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LIBRO D·EI SETTE SAVI DI ROMA. It CONTI DI ANTICHI CAVALIERI a cura di VALERIO MARUCCI State UniversHy of New YorJ( Stony Brook LlBRARIES COLETTI

Sette Savi di Roma | Conti di Antichi Cavalieri

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I testi dei "Sette Savi di Roma" e dei "Conti di Antichi Cavalieri".

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LIBRO D·EI SETTE SAVIDI ROMA. It

CONTIDI ANTICHI CAVALIERI

a cura diVALERIO MARUCCI

State UniversHy of New YorJ(

Stony BrookLlBRARIES

COLETTI

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CULTURA &. CULTUREl a EDIZIONE: dicembre 1987

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Copertina di Altocontrasto

© N!J0V.A COLE=T=T=I:-:E=n=I=T::-:O:-R-E-R-O-M-A-s.-r-.I.-------'-VIa Clitunno 24/F00198 ROMA - TeI. (06) 867981

PREFAZIONE

Le due operette accostate in questo libro hanno molti buo-ni argomenti per presentarsi assieme a un pubblico contem-poraneo, senza che tuttavia le loro individuali specificità dicontenuto, diforma e di intendimenti rischino di essere con-fuse o sovrapposte o annullate dal loro materiale avvici-namento.

Ambedue risalgono a un 'età primigenia della nostra pro-sa letteraria di tipo narrativo, quella seconda metà del Due-cento così fertile di iniziative e intraprese, non solo letterarie,e ancor priva del plastico e geniale condizionamento che ilmagistero di Dante e poi di Boccaccio - ma anche l'egemo-nia magnatizia di Firenze - avrebbe di lì a poco imposto allinguaggio; ambedue rimandano a un contesto più o menogeograficamente determinato, che fa perno sulla rissosa To-scana comunale: uno spazio fisico-politico che da un lato siapre al predominio della grande borghesia mercantile, da unaltro conserva, specie nella sua periferia nord occidentale esud orientale, forme di organizzazione economica e politicad'età feudale, le quali non mancano di scontrarsi anche du-ramente con là prorompente espansione della «novità» co-munale.

Sul piano più strettamente letterario, tanto il Libro chei Conti si inseriscono netrambito di quel filone narrativo chemuove dal Fiore de' Filosafi, volgarizzamento e rielabora-zione di parte di una delle più celebri enciclopedie del saperemedievale, quella di Vincenzo di Beauvais (Speculum histo-

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riale), e culmina, allo scadere del secolo, nell'anonimo No-quando ormai le componenti più diverse del narrare

- gli i motti, i ricordi storici e mitologici, le infini-te replzche della materia arturiana, le suggestioni orientali _sono padroneggiate e organizzate da un'autonoma poeticadel che ini::-ia nel Proemio della raccolta fiorenti-na a mlsurare teoretlcamente la sua funzione artistica eticae politica. '

Con ruoli diversi, ed anche con diversa fortuna Librodei .Sette Savi.di Roma e Conti di antichi cavalieri tap-pe lmportantl nel cammino liberatorio e veloce della narra-zione che tumultuosamente si dipana nel corso di

plU .dl secolo; e di questo cammino registrano11 sVlluppo, ma anche le sincroniche contraddizionie l ltmltl: ancora sospesi fra la dipendenza meccanica alla oalle fonti e la più libera capacità di adattamento e di rein-ven.zione; nella configurazione dei propri sta-tUtl e dei propri registri linguistici, ancora

alla spinta dei parlati locali come all'ine-preSSlone delle lingue letterarie di maggiorprestigio:e francese; ancora, e proprio qui si manifesta meglio

11 loro d,verso grado.di .«m.?dernità», in mezzo all'arduo gua-do - .m.a uno assaz dl plU, e meno l'altro - fra la sicurae spo.nda tipologica e virtuosae quella plU nschlOsa e tnusttata di un narrare«contento disé», capace misu,:arsi con una realtà multiforme indivi-rfua.nrfone .le lmee forza, caratterizzazioni psicologichemdlvldualz, le speciflche raglOni dei desideri e delle passioninarrate.

Infine, un ultimo ma non trascurabile motivo di accosta-del Libro e dei Conti sarà il loro anonimato: testimo-

ne diff.uso, mc:ndo del predominio della materiasull tndifferente flgura del raccoglitore o del com-

pIlatore, dell'assoluto della cosa narrata sulla per-sona del nar(atore. Le stlgmate dell'origine umile efunzionaledella narratlva, la mancanza di degni modelli letterari nel

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mondo classico e in quello romanzo; l'utilizzazione serviledel racconto-esempio nella predica popolare, la comunanzadi origine con lafiaba, col racconto d'osteria o di crocicchio,sono ostacoli così grossi sulla via della degnificazione lette-raria del racconto in prosa da resistere fino a Boccaccio: ecosì il narrare antico non conosce quasi firma come non .co-nosce il concetto di plagio, proprio mentre i rimatori con-temporanei, siciliani o guittoniani o stfnovisti, curano conpervicace attenzione il loro patrimonio poetico, sigillandolocon nome o pseudonimo e difendendolo con occhiuta acri-monia da furti e appropriazioni indebite.

Eppure l'anonimato non sottende sempre un 'evanescen-te figura, come di puro copista o tramite o servile tradutto-re: i compilatori del materiale narrativo antico, anche primadi quello, geniale, del Novellino - se pure di uno solo si tratta-, hanno una loro personalità, sfumata dalle condizioni con-crete del loro operare ma spesso non ottusa; vogliono, in brevinote, dare un senso alloro lavoro, trovargli o confermargliun pubblico, assegnargli un compito; riflettono oggettivamen-te la loro collocazione di classe e la loro cultura, generale e!}pecifica, ma a volte riescono pure a reagire soggettivamen-te con la materia che trattano, a esprimere giudizi e pensieri,a traspàrire vivi e interi dalla loro opera, così apparentementeanodina e impersonale: ad essere autori, se pur senza nome.

* * *Per merito precipuo dell'imponente tradizione che ne sor-

regge lafragile impalcatura, il Libro dei Sette Savi diRamaè assai più avanti dei Conti sulla via dell'autonomia narrati-va. In esso la struttura compositiva addirittura si complicain un sistema a cornice, nel quale una novella principale con-tiene, in successione cronologica, le altre, opposte due a dueper significati e intenzioni. Questa articolazione narrativa nonè invenzione dei compilatori toscani e settentrionali che del

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Libro hanno diffuso varie versioni, e che anzi tutti ne irrigi-discono e in parte ne alterano la vivace ricchezza; ma è pro-pria delle illustri fonti dell'operetta, dall'India diramatesiprecocemente al mondo arabo e alla Spagna, e più tardi, peraltra via, sviluppatesi in Francia e in Italia sul modello delDolopathos di Giovanni di Altaselva (sec. XII).

Eccone la trama: un re, che nella versione occidentale dellibro è addirittura un imperatore romano, ha un figlio cheaffida aWeducazione di sette saggi, fuori città. Mentre que-sti cresce sapientissimo, il padre resta vedovo e si risposa.La giovane moglie, sentendo lodare le virtù delfigliastro lon-tano, se ne innamora «per fama», rovesciando al femminileun canone cortese piuttosto diffuso nel romanzo arturianoe soprattutto nella lirica trobadorica. Ma il suo è un amoredel tutto carnale, che la spingeprima a chiedere con insistenzaal marito il ritorno a corte deljiglio, ormai dottissimo; poi,vistasi respinta, a cercare la rovina del mancato amante in-cestuoso con una falsa accusa di tentata violenza.

Il giovane però tornava a corte con la difesa dei suoi set-te maestri e della sua perfetta dottrina, che gli aveva fattoleggere nelle congiunzioni astrali il grande pericolo che glisi preparava. Di fronte aWaccusa, tace, perché sa che nonsarà creduto o saràfrainteso; e il compito di scansarne la pe-na, dissuadendo l'imperatore, spetterà, l'uno dopo l'altro,ai sette sapienti, fin quando il termine del cattivo influssoastrologico non permetterà a lui stesso di perorare; novel-lando, la sua causa. Naturalmente, la moglie infedele - al-meno neWintenzione - non sta a guardare: se i sapientiillustrano la loro difesa con novelle esemplari di donne fal-se, fedifraghe e adultere, ella avanza a sostegno della pro-pria accusa novelle di figli traditori e ingrati, disobbediential padre e pronti a far di tutto per assumerne il potere e laricchezza; e di sapienti che u.sano la propria scienza per in-gannare., arricchire ed esaltare, a danno dei meno dotti, laloro egemania sul sapere.

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. Alla fine, il ritorno del figlio paro!a il pa-dre e scioglie il meccanismo narrativo con l ellmmazwne VIO-lenta dell'antagonista - la moglie finisce arsa viva - e iltrionfo del giovane principe.

* * *Si racconta, dunque, per procrastinare una condan,na :-

come nelleMille e una notte e in molte analoghe compllazw-ni narrative orientali - o per accelerarla, e in questo fragileequilibrio si risolve e si giustifica la struttura dell'0p,eretta,entro cui oscilla, vero motore a pendolo della narraZIOne, ladebole volontà dell'imperatore, tanto desideroso di ascolta-re storie esemplari quanto immediatamentepronto a farseneconvincere, così da obbligare i contendenti a ricominciaresempre la loro attività persuasoria.

La novella-cornice, garante della coerenza edella com-pattezza del narrare, èanche quella che meglio ripete e rive-la le sue origini orientali: non solo racconto per ottenere unrisultato, ma precisamente racconto didascalico-moralistico,in cui i Sette Savi del titolo agiscono come un filtro dialetti-co al groviglio di passioni e risentimenti che si scatena neltriangolo tragico padre-figlio-matrigna, indirizzandone la so-luzione verso il trionfo del buono e del giusto. In altra ver-sione del libro e, si badi, più antica, il titolo è però dedicatoad esaltare il cammino di salvezza del figlio, dolopathos -«colui che patisce l'inganno», secondo le approssimative co-noscenze di greco del monaco di Altaselva - come infondoil padre, ingannato dalla menzogna della spietata matrigna.Il cambio di titolo è forse l'esterna spia di un più profondopassaggio del senso generale del racconto, da «romanzo»-biografia esemplare di un giovane che, in certo modo, subi-sce una prova di iniziazione alla vita adulta, a libro che esal-ta la funzione didattica epersuasiva dei sapienti: da esemplareitinerario di crescita a dimostrazione della potenzialità sua-soria del raccontare, da oriente a occidente.

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Forse anche da ciò, oltre che dalle ridotte capacità narra-tive dei compilatori, deriva l'angustia psicologica dei prota-gonisti, spesso appiattiti sulla loro tipologiafino a sembrarea molti lettori moderni semplici «marionette». Questo è sen-z'altro vero per l'imperatore, che assume su di sé i tipi delmarito vecchio e condiscendente, del padre deluso e geloso,del sovrano sospettoso, ma non riesce mai a costruirsi unaqualsiasi credibilità narrativa che non sia confinata al ruologià indicato di motore necessario della macchina romanze-sca; lo è di meno per la giovane moglie e per il principe sa-piente, la prima affissa al topico, illustre asse tragico di Fedra,che aveva già conosciuto vivaci anche se riduttivi sviluppi inambiente medievale, tanto nei modelli «alti» - i romanzi cor-tesi -, quanto nella abbondantissima produzione umile e co-mica dei fabliaux; il secondo, che riproduce il nobile toposdel giovane-vecchio, giovane d'anni ma saggio e riflessivo co-me un anziano, non senza rivelare specifiche suggestioniorientali quando la sua avventura si configura più precisa-mente come ricerca e conquista della sapienza. E stato dettoa buona ragione che la configurazione narrativa del perso-naggio del giovane principe tende a presentarcelo in terminiagiografici (RICCI BATTAGLIA): e questo è vero nella misurain cui molte vite di santi, specie quelle di provenienza orien-tale, sono cpstruite proprio sul sublime ossimoro del giovane-vecchio. Valga per tutte la quasi obbligatoria menzione diIosafat nella Leggenda dei santi Barlaam e Iosafat, diffusis-sima in tutta Europa nei secoli XII e XIII fin alla sua solen-ne fissazione canonica nella Legenda Aurea di Iacopo daVaragine: e si ricordi che Iosafat altri non è che Buddha, lacui biografia esemplarissima si trasfigura cristianizzandosi neifervidi crocicchi culturali del Medio Oriente medievale.

'" * *Ma non è soltanto la ricchissima tipologia psicologica e

la lunga tradizione figurale che si accumula alle loro spalle

lO

a rendere più credibili, complessivamente più sodi i due per-sonaggi della moglie e del figlio detrimperatore, pur nellagenerale semplicità di mezzi narrativi presenti nel Libro.Per recuperare la loro accennata individualità, il lettore mo-derno dovrà, per quanto è possibile, cercare di porsi netra-spettativa verso il narrato di un lettore medievale, cheambisce, in linea con i suoi autori, a una semplificazionetipologica detruniverso mondo che nepermetta il riconosci-mento, la formazione di una gerarchia, la fissazione dida-scalica e in questo il senso ultimo di utilità, di necessitàdella scrittura.

In un mondo in cui la storia è mutevole apparenza chenasconde un ben fermo disegno provvidenziale, in cui larealtà individuale è ombra, figura e prova della realtà eter-na, è necessario che, come l'altissimo messaggio dei LibriSacri viene indagato con le sottili armi detrermeneutica perfornire le medesime e pur sempre nuove risposte, così l'in-cessante esperienza della vita e l'inesauribile tesoro dellacultura letteraria classica vengano ordinate in paradigmi;che «.. .si possano fissare nei loro tratti fondamentali e piùcostanti: soprattutto i moventi, che nel variare dei fatti edelle esperienze conservano una loro tipicità, che non è dif-ficile classificare in un quadro» (BATTAGLIA).

A questa stessa volontà di lettura paradigmatica del pas-sato e del presente deve l'apportarsi il particolare stile lette-rario di tutta la narrativa preboccacciana; stile che, anchenel Libro, si presenta sempre veloce, essenziale, paratattico,teso a stringere i nuclei del racconto atrosso, per sboccarerapidamente atresito moralistico che lo scrittore via via sipropone.

Lungi dunque dal chiedere all'opera una rotondità e unaprofondità psicologica dei personaggi che l'autore non po-teva né voleva rappresentare, dovremo saperci contentaredei brevi lampi in cui una mossa, una parola riescono a

Il

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scaturire con immediata naturalezza, con freschezza rappre·sentativa dal cliehé del tipo.

* * *Se ora passiamo a confrontare lo sviluppo narrativo e il

relativo impegno formale della cornice, più sensibile alle sueantiche origini romanzesche e più diffusa nelle descrizioni co-me nelle motivazioni psicologiche dei personaggi, con il tes-suto delle quattordici novelle che ne dilatano e ne sorreggonol'ordito, registriamo in queste, assieme alla - ovvia - mag-giore varietà delle fonti, anche la disparità del complessivotrattamento narrativo.

Le novelle Il e X vivono ancora in un scarno clima daexemplum, deprivato non solo d'ogni tratto di colore, ma,nella seconda, perfino di parti del disegnato, necessarie a col-locare credibilmente nella scansione esemplare a cui il librolo destina il pur curioso aneddoto del saggio che si finge an-?elo intimorire i .nemici della sua città. È solo una rapidamduZlOne, una sottIle analogia, che permette allora atrim-peratore di riconoscere nel racconto della moglie un 'implici-ta accusa atrabile finzione a suo danno dei sapienti-magi.. La. novella IVmescola vaghe suggestioni dalle favole d'a-

mmal! e romanze a spunti di bestiario - il cinghia-le ghlOtto dI pere e di carezze; la novella VIII esauriscebruscamente il motivo del figlio che taglia' la testa al padrepur cosi fertile di sviluppi nella narrativa tre esca. La novellaXI traveste di spintamisoginia la storia della1V!atl'Ona di Ef.eso,. già narrata da Petronio nel Satyrieon enpresentata, dI qUl apoco, dal Novellino: non più esaltazio-ne. della impeccante del sesso, ma impietosa e re-pltcata della foia femminile, disposta ai peggiorio?brobrz. sul del marito, morto per amor suo, purdI avere Immedzata soddisfazione. Analogo tono duramenteantifemminile hanno le novelle Ve V11, che è la celebre sto-

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ria del finto suicidio nel pozzo su cui Boccaccio costruirà lacrudele beffa a Pietro da Vinciolo (Dee. VII4); ma il compi-latore non riesce del tutto a imporre una rigida veste morali-stica alla sua novella IX, che pure vorrebbe costituirsi comeulteriore esempio di critica antifemminile. In realtà, la sto-ria della giovane moglie tenuta in clausura da un vecchio egeloso marito e liberata da un giovane ricco e astuto, che car-pisce lafiducia detranziano giudice mentre gli toglie lafidu-cia in se stesso, finendo col renderlo complice della fuga dellamoglie e della sua punizione, non è soltanto una traccia piùpertinente alla critica dei gelosi sciocchi che alla invettiva con-tro le donne - non a caso se ne ricorderà Boccaccio nel nar-rare l'avventura di Paganino del Mare - ma è anche unanovella costruita con qualche sapiente artificio - accumu-lo, climax - e perfettamente godibile nella beffa paziente-mente organizzata.

Con questa novella entriamo netrOlimpo narrativo delLibro, e accanto a lei porremQ almeno le novelle 111, XII eXIV. La prima vede il protagonista, Ippocrate, educare conamore un geniale nipote e quindi ingelosirsi dei suoi straor-dinari successi medicifino ad assassinarlo; salvo poi doversiricredere e pentire, di fronte alla malattia che lo ucciderà ea cui solo il nipote avrebbe potuto porre rimedio. Ippocratee il nipote, come poi i protagonisti della novella XIV sono«figure» dell'imperatore e del figlio, legati e divisi intri-cati nodi sentimentali, da passioni inconfessabili: il figli siappresta a superare il padre, e questi ne medita la morte' ilfiglio ripete i passi esistenziali e/o professionali del padre,e ne suscita assieme l'orgoglio e la gelosia; solo la pienezzadella maturità del figlio salverebbe, se non la vita, almenola coscienza del padre, ma è troppo tardi per accorgersene.

Percorso analogo, con ribaltamento finale ed exitus felixdell'intreccio, ha invece la novella XIV: qui il tentativo diomicidio paterno va a vuoto, le peripezie romanzesche delfiglio lo portano al trono e le vicende della sorte, rappresen-tate dalla carestia, rifaranno incontrare il figlio in trono e

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ilpadre ridotto atrelemosina in una clamorosa, catartica agni-zione. Nel mondo più appropriato, questa è narrata dal fi-glio dell'imperatore al padre, ed è l'unica che abbia valorerisolutivo: la sapienza acquisita dai figli li destina alla gloriae li guida nel condurre alla felicità i sudditi del vecchio pa-dre, nel preparare un meritato riposo alle sue fatiche; tuttociò, a patto che la problematica ricerca di una propria iden-tità da parte dei giovani non sia ostacolata, non susciti neipadri invidie, gelosie, pulsioni alla soppressione violenta diquetraltro se stesso, così tanto più giovane e promettente,che si vedono davanti.

Nella massima articolazione narrativa possibile a questoautore, che non disdegna nella novella III il tentativo di co-struire un racconto nel racconto e nell'ultima di riassumerebrevemente l'epica favolosa del figlio predestinato, materiada romanzo più che da novella, si celebra il trionfo finaledel giovane principe; e qui il libro non dimentica i suoi mae-stri, i saggi, maghi, intellettuali, filosofi che hanno operatocon la parola per insegnare e per salvare il giusto ingiusta-mente accusato:

...ed agli filosofi che lo ammai-stronno e camponno da morte do-nolli molto grande tesoro e fece-gli grandissimi signori.

Quei filosofi, che un altro sovrano citato dal Libro feceardere e che lo stesso imperatore era statoa spesso tentatodi eliminare, meritano attraverso l'esercizio della parola ognigloria, completano la loro ascesa sociale e ottengono il mas-simo, pubblico riconoscimento.

Essi hanno narrato difendendo in giudizio, hanno dimo-strato per exempla, come gli antichi e i nuovi oratoriprofes-sionali. Anche sul versante umile della narrativa, il maturoDuecento sa, dopo Brunetto Latini, esaltare i maestri di re-torica e la retorica tout court: mezzo per appropriarsi del-l'antica cultura e per produrre di nuova, per persuadere e

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dissuadere, per volgere a proprio vantaggio gli eventi diversidella realtà quotidiana, individuale e collettiva, anche nar-rando novellette.

* * *Il clima che si respira nei Conti d'antichi cavalieri è assai

diverso da quello che può gustarsi nelle parti più riuscite, al-meno, del Libro: più elevato e rarefatto, sa di voce che vieneda lontano, nel tempo e nello spazio, e distilla un messaggionetto quanto monocorde, ripetuto quanto limitato, con unaangustia ideologica che è probabile spia di una condizionelatamente provinciale, forse già marginale del suo autore, pic-colo intellettuale innamorato detrantico e del nobile, appa-rentemente sordo ai nuovi fermenti.

Ai limiti inferiori della narrativa, i Conti hanno nei con-fronti della loro materia un atteggiamento permolti versi si-mile a quello delle più semplici cronache, tessute di aneddotiesemplari e di elenchi difatti eccellenti. La materia però nonè qui la perpetua rissa extra e infracittadina in cui si risolvetanta parte della vita comunale, ma la biografia e le gestaesemplari di personaggi storici e leggendari, della classicitàe del mondo feudale, da Ettore a Galeotto, da AlessandroMagno al Saladino al Re Giovane.

Questo tranquillo sincretismo di antico e moderno - perquello fra letteratura e realtà basterà ricordare che non sem-pre gli antichi autori sono in grado di tirare una linea certafra invenzione e storicità, e spesso ciò neppure interessa -è l'elemento a prima vista più notevole dei Conti, per quan-to non sia il solo né si limiti o si caratterizzi in modo specifi-co in quest'opera. Esso èpiuttosto il segnale di un avvenutotravaso, o meglio di un doppio scambio, che sempre circo-scrive i tanti momenti classicheggianti della produzione let-teraria antica: da un lato, si compie un generosissimorecupero delle reliquie della classicità pagana che, opportu-

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namente depurata, corrobora e detta norme eforme alla nuo-va letteratura volgare; dall'altro, questa assimilazione riccaeprofonda si tinge di monocromo, si veste delle idee, dei co-stumi e degli atteggiamenti del mondo romanzo e consolidacol suo antico prestigio gli ideali maturati in esso, di ·essopropri. --

È questa una tendenza assimilatrice ben nota anche nelcampo delle arti figurative, che oltrepassa di molto i limititemporali che siamo solitiporre alMedio Evo: bastipensarea quante pitture di soggetto antico il Settecento travesta infigura di cavalieri e raffinate pastorelle. Ed è, si badi, un se-gno certo di astoricità, intesa in senso moderno, ma ancheuna misura della profondità e dell'ampiezza con cui l'antico- o il suo sogno, o il suo mito - pervade l'epoca che divolta in volta lo accoglie.

I Conti non fanno, népotrebbero fare, eccezione a que-sta regola, ma semplicemente vi si conformano. Se i valoriche si vogliono esaltare, le «vertÙ e 'l modo e... intenzione»per cui «omo dea operare e parlare» sono la cortesia, il co-raggio disinteressato e la generosità, paradigmi entro i qualisi misurano i campioni ideali d'umanità scelti dal nostro com-pilatore, è naturale che Ettore e re Tebaldo, Cesare e Galeottosiano più vicini fra loro di quanto non lo siano a tutti i lorocontemporanei, veri o presunti, incapaci di conformarsi allasublime tipologia dei perfetti cavalieri.

