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Shivaismo kashmiro 1 Shivaismo kashmiro Santuario dedicato a Śiva, Srinagar nella valle del Kashmir, II sec. a.C.. Si suppone che il nome con cui oggi è noto, tempio di Adi Shankara, sia dovuto al fatto che il filosofo qui soggiornò quando visitò la valle. Lo Shivaismo kashmiro è un sistema filosofico e teologico costituito da movimenti religiosi e scuole esegetiche sorto nella regione del Kashmir intorno all'VIII-IX secolo [1] e poi protrattosi fino al XIV secolo. [2] Sviluppatosi nell'ambito di più antiche tradizioni tantriche seguite dagli strati più popolari, si è successivamente allargato negli ambienti brahmanici, prima come religione dei capofamiglia, quindi anche come speculazione teologica. [3] Di carattere monistico, queste scuole śaiva del Kashmir sostengono l'identità fra gli individui, l'universo e Dio, qui identificato con Śiva. [4]

Shivaismo Kashmiro

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Shivaismo kashmiro (Wikipedia)

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Shivaismo kashmiro 1

Shivaismo kashmiro

Santuario dedicato a Śiva, Srinagar nella valle del Kashmir, II sec. a.C.. Si supponeche il nome con cui oggi è noto, tempio di Adi Shankara, sia dovuto al fatto che il

filosofo qui soggiornò quando visitò la valle.

Lo Shivaismo kashmiro è un sistemafilosofico e teologico costituito damovimenti religiosi e scuole esegetichesorto nella regione del Kashmir intornoall'VIII-IX secolo[1] e poi protrattosi fino alXIV secolo.[2] Sviluppatosi nell'ambito dipiù antiche tradizioni tantriche seguite daglistrati più popolari, si è successivamenteallargato negli ambienti brahmanici, primacome religione dei capofamiglia, quindianche come speculazione teologica.[3] Dicarattere monistico, queste scuole śaiva delKashmir sostengono l'identità fra gliindividui, l'universo e Dio, qui identificatocon Śiva.[4]

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Origini e sviluppi dello Shivaismo kashmiro

Carta geografica con in evidenza la regione del Kashmir, suddivisa nei territorioggi facenti parte di India, Pakistan e Cina

L'indologo britannico Mark Dyczkowskiosserva preliminarmente che il termine"shivaismo kashmiro" può dare luogo afraintendimenti, dato che il sistema ditradizioni e scuole che con questo nomeviene usualmente indicato, non comprendetutte le tradizioni śaiva del Kashmir, masoltanto quelle che condividevano unpreciso insieme di testi, i tantra non-dualisti(indicati con Āgama Śāstra in questetradizioni), tradizioni che quindi si possonodefinire moniste. Non è quindi da ritenersiinclusa, nello Shivaismo kashmiro, un'altraimportante tradizione che, sebbene inseguito si sia diffusa nelle regionimeridionali dell'India, ebbe origine proprionel Kashmir: lo Śaivasiddhānta, tradizioneśaiva essenzialmente dualista che adottavacome testi canonici anche i Veda.[5]

Il termine, "shivaismo kashmiro", deriva daun testo di J. C. Chatterjee, KashmirShaivaism (Srinagar, 1914), che fu il primoa usare questo termine nell'accezione oggiadoperata.[5]

« L'interesse per lo Shivaismo Kashmiro comincia verso la metà del secolo passato ed è lentamente proseguito fino ai nostrigiorni. L'attrazione che lo Shivaismo ha per noi viene in parte dai risultati sull'origine e la natura dell'universo, che sembranocosì simili alle conclusioni dei moderni scienziati da apparire sorprendentemente moderni. »

(tradotto da J. C. Chatterjee, Kashmir Shaivaism, State University of New York Press, 1986 (1914))

Poco si conosce sulle origini di queste tradizioni śaiva nel Kashmir, a quanto pare già diffuse verso gli inizi del IXsecolo, epoca nella quale ormai si dà per certa l'esistenza di parte delle prime opere scritte di queste tradizioni, gliĀgama Śāstra. Il regno del Kashmir, che in quei tempi era più esteso dello stato federato indiano attualmente notocon questo nome, lo Jammu e Kashmir, era stato e ancora era culla di molte tradizioni religiose, non soltanto hindu,ma anche buddhiste[6], nonché patria di valenti grammatici, astronomi e matematici, terra quindi fertilespiritualmente e scientificamente.[7]

Questi primi testi testimoniano l'esistenza di diverse sottoculture religiose che non si rifacevano all'ortodossiabrahmanica dei Veda e dei Purāṇa, ma possedevano carattere essenzialmente tantrico: tradizioni che avevano unseguito al di fuori dei circoli brahmanici, nelle fasce più umili della popolazione, tradizioni quindi trasgressive, conculti e divinità proprie. Kalhaṇa, storico kashmiro del XII secolo, scrive di templi dedicati a Śiva esistenti nelKashmir già nell'epoca dell'impero di Aśoka (III sec. a.e.v.). Le tradizioni tantriche, che non erano soltanto unaprerogativa dell'induismo ma anche del buddhismo, sono suddivisibili a seconda delle divinità principali: quelle chequi interessano sono quelle che si riferiscono, anche se non esclusivamente, a Bhairava.[7]

Bhairava ("Il Tremendo") è ipostasi aggressiva e terrificante del deva Śiva, considerato essere, in alcune di queste tradizioni, la forma divina dell'Assoluto[8], Assoluto indicato con molti nomi, tra cui Śiva stesso o anche Paramaśiva

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("Śiva Supremo"). Molte delle tradizioni śaiva hanno come fine spirituale proprio l'identificazione con Bhairava,divinità vista anche come quel potere che distruggendo la nescienza, conduce dal microcosmo al macrocosmo,dall'individuo al divino. Il ricongiungimento con l'Assoluto, o in altre parole, il riconoscimento della propria naturacome essenzialmente divina, è l'elemento comune, il fine soteriologico di tutte queste tradizioni.[7]

Gli studiosi designano con Kula l'insieme di queste tradizioni religiose, tradizioni che possono definirsi śakta (daśakti, "potenza", "energia") in quanto l'energia divina è personificata come dea e come tale venerata. Il nome, Kula("famiglia"), è associato a una coppia di dèi, Kuleśvara e Kuleśvarī (rispettivamente "Signore" e "Signora dellafamiglia"), divinità di una delle più antiche di queste tradizioni, la Pūrva-āmnāya ("trasmissione orientale" o anche"trasmissione antica"). Occorre rimarcare che in queste tradizioni, pur essendo contemplate e venerate non pochedivinità, Śiva-Bhairava conserva sempre una supremazia di carattere metafisico: le dee sono Sue emanazioni,potenze che agiscono nel cosmo e nell'individuo.[9]

Nell'insieme delle tradizioni del Kula occorre infine distinguere due successivi sviluppi: le tradizioni, o scuolereligiose, del Trika e del Krama: la prima derivante dalla già menzionata "trasmissione orientale", la seconda dalla"trasmissione settentrionale".[7]

Col tempo queste tradizioni religiose cominciarono ad attrarre sempre più adepti, fino a coinvolgere brahmani epersonaggi altolocati. A partire dal IX secolo circa, alcuni di questi brahmani e pensatori diedero inizio a un'esegesidelle scritture tradizionali, gli Āgama Śāstra, con l'intento di fornire così una base teorica interpretativa che sancissequeste pratiche nell'ordinarietà religiosa dell'epoca. Il punto più alto fu raggiunto dal filosofo Abhinavagupta e dalsuo discepolo Kṣemarāja (XI secolo circa), che debellarono anche l'interpretazione dualistica dello Śaivasiddhāntanel Kashmir.[10] Ad Abhinavagupta si deve la sistematizzazione delle varie dottrine esposte dalle tradizioni śaiva delKashmir, la loro sintesi in una visione chiara, coerente e completa, tant'è che attualmente col termine Shivaismo delKashimr ci si riferisce tout court proprio alla visione che questo filosofo riuscì a dare. Senza il suo apporto sarebbeforse difficile districarsi fra le varie scuole, individuarne gli elementi comuni e risolverne le divergenze.[11]

Difatti, le scuole e tradizioni śaiva kashmire cominciarono a declinare proprio poco tempo dopo l'epoca diAbhinavagupta e del suo discepolo Kṣemarāja, con l'invasione musulmana del XII secolo, invasione che fece diquella regione un sultanato durato cinque secoli.In epoca moderna, per opera di alcuni seguaci e studiosi c'è stata una ripresa di alcune di queste tradizioni. Fra questiva menzionato soprattutto lo Swami Lakshman Joo (1907 – 1991) che tradusse e commentò molte scritture delletradizioni śaiva del Kashmir. Rāmeśvara Jha, vissuto anch'egli nel XX secolo a Varanasi, si è prodigato nelladiffusione della dottrina formando diversi discepoli.

