foro it., 1958, 1, 1782 e 1971,
I, 1180, con nota di richiami. In dottrina, sulla materia del turismo e dell'industria alberghiera, M.
S. Giannini, in Riv. giur. turismo, 1976, 12; Chiti, in I nuovi poteri delle regioni e degli enti locali, 1978, 353 ss.; Bin, in Le regioni, 1979, 256 ss.
♦ ♦ *
Interesse nazionale e principi fondamentali nei rapporti tra
Stato e regioni
Al di là dell'apporto dato ad una questione aperta della problemati ca giuridica in materia di turismo (la classificazione degli alberghi), la sentenza sopra massimata riveste particolare importanza in quanto coglie l'occasione per una generale messa a punto dei rapporti legisla tivi tra Stato e regioni.
La decisione appare fondata su un duplice ordine di argomentazioni; il primo si snoda intorno al limite dell'interesse nazionale attraverso un
sillogismo di per sé ineccepibile, che può essere schematizzato nel modo
seguente. a) La presenza di un interesse nazionale per un determinato settore
di materie comporta che per quel determinato settore sia preclusa alle
regioni ogni possibilità di intervento. In proposito, la corte richiama per tutte la sent. 24 novembre 1958,
n. 58, Foro it., 1958, I, 1782, che dichiarò illegittima una legge sarda in quanto sottraeva allo Stato il potere di dirigere e controllare l'attività creditizia (la quale, invece, secondo la corte, per l'interesse nazionale che riveste non può non essere riservata al governo centra le); ma numerorissime sono le pronunce che nelle diverse materie di competenza regionale hanno riservato o « ritagliato » allo Stato settori o submaterie in nome della presenza di un interesse nazionale. A mero titolo esemplificativo (in quanto una casistica esauriente sarebbe presso ché impossibile) si segnalano; Corte cost. 4 luglio 1956, n. 15, id., 1956, I, 1025; 9 luglio 1956, n. 16, id., 1956, I, 1420; 16 luglio 1956, n. 20, id., 1956, I, 1256; 24 novembre 1958, n. 58, id., 1958, I, 1782; 29 marzo 1960, n. 14, id., 1960, I, 713; 22 dicembre 1961, n. 66, id., 1962, I, 24; 1° febbraio 1964, n. 4, id., 1964, I, 416; 7 marzo 1964, n. 13, id., 1964, I, 478; 14 maggio 1966, n. 37, id., 1966, I, 1438; 10 giugno 1966, n. 59, id., 1966, I, 1612; 8 luglio 1967, n. 91, id., 1967, I, 2240; 10 luglio 1968, n. 92, id., 1968, I, 2362; 3 giugno 1970, n. 82, id., 1970, I, 1868; 4 marzo 1971, n. 39, id., 1971, I, 1980; 14 luglio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, ecc. — 1. - I tre ricorsi, malgrado qualche diversità
di contenuto delle leggi regionali impugnate e dei motivi già enunciati nei telegrammi con i quali il. governo le rinviava per nuovo esame, sottopongono a questa corte le stesse questioni e
possono pertanto essere decisi con unica sentenza.
Nei ricorsi la presidenza del consiglio — rappresentata e difesa
dall'avvocatura generale dello Stato — chiede che venga dichiara
ta l'illegittimità costituzionale delle leggi delle regioni Puglia e
1971, n. 171, id., 1971, I, 2470; 28 dicembre 1971, n. 208, id., 1972, I, 290; 1° marzo 1972, n. 37, id., 1972, I, 1192; 18 maggio 1972, n. 98,
id., 1972, I, 1513; 24 luglio 1972, n. 138, id., 1972, I, 3353 e n. 142,
id., 1972, I, 3345; 19 giugno 1975, n. 145, id., 1976, I, 43; 17 luglio 1975, n. 221, id., 1976, I, 18; 22 luglio 1976, n. 191, id., 1977, I, 34; 12 maggio 1977, n. 72, id., 1977, I, 1347; 30 maggio 1977, n. 89, id.,
1977, 1, 1621 e n. 94, id., 1977, 1, 1868; 5 giugno 1978, n. 72, id.,
1978, I, 1868; 10 maggio 1979, n. 9, id., 1979, I, 1959. Come si vede, nell'arco di venticinque anni il limite dell'interesse
nazionale attraverso la giurisprudenza dei giudici costituzionali ha
costantemente e senza eccezioni legittimato la sottrazione di settori di
materie alle competenze regionali. b) La seconda premessa del ragionamento della corte è che nello
specifico caso della submateria « classificazione alberghiera », ricompre sa nella più ampia materia-competenza del turismo ed industria alber
ghiera, la sottrazione dall'ambito dei poteri trasferiti alle regioni non
trova sostegno nei testi normativi (anzi si rinvengono recenti dati
normativi in senso opposto). c) La deduzione conclusiva è che la submateria « classificazione
alberghiera » non costituisce (o non costituisce più) oggetto di interes
se nazionale, poiché appunto non esiste ormai il quadro normativo in
cui si era potuta inscrivere la citata sent. 4 luglio 1956, n. 15, la quale in sostanza aveva dichiarato di interesse nazionale la disciplina della
suddetta submateria e, pertanto, spettante allo Stato.