Il «perfetto cavaliere» è dunque un tipo ideale ed eterno:nella prospettiva dell'autore, volta decisamente ad assolutiz-zare i suoi campioni, esso preesiste alla stessa istituzione del-la cavalleria feudale, di cui è storicamente un pur tardomodello, affiorato nella seconda metà del sec. XII nella let-teratura di corte francese e imposto come protagonista idea-le dalla grandepersonalità di Chrétien de Troyes: i suoi gesti,la sua figura, le sue azioni si richiamano laicamente alla fi-gura del santo, a sua volta conformata alla figura di Cristo,Dio e perfetto uomo, paradigma di ogni virtÙ; e lo splendo-re delle gesta dei protagonisti del mondo antico, quando e

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poiché esempla i medesimi sublimi valori che l'autore vuoleesaltare, annulla nella sua luce accecante le meschine diffe-renze di costume, d'età, di ideologia e perfino di religioneprofessata, così che il Saladino, educato alla cortesia da Ber-tran de Born, si assiede di diritto a una ideale Tavola Roton-da che riserva un seggio adAlessandro e uno al Re Giovane,a Cesare come a Pompeo.

* * *I Conti, compilati nella seconda metà del Duecento -

più probabilmente fra 1270 e 1290 - da un ignoto autoreche dalla lingua, venata di influssi umbri, pare un toscanosud orientale, forse aretino, riflettono dunque un'ideologiagià ben matura nella Francia del XII secolo; e da alcune del-le grandi opere di quella cultura raffinata eprestigiosa trag-gono anche buona parte della loro materia. Il LiberYstoriarum Romanorum, i Fatti di Cesare, i Fetz des Ro-mains, ilRoman d'Alexandre di Alessandro di Bernai, ilRo-man de Troie di Benoit de Saint Maure, canzoni di gesta comeil Folque de Candie, riassunto qui nel Conto del re Tebaldo,forniscono al compilatore toscano, che forse poteva già ser-virsi come guida di una precedente compilazione franco-italiana in prosa, gli elementi del suo narrare, monocorde maproprio per questo non privo di un sottile, arcaico fascino.Più che la materia, in sé notissima, a noi interessa constata-re che l'autore possa ancora credere che il suo modello dicompiuto cavaliere sia non soltanto vivo e attuale, ma perfi-no esemplare per chi governa; ed è proprio questo che egliscrive nel brevissimo prologo, così convinto che basti cono-scere il bene - in questo caso, la tipologia comportamenta-le del buon cavaliere - per farlo.

Il tema del «diletto», delpiacere che anche a un pubblicodiverso, in mutate condizioni storico-sociali può derivare e

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derivò dalle antiche leggende cortesi, è qui ancora tutto so/-teso e sacrificato alla preoccupazione dell'«ammaestramen-to», dell'«inviamento bono» di «ciascuno cui governa».

È ben vero che gli antichi cronisti aretini non dubitaronodi riferire la falsa ma suggestiva notizia che il loro esercito,nel giorno della battaglia di Campaldino (1289), aveva elet-to a guidarlo dodici paladini, come quelli di Carlo Magno:e ciò val bene a indicare quanta diffusa profondità, quantaduratura fortuna popolare avessero già raggiunto, nell'arcodi un secolo scarso, le leggende cavalleresche, fino a sovrap-porsi quasi naturalmente alle gesta belliche di borghesi e po-polani e a dettarne gli atteggiamenti e le aspirazioni. Ma lapietosa illusione del nostro compilatore sui modelli pratica-bili agli uomini di Stato, in una Toscana da tempo incrudeli-ta nellafilosofiapolitica del «cosa fatta capo ha», ce lo svelachiaramente come un ingenuo passatista, un uomo superatodagli eventi e dalla storia; storia che d'altra parte proprio inquegli anni subiva una paurosa accelerata, dopo tanti secolidi pigra evoluzione, così pigra da sembrare ferma.

La sua insistenza sul tema della generosità, che glifa esal-tare il Re Giovane - pessimo uomo politico, se pur grandecavaliere - contro l'avaro ma accorto Enrico II, lo pone sulclivo malfido della sterile nostalgia antiborghese - sterile cer-to per chi non abbia l'eccezionale tempra artistica di un Dan-te, e qui il povero aretino non entra neppure in gara con unGuittone, né con Folgore, né coi moltissimi rimatori e pro-satori che dai vecchi ideali cavallereschi avevano tratto mo-tivi di critica alla nuova società dell'interesse e del denaro.E mentre la sua ansia di «ammaestramento» ne riduce le vel-leità narrative al limite minimo della statuaria esemplarità,l'anacronismo del suo messaggio virtuoso lo confina all'iso-lamento e al precoce oblio.

Valeria Marucci

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Libro dei Sette Savi di Roma

Il testo del Libro dei Sette Savi di Roma è quello proposto da ANTONIOCAPPELLI nella Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII alXVII, dispensa LXIV, Bologna, Romagnoli, 1865. Il curatore lo trasse dalcodice Palatino 95 della Biblioteca Palatina di Modena; l'anno precedente,unadiversa epiù moderna versione del Libro, tratta da un codice Laurenzia-no, era stata edita a Pisa per cura di ALESSANDRO D'ANCONA.

Mentre questa pare condotta da un originale francese, Cappelli avanzal'ipotesi (pref., p. X) che la sua versione modenese derivi dt!un testo latino;e in effetti alcune forme linguistiche parrebbero avvalorare questo itinera-rio. Se non che, nella lingua del Libro palatino non mancano francesismie ibridismi, tali che permettono di ipotizzare altre e intricate discendenze.

D'altronde grandissima e complessa fu la fortuna antica del Libro dei• Sette Savi, o Syntipas: da un'origine probabilmente indiana, si dipartonoinfatti due vitalissimi rami, orientale e occidentale (cfr. C. SEGRE, La prosadel Duecento, Milano-Napoli 1960, pp. 51l-2); l'archetipo di quest'ultimoè il Dolopathos latino di Giovanni d'Altaselva (fine sec. XII), tradotto benpresto in francese e diffuso in varie versioni, fino a una ritraduzione latino-umanistica del 1475. L'originale latino da cui discenderebbe la versione _probabilmente locale - edita da Cappellifu indicato dalMussafia (Beitrilgezur Literatur der Sieben Weisen Meister, in «Sitzung berichte des kaiserl.Akad. den Wissenschaften», Phil. Hist. Classe, LVII, 1867, pp. 37-1l8).

Nel riproporre il testo Cappelli, ho mantenuto le integrazioni avanzatedal vecchio editore per sovvenire alle mutilazioni e ai guasti del suo codicedi riferimento; tuttavia, poiché la maggior parte di queste deriva dal con-

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franto con altra versione italiana del Libro, detta La crudele matrigna, pub-blicatapresso il Romagnoli di Bologna nel 1862, i cui rapporti con la versio-nemodenese restano tuttora incerti e vaghi, ho trovato opportuno mantenerele parentesi quadre imposte dal Cappelli alle sue giunte anche in questa edi-zione, così che il lettore abbia immediata percezione di luoghi che, a unapiù moderna filologia, non possono che apparire sospetti, se non decisa-mente spuri.

Per il resto, mi sono limitato ad avanzare un paio di minime propostedi correzione al testo Cappelli, ponendole fra parentesi uncinate e discuten-dole nelle note in calce.

Ho inoltre ridotto a -ce, -ge i gruppi -cie, -giemonosillabici, tuttavia noncostanti in tutto il testo, masporadicamentemantenutida Cappelli; ho scioltOle abbreviazioni, ho indicato colpunto in alto i casi di assimilazionefonosin-tattica - noollo, noom ecc. -, ho introdotto l'apostrofo ad indicare cadu-ta sillabica ad inizio di parola - 'lora, 'nanti - ed ho modificato lapunteggiatura, riducendone gli eccessi e introducendo, quando necessario,la lineetta trasversale - e il punto esclamativo.

Rispetto all'opus continuum del ms., conservato nell'ediz. Cappelli, hointrodotto separazionifra la novella-cornice e le singole novelle, sulla scortadi quanto già fatto da moderni editori, totali e parziali, del Libro, ma senzaintrodurre titoli editoriali e con una scansione leggermente diversa da quellaoperata da LucL'" BATIAGLlA RICCI IN Novelle italiane. Il DUecento. Il Tre-cento, Garzanti, Milano, 1982, pp. 13-48, chepropq,ne il testo integrale delLibro meccanicamente ricavato dall'ediz. Cappelli, di cui per altro si limitaa correggere i pochissimi - tre in tutto - refusi evidenti.Nelle note linguistiche, la sigla Rohlfs seguita da un numero arabo rinviaalla paragrafatura di GERHARD ROHLFs, Grammatica storica della lingua ita-liana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966, volI. 3.

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Un imperatore romano avea uno suo figliuolo unico dalui molto amato [il quale ebbe nome Stefano].! Pervenutoquesto a etade di sette anni, l'imperatore lo diede da ammae-strare a sette suoi filosofi ch'egli avea nella corte sua: e li fi-losofi, ricevuto il figliuolo dello imperatore, lo condusserofuori della terra2 in uno luogo assai dilettevole e segreto, ilqual distava dalla terra miglia dieci, acciò che meglio 'l po-tessero ammaestrare. Lo giovene imparava tanto, che i filo-sofi molto si maravigliavano; ond'esso fece si buonportamento, che in ispazio di dieci anni diventò più perfettoche niuno de' suoi maestri, e non era in lo mondo uno cosìsavio com'egli. Addivenne che fra lo mezzo di questi diecianni la moglie dell'imperatore e madre di costui morì; e loimperatore, di consiglio de' suoi savi, netolse3 un'altra mol-to giovene e bella. La quale, avendo inteso della fama e bel-lezza di esso giovane, avvegnachè fusse suo figliastro, nientedi manco s'innamorò grandemente4 di lui, che non si potea

1 [il ... Stefano]: sono state mantenute fra parentesi quadre le integra-zioni proposte dall'editore ottocentescO dell'operetta, A. Cappelli (vd. No-ta ai testi, p. 19; specie nella prima parte della narrazione, esse si fondanosul confronto con un'altrà versione del racconto, all'epoca già pubblicataa Venezia e riedita a Bologna nel 1862, nota come Storia d'una crudele ma-trigna. La loro attendibilità in questo testo è pertanto dubbia.

2 terra: città.J tolse: prese in moglie.4 s'innamorò grandemente: l'innamoramento per fama, senza aver mai

visto l'oggetto d'amore, è tipico motivo cortese, reso celebre da Jaufré Ru-del e grandemente sviluppato nella lirica trobadorica e siciliana, da cui di-scende alle più tarde prose cavalleresche.

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contenere,5 molestando ogni dì l'imperatore che dovessemandare per lui,6 conciossiachè molto lo desiderava divedere.

L'imperatore, innamorato, com'è usanza de' vecchi, iquali amano molto le gioveni, si sforzò di satisfarla: ondesubito il sabato mandò suoi messi alli sette filosofi, dicendoche, se il figliuolo suo era assai? dotto, il dovessero condur-re a casa. Ed acciocchè i filosofi potessero dare risposta allimessi, si unirono insieme ed interrogarono il giovane propo-nendogli diverse questioni, il quale si mirabilmente loro ri-spose, che cadette8 in grande ammirazione di quelli filosofi,conciossiachè essi non le9avriano saputo si pienamente di-chiarare. E veduto questo, ritornano alli messi, dicendo: «Af-frettatevi a partire e dite all'imperatore che il suo figliuoloè 'l più savio uomo del mondo, e che domani noi insiemecon lui verremo alla terra». E cosi i messi ritornarono alloimperatore; e quegli molto allegro, e la sua donna, fecebandirelo a tutti li suoi Conti e Baroni che dovessero veniredomenica a lui per accompagnarlo incontra al suo unico fi-gliuolo.

Partiti li messi, li filosofi stettero parlando con lo giova-ne; e così stando, lo giovane forte guardava una stella, peròche era grande astrologo, 11 e, guardando, si cominciò tuttoa conturbare e piangere amaramente. Vedendo questo, li

. ; contenere: trattenere, dominare.6 mandare... iui: mandare a prenderlo.7 assai: abbastanza.8 cadette: veline, salì.9 le: riferito a questioni, poco sopra.lO bandire: annunciare ufficialmente, con bando reale.Il astrologo: l'astrologia, per la dignità della materia che studia - il cie-

lo - e la difficoltà oscura dei suoi principi, godeva nel medio evo di am-plissima fama, tanto da identificarsi in parte con la stessa sapienza e dacostituire componente essenziale della magia. La grande dottrina del giova-ne principe non poteva mancare di rappresentarsi proprio in questa disci-plina, astrusa e affascinante.

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filosofi gli domandarono la cagione del pianto. Ilse: «Non vedete voi il segno di quella stella?» I quah dIsse-ro: «Che segno?» Ed egli disse: «Il segno si è questo, cheper tale via io debba andare in pericolo di morte».E guardando li filosofi, viddero ch':sso dIcea :'molto contristati, non sapeano che SI fare, concIOsslache,se andavano 12 temeano 'l pericolo del giovene mostratoper la stella, se non andavano, temevano ladell'imperatore per la promessa a lui fatta. 'Lora dIsse Ilgiovane: «lo considero per la stella che,seotto dì io sarò salvo». 'Lora ciascuno delh sette filosofIgli pro:Uise di salvarlo lo suo dì,13 Ond'esso voiavete animo di salvarmi per sette dì, menateml da mIO pa-tre, altramente no». E cosi tutti promisero di salvarlo. Sic-chè, venuta la domenica, cominciarono a cavalcare versola terra e cavalcando, ecco lo imperatore con una grandecomitiva di Baroni sì gli viene incontra. Ed essendo avvicirnati, l'imperatore si andò al suo figliuolo e, abbracciando:lo, il salutava: della qual cosa egli non rispose nulla, .anzlpareva che fosse muto. 'Lora lo im-?erator:,e conturbato, perchè credeva trovar Il suo flghuolo savIO,fece chiamare li filosofi, dicendo minacciandoli: «Voi midiceste il mio figliuolo essere più savio uomo del mondo,e non mi favella!» I quali, molto contristati, dissero: «Al-cuna cosa ha esso veduto, per la quale non vuoI parlare».Tornato lo imperatore a casa, annunciò alla moglie ciò chedel figliuolo era addivenuto, la quale ebbe grande letiziaperché era già appresal4 del suo amore: e sì lo fece venirea lei, parlando incontra15 lui, il quale non rispondea ad al-cuna questione.

12 se andavano: a corte, dall'imperatore.13 lo ... dì: un giorno per uno.14 appresa: incendiata, presa dal fuoco dell'amore.15 incontra: verso di.

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'Lora disse la donna allo imperatore: «Fate ch'egli ven-ga meco in camara solo, ed io lo farò parlare, se mai par-lòe». E lo imperatore, non avendo mala speranza,16mandollo solo in camara, e la donna l'incominciò di dire pa-role d'amore, e che moria per lui. Questo non rispondendoa lei niente, disse la donna: «o tu farai la volontà mia in gia-cere meco, o io mi squarcerò tuttal7 e cridaròe e diròe alprincipol8 ed a tutti li signori della corte sua che tuel9 haivoluto giacere meco». E ditta questo, lo giovane immante-nente si parti fuggendo della camara: e quella, fori della ca-mara cridando e piangendo e squarcendosi,2o dicea che lofigliastro era voluto giacere seco. L'imperatore, udendo ciò,s'egli era tristo 'nanzi, allora fue piùe, credendo ch'el figliuoloabbia voluto fare uno sì grande disinore, e comandò ch'eglifosse menato in pregione.Disse la donna allo imperatore: «Sappiate per ferm021

ch'egli non è vostro figliuolo, ch'egli non avrebbe pensatotanta malizia. Dunque fatelo uccidere, e se no"1l022 fate uc-cidere addiverravvi questo, che vi faràe morire a mala mor-te». 'Lora comandò l'imperatore che la mattina fosse menatoalle forche.La mattina si levò l'uno dei filosofi e con grande riveren-

za andÒ allo imperatore e salutollo. Il quale rispose villana-mente, dicendoli: «Avete voi così insegnato a mio figliuolo?lo lo faccio appendere per la gola, e quell023 farò anca di.,VOl..».

16 mata speranza: sospetto, dubbio di qualche male.17 mi ... tutta: mi strapperò le vesti. .18 principo: imperatore, sul modello dellat. princeps.19 tue: tu, con -e paragogica, piuttosto comune a questo testo nei mo-

nosillabi e nelle parole ossitone (cfr. Rohlfs 335).20 squarcendosi: strappandosi le vesti.21 per fermo: per certo, certamente.22 no'Ilo: non lo. Assimilazione fonosintattica, per cui cfr. Rohlfs 242.23 quel/o: la stessa condanna.

24

'Lora rispose lo filosofo, e24 meravegliavasi che così sa-vio uomo alla domandagione d'una femina fesse uccidere lofigliuolo senza cagione: «Ma a voi addiverrà come addiven-ne a un cavaliere, d'uno suo levrerF5 il quale amava molto».Disse l'imperatore: «Come?» Disse lo filosofo: «No"1l026 fa-te uccidere oggi, ed io vi dirò sì belle parole, che a voi piace-ranno; altramente farete di noi e di lui lo vostro piacere».Promise l'imperatore d'indugiare, e comandò che 'l figliuo-lo fosse tornat027 in pregione.

NOVELLA I

Disse lo filosofo:

Un cavaliere avea un suo levreri molto bello, giovene ecompitai e di tutta bontà, ed avea uno fanciullo il quale fa-cea nutrire in cuna.2 Addivenne un giorno che in Roma sidovè fare un torniamento.3 Il cavaliere gli andò per vedere,e la donna e le servigiali4 montorn05 di sopra per vedere, elassarono lo fanciullo e 'llevreri solamente in casa. La casaera molto vecchia, sì che d'una crepatura delle mura uscì unoserpente molto grande e terribile per divorare lo fanciullo.E lo cane, veggendo ciò, volea difendere lo fanciullo e com-

24 e: l'ediz. Capp'elli presenta un improbabile e' = 'egli', passivamen-te ripreso dai seguenti editori.

25 tevreri: levriero, in forma francesizzante.26 no"l/o: non lo. Cfr. n. 22.27 tornato: riportato.

1 compìto: ben addestrato.2 cuna: culla.3 tomiamento:. torneo.4 servigiali: serve, fantesche.5 montomo: salirono al piano superiore della casa.

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battea per questo con lo serpente: e così combattendo aduno,6 la cuna del fanciullo si rivolse sotto sopra, sì chelo fanciullo rimase sotto sano e salvo. E facendo la grandebattaglia lo cane e lo serpente, alla fine il cane uccise ilserpente e rimase lo cane forte impiagato.7 Ritornando unadelle servigiali, vide il cane con la bocca insanguenata:crette8 ch'egli avesse morto lo fanciullo, cominciò a fuggi-re cridando. La donna,9 udendo ciò, dimandò la cagione,la quale ella li disse. La donna strangosciò lO incontenente,cridando e piangendo con tutte le sue servigiali. In questallgiunse lo cavaliere a casa e dimandò la cagione dello pianto.Fugli detto: «Lo cane il quale avete tanto amato haemortolo fanciullo vostro». Egli, guardando al cane, videlo insan-guenato, crette che così fusse: immantenente l'uccise. E po-scia andò alla cuna e levolla suso e trovò lo fanciullo sanoe salvo. E poscia, guardando nella camara, vide lo serpentemorto, e cioè cognobbe che lo cane l'avea morto, e moltofue tristo del suo cane ch'egli avea morto; ché dove li veniabuon guiderdone;sì ebbe la mortel2. Così addiverrà a voi,ché, se fate uccidere vostro figliuolo, ve ne pentirete allamorte;13 ch'egli dovrebbe conseguire guiderdone da voi,evoi lo volete fare uccidere.

Udendo questo, l'imperatore rilassòl4 la sentenza del fi-gliuolo.

6 ad uno: insieme, fra loro.7 forte impiagato: ferito gravemente.8 erette: credette, con sincope mediana.9 La donna: la moglie del cavaliere, dal lato domina signora.IO strangosciò: impazzì dall'angoscia, uscì di senno.Il In questa: in quel momento, proprio allora.12 dove ... morte: mentre il cane avrebbe dovuto ricevere un premìo

(guiderdone), ricevette la morte.13 alla morte: fino alla morte.14 rilassò: rinviò, sospese.

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Ritornando la se:m lo principo alla moglie, trovolla mol-to trista e turbata perchè non era andata la sentenza a 'secu-zione. 'Lora disse la donna a lui:

NOVELLA IIQuesti vostri filosofi vi disertarannol ed addiverravvi co-

me addivenne a uno che avea uno suo giardino, [ed] avealiun pino il quale gittò una bella pianta2 e ritta, della qualemolto si allegrava. E quando si partie, comandò allo lavora-tore che di quella pianta avesse cura, eziandi03 s'egli doves-se [tagliare] tutte l'altre piante, e partissi. Stando lungotempo, ritornò allo giardino per vedere la sua pianta, la qualevide tutta torta, e turbossi molto. Fece venire l'ortolano, edisseli: «Perchè hai avuto sì mala cura di questa pianta, ser-vo malvage?»4 E quegli rispose: «Per li rami del pino». 'Lo-ra disse il signore: «Servo maledetto, non t'avea io detto chetue devessi tagliare tutti li rami perch'ella andasse ritta?» Ecomandò che tutti li rami del pino fossero tagliati, e così fe-ce. E lo simile addiverrà a voi, chè questi filosofi attendon05molto alla difesa di questo giovene che voi appellaté vostrofigliuolo, il quale vi disertarae e sarà signore con loro.

«Certo - disse l'imperatore - io disertarò 'nanzi lui».E comandò ch'egli fusse menato a giudicare.E incontenente venne l'altro filosofo e disse allo impera-

tore, come aveva detto l'altro dinanzi dell'indugia:7 «Mes-

I vi disertaranno: vi manderanno in rovina.2 pianta: fusto, tronco.3 eziandio: anche.4 malvage: malvagio, infedele.5 attendono: si dedicano.6 che ... appellate: che continuate a chiamare. La donna, per giustifi-

care la richiesta di morte del giovane che la ha respinta, insiste a insinuarenell'imperatore il dubbio sulla propria paternità, mescolandovi il timore diun colpo di Stato favorito dai filosofi.

7 dinanzi dell'indugia: prima del primo rinvio dell'esecuzione.

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sere l'imperatore, così addiverrà a voi come addivenne allosavio d'Ippocràs».8 Disse l'imperatore: «Come?» E queglidisse che de'lesse fare quello di indugia al giudicio.9 Impro-miseli di farlo.

NOVELLA III

Disse il filosofo:

Ippocràs si avea uno suo nipote molto savio in medicina.Addivenne 'lora in quella parte! che uno figliuolo d'uno resi ammalò gravemente, che tutti li medici l'aveano abbando-nato. Ebbe consiglio il re che dovesse mandare per Ippocràs,che venisse a curare lo figliuolo senza dimoranza.2 Mandòil re Ii sai messi con grandissima copia di moneta per condu-cerIo. Li messi furono a lui, esposeno loro ambasciata. Loquale li rispose che non li potea venire per gravezza di tem-pO,3 e disseli: «lo vi darò mio nipote, ch'è molto savio; e,s'egli è uomo nel mondo ch'el debbia guarire, egli lo farà».Veggendo li messi che non poteano avere Ippocràs, menaro-no lo nipote. E quando fue a l'infermo, guardò lo re e la rei-na e dimandò li medici delli accidenti4 dell'ammalato, ecognovve, secondo i filosofi,5 ch'egli non era figliuolo del-

8 allo ... Ippocràs: a quel famoso saggio di Ippocrate, medico greco (V-IV sec. a.c.) istitutore dei principi della sua scienza.

