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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Roma
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Monica Velletti ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 18687/2012 R.G. promossa da:
DI PIETRO ANTONIO, personalmente e nella qualità di Presidente del partito Italia dei
Valori, con il patrocinio dell’Avv. Raffaella Sturdà, con elezione di domicilio in Roma,
via Flaminia, n.344, presso lo studio del difensore, giusta procura in atti;
ATTORE
contro
DI DOMENICO MARIO, costituito in proprio ex art. 86 c.p.c., con elezione di domicilio
nel proprio studio in Roma, Circonvallazione Nomentana n. 488;
EDIZIONI SI SRL;
AURORA FLORIO;
ANGELICA GIUSEPPE, tutti con il patrocinio dell’Avv. Paolo Di Gravio, con elezione di
domicilio in Roma via Piediluco n.9, presso lo studio del difensore, giusta procura in
atti;
DEIANA PIO MARIA, con il patrocinio dell’Avv. Fabio Tommarello, giusta procura in
atti;
CONVENUTI
OGGETTO: azione di risarcimento del danno da diffamazione
CONCLUSIONI
Per parte attrice: “a) Accertare dichiarare non corrispondenti al vero le affermazioni dei
convenuti riportate nel libro “Il colpo allo Stato” e quelle pubblicate e pubblicizzate nella
rivista quindicinale “SI” del 1 aprile 2011 e seguenti come in epigrafe riportate e
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
conseguentemente dichiarare i convenuti tutti responsabili di diffamazione aggravata ex
art. 81, 110, 595 commi 2 e 3 c.p. e art. 13 legge 47/1948;
b) conseguentemente condannare i convenuti a risarcire, in solido fra loro, all’On Antonio
Di Pietro i danni dal medesimo subiti e subendi in dipendenza e per effetto dei fatti per cui
è causa, nella misura di 500.000,00 (cinquecento) di euro ovvero in quella, maggiore o
minore somma, che sarà ritenuta più equa; nonché a corrispondere all'attore, a titolo di
riparazione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 12 della legge 47/1948, la somma di
20.000,00 euro ovvero quella somma, maggiore o minore, che sarà ritenuta più equa. Il
tutto con gli interessi dalla data del fatto fino all’effettivo versamento;
c) condannare i convenuti, in solido fra loro, alle spese di pubblicazione della sentenza
integrale sul quindicinale “SI”, con la stessa evidenza, lo stesso spazio e la stessa
periodicità riservati alla pubblicizzazione del libro in contestazione;
d) condannare i convenuti, in solido fra loro, alle spese di pubblicazione dell’estratto della
sentenza in almeno due quotidiani a diffusione nazionale (di cui il primo il Corriere della
Sera) ed in due periodici sempre a tiratura nazionale (di cui il primo Panorama) con gli
stessi caratteri e con lo stesso spazio con cui le false e diffamatorie notizie sono state
fornite proprio a tali organi di stampa;
e) disporre, a spese dei convenuti, il ritiro immediato del libro “Il colpo allo Stato” ed il
divieto della pubblicazione e della distribuzione di ulteriori copie;
f) disporre, a spese dei convenuti, la cancellazione da ogni sito internet dei fatti pubblicati
nel libro e ripresi da ogni organo di stampa e dalla rete;
g) condannare i convenuti, in solido fra loro, alle spese di mediazione, ai sensi del decreto
legislativo 28/10;
h) Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio, oltre rimborso forfettario spese
generali, rimborso IVA e CPA.
Per i convenuti:
“"1 - Nel merito, rigettare tutte le domande avanzate da esso attore, Di Pietro in proprio e
nella qualità di legale rappresentante del partito politico IDV e non dell'associazione IDV al
momento dei fatti esposti nel libro, in quanto infondate in fatto e in diritto;
2 - accogliere l'eccezione di Litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.), atteso che l’oggetto
della domanda e relative eccezioni incide inscindibilmente la sfera d’interesse degli asseriti
titolari del diritto di cronaca e d’informazione che, attraverso le testate giornalistiche
divulgatrici della vicenda, sono intervenuti sulla vicenda asseritamente lesiva dal Di Pietro,
avendo condiviso responsabilmente l’informazione e trattato l’argomento esercitando il
corrispondente diritto di cronaca e di critica:
a. il dr. Felice Cavallaro e della relativa testata "Corriere della Sera",
b. il dr. Gianluigi Nuzzi e della testata di "Libero",
c. il dr. Gian Marco Chiocci e della relativa è stata de "Il Giornale";
d. il dr. Maurizio Paragone della testata “l’ultima parola” RAI 2;
e. Maurizio Tortorella, Panorama, del Gruppo Mondadori;
f. Alberigo Giostra, de “Il Tribuno”;
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
3 - in via subordinata accogliere l'eccezione di chiamata coatta in causa su istanza di parte,
ovvero per ordine del giudice (art, 106, 107 c.p.c.) degli stessi soggetti sopra evidenziati,
atteso il fatto che l’oggetto dell'asserita domanda diffamatoria, dipendono notevolmente
dall’oggetto della libera informazione e dal quale corretto esercizio il convenuto vuole
essere garantito, rilevando la connessione del rapporto controverso in linea principale e
quello del terzo ed il principio di economia processuale con l’integrazione del
contradditorio e la garanzia dell’uniformità e l’unicità delle decisioni.
4 - il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari come per legge".
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato ai convenuti – previo esperimento del
tentativo obbligatorio di mediazione – Antonio Di Pietro ha esposto che nel mese di
gennaio 2011 la casa editrice “Edizioni SI s.r.l.” pubblicava il libro dal titolo “IL
“COLPO” ALLO STATO – DA MANI PULITE A MANI LIBERE” dell’autore Mario Di
Domenico, avviandone la distribuzione almeno dal 7 febbraio 2011, e che nella stessa
data, il periodico on line Panorama.it pubblicava un’intervista giornalistica al Di
Domenico nella quale quest’ultimo rendeva dichiarazioni asseritamente lesive della
reputazione de Di Pietro, inducendo l’attore a proporre citazione in giudizio del Di
Domenico per diffamazione. L’attore ha affermato che anche il contenuto del libro, in
alcune sue parti, risultava fortemente lesivo del suo onore, decoro, immagine e
reputazione. L’editrice “Edizioni SI s.r.l.”, alla quale l’attore inviava, prima della
pubblicazione, segnalazioni e documentazione giudiziaria finalizzate a provare la
falsità delle ricostruzioni contenute nel libro, nonché formale diffida (cfr. allegati
documenti nn. 5 e 6 dell’atto di citazione) pubblicava il testo di causa, allegandolo – in
data 1 aprile 2011 – alla rivista quindicinale “SI”, con conseguente diffusione nelle
edicole e pubblicizzandolo ripetutamente nel corpo del suddetto quindicinale. Tanto
premesso ritenendo i contenuti del libro lesivi del proprio decoro e della propria
reputazione, e non rispettosi del corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica,
l’attore ha concluso nei termini sopra riportati chiedendo la condanna al risarcimento
del danno del Di Domenico quale autore del testo, della società Edizioni SI s.r.l., quale
editrice della pubblicazione, di Angelica Giuseppe e Florio Aurora in quanto legali
rappresentanti pro tempore della casa Editrice “Edizioni SI s.r.l.” e di Pio Maria Deiana
per l’intervista rilasciata al Di Domenico, riportata nel testo del libro, stante l’asserita
falsità delle affermazioni nella stessa contenute.
Si cono costituiti in giudizio i convenuti, chiedendo, in via preliminare che venisse
integrato il contraddittorio nei confronti di alcuni giornalisti che avrebbero diffuso
alcune delle notizie, contestate dall’attore, riportate nel testo, in via subordinata che
venisse integrato il contraddittorio, autorizzando le parti convenute a chiamare in
causa i giornalisti indicati ovvero fosse integrato il contradditorio per ordine del
giudice. Nel merito i convenuti hanno chiesto il rigetto della domanda della
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
controparte stante il pieno rispetto dei limiti per il corretto esercizio del diritto di
cronaca e di critica politica dovendosi ravvisare l’interesse pubblico alla divulgazione
delle notizie e delle opinioni dell’autore riportate nel testo.