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Classificazione della tradizione scritta

Maschera raffigurante Śiva nel suo aspettoBhairava, Nepal, XVI-XVII secolo

La tradizione scritta dello Shivaismo kashmiro può essere suddivisa intre categorie: Āgama Śāstra, Spanda Śāstra e Pratyabhijñā Śāstra.[12]

Il termine śāstra significa regola, insegnamento, e indicagenericamente una scrittura ritenuta sacra.

Āgama Śāstra

Gli Āgama Śāstra sono opere in versi[13] considerate di origine divina:āgama vuol dire "tradizione", "tramandato". Trasmessi oralmente damaestro a discepolo, questi testi furono poi messi per iscritto in epochepiù recenti, ragion per cui è spesso difficile risalirne all'età. I contenutiriguardano soprattutto il rito, le pratiche cultuali e yogiche, le regole divita quotidiane, eccetera,[14] con argomenti che comunque spazianonotevolmente, fino all'architettura sacra, alla cosmologia eall'alchimia.[15]

Essi comprendono i 64 tantra non-dualisti (ādvaita) che la tradizionevuole enunciati dal personaggio mitologico Tryambaka, figliospirituale di Durvāas, cui Śiva stesso affidò il compito di diffondere lo shivaismo nel mondo. Tra questi testiricordiamo: il Mālinīvijaya Tantra, lo Svacchanda Tantra, il Vijñānabhairava Tantra, il Netra Tantra, il MṛgendraTantra, il Rudrayāmala Tantra, la Parātriṃśikā, il Tantrasadbhāva, eccetera.[16] Il corpus è anche noto col nome diBhairava tantra o anche Bhairava āgama.

Per approfondire, vedi Tantra (testi induisti).

Accanto a questi tantra va senz'altro affiancato lo (o gli) Śivasūtra, opera fondamentale per le scuole dello shivaismokashmiro. Rivelati al mistico Vasugupta (VIII-IX secolo), questi sūtra costituiscono uno dei testi più importanti perle scuole in oggetto.

Per approfondire, vedi Vasugupta.

Spanda Śāstra

Gli Spanda Śāstra sono testi che approfondiscono alcuni aspetti già enunciati negli Śivaūtra e negli Āgama Śāstra; sitratta quindi, come anche per i Pratyabhijñā Śāstra, di letteratura post-scritturale. Spanda significa "vibrazione","palpitante", con riferimento all'aspetto dinamico della potenza divina. Spanda è anche il nome di una delle quattroprincipali scuole dello Shivaismo Kashmiro. L'opera principale è la Spandakārikā (VIII-IX secolo), con i suoicommenti, fra cui lo Spandasaṃdoha (commento soltanto dei primi sūtra), e lo Spandanirṇaya (commento del testocompleto), entrambi del filosofo Kṣemarāja.

Per approfondire, vedi Spandakārikā.

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Pratyabhijñā Śāstra

I Pratyabhijñā Śāstra sono gli scritti con contenuti di carattere principalmente metafisico e teologico. Pratyabhijñā ètermine usualmente tradotto con "riconoscimento", oltre che essere il nome di una delle scuole esegetiche delloShivaismo Kashmiro. Il "riconoscimento" è quello della propria natura divina, di cui, secondo la scuola, si èdimentichi, inconsapevoli. Le opere più importanti sono: la Śivadṛṣṭi di Somānanda; la Īśvarapratyabhijñākārikā[17],l'opera fondamentale di Utpaladeva; i due relativi commenti di Abhinavagupta, la Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī e laĪśvarapratyabhijñāvivṛitivirmaśinī; la Pratyabhijñāhṛdya di Kṣemarāja. Accanto a questi occorre poi affiancare lagrande sintesi operata da Abhinavagupta (X-XI secolo) nel suo fondamentale Tantrāloka ("Luce sui Tantra").

Principali esponenti dello Shivaismo kashmiro

Paesaggio caratteristico nella valle del Kashmir

Vasugupta

Stante alla tradizione, Vasugupta (VIII – IX secolo)ricevette in sogno da Śiva le indicazioni per recarsi sulmonte Mahādeva e rinvenire là, su una lastra di roccia,gli aforismi che costituiscono gli Śivasūtra, così comeil Dio stesso li aveva incisi. Estremamente concisi espesso enigmatici, gli Śivasūtra ("I sutra di Śiva")costituiscono il punto di avvio per le tradizioni śaivaesegetiche del Kashmir: l'opera viene consideratafondamentale da tutte queste scuole e ad essa fannoriferimento gran parte degli esponenti di questemedesime tradizioni.[18]

Per approfondire, vedi Vasugupta.

Bhaṭṭa KallaṭaAutore, molto probabilmente, della Spandakārikā ("Le strofe dello Spanda"), opera fondamentale della scuolaesegetica dello Spanda, Bhaṭṭa Kallaṭa (IX secolo) fu allievo diretto di Vasugupta.[18]

JñānanetraJñānanetra (IX secolo) (anche noto col nome di Śivānanda) è ritenuto il fondatore della scuola Krama, essendo stato,secondo la tradizione, direttamente iniziato dalla dea Maṅgalā, aspetto benevolente della dea Kālī. Di lui si conservaun'unica opera, il Kālikā-stotra, inno dedicato alla Dea.[19]

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SomānandaSomānanda (IX secolo) con la sua Śivadṛṣṭi ("La Visione di Śiva") è da ritenersi il fondatore della scuolaPratyabhijñā.[18]

Per approfondire, vedi Somānanda.

UtpaladevaUtpaladeva (X secolo), discepolo di Somānanda, portò a compimento l'opera del maestro con laĪśvarapratyabhijñākārikā ("Le Strofe di riconoscimento del Signore").[18] Egli fu anche maestro del Krama e delTrika.[20]

Per approfondire, vedi Utpaladeva.

BhāskaraBhāskara (X secolo) fu uno degli esponenti della scuola dello Spanda: egli si riallaccia a Bhaṭṭa Kallaṭa, e quindi aVasugupta, attraverso la successione di maestri: Śrīkaṇṭa Bhaṭṭa, Mahādeva Bhaṭṭa, Prajñārjuna, Pradyumna Bhaṭṭa.Bhāskara scrisse un commento agli Śivasūtra di Vasugupta, lo Śivasūtravārttika.[18]

AbhinavaguptaLe tradizioni śaiva del Kashmir furono sistematizzate dal filosofo Abhinavagupta (X – XI secolo) nella sua operapiù importante, il Tantrāloka ("La Luce dei Tantra"), un'opera in versi che si presenta come una sintesi originaledelle tradizioni monistiche esistenti al suo tempo.[21] Abhinavagupta riuscì ad appianare tutte le apparenti differenzee le disparità tra queste diverse scuole, offrendo così un'unitaria, coerente e completa visione di queste tradizioni. Acausa della lunghezza eccezionale (5.859 versi[22]) del Tantrāloka, Abhinavagupta stesso fornì una versione piùbreve in prosa, nota come Tantrasāra ("L'Essenza dei Tantra").Nel lignaggio della Pratyabhijñā Abhinavagupta fu allievo di Lakṣmaṇagupta, e costui di Utpaladeva, commentandocon due testi l'opera di quest'ultimo: la Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī e la Īśvarapratyabhijñāvivṛitivirmaśinī.[18] MaAbhinavagupta si riallaccia anche alla scuola dello Spanda, essendo stato anche allievo di Bhāskara[18]; e alla scuoladel Krama, essendo stato allievo indiretto di Utpaladeva.[23]

Per approfondire, vedi Abhinavagupta.

KṣemarājaDiscepolo illustre di Abhinavagupta, Kṣemarāja (X – XI secolo) si mosse, come il maestro, fra più scuole e fuprincipalmente un prolifico autore di commenti. Nella tradizione dello Spanda commentò due volte le Spandakārikācon la Spandanirṇaya e lo Spandasaṃdoha. Nella scuola della Pratyabhijñā scrisse il Pratyabhijñāhṛdya ("Il Cuoredel Riconoscimento") cui accluse un commento. Kṣemarāja scrisse poi uno dei due commenti più importanti agliŚivasūtra di Vasugupta, lo Śivasūtravimarśinī, nel quale fornisce un'interpretazione che si discosta dalla tradizioneesegetica dello Spanda.[18]

Per approfondire, vedi Kṣemarāja.

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JayarathaJayaratha (1150-1200 d.C.[24]), aggiunse il suo commento al Tantrāloka nella sua opera fondamentale, ilTantrālokavārttika (o anche Tantrālokaviveka), compito di grande difficoltà che egli perseguì per tutta la sua vita[25].Il filosofo fornì così spiegazioni contestuali, numerose citazioni e chiarimenti, senza i quali certi passaggi delTantrāloka sarebbero stati difficilmente accessibili al giorno d'oggi.

