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1 SILVANA CASARTELLI NOVELLI Nel Libro co-testo di parole e immagini, il “monumentum” paradigmatico delle sorgenti culturali e della creatività dell'Europa altomedievale (Lezione tenuta il 28 maggio 2008 presso l’Università di Modena e Reggio Emilia). I Ringrazio l'amica e collega prof. Roberta Budriesi per avermi concesso il piacere e l'onore di chiudere all'Ateneo di Modena e Reggio Emilia, anche in coincidenza con la celebrazione del ventennale dell'attività dell'Associazione Cultura e Vita, president Fig. 1 J.-J AILLAGON, I Barbari e Roma. La nascita di un nuovo mondo, Venezia 2008. e prof. Maria Teresa Camurri, il corso "Barbari e cristianesimo: un nuovo mondo in formazione". Una tematica che, da diverse angolature e con diverse griglie d'analisi, è oggi al centro sia della ricerca scientifica e sia del dibattito che si svolge in seno all'Unione Europea. Poiché, come ci ricorda Jean-Jacques Aillagon, presentando la grande mostra internazionale I Barbari e Roma. La nascita di un nuovo mondo, aperta in gennaio al Palazzo Grassi di Venezia (Fig. 1), il "nuovo mondo" oggetto di ricerca e di dibattito è quell'originale edificio di riferimenti e di valori che va sotto il nome di civiltà europea: nello specifico, di quella parte occidentale dell'impero romano -"impero mediterraneo" - che ha trovato nel IX secolo unità politico-culturale nel Sacro Romano Impero d'Occidente e che, fino alla disgregazione dell'impero ottomano nel XIX secolo, ha costituito una civiltà diversa e separata dall'Europa orientale 1 . E tematica che, a fronte del Passaggio a Occidente tornato a investire l'Europa (Fig. 2) o di Un passato che ritorna a investire l'Europa nella nuova sfida dell'Asia 2 (Fig. 3) ha perduto ormai, come scriveva Jacques Vidal, la sicurante visione eurocentrica coltivata nella cultura occidentale nella misura in cui essa ha dimenticato di fare appello al simbolo 3 ; chiamando pertanto gli studi all'urgenza di interrogare su nuove fonti e con nuove griglie d'analisi la formazione Fig. 2 G. MARRAMAO, Passaggio a Occidente, Torino 2003. Fig. 3 V. CASTRONOVO, Un passato che ritorna. L’Europa e la sfida dell’Asia., Roma-Bari 2006. 1 J.-J. AILLAGON, I Barbari e Roma. La nascita di un nuovo mondo, Venezia 2008, pp 42-43. 2 G. MARRAMAO, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, Torino 2003, in particolare il capitolo introduttivo Nostalgia del presente, pp.11-84; V. CASTRONOVO, Un passato che ritorna. L’europa e la sfida dell’Asia, Roma-Bari 2006. 3 Cfr. J. VIDAL, Sacré, symbole, creativité, Louvain-la-Neuve 1990; tr, it, Sacro, Simbolo, Creatività, Milano 1992,p.67.

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SILVANA CASARTELLI NOVELLI Nel Libro co-testo di parole e immagini, il “monumentum” paradigmatico delle sorgenti

culturali e della creatività dell'Europa altomedievale (Lezione tenuta il 28 maggio 2008 presso l’Università di Modena e Reggio Emilia). I Ringrazio l'amica e collega prof. Roberta Budriesi per

avermi concesso il piacere e l'onore di chiudere all'Ateneo di Modena e Reggio Emilia, anche in coincidenza con la celebrazione del ventennale dell'attività dell'Associazione Cultura e Vita, president

Fig. 1 J.-J AILLAGON, I Barbari e Roma. La nascita di un nuovo mondo, Venezia 2008.

e prof. Maria Teresa Camurri, il corso "Barbari e cristianesimo: un nuovo mondo in formazione".

Una tematica che, da diverse angolature e con diverse griglie d'analisi, è oggi al centro sia della

ricerca scientifica e sia del dibattito che si svolge in seno all'Unione Europea. Poiché, come ci ricorda Jean-Jacques Aillagon, presentando la grande mostra internazionale I Barbari e Roma. La nascita di un nuovo mondo, aperta in gennaio al Palazzo Grassi di Venezia (Fig. 1), il "nuovo mondo" oggetto di ricerca e di dibattito è quell'originale edificio di riferimenti e di valori che va sotto il nome di civiltà europea: nello specifico, di quella parte occidentale dell'impero romano -"impero mediterraneo" - che ha trovato nel IX secolo unità politico-culturale nel Sacro Romano Impero d'Occidente e che, fino alla disgregazione dell'impero ottomano nel XIX secolo, ha costituito una civiltà diversa e separata dall'Europa orientale1.

E tematica che, a fronte del Passaggio a Occidente tornato a investire l'Europa (Fig. 2) o di Un passato che ritorna a investire l'Europa nella nuova sfida dell'Asia2 (Fig. 3) ha perduto ormai, come scriveva Jacques Vidal, la sicurante visione eurocentrica coltivata nella cultura occidentale nella misura in cui essa ha dimenticato di fare appello al simbolo3; chiamando pertanto gli studi all'urgenza di interrogare su nuove fonti e con nuove griglie d'analisi la formazione

Fig. 2 G. MARRAMAO, Passaggio a Occidente, Torino 2003.

Fig. 3 V. CASTRONOVO, Un passato che ritorna. L’Europa e la sfida dell’Asia., Roma-Bari 2006.

1 J.-J. AILLAGON, I Barbari e Roma. La nascita di un nuovo mondo, Venezia 2008, pp 42-43. 2 G. MARRAMAO, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, Torino 2003, in particolare il capitolo introduttivo Nostalgia del presente, pp.11-84; V. CASTRONOVO, Un passato che ritorna. L’europa e la sfida dell’Asia, Roma-Bari 2006. 3 Cfr. J. VIDAL, Sacré, symbole, creativité, Louvain-la-Neuve 1990; tr, it, Sacro, Simbolo, Creatività, Milano 1992,p.67.

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dell'Europa, allo scopo di ricavarne le conoscenze e le idee capaci di illuminare la “storia da fare” nell' odierno theatrum orbis della civiltà globalizzata, indubitabilmente ricco di nuove prospettive quanto di incognite del futuro della "vecchia Europa". Incognite che toccano ormai anche il comune sentire, come, con audace contraddizione in termini, denunciava la scritta murale di un novello Pasquino "Il futuro non è più quello di una volta", comparsa di recente nel popolare quartiere romano di Testaccio.

Presentando la collana “Fare l’Europa”, nata contemporaneamente in Germania, Inghilterra,

Spagna, Italia e Francia, nell’introduzione al primo volume Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa (Fig. 4), l'eminente medievista Jacques Le Goff riconosce che di tutti i lasciti vitali per l’Europa di oggi e di domani, indubitabilmente quello medievale è il più importante, ma ricorda al contempo che l’Europa di oggi è ancora fare e addirittura da pensare. Il passato propone ma non dispone, e il presente è determinato tanto dal caso e dal libero arbitrio quanto dall’eredità del passato4. E nel risguardo di copertina l’Editore sintetizza: Dalla storia delle tracce e dei resti delle numerose trasformazioni che dalle rovine dell’impero romano giungono fino a noi, Le Goff riporta alla luce l’eredità medievale dell’Europa contemporanea. Un intenso viaggio nel tempo, nella speranza che gli europei, comprendendo meglio la loro provenienza, costruiscano meglio anche il loro futuro, per fare la storia di cui oggi c’è bisogno.

Fig. 4. J. LE GOFF, Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’ Eu-ropa, Roma-Bari 2004.

Fig. 5. a) S. CASARTELLI NOVELLI, Il 'codice’ figurativo. Letture di semiotica generale e di semiotica sistemica, “Centro di ricerche semiotiche di Torino", Torino VII 2, 1983; b) J. M. LOTMAN, Cercare la strada. Modelli della cultura, con Introduzione di M. CORTI, Venezia 1994.

Sull'urgenza della strada da cercare nel passato in funzione del futuro, dagli ultimi studi di

Jurji M. Lotman, della celebre "scuola di Mosca e Tartu"5 (Fig. 5a), dobbiamo registrare in particolare la convergenza dell'ultimo saggio Cercare la strada. Modelli della cultura, presentato in versione italiana, con grande affetto, da Maria Corti (Fig. 5b); in cui Lotman richiamava

4J. LE GOFF, Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa, Roma-Bari 2004, p. 5. 5 Per la culturologia della Scuola di Mosca e Tartu e, in particolare, per la teoria del "testo artistico" quale macchina semiotica produttrice di senso, agente storicamente nella cultura e nella sua memoria, in quanto oltre all’informazione primaria il testo parla sempre di sé e d’altro, dei testi con i quali convive e di quelli che l’hanno preceduto, in sintesi, S. CASARTELLI NOVELLI, Il ‘codice’ figurativo, Letture di semiotica generale e di semiotica sistemica, Centro di ricerche semiotiche di Torino, VII. 2, Torino 1983, capp. 11- 12, pp. 124-142; IIa ed. Roma 1996, pp. 115-169.