Acquisite le produzioni documentali delle parti, esperito l’interrogatorio formale
dell’attore, i testi per i quali era stata ammessa l’audizione non sono stati escussi in
quanto il convenuto Di Domenico ha rinunciato all’escussione di uno dei testi ammessi
ed è decaduto dalla prova per l’altro teste non avendo provveduto alla sua citazione
nei termini di legge ed avendo parte attrice eccepito la decadenza. All’udienza del
19.3.2015 la causa è stata trattenuta in decisione con termini di legge ex art. 190
c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
1. Questioni preliminari
I convenuti hanno chiesto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di giornalisti
che avrebbero divulgato notizie riportate nel libro di causa e ritenute dall’attore
diffamatorie. In merito deve rilevarsi come Antonio di Pietro non ha proposto nel
presente giudizio alcuna domanda nei confronti dei giornalisti che secondo le
prospettazioni dei convenuti avrebbero divulgato le notizie poi riprese dal Di Domenico
nel libro “Il Colpo alla Stato”. Inoltre, per consolidata giurisprudenza anche se in caso
di fatto illecito diffamatorio, seppure commesso con condotte autonome diverse tra
loro, tutti gli agenti sono obbligati in solido al risarcimento del danno, tuttavia non
sussiste ipotesi di litisconsorsio necessario, potendo il danneggiato agire solo nei
confronti di uno degli agenti in quanto “il delitto di diffamazione è unisoggettivo e non
a concorso plurisoggettivo necessario” (Cass. n.11952/2010). La tardiva costituzione
dei convenuti avvenuta all’udienza dell’11.10.2012, e dunque spirati i termini di cui agli
artt. 167 e 269 c.p.c., non ha consentito di accogliere l’istanza di chiamata in causa dei
terzi, mentre deve condividersi quanto statuito nell’ordinanza emessa all’esito della
prima udienza in merito all’inopportunità di una chiamata in causa, ex art. 107 c.p.c.,
dei giornalisti indicati nelle memorie di costituzione dei convenuti.
Quanto alla produzione della sentenza n.11105/2013 emessa dal Tribunale di Roma,
depositata da parte attrice, in data successiva rispetto allo spirare dei termini per il
deposito della memorie ex art. 183, comma VI c.p.c., ne deve essere ammessa la
produzione in considerazione della formazione del documento in data successiva
rispetto ai termini assegnati e trattandosi di decisioni giudiziaria non soggetta ai
termini di deposito.
Sull’eccezione di inammissibilità, formulata dall’attore, di parte dei contenuti presenti
della memoria ex art. 183, VI comma , n.2, prodotta dal convenuto Di Domenico la
stessa deve essere accolta. La memoria ex art. 183, VI comma, n.2, depositata dal
convenuto Di Domenico, infatti, oltre a contenere le istanze istruttorie, contiene difese
in merito alle domande presenti nell’atto di citazione dell’attore. L’art. 183, VI comma,
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
c.p.c. dispone che la seconda memoria debba contenere le repliche alle domande ed
alle eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte. Parte dei contenuti della memoria
contestata sono relative a repliche alle domande inizialmente formulate dall’attore,
repliche che dovevano essere articolare nella memoria di costituzione ovvero nella
memoria ex art. 183, VI comma, n.1 c.p.c.; pertanto, le parti della memoria che
esulano dai contenuti normativamente indicati, devono essere considerate
inammissibili.
Il convenuto Di Domenico nella comparsa conclusionale ha lamentato la mancanza nel
proprio fascicolo di parte di alcuni documenti, chiedendo che la causa sia rimessa sul
ruolo per la “ricostruzione del fascicolo”. La richiesta del convenuto non può essere
accolta in quanto l’allegata mancanza di documenti per causa non nota, non può aver
un oggettivo riscontro avendo il Di Domenico, nell’udienza di precisazione delle
conclusioni, ritirato il proprio fascicolo senza formulare alcuna riserva
sull’incompletezza del suo contenuto. Dal momento del suo ritiro, il fascicolo è rimasto
nella disponibilità della parte sino al suo successivo deposito, con impossibilità di
verificare il momento in cui si sarebbe realizzato l’allegato smarrimento dei
documenti. Pertanto l’istanza di rimessione della causa sul ruolo per ricostruzione del
fascicolo di parte non può essere accolta.
2. Premesse
Prima di valutare nel merito le singole contestazioni mosse dall’attore ai contenuti del
libro “Il Colpo allo Stato”, occorre compiere alcune premesse di ordine generale in
merito al corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica.
Il reato di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p. si consuma nel momento in cui una
persona comunica con più persone, offendendo l’altrui reputazione, ed è aggravato se
l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato e/o sia recata col mezzo della
stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La valutazione dell’efficacia
diffamatoria di dichiarazioni o opinioni diffuse a mezzo della stampa deve riferirsi al
momento nel quale tali dichiarazioni hanno avuto diffusione.
Il diritto di cronaca in virtù della diretta tutela che riceve dall’art.21 Cost. e del
necessario bilanciamento con i diritti individuali della persona riconosciuti dall’art.2
Cost., soggiace a tutti i limiti individuati nei principi consolidati della giurisprudenza di
legittimità, a partire dalla pronuncia delle Sez.U. Penali della Cassazione del 23 ottobre
1984, più volte ribaditi anche in pronunce più recenti, secondo cui il diritto di stampa,
ossia la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito in linea
di principio dall’art.21 Cost. e regolato fondamentalmente nella legge 8.2.1948 n.47,
trova i suoi presupposti legittimanti nell’utilità sociale dell’informazione, nella verità
(oggettiva, o anche soltanto putativa, purché, in tal caso, frutto di un serio e diligente
lavoro di ricerca) e nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione,
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
ovvero in una forma non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire e
tale da escludere un deliberato intento denigratorio.
Diversi e più ampi sono i limiti che la giurisprudenza riconosce all’esercizio di critica; il
diritto di cronaca e quello di critica sono tra loro non coincidenti, in quanto il diritto di
critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera di fatti, ma si
esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti
narrati. Ferma tale premessa è comunque necessario che il fatto presupposto ed
oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente
putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade
per il diritto di cronaca (Cass. n 7847/2011). Il diritto di critica, in quanto
manifestazione della opinione personale dell’autore, non può essere, per sua
intrinseca caratteristica, totalmente obiettivo e può manifestarsi anche con l'uso di un
linguaggio colorito e pungente ( Cass. n. 10125/2011; Cass. n. 17180/2007). Anche il
diritto di critica, però, non diversamente da quello di cronaca, è condizionato, quanto
alla legittimità del suo esercizio, dal limite della continenza, sia sotto l'aspetto della
correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della non eccedenza
dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse, e deve essere
accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore incidente sull'onore o
la reputazione (Cass. n. 379/2005), non potendosi invocare l’esimente quando l’autore
della pubblicazione abbia utilizzato affermazioni ingiuriose e denigratorie o comunque
formulato attacchi puramente offensivi della persona oggetto della critica ( Cass. n.
20138/2005, Cass. n. 80/2012). Nella valutazione del limite della continenza deve
aversi riguardo al complesso del pezzo contestato, considerando possibili collegamenti
ed allusioni, che anche se non espliciti possano comunque ingenerare nel lettore
medio conclusioni diffamatorie.
In merito ad una specifica difesa del convenuto Di Domenico secondo il quale l’utilizzo
nel libro di riferimenti al “giudice Tonino”, senza esplicita indicazione del nome e del
cognome dell’attore, impedirebbe che le parti contestate del libro possano essere
ricondotte dal lettore ad Antonio di Pietro, mancando, come si legge nella comparsa di
costituzione quella “relatio ad hominen”, che consenta al soggetto di sentirsi offeso
nella propria reputazione, tale difesa non può essere condivisa. Per costante
giurisprudenza: “L'obbligo di risarcire il danno non patrimoniale causato da una
diffamazione commessa col mezzo della stampa sorge non solo quando la persona
diffamata sia nominata nello scritto, ma anche quando - pur non essendo nominata -
sia chiaramente ed univocamente identificabile.” (Cass. 16543/2012). Dalla lettura
delle parti contestate del libro emerge inequivocabilmente che l’autore si è riferito ad
Antonio Di Pietro, in quanto l’utilizzo della locuzione “giudice Tonino” nel contesto
della narrazione di fatti relativi alla nota inchiesta “mani pulite” ovvero di vicende
relative alla famiglia dell’attore o della attività politica svolta dal Di Pietro, consentono
al lettore medio di identificare, agevolmente, con l’odierno attore la persona a cui i
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fatti narrati si riferiscono. L’elevatissima notorietà dell’attore, che prima ha svolto
funzioni di Pubblico Ministero nelle inchieste denominate “Mani pulite” e
successivamente ha svolto attività politica a livello nazionale, ed è stato eletto
deputato nonché nominato Ministro della Repubblica, rende infatti inequivocabile
l’identificazione tra il c.d, “giudice Tonino”, ed Antonio di Pietro.
3.Esame delle singole contestazioni
Il libro “Il “colpo” allo Stato” (depositato in atti dal convenuto Di Domenico) di cui
Mario Di Domenico è autore e l’Edizioni Sisrl la società editrice, di cui i convenuti
Angelica Giuseppe e Aurora Florio erano al momento della proposizione della
domanda rappresentati legali, è composto da 414 pagine. L’attore ha contesto i
contenuti di alcune parti del libro, occorre esaminare le singole contestazioni per
valutare la fondatezza delle domande dell’attore, premettendo che tutti i fatti
contestati presentato il requisito dell’interesse pubblico avendo ad oggetto vicende
giudiziarie o politiche relative ad un noto uomo politico.
Quanto alla posizione del convenuto Pio Maria Deiana le contestazioni a questi mosse
dall’attore sono limitate all’intervista dallo stesso rilasciata al Di Domenico e trasporta
nel libro, restando il Deiana estraneo ai contenuti delle altri parti del testo.