Concetti dello Shivaismo del Kashmir

La prima letteradell'alfabetosanscrito in

scritturadevanāgarī,

simbolodell'Assoluto

Anuttara, l'Assoluto

Anuttara è uno dei termini con cui è designato il principio ultimo nello Shivaismo kashmiro.Tra le molteplici interpretazioni abbiamo: "supremo", "realtà insuperabile"[26]; "indicibile","senza pari"[27]. Nella lingua sanscrita Anuttara è associato alla prima lettera dell'alfabeto, "A"(in scrittura devanagari "अ"). L'Assoluto è anche indicato in molti altri modi, a secondo delcontesto e di ciò che si vuol mettere in evidenza: Paramaśiva (Supremo Śiva), o piùsemplicemente Śiva; Śiva-Śakti (unione indissolubile di Śiva e Śakti); Kula (Coscienzasuprema: così nelle tradizioni del Kula)[27]; citi (coscienza)[28]; Bhairava (così in alcuni testidegli Āgama Śāstra).

Come concetto, Anuttara differisce da quello di trascendenza in quanto, anche se l'Assoluto è al di là di tutto, ciò nonimplica uno stato di separazione dall'universo.[29] Paramaśiva è al di là del mondo ma anche nel mondo: è Assolutosia nel senso che Egli non dipende da altro (nirapekṣa), sia nel senso che tutto ciò che esiste è Sua espansione(prasāra). Egli è sia trascendente che immanente.[28]

Svātantrya, la libera volontà autogenerataConosciuto sotto il nome di svātantrya, il libero arbitrio è all'origine[30] stessa della creazione dell'universo.Paramaśiva, infatti, essendo assolutamente indipendente, è libero di agire come di non agire; Egli non nutre bisogni,ma tutto ciò che fa è attività spontanea, è gioco (lilā) senza causa né fine alcuno. Il mondo, che è Sua espansione, èsoggetto alla legge di causalità, ma Paramaśiva non ne è influenzato.[28]

Svātantrya è una delle qualità di Dio. I singoli soggetti coscienti possono partecipare in vari gradi a questa sovranitàdivina, possedendo un grado di libero arbitrio limitato dal loro livello di coscienza. Così, tutti i soggetti sono dotatidi libero arbitrio, ma generalmente ignorano questo potere. Questa ignoranza è essa stessa un aspetto di Svātantrya, epuò essere rimossa solo da questa stessa volontà divina.Una delle funzioni di svātantrya è infatti quella di favorire la grazia divina (śaktipāta): la liberazione spirituale non ègarantita solo attraverso lo sforzo, ma dipende, in ultima analisi, dalla volontà di Dio. Così, il discepolo non può cheoffrire se stesso e lasciare che la grazia divina scenda e dissolva le limitazioni che schermano la sua coscienza.

Śiva-Śakti, l'Assoluto come Coscienza-EnergiaSecondo lo visione filosofica dello Shivaismo kashmiro, la coscienza (citi o anche saṃvit) non è una funzione delcorpo, ma un ente non materiale indipendente (tattva) che il corpo supporta: è coscienza come principio ontologico enon biologico. Essa è presente non solo in ogni essere vivente, ma anche nella materia stessa, dove è concepita come"coscienza sopita". Dunque, tutto è coscienza, o, il che è lo stesso dire, la coscienza è quel sostrato che accomunaogni cosa, l'essenza ultima. Questa essenza ultima, che è perciò Coscienza assoluta, è un aspetto dell'Assoluto,aspetto che viene usualmente indicato con Śiva (il termine tecnico è śiva tattva). Śiva è Coscienza assoluta.[31]

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L'attività con cui Paramaśiva emana il mondo è diretta conseguenza della Sua beatitudine (ānanda), essa è dunquepuramente spontanea, non finalizzata né causata. Questo dinamismo è chiamato in molti modi a seconda dellascuola: spanda ("vibrazione"); śakti ("energia"); kriyā ("attività"); vimarśa ("attività ideativa"), eccetera. In sensogenerico, è adoperato il termine śakti. Śakti non è un attributo di Paramaśiva, ma un Suo stesso aspetto, che vienemesso in evidenza per affiancarlo all'altro, la Coscienza. In tal senso si usa anche l'espressione Śiva-Śakti perindicare l'Assoluto, quando si vuol mettere in evidenza questo Suo duplice aspetto. Paramaśiva, l'unica Realtà, èCoscienza attiva, o anche Energia cosciente.[28]

In questa connotazione, lo Shivaismo kashmiro differisce dall'Advaita Vedānta, nel quale l'Assoluto, Brahman, èinvece descritto come Coscienza assoluta priva di qualsivoglia dinamismo. E di più: la posizione vedantina ècriticata in quanto, si obietta, se Brahman fosse inerte, Egli non potrebbe conoscere sé stesso, in quanto laconoscenza implica necessariamente un'attività. Paramaśiva è invece autocosciente proprio in virtù della sua stessaattività (kriyā).[28]

Ogni individuo possiede sì una coscienza limitata, ma essa è potenzialmente assoluta, perché la Coscienza, essendoessenza ultima, non è divisibile, è al più sopita o offuscata, latente, come è appunto il caso dell'individuo nonrealizzato.[31]

Aham, il cuore di ŚivaAham (letteralmente "io") è il concetto di Realtà suprema inteso come "cuore". È considerato come lo spazio nonduale interno a Śiva, e anche come il supporto dell'intera manifestazione[32], il supremo mantra[33], identico aŚakti[34].

Ābhāsa, il mondo come riflessoLo Shivaismo kashmiro è un idealismo assoluto: il mondo non è che l'estensione di un'unica mente cosmica. Non èquindi un idealismo soggettivo, per il quale il modo sarebbe una creazione della mente individuale: il mondo alcontrario è reale; ma nemmeno lo si può definire un sistema realista, perché non esiste una realtà altra dalla mentecosmica: tutto esiste nella Coscienza assoluta. Il mondo, estensione dell'Assoluto, non è dunque una Suatrasformazione, e nemmeno è qualcosa creato dal nulla. Abhinavagupta spiega questo concetto affermando[35] che ilmondo è il riflesso (pratibimba) della Coscienza da Sé stessa in Sé stessa.[36]

Questo riflesso è ciò che il singolo individuo (aṇu o anche paśu) può generalmente percepire; essendo egli limitato,la sua visione è incompleta (apūrṇa)[31], e la Realtà gli si presenta dunque come apparenza (ābhāsa) di qualcos'altro.Quest'apparenza, questo riflesso, è però ben reale, in quanto ha innanzitutto una valenza epistemica. In secondoluogo non è illusione, non è "scambiare una cosa per un'altra", come invece sostiene l'Advaita Vedānta. Il mondonon è una realtà altra e nemmeno è illusione: è Śiva che appare in quella forma che chiamiamo mondo.[36]

Il considerare il mondo reale, non creato e dunque quale estensione dell'Assoluto, pur se riflessione, ha ovviamenteripercussioni etiche importanti: il tāntrika non ritiene che l'umanità e la natura siano altro da sé, egli ha unatteggiamento positivo e di rispetto[37] verso ogni manifestazione.[36]

Kula, la famiglia spiritualeKula è un concetto complesso, tradotto generalmente come "famiglia" o "gruppo". Come la trama di un tessuto sicompone di tanti fili, così la via tantrica si presenta su vari piani come una totalità formata da molte parti,interconnesse e complementari (il termine tantra può essere reso con "trama di un tessuto"). Questa totalità èchiamata famiglia in quanto i diversi elementi che la compongono hanno un legame comune unificante, che indefinitiva è il Signore Supremo stesso, Śiva.[38]

Nelle dottrine relative alle tradizioni del Kula (o Kaula), l'attenzione è lontana dalle elaborazioni filosofiche complesse ed è più diretta alla pratica. Per esempio, il Kaula propone una forma di alchimia del corpo in cui gli

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aspetti più grossolani del proprio essere (impulsi, istinti, eccetera) si dissolvono in quelli più sottili, in quanto tuttisono considerati come formanti un'unica famiglia (un kula), che si basa su Śiva come ultimo principio.[39]

I 36 tattva

Schema esemplificativo raffigurante le 36 categorie dello Shivaismokashmiro

Le scuole śaiva moniste del Kashmir intendonol'universo come il processo di espansionedell'Assoluto, indicato con molti termini, a secondadella scuola e dei testi: spesso con Paramaśiva ("Śivasupremo"), o più semplicemente con Śiva; o ancheMaheśvara ("Grande Signore")[40]; Parameśvara("Signore supremo").[41][42] Nelle tradizioni delKaula è adoperato anche il termine Kula ("Famiglia",nel senso di "Totalità").[43] Nella tradizione del Trikal'Assoluto è altresì personificato come divinità,riferendosi così a Bhairava, ipostasi terrifica diŚiva.[44]