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l'attenzione dello storico sul fatto che il procedere della Storia non è lineare, e nella Storia del passato si sono alternati momenti in cui ha prevalso la gradualità dello sviluppo della cultura a momenti in cui si è verificato un processo esplosivo, è “esploso” un bivio, una nuova strada. Per cui, avvertiva, la fede nella Storia «magistra vitae» può portarci a rifiutare tutto ciò che non si è realizzato nel passato come se fosse irrealizzabile, di credere a un’unica strada, quella del passato, quando il futuro magari si può raggiungere con una moltitudine di percorsi altrettanto probabili, in quanto il nuovo è il soggetto della imprevedibilità nella vita come nell’arte6.

Dalla fondamentale teoria della cultura e del "testo artistico", che dai seminari estivi della Scuola di Mosca e Tartu ha fondato la nuova stagione d'analisi e d'interpretazione del prodotto "arte" quale, ricordo in estrema sintesi, l'unico prodotto dell'attività umana che, come la vita, ha il potere di rinnovarsi e di rivivere alla luce dei nuovi codici del fruitore, Lotman ha sviluppato il teorema che interrogare e rileggere il passato nelle sue invenzioni/creazioni artistiche è l'unico processo ermeneutico capace di aprire a nuova conoscenza, e quindi alla nuova progettualità del futuro da costruire, quelle opere che forse nel passato sono state dimenticate o sottostimate, come una “mina culturale” rimasta in sonno, e che oggi possono essere richiamate a prendere vita, a fare “esplodere” in nuovi sensi il loro messaggio creativo.

Se la speranza del futuro della

"vecchia Europa" è nella nuova rivisitazione del suo passato, nel presente è la ragione del fare/rifare la storia delle "radici" della civiltà europea guardando alle tracce e ai resti che le genti convenute a dare vita alla nascita dell'Europa da «ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 14,6) hanno lasciato alla nostra memoria nell'arte (ars-artis) dei monumenti/testi artistici; quindi una nouvelle histoire7 che guardi oltre la storia evenemenziale degli assalti e delle guerre, della peste e delle carestie e di tutte le miserie, compresa la Storia criminale del cristianesimo8 (Fig. 6a), che, come ha scritto nel 2006 SANDRO CAROCCI nella sua Premessa all'VIII volume della collana "Storia D’Europa e del Mediterraneo" (Fig. 6b), hanno costituito indubitabilmente le radici –"radici amare"!– dell'Europa9; per interrogare piuttosto l'immaginario e i valori fondanti il "vivere in società" degli uomini

Fig. 6. a) K. DESCHNER, Storia criminale del cristianesimo. II. Il tardo antico, Milano 2003; b) S. CAROCCI (a cura di), Storia d’Europa e del Mediterraneo. Dal Medioevo all’età della globalizzzazione, sez. IV, Il medioevo (secoli V-XV), vol. VIII. Popoli, poteri, dinamiche, Roma 2006.

6 Cfr. M. CORTI, Introduzione a JU. M. LOTMAN, Cercare la strada. Modelli della cultura, Venezia 1994, pp.7-13; e, sempre nel merito, S. CASARTELLI NOVELLI, Villani babbuini e storici dell'arte Medievale, Cristo o Vergine, codici culturali e/o "ideologie", in A. CALZONA, R. CAMPANI, M. MUSSINI ( a cura di), Immagine e Ideologia. Studi in onore di Arturo Carlo Quintavalle, Milano 2007, pp. 368-375. 7 Per la nuova concettualizzazione e le nuove griglie interpretative della "nouvelle histoire" principalmente J. LE GOFF, P. NORA (ed. par), Faire de l’histoire, Paris 1974; IIDEM (a cura di), FARE STORIA. Temi e metodi della nuova storiografia, Torino 1981, pp. VII-XII; J. LE GOFF, Documento/monumento, in Enciclopedia Einaudi, V, Torino 1978, pp. 38-48.

8 K. DESCHNER, Storia criminale del Cristianesimo, I, L'età arcaica, Milano 2000, II, Il Tardo Antico, Milano 2003. 9 Cfr. S. CAROCCI, Premessa al volume Storia D’Europa e del Mediterraneo. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, sez. IV, Il Medioevo (secoli V-XV), vol. VIII, Popoli, poteri, dinamiche, Roma 2006, pp. 11-22.

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convenuti dal Nord, dal Sud e dall'Est a creare l'Europa10, quali è dato di leggere "al vivo" negli artefatti del passato che la rivoluzione epistemologica del secondo '900 ha promosso nello statuto di monumenti (da memini) e/o di testi artistici (da textus) a fonti principi della memoria e della creatività dei popoli e della storia della civiltà.

Portando alla rivoluzione epistemologica del secondo '900 la sua esperienza "planetaria" dell'Immagine quale «l'unico linguaggio capace di vedere l’invisibile», iniziata nelle lontane Indie, dalla cattedra della Sorbonne lo studioso rumeno Mircea Eliade volgeva la sua analisi all'Europa, specificatamente alla fortunata congiunzione culturale (sic!) che, nel momento in cui l'Europa occidentale non è più sola a «fare la storia», ha fatto riscoprire che l'Immagine, il simbolo, il mito, nati con il pensiero arcaico, appartengono alla sostanza stessa della vita spirituale; e ammoniva, se la cultura europea non vuole rinchiudersi in un provincialismo sterilizzante, è obbligata a fare i conti con altre vie di conoscenza, con altre scale di valori che non sono le sue. Per concludere: Insomma, ciò che mantiene «aperte» le culture è la presenza delle immagini e dei simboli: a partire da qualsiasi cultura, quella dell'Australia al pari di quella d'Atene (...) le Immagini costituiscono delle «aperture» verso un mondo transtorico. Non è questo il loro merito minore, in quanto grazie ad esse, le diverse «storie» possono comunicare11

E pertanto "fortunata congiunzione culturale" da cui il

disegno storico-evenemenziale costruito per polarizzazioni, Oriente vs Occidente, barbari vs Roma, pagani vs cristiani, etc., si è aperto all’analisi a tutto campo delle complesse "sorgenti" culturali della civiltà europea, come mostra in sintesi il Dossier d'Archéologie del maggio 2005 (Fig.7), assumendo a oggetto d'analisi storiografica i monumenti/testi artistici dei popoli e delle culture il cui concorso ha dato vita, sulle macerie dell'orbis romanus, alla "svolta" della nascita dell'Europa: dove in prima posizione troviamo i Celti, preposti e proposti quali "i primi europei?", quindi l'eredità culturale greca, non lo scontro guerriero ma il rapporto culturale fra romani e germani, maturato fino alla costituzione del Sacro Romano Impero d'Occidente, in ultimo l'approdo dei Vichinghi e degli Slavi, e in generale i rapporti culturali intercorsi con il mondo proto e medio-bizantino12.

Fig. 7. Le Racines de l’Europe, " Dossiers d’Archeologie" n. 303, mai 2004.

II I miei studi, di storico dell'arte medievale, sono maturati alla luce della "fortunata

congiunzione culturale" che, rispettivamente dai due versanti occidentale e orientale dell'Europa, la nuova storiografia, figura principe Jacques Le Goff, e la culturologia slava, figura principe Jurii Lotman, hanno sviluppato nel secondo '900, innovando gli oggetti/temi/metodi della historia rerum gestarum in ordine alla capacità di assumere i monumenti/testi artistici a fonti principi della storia della civiltà.

10 Cfr. W. POHL, Le origini etniche dell'Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, con Presentazione di A. A. SETTIA, Roma 2000. 11 M. ELIADE, Images et symboles. Essai sur le symbolisme magico-religieux, Paris 1952; IDEM, Histoire des croyances et des idées religieuses, voll. I-III, Paris 1976-1983; IDEM, Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, Milano 1991, Prefazione di G. DUMEZIL, la citazione da p.14. 12 Le racine de l'Europe, "Dossier d'Archéologie", maggio 2005.

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Quali la grande lezione paleoetnologica ed etnolinguistica di André Leroi-Gourhan, riconosciuto il fondatore e la massima autorità della –altra contraddizione in termini!- "Storia della Preistoria"13 ha recuperato alla macrostoria del segnico a partire dai «tempora ignota» in cui l'Homo simbolicus/ Homo religiosus ha iniziato a fabbricare oggetti di selce e d'osso e a fissare il suo pensiero nelle "pagine di pietra" segnate dagli astratti ritmogrammi-mitogrammi aurorali; dando così inizio al linguaggio simbolico dell'Immagine come modalità autonoma di conoscenza intimamente legata all’esperienza del sacro nella coscienza del mondo reale, poiché è attraverso l’esperienza del sacro che lo spirito umano ha afferrato la differenza tra ciò che si rivela come reale, possente, ricco e significativo, e ciò che è sprovvisto di qualità, cioè il flusso caotico e pericoloso delle cose, la loro apparizione e sparizione fortuita e vuota di senso14.