3.1 Il caso Pazienza
Nel capitolo 9, dalle pagine 30 a 39, del libro “Il Colpo allo Stato” Mario Di Domenico
nel riportare vicende collegate a Francesco Pazienza “accusato di aver creato insieme
ad alcuni boss dell’intelligence, una sorta di servizio segreto parallelo. Colpito da
mandato di cattura , si era perciò rifugiato alla Seychelles”, afferma che Di Pietro si
sarebbe recato nel 1984 nell’arcipelago dell’Oceano indiano “sulle tracce di Pazienza
all’insaputa del Procuratore capo dell’Ufficio di Bergamo” e rientrato avrebbe redatto
un rapporto informativo, in data 15 gennaio 1985,consegnato al Procuratore Capo
della Procura di Bergamo. Secondo l’autore del libro tale condotta sarebbe indice del
coinvolgimento dell’odierno attore nei servizi segreti militari (“qualcuno ha adombrato
la testi che l’allora capo del Sismi… sapesse e che quindi …Di Pietro lavorasse anche per
il ministero degli interni”). L’autore del testo ha riportato tale frase affermando di
averla ripresa da un articolo pubblicato sul giornale del 17 gennaio 2010.
Nel testo si legge: “Il viaggio del giudice Tonino alle Seychelles è episodio degno di
nota, surreale e divertente, che merita di essere raccontato , anche perché è quello più
inquietante e più difficilmente collocabile fra le tessere di questo mosaico teatrale sulla
ragion di Stato . Se non altro perché la sua lettura si rivela edificante, sul ruolo del
“giudice deviato top secret”: una macchietta di spione, con tanto di macchina
fotografica a tracolla alla ricerca del Pazienza perduto”. L’attore oltre a rilevare alcune
inesattezze di quanto riportato, ha evidenziato di essersi recato alle Seychelles per un
viaggio di turismo, insieme con la moglie, e avendo appreso che lì si trovava il latitante
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Pazienza avrebbe inviato un rapporto al suo Capo dell’ufficio, da questi trasmesso per
competenza alla Procura di Roma. Inoltre, Di Pietro ha rilevato come, con la sentenza
n. 688/96 emessa dal GIP del Tribunale di Milano, l’allora Senatore Boiso è stato
condannato a 5 mesi di reclusione per aver sostenuto in un’intervista il collegamento
del Di Pietro con i servizi segreti.
Nella parte del libro contestata l’autore pur riportando circostanza vere (viaggio del Di
Pietro alle Seychelles, informativa da questi redatta sulla presenza di un latitante al
Procuratore Capo della Procura di Bergamo) ha utilizzato espedienti narrativi tali da
indurre il lettore a desumere da tali circostanza collegamenti tra Antonio Di Pietro e i
servizi segreti, collegamenti che non solo i convenuti nel corso del giudizio non hanno
provato essere esistenti, ma che risultano smentiti da una sentenza emessa dal
Tribunale di Milano, della quale l’autore del libro era a conoscenza per averla citata in
una nota nel capitolo in esame (nota n. 36 di pagina 33). Né può ritenersi che quanto
riportato sia espressione di corretto esercizio del diritto di critica perché malgrado i
toni dubitativi utilizzati in alcune delle pagine richiamate (cfr. pag. 34) viene riportata
la circostanza che l’odierno attore avrebbe avuto diretti contatti con i Servizi Segreti
(“Il giudice Tonino ha riferito direttamente al capo del Sismi, Fulvio Martini e questi al
giudice Domenico Sica… Il dubbio è pesante . Occorre però ancora del tempo per avere
una risposta degna sulla sofferente prigionia della sua torbida personalità, piena di
ombre e che non l’abbandonerà mai più.”).
Quanto riportato nel capitolo oltre a violare il corretto esercizio del diritto di critica per
mancanza del requisito di verità del presupposto del fatto narrato (non avendo i
convenuti provato che Di Pietro avesse contatti con i servizi segreti, circostanza che
risulta smentita nella richiamata sentenza), è stato espresso con toni non rispettosi del
limite della continenza in quanto le parole utilizzate devono considerarsi
intrinsecamente offensive e denigratore dell’onore e della reputazione dell’attore
(“ruolo del giudice deviato top Secret, macchietta di spione, torbida personalità piena
di ombre”).
In merito deve essere evidenziato come in una recente pronuncia della Suprema Corte
è stato affermato: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di
critica, che, quale manifestazione della propria opinione, non può essere totalmente
obiettivo e può manifestarsi anche con l'uso di un linguaggio colorito e pungente, è
condizionato, al pari del diritto di cronaca, dal limite della continenza, sia sotto
l'aspetto della correttezza formale dell'esposizione, sia sotto quello sostanziale della
non eccedenza dei limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse,
sicché deve essere accompagnato da congrua motivazione del giudizio di disvalore
incidente sull'onore o la reputazione, e non può mai trascendere in affermazioni
ingiuriose e denigratorie o in attacchi puramente offensivi della persona presa di mira.
(Nella specie, la S.C. ha riconosciuto carattere diffamatorio all'uso del termine "spia"
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riferito ad un uomo politico, avuto riguardo anche al fatto che gli artt. 257 e 258 cod.
pen. puniscono espressamente, fra i delitti contro la personalità dello Stato, condotte di
spionaggio politico o militare o relativo a notizie di cui sia stata vietata la
divulgazione).” (Cass. n. 1434/2015).
Nel caso di specie aver affermato, in un libro, contrariamente al vero, stante l’assoluta
mancanza di fonti e riscontri credibili, e utilizzando tono denigratori e offensivi, che un
magistrato abbaia avuto collegamenti con i servizi segreti e abbia compiuto azioni di
spionaggio, è condotta gravemente lesiva dell’onore e della reputazione dell’attore.
3.2. La vicenda Contrada
Nelle pagine da 100 a 115, da 126 a 129 e da 347 a 353 del libro, l’autore narra della
partecipazione di Antonio Di Pietro ad una cena natalizia organizzata la sera del 15
dicembre 1992 presso la Caserma dei Carabinieri – reparto Operativo di Roma, alla
quale parteciparono l’ex Questore Bruno Contrada, che qualche giorno dopo venne
arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e Rocco Mediati, qualificato
come agente segreto americano, “rappresentate del U.S. Secret Service a Roma”. Nel
romanzo descrivendo la cena si legge (pag. 100) “Non un quartierino , sia ben chiaro,
ma ospiti studiati per una mangiata blindata e finalizzata sia agli auguri natalizi che
alla consegna di un riconoscimento , un encomio… anzi di un ciondolo o “fermacarte
internazionale” con dedica. Insomma un ninnolo, d’accordo ma è solo per il giudice
Tonino, adatto a uno del suo rango. Lo Stemma è dorato con lo stemma blu e rosso
della bandiera americana …E allora questa non è solo una mangiata natalizia, questa è
una cosa seria . Perché un riconoscimento al giudice Tonino? Perché non anche agli
altri colleghi del pool…. E poi perché non raccontare tutto e subito ai colleghi del pool
anziché nascondere, mistificare, cercare di distruggere le prove dell’imbarazzo, dopo
che nei quattro giorni a seguire venne arrestato don Vito Ciancimino e il giorno dopo
ancora “u dutturi” Contrada, entrambi per mafia?”. Nelle parti contestate del testo
l’autore allude ad una pregressa conoscenza tra Contrada, qualificato come “il numero
tre del servizio segreto” e l’odierno attore, oltre a riferire della consegna del gadget al
Di Pietro da parte di Rocco Mediati, agente dei servizi americani, lasciando intendere al
lettore che ciò sia avvenuto come riconoscimento del ruolo asseritamente svolto dal Di
Pietro nei servizi Segreti.
L’attore ha dato atto della partecipazione alla cena natalizia evidenziando che si trattò
di un invito formalizzato, in occasione di una sua presenza a Roma per motivi d’ufficio ,
da parte dal Comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri che collaborava nelle
indagini con l’allora Pubblico Ministero, e di aver ricevuto un crest natalizio privo di
valore, come usualmente accade nelle cene natalizie, negando ogni coinvolgimento
con i servizi segreti, e di non aver riferito della cena all’allora Procuratore della
Repubblica di Milano, essendo evento irrilevante ai fini dello svolgimento dell’attività
dell’ufficio.
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Sentenza n. 16740/2015 pubbl. il 29/07/2015RG n. 18687/2012
Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
Il Di Domenico, sul quale gravava l’onere della prova, non ha fornito alcun riscontro
alle allusioni presenti nel libro, e partendo da circostanze vere (la presenza del Di
Pietro ad una cena natalizia organizzata da alto responsabile dei Carabinieri, alla
presenza di Bruno Contrada, allora non inquisito e Questore della Polizia di Stato, e di
un funzionario dell’Ambasciata americana nonché della consegna di gadget natalizi al
Di Pietro) ha riportato i fatti inducendo il lettore a ritenere che la cena fosse finalizzata
a conferire al Di Pietro un riconoscimento, un encomio consegnato da rappresentanti
dei servizi segreti. Le affermazioni rimaste prive di riscontri oggettivi, suffragandosi le
affermazioni presenti nel testo nelle personali ricostruzioni dell’autore sono
gravemente lesive dell’onore e della reputazione del Di Pietro. Infatti, richiamando
quanto sopra detto, alludere ad un coinvolgimento di un magistrato della Repubblica
nei servizi segreti ( nel libro si legge “La legge è chiara e prescrive che in nessun caso i
servizi possono annoverare, tra le loro fila, in modo organico o saltuario, magistrati
della Repubblica ….Ma allora il giudice Tonino quella sera lì cosa ci stava a fare? cfr.
pag. 127) , costituisce offesa dell’onore e del decoro della persona, esulando dai limiti
del corretto esercizio del diritto di critica.