L'Assoluto, dunque, non crea il mondo, ma siespande o, come è descritto nel Tantrāloka, rifletteSé stesso in Sé stesso apparendo come mondo.[45]

Essendo pertanto Egli sia al di là di ogni altra cosaesperibile, sia il principio da cui tutto scaturisce e dicui ogni cosa è parte, è da intendersi come aventecontemporaneamente le qualità di trascendenza eimmanenza. L'espansione dell'Assoluto, lacosmogonia, è descritta attraverso un insieme diprincipi costitutivi, categorie (tattva) intese comeemanazioni dell'Assoluto stesso. Il numero e lecaratteristiche di tali categorie variano a secondadella scuola.[41][46] Il filosofo Abhinavagupta (X-XIsec.), nel capitolo IX del suo Tantrāloka, sistematizzando la dottrina del Trika, espone un processo costituito da 36tattva, rifacendosi alle categorie proprie della scuola Pratyabhijñā.[41][47] Questo stesso insieme è poi interpretato,quando visto in senso inverso, come percorso spirituale, quella via salvifica che riconduce il singolo all'Uno, riuniscel'uomo a Dio.[47][42]

Le 36 categorie descritte da Abhinavagupta delineano due cammini: il puro e l'impuro. Al primo cammino, dettopuro perché al di là di ogni dualità, appartengono cinque categorie effetti di altrettanti aspetti dell'Assoluto, aspettiche in letteratura vengono dette potenze (śakti). L'analogia adoperata per illustrare la connessione fra l'Assoluto equeste potenze è quella del fuoco: il fuoco possiede i poteri di illuminare, riscaldare, cuocere, bruciare, eccetera, mail fuoco è e resta fonte unica di queste capacità, che dal fuoco stesso non possono essere scisse come entitàautonome.Le potenze sono:[47]

• cit: "intelligenza"[48]

La potenza intellettiva (cicchakti)[49] è l'onniscienza di Paramaśiva, descritta come Coscienza assoluta.[45]

• ānanda: " beatitudine"

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La potenza di beatitudine (ānandaśakti) è descritta come esuberanza spontanea, gioia di Paramaśiva, qualcosadi simile al gioco (lilā) di un bambino, o a una danza libera e beata. Paramaśiva emana il mondo proprio perquesta Sua capacità.[45]

• icchā: "volontà"La potenza di volontà (icchāśakti) è la potenzialità di farsi altro da Sé, di emanare cioè il mondo.[45]

• jñāna: "conoscenza"La potenza di conoscenza (jñānaśakti) è la capacità di ideazione, è consapevolezza del molteplice all'internodell'unità.[45]

• kriyā: "attività"La potenza di attività (kriyāśakti) è capacità di far apparire il molteplice, il mondo, sempre all'internodell'unità.[45]

Il cammino puro è dunque costituito dalle seguenti cinque categorie:[47][42][50]

1. śiva ("propizio", "benevolo"), effetto della intelligenza: śiva tattva è la coscienza pura, inattiva e non manifesta;è Śiva come Coscienza assoluta, soggetto irrelato; è «Io».È questa la prima categoria che Abhinavagupta espone, lo śiva tattva, che egli distingue pertanto dall'Assoluto,Paramaśiva o Śiva tout court, ponendo[51] quest'ultimo al di fuori delle 36 categorie. Non così il filosofoUtpaladeva (X sec.), esponente della scuola Pratyabhijñā, che intende Paramaśiva come la prima dellecategorie.[41] Così commenta l'orientalista Raffaele Torella: « Lo Śiva irrelato è la prima delle manifestazionidello Śiva supremo. Mentre lo Śiva supremo è la realtà assoluta nel suo perenne pulsare di oggettività esoggettività (all'interno della omnicomprensività della Coscienza), il mondo della manifestazione è caratterizzatodalla scissione tra soggetto e oggetto e dal loro contrapporsi come due realtà separate. »(Torella, in Vasugupta1999, p. 51)

1. śakti ("potenza", "energia"), effetto della beatitudine: śakti tattva è l'altro polo dell'Io, è la potenza che permetteall'oggetto di manifestarsi e al soggetto di poter affermare "Io sono"; è «Questo».[42]

Mentre la prima categoria è il soggetto, la seconda, śakti tattva, è l'oggetto: è l'insieme di tutte le potenzedell'Assoluto che in questo stadio del cammino cominciano a delinearsi. Tali potenze, o più semplicemente lapotenza dell'Assoluto è indicata, nelle varie scuole, con molti nomi e spesso personificata come dea, compagna diŚiva o di sue manifestazioni; anche oggetto di culto in molte tradizioni, specie le śakta, come le dee Kālī,Tripurasundarī, Kuṇḍalinī, Pārvatī, eccetera. Nella scuola dello Spanda, la Potenza è indicata anche col nome dispanda ("vibrazione"), realtà dinamica onnipresente nella manifestazione.[52][53] Nella scuola del Trika è descrittacome avente un triplice aspetto, nelle tre dee Parā ("Suprema"), Parāparā ("Suprema-non suprema"), Aparā ("Nonsuprema").[54] Nella scuola della Pratyabhijñā è identificata con la capacità ideativa (vimarśa). Sullapersonificazione della śakti, così si esprime l'indologo francese André Padoux: « Si tratta quindi di tradizioni chesi possono definire śakta, dal momento che le dee sono personificazioni della śakti, incarnazioni dell'Energiadivina. Questa è una, onnipresente, sovrana; le diverse dee adorate nei culti privati o pubblici, pur con le lorodifferenze a volte molto marcate, non sono altro che sue forme particolari. »(Padoux, Op. cit., p. 80)

Rappresentazione grafica dell'unità Śiva-Śaktimediante il nastro di Möebius

Queste due prime categorie, śiva tattva e śakti tattva, o piùsemplicemente Śiva e Śakti, non sono da intendersi come sequenziali,ma connotazioni della medesima Realtà ultima: i due aspettiindissolubili dell'Assoluto: Coscienza e Energia. L'Assoluto,Paramaśiva, è Energia cosciente. L'espansione vera e propria ha iniziocol terzo tattva: fin qui il soggetto e l'oggetto costituiscono un'unitàindistinta. Adesso l'Assoluto, per effetto delle tre potenze di volontà

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(icchā), di conoscenza (jñāna) e di attività (kriyā) vuole l'oggetto (il mondo in senso lato), lo concepisce, lo forma inSé. La funzione dello śakti tattva è proprio quella di avviare questo processo.[45]

1. sadāśiva (Śiva "eterno"), effetto della volontà: sadāśiva tattva è l'affermazione del soggetto sull'oggetto; è «Iosono questo».

1. īśvara ("signore"), effetto della conoscenza: īśvara tattva è l'affermazione dell'oggetto sul soggetto; è «Questosono io».Con questo termine nell'induismo ci si riferisce a una divinità personificata: Īśvara, il Signore, è il Dio personalenella visione teista. In questo tattva l'accento cade sul "questo".

1. śuddhavidyā ("conoscenza pura"), effetto della attività: śuddhavidyā tattva è lo stadio in cui soggetto e oggettosi equilibrano e si conoscono distinti ma uniti; è «Io questo».

Queste prime cinque categorie rappresentano dunque il passaggio dall'unità indistinta «soggetto-oggetto»dell'Assoluto, alla coppia «soggetto e oggetto» identificabili e ancora uniti. L'universo non esiste ancora, mal'Assoluto ha ora riconosciuto in sé la possibilità di farsi altro.La sesta categoria, quella che pone termine al cammino puro (śuddha) aprendo l'impuro (aśuddha), è māyā, altroaspetto della potenza divina stessa, potenza[55] di auto-limitazione. Māyā tattva non è quindi "illusione" nel sensoche il Vedānta dà a questo termine, ma potenza dell'Assoluto, potenza creatrice dell'universo esperibile. Questopotere è causa di una serie di cinque limitazioni, dette kañcuka ("corazza" o "guaina"[56]). Sono dunque questecinque limitazioni, insieme alla māyā stessa, a costituire la prima parte del cammino impuro, caratterizzato dallacomparsa di dualismi e incompletezze:[47][42][57]

1. māyā ("arte", "illusione"): abbandono dell'Unità; percezione del tutto come molteplice; pluralismo.Māyā tattva separa l'unità indistinta «soggetto-oggetto» delineatasi nell'Assoluto in due entità separate: il soggettoe l'oggetto. Questa scissione provoca, nell'oggetto, la perdita dei poteri dell'Assoluto: sono le cinque limitazioni,le kañcuka. Così l'orientalista Giuseppe Tucci: « Cotesta maya, che è un aspetto della stessa potenza divina, limitacome soggetto ed oggetto, nel tempo e nello spazio, la unicità indiscriminata della coscienza: l'anima allora sirifrange illusoriamente come molti, dimentica ormai della propria essenza: e quei molti si riconoscono comeindividui (puruṣa). »(Tucci, Op. cit., p. 118)