11 secondo ordine di argomentazioni a sostegno della decisione
riportata riguarda il limite dei principi fondamentali della legislazione
statale, anch'esso previsto dal 1° comma dell'art. 117 Cost.
La corte offre qui per la prima volta, almeno in termini cosi espliciti e perentori, la definizione del suddetto limite stabilendo che i principi in ogni caso debbono riguardare il modo di esercizio (il corsivo è della
corte stessa) della potestà legislativa (concorrente) regionale e non
possono in alcun modo comportare l'inclusione o l'esclusione di singoli settori o submaterie dall'ambito della materia-competenza regionale.
Come supporto di questa tesi ed alla ricerca della continuità
giurisprudenziale, la sentenza fa assurgere al rango di enunciato
fondamentale un passo della citata pronuncia n. 39 del 1971, che
finora non aveva rivestito un ruolo decisivo né in dottrina né in
giurisprudenza, ma era passato quasi inosservato disperso tra le molte
plici ed importanti argomentazioni contenute nella sent. n. 39.
Va a merito della presente decisione aver « riscoperto » la trascurata
asserzione, per la quale anche il limite dei principi fondamentali, siano
essi esplicitamente enunciati oppure desunti dalle leggi statali vigenti,
non deve risolversi « in una preventiva e generale riserva allo Stato di
settori di materie », bensì consentire uno « svolgimento concreto delle
funzioni regionali... armonicamente conforme agli interessi unitari
della collettività statale ». Nel caso concreto la corte non ha ritenuto violati dalle leggi
regionali « criteri generalissimi » fissati dalla legislazione statale nella
materia in questione, mentre altri requisiti indicati dal decreto-legge del
1937 non sono apparsi suscettibili di costituire limite ed indirizzo per
il legislatore regionale. È, dunque, apprezzabile il contributo di chiarificazione che in tema
di limiti della potestà legislativa regionale la decisione apporta; ora
sappiamo con buona certezza che, almeno secondo la Corte costituzio
nale: a) il limite dell'interesse nazionale assolve alla funzione di
delimitare e circoscrivere (o « ritagliare ») l'ambito di estensione delle
materie-competenze regionali, sottraendo ad esso quelle parti su cui si
appuntano l'interesse e, quindi, la disciplina legislativa statali; più
esattamente, dall'esame della normativa statale e della sua evoluzione
in ordine ad un determinato settore si traggono gli elementi per
verificare l'esistenza e la persistenza di un interesse nazionale per il
settore medesimo; b) i principi fondamentali, enunciati o implicitamen
te desunti dalla legislazione statale, hanno invece la diversa funzione di
regolare il modo di esercizio del potere legislativo regionale; in termini
più specifici, di indirizzare e coordinare per la realizzazione di esigenze
unitarie il concreto svolgimento delle già delimitate e ritagliate compe
tenze regionali (più che la precedente relativa all'interesse, ormai
consolidata da tempo, è questa concernente i principi, l'affermazione
più nuova ed interessante, che non si rinviene in altre decisioni della
corte successive alla sent. n. 39/1971: v. Corte cost. 1° agosto 1979,
n. 102, Foro it., 1979, I, 2525 e le sentenze ivi richiamate, cui adde,
Corte cost. 20 marzo 1978, n. 21, id., 1978, I, 1351; 20 aprile 1978, n.