3.3 L'agente segreto numero 30P1S103- Il maggiore D'Agostino e la documentazione
occultata - Il caso Pacini Battaglia
Quanto ai fatti riportati nelle pagine 115 e seg. del libro, l’autore riferendo di aver
appreso delle notizie riservate da un non meglio identificato agente segreto numero
30P1S103, afferma che Di Pietro in qualità di Pubblico Ministero non avrebbe inquisito
Francesco Pacini Battaglia, pur avendo appreso fatti costituenti reato. La circostanza
riportata nel libro è falsa, poiché smentita dagli atti in quanto Di Pietro chiese in data
17.2.1993 l’emissione di una misura di custodia cautelare in carcere a carico di Pacini
Battaglia (cfr. allegato n. 36 di parte attrice). La falsa circostanza inserita in un contesto
nel quale viene evidenziata la presunta corruzione ad opera del Pacini Battaglia di
D’Agostino, collaboratore del Di Pietro allora PM, insinua nel lettore il dubbio di una
collusione tra l’odierno attore e il D’Agostino che avrebbe ricevuto “diverse centinaia
di milioni proprio da Pacini Battaglia che Di Pietro poi neppure inquisì “ (cfr. pag. 118).
Questo fatto falso, inserito nel contesto riportato integra una condotta violativa dei
limiti del corretto esercizio del diritto di critica.
Sui medesimi fatti, presunti favoritismi dell’allora PM Di Pietro nei confronti
dell’imputato Pacini Battaglia vennero mosse accuse di rilevanza penale nei confronti
dell’odierno attore, per corruzione in atti giudiziari; con sentenza n.105/99, del 18
febbraio 1999, venne dichiarato non luogo a procedere dal GIP di Brescia perché il
fatto non sussiste (cfr. allegato 39), decisione confermata dalla Corte di Cassazione
(Allegato 40 di parte attrice). L’autore del libro non compiendo approfondita analisi
delle fonti, non ha considerato tali decisioni. Inoltre, non ha considerato i contenuti di
altra sentenza di condanna per diffamazione, pronunciata nei confronti del giornalista
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
Luigi Moncalvo che aveva sostenuto tesi analoghe a quelle presenti nel libro di causa
(sentenza n. 317/97).
Poiché in numerose sentenza emesse su vicende analoghe a quelle descritte nel libro
in merito ai presunti favoritismi che il Di Pietro avrebbe riservato a Pacini Battaglia nel
corso delle indagini, è stata accertata la falsità di tali notizie, la condotta del Di
Domenico e dei convenuti Edizioni SI srl, Angelica Giuseppe e Aurora Florio, che pur
resi edotti dal Di Pietro di tali circostanza con le diffide inviate, hanno pubblicato le
notizie dei presunti rapporti illeciti tra Di Pietro e Pacini Battaglia, non consente di
ritenere operante la scriminate del diritto di critica, fondandosi le affermazioni
contenute nel libro di causa su fatti accertati come non veri da sentenza passate in
giudicato. Deve pertanto essere accertato il contenuto diffamatorio di quanto
riportato nel libro in merito ai rapporti tra Di Pietro e Pacini Battaglia.
Il presunto agente segreto indentificato con il numero sopra riportato avrebbe, inoltre,
riferito all’autore del libro, parlando delle indagini su Pacini Battaglia e delle presunte
collusioni del maggiore Francesco D’Agostino, ufficiale della polizia giudiziaria
incaricato da seguire in Roma le indagini del pool mani pulite: “Ma fece di più
dimenticando dentro un paio di scatoloni nella soffitta della Caserma di via Dei Selci
parte di quelle carte ed anche due agende di Ferdinando Mac Palmenstein”; ed alla
domanda dell’autore su cosa ci facevano quei documenti nella soffitta di una Caserma
dei Carabinieri l’agente segreto avrebbe risposto : “Questo lo sa il D’Agostini e chi dei
suoi superiori , fra cui Di Pietro , semmai glielo ha consentito”.
Quanto riportato non è suffragato da alcun riscontro non avendo i convenuti fornito
alcun elemento da cui possa desumersi che i documenti, lasciati nella soffitta di via Dei
Selci, fossero collegati alle indagini di cui era titolare Di Pietro, e che fosse stato
l’odierno attore a “dimenticare” i documenti indicati.
3.4 Il deposito di una valigia alla banca di Hong Kong
Nel libro nelle pagine da 167 a 179 l’autore riporta episodi asseritamente accaduti
quando Di Pietro era in Hong Kong, corredati da documentazione fotografica riportata
alla pag. 362. Il Di Domenico riporta letteralmente l’intervista a Pio Maria Deiana nella
quale questi dopo essersi qualificato come imprenditore che ha operato molto
all’estero ed aver riferito che nella Hong Kong Shangai Bank in Hong Kong c’era una
lunga scala mobile da dove si accedeva ai locali della banca, e di aver visto numerosi
connazionali salire quella scala per accedere alla salette della banca “dove si contano i
soldi , si vagliano i documenti, si registrano gli uni e gli altri per il deposito o per il conto
cifrato”, ha dichiarato di aver visto l’odierno attore (pag. 172) al piano terra della
banca “prima che prendesse le scale mobili per salire alla hall della banca HSBC
…accadeva esattamente fra la primavera e l’estate del 1993 credo a maggio … Non
solo sono assolutamente certo ma l’ho anche salutato, non capita mica tutti i giorni di
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
vedere un giudice, poi così importante su quella scalinata. Era lui. Gli ho anche stretto
la mano, e lui per farlo ha passato la pesante valigia sull’altra mano…Era
assolutamente solo e portava una valigia di una certa pesantezza. Quell’immagine mi è
rimasta impressa perché il polso era tirato. Si vedeva che era tirato dalla sforzo. La
valigia pesava e la carta pesa di più dei vestiti” Alla domanda dell’intervistatore “Ha
potuto vedere il contenuto della valigia” l’intervistato Deiana ha risposto: “No ma ne
ho viste tante di persone entrare con valige pesanti ed uscire poi a mani vuote. Io non
so . Cosa porta un giudice. Atti giudiziari, documenti, soldi … Non l’ho pensato ma poi
ripensandoci uno in banca o porta documenti o porta soldi . E siccome io ho visto un
certo Prandini che è stato Ministro ecc. ..fare la stessa cosa. E siccome in quella banca
era notorio che accadessero certe cose, mi son fermato ad osservare Di Pietro fare le
stesse cose. Quando poi ho visto che portava la valigia , a ripensarci dopo mi sono
detto quello era Pacini Battaglia … quello che poi disse mi hanno sbancato”
L’intervistato nel suo racconto ha aggiunto “E chi gli aveva dato quella valigetta era
uno che evidentemente non poteva mandare documenti per posta , né soldi banca
banca. Ci voleva il cash che non lascia traccia … Certo che l’ho visto uscire e la valigia
non l’aveva più con sé . E vederlo uscire così mi ha fatto venire in mente le lavatrici
cinesi….Siccome io ho portato in Cina sia i soldi che le camice so bene cosa vuol dire e
come si fa. Quando arrivi lì c’è il direttore che ti riceve in una saletta: dipende
naturalmente anche dalle potenzialità del deposito. Prendono, aprono , li contano,
paghi il conteggio , vai in cassa ti assegnano una cifra, ti danno la ricevuta e ciao…Fino
al ritiro della biancheria”.
L’attore ha allegato la portata diffamatoria dei contenuti dell’intervista, dichiarando di
non essersi mai recato in Hong Kong nel 1993 ma di esservi stato l’anno successivo
debitamente autorizzato, al fine di seguire l’esito di rogatorie internazionali svolte
dall’autorità giudiziaria locale, e di aver in quell’occasione ricevuto inviti ufficiali da
parte della comunità italiana residente in loco. Di Pietro, anche nel corso
dell’interrogatorio formale, ha negato di essersi mai recato nella Banca HSBC, e tanto
meno di avervi portato una valigia.
Il convenuto Deiana nella comparsa di costituzione ha confermato di aver reso
l’intervista esattamente nei termini riportati dall’autore del libro, precisando di non
aver mai sostenuto di aver visto Di Pietro portare i soldi nella sede dell’istituto
bancario di Hong Kong, ma di aver detto di aver visto l’attore entrare nella sede della
banca con una pesante valigia di cui non conosceva il contenuto. Nella comparsa di
riposta si legge “Confermo integralmente il testo dell’intervista rilasciata nel libro “Il
colpo di stato”.