Le cinque limitazioni sono:

1. kalā ("frazione", ignoranza"): limitazione dell'onnipotenza; percezione del potere di azione come limitato.1. vidyā ("conoscenza", "scienza"): limitazione dell'onniscienza; conoscenza parziale; dualismo

conoscente-oggetto della conoscenza.1. rāga ("passione", "desiderio")[58]: limitazione della perfezione, senso di incompletezza; dualismo

soggetto-oggetto del desiderio.1. niyati ("necessità", "destino"): limitazione dell'onnipresenza; senso di finitezza; località.1. kāla ("tempo", "stagione"): limitazione dell'eternità; percezione del tempo come lineare; causalità.La seconda parte del cammino impuro ricalca invece, con alcune differenze interpretative, l'insieme delle 25categorie del Sāṃkhya, con un processo di individuazione che dà luogo allo spirito (puruṣa, concetto pluraleindicante il complesso di tutte le "anime", soggetti limitati), alla materia (prakṛti, intesa non soltanto come substratomateriale, bensì anche mentale), all'intelletto, al senso dell'io, al senso interno, ai cinque sensi di percezione, aicinque sensi di azione, ai cinque elementi sottili e infine ai cinque elementi grossi.[59]

Per approfondire, vedi Sāṃkhya.

La differenza fondamentale col Sāṃkhya sta nel fatto che mentre secondo quest'ultimo puruṣa e prakṛti sono princìpi antitetici e ultimi, qui essi sono considerati entrambi emanazioni dell'Assoluto: prakṛti è Coscienza in forma di materia inseziente (coscienza dormiente[60]); puruṣa è Coscienza limitata e pluralmente individuata. Tale

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differenza ha conseguenze nella dottrina della liberazione (mokṣa) e quindi ripercussioni etiche notevoli: mentre nelSāṃkhya la liberazione è svincolarsi dall'illusorio legame con la materia, che è quindi vista come limitante se nonnemica, qui la liberazione è ritorno a uno stato di unità col Tutto, materia compresa.[45]

Nella molteplicità dei soggetti che sono così derivati dall'Assoluto, trovano quindi luogo gli individui, frazioni nellequali la coscienza originaria si ritrova offuscata: l'Assoluto si riconosce cioè come insieme di singoli dallaconsapevolezza limitata, individui in realtà dimentichi della propria condizione divina, schermati dalle cinquecorazze, le kañcuka di cui sopra, che se da un lato hanno consentito all'universo e al molteplice di manifestarsi, nelcontempo limitano l'individuo impedendone il riconoscimento come emanazione di Dio.[61]

L'Assoluto, il mondo e l'individuo

“È Parameśvara colui che mette in scena il dramma del mondo, unico desto nel mondo addormentato.”—Pratyabhijñā[62]; citato in Vasugupta 1999, p. 122.

Śiva Naṭarāja, Śiva Re della danza, statua presso il CERN di Ginevra, dono delgoverno indiano nel 2004. La danza è una metafora dei cicli di creazione, della

perenne trasformazione del mondo manifesto.

Dunque, secondo le scuole dello shivaismokashmiro, tutto ciò che è, è stato e sarà, ognisoggetto conoscente, ogni oggetto dellaconoscenza, ogni mezzo di conoscenza:tutto nell'universo è manifestazionedell'Assoluto, una forma di Śiva (quandointeso come dio personale), un Suo riflesso(ābhāsa), l'incessante evolversi (pariṇāma)della Sua emanazione, della Suacoscienza.[42] Su questo, così si esprime unodei testi fondamentali delle tradizionikashmire, il Vijñānabhairava Tantra:

« Quel principio che ha come qualità la coscienza è presente indifferentemente in tutti i corpi, sicché colui che mediti comeil tutto sia essenziato di esso, diventa vincitore del mondo. »

(Vijñānabhairava Tantra 98 (LXXV); in Vijñānabhairava. La conoscenza del tremendo, Op. cit., 2002)

E nelle Spandakārikā (VIII-IX sec.) leggiamo:

« L'anima individuale è sostanziata dal tutto, poiché è da essa che sorge ogni cosa, tale identità con il tutto essendo mostratadalla natura del suo percepire la realtà; ne consegue che non v'è stato – nelle parole, negli oggetti significati, nel pensare –che non sia Śiva. A presentarsi come realtà fruibile è sempre e comunque il fruitore, e il fruitore soltanto. »

(Spandakārikā II.3-4; citato in Vasugupta 1999)

La coscienza non è qui da confondersi con le forme di conoscenza, come mette in guardia il filosofo Kṣemarāja(X-XI sec.) commentando il primo sūtra degli Śivasūtra:

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« Dal momento che la natura propria del tutto è la coscienza, proprio per questo le varie forme di conoscenza sonoimpotenti, inidonee a farla conoscere: è infatti sulla coscienza che anche la loro facoltà di rendere manifesto qualcosa siappoggia, e, inoltre, in base al principio su esposto[63], la coscienza non può essere velata da alcunché, proprio perchécostantemente autoluminosa. »

(Kṣemarāja, Śivasūtravimarśinī, commento a I.1; citato in Vasugupta 1999, p. 54)

Quando Śiva è immanifesto, l'universo, tutti i possibili universi esistono in nuce in Śiva stesso, così un universoviene emanato non appena in Lui si ha uno schiudersi (unmeṣa) della coscienza. Con una significativa metafora cosìle Spandakārikā esprimono questo concetto:

(SA)« yasyonmesanimeṣābhyāṃ jagataḥ pralayodayau taṃśakticakravibhavaprabhavaṃ śankaramstumaḥ »

(IT)« Rendiamo lode al Benigno[64], da cui scaturisce la gloriadelle potenze; al suo aprirsi e chiudersi di ciglia sorgel'universo e si dissolve. »

(Spandakārikā I.1; citato in Vasugupta 1999, p. 64)

Similmente, l'universo viene riassorbito al chiudersi (nimeṣa) degli occhi di Śiva: quando la coscienza si richiude insé stessa, l'universo scompare, e tutto può cominciare da capo. Questa cosmogonia ciclica è ben messa in evidenzadalla metafora della danza: Śiva è infatti il "Re della danza" (naṭarāja):

« Con una parte tu[65] sei il sé interiore, il danzatore, l'occultatore del tesoro. »

(Niśvāsa VII[66];citato in Vasugupta 1999, p. 122)

Śiva Naṭarāja all'interno dell'arco di fuoco che simboleggia la distruzione, stringe il ḍamaru, il tamburo che emette ilsuono primordiale che genera il creato, il tamburo a forma di clessidra che coi due triangoli vertice contro vertice,richiama all'unione del liṅga e dello yoni, del fallo e della vagina, simboli delle prime due categorie, śiva tattva eśakti tattva: il soggetto e l'oggetto (aham e idam), il dio e la sua potenza, la coppia (yāmala) cosmica. Così il filosofoAbhinavagupta (X-XI sec.), sistematore delle tradizioni śaiva, descrive la coppia cosmica:

« La fusione, quella della coppia Śiva e śakti, è l'energia della felicità da cui emana tutto l'universo: realtà al di là delsupremo e del non-supremo, essa è chiamata Dea, essenza e Cuore [glorioso]: è l'emissione, il Signore supremo. »

(Abhinavagupta, Tantrāloka III, 68-69; citato in Lilian Silburn 1997, p. 45)

La metafora dell'unione sessuale, spesso rappresentata nell'iconografia classica con la coppia Śiva e Pārvatīabbracciati in uno stato di beatitudine eterno, o con l'immagine della dea Kālī che cammina o giace sul corpoimmobile di Śiva col pene eretto, si presta qui a indicare proprio quelle prime due categorie che aprono il camminopuro. È la Dea, Śakti, che, nella metafora, suscitando il desiderio di Śiva, apre il cammino, un nuovo ciclo diemanazione.[42]

Ancora Abhinavagupta, nell'incipit della Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī, così omaggia la coppia che derivadall'Assoluto:

« Mi inchino davanti all'Assoluto non-duale onnipervadente, il supremo Śiva-Śakti, che nel suo stato di assenza di desiderioe perfezione, prima di tutto si illumina come puro "Io sono" [il soggetto puro] e poi allo scopo di separare la sua potenzaattiva si divide in due [il soggetto e l'oggetto] e che per sua natura continua ad emanarsi ed estendersi [nella Creazione] e dinuovo si dissolve in se stesso. »

(Abhinavagupta, Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī 1.1.1; citato in Mishra 2012, p. 29)

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Śiva Ardhanārīśvara, il Signore metàdonna