45, id., 1978, I, 1870; sul limite dei principi recentemente in dottrina,
D'Atena, in Giur. costit., 1977, 1281; Grottanelli De' Santi, id.,
1978, I, 710; G. F. Ferrari, in Le regioni, 1979, 1202; Nania, in
Giur. costit., 1980, I, 1774; v. altresì, il numero 1/1981 della rivista
Le regioni, interamente dedicato al tema delle leggi quadro e dei
principi fondamentali per la legislazione regionale: ivi, in particolare,
gli scritti di M. Carli, 7 ss. e di Bartole, 14 ss.).
In conclusione, l'interesse nazionale costituisce un criterio definitorio
della competenza regionale: un limite di legittimità che opera all'inter
no delle materie regionali e, pertanto, definisce esattamente il loro
oggetto; al contrario il limite dei principi, pur conservando natura di
Piemonte, vertenti entrambe sulla classificazione delle aziende
alberghiere, e della legge della regione Umbria, che disciplina anche le aziende ricettive all'aria aperta. Le tre leggi contraste
rebbero con l'art. 117, 1° comma, Cost, perché sarebbe leso
l'interesse nazionale all'uniformità — in tutto il territorio della
Repubblica — dei criteri di classificazione delle imprese ricettive; ed in quanto non rispetterebbero il limite dei principi fondamen
tali stabiliti in materia dalle leggi dello Stato.
Quanto al secondo motivo dell'impugnazione si è eccepito da
parte delle regioni resistenti che la genericità con cui esso è
enunziato (riguardo all'intera legge, senza precisa indicazione delle
singole disposizioni ritenute illegittime, dei principi violati nonché
di individuati precetti della legislazione nazionale dai quali enu
cleare i principi stessi) dovrebbe comportare l'inammissibilità
della questione relativa alla violazione del limite dei principi.
Peraltro, le proposizioni non molto precise contenute in proposito nei ricorsi consentono di individuare almeno una interpretazione di esse che dà luogo ad una questione sicuramente ammissibile
(affermazione di un principio fondamentale della materia preclu sivo di ogni intervento normativo regionale nella submateria
« classificazione alberg iera »). Pertanto si deve passare all'esame
del merito, cominciand > dalla questione che, se accolta, esclude
rebbe in radice la com letenza regionale in ordine alla disciplina delle imprese di ricezione: e cioè da quella concernente la lesione
dell'interesse nazionale.
2. - I ricorsi non sono fondati.
In questo, come in altri casi già sottoposti a questa corte (si
veda per tutte la sent. n. 58 del 1958, Foro it., 1958, I, 1782), la
lesione dell'interesse nazionale comporta che per un settore di
materia sia preclusa ogni possibilità di intervento della regione. Ma la sottrazione della submateria « classificazione alberghiera »
(rispetto alla più ampia materia del turismo ed industria alber
ghiera) dall'ambito dei poteri trasferiti alle regioni non trova
sostegno nei testi normativi.
In primo luogo l'art. 1, lett. g), d. pres. 14 gennaio 1972 n. 6
trasferisce alle regioni, tra gli altri settori della materia, le
funzioni amministrative concernenti « la classificazione e la loca
zione di immobili adibiti ad uso di albergo, pensione, locanda; i
complessi ricettivi extralberghieri (campeggi, villaggi turistici,
ostelli)»; e certo la formula più ampia usata nell'art. 56 d. pres. 24 luglio 1977 n. 616 per definire il turismo e l'industria alber
ghiera non potrebbe interpretarsi in senso riduttivo rispetto al
trasferimento disposto dal d. pres. n. 6 del 1972, e cioè in
contrasto con quanto è disposto in modo espresso dall'art. 136 d.