In merito alle contestazioni dell’attore mosse alle dichiarazioni del Deiana, anche a
voler prescindere dalla presenza o meno dell’attore dinanzi alla sede della banca, nella
primavera del 1993, circostanza di per sé neutra, e la cui dimostrazione comunque
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Repert. n. 15940/2015 del 29/07/2015
grava sui convenuti, i quali si sono limitati a riportare le affermazioni del Deiana,
tuttavia i contenuti dell’intervista superano il limite della continenza. Dal contesto
dell’intervista , infatti si desume che il Di Pietro si sarebbe recato nella sede
dell’istituto di credito asiatico con una pesante valigia, e anche se l’intervistato non
riferisce apertamente che la valigia conteneva denaro, afferma che doveva trattarsi di
“carta” e dunque di “soldi o documenti” accostando tale evento al pregresso incontro
nel medesimo luogo di un Ministro notoriamente condannato del fatti corruttivi. Il
riferimento poi alle “lavanderie cinesi” e alla necessità che quello che era contenuto
nelle valigia non potesse essere trasferito “banca banca”, ma “cash” costituisce
accostamento suggestivo, tale da indurre il lettore medio a ritenere che l’odierno
attore si fosse recato nella banca asiatica per depositare denaro o documenti non
diversamente trasportabili. Si tratta di gravi illazioni fondate su congetture e prive di
riscontri concreti che travalicano i limiti del corretto esercizio del diritto di critica e
devono considerarsi diffamatori. Pertanto le dichiarazioni rese dal Deiana
nell’intervista trasfusa nel libro di causa sono diffamatorie.
Per costante giurisprudenza, in materia di diffamazione a mezzo della stampa, la
pubblicazione anche fedele delle dichiarazioni di terzi, lesive dell'altrui reputazione,
costituisce veicolo tipico di diffusione delle stesse.L’autore, pertanto, partecipa alla
diffamazione con il proprio contributo causale e ne risponde secondo lo schema del
concorso di persone nel reato, ove il fatto non sia giustificato dallo "ius narrandi"
collegato al limite della verità della notizia, che egli ha il dovere di controllare, per
evitare che la stampa diventi "cassa di risonanza" delle contumelie e delle malevoli
critiche di terzi. (Cass pen. n. 5313/1999). Nel caso di specie, avendo il convenuto
Deiana confermato che i contenuti dell’intervista riportati nel libro sono
perfettamente rispondenti a quanto riferito al Di Domenico, e non potendo questi
avere elementi per dubitare delle affermazioni dell’intervistato, deve ritenersi che il Di
Domenico non abbai concorso nella commissione dell’illecito posto in essere dal
Deiana. In merito il provvedimento allegato da parte attrice, decreto n.787/97 con il
quale il GIP di Monza aveva rinviato a giudizio Bettino Craxi e Vittorio Feltri, per un
articolo pubblicato su “Il Giornale” (doc. 54 ) si riferisce a fatti diversi da quelli narrati
dal Deiana nell’intervista (riferendosi a quanto si legge nel capo di imputazione a
generiche illazioni circa la presenza di amici di Di Pietro con recapito ad Hong Kong).
Dunque il Di Domenico raccogliendo l’intervista non avrebbe potuto ritenerne i
contenuti diffamatori acquisendo tale provvedimento.
In particolare, in relazione alla specifica ipotesi di espressioni diffamatorie contenute in
un'intervista, si è precisato che, "ove il giornalista si sia limitato a riportare senza
modifiche o commenti le parole effettivamente dette dall’intervistato, presupposti per
l'applicabilità dell'esimente del diritto di cronaca sono: a) la verità... del fatto che
l'intervistato abbia effettivamente formulato, nelle circostanze di tempo e di luogo
indicate dal giornalista, le espressioni riportate, che è da escludersi quando, pur
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essendo vere le affermazioni riferite, ne siano dolosamente o colposamente taciute
altre, idonee ad alterarne sostanzialmente il significato, ovvero quando, mediante
accostamenti suggestivi di singole affermazioni dell'intervistato capziosamente scelte o
a mutamenti dell'ordine di esposizione delle medesime, l'intervista venga a risultare
presentata in termini oggettivamente idonei a creare nel lettore o nell'ascoltatore una
(in tutto o in - rilevante - parte) falsa rappresentazione della realtà dalla medesima
emergente; b) sussistenza, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in
discussione o ad altri caratteri dell'intervista, di indiscutibili profili di interesse pubblico
all'informazione" (Cass. n. 23366/2004; cfr. anche Cass. n. 2733/2002, Cass. n.
10686/2008 e Cass. n. 16917/2010). Anche nel caso di intervista perché possa ricorrere
la c.d. esimente putativa è necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore,
dell'avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della
notizia e all'urgenza di informare il pubblico della fonte e della attendibilità di essa -,
onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati (Cass. n. 2271/05).
In estrema sintesi, occorre che colui che ha divulgato la notizia abbia effettuato un
doveroso controllo delle fonti da cui l'ha appresa, soprattutto quando, come nella
specie, la stessa presenta una sua intrinseca gravità (Cass. n. 9391/97).
Nel caso di specie il Di Domenico a fronte delle dichiarazioni del Deiana non aveva a
disposizione riscontri che potessero far ritenere false le affermazioni dell’intervistato ,
ed essendosi astenuto dal formulare commenti sui contenuti dell’intervista ma limitato
a riportare le frasi pronunciate dal Deiana, deve ritenersi che egli e gli altri convenuti
editori del libro, non abbaino concorso nella diffamazione posta in essere dal Deiana,
quanto alle dichiarazioni da questi rese nel corso dell’intervista.
3.5 La figura di Agostino Ruju
Quanto alle parti del libro che si riferiscono ai rapporti tra Di Pietro e Agostino Ruju
delle contestazioni mosse dall’attore ai convenuti, devono ritenersi lesive del diritto
dell’onore e della reputazione del Di Pietro le frasi riportate a pag. 176 del libro dove
si legge che l’odierno attore si sarebbe recato nel 1994 in Hong Kong “per sostenere
probabilmente le ragioni della rogatoria, verificare l’efficacia del sistema di protezione
Ruju- Troielli ed eventualmente smantellare il tesoro di Craxi . Ma c’è andato davvero
solo per questo o per ritirare la biancheria dimenticata l’anno prima?”. In questa frase
è chiaro il riferimento ad un presunto trasporto di denaro o di documenti di
provenienza illecita che il Di Pietro avrebbe lasciato nell’istituto di credito del
protettorato britannico l’anno precedente. La frase fondata su circostanze non
accertate come vere, supera inoltre i limiti della continenza inducendo con suggestioni
e allusioni il lettore e ritenere che l’odierno attore abbia posto in essere attività illecite
(deposito di contanti ovvero di documenti inerenti un’inchiesta in un istituto di credito
estero) contestualmente allo svolgimento di attività proprie dell’ufficio (rogatorie
internazionali)
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3.6 Il caso Li Pera
A pag. 95-96 del libro l’autore, riportando stralci della deposizione del Di Pietro nel
processo Borsellino ter, nella quale l’odierno attore richiamava la deposizione di Li
Pera, ha affermato che il Di Pietro avrebbe dimenticato “le precise rivelazioni di Li Pera
sulle tangenti al nord . Tant’è che non se ne è saputo più nulla . Così come dimentica in
fretta di approfondire tutti i legami in materia di mafia e appalti.”
La circostanza che il Di Pietro avrebbe “dimenticato “ le importanti rivelazioni del Li
Pera in materia di mafia e appalti è smentita dai contenuti di una sentenza disciplinare
del CSM n.2/98, testualmente riportata nell’atto di citazione dell’attore e non
contestata dai convenuti, nella quale si legge “negli anni 1992-1993 il dr. Antonio Di
Pietro …ebbe a raccogliere numerosi interrogatori dai quali emergeva la responsabilità
del dr. Filippo Salamone nel sistema degli appalti e delle tangenti in Sicilia, … tale
attività di indagine..era costruita in particolare dagli interrogatori di Giuseppe Li Pera”.
Anche in questa circostanza la frase contenuta nel libro, è da ritenere lesiva dell’onore
e della reputazione professionale del Di Pietro, nella parte in cui si afferma un
volontario “insabbiamento” di un filone di indagine ,mentre da atti ufficiali (decisioni
del CSM) anteriori rispetto alla pubblicazione del libro il dato riportato come vero è
pienamente smentito. Un serio lavoro di ricerca delle fonti, che si richiede affinché
possa operare la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, avrebbe
consentito all’autore del libro di non incorrere in lacune tanto grossolane, tradottesi in
pubblicazioni lesive della reputazione dell’odierno attore, in quanto sono stati riportati
fatti difformi dal vero in forma non rispettosa del limite della continenza .
3.7 Il caso Vito Ciancimino - I rapporti con Romano Tronci - L'inchiesta mafia-appalti
Non risultano conformi al vero altre affermazioni presenti nel libro.