E' di questo mese la pubblicazione di Andreas Steiner e Massimo Vidale15, che annuncia la

scoperta di una missione archeologica tedesca nell'Anatolia sud-orientale presso Urfa, nella collina di Tektek, di un inedito e imponente complesso monumentale risalente alla fine dell'ultima era glaciale, allorquando, da circa 12 mila anni fa, nelle pianure e colline circostanti il bacino mediterraneo ha iniziato a prendere forma la "rivoluzione neolitica" della prima società di cacciatori-raccoglitori e l'Eden "paradisiaco" del più antico immaginario soterico-mitologico. Come ricordano Steiner e Veda, la parola "Eden", che indicherà il Paradiso terrestre dei testi biblici, appartiene ad una antichissima lingua sumerica che ha lasciato le sue prime testimonianze scritte verso la fine del IV millennio a. C.16, le cui origini gli studiosi dell'immaginario preistorico fanno risalire appunto al "crogiuolo" di popoli della "mezzaluna fertile" (Fig. 8a).

Dei nuovi complessi monumentali individuati a Tektek, letteralmente la "collina della pancia", denominazione che richiama il nesso simbolico primordiale Montagna-Dea Madre –la grande Dea creatrice/ricreatrice della vita antropocosmica17–, la parte attualmente scavata, che rappresenta solo una minima parte, forse il 5 per cento dell'intero insediamento, ha fatto riemergere una distesa di 44 megaliti (Fig.8b ) tutti a forma di T, alti da 3 a 7 metri, antropizzanti e ornati di "uno zoo di pietra" (leoni, volpi, cinghiali, uccelli, uno scorpione accompagnato dalla figura di un uomo senza testa, etc.). In cui riconosciamo le

13 A. LEROI-GOURHAN, Préhistoire de l’art occidental, Paris 1965-1995, con bibliografia; IDEM, Interpretation esthétique et religieuse des figures et symboles dans la préhistoire, Archives des sciences sociales des religions, 1976, 42, pp. 5-15; IDEM Una foresta di simboli, in F. FACCHINI, P. MAGNANI (a cura di), Miti e riti della preistoria. Un secolo di studi sull’origine del senso del sacro. Milano 2000, pp.225-235. Per la "rivoluzione" che gli studi di A. Leroi-Gourhan hanno portato all'intero quadro della Storia della Preistoria, da ultimo, in sintesi, Y. TRISTANT, La préhistoire de l'E'gypte. Histoire d'un discipline, in L'Egypte prédynastique, "Dossiers d'Archeologie", n.307 oct. 2005, pp11, registra: En moins d'un demi-siècle, l'Egypte s'est inventé une prehistoire (...). La paléoethnologie, alimentée par une réflexion théorique sur les contacts entre civilisations, les problèmes de diffusion, de convergence et d'emprunts, a été alors largement popularisée par André Leroi-Gouran. Elle proposait aux préhistoriens d'envisager l'homme dans toutes les dimensions de sa vie quotidienne, sociale, symbolique et culturelle. 14 Cfr. A. LEROI-GOURHAN, Il gesto e la parola. I, Tecnica e linguaggio, Torino 1977, in particolare pp. 233-248. 15 A. STEINER E M. VIDALE, 10000 a.C. Rivoluzione nell’Eden, in I primi templi dell'Umanità, "Archeo" XXIV, n.5 (279), maggio 2008, pp. 34-51. 16 Cfr. nel merito A. CAUBET, P. POUYSSEGUR, Aux origines de la civilisation. L'Orient ancienne, Paris 2001, in part. cap. 4. L'écrit et le savoir, pp.143-165; e la testimonianza della "Lista lessicale arcaica" delle due tavolette della fine del IV millennio a. C. provenienti da Uruk, conservate al Vorderasiatisches Museum di Berlino, analizzate e riprodotte da C. PROUST, Apprendre les mathématiques au temps de la Première Dynastie de Babylone, in BABYLONE. La naissance historique d'une legende, "Dossier d'Archéologie", hors série n. 14, mars 2008, p. 26. 17 Cfr. M. GIMBUTAS, The Language of the Goddess, San Francisco 1982, ed. it. Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea madre nell’Europa neolitica, Milano 1990; EADEM, Le dee viventi, Milano 2005, in part. al capitolo VI, 1, p.167ss., La dea-creatrice partenogenetica, ovvero “rappresentativa della continuità della vita, sua eterna rigeneratrice, protettrice e soccorritrice, in quanto il corpo della donna era considerato partenogenetico, cioè capace di creare da sé la vita”; per il “principio femminile generale”, ibidem, l’Introduzione di M. DONI, Ta arkhaîa, tempora ignota. Per un’epistemologia dell’archeologia, pp.5-20, in part. p.10; V. KRUTA, L'Europe des l'origines, env. 6000-500 av. J-C, "L'univers des Formes", Paris 1992, con bibliografia.

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Fig. 8. a) Carta della Mezzaluna Fertile (da A.M. STEINER, M. VIDALE 2008); b) Göbekli Tepe. Scavi della struttura circolare D ( da A.M. STEINER – M. VIDALE.

cratofanie/immagini di potenza, che dagli anni Sessanta del secolo scorso conosciamo dagli scavi di Çatal Hüjük, la grandiosa stazione neolitica dell'Anatolia nord-orientale scavata e studiata da James Mellaart (Fig. 9)18; e che Steiner e Veda raffrontano oggi con le "Pietre di Panr", parti di omologhi pilastri a T decorati con figure di animali e disegni geometrici, ritrovati nel Pakistan nord-occidentale. Per cui affacciano la possibilità di una nuova rivoluzione della Storia della Preistoria, una "rivoluzione nella rivoluzione", circa l'estendersi della nuova civiltà stanziale degli agricoltori-cacciatori della Mesopotamia e dell'Anatolia fino ai piedi dei grandi rilievi himalayani.

Fig. 9 Decorazioni parietali e reperti dalle case-santuario di Çatal Hüjük (da J. Mellaart 1989).

18 J. MELLAART, Çhatal Hüjük, London 1967; J. MELLAART, U. KIRSCH, B. BALPINAR, The Goddess of Anatolia, voll. 4, Milano 1989.

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Quindi una nuova "Storia della Preistoria", tutt'ora aperta e in evoluzione –in "rivoluzione"–, che dal secondo '900 ha sviluppato un amplissimo e profondo retroterra di conoscenze, configurando una affatto nuova "macrostoria del segnico" in base alla quale riconfigurare scientifica-mente e storicamente anche i monumenti/testi artistici attinenti alla nascita della civiltà europea.

I cui inizi gli storici hanno segnato convenzio-nalemente con la divi-sione dell'Impero d'Occi-dente e d'Oriente nel 395 d.C. e la seguente caduta dell'Impero Romano d'Oc-cidente nel 476; e gli archeologi e storici dell'arte piuttosto con il 568, che segna la discesa in Italia dei Longobardi, l'ultima delle "grandi invasioni" che hanno aperto la stagione della "Europa delle invasioni barbariche"19 fino all'approdo della "rinascenza carolingia, nata dalla nuova unità politica del Sacro Romano Impero d'Occidente che la Chiesa di Roma e gli imperatori carolingi Carlo Magno (800-814), già rex francorum et langobardorum, e il figlio Ludovico il Pio (816-840) hanno fondato nell'Occidente mediterraneo"(Fig.10a, b).

Fig. 10 a) Carta delle invasioni barbariche (da J. VERGER, Romains et Germains, in "Dossiers d’Archeologie" n. 303, mai 2004, pp. 50-55); b) Carta dell’impero carolingio dopo la spartizione di Verdun nell'843 (da M. SOT, Europe franque et empire carolingien, in " Dossiers d’Archeologie" n. 303, mai 2004, pp. 56-63).

Un quadro storico che la macrostoria del segnico ha aperto ai nuovi studi sulla "memoria", le

sue forme, funzioni e rappresentazioni, per cui, dalle pagine che Amedeo De Vincenths ha dedicato specificamente al Medioevo20 leggiamo: Il Medioevo, è il più lungo dei periodi storiografici in cui le società occidentali hanno suddiviso il loro passato. E' anche il più ambiguo e sfuggente (...). A proposito dell'inizio, se è ormai condiviso da tutti gli storici che la celebre deposizione dell'imperatore Romolo Augustolo nel 476 è stata proprio una caduta senza rumore, un evento convenzionalmente scelto per stabilire un punto fermo in una realtà molto più fluida, meno chiaro è stabilire quando in Occidente si siano consolidati mutamenti tali da consentire di parlare realmente di una nuova era rispetto alla cosidetta Antichità. Tanto che da vari decenni si è affermata una nuova epoca storiografica, definita come tarda Antichità, con cui gli storici indicano un arco di secoli (approssimativamente dal IV al VI-VII) non più contrassegnati dal concetto di decadenza, di anarchia o addirittura di barbarie. Al contrario,

19 J. HUBERT, J. PORCHER, W. F. VOLBACH, L'Europa delle invasioni barbariche, Milano 1968. 20 Cfr. A. DE VINCENTHS, Spazi e forme della memoria nel Medioevo, in S. Carocci ( a cura di), Storia D’Europa e del Mediterraneo. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, sez. IV, Il Medioevo (secoli V-XV), cit., vol. IX, Stutture, preminenze, lessici comuni, Roma 2007, pp. 509-534, la citazione da p. 512.