limite di legittimità, entra in funzione al momento e durante l'esercizio
e lo svolgimento effettivo della competenza regionale, al fine di
consentirne l'armonico indirizzo e coordinamento per obiettivi ed
interessi unitari della collettività nazionale; pertanto, esso incide sul
contenuto delle leggi regionali, fissando direttive per il legislatore locale. In ogni caso, data la comune natura di limiti della legittimità delle leggi, a giudice unico delle loro presunte violazioni si erge
sempre la Corte costituzionale. La chiarezza e la coerenza dell'impostazione della corte non possono
tuttavia far tacere che la dottrina pressoché unanimamente continua a
ricavare dalle norme costituzionali del titolo V un'interpretazione radicalmente opposta a quella dei giudici costituzionali, secondo la
quale il limite dei principi, concretizzato o meno nelle ben note
« leggi-cornice », deve assolvere alla funzione « preventiva » di concre
ta definizione e di indirizzo a livello legislativo delle competenze
regionali; l'interesse nazionale, invece, deve funzionare come limite di
merito (negativo e « successivo »), avente ad oggetto apprezzamenti
politici e di opportunità delle leggi regionali espressi prima dal
governo, ma poi in via definitiva dal Parlamento nella fase di controllo
e di impugnazione prevista dall'art. 127 Cost, (v., per tale impostazione fortemente critica dell'orientamento della corte, tra gli altri, Guarino,
in Rass. dir. pubbl., 1964, I, 620; Crisafulli, in Giur. costit., 1964,
96; Amato, Il sindacato di costituzionalità sulle competenze legislative dello Stato e della regione, 1964, 191 ss., 409 ss.; Bartholini, Interesse
nazionale e competenze delle regioni nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, 1967, passim; Bassanini, L'attuazione delle regioni, 1970, 165 ss.; Volpe, Autonomia locale e garantismo, 1972, 95 ss.; D'Atena, Legge regionale, voce dell'Enciclopedia del diritto, 1973, XXIII, 995 ss.; Barbera, Regioni e interesse nazionale, 1973, 148 ss.;
Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 1976, II, 944 ss.; Gizzi, Manuale di diritto regionale, 1976, 582 ss.; Paladin, Diritto re
gionale, 1979, 83 ss.; in senso favorevole alla giurisprudenza co stituzionale qualche isolata opinione, Mazziotti, Studi sulla potestà legislativa delle regioni, 1961, 202 ss.).
Accantonando ogni riflessione sulla permeabilità della Corte costitu zionale ai contributi della dottrina e, ancor più realisticamente, abban donando la convinzione che le forme costituzionali siano prevalente mente quelle sancite nella Costituzione, non si fa fatica a prendere atto del definitivo cambiamento o rovesciamento delle regole imposto dai
giudici costituzionali nei rapporti tra Stato e regioni.
Civspppe Volpe
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1859 PARTE PRIMA 1860
pres. n. 616 del 1977. Né si rinvengono riserve allo stato nell'ambito della submateria « classificazione alberghiera » nel d.
pres. n. 6 del 1972 (art. 3-5) e neppure nel d. pres. n. 616 del 1977 (art. 58).
D'altra parte non si può — in mancanza di deroga legittima mente disposta dal legislatore — venir meno al parallelismo tra funzioni amministrative e legislative (più volte riaffermato da
questa corte: tra l'altro nella sent. n. 39 del 1971, id., 1971, I,
1180), anche se può ammettersi che una disciplina riguardante il
passaggio delle funzioni amministrative statali alle regioni non è in grado di risolvere compiutamente i problemi delle corrispon denti funzioni legislative.
Infine non si può trascurare un dato normativo sicuramente contrastante con l'affermazione di un interesse nazionale all'uni formità della disciplina legislativa in tema di classificazione alber
ghiera, uniformità che dovrebbe ovviamente farsi valere in tutto il territorio nazionale. Infatti l'art. 8, 1° comma, d. pres. 27 marzo 1952 n. 354 (norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), conteneva questa regola: « I criteri che le
leggi dello. Stato prescrivono per la determinazione delle clas sifiche alberghiere e le disposizioni a carattere nazionale in materia di tariffe alberghiere valgono anche per la regione»; orbene, questa disposizione non figura più nel testo del d. pres. 22 marzo 1974 n. 278 (norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di turismo e di industrie alberghiere), che all'art. 10 abroga espressamente il citato d. pres. 27 marzo 1952 n. 354.
Ed è significativo, anche se non decisivo, che senza opposizione del governo abbiano potuto essere adottate varie leggi regionali in tema di classificazione dei complessi ricettivi all'aperto (legge reg. Puglia 20 giugno 1979 n. 35; legge reg. Veneto 10 agosto 1979 n.