9 che ... giudicio: che dovesse considerare quel giorno come di rinviosospensione dell'esecuzione. '

lo re, anzi era spurio. Onde si fece mostrare l'urina di cia-scuno e cognovve con tutta verità che lo malato non era fi-gliuolo di messere lo re; e disse che in secreto volea parlarealla donna, e disseli: «Se mi devete dire6 il vero di quelloch'io vi dimandarò, vostro figliuolo guari"ae, altrementi nonpotrà guarire». La reina li respose che bene li direbbe la ve-rità. Disse lo medico: «Chi è patre di questo giovane?» Ri-spuose.la reina: «Chi vi credete che sia suo patre, se no ilre, e dI che cosa mi fate questione?» Disse il medico: «Po-scia che non mi dite la verità, io mi parto». Veggendo que-sto, la reina, la quale desiderava la sanità del figliuolo

medico che uno era venuto nella corte illa d, ed avvenne? questo giovene. E poscia lomedICO curoe lo glOvene, si che guarìe. 'Lora li fece dare lore grande quantità d'oro e d'argento. Ritornato il medico aIppocràs, narròe a lui ciò ch'era addivenuto. Ippocràs, uden-do questo, fue pieno d'invidia; pensò che questi serebbe mi-gliore medico di lui, imperciò che Ippocràs avea fatti moltili?ri d:lli quali temea che la memoria perisse, e perciò si pensòdI ucclderlo. Andò con lui in uno giardino, nel quale aveamolte erbe vertudose,8e disseli: «Vedi tu alcuna erbavertu-dosa?» Ed egli disse che sì; e colsene e narrò tutte le virtùdi quelle. !ppocràs, 'leggendo un'altra erba, disse al nipoteche la c?ghesse: e quando si chinò per coglierla, Ippocràs tras-se un. coltello e sì l'ebbe morto,9 e celatamente lo sep-pelhe. AddIvenne che Ippocràs cadde in una grande infermitàd· fl d' IO '1 USSO 1 corpo, SI grande che con tutte sue medicine nonsi potea astrignere,u 'Lora disse alli medici sai: «lo non pos-

! in ... parte: in quella regione.2 senza dimoranza: senza indugio, di corsa.3 per ... tempo: per la sua tarda età.

• 4 delli accidenti: del decorso della malattia e dei suoi precedenti medi-CI, conducendo una tipica anamnesi ippocratica.

5 secondo seguendo le teorie mediche che aveva appreso, so-spetta della patermta; ne ha la prova con l'esame delle orine che confermail dubbio teorico. "

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Se ... dire: se vorrete dirmi.ed avvenne: e ne nacque, ne venne.

8 vertudose: medicinali, cariche di virtù curativa. Lo studio delle erbecome era la base della farmacologia antica, tornata in auge nell'occi:dente medIevale tramite la mediazione araba.

9 l'ebbe morto: lo uccise.lO flusso di corpo: incontinenza delle feci.Il astringere: costringere, stagnare, trattenere.

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so astrignere lo corpo mio». Ed a ciò che [fosse cognosciutala sua] scienza, comandòe che uno vasello forato fosse arre-cato, e [poscia comandòe che fosse] pieno d'acqua, e miselientro una polvere la quale fece stagnare tutti i pertusi,12 chéper la virtù della polvere non potea uscire fora l'acqua. Edisse Ippocràs: «La mia infermità non si può curare». E pian-gea, dicendo: «Se lo nipote mio vivo fosse, questa infermitàserebbe curata per lui». Onde Ippocràs uccise colui per loquale avrebbe avuto vita, e così volete voi fare uccidere vo-stro figliuolo, per lo quale avrete anca vita ed accrescimento.

Udendo questo, l'imperatore rilassò la sentenza del fi-gliuolo.

NOVELLAIV

Ritornando la sera alla moglIe, trovolla molto trista perla sentenza che non era mandata a 'secuzione, e[d ella] disseallo imperatore: «Così addiverrà a voi per questi filosofi co-me addivenne d'uno porco, il quale fue morto per grattare».Disse l'imperatore: «Come?» Ed ella disse: «Se mi promet-tete di mandare la sentenza a 'secuzione, dirovvelo», e sì disse:

In un bosco era un porco salvatico, grande e molto for-te, ed in quello bosco si avea l un pero molto bello, e recavamolte pere: al quale venìa lo porco e crollava2 di queste pe-re e mangiavane. Addivenne che un pastore ch'era in quelleparti perdè un suo boe,3 il quale fuggìe al bosco, là dove sta-va questo porco. Lo pastore lo seguia, né no"1l04 trovava;

12 pertusi: fori, aperture.

I si avea: c'era.2 crollava: faceva cadere, scrollando l'albero.3 boe: bue.4 no"ilo: cfr. Cornice, n. 22.

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e, andando per lo bosco, trovò le pere le quali mangiava que-sto porco, e cominciò a cogliere di queste pere per portareal suo signore, per mitigare sua ira. Un'altra volta ritornòal pero e cornìnciò di empiere suo sacco di queste pere e montòsusa 'l pero, non sapiendo del porco niente. E così staendo,il porco venne al pero, e lo pastore si temeva a discendereper paura di lui. Lo porco, vogliendo mangiare delle pere,cominciò a crollare il pero como era usato. Lo pastoregrande5 cominciò a gittare giuso delle pere pianamente, per-chè lo porco mangiasse e partissesi pascio.6 E quando loporco ebbe mangiato assai, appoggiassi all'albero; e lo pa-store, discendendo pianamente in terra [si appressò] allo por-co e fregavalo [dolcemente]. Lo porco [sentendo piacere]cominciò [a piegarsi vicino a terra], e quegli, fregando versola pancia, fessi gittare il porco riverso in terra, e lì si addor-mentò. Lo pastore, veggendo così,? tolse suo coltello e sìl'accise. E così faranno a voi, messer l'imperatore, questi fi-losofi, che con queste sue8 parole v'uccideranno.

Udendo lo re questo, comandò che 'l figliuolo fosse me-nato la mattina al giudicio.

NOVELLA V

Venne lo terzo filosofo, e disse all'imperatore:

«A voi pare l d'uccidere vostro figliuolo a petizione d'u-na femina ingiustamente, ma voi dovrete fare a lei come fe-ce uno savio di temp02 a una sua donna giovene e bella, la

5 grande: da sopra, dall'alto.6 pascio: pasciuto, sazio.7 veggendo così: vedendolo così.8 sue: loro.

I A ... pare: vi sembra giusto, opportuno.2 di tempo: attempato, anziano.

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quale volea bene a uno giovene.·E vogliendo fare secretamen-te suoi fatti con lui, sì lo disse alla matre, la quale matre nela sconfortava;3 e quando pur vide sua volontà, disseli chedovesse fare una grande ingiuria al suo signore e, s'egli nonse ne turbasse, 'lora potrebbe fare ciò che li piacesse. 'Lorala donna andò allo giardino e sterponne4 un moro,5 il qualemolto era a diletto di lui, e miselo al fuoco. Lo marito, veg-gendo questo, dimandò cui6 avea fatto sì mal'opera; e ladonna disse che l'aveva fatto perchè non avea legne. Lo ma-rito, perchè molto l'amava, disseli: «Male hai fatto; ma nont'addivegna mai tal cosa». La donna immantenente andò al-la matre e disse1e ciò ch' era stato, e che volea sua promessa.'Lora disse la matre: «Voglio che tue provi un'altracosa: vae.sì uccidi lo suo lavorere,7 il quale ama molto, e prendi ca:glOne ch' egli guasti i panni».8 E ciò fue fatto. Lo marito lidisse di questo come avea detto dell'altro. Ritornando la don-na alla matre, disse ciò che li era addivenuto. Disse la matre:«Voglio che tue facci la terza e, s'egli non si muta di senno,farò tutta tua volontà. Serai9 domenica, quando tuo marito

gr.ande c.onvito [di suoi] amici; andarai esederai appressolUI, e hgherm la borsa all'anello della tavola sì che si ribalti·e, se di questo non si turba, poscia farai tua volontà». E fat:to questo, lo marito si turbò molto contra lei ma no ne mo-strò niente contra coloro lO ch' erano' alla mensa.

fece apparecchiare l'altra mensa compiutalldI tutte cose. E, quando fu partita la brigata, lo marito fecefare un gran fuoco e fece venire la donna dinanzi dal fuoco

3 ne ... sconfortava: la sconsigliava.4 sterponne: ne strappò, estirpò.5 moro: gelso.6 cui: chi.7 lavorere: lavoratore, contadino, con esito francesizzante.8 e ... panni: e dàgli causa di stracciarsi le vesti per il dolore9 Serai: sarai presente. .IO contra coloro: verso, in presenza di quelli.Il compiuta: completa.

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e disseli: «Tu hai troppo sangue pazzo addosso», e fecela 'lorasalassare di ambe le braccia, e tanto gli ne fece torre che pa-rea che la morisse. E 'lora comandò che li fosse stagnato,e fece1a portare a letto. Vegnendo la matre a lei, dicea: «Fi-gliuola mia, fòtti 12 venire quello che mi dimandavi?» E quel-la appena potea rispondere, e dicea che no'1l013 volea più.Messer l'imperatore, così dovreste fare voi: torre lo sanguematto di corpo alla donna vostra, e no"lli l4 dovreste crede-re quello che la vi dice, di fare morire vostro figliuolo.

Udendo questo, l'imperatore rilassò la sentenza.

NOVELLA VI

Ritornando la sera alla moglie, ella disse:

Che l si addiviene a voi come addivenne a uno re che nonvedea lume2di fuori dalla sua città, ed a molti savi· uominine dimandava consiglio, né non3potea trovare rimedio niu-no di guarire. Ed eziandio avea e tenea VII filosofi, [a] li qualidevea accertare di dare moneta, come egli interpetravano liinsonii.4 Ed in quello tempo era un savio che avea nomeMerlino, e fu dato consiglio a messere lo re che mandasseper lui. Mandòe soi messi con grande quantità d'oro; li qua-li a Merlino, ed essendo dinanzi a lui, uno passavail quale fece venire a sé, e disseli: «Tu vai alli filosofi dello

i2 fòtti: ti fo, ti faccio.i3 no"llo: cfr. Cornice, n. 22.14 no"lli: non le. Cfr. Cornice, n. 22.

l Che: pleonastico, introduce un discorso diretto, secondo un uso noninsolito alla prosa antica. .

2 non ... lume: era cieco.3 né non: il raddoppiamento rafforza la negazione.4 dovea ... insonii: teneva a stipendio, per far loro interpretare i suoi

sogni; ma qui il testo è poco chiaro e forse guasto.

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re per dimandare d'uno [sonio], e quello che porti in manosi è uno [bisanto];5 e se tu lo mi vuoi dare, dirotti ciòche significa lo sonio tuo, il quale egli6 non ti diranno».Disse quegli: «Messere, volontieri». Disse Merlino. «Tuet'hai insoniato che una fontana era in casa tua». E quegliconfessò ch' era vero. 'Lora disse Merlino: «Vattene e guardasotto il focolare tuo, e troverai molto argento». Questi sen'andò e trovòe come avea detto lo savio; e li messi dellore andarono seco per vedere questo, e molto si meraviglia-rono. Ritornarono a Merlino e menarolo a messere lo re.Disse Merlino allo re: «Volete voi guarire del vostro male?»E quelli disse che sì. E Merlino disse: «Fate tagliare le testealli VII filosofi che sono in vostra corte, e serete guarito».Lo re s'attristava molto, perchè sua corte si reggea per loro.'Lora disse Merlino al re che devesse fare cavare7 sottoil suo letto. E quegli fece cavare, e trovò bollire una caldara

li sette vapori, la quale aveva ordinata8 que-stl VII fIlosofI [per arte magica. Disse Merlino: «Fate ta-gliare la testa ad uno de' filosofi] e l'uno de' vaporicesserae». Disse lo re: «S'io trovarò come tu dici, faròetutto lo tuo volere». E così trovòe come Merlino li disse.

fece tagliare le teste a li VII filosofi, e guarìe dellasua mfermità. Così questi filosofi v' hanno accecato lo in-tendimento vostro, di che9 non vedete la verace via' mavoi li dovreste fare tagliare le teste, perchè hannoinsegnato al figliuolo vostro.

Disse l'imperatore: «Io disertarò loro» e comandò che'l figliuolo fosse menato al giudicio. '

5 [bisanto]: bisante, moneta d'oro di Bisanzio.6 egli: eglino, essi.1 cavare: scavare.8 d'9 or, mota: avevano preparato, con concordanza a senso.di che: per cui.

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NOVELLA VII

Ecco il detto del quarto filosofo, che disse sì come aveandetto gli altri: «Voi dovreste fare alla vostra donna comefece un savio cavaliere». Disse l'imperatore: «Che li fe'?»Rispuose lo filosofo:

Un cavaliere avea una sua moglie, che amava un giove-ne. Lo cavaliere avea una aregazza1 ch' era sì ammaestra-ta, che dicea al cavaliere ciò che vedea, ed aveala messapresso all'uscio della camara. Una fiata che lo cavaliereandò a cacciare, la donna mandòe per lo giovene. La gazzalo vide, è disse: «Madonna, voi .fate male, ché vituperatelo signore vostro, e certo io la gii2 diròe». La donna cret-te ingannare la gazza: fece montare la fante susa 'l tettodella casa, facendo cadere acqua in due bacili perchè mo-strasse che piovesse [ e losinasse ].3 Ancora mandò la fan-te subitamente con uno lume in mano a serrare la porta,sì che mostrasse ch' egli si levasse l'altro dì. Vegnendo lomarito dalla caccia, la gazza li disse ciò che avea fatto ladonna. Lo cavaliere era irato con la donna; voleala uccide-re. La donna disse: «Dimandatela quando fu». Disse lagazza: «Fue ieri». Disse la donna: «Che tempo era?» Dissela gazza: «Pioveva e losinava», e quello dì era stato buontempo. Disse la donna: «Voi vedete che la si mente perla gola». Lo signore fue molto irato contra la gazza e ucci-sela. E stando alquanti dì, guardò e vide di sopra un bacileche la fante s'avea dimenticato. Pensò la malizia della don-na. Fece venire la fante, dicendoli perchè quello bacinoera lassuso. Quella volea negare lo vero: fecela mettere altormento,4 e 'lora disse la verità. Incontenente il cavaliere

l aregazza: gazza o piea, uccello ammaestrabile.2 lo gli: glielo. Il pron. diretto, femminile, sottintende probo «cosa» e

precede, come di norma nella lingua antica, quello indiretto.l losinasse: balenasse, tuonasse (sett.).4 tormento: tortura.

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fece ardere la sua donna. Messere l'imperatore, così dovrestevoi fare della vostra donna, che giudica5 vostro figliuolo..

Udendo questo, l'imperatore comandÒ che la sentenza fus-se rilassata.

NOVELLA VIII

Ritornando la sera l'imperatore alla rilOglie, ella disse al-l'imperatore: «Così addiverrà a voi, come addivenne d'unoche fue morto dal figliuolo». «E come fue?» E quella disse:

Fue un re che avea in sua corte due sescalchi:! l'uno eraavarissimo, l'altro larghissimo spenditore, che in poco di tem-po consumò quella pecunia ch'egli avea per mano. Chiamòun dì lo figliuolo, e disseli che non avea più da spendere. Lofigliuolo rispose: «Patre mio, voi spendete troppo, e non do-vreste fare sì grandi spese come fate». Disse lo patre al fi-gliuolo: «Truova ferramenti,2 e romperemo la torre nasco-stamente e spenderemo lo tesoro di messere lo re là dove noivorremo». E così fecero più fiate. Spendendo questo avere,addivenne che quello sescalco avaro andò un dì alla torre etrovò essere rotto lo muro e tolto una grande quantità d'ave-re. E veggendo questo fue molto tristo e pensò come potesseprendere questo ladro. 'Lora fece fare una fossa presso allarompetura del muro e empiè la fossa di viscio e di pegola3ecoprilla. Andando questo ladro con lo figliuolo in la torre,cadde nella fossa, e andò nel viscio e nella pegola insino allagola, sì che la testa rimase fuori solamente. Disse lo patre

5 che giudica: che manda a giudizio di morte, che dà per condannato.

I sescalchi: siniscalchi, propr. 'maestri di tavola', ma più generalmenteprocuratori, funzionàri di corte addetti al mantenimento.

2 ferramenti: attrezzi di ferro.3 viscio ... pegola: vischio, pece.

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al figliuolo: «Non ti fare più innanzi, chè tue lìDisse lo figliuolo al patre: «Che faremo?» Ed eglI nspose chenO'1l05 sapea: se no ché «mi la t.esta, a ch'io .r;onsia accognosciuto,7 e tue camperaI la vIt;l». E taglI? latesta al patre e sotterrolla. Ritornato a casa, lo fIglIuoloaÌla sua famiglia [ciò ch'era avvenuto, e] che nonpiangere. Levandosi la mattina l'altro credendo dItrovare lo ladro trovollo con la testa taglIata e non cogno-scea cui egli si Comandò ch' egli fosse strascinato pertutta la città acciò che la sua famiglia piagnesse quando pas-sasse per casa sua. E veggendo questo la sua famiglia, nonsi potenn09 stare di Il figliu<:lo fue tolseun coltello e ferissi nella coscia. 'Lora disseno li offiCIali: «Cheavete, che piagnete?» Disse il figl.iuolo: <:'!'aglian?o.un legno,mi ferii d'uno coltello nella COSCIa, perclO questI pIagneno».Credendo li ufficiali che fusse vero, sì si partirono. Così ad-diverrà a voi, messere l'imperatore, che vostro figliuolo vitaglierà aneo la testa.

Lara disse l'imperatore che 'nanzi la farebbe al figliuolotagliare, che 'I figliuolo a lui.

NOVELLA IX

Lo quinto filosofo venne e disse:

Messere l'imperatore, voi non dovreste credere alla mali-zia di questa femina, perchè ne rimarrete ingannato; e addi-

4 lì riman'essi: ci rimarresti, non ne verresti fuori.5 no' Ilo: cfr. Cornice, n. 22.6 che: cfr. nov. VI, n.l.7 accognosciuto: riconosciuto.8 castaldo: come sopra siniscalco, sescalco.9 non si potenno: non poterono, con concordanza a senso da nome col-

lettivo.IO vessato: terrorizzato.

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verravvi come addivenne ad uno savio giudice che avea unamolto bella donna, la quale amava molto, e per gelosia lamise in una sua torre molto alta, in la quale non aveaI fine-stra se non di sopra, e non si potea ire a lei per alcun luogo,ché 'l marito portava la chiave della torre, e la donna nonuscìà mai se non quattro feste dell'anno. Uno giovene vennealla città per vedere la festa, alla quale festa era la donna.E quando il giovene vide la donna così bella, fu preso d'a-more di lei e andolli dietro. La donna si accorse che quellogiovene l'amava, ma non ne curò, perchè sapea che non lipotea giovare. Lo giovene era molto ricco e, veggendo que-sto,2 comparò3 una casa ch' era presso a quella torre e co-minciò a fare grandissime spese,4 e addivenne amico delgiudice ch' era marito di questa donna, facendo grandi man-giari con lui. Questo giovene fece fare una casa appresso latorre molto scura;5 e fece fare molti ferramenti da romperelo muro di questa torre nascostamente, e cominciò di nottea rompere il muro per mezzo6 sì che non si potea sentire, etanto ne ruppe ch' egli giunse alla camara là dove era la don-na. Entrò nella camara a lei; ebbe molti suoi piaceri. Erispondea7 la rompetura sotto il letto, sì che non se ne po-tea avvedere lo marito; e la donna tenìa suoi panni dinanzida quella, ché non volea che fosse veduta. E8 voleasi parti-

l non avea: non c'era. Il tema dell'isolamento, di solito in una torre,causato dalla gelosia di marito vecchio o di padre severo, è topico nella nar-rativa orientale e occidentale fino al Filocolo boccacciano ed oltre.

2 veggendo questo: vedendo le condizioni in cui era tenuta la donna.3 comparò: comperò.4 e '" spese: tradizionale della narrativa di gusto cortese è anche il mo-

tivo della larghezza generosa e ospitale di chi ama, in contrapposizione al-l'avarizia dei mariti-borghesi.

5 molto scura: con poche aperture, cosi da coprire il rumore delloscasso.

6 per mezzo: a metà della superficie. Inspiegabile il significato di 'mo-do' attribuito all'espressione da Cappelli in nota e ripreso passivamente daaltri moderni editori.

7 rispondea: corrispondeva, si apriva.8 E: l'ediz. Cappelli presenta e', ma il sogg. è chiaramente la donna.

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re, e disse al giovene: «lo t'ammaestrarò, sì che mitrai torre per moglie. Tonai del me? e vestI-ralliti e andarai dinanzi da 1m e dISCenderai gIUSO della tuacasa andare a vederlo, egli .si molto; e,fatto ciò, allora tornerai9 11 panm SUOI .al suo [Logiovene fece come la. donna. Il.manto 11 pan-ni, che gli parevano 11 SUOI,] e queglI non sapea SIse dire. E tornando alla torre lo giovane pe.r pIU brevetornava li panni. Lo giudice, tornando a leI, trovand? CIO:si maravigliava molto: credea ch 'l giovene fosse vestItonuovo. E così fece fare la donna d'uno cagnuolo delto. Alla fine disse la donna al giovene: «Voglio che tu mI to-gli per moglie [ in sua presenza.intrare in mare in una galea ch' eglI tolse tuttI SUOI amIcI,e disse al marito della donna: «lo voglio sposare una mia don-na; piacciavi di farmi onore». E quegli rispuose: «Volentie-ri» e fue nella galea con gli altri. Poscia andò alla donnae apparecchiare e torrell tutte sue gioie e altte cose na-scostamente, e menolla al mare là dove era questa gente. Lomarito, guardando quella, volselal2 perquello ch' avea veduto dinanzi13 non SI ardIva dITee gli altri che erano lì la conosceano bene; per lo mant?,che si stava cheto, non diceano nulla. Lo glOvene la sposoepresente il suo marito e tutti gli altri e tolse li<:enza dae intrò in mare, e partissi. Lo giudice ratto ntornandosi acasa credea trovare la moglie, ed erasene andata. E così ad-diverrà a voi messere l'imperatore, ché vostra mogliere v'ingannaràe, che pognate il vostro savio e ca-ro figliuolo alla morte.

9 tornerai: riporterai.10 tolse: comprò o prese a nolo.11 torre: prendere.12 Volsela: la volle credette di averla riconosciuta.13 per ... dinanzi: ; causa del suoi vestiti e su!

cane, il vecchio marito non si fida pIU del proprIO gIUdIZIO e concorre COSIalla riuscita della beffa.

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Udendo questo l'imperatore, comandò che la sentenzafosse rilassata.

NOVELLA X

Tornando la sera alla moglie, trovolla molto turbata, per-chè non aveva mandato la sentenza a 'secuzione; e disseli:!