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quei secoli appaiono oggi percorsi da lenti, complessi e spesso contradditori processi di trasformazione e assestamento di nuove forme di organizzazione della società (...).

Molte ricerche si sono concentrate su un problema strettamente connesso alla memoria: l'identità dei popoli di origine euroasiatica che in quei secoli si stanziarono stabilmente dentro i confini dell'impero romano. Sulla scia di studi antropoplogici, i medievisti hanno iniziato a domandarsi quale radice storica avesse il bagaglio di racconti leggendari, oggetti, usi e costumi che ben presto i nuovi arrivati iniziarono a esibire in fiero contrasto con quelli delle popolazioni latine. Dimostrata ormai da tempo l'infondatezza biologica del concetto di razza (...), ci si è chiesti quanto quelle tradizioni fossero più o meno inventate o quanto invece rappresentassero nuclei di reali caratteristiche di gruppo, fissate da tempo immemorabile e nella loro memoria collettiva.

Un quadro storiografico affatto nuovo, in cui, nei diversi ambiti scientifici convergenti a «fare storia» del Medioevo, sono proprio le tracce e i resti che dalle rovine dell’impero romano giungono fino a noi a costituire senza meno, al di là della presenza/assenza del documento scritto, il patrimonio vivo e "parlante" dell'immaginario transculturale e transreligioso che le genti convenute «da ogni tribù lingua popolo e nazione» hanno apportato alla Invenzione dell'Europa21 e alle "radici" –in questo caso "radici creative"!–della civiltà occidentale.

In quale lingua e codici dell'arte e attraverso quali media? III La mia ricerca in oggetto ha avuto inizio nel 1974, con il Corpus della scultura della

Diocesi altomedievale di Torino per il Centro italiano di studi altomedievali di Spoleto22: risultati di rilievo il "recupero" di oltre 40 pezzi scultorei di segno 'astratto' e di alta qualità formale appartenenti alle fabbriche della cattedrale carolingia di Torino dedicata al Salvatore, e l'emergere contestuale della figura del potente vescovo Claudio (818-827?), di nazione spagnola e formazione palatina, fiero missus imperiale di Ludovico il Pio, la cui radicale azione iconoclasta condotta al suo arrivo nella diocesi torinese, se pur sgradita "politicamente" al pontefice Pasquale I (817-824), fonda tuttavia nello statuto simbolico delle immagini quali "fatti di linguaggio", distintivo della politica iconofila che la Chiesa Apostolica di Roma mater ecclesia catholica ha condotto dagli inizi del suo magistero e, con particolare sorveglianza, contro ogni riflesso nella politica imperiale carolingia delle feroci stagioni iconoclastiche promosse dagli imperatori bizantini negli anni 726-843. Una problematica che investe in toto, al di là dello scontro fra Claudio e Pasquale I, la cultura delle immagini che la Chiesa di Roma ha portato in seno alla "rinascenza carolingia"23, ma che non attiene allo specifico del nostro oggetto d'analisi.

21 Cfr.il saggio di C. LEONARDI, Gregorio Magno e l'invenzione del Medioevo, che dà il titolo al volume di saggi curato da L. G. G. RICCI in "Achivium gregorianum", 9, in occasione della Mostra della Biblioteca Medicea Laurenziana (Firenze 7 aprile-25 giugno 2006), Firenze 2006, pp.3-10. 22 S. CASARTELLI NOVELLI, Corpus della Scultura Altomedievale, VI, La Diocesi di Torino, Spoleto 1974; nel quadro della scultura altomedievale, EADEM, Committenza e produzione scultorea 'bassa', in Segni e codici della figurazione medievale, Testi, Studi, Strumenti III, Spoleto 1996, pp.103- 130, con bibliografia. 23 Per la posizione iconofila della Chiesa romana cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, L'immagine «né idolo né icona» nella concezione del primo "papa monaco" della Chiesa di Roma, in L. PANI ERMINI (a cura di), L'ORBIS CRISTIANUS ANTIQUUS di Gregorio Magno, Convegno di Studi della Società Romana di Storia Patria (Roma.26-28 ottobre 2004), Roma 2007, pp.171-221, con bibliografia; in particolare per l'azione "stauroclasta" di Claudio, S. CASARTELLI NOVELLI, La tipologia della 'croce' dalle origini alla visione/rivelazione di Costantino, e l'immaginario del sacro messianico cristiano, in B. ULIANICH (a cura di), La Croce. Iconografia e interpretazione (secoli I-inizio XVI), Atti del Convegno internazionale di studi (Napoli, 6-11 dicembre 1999), Roma 2007, I, pp. 231-258; da ultimo, per la position médiane entre l'iconoclasme byzantin et l'iconographie papale della Chiesa franca e dei Libri Carolini, CH. DENOËL, La question des images à l'époque caralingienne, in M-P. LAFFITTE, CH. DENOËL (a cura di), Trésors carolingiens. Paris 2007, p.48; per la posizione del vescovo Claudio in seno alla querelle des images della "rinascenza carolingia" cfr. anche, ibidem, pp. 161,186,224; per il quadro storico-politico in part. G. ALBERTONI, I Franchi e l'Europa carolingia: nascita e dissoluzione di un'egemonia, in S. CAROCCI (a cura di), Il Medioevo (secoli V-XV), vol. VIII, Popoli, poteri, dinamiche, cit., pp.257-293.

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Fig. 11. Torino, Palazzo Madama, Museo dell’Arte Antica, elementi di arredo scultoreo dalla cattedrale di S. Salvatore.

Fig. 12. Torino, Palazzo Madama, Museo d’Arte Antica, elementi di arredo scultoreo dalla cattedrale di S. Salvatore.

Delle sculture restituite dalle fabbriche della cattedrale torinese di San Salvatore vediamo

esemplarmente alcuni elementi (Figg. 11, 12), per prendere atto che il linguaggio scultoreo consta essenzialmente negli intrecci di nastri o entrelacs, inclusivi di alcune presenze fitomorfe a statuto simbolico; per quantità e qualità una presenza connotativa della scultura architettonica e

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specificamente "liturgica" della "rinascenza carolingia", la cui grande produzione conosciamo avere preso campo con la recinzione dello spazio basilicale dedicato ai canonici, promossa da Crodegango vescovo di Metz nel 750-760, ed estesa dalla riforma carolingia all'intero Sacro Romano Impero d'Occidente.

Nella quale produzione le testimonianze più prossime ai pezzi torinesi possiamo indicare esemplarmente nell'arco di ciborio di Cortona che l'epigrafe corrente riferisce a Carolus Imperator (Fig. 13) e alla croce di intrecci superstite della decorazione scultorea dell'abbazia di Saint-Maur-des-Fossés, connessa direttamente a Ludovico il Pio, come l'omologa grande croce di intrecci della pagina del Vangelo pertinente alla stessa abbazia ( Fig. 14a, b)24.

Fig. 13 Cortona, Museo dell'Accademia Etrusca. Archivolto di ciborio con "croce di intrecci" proveniente dal distrutto monastero di S. Vincenzo, datato agli anni 800-814 in base all'iscrizione con il nome Carolus Imperator.

24Cfr. Y. GALLET, Monastères du Moyen Age autour de Paris, Paris 2006, p. 58, M. BESSEYRE, Culture et pouvoir, in Trésors carolingiens, cit., cat. n.20, pp. 147-148.

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Fig. 14. a) La "croce di intrecci", unico frammento superstite dell'arredo scultoreo dell'abbazia di Saint- Maur-des-Fossés; b). La "croce di intrecci" dei Vangeli attribuiti allo scriptorium dell'abbazia di Saint-Maur-des-Fossés, avanti l'830. Paris, Bibliothèque national, M. lat. N.959, f. 20v.

Mentre la culla dell'invenzione-creazione primaria degli intrecci che approderanno alla rigorosa

anorganicità e astrazione degli entrelacs carolingi, è da ricercare nel nord-Europa insulare, specificamente nelle terre dei Celti del Nord ("i primi europei ?" di cui sopra): la "ribelle" Irlanda, antica Ibernia, con la Scozia, antica Caledonia, terre dove la storia evenemenziale non registra né la presenza degli eserciti romani né delle grandi "invasioni barbariche", e che vediamo lasciate in bianco all'estremo nord-ovest della carta dell'impero romano del IV secolo e delle diocesi in cui è stato diviso il suo territorio (Fig. 15).