A pag. 96 si fa riferimento ad un presunto colloquio tra Vito Ciancimino e Antonio Di
Pietro, colloquio informale che l’odierno attore nega essersi verificato, negando di aver
interrogato il politico siciliano, coinvolto in inchieste per mafia. Il Di Domenico, autore
del libro, e gli editori, sui quali gravava l’onere della prova della verificazione del
colloquio non hanno fornito alcun elemento in merito. La portata diffamatoria di
quanto indicato si rileva nella circostanza di attribuire ad un magistrato contatti con un
inquisito realizzati al di fuori del contesto processuale e delle regole che
sovraintendono il corretto svolgimento delle indagini, con grave nocumento per
l’onore e la reputazione professionale dell’attore.
Il Di Domenico in merito ai rapporti tra mafia e appalti ha scritto che Di Pietro non
avrebbe ricordato di avere interrogato personalmente l’ingegnere Romano Tronci,
senza indicare da dove avesse tratto tale fatto, mentre ha riportato subito dopo i
contenuti del verbale dell’interrogatorio svolto dal “giudice Tonino”. L’aver riferito del
mancato ricordo del Di Pietro oltre a non essere suffragato da alcun riscontro (l’autore
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non indica in base a quali circostanza avrebbe desunto tale mancanza di ricordo) è
smentito dal richiamo a verbali che dimostrano la verificazione di quell’interrogatorio.
Parimenti denigratoria è la parte del libro nel quale il Di Domenico riferisce che il Di
Pietro avrebbe dato “in diretta televisiva la pagella di mediocrità al suo Capo Borrelli
ed alla dr.ssa Del Ponte del Ministero Grazia e Giustizia”. Giudizio di mediocrità
secondo l’attore mai formulato. Anche con riferimento a tale contestazione i convenuti
sui quali gravava il relativo onere della prova hanno non hanno fornito le necessarie
indicazioni per sostenere la verità di quanto affermato.
3.8 Eleuterio Rea e le bische milanesi
L’attore ha contestato i contenuti diffamatori delle parti del libro nelle quali sono
riportate le seguenti circostanze:
- Di Pietro senza il preventivo assenso del CSM avrebbe partecipato alla
Commissione per il concorso a Comandante dei Vigili Urbani di Milano
“confezionando la vincita addosso al suo amico Stefano Eleuterio rea (pag. 109)”;
- - Di Pietro e il suo amico Eleuterio Rea avrebbero frequentato ippodromi e bische
(pag. 150-151)
- Di Pietro si adoperava personalmente “a recuperare ogni sera il suo amico
Eleuterio Rea dalla perdizione delle scommesse” pag. 323.
Le frasi riportate devono considerarsi lesive dell’onore e della reputazione dell’attore
in quanto alludono a irregolarità che Di Pietro avrebbe posto in essere in un concorso
pubblico al fine di favorire un amico e alla frequentazione da parte di un magistrato
della Repubblica di bische e locali per scommesse: tali affermazioni sono rimaste prive
di riscontri. I convenuti sui quali gravava il relativo onere della prova non hanno fornito
alcun elemento a sostegno della verità di quanto riportato nel libro.
Al contrario la falsità di alcuni dei fatti contestati (aver favorito Eleuterio Rea nella
nomina a Comandate dei Vigili Urbani del Comune di Milano) emerge dalla lettura
della sentenza di proscioglimento di Di Pietro perché il fatto non sussiste n.189/96
emessa dal GUP di Brescia (doc. 95 di parte attrice), sentenza confermata in appello
con la sentenza n.829/97 (allegato 96 di parte attrice).
La pubblicazione di notizie contrarie rispetto alle risultanze di sentenze passate in
giudicato emesse prima della pubblicazione del libro, fa ritenere non conformi a vero i
fatti riportati e dunque integrato il reato della diffamazione a mezzo stampa, non
potendo essere invocata la scriminante del corretto esercizio del diritto, stante la
falsità del fatto posto a fondamento della critica.
3.9 La laurea di Di Pietro ed il concorso in Magistratura
Le frasi del testo nelle quali l’autore riporta illazioni in merito presunte irregolarità
verificatesi nello svolgimento del concorso per l’accesso in magistratura del Di Pietro,
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nelle quali si riproducono dichiarazioni dell’allora presidente della Commissione
esaminatrice dr. Carnevale e del segretario della commissione dr. Folocamo che
riferirono di esami non brillanti sostenuti dal candidato Di Pietro il quale “non avrebbe
meritato il voto minimo concesso”, seppure si limitano a riportare le dichiarazioni rese
dai membri della commissione esaminatrice per l’accesso in magistratura, devono
comunque ritenersi non conformi al corretto esercizio del diritto di cronaca-critica in
quanto l’autore, tenuto (come sopra detto cfr. punto 3.4.) ad un serio riscontro delle
affermazioni riportate, non ha segnalato la presenza di provvedimenti emessi
dell’autorità giudiziaria dopo la diffusione di tali dichiarazioni e prima della
pubblicazione del libro, dai quali poteva desumersi la non rispondenza a vero di queste
affermazioni (cfr. in particolare rinvio a giudizio per diffamazione a carico di Bettino
Craxi del 10.6.1997, cfr. 98 bis).
3.10 Il diploma di Cristiano e le sue proprietà
Nel libro a pag. 78 si riferisce che il figlio di Di Pietro Cristiano avrebbe conseguito il
diploma di scuola superiore in un esame “a porte chiuse” in Abruzzo “dove c’è Anita
Zinni” un’insegnate amica d’infanzia del giudice Tonino, nonché dell’acquisto da parte
di Cristiano Di Pietro di una casa in Vasto.
Le circostanze rappresentate non possono considerarsi lesive dell’onore dell’attore in
quanto riferite ad altri soggetti il figlio Cristiano e la prof.ssa Zinni.
3.11 Le donazioni Borletti e De Leonardis
A pagina 257-258 del libro, l’autore riferisce le vicende collegate ad alcune donazioni
assertitamente ricevute da Antonio Di Pietro.
In particolare, riferendosi ad “una donazione modale di alcuni miliardi delle vecchie lire
ricevuti dalla contessa Maria Virginia Borletti detta Malvina e con la quale donazione
modale aveva inteso finanziare l’attività politica congiunta del giudice Tonino con
Romani Prodi. Per chi non la ricorda la Malvina aveva donato 3,5 miliardi cadauno allo
scopo di sostenere il leader Prodi”, l’autore ha evidenziato che mentre Prodi avrebbe
destinato tale importo all’attività politica, Di Pietro l’avrebbe trattenuto per sé.
L’attore ha evidenziato come la donazione non fosse modale, e come egli non avesse
alcun onere o modo da rispettare, non essendo tenuto a destinare l’importo ricevuto,
pari a lire 300 milioni all’attività politica.
Le affermazioni contenute nel testo, delle quali i convenuti non hanno dimostrato la
rispondenza al vero devono ritenersi denigratorie in quanto lasciano intendere che
l’attore avrebbe trattenuto per sé denaro destinato al partito (“nelle casse dell’IDV non
entrò una lira e tenne tutto per sé”) contravvenendo a quanto previsto nell’atto di
donazione senza che sia stata dimostrata l’esistenza di una condizione modale nella
donazione non rispettata.
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Non possono invece ritenersi denigratorie le parti del testo riferite alla diposizione
testamentaria proveniente da Remigio Leonardis in quanto, nel libro, non si afferma
che tale disposizione testamentaria venne eseguita ovvero quali ne fossero i
contenuti, mentre si rende edotto il lettore che il Leonardis era persona “stravagante”.
3.12 Il contributo di 50 milioni di lire e la gestione finanziaria di IDV
Le affermazioni contenute nel libro (pagine da 307 a 309 ) relative alla presunta
appropriazione indebita compiuta dal Di Pietro a danno del Di Domenico con
riferimento all’incasso di un assegno di 50 milioni di lire, risultano gravemente
offensive dell’onore dell’attore e contrarie al vero. Il Di Domenico, infatti, afferma di
aver consegnato a Di Pietro l’assegno, asseritamente proveniente dal Vaticano , e che
l’attore l’avrebbe incassato realizzando “un furto..un imbroglio bello e buono …un
furto con destrezza”.
I medesimi fatti erano stati oggetto di denuncia presentata dallo stesso Di Domenico
nei confronti dell’odierno attore, denuncia archiviata con conseguente opposizione del
Di Domenico all’archiviazione. Dalla lettura del provvedimento di rigetto
dell’opposizione all’archiviazione emessa dal GIP del Tribunale di Roma in data 14
marzo 2008 (doc. 103 di parte attrice) si evince - punto 12 della motivazione - che
l’assegno venne regolarmente incassato dal Di Pietro, sottoscrivendo una dichiarazione
nella quale affermava che tale somma gli era pervenuta quale contributo per la
compagna elettorale per le elezioni politiche del 2001, apponendo sulla sottoscrizione
un’ autocertificazione come richiesto dall’art. 4 della l.n. 659/1981. Non avendo il Di
Domenico contestato l’utilizzo di questi fondi nella campagna elettorale, l’operazione è
risultata perfettamente conforme alle disposizioni normative vigenti.