Così serete ingannato da questi filosofi come fue un repagano ch' era in oste2 attorno Roma con grande gente dipagani; e tanto vi stette ad assedio che li romani non si po-teano tenere,3 sì che l'imperatore gittò sua corona alli roma-ni, dicendoli che difendessero la corona; per la quale cagioneli romani voleano ire alla battaglia. E con esso l'imperatoreaveatre maestri, che li diceano: «Messere, non andate allabattaglia, ché l'ultimo rifugio è quello della battaglia». E l'u-no disse: «lo farò sì che li pagani non verranno questo. dÌalla battaglia». E così fece l'altro il secondo dì. E lo terzodì s'aspettavano d'avere la battaglia. 'Lora venne il terzo mae-stro e fessi fare vestimenta lunghissime, vermiglie e d'oro,e fessi fare grandi aIe e tolse una spada grande e lucente, emontò suso una grandissima torre nello levare del sole. Lipagani, vedendo questo, si maraveglionno molto: dubiton-no che fosse Dio de' romani che li menacciasse, e'lora si par-tirono dall'assedio.

Udendo questo,4 l'imperatore comandò che 'l figliuolofosse menato al giudicio.

l disseli: il sogg. è naturalmente la donna.2 in oste: con l'esercito in assedio.3 tenere: mantenere, nella città assediata.4 Udendo questo: il racconto è fortemente ellittico, ma l'imperatore de-

ve aver capito il senso che la moglie vuole dargli: i saggi sanno mentire, edusano le loro conoscenze come trucchi per ingannare i meno provveduti.

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NOVELLA XI

Lo sesto filosofo, vegnendo la mattina, all'impera-tore: «Così addiverrà a voi come fece a un cavalIere, che fuemorto per amore d'una sua moglie». Disse l'imperatore: «Co-me?» Disse lo filosofo:

Un cavaliere avea una molto bella donna ch' egli amavamolto e, mangiando seco a una tavola ed ella !agliando pa-ne sÌ si tagliò la mano sconciamente. Lo manto, veggendociÒ, si morÌe. 1 Ella, veggendo lo marito morto per lei, co-minciò a fare grande pianto, si che niuno no"lla2 potea con-solare. E quando lo marito fue portato alla sepoltura, ellasi fece fare una casa3 e lìe stava die e notte piangendo. Ad-divenne in quello tempo che lo re fece appendere uno per lagola e comandò al suo cavaliere che 'l dovesse guardare, chenon fusse portato via. E guardando questi dÌ e notte, vennela terza notte che 'l cavaliere avea grandissima sete e fussiraccordat04 del luoco là dove era questa donna. Andolli edimandolli bere e la donna gli arrecò dell'acqua. Questi,quando la vide sì bella, disseli: «Voi piangete, e non vi tornaad alcuno utile». Tanto li disse, chIebbe di lei sua volontà. 5Tornando alle forche, trovò che l'uomo n'era portato;6 diche fue molto gramo,7 perchè temea della persona. 'Loratornò alla donna e disseli ciò che gli era addivenuto. Rispo-seli la donna: «Se mi vuoi impromettere di tormi per toa mo·

I si morìe: morì, per l'emozione.2 no"lla: non la. Cfr. Cornice, n. 22. , .3 una casa: una capanna, presso la tomba del marito. E la celebre e di-

vulgatissima novella della Matrona di Efeso, dal Satyricon di Petronio, consensibile incremento della misoginia espresso dall'inedita ferocia con cui lavedova placata nelle sue voglie si accanisce sul marito morto.

4 fussi raccordato: si ricordò, gli venne in mente.5 ch' ... volontà: consueta formula che indica il compimento dei desi-

deri amorosi.6 n'era portato: era stato portato via, sottratto.7 gramo: infelice, sconfortato.

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glie, io t'aitarò di questo pericolo». E questi glilo impromi-se. Disse la donna: «Togli questo mio marito della sepoltu-ra e appiccalo nel luogo di quello». Disse colui che sitemea8 e che no·ll09 farebbe. Venne la donna e tolse unastrappa lO e ligolla alla gola, dello suo primo marito e stra-scinollo insino alle forche; poscia disse a colui: «Or montasu le forche, e sì l'appicca». Ed egli disse che si temea.Ed ella montò susa e sì l' impiccòe, e disse: «Questi è queglich' era impiccato». Disse lo cavaliere: «Quegli avea unapiaga susa 'l capo, e questi non l'hae, di che si potrebbeaccognoscere». Ed ella disse: «Or monta su le forche conla spada in mano, e fagli la piaga». E quegli disse cheno·llo farebbe. Disse la donna: «Or mi dà la spada in ma-no»; montò su le forche e ferì lo marito nella testa sìcome gli avea detto quegli che lo guardava. Ancora diss'egli alla donna: «Egli avea dui denti meno dinanzi». Dissela donna: «E tue glieli rompi». E quegli disse che no·llofarebbe. 'Lora disse la donna: «Dammi una pietra, ed ioglieli romperòe»; e così fece quella allo marito. Poscia dissea costui: «Or mi sposa». E quegli rispose: «Certo non farò,ché, così come hai fatto a costui ch' era tuo marito, cosìfarestu ll a me, ed anca peggio, se fare si potesse». Orguardate, messer l'imperatore, come sono fatte l'opere del-le femine, sì che voi non dovreste dare fede alle paroledi vostra moglie.

Udendo questo, l'imperatore comandò che la sentenzafusse del figliuolo prolungata. 12

8 si temea: aveva paura.9 no"llo: non lo. Cfr. Cornice, n. 22.IO stroppa: corda.Il farestu: faresti tu.12 che ... prolungata: che l'esecuzione del figlio fossé nuovamente

rinviata.

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NOVELLA XII

E tornando la sera alla moglie, trovolla molto trista, sìcome l'altre fiate. Disse questa: «Così addiverrà a voi, messer l'imperatore, come addivenne a un altro imperatore diRoma, che fue ingannato da tre fanti». Disse l'imperatore:«Come fue?» 'Lora disse la donna:

Uno imperatore fu in Roma ch' avea una statova l d'uo-mo, la quale avea un arco in mano con una sitta;2 ed innanzidalla statova avea un fuoco che ardeva continuo, sì ch' eradi m.olta utilità a tutta gente, e massimamente a'poveri. Equella statova avea scritto nella fronte: cuiferirà me, io feri-rò lui. Venne uno prete pazzo e ferì la statova. Immantenen-te l'arco trasse nel fuoco e ammortollo. 3 Un'altra maravigliaera in Roma; ciò era uno specchio grande, nello quale si co-gnoscea ciascuna provincia ovvero città la quale si volesserivellare4 contra l'imperio di Roma. Un re era in Cicilia5 ilquale avea molto in odio li romani: ma per questo specchiono·lli6 potea offendere. Pensava come potesse disfare que-sto specchio; venne? a lui tre frategli per doverlo involare,8e disseno: «Che ci volete dare se vi l'arrecheremo?» Disselo re: «lo vi darò tutto ciò che saprete dimandare, acciò ch'iol'abbia». Impromiseli grande quantità d'avere: ed e' gli dis-seno: «Trovate tre barilette d"oro, che noi portiamo con noi».Fatto questo, andarono a Roma e le barilette ascoseno fuoridi Roma, l'una per sè,91'altre due insieme. 'Lora andaronoall'imperatore e disseno che li voleano parlare. L'imperato-

1 statova: statua.2 sitta: saetta, freccia.J ammortollo: lo spense.4 rivellare: ribellare.5 Cicilia: Sicilia.6 no"lli: non li. Cfr. Cornice, n. 22.7 venne: vennero, andarono.8 per ... involare: per rubarlo, intenzionati a rubarlo.9 per sé: da sola.

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re disse che venisseno, e quegli dissero: «Messere, noi sap-piamo trovare oro e li nostri insoniisono veraci». L'impera-tore molto desiderava di vedere oro ed avere, e molto liricevette benignamente. Disse l'uno: «lo mi sognai stanottech'io trovava una bariletta d'oro: datemi uomini che vegna-'no Ed andando dicea: «Menatemiin cotale parte, [anZI In cotale altra parte ]», per non mostrare che ciò fusse[ fatto a malizia], e mostrava che tuttavia precantasselO emesurasse terra, insino che fu là dove avea sotterrato la ba-riletta dell'oro. E quegli tornarono all'imperatore con gran-de allegrezza, ed egli disse: «Quale di voi si sognava di trovaredu' tant' oro?»l1 Disse lo secondo: «lo». E di questo fuel'imperatore molto aJJiegro, e attrovossjl2ledue barilette làdove erano riposte e ritornòe e nunciò questo oro. Lo terzodisse: <do so grande quantità d'avere». Disse l'imperatore:«lo voglio venire a vedere questo», e fecesi menare in quelloluoco là dove era lo specchio, e questi mostravano fare grandiorazioni13 e disseno: «Cavate qui». Disse l'imperatore:«Guardate che lo specchio mio non si guastasse». Disseno:«Faremo sì che non si guastaràe e che noi vederemo l'oroe noi stessi volemo cavare». El4 comincionno a cavarenamente intorno allo specchio, e feceno così insino alla sera'e disseno all'imperatore: «Dimane tornaremo e torremo que:st? oro». La quando ogn'uomo fue partito, venne que-stI tre frateglI, andarono allo specchio ed ebbenlo furato amesser l'imperatore e portaronlo allo re di Cicilia. E così vidico, messer l'imperatore, questi filosofi, con sue belle pa-role, v'ingannaranno.

Udendo questo, l'imperatorecomandò che 'l figliuolo fos-se menato la mattina ad impiccare.

IO precantasse: facesse sortilegi, con i quali predire i luoghi dell'oro." du'tant'oro: due volte tanto oro. '12 attrovossi: si trovarono, furono trovate.'orazioni: scongiuri, incantesimi.

l. E: nel testo Cappelli E'.

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NOVELLA XIII

Venne la mattina lo settimo filosofo all'imperatore e sa-lutollo, il quale villanamente l li rispose: «Ed imperò che ave-te così ammaistrato lo mio figliuolo, io gli farò perdere lavita, e la vostra vi sarae poco cara». 'Lora disse lo filosofo:«Messer l'imperatore, che vi move,2 a dimandagione d'unamalavage3 femina, volere fare morire vostro figliuolo?» Edisseli: «Se volete indugia al giudicio un dì fare, io vi diròuno bello esempIo». E quegli indugiossi, come avea fatto aglialtri. Disse lo filosofo:

Uno si avea una sua moglie, la quale commetteaavolteri04 con uno giovene; e una sera venne questo giove-ne e toccò alla porta. Quella mise cagione5 d'ire fuori peraltro, e andò a lui. Lo marito si 'corsé di ciò, e levossi e ser-rò la porta, sì che la moglie rimase di fuori. In quella terraera uno ordine: cui era trovato di fuori di casa dopo la guar-dia, sì era scopat07 per la città. E quella, vegnendo alla por-ta, pregava lo marito che li devesse aprire, e scusavasi molto.Egli non volea, ch;avea veduto l'avolterio. Dinanzi dalla ca-sa si avea un pozzo; e quella, essendo lì, tolse un sasso gran-de e mise10 sopra questo pozzo, e tornò al marito e disseli:«Se non mi lassi venire in casa, io t'imprometto ch'io mi git-tarò nel pozzo, 'nanzi ch'io voglia essere scopata». Disse lon:arito: «Or fostu annegata». 'Lora andò quella al pozzo,dIcendo: «Poi che no mi vuoi aprire, gittaroglimi8 dentro».Gittògli lo sasso, e fece grande rumore; e quella s'ascose

1 villanamente: in modo scortese.2 che ... move: cosa vi ha persuaso, spinto.3 malavage: malvagia.4 avolterio: adulterio.5 mise cagione: avanzò un pretesto.6 si 'corse: si accorse, si avvide.7 scopato: frustato. Dalla medesima fonte apuleiana di questa novella

(Met. IX 14-28), Boccaccio trarrà la novella di Pietro da Vinciolo (Dee. V lO).8 gittaroglimi: mi ci getterò dentro.

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dall'altra parte del pozzo. Lo marito, credendo che la fosseessa, si mosse a pietà ed aperse la porta ed andò al pozzoper vedere questa cosa. La moglie entrò dentro dall'uscio pia-namente ed ebbelo serrato, e cominciò a gridare molto for-te, e dicea: «Vedete questo puttaniere del mio marito, a cheora torna a casa?» Ed in quest09 vennero le guardie, trova-rono costui e menarolo in palazzo, e la mattina fu scopatoper la terralO. Onde vedete, messer l'imperatore, quali sonol'opere delle femmine, e non credete alle maill parole di vo-stra mogliere.

Udendo questo, l'imperatore rivocò la sentenzia.

NOVELLA XIV

L'ottavo giorno, lo giovene cominciò a parlare alle guar-die e disseli: «Fatemi parlare all'imperatore». Le guardie fu-ramo molto alliegri1 e immantenente venneno al signore edissenoli ciò ch' egli avea detto. L'imperatore molto fue al-liegro; comandò ch'egli venisse a lui. E quegli, vegnendo alui con grande riverenzia, gittassi a terra salutandolo e di-cea: «Padre mio, piacciavi d'udirmi. Meraviglia mi pare gran-dissima come la sapienza d'uno così savio uomo come voisiete si muova, a domandagione d'una così iniqua femina,a fare perire me, dilettissimo vostro figliuolo. E per avven-tura così addivenia a voi come fece ad un altro patre che,per invidia, volse annegare lo figliuolo». Disse l'imperatore:«Or di', figliuolo». E questi disse:

9 in questo: in quel momento.IO per la terra: attraverso tutta la città.Il mai: male, cattive.

I alliegri: al maschile, per concordanza a senso.

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Uno mercatante avea un suo figliuolo molto saccente2 emenollo seco in mercatanzia e navicò molto per mare. Unafiata arrivò presso una isola, e dui uccelli si poseno susa unalbore3 della nave, e cantavano molto bene. Disse lo mer-catante al figliuolo: «Hoe inteso che gli è d'uomini litteraticheintendeno certi uccelli». Rispose il figliuolo: «Non in-tendete voi ciòé che dicono?» Disse di no. Disse lo figliuo-lo: «Dicono che in tanto debbo essere glorificato in questomondo, che voi vi terrete ancora appagato se m.i vi lasseròdare dell'acqua alle mani, e mia matre potrà tenere la tova-glia». Lo patre mosso fue ad invidia e disseli: «Tu mai nonvederai quel giorno!», e prese lo figliuolo e gittollo in maree partissi, credendo ch'egli fosse morto. Come piacque a Dio,lo mare lo gittò all'isola sano e salvo, e lì stette due dì chenon mangiò nè bevve. Intendea gli uccelli che diceano: «Nonti muovere, chè tue avrai soccorso». Al terzo dì apparve unanave, e quegli fece insegna5 al patrone della nave; ed egli eramisericordioso e tolselo in nave. E lo patrone lo cominciòa dimandare di sua ventura, e quegli disse: «Datemi 'nanzimangiare» e, quando ebbe mangiato, sì narrò per ordine suaventura. Lo signore della nave non avea figliuolo niuno; pen-sò d'avere e di volere costui per suo figliuolo adottivo, per-chè era molto bello e che molto servia bene. Disse questosignore al giovene: «Poscia che saremo a terra, che ha' tueimaginato di fare?» Rispose lo giovene: «La mia volontà siè di fare sempre il vostro piacere, perché m'avete liberato,e sempre sarò vostro servitore». Lo signore l'annunciò allamoglie, la quale molto ne fue contenta, e tenianol06 per suofigliuolo, e molto li servia bene. A quello tempo era in quel-

2 saccente: savio. È questa la novella più «romanzesca» del Libro, ar-ticolata in più fasi, distinta in almeno tre nuclei narrativi e non esente datratti favolistici di chiara derivazione orientale.

3 albore: albero.4 ciòe: ciò, con -e paragogica.5 fece insegna: segnalò, fece segnali.6 tenianolo: lo consideravano, lo tenevano come.

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la città un re che, quando uscia fuori, tre corvi si gli ponea-no suso 'l capo, facendo grande rumore. Abiend07 soffertoquesto un grande tempo, tenialo in grande disgrazia e pen-sava che fusse per peccati che fossero in lui, e di questa cosaebbe grande infamia. A tanto venne, ch'egli fece bandire pertutto il suo regname che tutti suoi consiglieri e altri savi do-vesseno venire alla corte; e, se alcuno potesse trovare rime-dio in quello, ch' egli gli darebbe sua figliuola per moglie conmézzo il suo regname. Fu richiesto da certi savi questo si-gnore dalla nave, il quale avea questo giovene per suo figliuo-lo; e menollo con lui. E quando lo consiglio fue adunato,lo re propose la cagione per la quale elIo gli avea richiesti,alla quale niuno li sapea rispondere. 'Lora disse lo giovene:«Vogliovi dare lo mio consiglio», e disse: «Messer lo re, s'iodirò a voi perchè questo v'addiviene, daretemi voi vostra fi-gliuola con ciò ch'avete impromesso?» Ed egli glil promise.Disse quegli: «Questi corvi sono tre: uno giovene, uno vec-chio e una femina. La femina era moglie del corvo vecchio:egli la cacciò via da sè per un tempo di carastia, 8 e lo giove-ne la ricevette: ora viene il vecchio, e sì la dimanda al giove-ne, e quegli dice che non gli la vuole rendere. Or vi dimandanola sentenza; e sì tosto come l'avrete data, si partiranno». 'Lo-ra disse lo re: «Ed io la dòe, che la debbia essere del corvogiovene». E immantenente si partirono. E quando lo re fueliberato, sì dié la figliuola a questo giovene. Questo giovenerendéo grande cambi09 al suo signore. Addivenne che que-sto re morìe, e questo giovene fue fatto re. In piccolo tempofue una grande carastia nella terra del patre e della matre,sì che si partirono'e vennero nelle terre di questo suo figliuo-lo. Cavalcando questo giovene per hl terra, inscontrossi nelpatre e nella matre e conovveli, lO e mandò suoi donzelli die-

7 Abiendo: avendo.8 carastia: carestia.9 rendeo '" cambio: ricambiò, compensò largamente.IO conovveli: li riconobbe.

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tra a loro per sapere del SUOli albergo. E la mattina tolsegrande compagnia di gente ed andò a loro a casa dell'ostee disseli ch'egli volea desinare con loro; e fece bene apparec-chiare da mangiare e tornò a ora di mangiare; della qual co-sa gli suoi cavalieri moltq, si maravigliavano. E lo re dimandòdell'acqua per lavarsi le mani, e lo patre tolse l'acqua in ma-no, e gittassi ingenocchioni in terra, e la matre tolse la tova-glia. Disse 'lora lo re: «Or lassate fare li miei famigli», ecomandò che lo patre fosse posto in capo di tavola, 12 ed egliandò presso di lui, poscia sua matre con altre donne. Fattoil desinare, disse lo re al patre e alla matre: «Com'è il vostronome?» E questi glil disseno.·Poscia disse al padre: «Cogno-scetemi voi?» E quegli allora li parve suo figliuolo, e posciasi pensava che l'avea gittato in mare. Disse lo re al patre:«Quale male v'addivenne per l'onore mio?13 E sappiatech'io sono vostro figliuolo, il quale voi gittaste in mare: iosì vi perdono, e voglio che siate signore di tutto il mio regna-me». E molto furono alliegri il patre e la matre. Così dicoa voi, messer l'imperatore, che male facevate a farmi taglia-re la testa, chè per me' sarae condotto14 tutto ìl vostro regna-me. Dunque fate brusare15 questa ria femina che haecommesso tanto male, com'è di volermi torre la vita.

Veggendo questo, l'imperatore comandò ch'ella fosse bru-sata immantenente.

La cagione perché questo giovene non parlòe in VII dì,fue per la stella ch'egli avea veduto e per campare lo perico-lo della morte. E la sua sapienza reggé16 per tutto il mon-

11 suo: loro.12 posto tavola: in segno di massimo onore.13 Quale mio?: che danno avete avuto dalla mia fortuna?14 pur ... condotto: sarà retto da me.15 brusare: bruciarè.16 reggé: resse, fu nota e diffusa.

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do, e ciascuno venia a lui per consiglio. 17 E poscia che l'im-peratore fue morto, regnò costui nell'imperio molti anni ingrande pace per lo suo senno; ed agli filosofi chelostronno e camponno da morte donollimolto grande tesoro,e fecegli grandissimi signori.

17 e ... consiglio: il figlio dell'imperatore si conferma nel ruolo topicodi giovane-vecchio, giovane d'età, ma saggio e posato come un anziano. Que-sto modello, già classico, conobbe vasta fortuna nel Medio Evo: uno deisuoi esempi più antichi e divulgati è costituito dal protagonista della Leg-genda di Barlaam e [osafat, biografia leggendaria e cristianizzata del Go-thama Buddha.

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Conti di antichi cavalieri

[ Conti di antichi cavalieri, dopo il ritrovamento ad opera di P. FANFA.NI (Firenze 1851), gli studi di P. PAPA e F. DE BENEDETTO e le edizioni par-ziali di C. SEGRE (Prosa del Duecento cit., pp. 547-54) e S. Lo NIGRa(Novellino e conti del Duecento, Torino 1963, pp. 291-312), sono stati editicriticamente da A. DEL MONTE prima in «Studi mediolatini e volgari», X,1962, pp. 161-207, e in seguito a ulteriori ritrovamenti, con notevoli varian-ti testuali e grafiche, in Conti di antichi cavalieri, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1972.

Nel riproporre quest'ultima edizione ho apportato al testo alcune va-rianti grafiche, la più importante delle quali è la normalizzazione dell'indi-cazione dell'assimilazione fonosintattica, parziale o totale, nel punto in alto• ; questa consuetudine, introdotta da DEL MONTE solo nell'edizione in vo-lume, è tuttavia anche qui affiancata o sostituita dall'accento circonflesso

che ho quindi eliminato. Ho inoltre reso sempre in e, ed i frequenti et,ho eliminato gli apostrofi in fine di parola tronca - pro' = pro - ed horivisto la punteggiatura, modificandola in più punti. Alcune proposte di in-tegrazione, comunque di piccolissima importanza, sono racchiuse fra pa-rentesi uncinate < ), mentre in nota sifornisce il testo delmontiano. Nellenote linguistiche, la sigla Rohlfs seguita da un numero arabo rinvia alla pa-ragrafatura di GERHARD ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana edei suoi. dialetti, Torino, Einaudi, 1966, voll.3.

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Autor che soficientemente sì ha detto sori le dette vertùe 'l modo e a che intenzione orno dea operare e parlare, que-sto soltanto dP dire ha: saver, cioè apprendere, basta a bo-no volere,3 per cui solo quello che detto è·sse dirà. Se scriveancora per diletto e per più nostro amaestramento in tantocontare d'alte operazioni e valorose e detti saggi e belli e digran sentimento a·cciò che sempre inviament04 bono ne pos-sa avere e·ppigliare ciascuno cui governa.

I - CONTO DE ECTOR DE TROIA

Li grandi savi ed auctori pusero l che Etor fa solo el piùvertuoso cavaliere e valoroso ch'al mondo e·llo2 suo tempofosse, né d'esso, come de li altri, non se scrive per li auctori:«Cotale cosa fece»; ma insomma dicono ch'e·lluP fo onnebontàcompitamente.4 E quello che fece Alixandr05 testemo-

J sor: sopra, a proposito di.2 di: da.l saver '" volere: imparare il bene, saperlo, è sufficiente alla volontà

per praticarlo.4 inviamento: suggerimento, esempio, consiglio.

I pusero: posero, sostennero. La forma in u, già presente in Guittone,pare di derivazione umbra (cfr. Rohlfs 71).

2 e'/lo: en lo, nello, con assimilazione fonosintattica, comune nel testo.l ch'e'/lui: che in lui. Cfr. nota prec.4 /0 ... compitamente: fece ogni possibile atto virtuoso in modo

compiuto.5 Alixandro: Alessandro Magno.