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Fig. 15. La carta dell'Impero Romano alla fine del IV secolo (da J. HUBERT, J. PRORCHER, W. F. VOLBACH, L'Europa delle invasioni barbariche, Milano 1968, fig. 354).

Fig. 16. R. DEBRAY, Le Feu sacré. Fonctions du religieux, Paris 2003.

E terre che, nell'analisi sociologica e mediologica dedicata al macrofenomeno del monachesimo fiorito nell’orbis christianus antiquus, Régis Debray25 (Fig. 16) ha definito, propriamente, quel “lambeau d’Europe qui a sauté du neolithique au Moyen Âge sans passer pour l’Antiquitée”, al contempo il "feu"/focus della straordinaria peregrinatio pro Cristo che i monaci irlandesi hanno portato al Nord, affrontando il "martirio bianco" nell'Oceano Atlantico da isola a isola fino all'Islanda –l'ultima Tule degli Antichi–, di cui resta memoria e testimonianza nell'isoletta di nome Platei26, come nel poema attribuito a Columcille/Columba, che parla delle longues vagues/De la mer étincelante/Qui dans leur corse sans fin/ Chantent les

25 R. DEBRAY, Cours de médiologie generale, Paris 1991, IDEM, Dio, un itinerario. Per una storia dell'Eterno in Occidente, Milano 2002 ; IDEM, Le feu sacré. Fonction du religieux, Paris 2003, cfr. in particolare al cap. Fraternité, L'exploit monastique le pp. 41-56. 26 Cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, La"Tebaide cristiana": dall'Alto Egitto all'ultima Tule. In "Temporis Signa. Archeologia della tarda Antichità e del Medioevo", CISAM, Spoleto, I- 2006, pp.375-388.

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Fig. 17. a) Islanda, "ultima Tule". Carta dei fiordi nord-occidentali con l’isoletta Flatey all’imboccatura del grande Breidarfjördur; b) Scena di navigazione nella pagina che apre il capitolo sul diritto marittimo nel manoscritto islandese datato ca. 1600. Reykjavìk, Arni Magnùsson Institute, Reykiabòkar AM. F. 345.

louanges de leur crèateur27(Fig. 17a,b); e altrettanto infaticabili protagonisti al Sud della “irradiazione” monastica che nel VI secolo exeunte/VII ineunte ha attinto e attraversato perigliosamente l'Europa continentale "delle invasioni barbariche" fino al limite meridionale di Bobbio.

Nella prima carta (Fig. 18a) 28 vediamo la fitta rete degli insediamenti monastici irlandesi, dai primi romitaggi sorti nelle minuscole isolette desertiche

disseminate lungo la sua costa occidentale fino all'isoletta di Iona sulla costa occidentale della Scozia e fino a Lindisfarne sulla costa orientale della Northumbria; nella seconda carta (Fig. 18b)29 vediamo l'irraggiamento delle fondazioni monastiche che nella peregrinatio pro Christo

27 F. Henry, L'art irlandais, I. "Zodiaque" 1963, p. 36. 28 Ibidem, pp. 12-13. 29 Cfr. M. RYAN, Introduction. Survol historique de la culture irlandaise, in Trésors d'Irlande, (Paris, Galleries Nationales du Grand Palais, 23 oct. 1982- 17 jan, 1983), Paris 1982, p. 47.

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Fig 18 a) Isole Britanniche, carta degli insediamenti monastici (da F. HENRY 1963; b) Carta delle fondazioni monastiche dovute alla "peregrinatio pro Christo" di Colombano e i dodici compagni partiti dall'abbazia di Bangor nel 590 (da M. RYAN).

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Fig 19 I Padri del "Deserto monastico" egiziano Paolo e Antonio soccorsi dall'aiuto divino (da F. HENRY 1933).

partita nel 590 dal monastero di Bangor, sulla costa nord-orientale dell'Irlanda, l'irlandese Colombano e dodici compagni hanno creato attraverso l'Europa continentale nel modello monastico «ex Aegypto tranducto», come ricorda la celebre quartina del poema presente nell'Antifonario della stessa abbazia di Bangor, conservato a Bobbio:

Domus deliciis plena, super petram constructa Necnon vinea vera Ex Aegypto transducta30

Modello monastico anacoretico-cenobitico importato dall'Egitto nelle terre dei Celti del Nord,

nella stessa ricerca del ritiro spirituale nel "tempo escatologico del Deserto"31 dei primi favolosi visionari e/o veggenti ultracentenari Padri del "Deserto monastico" egiziano Paolo e Antonio; che le monumentali crosses-standing stones irlandesi, come documentato dalla Henry, presentano soccorsi dall'aiuto divino 32 (Fig. 19)

Sul processo di formazione dell'intreccio di nastri nell'arte celto-irlandese vediamo alcune

tavole, dall'illuminante analisi di George Bain33 (Fig. 20a, b): la prima tavola della sua genesi dall'arte egizia fino al Book of Kells, l'ultimo della catena dei massimi Libri scottice scripti; i massimi Libri dei Vangeli che vanno dal Gospel-book of Durrow, datato circa al 675, al Gospel-book of Lindisfarne, datato circa al 698, al Gospel-book of Kells datato alla fine VIII/inizi IX secolo (?), avanti comunque la distruzione vighinga dell'abbazia madre di Iona fondata nel 563 dall'irlandese Columcille/Columba nell'isoletta eponima, sulla costa orientale della Scozia, dove si conviene che il Gospel-book of Kells abbia costituito il massimo frutto del mirabile e ineguagliabile work of angels dei monaci irlandesi34.

30 F. Henry, L'art irlandais, cit., p.79. 31 cfr. R DEBRAY, Le feu sacré. Fonction du religieux, cit., p. 53. 32

F. HENRY, La sculpture irlandaise pendant les douze premiers siècles de l'ère chrétienne, Paris 1933, I. p.146. 33 G. BAIN, Celtic Art. The Methods of Construction, Glasgow 1951. 34 Cfr. J.J.G. ALEXANDER, Insular Manuscrpts 6th to the 9th century, London 1978; il quale, per la definizione "work of angels", p. 73, ha scritto: The Book of Kells has been thought to be that referred to by Giraldus Cambrensis who visited Ireland in 1185, as containing "intricacies so delicate and subtle, so exact and compact, so full of knots and

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Fig 20 a) G. BAIN , Celtic Art. The methods of construction, London 1987; b) Tav. A.

E dove si narra altresì che Columcille/Columba abbia dato inizio all'arte irlandese del Libro nel Cathach, il "Combattente", non un Vangelo ma un Libro dei Salmi, scritto (a memoria) in una

sola notte per i confratelli35; in cui fa il suo ingresso nell'arte libraria l'estensione nella pagina delle lettere che marcano il transiente d'attacco del canto dei diversi brani del testo, rialzate anche dalla puntinatura rossa che gli studi convengono di provenienza egizia, specificamente copta (fig. 21).

La seconda e la terza tavola mostrano il modo di creare i complessi intrecci di nastri dell'arte celto-irlandese (Fig. 22a, b), la quarta e quinta tavola in particolare lo sviluppo indubitabilmente intenzionale, sia nella scultura e sia nella miniatura, dell'intreccio "a linea continua", di cui l'Autore nota il significato di simbolo di Eternità (Fig. 22c, d).

links, with colours so fresh and vivid that you might say all this was the work of an angel and not of the man"; e S. YOUNGS (ed.by), The Work of Angels'. Masterpieces of Celtic Metaworks, 6th-9th centuries AD, London 1989, p. 7, ha scritto a sua volta: taken from the writings of Geraldus the Welshman, who used it in the twelfth century to describe the artistry of the lost gospel book of Kildare, but it could apply equally well to the jewellery of the Irish, Britons and Picts of early times; da ultimo cfr. G. Z. ZANICHELLI (a cura di), La sapienza degli angeli, Nonantola e gli Scriptoria padani nel Medioevo, Modena 2003, in part. il saggio della Zanichelli, La sapienza degli angeli: Nonantola e gli scriptoria collegati fra VI e XII secolo, pp.15-50. 35CFR. J. MARSDEN, The Illustrated Coluncille. The Life of St Columba, London 1991.

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Fig. 21 Dublino. Royal Irish Accademy, Cathach, MS s.n., particolare del f. 48r. Quindi l'analisi prosegue, prendendo ad oggetto le mirabili cross-carpet pages del Book of

Durrow, il primo dei Gospel- books36 irlandesi a preporre ad ogni sezione di testo l'invenzione/creazione, assoluta nella storia del Libro, di una pagina di intrecci che "coniugano" nella pagina le immagini-simbolo di cerchi, spirali e croci (Figg. 23a, b; 24a, b); la cui presenza e profusione nell'area irlandese e in generale insulare-peninsulare "britannica", ricordiamo, risale già all'età neolitica, con le sue imponenti strutture megalitiche e le sue innumeri "pagine di pietra"37.