Un altro simbolismo che forse meglio rispecchia l'unità ancora inseparata disoggetto e oggetto, di soggetto e oggetto con-fusi, è quella diArdhanārīśvara, il "Signore metà donna": Śiva uomo nella metà destra delcorpo e donna nell'altra.Al termine del cammino puro, quando l'Assoluto si è ormai reso soggetto eoggetto distinti ma ancora insieme, è māyā tattva che opera la scissione ditale unità, dando quindi la possibilità all'Assoluto di farsi universo. CosìKṣemarāja:

« Nell'ambito del sé – che è simile all'etere – si manifesta infatti una contrazione, a cominciare dal piano dello Śiva irrelatofino al piano del soggetto illusorio, dovuto al potere della grande Māyā , tesa com'è all'occultamento della vera natura;potere, questo, che ha le sue radici nella potenza di Libertà, e dunque del Supremo Signore stesso. »

(Kṣemarāja, Śivasūtravimarśinī, commento a I.2; citato in Vasugupta 1999, p. 56)

È dunque, anche nel cammino impuro, sempre e solo Paramaśiva che continua a operare in assoluta libertà(svātantrya): è Paramaśiva l'unico a possedere libera volontà. L'individuo è solo apparentemente libero, o meglio lo èfintanto che la sua coscienza non si riconosca come quella dell'Assoluto. In altre parole, il libero arbitriodell'individuo è limitato finché egli non si ricongiunge con Paramaśiva:

« Il mondo è dunque come un raggio, un bagliore, per colui che ha raggiunto tale condizione; l'universo, in altre parole, gliappare come una sua propria irradiazione. »

(Kṣemarāja, Śivasūtravimarśinī, commento a III.8; citato in Vasugupta 1999, p. 121)

O, come molto più sinteticamente si era già espresso Vasugupta nei suoi fondamentali Śivasūtra:

« Il visibile è il corpo. »

(Vasugupta, Śivasūtra I.14; citato in Vasugupta 1999, p. 72)

All'individuo, pur nella sua mancanza di libero arbitrio, non è allora preclusa la strada verso la beatitudine e lalibertà: egli, in quanto emanazione dell'Assoluto, possiede natura divina ma ne è dimentico, inconsapevole:

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« La natura divina che lo yogin raggiunge non è qualcosa che prima non fosse, ma null'altro che la sua stessa intima naturadi cui egli era soltanto incapace di prendere coscienza benché fosse manifesta, per colpa delle costruzioni mentali suscitatedalla potenza di Māyā. Attraverso la graduale illustrazione dei mezzi suddetti proprio questa natura divina viene portata allaluce. »

(Kṣemarāja, Śivasūtravimarśinī, commento a III.45; citato in Vasugupta 1999, pp. 158-159)

La liberazione (mokṣa) dell'individuo, conseguibile secondo queste scuole con percorsi e mezzi differenti a secondadella tradizione, è perciò intesa come un processo inverso a quello di emanazione, un processo di regressione chepuò ricondurlo a Paramaśiva, riassorbirlo nell'unità originaria:

(SA)« tadaparijñāne svaśaktibhirvyāmohitatā saṁsāritvam »

(IT)« Trasmigrare è permanere nella convinzione di essere separato. »

(Kṣemarāja, Pratyabhijñāhṛdayaṃ, 12)

Centrale, pur con molte differenze interpretative e operative, è spesso il ruolo di quella stessa entità che ha aperto ilcammino puro cominciando a delineare la distinzione fra soggetto e oggetto, la śakti, la multiforme potenza di Dio,la Dea[42]:

« Essa è la forma di tutto ciò che è cosciente. L'origine della conoscenza, la percezione della realtà, l'istigatricedell'intelletto. »

(Devībhāgavata Purāṇa I.1.1[67])

Le quattro scuole dello Shivaismo del Kashmir

« Lo shivaismo kashmiro è giunto a quelle profondità del pensiero umano dove le varie correnti della sapienza umana sonounite in una sintesi luminosa. »

(Rabindranath Tagore, citato in G.N. Raina, The call of the spirit proved irresistible [68])

Come si è detto, nell'ambito dello shivaismo kashmiro possiamo distinguere tradizioni religiose poi evolutesi comescuole, e scuole filosofiche che a queste hanno fatto riferimento. I nomi che più ricorrono sono Kula, Trika e Kramafra le scuole tradizionali, e Spanda e Pratyabhijñā fra le scuole esegetiche. In realtà il Trika è sia una tradizionereligiosa sia una scuola esegetica, in quanto elaborazione del filosofo Abhinavagupta e dei suoi successori.

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Il Kula e il Trika

Una riproduzione schematica deltriśūlābjmaṇḍala, il mandala del tridente e deiloti, adoperato in uno dei culti visionari della

scuola del Trika.

Con il termine Kula, o Kaula, gli studiosi così tendono oggi aetichettare un insieme variegato di tradizioni religiose originatosi dasette shivatite molto antiche, quali a esempio i Kāpālika, i Pāśupata (IIsecolo) e i Lākula, tradizioni lontane dall'ortoprassi dei Purāṇa, setteche adottavano culti trasgressivi, visionari, prediligendo divinitàterrifiche anziché benefiche.[69] Non è propriamente corretto perciòdefinire il Kula una scuola, quanto piuttosto un alveo nel quale sonoconfluite visioni con alcuni fondamentali tratti in comune: lessico,teologia, pratiche rituali. Occorre però ricordare che tradizionalmente ilKula è ritenuta una tradizione fondata da Macchanda, ritenutodiscendente del mitico Tryambaka, enunciatore dei 64 testi tantrici nondualisti, gli Āgama Śāstra.[18]

Kula in sanscrito significa "famiglia", nel senso di "totalità": conquesto termine nella letteratura religiosa tradizionale ci si riferisceinvece all'insieme delle potenze divine che dànno origine alla realtàsensibile, una totalità che è espressione della potenza dell'Assoluto, quindi realtà suprema e indifferenziata.[18]

Per approfondire, vedi Kaula.

Nell'insieme del Kula si sono successivamente distinte quattro correnti principali, che tradizionalmente sonoassociate ai quattro punti cardinali. Dalla tradizione orientale, la Pūrva-āmnāya, si ritiene sia originato il Trika, che inquanto scuola esegetica è stata successivamente sistematizzata dal filosofo Abhinavagupta.[70] Trika vuol dire"triade": il sistema interpretativo della scuola è infatti caratterizzato da un insieme di triadi, espressioni del tripliceaspetto della realtà: Śiva, Potenza, Uomo.[18]

Fra i testi principali, oltre i Tantra non dualisti (fra i quali principalmente il Mālinīvijaya, il Devyāyāmala, ilTantrasadbhāva e il Vijñānabhairava Tantra): il commento Śivasūtravimarśinī di Kṣemarāja agli Śivasūtra diVasugupta; il Tantrāloka di Abhinavagupta, e il relativo commento di Jayaratha, il Tantrālokavārttika.

Per approfondire, vedi Trika.

KramaIl termine krama significa "progressione", "gradazione" o "successione", termini intesi come "progressionespirituale", "perfezionamento graduale dei processi mentali" (vikalpa): "successione degli stati che la coscienzaattraversa nel suo manifestarsi"[71]. Questa scuola, originaria dell'Uḍḍiyana, nell'attuale Pakistan, si è sviluppata apartire dal VII secolo d.C. come esegesi della tradizione tantrica del Kula denominata Uttara-āmnāya ("tradizionesettentrionale"), tradizione centrata sul culto della dea Kālī.[72]

La scuola pone l'attenzione sui movimenti energetici, raffigurati come ruote che girano e tradizionalmente associatialle potenze Divine (śakti). Lo sviluppo della coscienza consiste nel ritrovare in ogni movimento la ruota principale,il cui centro è la Coscienza Suprema, attorno a cui girano le ruote secondarie. Il divino femminile risveglia e dirige ilmovimento, la Dea proietta l'universo – azione centrifuga – e Śiva, Coscienza Suprema, lo riassorbe – azionecentripeta. Concentrandosi sull'azione delle Potenze, il Krama pone particolare enfasi sulla trasmissione attraverso ledonne.I testi di questa corrente finora pervenuti sono assai pochi, tra questi senz'altro il Kālikā-stotra di Jñānanetra. Opera perduta di Abhinavagupta è invece il Kramakeli. Occorre poi menzionare il Mahānayaprakāsha, di autore ignoto, contemporaneo o di poco posteriore ad Abhinavagupta, che descrive i processi delle energie e le pratiche volte a

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prenderne coscienza.[73]

Per approfondire, vedi Krama (induismo).