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nia ben ciò, ché, passando esso per lo paese de Troia e tro-vando lo pil06 de Ector, comandò che tucto l'oste suoalbergasse7 e facesse onore al pila dello megliore cavaliereche mai fosse issut08 al mondo. Ed esso scavalcò e fece ono-re e reverentia grande al pila suo. Certe cose enfra l'altre,le quale fuoro molte, mostrano el senno e valore suo e corte-sia.9Largezza e gran francezza sualO senno suo mostra. Di-co che la cosa che magiurmente a rattezza1l move è engiura,e specialmente quello che specta al padre de l'orno; undequando el padre, li fratelli e li altri de Troia tucti voleanocominciare contra li Greci guerra, Etor, cognoscendo el sen-no, la forza e la bona cavallaria de Gretia, non volse alorade li Greci la guerra, ma volea apparechiarse de navi e guar-dare tempo tale che cominciare12 non tornasse a mala fine.De ciò non fa creduto, unde fa Troia distructa. Apresso èprova del senno e grande suo cognoscimento che, essendocapetano e signore de la gente di Troia e de bene cento miliacavalieri e più, e facendose temere più che signore mai faces-se alcuno - ch'esso dicea: «Quelli che fugerà de la batallianon fugerà da li cani», ché le sue carni fada a li mastini man-giare -, e facendo ciò, sì savio portamento esso facea checiascuno de lui se contentava, né alcuno invidia a lui porta-va, né desideravano altro signore che lui; ma per amore delui se sforzava ciascuno più de mellio13 fare. Ed esso fo sìcortese e di tanto cognoscimento fino che sempre, quandotornava de la batallia e ciascuno altro dìe, andava a li alber-ghi de li cavalieri, a l'infermi vedere e fare servire, ed onorare

6 lo pilo: la tomba, il sarcofago.? l'oste .. , albergasse: il suo esercito si fermasse.8 issuto: stato, vissuto.9 cortesia: il complesso delle qualità che deve possedere chi frequenta

la corte.lO Largezza .,. sua: la sua generosità e il suo coraggio.Il rattezza: velocità di decisione, precipitazione.12 cominciare: sott. la guerra.13 mellio: meglio.

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e servire onne altro cavaliere co>14 convenia. Largo fa tantoche, si co' 'l libro dice, che15 se l'oro tucto e·116 mondo sta-to fosse suo, sì l'averia donato a bona gente. E nota cheapo17 lui oro né cosa alcuna remanea, che solamente lo suobon volere. Ed esso fa solo d'arme el più sicuro e 'l megliorecavaliere e che i magiori e più valorosi facti de cavalaria fe-ce, che fosse en elsuo tempo alora e fos(s)e I8 mai. E ciòcredere se dia,19 ché sovr' a Troia fo tucta la megliore e ma-giure e più possente e ricca cavaliaria del mondo, e per losenno e valore suo sì loro contrastava che, mentre vivo fo,d'onne batallia aveano quasi ei Greci el pegiore, e, se essoviss020 solo più uno anno fosse, averiano in tucto li Greciperduto. Ed elli fa solo in Troia el cavaliere più amato ch'almondo fosse mai. E sempre, quando Etor tornava da la ba-tallia, non remanea en Troia né donna né donzella né cava-liere che non traesse21 a vedere lui, e li più, de l'alegrezza delui vedere e de l'amore ch'a lui aveano, piangeano, dicendoad alto li plusori:22 «Quelli porta el fiore supr'a tucti ei mel-liori e quelli è la speranza e la defensione nostra»; pregandoDea come bisogno loro era lui defendesse. 23 Né esso mai pergioia né per ira non fu menato iust'a medire.24 E lo re Priantdicea ch'eli non vedea che Etor potesse esser figliolo d'ornocarnale, ma de li dii propriamente.

14 co': come.15 che: la ripetizione pleonastica della congo che dopo una parentetica

è tratto comune della prosa antica. Cfr. C. SEGRE, Lingua, stile e società,Milano, 1963, pp. 113, 200, 241.

16 e'/: en el, nel.17 apo: appo, presso.18 fos(s)e: fossero accaduti.19 dia: deve.20 visso: vissuto.21 traesse: andasse.22 li plusori: i più, la maggior parte (franc. pluseurs).23 come ... defendesse: perché avevano bisogno che Dio lo proteggesse.24 iust'a medire: fino a dir male di qualcuno. Calco dal franco ant. ju-

squ'à médire.

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II - CONTO DE" AGAMENON

Agamenon fo savio cavaliere e vertuoso e prol d'armi,e per dilecto e buono asemplo alcuna cosa de lui brevementediròne.2 Mostra apertamente el senno e valore S03 grande efranchezza quando Paris de Troia Elena al re Minelaus fratesuo tolse; el quale, per la vergogna e dolore che de ciò ebbesì grande, tanto esconfortò4 che quasi a morte venne. Essonon de ciò escomentò,5ma confortò el fratello dicendo lui:«Guardate bene ch'alcuno non si possa avedere ch'abbi do-lore né ira, ché li antecessori nostri, che senno e valore ebbe-ro tanto, en dolore néd e<n) pianto non acquistaro lo lorogrande onore; ma, quando era loro facta ingiuria, ingegnoe cura prendeano de ciò vendecta pilliare;6 e chi no ha dan-no néd aversità come cognosciarà e porrà suo valore? Maim·pace? ed in guerra, e ora povero or rico devenire,8se co-gnosce cavaliere». E confortato lui, ordenòe ch'a parlamen-to fuoro li baroni e i re tucti de Grecia, dicendo loro: «Voisapete, signori, che quello ch'ora ha facto Paris no è factoper noi ed a noi propriamente, ma è facto e pertene ed a voied a ciascuno de Grecia comunamente, ché ciò che quelli deTroia han facto noi9 l'hanno facto per quello che li anteces-sori nostri ai loro fecero, unde è 'l grande onore ch'essi aloro ed a Gretia acquistaro. Non se perda ora in voi el fac-to. IO E noi semo vostri sovr'a ciò. Ciascuno a l'onore de la

l pro: prode, valente.2 diròne: dirò, con aggiunta di -ne paragogico, frequente in Toscana

meridionale e nei dialetti dell'Italia centrale.3 so: suo, in forma di tipo umbro.4 esconfortò: cadde in prodondo sconforto.5 escomentò: si sgomentò.6 pilliare: pigliare, prendere.7 im'pace: in pace, con assimilazione parziale (cfr. Rohlfs 242).8 e ... devenire: nell'accettare con pari serenità la povertà e la ricchezza.9 noi: a noi.lO Non ... facto: non fatevi sfuggire l'importanza comune dell'accaduto.

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corona sua e del valore suo grande guarde».ll E tanto dissee fece per lo grande valore e senno suo, che ciascuno s'arecòpiù la 'ngiuria a sé facta ed ordenaro tucti comunamente d'an-dare ad oste a Troia, e cusìl2 fecero. Ed essendo là feceroAgamenon emperadore de tucti; ed esso, poi che fa en lo pae-se de Troia, ebbe li re e li baroni e li gran cavalieri tucti aparlamento. Enfra loro fece una de le più e eddeciarial3 che giamai facta fosse, e consegho ch ambascla-dori devesserosel4 a Troia mandare a domandare Elena, mo-strando che magiure senno e più loro onore era se la poteanoper pace raverel5 che toHierla16 per guerra. E ciò fra l'altrefece per tre proprie rascione. Prima, per la ratione poneredal lato suo; apresso, ch'eHi volea prima Elena perch'anda-vano en pace che nel dubio de la bataglia stare; la terza fo,se ciò non faciano l? quelli de Troia, per l'anemo de li Grecipiù indurre contra loro. Anco è prova del gran senno che lacosa che più desidera orno è signoria, e che sostenere menopò, che a lui sia tolta; ed esso, quando Palamidesl8gliosamente contra lui disse ch'ei non volea avere 1m plU asignore e ch'eHi no era de tal signoria degno, ed eHi soffreotucto per far lo melliore,19 renunzò de pian020 e borri volerela signoria e fo alar signore Palamideschiamato. Ed esso poico' 'l menore de l'oste obedio lui; e poi, morto Palamides,ej21 Greci de capo rechiamaro lui signore, e ciò credere se dia

Il guarde: guardi, provveda. Il congo in -e dei vbb. della P coniugo ènormale nella lingua antica.

12 CliSÌ: così.13 deciaria: discorsi, dicerie; la forma del plurale pare affine al tipo le

corpora, comune in Italia centro-meridionale, descritto da Rohlfs 370.14 devesserose: si dovessero.15 ravere: riavere.16 tollierla: prenderla (lat. tollo).17 faciano: avessero fatto.18 Palamides: Palamede, eroe greco.19 far ... melliore: per ottenere il miglior risultato possibile per i Greci.20 de piano: generosamente, senza indugio.21 ei: i.

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non fo for gran rascione,22 ed en sua signoria per suo de-fecto per alèuna cascione né d'alcuno tempo mai non rece-vectero li Greci dannagio.23

III - CONTO DE SCIPIONE

Scipione fo uno cavaliere de Roma el quale fo el più sa-vio de guerra e de tucte cose e ch'ebbe el più alto e gentilevolere che cavaliere che fosse e·Ilol suo tempo al mondo. Epreseli2 sì bene de tllcte le cose ch'esso emprese e fo tantogratioso che li Romani diciano ch'esso parlava colli dii. Ede li grandi facti suoi brievemente alcuna cosa dirò. Al tem-po che'l re Anibal3 de Cartagine e delle parti d'Affrica pas-sòe coll'oste sua in Espagna, che alora era SO'4 la signoriade Roma, e' posese ad oste5 a la cità de Saragosa e venselaper fame e vense tucta Ispagna. E poi lasciò Astrubal suofrate in Espagna'ed esso venne verso Roma. E quando fa enLombardia, li Romani li mandaro encontra doi consoli, e l'u-no fo el padre de Scipione decto. E combatier06 con Anibale·Ili Romani perderono, e anche ricombatterono i·l Lombar-dia e·Ili Romani perderono, e·ppoi li Romani di capo si guer-

22 for ... rascione: senza importante ragione.23 dannagio: danno (frane. ant. damnage).

1 e'llo: en lo, nello. Cfr. Ector n. 2.2 preseli: gli accadde, gli riuscì.3 re Anibal: il condottiero cartaginese, come tutti gli altri personaggi dei

Conti, subisce il comune processo di assimilazioné del mondo antico ai ca-ratteri del mondo cavalleresco, che è proprio di questa operetta e di tuttele opere medievali congeneri: le gesta militari sono riservate e tipiche deire, principi e cavalieri, come lo stesso cavaliere Scipione.

so': sotto (lat. sub).5 posese .. , oste: schierò l'esercito attorno, assediò.6 combatiero: come i segg. recombatiero, perdiero ecc., presenta una

singolare dittongazione da una e latina; per questi casi, cfr. Rohlfs 51 .

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nirono e ·ccombatterono e·mMuscell07 a lato el fiume, equasi tucti fuoro morti e presi li Romani. E poi Anibal n'an-dò in Pullia. Incontra li fuoro mandati doi consoli, Teren-tius e Bectro,8 e combactiero con Anibal; infine fuoro liRomani venti.9 E poi li Romani tucti comunamente comba-tiero con Anibal e fo la magiur bataglia che fosse en quellotempo; ma li Romani perdiero e fuoro morti multi de li se-natori e de li consoli e delli altri grandi Romani. E mogi lOd'aneIli, de quelli ch'aveano li Romani che fuoro morti e pre-si, mandò Anibal per segno de victoria en Cartagine, e se fosseandato a Roma averia 'lora avuta la terra. E de questa bata-glia li Romani isgomentaro sì che non ardiano poi de com-bactere con Aniba!. E 'lora ordenaro li Romani de mandarein Espagna contra Astrubal, frate d'Aniba!. E non trovandochi ce volesse andare, Scipione de sua propria voluntà se pro-ferse d'andare. E così fecero altri poi d'andare co lui. E, cer-cato el tesoro di Roma, sì era consumato en la guerrad'Anibal, che non se trov(ò) da potere pagare li cavalieri chedeviano andare con Scipione. Alora Valerio ciò ch'avea ed'arnes' e de donne e de tesoro fece venire in communo. Ecosì fecero molti poi, e nota che per questo inviamento llcampò Roma. E 'l dieto Valerio fo sì umele ch'avendo le ca-se sue più alte che quelle de li suoi vicini, le fe' a le loro ugual-liare, ed essendo consolo di Roma quando venne a morte nonli se trovò tanto che·llil2 se potesse fare quello ch'era usan-za alora a la sepultura sua. E de la morte sua se dolsero li

7 Muscello: Mugello, in realtà ben distante dai luoghi della battaglia delTrasimeno, a cui si allude.

8 Bectro: deformazione da Varro, Varrone, già presente nella fontefrancese. Caduto qui il nome di Lucio Emilio Paolo, il compilatore ha sdop-piato iI nome di Terenzio Varrone.

9 venti: vinti.IO mogi: moggi, misure di frumento.Il inviamento: cessione, messa in comune a vantaggio dello Stato.12 che' Ili: che gli.

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Romani sì ch'uno anno continuo el piansero. Or se retornia Scipione. Esso andò en Espagne a combattere con Astru-baI e venselo, ed ebbe tucto el tesoro ch'Anibal avea lasciatoa lui. E dato a ciascuno de li suoi cavalieri quanto se conve-nia, esso mandò li prescioni13 e l'avere e tucte le cose a Ro-ma, ned a sé alcuna ne tenne, e poi tucta Ispagna per forzad'arme vense e, come soipgònel4 per forza d'arme, così persavio portamento la tornò de bono volere sotto la signoriade Roma. E facto ciò tornò a Roma; il quale a grande onoree con grande alegrezza fa recevuto. Ed anca li Romani fuò-ro ensieme e non ardiero de combattere con Anibal ch'erain Pullia, ma ordenaro de mandare en Cartagine. E Scipionese proferse in essa andata. E là andòe con assai bon cavalie-re, e combateo con Antenore duca d'Africa, e nella primabattallia ucise de quelli d'Antenore .XI. m. e .XIII. m. ne pre-se. Ed anca poi combateo con Antenore e fo tucta la gented?Antenore quasi morta e presa, ed esso Antenore fa preso.E de tucto quello avere ch'abbe, dede quella parte ai soi co-me convenne, e l'altro aver tucto em·prescioni e preda edAntenore medesmo mandò a Roma, né cosa alcuna a sé deciò tucto retenne. E poi quelli d'Africa domandaro pace alui, ed esso demandò tanto termene a respondere che potes-se pria mandare15 a Roma, sì com'orno che volea inanzi es-sere so' la signoria de Roma che per sé essere signore. Emandato esso a Roma, li Romani li mandaro a dire che detucte le cose facesse secondo l'albitro16 suo. Ed entendendoAnibal che Scipione era passato in Affrica, incontenente separtio d'Italia e andosene in Affrica, e stette Anibal in Italiaanni .xv. E, passato in Affrica, combateo con Scipione, eperdeo la bataglia Aniba!. Ede capo Anibal e li Cartaginesie tucti li Affricani combatiero con Scipione, e tucti fuoro mor-

13 prescioni: prigionieri.14 soiogòne: la soggiogò.15 mandare: mandare un messaggero.16 albitTO: arbitrio, per dissimilazione tipicamente popolaresca.

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ti e presi quasi, ed Anibal con quattro se partio de la battal-li.a. E partito Scipione l'avere fra li cavalieri suoi la parte aCIascuno data che convenia,17 li prescioni e l'altre cose tuc-te a non per sé retenendone alcuna. E poiSCIplOne soctomise a Roma tucta Africa, e ciò facto tornòa Roma, el quale sì co' devea fa rècevuto e per questo fa chia-mato Scipione Africano. Ed en quello tempo apressò li Fran-ceschi e a la prima battallia fuoro morti de li Franceschi .x.m. Ed anca recombatiero de capo e fuoro morti de li Fran-ceschi .XI. m. e dei Romani .v. m. ed en tucto perdiero liFranceschi. E Scipione dé a ciascheduno de li suoi cavalieriquella parte ch'a lor convenia, e li pregioni e l'altre cose tuc-te remandò a Roma, non de ciò alcuna per sé retenendo. Ede capo an.co si mandò contra Antiocus, 18 el qualefa uno de II baroru a cui Alexandro partio el mundo. Ed Ani-

de cui decto averno de sopra, s'era acompagnato con An-tlOCUS. Ed Anibal e Scipione se parlaro enseme pacificheparole e meravellia fa ad entendere le parole loro e de viderela fiertà19 dei loro visi, ma pur acordia fra loro no fa aloraE fa la batallia grande e per mare e per terra. Ma infinebaI ed. la perdiero, ed Anibal campò de labatalha: E pOI AntlOcus fece pace con Scipione, e dede a liRomaru .x. m. libre d'oro e lasciò Europa ed Asia e dé sta-gi. 20 ciò !acte> e a ciascuno dei cavalieri sai quella par-te a lUI converua senza retenerese a sé, Scipione collipreglOne ed cose retornò a Roma, lo quale, come un

fosse qUasI, fa recevuto. Ed en quello tempo apresso quel-II e de Cartagine se ribellaro a Roma. E nun setrovo neuno Romano che volesse andare contra loro, e Sci-

17 • • dera gIUsto.. overoso ..!! motivo della generosità di Scipio-ne I SUOI e del suo dISInteresse personale è insistentemen-te per la cortesia del protagonista.

. AntlOc"!s: Il re dI dIscendente del diadoco fondatore della di-con CUI mgenuamente il compilatore lo confonde.

flerta: fIerezza.20 stagi: ostaggi.

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pione se proferse volere andare. Ed andò in Ispagna, e fecegrande bataglie ed ucise assai e prese, e combateo con unocavaliere a corpo a corpo e venselo, e tucta Ispagna vensee somise socto Roma, e tornò a Roma. E poi fo mandatoScipione in Affrica, e là vense multe battallie e poi assediòneCartagine, e per sei die la combateo. E vedendo quelli de Car-tagine che non se poteano defendere, tucti s'arendiero libe-ramente a Scipione se nUJl un fratello d'Anibal ch'enanzi sevolse ardere e sé e i figliuoli che rendere sé a Scipione: furo-no li uomini presi .xxx.m. e le femene .xxv.m. E 'n Carta-gine se trovò multitudine d'oro e de tesoro e de tucte gioiee richezze: l'avere de cose ch'erano state de le terre dei Ro-mani ch'Anibal avea conquise, tucte fece rendere a quelli decui erano state; e de l'altro dé a li suoi cavalieri co' conve-nia, e l'altro tucto reportò a Roma senza per sé tenerne alcu-na cosa. E·llé! parte d'Espagna era una grande cità ch'aveanome Nomanzia,22 la quale per neuno tempo non avea obe-dito a Roma. Ed aveanoci li Romani multi volti23 mandaticonsoli e cavalieri, né una volta era stato ch'en la fine li Ro-mani nond,24 avessero avuto danno e vergogna, però che liNomanzini erano tucti li più franchi omini del mundo d'ar-me, e la terra era posta in montagna, unde li Romani ce man-daro Scipione. Ed elli combateo con li Nomanzini. E fa labatallia grande molto, ma li Romani avevano firmamente25perduto, non fosse26 el confortamento e la franchezza deScipione. Unde durò la batallia tucto el dì né una de le partiper:deo. Partita la nocte la bataglia, Scipione, come savio,

21 E'lle: en le, nelle.22 Nomanzia:come le precedenti vicende della III Guerra Punica, an-

che la presa di Numanzia (133 a.C.), opera di Scipione Emiliano, viene at-tribuita all'AfricanQ, morto da settant'anni.

23 multi volti: molte volte.24 nond': non, con l'aggiunta di un suono di transizione in precedenza

di parola con iniziale vocalica.25 firmamente: certamente, senza dubbio.26 non fosse: se non fosse stato per.

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vidde che quella gente non era da poderse mai ventiare27perbataglia. La nocte decta ordonòe che la magiure partede li suoi cavaliere devessero combattere a pè per lo malterreno e li altri a cavallo. E così combatendo ogni dì,sempre facendo el fosso e lo stecato torno la terra, e' tantosostenne la battallia ciascun dì, enfine ch'ebbe facte fareel fosso con ripi e con torri de legnami e lo stecato intornoNomantia. E facto ciò facea guardare d'entorno. E quellide Nomantia usciano fore e rechiedianoli de combattere,e Scipione facea stare la gente sua pur dentro da lo stecato,sì che, sempre che li Nomanzini veniano a combattere,receveano grande danno con salvezza de la gente de Scipio-ne. E tanto durò l'oste che quelli de Nomantia non aveanoda mangiare. E quando viddero che non poteano né com-battere né durare più, de concordia li uomini e le femenes'uscisero ed arsero la terra. E Scipione neuna cosa volsede Nomantia se non che la cictà tucta tornasse en cenna-re,28 e che neuno ne scampasse, e cusì fece, perché volsedestrugere le battallie presenti e che deveano venire. 29 Epoi ch'ebbe destructa Nomantia, multe cictà d'Espagna ch'e-rano ribellate a Roma, Scipione le vense e retornò soctola signoria de Roma. Ed em quello tempo fo morto Atal-lus,30 re d'Asia, el quale fo el più rico che fosse e·llosuo tempo al mundo. E perché udìo tanto lodare Scipione,non avendo figliuoli, fecelo sua reda,3! e li Romani cia-scuno per miità sue erede32 istituìo. E Scipione disse che

27 ventiare: vincere.28 cennare: cenere, con allungamento di n postonica proprio dei dia-

letti umbri, marchigiani e toscano-orientali.29 perché ... venire: volle eliminare il pericolo presente e i futuri,

causati dall'indomabilità dei Numantini.30 Atallus: Attalo III cii Pergamo, che donò morendo il suo regno

ai Romani (133 a.C.).31 sua reda: suo erede.32 miità sue erede: suo secondo erede.

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non piacesse a Deo ch'esso, ch'era cictadino e soctoposto aRoma fosse compagno de la sua signoria; e tucto quello re-gno ed avere volse che fosse. de Roma. E, facto ciò, tornòa Roma. Eden quel tempo venne gran discordia fra li gentilie grandi Romani e 'l popolo. E questa discordia aveano messadoi consoli per superbia e per avaritia e per voluntà de si-gnoria. Scipione grande tempo defese che la briga non cor-resse fra loro, ma vedendo che per neuno modo remanerepotea e ch 'l torto era dal lato del popolo e che tucto quellomale facieno quelli doi consoli, posese contra quelli doi con-soli ed uciseli33 e tornò el popolo a quello che devea. Ed es-so venne de tanta auctorità che quando era e·llo conselliode Roma 0'11034 cumune alcuna divisione o discordia d'al-cuna cosa, ciascuno stava contento e credea lo melliore quan-do Scipione dicea solo, senza asegnare altra rascione: «Questocredo el melliore». E Scipione disse un dì, rascionandose dedissiderio carnale, che mai de victoria ch'elli avessi avuta perlo comuno de Roma noe35 avuta avea alegrezza ·e·llo core.suo quanta avé che mai carnale volere no'l mosse né vense.Unde esso murìo puro senza corruzione d'operatione carna-le.36 E poi che fo morto Scipione, molte proventies'aribellar037 contra Roma ed a li Romani cominciò a pren-dare male de tucte loro battaglie. E stando un dì a conselliosupr'a quello che doveano fare, cominciaro a dire: «Bene parech'è morto Scipione». E 'lora ordenaro che l'ossa suoe se

33 ed uciseli: è qui adombrata la tragica vicenda dei Gracchi, Tiberio eCaio, tribuni delle plebe qui senz'altro divenuti consoli.