Così come la peculiarità dell'arte irlandese ad esprimersi in forme di codice astratto/anorganico è connotativa già dei metalworks dei Celti pagani, di cui vale qui, sia pur brevemente, ricordare in particolare la famosa monetazione dei secoli III-I a. C. analizzata da Bianchi Bandinelli (Fig. 25), con la quale i Celti, pagani e "barbari" senza scrittura, si sono affacciati alla futura Europa anagrammando in forme affatto "autonome" la monetazione ellenistica38.

Sempre dal Book of Durrow, è la tavola che George Bain ha dedicato all'analisi della pagina f.125v (Fig. 26), dove l'Autore rileva peraltro una irregolarità nella costruzione degli intrecci nastriformi "a linea continua"; pagina che, unitamente a una del Book of Lindisfarne (Fig. 27a), possono essere richiamate a modello ispiratore di una delle grandi lastre torinesi (Fig. 27b), significativamente lastra di ambone, dal cui sommo il celebrante leggeva appunto il Libro dei Vangeli; al centro della quale si rileva altresì qualche empasse nella costruzione degli intrecci nastriformi "a linea continua".

Infine, dal Book of Kells , vediamo la tavola dedicata alla realizzazione di intrecci complessi, fitomorfi, zoomorfi e lineari, che nell'immagine inferiore destra mostrano l'Albero della Vita intrecciato ulteriormente ad alcune lettere della frase del Vangelo di Giovanni «In principio erat Verbum» (Fig. 28a); cui, fra le pagine del Book of Kells, dove l'immagine si coniuga intrinsecamente con la scrittura, affianchiamo esemplarmente la pagina f. 124r che reca la scritta

36 Cfr. G. HENDERSON, From Durrow to Kells: the Insular Gospel- books 650-800, London 1987. 37 Nella riicchissima bibliografia in oggetto, per una panoramica generale. J.-P. MOHEN, Le monde des mégalithes, "Archives du temps", Casterman 1989, M. CIPOLLONI SAMPO, Dolmen. Architetture preistoriche in Europa, Roma 1990. 38 Cfr. R. BIANCHI BANDINELLI, Organicità e astrazione, Ia ed, Milano 1956, IIa Milano 2005.

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Fig. 22 a,b) G. BAIN , Celtic Art. The methods of construction, tavv. D, G.; c) tav. I.

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Fig. 23 a,b) Gospel-book of Durrow, le carpet pages “introduttive” ai Vangeli, Dublino, Trinity College Library, MS A. 4.5 (57), ff. IV, 3v.

Fig. 24 a,b) Gospel-book of Durrow, le carpet pages “introduttive” ai Vangeli, Dublino, Trinity College Library, MS A. 4.5, (57), ff. 85 v, 125v.

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Fig. 25 a) Moneta celtica dei Nervi, circa 90 a. C., derivata dallo statére d’oro di Filippo di Macedonia (359-336 a. C.); b) Moneta d’oro celtica dei Bellovaci; c) moneta in bilione dei Baiocasses con testa di ninfa e cinghiale; d) moneta d’argentodei Veliocasses, estrema astrazione dello stesso statére d’oro di Filippo di Macedonia (da R. BIANCHI BANDINELLI 2005).

Fig. 26 G. BAIN , Celtic Art. The methods of construction, tav. J

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Fig. 27 a) Gospel-Book of Lindisfarne, Londra, British Library, Cotton MS Nero D. IV, la cross-carpet page f. 219b; b) Torino, Palazzo Madama, Museo d’Arte Antica, lastra di ambone da S. Salvatore.

Fig. 28 a) G. BAIN , Celtic Art. The methods of construction, tav. W: b) Gospel-Book of Kells, Dublino, Trinity College Library., MS A. 1. 6. La pagina del Vangelo di Matteo, f. 124r, il cui testo reca: «Tunc crucifixerant XPI cum eo duos latrones».

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del Vangelo di Matteo «Tunc crucifixerant XPI cum eo duos latrones» (Fig. 28b), per evidenziare l'arte della "scrittura sacra" che, co-testualmente alle cross-carpet pages introduttive alle diverse sezioni di testo, pone i Gospel-books irlandesi al sommo della invenzione/creazione artistica a

amente di "Scrittura in Immagine", a significare il mistero della Parola/Logos/Verbo divino40.

ltomedievale. Gospel-books cui gli studi hanno riconosciuto l'influenza sul linguaggio della scultura nelle

monumentali standig crosses e high crosses "delle Scritture", in cui l'Irlanda cristiana ha esaugurato il culto dei suoi possenti men-hir preistorici nella forma peculiare che sviluppa il fusto nella ringed-cross o wehel cross, la croce entro il cerchio o "croce celtica" (Figg. 29a, b): così come gli studi ne hanno registrato l'influenza nei mirabili metalworks "liturgici" di produzione irlandese, le opere di oreficeria "di seconda generazione" delle quali vediamo esemplarmente due fibule reliquiario, un particolare del calice di Ardagh (Fig. 30a, b, c) e due particolari del recto e del verso della fibula di Tara (Fig. 31a, b)39; riconoscendo quindi al "work of angels" realizzato dai monaci irlandesi nel "Libro dei Libri", il primato dell'invenzione/creazione del linguaggio simbolico polisemico e multidimensionale dell'arte cristiana, formato intrinsecamente di scrittura e immagine, specificat

Fig. 29 a) La ringed-cross "Croce sud" di Ahennny, co. Tipperary, faccia est; b) La high cross "delle Scritture" di

rrow, co. Offaly, faccia est.

di Ardagh; c. Fibula-reliquiario del “tesoro” di Sutton Hoo.

orma scrittoria e liturgica della "

Ambrogio prodotto nello scriptorium di Corbie nella seconda metà dell'VIII secolo (Fig. 33a) e

D

Fig. 30 a) Londra, British Museum. Grande fibbia reliquiario in argento oro e granati con immagine centrale di pesce, ritrovata nel Kent.; b) Particolare del Calice u

E pertanto il "testo artistico" del più alto valore sacrale-sacramentale, che con l'irradiarsi nel

continente delle fondazioni monastiche irlandesi e dei Libri scottice scripti ha attinto nel VII-VIII secolo l'arte del Libro Sacro nei massimi scriptoria monastici dell'intera Europa delle invasioni barbariche, fino ad attingere il cuore della rifrinascenza carolingia". Nel merito dello statuto altomedievale del Libro sacro lasciamo l'Irlanda, per guardare,

esemplarmente, la pagina di frontespizio e la pagina incipitaria del Sacramentario franco-merovingio datato alla metà dell'VIII secolo (Fig. 32), la pagina incipitaria dell'Hexaemeron di

39 Complessivamente, per una trattazione più esaustiva in merito all'influenza del Libro sulla scultura e sui metalworks "di seconda generazione" cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Scritture e immagine nell'ambito insulare, in Segni e codici della figurazione altomedievale, Spoleto 1996, pp. 131-169, tavv.CXI-CLXIII, con bibliografia. 40Cfr. MARTINI, RAVASI, ARKOUN ET ALII, Il Libro sacro, Letture e interpretazioni ebraiche, cristiane e musulmane,Milano 2002.

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Fig. 31 Dublino. National Museum of Ireland. La Fibula di Tara, particolare della fronte e del retro.

Fig. 32 Frontespizio e pagina incipitaria del Sacramentarium gelasianum, copia del Sacramentario attribuito a papa Gelasio I (492-496) prodotta nella Francia del Nord, a Chelles. Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Reg. Lat. 316, ff. 131v.132r.

la pagina incipitaria del Sacramentario detto di Gellone nella quale ritroviamo il trionfo della puntinatura e della trans-codificazione dei simboli alfabetici in simboli della "salvezza", principalmente i pesci, fiori e uccelli del Giardino edenico degli Egizi (Fig. 33b). Codice già attribuito alla produzione franco-merovingia della metà dell'VIII secolo, pro-posto piuttosto quale pro-dotto protocarolingio di uno scriptorium settentrionale nella grande mostra della Biblioteca Nazionale di Parigi del 2006 sui Trèsors carolingiens (Fig. 34a)41. Per cui in ultimo vediamo tre pagine esemplari degli sviluppi simbolico-sintattici della Scrittura-Immagine nel Libro della "rinascenza carolingia" (Figg. 34b; 35a, b)42. 41 M-P. LAFFITTE, CH. DENOËL (a cura di), Trésors carolingiens. cit, pp. 78-83. 42 Per il Sacramentario detto di Gellone cfr. M. BESSEYRE, Aux origines du livre carolingien: influences et héritages, in Trésors carolingiens, cit., cat n, 7, pp. 78-83; per il Vangelo di Saint-Denis, ibidem, cat. n. 9, pp. 94-97; per il Salterio Folchart, cfr. W. VOGLER (a cura di), La Abbazia "San Gallo", Milano 1991, p. 88, tav. 17; per il

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Fig. 33 a) Pagina incipitaria dell’Hexaemeron di Ambrogio prodotto nello scrittorio di Corbie nella seconda metà dell’VIII secolo. Parigi, Bibliothèque nationale, ms. Lat. 12135, f. 1v; b) Sacramentario detto. di Gellone (tardo VIII secolo). Parigi, Bibliothèque nationale, ms. Lat. 12084, f. iv.