SpandaIl termine spanda, che vuol dire "vibrazione", "energia vibrante", è stato introdotto da Vasugupta e ripreso dal suodiscepolo Bhaṭṭa Kallaṭa nella Spandakārikā (VIII-IX secolo)[74]. Nella scuola esegetica che da quest'opera prende ilnome, il Principio ultimo è concepito come un movimento perpetuo, fonte di ogni creazione e dissoluzione.L'essenza di questa vibrazione è l'estatica coscienza, potenza di Śiva, in perenne rinnovo.[75]

Sebbene il metodo proposto sia graduale, il nucleo di questa filosofia è definito come un "salto" o un'improvvisaadesione al Reale che trascende completamente la divisione tra conoscente e conosciuto, e che consente allo yogi divedere tutto l'universo come il proprio "corpo" o come l'espansione della propria energia. Chi raggiunge tale stato èchiamato Yogeśvara, "Signore degli yogi".I testi più importanti di questa scuola sono il Vijñānabhairava Tantra, di autore ignoto; e quelli classificati comeSpanda Śāstra: gli Śivasūtra di Vasugupta, col commento Śivasūtravārttika di Bhāskara; la Spandakārikā, coicommenti Spandanirṇaya e Spandasaṃdoha di Kṣemarāja, e lo Spandaviṛtti di Bhaṭṭa Kallaṭa.

Per approfondire, vedi Spanda.

PratyabhijñāIl termine pratyabhijñā vuol dire "riconoscimento", con riferimento al fine spirituale della scuola: riconoscimentodella propria natura come divina, il riconoscersi cioè in Śiva, Realtà Ultima, descritto come Suprema Coscienza eSignore Supremo.[18]

La scuola Pratyabhijñā è stata fondata alla fine del IX secolo da Somānanda e sistematizzata dal suo discepoloUtpaladeva. Le opere fondamentali sono quelle del Pratyabhijñā Śāstra: gli Śivadṛṣṭi e la Śāktavijñāna diSomānanda; la Īśvarapratyabhijñākārikā di Utpaladeva; i due commenti di Abhinavagupta a quest'opera: laĪśvarapratyabhijñāvirmaśinī e la Īśvarapratyabhijñāvivṛitivirmaśinī; il Pratyabhijñāhṛdya di Kṣemarāja.Questa scuola può essere definita come anupāya, cioè "priva di mezzi", dal momento che l'identificazione dell'"io"individuale con l'"io" universale non richiede nessuna disciplina psico-fisica o pratica religiosa particolare, masoltanto la comprensione metafisica della natura divina quale essenza unica nel mondo.

Per approfondire, vedi Pratyabhijñā.

La liberazioneCome tutte le altre darśana hindu, anche lo Shivaismo kashmiro mostra al seguace un fine che è la liberazione(mokṣa), intesa qui come affrancamento da quelle impurità (mala) che offuscano la vera natura del sé, quindi come lariacquisizione di uno stato che già preesisteva. Il filosofo Utpaladeva esprime questo concetto descrivendolo come"diventare ciò che si è già diventati"[76].[77]

Le impurità sono di tre tipi:• āṇava mala, che dà luogo all'ego, al senso dell'io cioè, identificando, erroneamente, la Coscienza assoluta (Śiva)

con quella dell'individuo (aṇu);• māyīya mala, che origina il dualismo soggetto-resto del mondo;• kārma mala, che causa l'azione volontaria (karman) finalizzata all'ottenimento di qualcosa.[77]

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Queste tre impurità sono conseguenza una dell'altra: l'auto-limitazione della Coscienza genera il senso didifferenziazione, che a sua volta spinge ad agire per cercare di possedere qualcosa che si reputa non avere, oviceversa, disfarsi di qualcosa che si ritiene negativo.[77] Così Abhinavagupta:

« Il kārma mala arriva quando l'agente è nello stato di ignoranza e imperfezione, ha il senso della dualità e svolge l'azionesotto forma di virtù o di vizio, il che porta alla rinascita e a raccogliere i frutti delle azioni. »

(Abhinavagupta, Īśvarapratyabhijñāvirmaśinī, 3.2.5; citato in Mishra 2012, p. 332)

La liberazione è quindi il riconoscimento (pratyabhijñā) della propria natura quale Coscienza assoluta:

« Diventa simile a Śiva. »

(Vasugupta, Śivasūtra, III.25; citato in Vasugupta 1999)

"Diventare ciò che si è già" è dunque diventare Śiva, riconoscersi Dio. Questo traguardo non è inteso come premiopost-mortem, ma come obiettivo da ottenere nella vita attuale. Colui che raggiunge il moksa è detto liberato in vita,jīvanmukti. Il liberato in vita non vive affatto in uno stato di isolamento, non è un rinunciante, al contrario in egli èben vivo il senso di unità col mondo. Il suo agire non è però finalizzato, non è karman: è kriyā, attività spontanea egioiosa, assolutamente non egoistica, puro gioco interamente abbandonato nel Sé:[77]

« Colui che si identifica con il Sé universale e sa 'che tutto questo è la mia gloria', rimane nella 'śivaità' anche di fronte alledeterminazioni prevalenti [la dualità]. »

(Utpaladeva, Īśvarapratyabhijñākārikā, 4.1.12; citato in Mishra 2012, p. 344)

Il jīvanmukti non rinuncia né al mondo né ai suoi piaceri, come illustra questo testo delle tradizioni del Kula:

« Il sole asciuga ogni cosa nel mondo, il fuoco consuma ogni cosa (e ancora il sole e il fuoco si mantengono puri); cosìanche lo yogin, pur sperimentando tutti i piaceri, non è contaminato dal peccato. »

(Kulārṇava Tantra, 9.76; citato in Mishra 2012, p. 340)

Note[1] Dyczkowski, Op. cit., p. 4.[2] Padoux, Op. cit., p. 82.[3] Flood, Op. cit., p. 220 e p. 227.[4] Flood, Op. cit., p. 227.[5] Dyczkowski, Op. cit, nota 12, p. 222.[6] Si rammentano, fra gli altri Nāropā e Padmasambhava, considerato il diffusore del Buddhismo in Tibet.[7] Dyczkowski, Op. cit, introduzione.[8] Così Mark Dyczkowski, indologo britannico che ha dedicato molto del suo impegno allo studio delle tradizioni tantriche śaiva:[9] Padoux, Op. cit., p. 76 e p. 80.[10] Flood, Op. cit., pp. 227 e segg.[11][11] Mishra 2012, cap. 1.[12] Jaideva Singh, Pratyabhijnahrdayam, Op. cit., introduzione.[13] Padoux, Op. cit., p. 51.[14] Flood, Op. cit., p. 218.[15] Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980.[16][16] Torella, in Vasugupta 1999, p. 23 e segg.[17] Īśvarapratyabhijñākārikā significa di fatto "Strofe (kārikā) di Riconoscimento (pratyabhijñā) del Signore (īśvara)".[18][18] Raffaele Torella, in Vasugupta 1999.[19] Christopher Tompkins and Christopher Wallis, An Introduction to the Tantric 'Krama' lineage of Kashmir (http:/ / shaivayoga. com/

kashmir-manuscripts_files/ Intro_Krama. pdf), shaivayoga.com.[20] Padoux, Op. cit., p. 83.[21] Così l'indologo francese André Padoux:[22] Alexis Sanderson, Tantric Studies in Memory of Hélène Burnner, p. 371.

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[23] Padoux, Op. cit., p. 83[24] Navijan Rastogi, Introduction to the Tantrāloka, p. 92.[25] Navijan Rastogi, Introduction to the Tantrāloka, p. 102.[26] Jaideva Singh, Para-trisika Vivarana, pp. 20-27.[27] Lilian Silburn, La kuṇḍalinī o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997, p. 44.[28][28] Mishra 2012, cap. 3.[29] Paul Muller-Ortega, The Triadic Heart of Shiva, p. 88.[31][31] Mishra 2012, cap. 2.[32] Jaideva Singh, Parā-trīśikā Vivaraṇa, p. 194.[33] Jaideva Singh, Parā-trīśikā Vivaraṇa, p. 180.[34] Jaideva Singh, Parā-trīśikā Vivaraṇa, p. 127.[35] Tantrāloka, 3.44 (citato in Mishra 2012, cit., p. 234).[36][36] Mishra 2012, cap. 5.[37] Le tradizioni tantriche si sono sempre mostrate aperte a tutti, opponendosi così al sistema dell caste. Non solo, la donna, essendo ritenuta

espressione concreta della śakti, è tutt'altro che emarginata. (Mishra 2012, cit., cap. 1).[38] Paul Muller-Ortega, The Triadic Heart of Shiva, p. 102.[39] Paul Muller-Ortega, The Triadic Heart of Shiva, p. 60. Cfr. anche John R. Dupuche, Abhinavagupta. The Kula Ritual, as Elaborated in

Chapter 29 of the Tantrāloka, p. 87.[40] Flood, Op. cit., p. 227.[41][41] Torella, in Vasugupta 1999, p. 28.[42] Vassallo, cit.[43][43] Torella, in Vasugupta 1999, p. 88.[44] Gnoli in Vijñānabhairava. La conoscenza del tremendo, Op. cit., p. 16.[45][45] Mishra 2012, cap. 4.[46] Padoux, Op. cit., nota 3, p. 66.[47] Tucci, Op. cit., pp. 116-120.[48] Così traduce Giuseppe Tucci, e d'altronde: vedi spokensanskrit.de (http:/ / spokensanskrit. de/ index. php?script=HK& beginning=0+ &

tinput=cit+ & trans=Translate& direction=SE), e anche Mc Donnel A pratical sanskrit dictionary (http:/ / dsal. uchicago. edu/ cgi-bin/romadict. pl?page=68& table=macdonell& display=simple): "intelletto", "mente". Tuttavia in letteratura si incontra anche cit tradotto con"coscienza": così per esempio Padoux (Op. cit., p. 84), Flood (Op. cit., p. 227).