34 'Ilo: e'llo, nello.35 noe: non, nella comune forma toscana no più vocale paragogica.36 Unde ... carnale: l'assimilazione di Scipione a eroe dell'etica tardo-

cavalleresca ne comporta una quasi-santificazione, a cui subito appresso con-corre il presunto uso miracoloso delle reliquie, poste in un ipotetico Car-roccio. Di essa è elemento importante la castità: è la morale del Graal,proposta da Chrétien de Troyes e vastamente diffusa nella letteratura due-centesca, fondata sull'esaltazione delle virtù cristiane e cavalleresche, or-mai fuse e indistinguibili.

37 s'aribellaro: si ribellarono.

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tollessero e per segna, sempre che veniano a combattere, seportassero denanzi a la schiera. Così facendo, e perla spe-ranza ch'aveano en l'ossa suoe, comenzaro a ventiare tuctele battallie e soctomiserose tucte le provintie che s'erano ri-bellate. E Scipione amò più d'essere so' la signoria de Romae compagn038 non amò d'essere signore.

IV - CONTO DI FABRIZIO

In quello tempo che li Romani cominciaro guerra a quel-li de Tarento, però ch'aveano aiutati quelli de Benevento,quelli de Tarento mandaro per aiuto al re Firr? E Pirro cor:grande oste e con multi alifanti! venne enn·alUt02 de quellIde Tarento e venne en Italia. E li Romani li mandaro incon-tra Levinus consolo. E combattiero insieme e vento averia-no li Romani, ma per cascione de li alifanti, colli quali liRomani non aveano anco alora usati de combactere, li Ro-mani perdiero, e fuoro in multi morti e presi. E Pirro, ve-dendo ei visi de li Romani e sapendo la franchezza loro econoscendo ch'elli no aveano perduto per loro defect03, limorti fece, CO'4 più poté onoratamente, soterrare, e li pre-scioni tenne cortesemente facendoli molto servire. E poi, trac-tandose se pace da Pirro e li Romani si potea fare, li Romanimandaro Fabritio per am.basciadore, ch'era consolo de Ro-ma. E Pirro, entendendo la bontà de Fabritio, li disse: «Setu vuoli essere mio compagno, eo te dearò la meità5 delregno». E Fabritio disse ch'amava più d'essere citadino e con-

38 compagno: come in .frane. am. campagnon, cavaliere come i suoi pa-ri, unito ad essi da un sacro patto d'armi e di fedeltà.

l ali/anti: elefanti.2 enn- aiuto: in aiuto. Cfr. Rohlfs 223.3 per ... defecto: per loro colpa.4 co': come.5 meità: metà.

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2 e-ile: en le, nelle.3 in ... entendo: ho mire, desidero questo.4 Rabia: l'Arabia.5 prete: pietre, con metatesi popolaresca assai comune (cfr. Rohlfs 322).6 convoitosità: desiderio, brama. Cfr. franc; ant. convoitise.I revelò: ribellò, come poco sotto riveilaro = 'ribellarono'.

6 sostenere: astenere.

solo de Roma che re. E perché li Romani biasmavanoche Pirro avea presi e diceano che no aveano per omini quel-li ches'aviano lasciati prendere armati s'eHi non recompera-vano prima l'arme, e Pirro, sapendo ch'eHi nocolpevoli, li Romani ch'avea presi, ch'erano .Vlll.m.,liberamente li lasciò. Alora fecero li Romani una pacecerto tempo con Pirro. E compiuto el tempo li Romani re-mandaro contra Pirro Fabritio; ed essendo l'oste presso,medico de Pirro venne a Fabritio celatamente e disseli che,s'elli li volea dare cotanto avere, ch'eHi ucidea Pirro. E Fa-britio prese el medico e mandòlo preso a Pirro. E quandoPirro vidde ciò disse: «Questo ha facto Fabritio, lo qualeporria così sosteneré de fare bontà come el sole del corsosuo». Ed essendo Fabritio voluto corompere da un re per ave-re, respuse: «Li Romani non desiderano l'oro, mach'hanno l'oro».

v - CONTO DI POMPEIO

poi fo mandato contra Mitridate e·lle2 parti de Costantino-poli, el quale Mitridate avea bene .XL. anni guerra coHi Ro-mani avuta, e de nocte in tal guisa l' asalse a li padiHioni che,senza danno de li suoi cavalieri, de queHi de Mitridate ucise.XX. milia. E Mitridate, perché fo sì sconficto, de lo grandedolore ch'abbe negò li dei suoi ed ucise duoi suoi propi fil-lioli. E poi vense una cictà, là dove Mitridate era recoverato,ed esso morto fo e tutto 'l regno suo soctomesso a Roma.E poi andò Pompeio sopr'a el re Tigranes, che s'era rivelIa-to incontra a Roma, e Tigranes, vedendo ch'eHi non poteaa Pompeio contrastare, volseli la corona del regno suo dare;ma Pompeio quello onore per sé recevere non volse, dicen-do: «lo non so' degno de corona portare né in ciòentend03». Ma perché senza cagione se rivellò a Roma, or-denò ch'esso desse a Roma l'anno de censo. VII. millia demarche d'argento. E poi andò sovra Brete, re d'Albania, evenselo, e de concordia promise de dare certo tributo a Ro-ma. E poi somise a Roma Iberiam, Itureos e Rabia4 ed Ar-menia minore, e Armenia dede a Diodato, el quale avea liRomani molto aiutati e·lla guerra ch'avero con Mitridate.

Pompeio fa vertuoso cavaliere e savio e de gentile aUIt;;UlU,c;(!!! E poi andò in Gerusalem, dove dai fratri regnavano 'lora,e giusto ed amatore de Roma e de la comune utilità. E fa d'are Urtagnus eAristobolus. E presa Gerusalem, intròe e-llo tem-mipromoltoedecorefrancoefermo,edelifactisuoi pIo de Salomone, e-llo quale era grande moltitudine d'oromente alcuna cosa dirò. In quello tempo che Sertorius e d'argento e de prete5 pretiose. E Pompeio neuna cosa derevelò1 in Espagna contra li Romani, ed avea presi e morti quello grandissimo tesoro volse tocare. E questo credere seli consoli e 'cavalieri tucti che li Romani [tucti] contr'a lui pò facesse per dai speciale cascioni: prima, per nun tocareaveano mandato, li Romani li mandaro incontra in Espagna per reverenza de le cose ch'erano en cusì sancto loco; apres-Pompeio. E quasi tucte le cità d'Espagna vense e sotomise so, che quello ch'eHi facea per avanzamento ed onore di Ro-a signoria de Roma. Ed en quella stagione molte cità d'en- ma, alcuno credesse né dire potesse che esso el facesse pertorno la marina si rivellaro a Roma, e fa anca convoitosità6 d'avere. E .XXXII. re enn-oriente soctomise aPompeio mandato, ed en pochi dì tucte le soctomise a Roma.

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Roma, e pose capo7 a quella guerra antichissim(o) tempodurata. E poi passò en India e tucta India e terra de Vertàsomise a Roma, e la terra che se chiamava Alanos, la qualeper Alexandro né per Ercules né per Bacus non fo ma,g situcta venta. E poi retornò a Roma, el quale, sì co' devea,fo recevuto a grande onore. E poi in quello tempo, in li annj.VI C. LXXXXIII. poi che Roma fo facta, fuoro a Roma factidoi consoli, Giulio Cesar e Pompeio. Decto Cesar fodato in Gallia, cioè in Francia, e Pompeio remase a Roma.E nota che de tucte le provintie e reame che conquistòpeio neuna cosa a sé retenne, ma sempre dee9 a li cavalierisuoi quello che convenia, e l'altro tucto acquistò e dé a R0 2.ma. Ed esso amò sempre pace in armi e arme in pace. E Pom'"peio volea che l'omo avesse altresì grande franghezza i#negare quello che non era da dire come in dare quello checonvenia.

VI - CONTO DE CESAR

Facto consolo Cesar, e mandato in Francia, esso primacombatteo e vense una gente che se chiamava Alberniamle poi vense fino a lo mare de Bretagna. E combacteo conligus, Lacogis e RalÌracis e con multe altre genti, de le quali,bene .XL.m. ucise, e·ppoi vinse Calioristum re, e ben .XL. mblia ucise e prese d'essi. E facto ciò, poi multi genticontra lui, li quali fuoro bene .Lxx.milia. E subitamente aipassare d'una selva asaliero Cesar, e quasi li Romani e·cominciamento misero en esconficta, ma Cesar, come saviel quale sempre gia2 en guardia ed apensatamente, 3 a ci

1 pose capo: pose fine.8 ma': mai.9 dee: dette (cfr. Rohlfs 585), come il sego dé.

l Alberniam: l'Alvernia, regione della Gailia centrale.2 gìa: andava.3 apensatamente: con riflessione, ben organizzato militarmente.

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ch'alcuna subita cosa no·lli4 potesse nociare, se trasse enquella parte con certa gente scelta, la quale sempre menavaordenata ed e tanto el facto sostenne che lialtri suoi cavalieri eschirati5 ed ordenatamente vennero a labataglia. E quasi quella gente tucta ocise e prese. E poi com-bateo la gente de Cesar cum Aquitanicus, e benemilia uccisero d'essi. E poi combateo e destrusse tuctl quellIde Germania, e poi passò el fiume del Reno, e là fe' grandebattallie collo duca de Soave6 e colli cavalieri del re ch'era-no essi anche li megliori cavalieri de la Magna. E tucti li ven-se e somise a Roma. E poi combateo e vense quelli deBretanos, li quali de li Romani faciano delegione,7 e fecelitributari di Roma e tolse loro li stagi,8 e tucta la contradamise so' Roma. E poi retornò in Francia ed essendo pressoad acquistare Francia li Romani li mandaro ch'elli dovessetornare a Roma. Esso, vedendose presso ad avere la victoriade Francia, per lo meliore9 non andò alora a Roma, ma stec-te per .v. anni in Francia, sì che tucta la soctomise a Roma,ed en capo de .x. anni tucte le provintie de le parte septen-trionaIe mise so' la signoria de Roma. E sì bello e savio por-tamento e largo fece ver li suoi cavaliere, e ver de ciascunocavaliere e genti, che ciascuno più teneramente amava Ce-sar. Ed esso solo fo el più aspro e studioso lO omo verso chili contrastòe. Ed esso fa el più umele solo e magiure perdo-natore poi ch'ave vento. Ordenate ed asectate tucte le pro-vintie decte socto la signoria de Roma, esso, con tucta suacavalaria e con molti altri baroni e cavalieri che per la bontà

4 no' Ili: non gli.5 eschirati: schierati.6 collo ... Soave: gli antichi Suebi con cui combatté Cesare divengono

qui i soldati del duca di Svevia, secondo un processo già descritto in Scipio-ne, n. 3.

1 delegione: dileggio, disprezzo.8 stagi: ostaggi.9 per ... meliore: ritenendo che fosse meglio per lui.lO studioso: ostinato, pervicace.

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VII - CONTO DI IULlO CESAR E DI POMPEO

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5 empillio: impiglio, ostacolo.

re non volse; unde Cesar li se puose ad oste, sì forte la com-battecte un dì che lo borgo vense per battaglIa ed averea, alo-ra la terra avuta, non fosse la grande franchezzafe' el buono Luces. Undi poi li cavalieri de Luces 1mche voleano rendere la terra a Cesar. E Luces dl.sse a loroche non piacesse a Dio che la terra del dI Roma serenda ad uno solo cictadino: «Cesar uno clctadmo de R?maène. Si quello ch'apartene al comune .a d.eciò l'onore del comune abbasseria». Unde 11 ,SUOi,volendo a Cesar pur rendere la terra e non potendo a Lu-ces acordare presero Domices a forza, e la terra e 1m presomisero in de Cesar; lo quale così siguro venne edenanzi a Cesar, come esso signore estato fosse, ed esso SI-guro stava, ché, per operare drictura e quello che devea, nontemea morte. E Cesar, guardando lui, conob?e lae bontà del grande anemo suo. «Se tu vuohstare meco, eo lassote e terrocte mfra h mel plU caro». E Do-mices disse che volea pria morire che scampare per mano delnemico de Roma. E Cesar, per non volere dare alcunoempilli05 ch'eHi non potesse operare el buono anemo suo,lo fe' incontenente lasciare. E nota che de questo ebe onoreCesar più che de battaHia alcuna fesse mai. Ed essen-do già im·Pullia Pompeio e Catone, mtendendo che Cesaravea assediato Domices, incontenente se a tornare,per Domices socurrere. E nota ch'a quello nsco non se vol-sero mectere per defendere Roma, e mectere se voleano perla bontà d'uno solo cavalieri. Ma venendo ed.facto tenero per PuHia a valle fine a BrandltIa. E Cesar h

ed assediò Branditia. Pompe.io e Cato seda Branditia e passaro in Gretla. E pOi Cesar retorno a Ro-ma, e lasciò Brutus ad assedio in Branditia, lo quale la com-batette per mare e per terra sì che la vense. E quando fo Cesargionto a Roma, ed andando al tesoro del comuno, Matellus,che esso tesoro guardava, se puse tucto solo sulla porta a la

Quando Pompeio e Catone intesero che Ce'sar venia aRo,ma, vedendo ch'a lui non poteano contrastare, essi senatoricon molti altri grandi Romani se partiero de Roma ed andarne ver Pullia. E quando Cesar lo 'ntese, non volse entrare en Roma, ma andò derieto1 a loro. E venendo a una temiche se chiama la torre de Corfi, ciò credo che Radicofanqfosse,2 la quale avea in guardia Luces,3 uno de li più lialé'e scigur04 cavaliere de Roma, lo quale essa terra a Cesar da

l derieto: dietro.2 la ... fosse: Corfinium, nel Sannio, erroneamente identificato col

stello di Radicofani già nella fonte francese del compilatore.3, Luees: come più sotto Domiees, è Lucio Domizio. Cfr. CESAAEDEBEL.

LO civili I 16-23.4 sciguro: sicuro.

Il derieti: giusti, assennati.12 lae: là. Cfr. Scipione, n. 35.

sua esso seguiano, e se partio de Francia e venne fine ad Arhmeno. E quando udiero li Romani che Cesar a Roma torna"va, infra loro ne fo grande devisione, ch'assai erano che vo,leano ch'esso tornasse e tucti li suoi cavalieri a Roma senz:8,arme. Pompeio, ch'era consolo, Catone e li senatori e mul .altri grandi e dericti11 Romani volsero ch'elli tornasse senarmi e triunfo a Roma, perch'era stato contra el comandmento che li fo facto, e mandarli a dire ch'esso non passaspiù ennanzi che Arimeno con armi. De la qual cosa Cess'adirò e schifò multo, ma tuctavia non passò, e grande tempo stecte con tucta sua gente làe,12 tanto ch' a Roma la dvisione montò tanto che la magiure parte de li Romavoleano ch'essi tornasse a Roma a grande onore e mandaro?no per lui, quelli che·cciòvolieno, ch'eHi tornasseEd esso se mosse con tutta sua gente ad andare a Roma

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9 se cessaro: si ritirarono (lal. cesserunt).lO in ... uno: su un; la -n di sun è suono di transizione.

bactendo ed ucidendo e ferendo ciascuno che li s'apressava.E tanto stecte a la defensione ch'esso era sì pieno de lancee de dardi, de quadrelli e de strali, che quando li e.rao saetato le lance e li quadrelli l'uno en l'altro fena, che COSIcome el riccio era pieno Sceva de strali, de quadrelli e·de lan-ce. Unde ellibro per grande miracolo dice: «Una oste tuctacombateo contra uno orno, e uno uomo contra una oste».E tanto sofferse Sceva che Cesar venne. E quando la gentede Pompeio vidde Cesar venire, alquanto se e secessar09 arietro, e lasciaro Sceva stare senza fenllo alora. Esì tosto come elIo fo remaso de l'essere combatuto e del com-bactere, lo quale caldezza e vertù li dava e lo tenea combat-tendo in vita venne meno Sceva. Ma le lance ch'avea adossoe 'strali e 'd;rdi lo teneano dericto, sì ch'elli parea anca vivoai nemici sai. E poi che la gente de Cesar fo giunta, tucti sta-vano intorno Sceva, ed adoravano lui come uno deo fosse,e de quelli vestimenti vestiero lui che vestivano el dio Marte,dio loro de le battallie, e bene fo degno el dì Sceva de taleonore, ché mai cavaliere più non fe' d'arme en uno dì ch'es-so 'lora fece. Ora retorniamo a Pompeio e a Cesar. La bata-lia fra loro fo molto grande, ma perché la gente de Cesar noera alora bene tucta ordenata, e perché Pompeio avea assaipiù maiurmente, quelli de <?esar qu.asi descon-ficta. E siquitando PompelO la sconfIcta, II COmll1CIO a dole-re ed avere pietà de quelli de Cesar, ch'erano citadini de Romaquelli che ucidere vedea. E 'Iora fe' la retractata sonare, laquale poi che sonava no osava alcuno poi più inanziE per questa cascione escampò Cesar e la sua gente el dI,ne perdeo Pompeio la victoria del mondo tucta avere. E P?lCesar de capo asectò ed ordenò tucta sua gente, e PompelOla sua. E stava Pompeio coll'oste sua in sun uno lO monteforte e Cesar stava e·Ilo piano colla sua. Conoscendo Pom-

6 renomo: fama, rinomanza.7 bretesche: bertesche, camminamenti e posti di guardia.8 Sceva: è un centurione nominato da Cesare in De Beilo Gallico III 53

su cui si costruiscono fantasiosi ampliamenti.

defensione. Allora 'cavalieri ch'erano cu Cesar lo volsero uc-cidere, e Cesare uccidere non lasciò, ma disse: «lo so ch'es-so vòle essere morto, perché se dica ch'esso solo defese lalegge. Ma le legge averiano più vergogna de tale defendetore·che s'ellino perissero, ned esso ène degno de la mia ira». E"poi fo facto consolo de capo, ed andò in Espagna, ecomba;-teo con Ascanio, duca de Pompeio, e con grande briga lovense, e retornò a Roma. Or retorniamo a Pompeio ed a Ca,Ttone, li quali, sì com'è decto, se partiero da Branditia e anTdaro en Gretia. Pompeio, el quale era amato en Grecia molto\cognosciuto per tucto el mundo, mandòe in ciascuna partltund'elli potesse avere aiutorio. E per lo renom06 suo el'amor de lui e de li altri Romani, vennero en suo aiutobaroni e cavalieri de multe parti, sì ch'eHi adunòe una demaiure oste che fosse quasi en el suo tempo al mondo.quando Cesar entese ciò, esso se partio da Roma forzatamete e andòe in Gretia contra Pompeio, ed essendo l'osteCesar e de Pompeio presso, e·llo luoco ch'alora se chiamva Durazzo, Cesaro fece fare uno grande fosso con estecate con bretesche7 multe, el quale fosso uno terreno grandis...simo molto girava. E ciò fare fece. Unde Pompeio con tucta.l'oste sua venne al dieto fosso, e per forza il cominciò a paS;:'sare, e molti di quelli de Cesar, ch'a la guardia erano 'lora,fuoron morti. E passato averiano legermente el fosso tucté:ì!la gente de Pompeio,'ma Sceva,8 uno cavalieri di Cesar ch'a;.!lorq, guardava, s'abandonò a la morte e ferìose fra quelliPompeio, e tanto fe' per la forza e franchezza sua, ch'essolo contendea sì el passo a tucta l'oste de Pompeio, che psare non poteano. E quasi tucta l'oste de Pompeio li lanciavano e balestravano e li gectavano petre e lo feriano e de lane de spade, ed esso sempre estando fermo al passo e co

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peio che Cesar non potea l'oste sua per cagione de mercato Ile d'altre cose mantenere longiamente, ed esso era fornito depotere l'oste sua mantenere, contra el volere de la gente suatucta non volea la battaglia, sì come orno che volea venciareanzi per fame e senza risco el nemico suo che per batalliae che volea victoria senza combattere pria cheen ventura d'avere victoria o del perdere stare. Ma la gentealtra sua volontà volsero pur combattere. Unde Pompeio,vedendo che la battaHia pur convenia che fussi, ordenò tuc-ta la gente sua e con alegro e fiero viso disse fra loro sì umelee sa,,:ie e parole, ch'è ciascuno de li suoi più co-raggIOso e volhoso de meHio fare. E quando Cesar vidde co-sì ordenatamente la grande oste de Pompeio descendere delmonte, lo cui splendore quasi uno sole parea, come conve-nia la sua gente ordenò., e 'l cominciamento del dire suo faquesto: «Ora s'aparechia el dì desiderato che li dei ci hannopromesso, ci?è che, la victoria ch'averemo oggi,debbono de plano, quelli che sono qui, avere de tucto el mun-do poi la signoria». E così bell'e savie e virtuose parole deconforto loro disse, che ciascuno enfiambato13 e desideroso

de combattere più. Ensomma dico che la battaglia fala plU mortale e maggiure e più forte che fosse mai e doveda ciascheduna parte furono morti più bon cavalieri. E me-raveHiosa cosa fa e sirea14 ad entendere la gran cavallaria evertuose e valorose cose che Cesar e Pompeio e li loro cava-lieri e·lla bataHia el dì fecero d'arme. Non recevecte Romagiammai in uno solo dì sì grande dannaggio15 né perdeo tan-ti de,sai cavalieri e grandi citadini. La magiure partedel duro quella che fa la più mortale battaHia e dolorosa.Ma fmalmente Pompeio fu sconficto e fa la magiure parte

Il per ... mercato: per mancanza di rifornimenti.12 depo': dipoi, dopo.Il enfiambato: infiammato.14 sirea: sarebbe.IS dannaggio: danno.

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de la sua cavàllaria morta. E nota'che quando Pompeio vid-de che la gente sua tucta moria, e che remedio alcuno essereno p6 potea più, fece quello cenno, come era usanza alara,a la sua gente che se devesse partire. Ed esso 'lora se partioda la battallia. Ma Catone e li altri boni cavalieri non se vol-sero partire quando che Pompeio, anzi restectero poi moltoa la battaHia, e fuarono per questo alora morti multi. E que-sto Catone e li altri fiero a ciò che17 ciascuno apertamentevedesse ch'essi per Pompeio non combatiano, ma per la fran-chezza de Roma, e de quelli ch'erano e deveano venire pro-priamente e solo. Poi ch'ave la batallia in tucto Cesar venta,Pompeio e Catone, con li altri che camparo de la battallia,se n'andaro verso Egipto a lo re Tolomeo, al cui padre Pom-peio avea conceduto el regno d'Agipto. E quando fa Pom-peio andato làe, e Tolomeo, sapendo come el facto era statoda Cesare vento, come codardo e traditore, pensòe el ma-giure male che mai pensato o facto fosse, ciò fa d'uciderePompeio, a cui de servire tanto era tenuto, ed a Cesar man-dare el capo suo. E così co' Pompeo fa fare de la nave, lofe' Tolomeo pilliare per farlo morire, come esso fece. E quan-do Pompeio se vidde a la morte venire, fermò e-Ilo core suode non temere morte, né, morendo, colore né vista mutare,sì che, quando Tolomeo li facea per lo pecto co le spade feri-re e drieto passare, esso stava sì fermo, senza mutare colore,come s'eHi non fosse toccato. E così dericto e fermo, senzavista mutare, murfo Pompeio, de la quale morte el mundose devea dolere allora e deveria mai sempre. E poi, mortoPompeio, lo malvagio Tolomeo tolse el capo suo e ne fe' perli suoi ambasciadori a Cesar fare presenti. E quando Cesarciò vidde, fece alora quello ch'ei no avea mai facto, ciò fade lagremare e piangere forte. E nota che disse: «Questo èel mortale presente. E più Tolomeo ha offeso a me che nonfe' a Pompeio, cui taHiò el capo, ch'eHi m'ha tolto quello

16 i: gli17 fiero ... che: lo fecero perché.