Fig. 34 a) M-P. LAFFITTE, CH. DENOËL (a cura di), Trésors carolingiens. Livres manuscrits de Charlemagna à Charle le Chauve, Paris 2007; b) Vangeli di San Denis, Parigi, Bibliothèque nationale, ms lat. 9387, f. 128, fine sec.VIII.

Sacramentario di Saint-Denis, CH. DENOËL, Saint-Amand et l'école franco-saxonne, in Trésors carolingiens, cit., pp. 213-214. Cat. n. 57, f.20, tav. p.206.

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Fig. 35 a) Salterio Folchart, St. Gallen, Stiftsbibliothek, pagina incipitaria del Salmo 51, cod. 23, p.135, terzo quarto del sec. IX; b) Sacramentario di Saint-Denis, Parigi, Bibliothèque nationale, m. lat. 2290, f. 20, terzo o ultimo quarto del sec. IX.

IV Per la funzione "modellizzante" che il Libro dei Vangeli ha esercitato nella cultura altomedievale, ricordiamo che già il paleografo Armando Petrucci ne aveva rilevato la dipendenza della scultura altomedievale "a pagina di libro"; ed è stato sempre Armando Petrucci a invitare gli storici dell'arte medievale a riprendere l'analisi dello statuto del Libro dei Vangeli quale si presenta nell'iconografia cristiana, sia chiuso nelle mirabili coperte gemmate e sia aperto, essenzialmente "figura" del Christus praesens43. Come, fra i tanti esempi, possiamo riscontrare nella prima fascia della cupola del Battistero ravennate degli Ortodossi, costruito e decorato nella seconda metà del V secolo, al tempo del vescovo Neone, quando, ricordiamo, Ravenna era succeduta a Milano nel ruolo di capitale dell'Impero d'Occidente e la Chiesa ravennate era ancora suffraganea della Chiesa di Roma (Fig. 36a, b, c): nella quale fascia, al centro di un viridario, si apre l'edicola in cui sono figurati alternativamente l'altare su cui è il Libro della Parola/Logos/Verbo di Dio Incarnato e il trono maiestatico su cui splende la croce luminosa, simbolo della Parousia del Cristo Emmanuel/Dio-con-noi. E altrettanto esemplarmente possiamo vedere nella miniatura del mirabile codice costantinopolitano delle Omelie di Gregorio Nazianzeno, prodotto nell'880-883 per l'imperatore Basilio I (Fig. 37), che rappresenta la partecipazione imperiale di Teodosio I al concilio del 381 al cospetto del grande Libro aperto sul trono gemmato, quale può bene essere assunto a summa simbolico-iconografica

43 Principalmente A. PETRUCCI, La concezione cristiana del Libro fra VI e VII secolo, in "Studi medievali", XIV (1973), pp.961-984, ; ripubblicato IN G. CAVALLO (a cura di), Libri e lettori nel Medioevo. Guida storica e critica, ed. Ia Bari 1977, ed. Va Bari 2003, pp.3-26.

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Fig. 36 a,b,c) Ravenna, Battistero degli Ortodossi. Veduta generale e particolari della decorazione musiva della cupola (da R. VANTAGGI).

dell'Evangelium Christus est di Amalario di Metz, figura di rilevo della corte carolingia, discepolo di Alcuino e vescovo di Treviri negli anni 809-81444.

E come risulta in generale nella simbolica della cultura medievale, quale, dall'orizzonte semiotico specificamente "culturologico", Lotman ha definito appunto cultura “testualizzata", modellizzata sul Libro Sacro45: il textus e medium interculturale che ha "invaso" culturalmente l'Europa altomedievale con i Libri scottice scripti, per eccellenza i Gospel-books prodotti dal "work of angels" dei monaci irlandesi.

Mentre la lezione del Libro altomedievale che ha dominato e, per larga parte ancora condiziona gli studi storico-artistici e in generale medievistici, è quella che negli anni Sessanta del Novecento, nel volume dedicato appunto a L'Europa delle invasioni barbariche, Jean Porcher ne ha dato nel capitolo intitolato L'eredità dei barbari, da cui leggiamo:

Coloro che, al modo degli antichi Greci e Latini, noi chiamiamo barbari, hanno posto brutalmente fine all'antichità classica mediterranea dalla cui civiltà è nata la nostra. Per questo, il termine "barbaro" (letteralmente: il balbuziente, lo straniero che non sa parlare e non sa vi-

44 Per la figura di Amalario di Metz cfr. S. DE BLAAUW, Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale, Città del Vaticano 1994, pp. 97,188, 590; relativamente all'ambito carolingio palatino M-P. LAFFITTE, CH. DENOËL (a cura di), Trésors carolingiens, cit., p. 224. 45Per la distinzione lotmaniana fra cultura “testualizzata” vs “grammaticalizzata” e la definizione della cultura medievale quale cultura “testualizzata” sul Libro Sacro, cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Il ‘codice’ figurativo. Letture di semiotica generale e di semiotica sistemica, cit., pp.165-185, con bibliografia.

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Fig. 37 Omelie di Gregorio Nazianzeno, Paris, Bibliothèque national, Ms gr 510, f. 355r.

vere al modo greco-romano), è divenuto ben presto null'altro che sinonimo di grossolano, di incolto. E' stato necessario il lavoro degli archeologi e dei collezionisti di antichità nazionali per richiamare l'interesse verso quelle epoche tormentate in cui questi popoli hanno agito sull'Europa; ma, al di fuori del mondo degli specialisti, l'arte non classica ha risvegliato solo da pochi anni un'attenzione che non è solamente frutto di curiosità . Se "barbari" è un termine di spregio, così come il termine "arte barbarica", sarebbe troppo limitato ed erroneo giudicare questa ondata di nuovo interesse per i "barbari" come una moda; al contrario, riconosce, essa è determinata da profonde affinità tra la nostra epoca e quei lontani secoli, affinità convalidate da tanti elementi più o meno significativi, ed è grazie a questi caratteri affini che oggi possiamo dare sull' "arte barbarica" un giudizio più preciso.

Notato quindi che è poco probabile che i barbari conoscessero la pittura prima dei loro contatti con la civiltà mediterranea, concludeva nel merito: La vera pittura dei barbari si limita alla decorazione, come tutte le manifestazioni sia originali che apprese della loro arte; questa decorazione ha lasciato traccia unicamente nei libri e, se mai è esistita altrove, è scomparsa per sempre46.

Il capitolo che segue, dedicato specificamente a Le isole britanniche, verte sui massimi Libri dell'arte insulare, esattamente i Vangeli from Durrow to Kells: i quali, scrive Porcher, sorti improvvisamente dal vuoto pittorico dell'arte barbarica, sono il frutto di una lunga esperienza di lavoro acquisita fuori del campo dei libri, e distingue fra pittura e grafia, dove si indovina la presenza costante dell'orafo sperimentato, facendo quindi seguire un'ampia esemplificazione dei motivi decorativi che l'arte dei barbari ha introdotto dal metalwork a ornare e impreziosire il

46 J. PORCHER, L'eredità dei barbari, in L'Europa delle invasioni barbariche, cit., pp. 155-156.

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Libro Sacro corrompendo nello spirito barbarico il libro classico47; la cui struttura e il cui ordine razionale, conosciamo, fondano al contrario nel "primato della parola".

E oltre una ventina d'anni più tardi leggiamo nel merito da Otto Pacht: Sappiamo che la fantasia decorativa dei miniatori insulari si impadronì dell'intera pagina coprendola con una profusione di ornamenti e collocandola come frontespizio puramente decorativo, senza sottintesi simbolici, all'inizio dei Vangeli, del Prefazio, del Canone e così via48

V Lascio la questione circa il valore "puramente decorativo, senza sottintesi simbolici" che

l'arte dei "barbari" nord-europei, ricca di un immaginario mitopoietico del sacro che affonda le sue radici alle origini della civiltà, ha portato all'invenzione dell'Europa e alla nascita della civiltà medievale49, per venire ad un altro capitolo fondamentale dei miei studi, maturato durante il mio insegnamento universitario in Sardegna nel decennio a cavallo degli anni 1980-90, dove le prime esplorazioni sul territorio mi hanno messo, al contempo, di fronte alla nota esistenza della tipologia monumentale primordiale e primaria della pietra, costituita dalle perdas longas megalitiche attestate nella zona montuosa interna della Sardegna, cosidetta "Barbaria" o "Barbagia", di contro all'inedita presenza di stele/pilastres cristiani in pietra (Fig. 38), infitti nel terreno e ornati sulle quattro facce, con tecnica "negativa", di motivi geometrici uniti a elementi fitomorfi, zoomorfi e anche, in un caso, antropomorfi, di figurette che mostrano, come in alcune

Fig. 38 Suelli (Sardegna). Gli otto pilastrini “a pietra fitta” reimpiantati nel secondo cortile di Casa Ruda, faccia Est

47 Ibidem. pp.157-160. 48 O. PACHT, La Miniatura medievale. Una introduzione, Torino 1987, p. 65. 49 Di contro alla perdurante lectio "decorativa" dell'arte "barbarica", cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Introduzione, e Scritture e immagine nell'ambito insulare, in Segni e codici della figurazione altomedievale, cit., pp.3-42,131-177, con bibliografia.