[49] Cfr. Gabriel Pradīpaka, Sanskrit alphabet and the levels of Creation - Part 1 (http:/ / www. sanskrit-sanscrito. com. ar/ en/sanskrit-first-steps-first-steps-4-1/ 415), sanskrit-sanscrito.com.ar.

[50][50] Torella, in Vasugupta 1999, p. 29.[51] Tantrāloka, 11, 21.22 (citato in Mishra 2012, cit., p. 143). Abhinavagupta suddivise quest'opera in 37 capitoli.[52][52] Torella, in Vasugupta 1999, p. 24.[53] Padoux, Op. cit., p. 85.[54] Flood, Op. cit., p. 228.[55] Paramārthasāra, 15 (citato in Mishra 2012, cit., p. 207).[56] Così Mishra, cit.[57] Torella mette in evidenza che a volte le 36 categorie sono distinte in tre cammini, anziché due: il puro (i primi cinque tattva); il puro-impuro

(questi secondi sei tattva); l'impuro (gli ultimi venticinque tattva), p. 29.[58] L'opposto di rāga è dveṣa, "avversione"", "repulsione". Questi due aspetti rappresentano un unico stato d'animo, quello che nasce dal senso

di separazione dall'oggetto, e quindi dal desiderarlo o avversarlo. Così Mishra, cap. 4, cit.[59][59] Torella, in Vasugupta 1999, p. 29.[60] Così si esprime Aurobindo (cfr. Mishra 2012, cit., p. 217).[61][61] Torella, in Vasugupta 1999, pp. 29-30.[62] Così scrive Kṣemarāja nel suo Śivasūtravimarśinī, commentando il sūtra III.9. Raffale Torella commenta in nota: «Il brano citato doveva

appartenere al più lungo dei due commenti che Utpaladeva dedicò alla sua Īśvarapratyabhijñākārikā, ora perduto.»[63][63] Tutto è coscienza.[64] Śankara nel testo originale, appellativo di Śiva. La ruota delle potenze (śakticakra) sono le potenze dell'Assoluto, quelle che dànno origine

al cammino puro.[65][65] Maheśvara, il "Grande Signore", appellativo di Śiva.[66] Uno dei diciotto Āgama dualistici-non dualistici: vedi Tantra (testi induisti).[67] Citato in Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008, p. 293.[68] http:/ / www. koausa. org/ Saints/ LakshmanJoo/ article1. html[69] Padoux, Op. cit., p. 76.[70] Padoux, Op. cit., p. 78.[71] Navijan Rastogi, The Krama Tantricism of Kashmir, pp. 6-12.[72] André Padoux, Op. cit., p. 79.

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[73] Introduzione all UNIQ-nowiki-0-6ff942583b273668-QINU Essenza dei Tantra (Abhinavagupta), Raniero Gnoli.[74][74] L'attribuzione non è certa: non pochi studiosi assegnano quest'opera a Vasugupta stesso.[75] Jaideva Singh, Spanda-Kārikās, The Divine Creative Pulsation, p. XVIII.[76] Cfr.: Īśvarapratyabhijñākārikā, 2.3.17.[77][77] Mishra 2012, cap. 8.

Bibliografia• Vijñānabhairava. La conoscenza del tremendo, traduzione e commento di Attilia Sironi, introduzione di Raniero

Gnoli, Adelphi, 2002.• Gavin Flood, L'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.• Kamalakar Mishra, Tantra. Lo Śivaismo del Kaśmīr, traduzione di P. Zanoni, Lakṣmī, Savona 2012.• André Padoux, Tantra, a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.• Lilian Silburn, La Kuṇḍalinī o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997.• Giuseppe Tucci, Storia della filosofia indiana, Editori Laterza, 2005.• Maria Vassallo, Alcuni aspetti cosmogonici dello śivaismo tantrico kaśmīro (http:/ / www. mediaevalsophia. net/

_fascicoli/ 04/ art. _Vassallo_Alcuni aspetti cosmogonici dello_ivaismo_MS4.pdf?phpMyAdmin=45359ee9ec0e3d22eaea414acdb2f07a), mediaevalsophia.net.

• Vasugupta, Gli aforismi di Śiva, con il commento di Kṣemarāja, a cura e traduzione di Raffaele Torella, Mimesis,1999.

Bibliografia in lingua non italiana• (EN) Mark S. G. Dyczkowski, The Doctrine of Vibration: An Analysis of Doctrines and Practices of Kashmir

Shaivism, Motilal Barnasidass, 2000 (1989).• (EN) Paul Muller-Ortega, The Triadic Heart of Shiva.• (EN) Jaideva Singh, Para-trisika Vivarana by Abhinavagupta.• (EN) Jaideva Singh, Pratyabhijnahrdayam (http:/ / www. abhidharma. ru/ A/ Simvol/ Indyizm/ Cadxy/ Jaideva

Singh/ 0003. pdf), Motilal Barnasidass, 1987 (1963).

Voci correlate•• Shakti•• Shiva•• Tantra•• Tantra (testi induisti)

Collegamenti esterni• (EN) Sito ufficiale del Ishwar Asrham Trust (http:/ / www. ishwarashramtrust. com/ ), fondato da Lakshman Joo.• (EN) Video (http:/ / www. youtube. com/ watch?v=qJa1PE_9kPg& feature=share) della conferenza della d.ssa

Maria Syldona della Society for Scientific Exploration (SSE) su Shivaismo Kashmiro e Scienza moderna.

Portale India Portale Induismo

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Fonti e autori delle voci 21

Fonti e autori delle vociShivaismo kashmiro  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=60415197  Autori:: DonatoD, Eumolpo, Massimiliano Panu, Pracchia-78, Thildared, 4 Modifiche anonime

Fonti, licenze e autori delle immaginiFile:Shankaracharya temple.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Shankaracharya_temple.jpg  Licenza: Public Domain  Autori:: Burke, John (ca. 1843 – 1900)File:Kashmir map.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Kashmir_map.jpg  Licenza: Public Domain  Autori:: Central Intelligence AgencyFile:Bhairava Népal Tibet 21107.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Bhairava_Népal_Tibet_21107.jpg  Licenza: Public Domain  Autori:: VassilImmagine:Exquisite-kfind.png  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Exquisite-kfind.png  Licenza: GNU General Public License  Autori:: GuppettoFile:Farming in Leh Valley, Ladakh.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Farming_in_Leh_Valley,_Ladakh.jpg  Licenza: Creative Commons Attribution-Sharealike 2.0 Autori:: Karunakar Rayker from IndiaFile:Devanagari new a.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Devanagari_new_a.jpg  Licenza: Creative Commons Attribution-Sharealike 3.0,2.5,2.0,1.0  Autori:: JackPotteFile:36 tattva.pdf  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:36_tattva.pdf  Licenza: GNU Free Documentation License  Autori:: DonatoDFile:Śiva-Śakti MS.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Śiva-Śakti_MS.jpg  Licenza: Creative Commons Attribution-Sharealike 3.0  Autori:: User:DonatoDFile:CERN shiva.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:CERN_shiva.jpg  Licenza: Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported  Autori:: Arpad HorvathFile:Ardhanaisvara.JPG  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Ardhanaisvara.JPG  Licenza: Creative Commons Attribution-Share Alike  Autori:: Benjamín Preciado Centro deEstudios de Asia y África de El Colegio de MéxicoFile:Triśūlābjmaṇḍala.jpg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Triśūlābjmaṇḍala.jpg  Licenza: Public domain  Autori:: Utente:DonatoDFile:India geo stub.svg  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:India_geo_stub.svg  Licenza: Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported  Autori:: User:Jak, recreatedby User:Stannered from images by User:Zscout370 and User:PlaneMadFile:HinduismSymbol.PNG  Fonte: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:HinduismSymbol.PNG  Licenza: GNU Free Documentation License  Autori:: AnonMoos, Durga, Nyo,Tacsipacsi, 2 Modifiche anonime

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