56; legge reg. Piemonte 31 agosto 1979 n. 54). Si può certo rilevare che di tali complessi non fa parola il r.d.l. 18 gennaio 1937 n. 975 (convertito con modifiche in legge 30 dicembre 1937 n. 2651 e modificato con r.d.l. 5 settembre 1938 n. 1729), e cioè l'unico testo legislativo statale vigente in questo settore: ma, ove si trattasse di vero interesse nazionale all'uniformità di disciplina, l'obiezione risulterebbe formalistica, data l'identità della ratio a favore dell'unicità dei criteri classificatori a livello nazionale e data anche la mancanza di serie giustificazioni per una sottovalu tazione degli esercizi ricettivi extralberghieri (sottovalutazione già rilevabile peraltro nella legge n. 326 del 1958 ed ora nell'art. 60, lett. c, d. pres. n. 616 del 1977). Ciò che si è esposto dimostra anche come l'attuale pronunzia, dato il diverso quadro normativo in cui si iscrive, non contraddice alla sentenza di diverso segno a
suo tempo adottata da questa corte nella stessa materia (sent. n. 15 del 1956, id., 1956, I, 1025).
3. - Quanto alla censura circa la violazione del limite dei
principi fondamentali della legislazione statale, essa è riferita innanzitutto all'esistenza di un principio fondamentale della mate ria che escluderebbe ogni possibilità di intervento normativo delle
regioni in una submateria (in questo caso la « classificazione
alberghiera »). Ma un principio fondamentale siffatto non può darsi nel quadro dell'art. 117, 1° comma, Cost., dovendo i
principi riguardare in ogni caso il modo di esercizio della potestà legislativa regionale e non comportare l'inclusione o l'esclusione di singoli settori della materia dall'ambito di essa. Altrimenti non troverebbero rispondenza nella realtà dell'ordinamento i criteri fissati da questa corte in occasione del giudizio relativo all'art. 17
legge 16 maggio 1970 n. 281 (criteri che, nel trasferire la submateria « classificazione alberghiera », la normativa in vigore ha pienamente osservato); infatti secondo la sentenza n. 39 del 1971, «unitariamente interpretato, l'art. 17 vuole che alle regioni siano assegnate per intero le materie indicate nell'art. 117 Cost.; ma vuole, d'altro lato, che, sia attraverso l'esplicita enunciazione dei «principi fondamentali», di cui allo stesso art. 117, sia in altre e diverse forme, che non si risolvano in una preventiva e
generale riserva allo Stato di settori di materie, lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armonicamente conforme agli interessi unitari della collettività statale ».
Infine, per l'altra interpretazione della censura sulla violazione del limite dei principi fondamentali, « quali si desumono dalle
leggi vigenti » per regolare l'esercizio del potere legislativo con corrente delle regioni, è sufficiente rilevare che qui ed ora tali
principi consistono in criteri generalissimi (livello delle attrezzatu
re, dell'arredamento e della prestazione di servizi) che la discipli na contenuta nelle leggi regionali non contraddice da nessun
punto di vista. Né potrebbero assurgere a dignità di principi fondamentali della legislazione taluni dei requisiti indicati nella tabella del decreto-legge del 1937, non già perché essi non sono
più rilevanti ai fini di un'aggiornata classificazione, ma piuttosto perché non suscettibili, fn se e per se, di costituire limite e indirizzo per la legislazione regionale concorrente. Le esigenze di
sostanziale corrispondenza tra le classificazioni adottate nelle varie
regioni possono essere soddisfatte mediante interventi del potere statale pienamente compatibili con l'integrità delle funzioni attri buite agli enti regionali e ciò a prescindere dalla possibilità di un autocoordinamento in sede interregionale.
Per questi motivi, dichiara non fondate le questioni di legittimi tà costituzionale della legge regionale riapprovata dal consiglio della regione Puglia il 26 aprile 1979, recante « disciplina della classificazione alberghiera », della legge regionale riapprovata dal
consiglio della regione Piemonte il 10 ottobre 1979, recante « classificazione delle aziende alberghiere », della legge regionale riapprovata dal consiglio della regione Umbria il 4 febbraio 1980, recante « disciplina della classificazione delle aziende ricettive,
alberghiere e all'aria aperta», proposte in riferimento all'art. 117, 1° comma, Cost., dalla presidenza del consiglio dei ministri, con i ricorsi in epigrafe.