I fatti riportati nel libro, con ricostruzione degli eventi totalmente contraria rispetto a
quanto accertato in provvedimenti giudiziari noti al Di Domenico, parte dei
procedimenti penali, in quanto denunciante, rendono diffamatorio il contenuto del
testo in contestazione, avendo l’autore sostenuto che l’attore avrebbe commesso
reati, contrariamente al vero, affermazione particolarmente grave a fronte
dell’archiviazione della denuncia proposta per i medesimi fatti dallo stesso autore del
libro.
Quanto riportato nel libro è pertanto difforme dal vero. Parimenti non risulta
rispettato il parametro della continenza poiché l’uso degli epiteti riprodotti esula dalla
legittima critica degli altrui comportamenti.
Deve pertanto ritenersi accertato il contenuto diffamatorio delle frasi contestate.
3.13 L'asta pubblica SCIP a Bergamo
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Nelle pagine 311-324 del testo e 377-378 l’autore ricostruisce le vicende relative
all’acquisto da parte di Antonio Di Pietro di un immobile sito in Bergamo, nell’ambito
di un’asta pubblica realizzata nelle procedure di dismissione dei beni di proprietà
dell’INAIL. Il Di Domenico ha affermato l’illegittimità della procedura posta in essere
dal Di Pietro, laddove l’odierno attore avrebbe nominato Claudio Belotti come
contraente “coccio di legno”, e ha definito tale accordo come patto sceleris , e accordo
“mafioso”.
Le frasi utilizzate dal Di Domenico sono da considerare lesive della reputazione e del
decoro dell’attore (“Sveglia popolo: la fiera degli immobili c’è e si chiama metodo Di
Pietro. Il metodo del Ministro Tonino che ha comprato un immobile dello Stato al
centro di Bergamo tramite un “ciocco di legno”. L’ha pagato meno della metà del suo
valore commerciale, in un unico atto, e lo può rivendere al doppio….Gli invalidi del
lavoro ai quali ha scippato, consentite il gioco di parole, la casa dal loro patrimonio
previdenziale …”. )
Le contestazioni mosse nel testo contestato all’attore sono prive di riscontri. Lo stesso
Di Domenico parla dell’acquisto per persona da nominare, modalità di acquisto lecita
e disciplinata dalle norme del codice civile, come di un patto sceleris ovvero mafioso,
ledendo gravemente il decoro e la reputazione dell’attore, il quale si è limitato ad
avvalersi di una modalità consentita. Quanto alle modalità di vendita del patrimonio
pubblico avendo il Di Pietro partecipato ad un’asta pubblica, affermare che abbia
“scippato” un immobile, offende la sua reputazione non avendo il Di Domenico, e gli
altri convenuti, sui quale gravava il relativo onere probatorio, dimostrato la violazione
delle regole fissate per l’asta nel bando pubblico.
3.14 I rapporti con Giovanni Bianchini
L’attore lamenta il contenuto diffamatorio di quanto riportato nelle pagine da 326 a
332 e da 355 a 362, nelle quali il Di Domenico descrive vicende relative ad un viaggio,
nell’autunno del 2000, negli Stati Uniti di Di Pietro e dello stesso Di Domenico, durante
il quale sarebbe stato consegnato a Di Domenico da Giovanni Bianchini un assegno di $
50.000 con scadenza 13 maggio 2001 per “elezioni politiche 2001”. L’autore allega di
aver ricevuto l’assegno e di non averlo posto all’incasso mentre l’odierno attore
sarebbe stato favorevole all’incasso, e avrebbe successivamente “giustificato” la
dazione dell’assegno riferendosi alla necessità di far fronte ad una fideiussione, mentre
il Bianchini secondo Di Domenico non sarebbe stato tra i fideiussori.
In merito ai contenuti contestati, deve rilevarsi come i fatti riportati si riferiscano a
vicende politiche che hanno visto contrapposi Di Domenico e Di Pietro, in merito alla
opportunità di ricevere finanziamenti da cittadini degli Stati Uniti. I contenuti delle frasi
oggetto della domanda risarcitoria devono ritenersi conformi ai parametri
dell’esercizio del diritto di critica politica, non avendo il Di Domenico contestato a Di
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Pietro alcuna attività illecita ma una diversa valutazione politica sulle modalità di
finanziamento del partito.
3.15 L'immobilizzazione di 1 milione di euro
Nelle pagine da 394 a 396 del libro di causa, Di Domenico allega la “scomparsa” dai
bilanci dell’IDV di € 1.100.000 presenti nel bilancio 2003 sotto il capitolo “Stato
patrimoniale attivo” sottovoce “Immobilizzazioni finanziarie”. Nel libro di legge
“Ebbene, nel bilancio dell’anno successivo 2004, sotto lo stesso
capitolo…..l’investimento speculativo di € 1.100.000 di “titoli a reddito fisso” si è
inspiegabilmente inabissato nei meandri oscuri del sottosuolo legale lasciando un
residuo di disinvestimento di € 52.251. …E’ allora il caso di tenere sotto controllo questo
fenomeno in attesa che come un fiume carsico il “valore” di € 1.100.000 ricompaia da
qualche altra parte.” ; l’autore afferma che questo “ fiume carsico” sarebbe riapparso
nei bilanci della società AN. TO . CRI. s.r.l. nella forma di finanziamento del socio unico
“il giudice Tonino”.
Quanto affermato nel libro è contrario alle risultanze emerse in alcuni procedimenti
penali instaurati a seguito di denuncie dello stesso Di Domenico e conclusisi con
l’archiviazione (decreto n. 7739/2009 allegato 105 di parte attrice; decreto n.81/07
allegato 103 di parte attrice) ). Nei decreti, si evidenzia la mancanza di riscontri alle
allegazioni del querelante e l’accertamento che i finanziamenti effettuati da Di Pietro
quale socio della An.To.cri. s.r.l. risultavano pienamente giustificati.
Anche con riferimento alle parti del libro contestate deve ritenersi che i convenuti
abbiano posto in essere condotte diffamatorie, avendo pubblicato allusioni offensive
del decoro e della reputazione di Antonio Di Pietro essendo a conoscenza delle
risultanze emerse nei procedimenti penali all’esito dei quali erano state archiviate le
denuncie del Di Domenico nelle quali le presunte condotte illecite erano state
contestate.
La difformità di quanto riportato nel libro rispetto alla verità dei fatti, e l’utilizzo di
termini offensivi, fanno ritenere integrata la condotta della diffamazione a mezzo
stampa.
4. Domanda di risarcimento del danno nei confronti dei convenuti Di Domenico
Edizioni Si s.r.l., Angelica Giuseppe e Florio Aurora
Il mancato rispetto dei principi della verità del fatto e della continenza fa ritenere che i
contenuti del libro con riferimento ai punti indicati nel paragrafo precedente siano
diffamatori.
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Responsabili in solido delle condotte illecite descritte (con esclusione delle parti del
libro ritenute non offensive e di quanto riportato nel punto 3.4. della motivazione
dichiarazioni offensive imputabili al solo convenuto Deiana) sono Di Domenico Mario,
autore del libro, la società Edizioni Si s.r.l. quale editore del testo nonché Angelica
Giuseppe e Florio Aurora nella qualità di legali rappresentanti pro tempore della
società editrice al momento della pubblicazione e distribuzione del testo.
Per quanto esposto i convenuti indicati devono essere condannati a risarcire in solido il
danno subito dall’attore a causa dei contenuti diffamatori del libro.
Quanto al danno causalmente correlabile allo scritto diffamatorio, i principi affermati
dalla sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione 11 novembre 2008, n.26972, che
ha ricondotto sotto la categoria dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non
aventi contenuto economico, in base al combinato disposto degli artt.2043 e 2059 c.c.,
riconoscendo il diritto al risarcimento qualora il fatto illecito abbia violato in modo
grave diritti inviolabili della persona, in quanto tali oggetto di tutela costituzionale. Il
danno non patrimoniale deve essere sempre allegato e provato da chi ne pretende il
risarcimento e la prova può essere data con ogni mezzo. Al riguardo va chiarito che
attenendo il pregiudizio non patrimoniale alla sfera immateriale, “il ricorso alla prova
presuntiva potrebbe essere destinato ad assumere particolare rilievo ed anche
costituire l’unica fonte su cui basare il convincimento del giudice, a condizione tuttavia
che il danneggiato alleghi tutti gli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a
fornire la serie concatenata dei fatti noti che secondo il principio di regolarità causale,
consentano di dedurre le conseguenze derivatene” (cfr. Cass. n.26972/2008 citata e da
ultimo Cass. 11059/2009).
Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale dei principi in tema di onere della
prova, nel caso concreto parte attrice ha allegato una serie di voci di danno non
patrimoniale, qualificate come danno materiale e morale subito per la perdita di
immagine, di reputazione di credibilità a livello nazionale per l’attore ex magistrato e
uomo politico
Premesso che, come affermato dalle più recenti pronunce della Corte Suprema a
decorrere dalla sent. n.26972/2008 pronunciata dalle Sezioni Unite, il danno non
patrimoniale, determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati
da rilevanza economica, costituisce una categoria unitaria, non suscettibile di divisione
in sottocategorie, laddove il riferimento ai vari aspetti del pregiudizio diversamente
qualificati (danno morale, danno biologico, danno esistenziale, da perdita del rapporto
parentale, etc.) risponde ad esigenze meramente descrittive delle possibili
configurazioni che il pregiudizio può assumere senza minarne l’essenza
ontologicamente unitaria, costituisce compito del giudice accertare l’effettiva
consistenza del pregiudizio dedotto sul piano non patrimoniale individuando, sulla
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base delle allegazioni svolte, quali ripercussioni negative si siano in concreto verificate
sulla persona che assume la lesione, a prescindere dal nome loro attribuito. Su questo
assunto si fonda l’affermazione resa dalla citata sentenza a Sezioni Unite secondo cui il
danno non patrimoniale, sia che consegua a fattispecie di reato, sia che sia
determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce “danno-
conseguenza” che come tale deve essere allegato e provato. Non basta, precisa la
Corte, invocare il danno morale tout-court, dovendosi consentire all’interprete di
valutare se si tratti di un mero turbamento dell’animo secondo l’accezione originaria
elaborata a suo tempo dalla giurisprudenza, ovvero contempli ulteriori degenerazioni
patologiche della sofferenza che vadano ad incidere su altri aspetti esistenziali
sussumibili in un’ampia gamma di possibili ripercussioni, che vanno dall’alterazione
della vita di relazione, alla compromissione della dimensione esistenziale, dalla perdita
di qualità della vita alla privazione di chances.
Affermazione questa che consente di rilevare come nella fattispecie le allegazioni
indicate nell’atto di citazione (danno materiale con perdita di immagine, di reputazione
di credibilità), non essendo accompagnate da specifici elementi di valutazione che
consentano di valutare le ripercussioni nell’ambiente di lavoro e nelle relazioni sociali,
permettono di valutare le lesioni effettivamente subite secondo l’id quod plerumque
accidit.
Per quanto esposto deve essere ritenuto che le circostanze di fatto allegate dalla parte
attrice, siano argomenti di prova sufficienti a far presumere che il comportamento,
giudicato illecito, sia stato lesivo del diritto fondamentale dell’attore alla reputazione,
e abbia cagionato un danno non patrimoniale.
In merito alla quantificazione e alla conseguente liquidazione del danno sofferto, da
intendersi esclusivamente come danno non patrimoniale, per la sussistenza nei fatti
accertati degli elementi costitutivi del reato di diffamazione mediante attribuzione di
un fatto determinato commesso a mezzo stampa, vanno fatte le seguenti precisazioni.
Occorre, in primo luogo, tenere conto della presumibile limitata diffusione del libro in
considerazione del suo oggetto (sul punto non risultano provate le allegazioni del
convenuto Di Domenico per il quale il libro non sarebbe stato distribuito) , e della
presenza nel testo di contenuti diffamatori che seppure particolarmente gravi sono
limitati ad alcune porzioni dell’ampio testo (dettagliatamente indicate al punto 3 della
motivazione) composto da 414 pagine.
Tenuto conto della gravità del fatto, dell’elemento soggettivo avendo i convenuti
proceduto alla pubblicazione del testo malgrado le puntuali diffide inviate dall’attore,
e quanto al Di Domenico malgrado la conoscenza degli esiti di procedimenti penali che
escludevano che alcuni dei fatti riportati si fossero verificati secondo quanto poi
indicato nel libro, della diffusione del testo, si stima equo liquidare il danno non
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patrimoniale in misura pari ad E. 50.000,00 alla data attuale; su tale importo decorrono
interessi nella misura legale dalla decisione al saldo.
Ai sensi dell’articolo 12 della legge 47 del 1948 il convenuto Di Domenico Mario deve
essere condannato a versare all’attore una somma da determinarsi in euro 10.000,00,
in considerazione della particolare gravità dell’offesa. Si tratta di una sanzione civile
accessoria e pecuniaria che può essere irrogata, una volta accertata in via incidentale
la ricorrenza del reato di diffamazione, a carico dell’autore materiale dell’illecito e che
non può estendersi, considerata la sua natura personale, né all’editore né al direttore
responsabile; la natura personale della sanzione esclude anche il vincolo di solidarietà
tipico dell’illecito civile.
5. Domanda di risarcimento del danno nei confronti del convenuto Deiana Pio Maria
Richiamando quanto riportato al punto 4 in merito ai presupposti per il risarcimento
del danno subito dall’attore con riferimento alla posizione del Deiana, deve rilevarsi
come lo stesso deve essere condannato a risarcire il danno subito dal Di Pietro
limitatamente alle frasi contenute nella intervista rilasciata al Di Domenico (cfr. punto
3.4 della motivazione), non potendosi ravvisare alcuna efficacia causale nella condotta
posta in essere dal Deiana con riferimento alle altri parti del testo contenenti frasi
offensive e denigratorie. Tale danno in considerazione della limitatezza delle frasi
contestate rispetto all’intero contenuto dell’opera deve essere quantificato in € 8.000
alla data attuale; su tale importo decorrono interessi nella misura legale dalla
decisione al saldo.
6.Ulteriori domande
Quanto alla pubblicazione della sentenza, l’art. 9 della n.47/48 dispone l’obbligo per il
giudice di ordinare in ogni caso la pubblicazione della sentenza qualora sia pronunciata
condanna penale per il reato di diffamazione (cfr. sent. Cass. civ. 20 dicembre 2001
n.16078). Nel presente procedimento, tale disposizione non può essere applicata
dovendosi applicare l’art. 120 c.p.c. che attribuisce al giudice un potere discrezionale di
ordinare la pubblicazione della sentenza quando ciò possa contribuire a riparare il
danno. Nel caso di specie deve essere accolta la domanda di condanna alla
pubblicazione del dispositivo della sentenza a spese dei convenuti, Di Domenico
Edizioni Si s.r.l., Angelica Giuseppe e Florio Aurora, in solido nel quindicinale “SI”, in
uno spazio pari a metà della pagina del giornale per tre numeri consecutivi, come
forma di risarcimento, considerando la diffusione con il medesimo quindicinale del
libro quale allegato della rivista. La pubblicazione della sentenza sul quindicinale “Si”,
deve ritenersi, insieme con la condanna al risarcimento del danno completamente
satisfattiva delle richieste dell’attore, non potendosi accogliere la domanda di
pubblicazione della sentenza in altri giornali.
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Quanto alla domanda di disporre il ritiro immediato del libro “Il colpo allo Stato” ed il
divieto di pubblicazione e di distribuzione, la stessa non deve essere accolta in quanto i
contenuti diffamatori sono relativi ad una porzione minima del testo complessivo, e la
misura della condanna al risarcimento del danno e della pubblicazione della sentenza
è sufficiente a risarcire l’attore della lesione del diritto all’onore ed alla reputazione.
La domanda di “disporre a spese dei convenuti la cancellazione da ogni sito internet dei
fatti pubblicati nel libro e ripresi da ogni organo di stampa e della rete” deve essere
dichiarata inammissibile in quanto affetta da nullità perché generica ed indeterminata
non avendo l’attore indicato elementi sufficienti ad identificare l’oggetto della
domanda sia quanto a petitum (“fatti pubblicati nel libro”) sia quanto a destinatari
dell’eventuale ordine di cancellazione, essendo la locuzione “ogni organo di stampa” e
“rete” eccessivamente generica.
6. Spese
In considerazioni delle ragioni della decisione i convenuti devono essere condannati in
solido a rifondere le spese legali, come quantificate in dispositivo, nei confronti
dell’attore, oltre ad essere condannati alla rifusione delle spese per la procedura di
mediazione.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
accoglie la domanda proposta dall’attore nei confronti di Di Domenico Mario, Angelica
Giuseppe, Florio Aurora, Edizioni Si s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, che per l’effetto condanna in solido al risarcimento dei danni non
patrimoniali in favore di Antonio Di Pietro, che si liquidano in euro 50.000,00 oltre
interessi al tasso legale dalla data della presente pronuncia fino a quella dell’effettivo
soddisfo;
condanna Di Domenico Mario al pagamento, ai sensi dell’art. 12 della legge n.
47/1948, della sanzione pecuniaria di euro 10.000,00 in favore di Antonio Di Pietro in
ragione della pubblicazione del libro;
accoglie la domanda proposta dall’attore nei confronti di Deiana Pio Maria, che per
l’effetto condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di Antonio Di
Pietro, che si liquidano in euro 8.000,00 oltre interessi al tasso legale dalla data della
presente pronuncia fino a quella dell’effettivo soddisfo;
dispone l’immediata pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, per tre
volte, la prima entro trenta giorni dalla pubblicazione della sentenza, sulla rivista “Si” a
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cura e spese dei convenuti, in solido, Di Domenico Mario, Angelica Giuseppe, Florio
Aurora, Edizioni Si s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;
rigetta la domanda di disporre il ritiro del libro;
condanna, i convenuti in solido alla rifusione delle spese di lite in favore di Antonio Di
Pietro, liquidate in complessivi euro 12.000,00, oltre accessori di legge, oltre alla loro
condanna in solido alla rifusione delle spese sostenute dall’attore per il procedimento
di mediazione.
Così deciso in Roma, in data 6 luglio 2015.
Il Giudice
Dr.ssa Monica Velletti
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