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ch'eo più desiderava, ch'ormai fare non porrò, ciò era, dep-po' la nostra battallia, de fare pace con lui a la sua volontàed avere sempre la sua compagnia». Or torniamo a Catonee a li altri suoi. Quando Catone e li altri Pompeio vidderoucidere, grande fo lo sconforto che presero li Romani. MaCatone fe' una molto savia e bella diciaria in onore de Pom-peio e de confortamento de l'altra gente. Avendo Catone el'altra gente ch'era co·llui preso porto e stando un dì longola marina, quasi la magiure parte se fermaro 18 de non vole-re più contrastare a Cesar e de volere tornare so' la sua si-gnoria. E subitamente cominciaro ad entrare e·lle navi ed alasciare Catone e gire a Cesar, de la quale cosa dolse a Cato-ne molto, perché li parea che la franchessa19 de Roma an-data fosse. Ma sì saviamente li amania, represe, pregò econfortò, che quelli, ch'erano e·lle nave già entrati, e li altritucti se fermaro de Catone seguire e de soferrire amne tra-vallio e pena ch'a lui piacesse. Unde esso, con tucta quellagente ch'era assai grande, per multi aspri luoghi e deserti pas-sò en Libia, dove regnava Iubam. E Cesar, intendendo cheCatone e li altri soi in Libia erano passati e che grande osteaveano per contrastare a lui adunata, aparechiòse d'andareen quella parte. Ma inanzi ch'andasse, combateo con Tolo-meo el quale, sì com'è decto, ucise Pompeio, e vense la bat-tallia, e Tolomeo ucise e fecelo e·l mare gittare. E non volsech'esso fosse soterrato, dicendo che la terra non lo devea so-stenere. E poi combateo Cesar co Fernace, fillio de Mitrida-te, e co Diodato, re d'Armenia menore, e tucte le terred'Oriente somise a Roma. E vense la battallia ed ucise Fer-nace. E poi passò en Libia e grande battallia fe' con Catonee con Iubam. E multo fuoro delectevele ad udire le savie ebone e virtuose parole che Catone, en conforto ed enn·amae-stramento de bene fare, disse a la sua gente, e Cesar a la suMa pur infine Catone e Iubam la battalia perdiero. Ed anc.

18 se fermaro: si confermarono, decisero fermamente.19 franchessa: libertà. L'esito -essa pare tratto pisano-Iucchese.

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poi Catone con Cesar combateo e·lla contrada ch'alora eraUtica chiamata, e perdeo anco Catone la battallia e fo mor-ta tucta la sua gente. E partitose Catone da la battallia, gentiassai e terre cercò per volere anco a Cesar contrastare, manon trovando alcuna terra né gente con cui ciò fare potessee conveniendoli per forza venire, né altro essere potea, so'la bailia e signoria de Cesar, volse ante pria soffrire per sémorire lasciarse ch'a ciò volere venire. Unde Sancto Augu-stino sovr'a la morte tale de Catone disse che la morte d'ontale, come Catone, che convenevole era asempro devesse es-sere e fusse, a quelli ch'erano 'lora e deveano venire, semprede volere franchi pria volere morire che vivere servi e soctosignoria. Cato savio molto cavaliere fo ed amadore de Ro-ma e de drictura, e non volse mai ch'ei remanesse d'operarsegiustitia per pietà né per alcuna cosa contra quelli che falla-se.20 Ed elli volea anti essere bono che rasembrarlo. E quan-do en Roma apparea devisione alcuna, molti diricti e. saviRomani s'aspectavano tanto che Catone avesse de ciò pillia-ta parte, per pilliare poi quella ch'esso pilliava, ché poi sa-viano che rascioneele21 era quella che esso pilliava. Ora aCesar se torneo Poi ch'ave Cesar vente e soctomisse a Romatucte quelle contrade, esso repassò in Espagna, dove eranocon grande oste li fillioli de Pompeio, e combateo con loropresso ad una cità, e sì francamente combatiero li fillioli dePompeio che quasi la battallia ebbero venta un dì, e Cesarmorto. Ma Cesar fe' 'lora d'anni tanto de sé medesmo, e conparole li suoi cavalieri sì confortò, ch'essa battallia vense,e focie22 morto uno de' fillioli de Pompeio. E poi tucta Spa-gna vense, sì ch'enn·alcuna parte no i contrastava alcuno.E facto poi ciò tucto, retornò a Roma, el quale a grande triun-fa ed onore fo recevuto, e facto emperadore de tucto el mun-do. Ed esso de tucto el mundo e d' omo ciascuno recevecte

20 fallase: errarono, furono colpevoli.21 rascioneele: ragionevole.22 focie: ci fu, ci rimase.

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I pro: prode, valente.2 e 'nn: e in.3 prescione: prigione.4 fuore: furono.

26 Diricto ... consellio: giusta è una decisione lungamente discussa.27 co': come.28 rechere: richiede, ricerca (franc. ant. requer).29 intende: intendi; è avvertimento al lettore prima di una precisazione.30 Vennare: Venereo Cfr. Scipione, n. 28.

VIII - CONTO DE REGOLO

da' vitii». Anco: «Diricto è longamente tractato consel-lio».26 Anco: «Diricto consellio prendere potemo si conosce-mo ciò: CO'27 defendere ne po'». Anche: «Onne cosa con-sellio rechere28 ma non da tucti. Doe cose sonno al consel-lio contrarie: frecta e ira». Nulla cosa desmenticò Cesar altroche engiura, intende:29 poi la victoria. «Nulla victoria è piùalta», Cesar disse, «che perdono». Contra chi disse che Ce-sar non fosse de alto lignaggio, per madre nato fo de schiat-ta dei re e per padre descese da li dei, ché da Anco Martiodescesi sono li Martii re, per padre descese da Vennare.30Adonqua in la generatione sua sanctità dei re, li quali intrale genti resplendono molto, e sacrifitio dei Dei in la cui po-destà sono li re.

Regolo fu uno leale cavalieri e de fermo anemo e pr01d'armi ed amadore de Roma. E per asemplo bono alcuna cosade lui brevemente dirò. Esso en Affrica e 'nn2 altre parte ebatallie fe' multe e victorie ebbe assai per li Romani, undeprescioni molti remandò a Roma. Ma combattendo un dì conli Affricani, esso fo preso con altri assai Romani. Ed en quellotempo ch'esso era en prescione,3 combattiero li Romani e liffricani, unde fuoré alora multi de quelli d'Affrica presiremenati a Roma, per la quale cosa quelli d'Affrica Rego-

23 debonaire: calco dal franco ant. de bon aire = 'generoso'.24 fiada: fiata, volta.25 Doscio: duce, capo (lat. dux).

tributo. E tucto el mundo, de quanto tempo visse empera-dore, fece a pace stare. Ed esso solo fo el più largo edebonaire23 emperadore ch'a Roma fosse mai, e che più ale-gramente gratie e doni facea. E sempre ciascheduno ch'an-dò denanzi a lui per gratia alcuna, se ne partia alegro.Essendoli una fiada24 per alcuno decto ch'esso gratie e donitroppo facea, esso respuse 'lora che convenevele era denanzia lo 'mperadore de Roma ciascheduno se ne partisse alegro.Ed a Cesar parea niente avere facto enfine a tanto ch'aveaalcuna cosa a fare. E cavalcando un dì Cesar per Roma, unoad alto gridò e disse: «Tiranno!». E Cesar se vols'e lui guar-dando disse: «S'eo fosse, tu no'l direste». Ed esso fo chia-rissimo e de sutile entendemento, e de lectaratura e de tuctecose che perteneano a guerra ed a pace fo sommo maestro.E .L. batallie in campo fece, de le quale .XLVIII. vense,.VIIII. cento milliaia d'uomeni e·lle batallie che fece morie-ro. E stando un dì a consellio Cesar, Bruto e Cassio edsenatori, che Cesar facti avea, asaliero subitamente Cesar'l cominciaro a ferire; el quale era senza armi, cum quelli chefra li soi più cari estare pensava. Ed esso, quando a la mortese vidde venire, del mantello se coperse el viso suo, e li drapJpi fra le gambe se mise. E ciò fe' perché lo viso suo non fos-se, morendo, veduto cangiare e perché, quando venia almorire, cadesse a terra più onestamente. Grande fo la for...tezza del grande anemo suo ch'al puncto de sì subita mortea tal cosa guardòe. E sì co' 'l libro dice, en ella morte sua.segni aparvero grande e·Ilo cielo, e·Ila terra, e·Ilo mare. Iu':;lio Cesar disse: «Dosci025 bono è che non sa fatiga, ch'è ca]ro a li cavalieri». Si ha: «Non saper è cavaliere armare> ,.anche: «Dolcezza de doscio in oste è saecta contra 'nimici».Non mai disse Cesar a li cavalieri suoi: «Andate là», ma: «Ve-nite qua»; «In batallia le corpora co spade se ferono e in oziò

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l Vegies: Veio.2 partì: divise.

- CONTO DE CAMMILLO

6 Cocles: Orazio Coclite.7 esso: compI. ogg. di feriano.8 talliaro: tagliarono.9 Iarom: nella fonte francesce Iaront o Iarunt (Arrunte, figlio di Por-

senna), è frutto di lettura o di errore d'amanuense nella copia di la-voro del nostro compilatore.

IO avero: ebbero. Pare forma umbra: cfr. Rohlfs 584.

1Tarquinio e Prosenna intraro in Roma, e combattendo l'a-0.veriano avuta, si non fosse Coc1es,610 quale franco e fortejmolto era, che tucto solo el ponte del Tevere defese sìessi per cosa alcuna non lo poteano passare. E qua?to esso) più forte d'onne parte feriano, esso più fermo maglOrmentej.stava. Unde essi, non potendo passare, derieto da·llui el pontehalliar08• E Coc1es gio nell'acqua e ruppe la coscia. Ed ar-Imato poi, notando, el Tevere passòe e·rritornòe anca dal-Jl'altro lato e tanto sofferio combatendo che la gente sua;i gionse. E per questo scampò Roma alora. E l'altro dì comen-fciaro la battallia. E Iarom,9 un cavaliere el meliore de tucta'l'oste de Prosenna e de Tarquinio, si combatette con Brutoa corpo a corpo, e fo fra loro una battallia mortale e grandemolto e ciascuno l'altro feria mortalmente. Ma Iaron moria

• lO • l .pria, e fa poi l'oste sua tucta sconflcta, ed avero atoria li Romani. Ma Bruto moria 'lora d'essa batalha pna,de la quale morte pianse ciascuno Romano sì teneramentecome fillio o padre fosse de ciascuno stato.

5 e ... contato: ed ebbe raccontato, esposto ciò nel Senato. - e'llo: enlo, nel.

l franco d'armi: valente, bravo guerriero.2 Prosenna: Porsenna, con metatesi popolaresca.3 i(n> (i>ntrare: nel testo Del Monte, un poco probabile i' 'ntrare.4 spropiòne: espropriò, con -ne paragogica (cfr. Rohlfs 336).5 sua reda: suo erede, come figlio adottivo.

Bruto fo el primo consolo de Roma, el quale fo moltO'liale ed amadore de Roma e franco d'armi. 1 En quello tempo che li Romani aviano caciato de Roma Tarquinio, ch'avea per più de .xxx. anni lo 'mperio contra el volere de lRomani tenuto, ed esso s'era con Prosenna,2 re dena, acordato d'essere contra Roma, li fillioli de Bruto avea- Cammillo combatté e sconfisse quelli di Vegies, l li qualino giurato d'essere con Tarquinio i(n) (i)ntrare3 in ",,'" avieno isconfitti e' Romani. Ma, perché l'avere, che·ssì gua-E questo fo per uno servo suo a Bruto celatamente non partì2 bene, li Romani lo sbandirono e gli gua-ma esso non volse che ciò celato fosse, ché del suo tuttofillioli spropiòne,4 e 'l servo liberò e 'l fe' sua reda.5 E poi

IX - CONTO DE BRUTO

lo mandaro a tractare pace e li prescioni ciascuno lasciarede l'altro. Quando fo gionto a Roma e ciò ebbe e·llo consel-lio contato,5 li Romani tucti a una voce dissero che ciò fos-se facto secondo el volere suo. Ed esso, vedendo che li Affri-cani alora aviano de la guerra el pegiore, e che de quella pacee de lo scambiamento de li prescioni erano li Romani ingan-nati, non lasciò quella pace a li Romani fare, dicendo a loroch'ei non piacesse a Deo che, s'elli avea e·lla SUi! gioven'etàservito a Roma, ch'ora e·lla vechiezza sua li volesse dannofare. E volendo sua promessione ferma tenere, contra la vo-luntà de soi parenti in Affrica tornòe, essendo certo ch'ellidevea esser morto. Ecome esso fo là e li Affricani inteseroel facto, ucisaro Regolo, del quale assai grande vendecta poifoe. .

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; elli: i di Orange, essi.mesagglO: messaggero.

9 e': egli.\0 confatiendo: confacendo, rendendo legale l'unione aml'rosa.

starono quanto i.rRoma3 avea. E·ppoi venne Bravio con & bon cavalieri che del suo tempo fosse al mundo, e Guizardo.Gallici e.ccombatté colli Romani e vinsegli, e arse Roma tutta t Girardo e Guido, suoi nepoti anco. Sì adunò cavalieri benefuori che.cCampidoglio. E·ppoi Cammillo combatté e vinse 1.x. milia e collo re Tebaldo 'lor combateo. La battallia fuBravio4 e.lla contrada che·ggià contro a·rRoma tutta ribel- f grande e mortaI molto, ma e·lla fine Guilielmo fu descon-lata s'era, e·ccoll'avere tutto che allora avea guadagnato andò,' ficto e la gente sua tucta fu morta e presa e Vivian lì fua.rRoma e'ppartillo bene.infra che .molti}udine.di\ morto, Guizardo, Girardo e Guido presi; es;o solo ne scam-tesauro E per l Romam ns?andlrono e.cchla-l pò. E tornando ad Orenga, non fo dolore facto maimarollo sIgnore e·ppol sempre Il chIamarono Romolo scom'eliP fiero. Tebaldo, senza entervallo alcuno seguendosecondo. Jla sconficta, venne ad Orenga ad oste. Ciò vedendo, Guiliel-

lmo non sconfortòe ma, per conforto de la mollie e de suaun mesaggi08 mandòe, che Girardo avea nome a Bo-

XI - CONTO DEL RE TEBALDO,I von de Bruban, che padre de Guizardo, de e deTebaldo fo un re di gran poder' e tenea la signoria sua peri Guido era, ed a de e ce bene

gran parte di Spagna e di Raon<a>. El Soldano de Persia sìl en suo secorso con armatl. POI ch'adli avea la terra sua tolta tucta ch'esso e.lle parti de Bambilo- 0 fuaro, batalhe grande molte fiero con Tebaldo, nenia avea. Esso avea una donna per mollie l che saggia era quah Fulco meravellie fe' d'armi. Tebaldo avea e'9dibonaire2 molto, che nome avea Giborge. In quella stagio- sora, che Fehce avea nome, che donzella era bella ene se guerregiava Tebaldo con Guilielmo, che filiolo de molto. ella entese el pregio che la gente tuctamerigo de Nerbona era. Alor avenne che Giborge, che Ifa dava, de:Ul ennamor.ò né mai altro pensò che po-saracina era, se fece cristiana e lasò Tebaldo e li tolseitter deve!1lre ed a manto averlo. Essa de sua eredi-Orenga3 e Guilielmo per marito prese. De ciò Tebaldo cita e castelli .xxx. avea, de le qual cità l'una, ch'aviasconfortòe, ma esforzatamente4 sovr'a Orenga andò Candia, bon porto avea, la quale fort'era erica mol-oste.5 Alocta6 Guilielmo per aiutorio mandò in onni parte, 'ito . La donzella,che l'amore de Folco obliar non potea ensì venne en suo sucursu Viviano, nepote suo, ch'era un dei;j,alcun modo, per Girardo, suo messo, a Fulcon feo sapere

voler suo, e co' l'amava, e tanto fe' ch'essa a Fulco parlòl i'rRoma: in Roma, per il consueto fenomeno di assimilazione fOIlQ-'Wcelatamente e, basciando e abraciando ensieme s'acordaro

sint:tBtica. . Il d' . l' B confatiendolO quanto fu en piacer e' la prese aravlO: ne a tra JZlOne atma, renno.'·' 11' d Il l' .

5 risbandirono: tolsero il bando su di lui. 'tmo le e e a I promise de dare Candìa e le sue terre tucte.l .' .' Fulco poi, como ordenò con liei, con cavalaria grandemo/ile: moghe. La fonte delle gesta di Tebaldo e Il poema provenza- .. ndò a Candia e essa la t . d' d Q d T b Idle Fo/que deCandie.f'* erra el le e. uan o e a o en-

2 dibonaire: provo de bon aire, piacevole, essendo sov(ad Orenga l'oste 'lora, ch'Anfelice, soral Orenga: l'Orange, provoAurenga.'$4 esforzatamente: con violenza.5 ad oste: in guerra, con l'esercito. iJ,6 A/octa: allotta, allora, con grafia latineggiante comune al testo anche[l

nelle parole di provenienza non latina. :.

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sua, l'avea sì 'nganato, se partìo da Orenga e sor an-dò e le battallie grandi fece con Folco. Ma sopr'a CandIa tan-to ad oste stecte, che Folco la cità più tener nonpodea. 'Lorfece ciò a Guilielmo sapere, che morti eran tucti, se non era.nsecorsi. Ciò entendendo Guilielmo, encontenente al re LOlSde Franza andòe e tanto fece alora che 'l re Lois de Franzacon tucto 'l poder suo venne a socurrare Candìa, e batalliemortali e grandi sì con la gente de Tebaldo fe:, ch'en q.ueltempo al mundo maiur non se fiero. Ma un dI lo re LOlS eTebaldo combatiero ensieme en campo con tucta lor gente,sì non fu in quel tempo sì gran batallia mai. Ma enfine Te-baldo fu desconficto e la gente sua presa tucta e morta. Par-tendose sol tuctoll Tebaldo de la batallia, derietro a séguardando, vedendo la gente spezata e morta tucta, a sé me:desmo disse: «Or veggio eo12 bene che senza guerra ormaIterranno ei13 miei nimici el meo». 'Loraper un pocociò a lagrimare e, facendo ciò, ricordòsi che ciò non erache prod'om far dovesse, ma pensare maiurmenteCO'14 i suoi nimici in pace un sol dì el suo tener non podes'"sero, e pensando a ciò disse a sé medesmo: «Eo pr,endaròmollie la filliola d'Aimors de Galie, dond'eo porro mencu,èen oste .c. milia omini ben; sì potrò anco còn ciò e con

'15 d .tanto fare ch'en pace senza guerra un pe e mIO \",gio non porranno ei miei nimici tenere». Pensando ciò,core sovr'al cor16 li venne. E 'lora si volse ed ucise unlieri che 'l seguitava, ch'avea nome Davis de Francia. Eco' pensò avenne poi, ch'a molier17 prese la filliolade Galie, sì adunò de la terra d'Aimor e del regno de

11 sol tucto: del tutto solo.12 eo: io.13 ei: i.14 co': come.IS un pè: un piede, come misura di territorio.16 lo ... cor: gli crebbe il coraggio nel cuore.17 molier: moglie (lat. mulier = 'donna').

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maso de Cordes,18 che su zeo19 era, gente sì grande e bona,che venne ad Arabloia castel suo, dov'era el re Lois ad oste.'Lora molte battallie grandi fiero, nelle quali, com'essa sto-ria dice, moriero bene .L. milia omini. E tucto che20 Tebal-do fusse un dei mellior cavalier d'arme, e 'l più scigur021 e'l men temoroso, esso fu troppo magiurmente più cortese elargo e debonaire e de solazo e de buon sentimento; e perla cortesia sua e gran bontade, essendo molte volte ferito e·nebatallie, sì che fo per morto avuto, lo re Lois e li suoi cava-lieri che co ·llui ciascuno dì faceano guerra lo piangeano cusìco' la sua gente medesma. En quella stagione che lo re Loisera ad oste sovra Arabloie e che, sì come è decto, con Tebal-do tanto combattuto era, esso prese uno messaggio, che Ge-froi avea nome, e 'l mandò a Tebaldo e li fe' asapere ch'essoparlamentare co·llui volea, e Tebaldo al parlamentoaltamente22 venne, al quale el re Lois fe' grande onore, e es-so a·llui. Tebaldo era cortese e savio molto e entendevele23molto, in ciascuna ragione24 bel parladore, ed altresì el reLois el simile era, sì che non drugomanno loro mistiereera. 25 Li doi re da una parte trasserse sì solazando e riden-do ensieme molto e 'nfra l'altre virtuose parole che entende-re se deano, che belle fuoro, lo re Lois ei disse com'elli sepodea26 de guerra tanto, e Tebaldo ei disse com'elli se po-dea tanto del conquistar'e non credea ch'Orlando ed Ulivie-ri avese tanti. E '1 re Lois ei disse: «Eo non n'acuso li altri,ma io per me vorrei esser'a casa e, se non fosse la 'mpromes-sa ch'ho facta a Guilielmo e al suo lignaggio, tosto ei seria».

18 aumaso de Cordes: emiro di Cordova, in Spagna.19 zeo: zio.20 tucto che: benché, con tutto che.21 sciguro: sicuro, coraggioso.22 altamente: COl). dignità, fierezza.23 entendevele: intelligente, acuto.24 ragione: causa, argomento.2S non ... era: non c'era bisogno di interprete (drugomanno).26 se podea: potevadedicarsi, impegnarsi.

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Respuse Tebaldo: «A questo s'acorda bene mun onele l'au-masor,27 el qual me dice: Lassa stare quista terra la qual tol-ta ci avete ed eo dai tanta28 de la mia te'n donaròe». E cusiinsieme parlando li dai re de guerra ed altre cose, entenden-do Lois sì savio ed amesurato parlare e bello, Tebaldo moltoli piacque, en core avendo voler grande 'lora come potessequella guerra a pace retornare.29 'Lora disse a Tebaldo:«Pensare molto dovemo en ciascuna mainera come guerrasì grande e sì mortale tornar potesse a pace e lassare star lacosa ch'amendare non se può. Ofnon ve sia noia ascoltareque diraggio,30, ché non ve diria cosa che de vostr? onorenon fusse. Si vostra sora, sì come savete, ora a mantar era,se 'l fe', de ciò blasmata esser non dé,31 ché '1 melior a ma-rito che trovar potesse prese, sì non si pon032 ormai, poi33cristiana è facta, per raigion34 dipartire. Or lascia lor Can-dìa, suo ereditaggio, ed io lasciarò tucti ei pregion vostri; edio dirò gran cosa, che per amor vostro, se ciò far volete, ch'eopassarò oltramare ad aitar voi ad acquistar la terra ch'a voiel Soldano de Persi'ha tolta e fare' e'35 là menare Guiliel-ma con tucto suo lignaggio né de là non partire', finché nesirite36 re coronato in Babilonia. Quel che non conselliassea far ciò voi, nonn·amaria l'onor vostro né 'l bene de ciò».Tebaldo lo rengratiò molto, dicendo a lui: «Sì gran cosa nonsiria per me a voi mossa giammai,37 ma se 'l dannaggio mioaltamente volete restorare, eo mi proffero a fare vostro vo-lere». E 'lora lo re Lois fé' tale acordo a sua gente gnua,re,

27 mun oncle l'aumasor: (frane.) mio zio l'emiro.28 doi tanta: due volte tanto, il doppio.29 retornare: rivolgere, trasformare.30 que diraggio: quel che dirò (frane.).31 dé: deve.32 pono: ponno, possono.33 poi: poi che, dopo che.34 per raigion: a buon diritto, senza commettere una colpa (cfr. frane.

raison).35 fare' e': farei io.36 sirite: sarete.37 Sì ... giammai: mai io vi avrei proposto un patto cosi straordinario.