CORTE DI CASSAZIONE; CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili;' sentenza 4 lu
glio 1981, n. 4360; Pres. La Farina, Est. Sensale, P. M. Saja (conci, diff.); Waldner (Avv. Pacifici, Vinatzer) c. Coopera tiva edilizia « Dorf Tirol » (Avv. Prosperi, Demattio). Cassa senza rinvio App. Trento 26 luglio 1979.
Arbitrato e compromesso — Cooperativa edilizia — Delibera di esclusione di socio — Impugnazione — Difetto di giurisdi zione del collegio arbitrale — Cognizione della commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica — Condi zioni — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 806, 808; r. d. 28
aprile 1938 n. 1165, t. u. sull'edilizia popolare ed economica, art. 131, 133).
Il collegio arbitrale, previsto dall'atto costitutivo di cooperativa edilizia per la risoluzione delle controversie con i soci, difetta di giurisdizione a conoscere della domanda con la quale il socio
escluso, in quanto ritenuto privo dei requisiti necessari per ot tenere il contributo agevolato dall'amministrazione provinciale, chiede la dichiarazione d'inefficacia della delibera di esclusione e il riconoscimento della persistenza della qualità di socio, trat tandosi di questione sottratta alla giurisdizione del giudice or dinario e devoluta alla cognizione della commissione di vigilan za per l'edilizia popolare ed economica e quindi del Consiglio di Stato. (1)
(1) Le sezioni unite risolvono nel senso riassunto nella massima il problema della deferibilità ad arbitri rituali di controversie sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, in base alle seguenti conside razioni: a) i rapporti tra arbitri rituali e giudice ordinario configu rano questioni di competenza; b) la questione se la controversia, devo luta ad arbitri rituali, rientri nella competenza giurisdizionale del giu dice ordinario (o in quella sostitutiva degli arbitri) ovvero in quella del giudice amministrativo, pone un problema di giurisdizione; c) que st'ultimo problema si ripercuote sulla stessa validità del compromesso e della clausola compromissoria, poiché nel giudizio arbitrale non sono compromettibili le controversie sulle quali il giudice ordinario non abbia giurisdizione.
Senonché, mentre i rilievi riassunti sub a) sono ormai pacifici (da ultimo in argomento Cass. 8 aprile 1981, n. 1995, Foro it., 1981, I, 1572 e i precedenti ivi richiamati in nota), le altre considerazioni svolte dalla corte trovano punti di riferimento non uniformi, che consentono qualche breve notazione.
L'affermazione sub b) si pone, infatti, sulla stessa linea delle enun ciazioni di Sez. un. 9 maggio 1956, n. 1505, id., 1956, I, 847, con nota di Andrioli, Procedura arbitrale e regolamento di giurisdizione, a pro posito della configurabilità come questione di giurisdizione di quella « se una data domanda attenga a materia esclusivamente demandata alla cura dell'amministrazione, nell'esercizio dei suoi poteri discrezio nali, o comunque ad una controversia devoluta alla cognizione di un giudice speciale, ovvero, invece, alla tutela dei diritti soggettivi, attua bile con lo strumento del procedimento arbitrale, il quale si conclude con il provvedimento di un organo dell'autorità giudiziaria ordinaria », senza neppure tener conto dei dubbi a suo tempo manifestati da Andrioli (nota cit.) circa l'esattezza dell'assunto oggi ribadito. Di modo che le ragioni invocate dall'illustre a. a sostegno della ritenuta « impossibilità di inquadrare i rapporti fra gli arbitri, da un lato, e i giudici speciali e la pubblica amministrazione, dall'altro lato, tra le questioni attinenti alla giurisdizione e quindi di sperimentare, per il preventivo scioglimento, il rimedio previsto nell'art. 41 cod. proc. civ. » (su quest'ultimo punto si può consultare per riferimenti Cass. 14 feb braio 1979, n. 965, id., Rep. 1979, voce Arbitrato, n. 43, che, stando alla massima, prevede come unico rimedio contro il lodo arbitrale l'azione di nullità, anche quando si deduca il difetto di giurisdizione), conservando ancora piena validità, fanno apparire sommaria in parte qua la motivazione della riportata sentenza, indicandone ad un tempo i limiti di attendibilità.
La proposizione sub c), anch'essa schematica e stringata, ha, in ve
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