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e Tebaldo a la sua, sì non fa giamai pace che più piacessea ciascheduna parte che quella che fe' Tebaldo. E al re Loisdisse: «lo faccio pace a fé38 né male alcun ce 'ntendo. Un-de el facto ormai sor39 voi rimanga». Lois el pregò moltoch'onor fesse a Guilielmo e al suo lignaggio, e Tebaldo ri-dendo ei rispuse: «Eo el debbo fare, ch'ei so·mmiei paren-ti». 'Lora el padellion4o suo a Bertram donòe, che lo più ricoch'al mondo fosse era, sì fece onor tanto e doni sì grandi aibaroni tucti e ai cavaliere de Francia che ciascun lui più amavaed onorava, sì che con voler grande Lois e Guilielmo e 'l suolignaggio e l'altra gente tucta con Tebaldo oltramare passa-ro e ad oste prima puserse41 ad Aquilea e là batallie moltee grandi fiero con un buon cavaliere, che Furacor avea no-me, e con sua gente, che de la terra per lo Soldano de Persiacapitano era. Ma a la fine per engegn042 presero la cictade.Da poi combattiero apresso con lo Soldano, lo quale ad Aqui-lea socurrar venia, e fa 'lor la battallia enfra lor grande mol-to, ma el Soldano fu morto enfine e desconficto. Sì dimoròlà tanto Lois, che lo paese de là conquistar tucto ed ebberoBambilonia, ne la quale coronato el re Tebaldo fue. E ciòfacto, el re Lois e sua gente si ritornaro in Francia, ma giam-mai non fu ad uno dipartiment043 pianto grande sì facto co-me li dai re fiero, ed apresso de loro onn'altra gente. Nonfa mai sì gran guerra, come essa fa, e che per ciascuna partesì altamente mantenuta e menata a fine fosse, come essa fu.E ciò fu propriamente per lo senno e larchezza44 e valoregrande del bon re Tebaldo e del re Lois e per la gran fran-chezza de Guilielmo d'Orenga.

38 a fé: sulla mia fede, in fede.39 sor: sopra.40 padellion: padiglione, tenda da campo.41 puserse: si posero.42 per engegno: con astuzia, con uno strattagemma.43 dipartimento: partenza, separazione.44 larchezza: larghezza, generosità.

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XII - CONTO DEL SALADINO

El Saladino1 fo sì valoroso, largo e cortese signore e d'a-nemo gentile, che ciascuno ch'al mondo era en el suo tempodicea che senza alcuno difecto era onne bontà in lui compiu-tamente. Unde meser Bertram dal Borgno,2 che maestro delRe giovene3 foe, entendendo d'onni omo del Saladino sì di-re, per savere ciò, a lui vedere andòe, el quale dal Saladinofo, co' devea, veduto. Stato gran tempo là, meravelliòse mol-to e delectòe, ciò fo che pensare né vedere non avea possutoch'en fare o dire el Saladinopotesse o devesse altro fare odire ch'esso facea. E volendo savere co' ciò essare potea, tro-vòe che 'l Saladino, per non potere fallire e fare quanto de-vea, avea uno consellio suo, secreto molto, de solo li melliorie li più conoscenti ch'avesse possuto avere de parte alcuna.E con loro ciaschedun dì tractava e conselliava quelloch'nn·sso dì a fare e dire avea, e se nel dì passato era sut04da dire o da fare altro ch'era, e che da provedere per lo dìsequente era. Né sì grande facto mai li sopravenne alcuno,che ciò lassasse de ciascun dì fare. Unde meser Bertram dis-se al Saladino, volendose partire, quel per che venuto era ecome non vedere avea possuto né per sé vedea ch'elli avessealtro a fare ch'esso facea, ma conselliòne lui ch'esso amasseper amore5 una donna che solamente 'lora era la melliore,e amore mectarea lo 'nviamento poi s'ei potesse altro o più,

I El Saladino: Yussuf ibn Ayyub, soprannominato Salah eh Din,tano d'Egitto e di Siria; personaggio notissimo nel Medio Evo, protagoni-sta di numerose leggende e novelle, fino al Decameron boccacciano.

2 Bertram del Borgno: Bertran de Born, sire di Autefort (Altaforte),uno dei più noti trovatori provenzali (sec. XII), guerriero dalla vita avven-turosa e personaggio della Commedià dantesca (In! XXVIII 113-42).

3 Re giovene: Enrico, figlio di Enrico II di Inghilterra e di Eleonorad'Aquitania, mori combattendo contro il padre nel 1183.

4 suto: stato.5 amasse per amore: amasse di vero amore, secondo le regole della cor-

tesia trobadorica.

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. cosa da valere fare. 6 El Saladino li disse, come era loro usan-za, esso avea donne e donzelle assai gentile e belle molto ech'amava co' convenia ciascuna. Messer Bertram li mostròcome esso non era amore, e quale amore era. E sì tosto co-me esso a lui l'ave contato, fo de la donna il Saladino d'a-more fin07 ennamorato. E stando gran tempo el Saladino enon potendo pensare né vedere com'elli a la donna potesseparlare né vedere né ciò farli savere, perché cristiana era ladonna, ed era in una terra con quale grande guerra el Saladi-no avea, sforzatamente ad oste venne a la terra là dove eraessa donna e·llà fece mangani8 molti dirizare e fare onneargoment09 a ciò che quelli de la terra venissero ad acordopiù tosto. Ma quelli dentro, sì come bona gente, acordo némena lO col Saladino non volsero fare alcuna. Onde esso as-sediò la cità tanto e la fe' traboccare, che li muri tucti quasia terra mise. E tanto era esso assedio durato, ch'elli non avea-no più, quelli dentro, a mangiare. E 'lora mandò ll la don-na al Saladino ch'ei venisse a parlare, ed elli, de core tuctoalegro de ciò molto, andò a lei, ed essa pria li parlò e disse:«Per alcuno decto è me12 che me pensate amare, e che ciòper mio amore avete facto. Se ciò vero è, sono queste le gioieche d'amore diano 13 venire, traboccare pietre e tanto ad ostestare, che doa14 stare non avemo, né da mangiare più?». ElSaladino disse: «Madonna, el Segnore, che per sua gratia meve donò ad amare, volse ch'a vostra terra venisse en guisatale, en fare tal guerra, solo per pace d'amore. De quello che

6 e ... fare: l'amore avrebbe sollecitato l'intelligenza del Saladino a fa-re ancora di più, lo avrebbe spinto verso la perfezione.

7 amore fino: provo fin 'amors, l'amore che non riguarda solo il corpo,ma i sentimenti e l'intelletto dell'innamorato.: mangani: da guerra che lanciano proiettili oltre le mura.argomento: accorgimento.

lO mena: tregua, patto.11 mandò: mandò a dire, avvertì.12 me: a me.13 diano: devono.14 doa: dove.

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facto a fede amorosa aggio, en voi sia el punimento e la mer-cede». 'Lora disse la donna al Saladino: «Eo.vollio chebi lo tuo oste partire e per acordo a me lascI el cor tuo e lmio ne porti, e siano sempre uno in tucta simillianza». Esì foel comiato sor partire. 15 E sì tosto come fa el Saladmoe-ll'oste suo tornato, fe' bandire che ciascuno se.traesse encerta parte. Poi che fa tucta sua gente adunata, <;hsse lo-ro' «A me sono facte savere sì gran novelle e talI, che l oste

se convenel6 partire, né la cagione perchél? non seyòné converria qui dire. Onde ciascuno, sì come ama sua vIta,senza al campo tornare, se parta encontenente e mova». Ental guisa fe' el suo oste partire, camp.o un solo. no'ndetornòe. 18 E cusi lassò el campo el pm formto e magmre chefosse mai el qual valse cità più molte ch'essa non valea. Equesto li fe' amore en guisa tale cominzare perch'a quale fi-ne savea tornare devea.

XIII - CONTO DEL SALADINO

Essendo ad oste Saladino a Gerusalem en quel tempo chese perdeo la croce, l quelli de Gerusalem se permorti2 a.llui. Allora un barone sUO.x. de 11 cnstiam 11 do-mandòe e uno altro barone li ne chiese anca, ed esso li donòloro, li quali essi lassaro.3 Onde el Saladino dis.se: «.Se que-sti ho dati a voi, che so' mé sete, bene debbo glI altn a Dea,ch'è signore de me, dare». E così tucti li altri, che milliaiaerano molte, per Dio lasciòe.

15 sor partire: sul partire, al momento della partenza.16 se convene: è necessario.17 perché: di questo fatto, della partenza.18 no'nde tornòe: non tornò di lì (lat. inde).l en ... croce: la conquista di Gerusalemme da parte del Saladino av-

venne nel 1187, dopo la battaglia di Hittin.2 per morti: convinti di dover morire, arresi senza condizione.3 lassaro: lasciarono liberi.4 so'me: sotto di me.

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XIV - CONTO DEL SALADINO

Essendo entrato el Saladino en cotale l terra ed avendo,combattendo, quasi tucta la terra venta, el re Riciard02 permare entrò da l'altro lato e tanto d'arme fe' colla forza deli suoi, ch'elli cominciò a venciare de la terra. E combatendoel re Riciardo a pè, fa al Saladino mostrato, ed esso encon-tenente li presentò uno destrieri, mandando a lui dire ch'einon se convenia ch'a pè re combatesse.

XV - CONTO DEL SALADINO

Cavalcando el Saladino per uno paese ch'ad uno suo ca-valiere donato avea, e vedendo esso paese più bello ch'alcu-no altro ch'e-llo regno suo fosse, pensò de volere per lui essoed a lo cavaliere un altro dare. E sì tosto co' ciò avve l pen-sato, fa pentuto e conobbe el pensieri tale vitioso. 2 Allorasì aspramente penetentiòse3 de tale pensieri ed astinenza fe-ce, che sì meno esso venne de quelle carni che, 'lora quandociò pensò, avea, che quasi a morte venne.

XVI - CONTO DEL SALADINO

Quando al Saladina li fa portata e lecta la legge dei Sara-cini dove giurare dovea, come era usanza d'onne soldano,

l cotale: una certa, una. E' la III Crociata.2 re Riciardo: Riccarclo Cuor di Leone, re d'Inghilterra, fratello del Re

giovane ampiamente illustrato dai Conti poco appresso.

l avve: ebbe.2 conobbe ... vitioso: capi che aveva avuto un pensiero colpevole,

ignobile.3 penitentiòse: fece penitenza, si impose una pena.

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e.llo cominciamento esso giurò d'oservare quella legge ch'aDeo piacesse più. Onde doi fratri cristiani,! a lui andandoun'ora? dissero a lui: «Noi sim03 venuti a te per tua almasalvare. Fa' li tuoi savi venire e mostrarinte4 come la vostralegge è de dannatione». E venuti li savii e disputato assai,li savi de li Saracini dissaro al Saladino finalmente che dafare morire era li fratri tenuto, perché e·lla legge loro scrip-to era che morto essere dovesse quelli che contra loro leggeallegasse.5 El Saladino respuse: «Vero è che ciò è scripto ennella legge, ma eo deggio osservare quella legge ch'a Deo piùpiace. Eo so ch'a me questi venuti so' per mia alma salvar'eso bene ch'a Deo non piacciarea che de ciò cambio de morterendesse loro». Onde a loro fe' onore molto e li lasciò andare.

XVII - CONTO DEL RE GIOVENE

Un dì, stando el Re giovene con altri cavalieri denanzial padre - ed era anche! giovene sì che cavalieri non era -uno cavalieri venne denanze al padre e temorosamente li do-mandò un dono. El re non respondendo, el cavaliere moltotemorosamente la risposta aspectando stava avante lui. E'cavalieri ch'erano co·llo Re giovene 'lora dissero tucti: «Ve-ro è che la maiure vergogna ch'al mondo sia è d'adimandarel'altrui». E 'l Re giovene rispuse: «Magiur vergogna è, a cuibisogna, non darlo».2

I doi ... cristiani: due francescani si recarono in realtà dal Soldano, maquesti era al Malik al Kamil, nipote del Saladino.

2 un'ora: una volta.l simo: siamo.4 mostrarinte: ti mostreremo.5 allegasse: discutesse, portasse prove.

l anche: ancora.2 a ... darlo: non donare a colui che ne ha bisogno.

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XVIII - CONTO DEL RE GlOVENE

Essendo el Re giovene in età de .x. anni, uno dentesovra avea, el quale per alcuna proferta né losinga

padre n: de la madre non s'avea lasdato far trare. UndI un cavalIere venne davante al padre e li demandò undono,. e lo cavaliere era cortese e bisognoso molto. Lo renon h donava. El Re giovene, vedendoel cavaliere sì

,stare, a la raina2 andò celatamente e quantopIU pocte pIU tolse da lei,dicendoli da lasarse el dentetr.are. E al re tornò dicendoli: «Se me darite que4 ve

l.assome trare el dente». El re li promise ciòch 11 fare. 5 Ed alora se lasciò trare el dente. Edal re dIsse po:: «Domandove che doniate a questo cavalierequello che E poi, celatamente, quello ch'aveaavuto da la rama li dé.

XIX - CONTO DEL RE GIOVENE

. EI.Re giovene dimandò soi secreti cavalieri:! «Que sedIce dI. m.e?» E cavaliere rispuse: «La gente tucta diceche VOI sIte. el.melhore orno del mondo». E 'l Re respuse:«Eo non tI dImando di quelli, ma dei doi o dei tre».2

I escomentoso: sgomento, imbarazzato.2· "regma; e Eleonora d'Aquitania, celebre protettrice di artisti

e poetI.l4 pocte: potte, poté, con grafia iperlatineggiante.que: quello che.

5 ciò '" fare: che avrebbe fatto quel che gli avrebbe detto.

I. soi ... ai cavalieri del suo consiglio segreto ai suoi conf-dentI e consIglIerI. ' I

2 dei ... tre: i pochi che contano, le persone di autorità e potere.

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xx - CONTO DEL RE GIOVENE

El Re giovene, per la guerra ch'avea .cole per altri grandi espendi l che facea, mdebl.ta.tO . colhmercatanti molto. Venendo a morte, 11 mercatanti 11 diman-daro ch'esso loro devesse fare pagare. Esso loroche oro né argento né terra avea de che lorose' «Ma» disse «de quello che posso e'3 satisfaragglO VOI».'Lora a loro lasciò per testamento che :1 corpo tantoe.lle loro mani staesse e l'anima tanto m mfern?, quantoelli in esere satisfacti estessero. Morto el glOvene, elpadre un dì, in una chiesia intrand<?, trovo m .una cassael corpo del Re giovene stare ap04 h mercatantl. Dema?--d' '5 ciò era. Fa lui decto como avea testata. Alora dIS-s; Deo signore non piaccia che l'anima de. talein podestà de li demoni stia né 'l corpo .rr:am de tah».'Lora feo il debito suo, che centonaia de mIhata erano mol-ti, satisfare a ciascuno.

XXI - CONTO DE BRUNOR EDE GALEOCTO SUO FILLIO

Brunor aportando per fortuna l al porto de castello dePlor, e, cdme2 era quella malvagia usanza, educise el signor de l'Isola, e prese a mollie la bella Gmgante,launde nacque Galeocto, del quale alcuna cosa brevemente

l espendi: spese. .., . .2 avea indebitato: aveva contratto debItI, SI era mdebltato.3 e': eo, io.4 apo: appo, presso.5 co': come, perché.

I aportando per fortuna: sbarcando per una tempesta.2 come: siccome, poiché.

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se dirà qui. E·ll'età de .x. anni el padre li avea dati .XII. gen-tili giovani del tempo suo, con li quali sempre se vestia e man-giava ad una taula. Giocando con loro esso, ch'era più fortech'alcuno, se lasciava a li compagni vencere le più volte. Elpadre, per vedere che esso facea, col sinescalco alcuna voltafacea ch'eHi ponea innanti ad alcuno de li compagni non cu-sì buono taliere3 come a lui, ed elli incontenente tolliea detaliere suo e mandavalo in quello. Un'ora4 el padre fe' ve-stire esso e li altri compagni sai, tucti far uno, d'un samet05verde, e l'altro fe' vestire d'un altro colore bene sì bello co-me l'altro. Quando esso fa vestito e vidde che quelli no erasì co' li altri vestito, domandò co' ciò era. Respuse el padreche facea solo ciò per lui provare, che de quello colore nonse n'era trovato più. Ed elli incontenente fece partire la mei-tà de quello d.el damigella suo e, demezando, se vesté comelui. Quando fa facto cavaliere, vedendo che, s'elli stava inquella contrada, ei convenia mantenere e giurare quella ma-la usanza, e però se ne partìo d'essa contrada. In quello tem-po assai re aveano usanze e costumi rei e vilane multo, deli quali grandi mali e descionori6 seguiano a cavalieri e adonne e a donzelle. Esso se puse in core d'abactere ciascunomalvagio costume. Pensò che quello del castello de Plor, làdue? 'l padre abitava, non potea, perch'elli non potea né de-vea mectere mano sovra lo padre. Esso mandò a ciascun re,che male costume e usanza avea in sua terra, ch'abactere ladevesse infra tal tempo,8 desfidando quel che ciò non facessee quale ciò de pian09 non volesse fare, per forza d'armi liconvene ciò fare. E tanto savio, bello e largo portamento verde ciascuno facea, che tanti d'onne parti cavalieri trassero

3 buono taliere: buon piatto, cibo scelto.4 Un'ora: una volta..5 sameto: sciamito, panno pregiato.6 descionori: disonori.7 due: dove.8 infra ... tempo: prima di un tempo determinato.9 de piano: facilmente, senza contrasti, dal lat. giur. de plano.

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a·llui, che per lo gran senno e valore suo e largezza e per labona cavallaria che lui seguia, che .XXVIIII. reami se socto-mise. Quando combattette collo re Arture primiere, vegen-do che 'l re Arture perdea la battallia, temendo che dire nonse potesse che 'l re Arture non fosse alora bene fornito, fecela battallia remanere, 'lora dando a lui termine tanto de re-combactere anche ch'eì se potesse d'onne parte fornire. Co-minciandose poi un dì la batallia Lancelocto, che con lo reArture era, Galeocto, vegendoli d'armi sì gran facti e valo-rosi fare, parlò a Lancelocto e, parlando, de lui innamoròeper la cortesia sua e bontà e gran cavallaria. Le parole fraloro fuoro assai bone e belle molto: Insomma, l'uno a l'al-tro promise de fare quanto direa. lO L'altro dì po' fra lo ree Galeocto e la loro gente la battallia fo grande. Alora quan-do el re Arture e la sua gente non poteapiù soffrire è chevoleano già tornare inesconficta, Lancelocto venne a Ga-leocto e li disse: «Damme el dono ch'eo te demando». DisseLancelocto: «È che deggi tenere a signore el re Artur'e ora,qui en presentia de tucti, giuri de sempre stare so' la sua si-gnoria» ..E Galeocto 'lora incontenente, sì come Lanceloctoei disse, fece. Dico che bene grande e utele fe' molto e valo-rosa cosa Lancelocto che ciò domandòe, e Galeocto altre-tanto che quello, ch'ei disse, fece. Non era el re Arture simelea li altri re che erano alora né che ora sonno, ma era un ree signore solamente in operare ordenato e in fare ed inviar'ein operare onne bontà d'amore, de cavallaria, de cortesia,de largezza, de lealtà, de fermezza e de ciascun valore, e licavalieri, ch'erano so' lui, erano solo ordenati in operare,in dir'e in seguire ciò. Bene 'lora era onore magiure assai inseguir'e in ciò fare che, per reggere e signoregiare reami, es-sere re. Ché Tristano e Lancelocto e altri assai ei11 regni lo-ro lassaro e dero12 altrui, volendo cavalieri tali devenire. Ché

lO direa: avrebbe detto.Il ei: i.12 dero: dettero, donarono.

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quelli re che en bontà ben se regge, ché no è de reami, masolo d onore corona. Ed onore solo de valore nasce; e valo-re, come è decto, è 'l fiore che nasce da la più degna partede l'operatione de le vertù. Donque de quanto Galeocto eramagiore, tanto lifo, a fare ciò, onore magiore. Cavalcandoun dì Galeocto trovò la sua sora,13 la quale li presentò el ca-de padre suo, e de la madre, dicendo a lui che

clO avea Tnstano facto. Esso incontenente se fermò e·llo corsuo d'andare.a lo castello de Plor, là dove per la malvagiausanza era Tnstano, e combattere con lui. Ordenò 'lora chelo re de .c. cavalieri stesse al porto con certi cavalieri ed altragente, perché, s'elli avenisse che la battallia vencesse de Tri-

quella malvagia usanza guastare. OrdenatoClO, ando la e combatette con Tristano. La battallia fra lorofo grande e mortale multo, e durò lungamente. Infine Tri-stano, che Galeocto conoscea e molto amava per la gran

14 e bontà sua, vegendo che Galeocto no avea elmeghore de la battallia, li disse e se scusò che de la mortedel pad:,e e de la madre sua esso non avea altro possuto faree che CIO fo el dolore ch'eHi ebbe anche el maggiore e chequello ch'ei fe' luP5 convenia a lui fare o sostenere, e ch'eise volea vento de la batallia chiamare e farline16 quella men-

lui piacesse. E li porse la spada; E lo re de .c. cava-lIen al porto era, ,:edendo el signore suo in tal perillio, 17de lUI temendo, trasse m quella parte per volere Tristano mec-tere.a Vegendo Galeocto che esso e li altri voleano

Tnstano venendo, recontradisse a loro ch'uno nonlUi toccasse, amasse la vìta. 18 E 'lor disse a Tristano:«Per la gran bonta e cavallaria tua, perché contra tuo grato

13 sora: sorella.14 ii15 cfr. Cesar e Pompeo, n. 19.

lUi: a lUi, Galeotto.16 farline: fargliene.perillio: pe.riglio, pedcolo,come ... vita: se amava la vita.

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so che ciò foe, te perdono quanto offeso m'hai». Poi a luipromectere se fe' che, poi ch'eHi averia Isocta al re Marcomenata, ch'esso tornaria a lui in Sorlois, perché esso volealui e Lancelocto insieme avere. Anche disse Galeocto: «Chiavesse la reina Isolda, la reina Genevria, Tristano e Lance-locto insieme, porria dire che la beltà e la bontà tucta avessedel mondo». E Galeocto ave sì l'anemo suo gentile e grandee puro che sempre solo entese in amare quanto sé o più e deservire ed onorare e adunare insieme ciascun valente e bun19cavaliere. Insomma esso ebbe eI più alto e gentile e de bonoaiere2o .core ch'alcuno principe o re ch'al mundo fosse.

Prefazione

INDICE

............................................... Pago 5

Libro dei Sette Savi di Roma ..................... » 19

19 bun: buon, buono, nel comune significato antico di valoroso ecortese.

20 de ... aiere: generoso (prov. de ban aire).

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Conti di antichi cavalierio •••••••••••••••••••••••••• » 51