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Fig. 39 a) Suelli. Elemento F, faccia Est; b) Drumhallagh co. Donegal, cross-slab, faccia Est.

delle stele irlandesi segnate dalla croce di nastri (Fig. 39a, b), di nutrirsi della croce/albero, se- condo il passo dell' Apocalisse/ Rivelazione giovannea che recita «Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita che sta nel paradiso di Dio» (Ap 2,7).

Stele/pilastres della Sardegna che insistono in particolare nel territorio della diocesi cagliaritana; al cui vescovo, allo scorcio fra il VI e il VII secolo, ricordiamo, il pontefice Gregorio Ma-gno rimproverava aspra-mente di tollerare che i suoi fedeli coltivassero ancora l'uso pagano di adorare gli alberi e le pietre50.

Nel quadro della "Civiltà dei Megaliti", eretti dall'uomo nei «tempora ignota» della Preistoria alla sacralità della Dea Madre generatrice/rigeneratrice della vita antropocosmica, le perdas longas della "Barbaria" o "Barbagia" rispondono nella forma e funzione ai men-hir preistorici che costellano il territorio nord-insulare atlantico; ma dalle "pietre di culto" dell'età protostorica la Sardegna rinvia piuttosto all'area fenicio-punica, ai betili -voce semitica "casa di dio"- e quindi alle stele/pilastres dell'Africa cristiana, omologamente infitti nel terreno e ornati sulle quattro facce essenzialmente di motivi geometrici a tecnica "negativa"(Fig. 40a, b), già segnalati da Henry Leclercq, e che Noël Duval, Paul Albert Fevrier e Pierre Salama hanno mostrato connotativi dell'Africa romana dell'età vandalica, in cui il cristanesimo è di dottrina donatista e ariana51. 50 Cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, L’immagine «né idolo né icona» nella concezione del primo “papa monaco” della Chiesa di Roma, cit., in part. pp. 202-212. 51 Nel merito, in particolare S. CASARTELLI NOVELLI, Inediti monumenti scultorei della Sardegna centro-orientale: introduzione ai dati tipologico-linguistici, in "Le sepolture in Sardegna dal IV al VII secolo", IV Convegno sull’archeologia tardoromana e medievale, (Cuglieri 27-28 giugno 1987),Oristano 1990, pp. 257-332; EADEM Le nuove 'pietre fitte' sarde a decoro geometrico e astratto e il testo della croce monumentale quale Albero della Vita di Apocalisse, II. 7, in "Arte medievale", II Serie, Anno III, n.2, 1989, pp. 1-50; EADEM, Il decoro geometrico delle inedite emergenze scultoree a «pietra fitta» individuate nella Sardegna centro-orientale, in "Ravenna e l'Italia fra Goti e Longobardi", XXXVI Corso di Cultura sull'Arte Ravennate e Bizantina, Roma 1989, pp. 101-112; da ultimo, EADEM , Il Mediterraneo "crocevia" e “crogiuolo” millenario di civiltà: la testimonianza della Sardegna, in "Medioevo mediterraneo: l'Occidente, Bisanzio e l'Islam", Atti del 7°Convegno internazionale di studi di Parma a

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Fig. 40 a) S. CASARTELLI NOVELLI, Inediti monumenti scultorei della Sardegna centro-orientale: introduzione ai dati tipologico-linguistici, in Le sepolture in Sardegna dal IV al VII secolo, IV Convegno sull’archeologia tardoromana e medievale a cura di L. PANI ERMINI (Cuglieri 27-28 giugno 1987), Oristano 1990; b) ibidem, p. 312. Dalla Sardegna i miei studi e le mie ricerche volgevano quindi, per successive tappe, al bacino

mediterraneo orientale e meridionale, fino al Deserto monastico dell'Alto Egitto, dove, dirigendo sul campo dal 2001 al 2004 il Progetto Pilota di "ricerca integrata" sul «Convento Rosso»52 (Fig. 41), ho avuto l'opportunità di conoscere al vivo le "sorgenti" di quella forma del "vivere in società degli uomini" nel ritiro spirituale del Deserto monastico che, «ex Aegypto tranducto», ha fecondato dall'Irlanda l'Europa delle "invasioni barbariche" e della "rinascenza carolingia".

La ricerca condotta in Alto Egitto non solo ha confermato che il monachesimo anacoretico-cenobitico irlandese, come l'intreccio del nastro continuo simbolo di Eternità, o la puntinatura che "rialza" nella pagina il disegno delle lettere alfabetiche, discendono dall'Egitto, ma ha consentito altresì di comprendere, ad altro livello d'analisi, che il nuovo statuto semico dei Van-

cura di C. A. QUINTAVALLE, (Parma 21-25 settembre 2004), Milano 2007, pp.262-272, con aggiornamento bibliografico. 52 Cfr. B. MAZZEI (a cura di), Progetto Pilota Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi «Convento Rosso», con Introduzione di S. CASARTELLI NOVELLI, pubblicazione fuori commercio dell’Università “Roma Tre”, Roma 2004; il volume è in corso di pubblicazione on line, a cura di Barbara Mazzei e Francesca Severini, nel Portale delle Ricerche del Dipartimento di Studi Storico-Artistici, Archeologici e sulla Conservazione dell’Università degli Studi “Roma Tre”.

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geli from Durrow to Kells e in generale della produzione libraria che va dai grandi scriptoria monastici dell'Europa delle invasioni barbariche ai Tresors carolingiens, non si spiega, come giudicava Porcher, quale risultato della "corruzione" che l'arte barbarica ha portato alla materia e forma dell'espressione del Libro classico in ragione del "gusto decorativo" dell'orafo sperimentato; bensì si spiega quale statuto testuale -tecnicamente "ipertestuale"– che il Libro Sacro cristiano ha conquistato nell'Altomedioevo in ragione della sua peculiare materia e forma del contenuto.

Le cui "radici" e/o "sorgenti" la macrostoria del segnico ha fondato primeve nella tra-duzione del racconto mitico dall'oralità alla scrittura, quale, circa due millenni avanti l'invenzione della scrittura alfabetica e la stesura delle parti più antiche della Bibbia, è "espolsa" nella storia della civiltà nelle scritture "figurate"; la cui prima invenzione/creazione quale scrittura sacra consta nell'arte segreta dei "geroglifici" –letteralmente "le parole divine"– dono del dio Toth (Fig. 42a), che gli scribi egizi hanno coltivato nel ritiro spirituale della Casa della Vita annessa ai grandi Templi "dei milioni di anni". Dove, circa nel 1500 a. C., è "esploso" nella storia della civiltà il Libro che gli archeologi hanno definito antonomasticamente "Libro dei Morti", propriamente Libro (o capitoli) dell'uscita al giorno, il primo libro "figurato" della storia, formato co-testualmente della scrittura geroglifica "delle parole divine" e delle "vignette" che figurano il cammino del defunto verso il Paradiso egizio ricco d'acqua, pesci, uccelli, alberi e fiori (Fig. 42b, c). Libro, in forma di rotulo di papiro, con scritto in testa il nome

Fig 41 B. MAZZEI (a cura di), Progetto Pilota Deir el Ahmar, Deir anba Bishoi «Convento Rosso», con Introduzione di S. CASARTELLI NOVELLI, pubblicazione fuori commercio dell’Università “Roma Tre”, Roma 2004.

Fig. 42 a) Dal Sarcofago di Petosiris, in legno di pino, ornato di cinque colonne di geroglifici in pasta vitrea, particolare in scrittura geroglifica del testo tratto dal Capitolo 42 del Libro dei Morti, inizio del periodo Tolemaico (seconda metà del IV secolo a.C.) Il Cairo, Museo Egizio; b,c) Il "Giardino edenico" degli Egizi: particolari della decorazione della Tomba di Nebamon, Tebe Ovest, Nuovo Regno, XVIII dinastia (1570-1293 a. C.), Londra, British Museum.

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del defunto, che gli Egizi sigillavano nel sarcofago con la sua mummia al fine di traghettarlo all'Eden paradisiaco della felice rinascita oltre la morte53 (Figg. 43 a,b). Rispetto al quale, per parte insulare, non sembra fuori luogo richiamare che il Vangelo di san Cuthbert, attualmente conservato alla British Library (ms. London, British Library, Loan 74), risulta essere stato seppellito nel 608 insieme alle spoglie del santo e "al pari di esso venerato"54.

Fig. 43 a) Il rotolo del Libro dei Morti nel suo contenitore ligneo. Bassa epoca. Copenaghen, Museo Nazionale, inv. N. AAe ; b) Particolari del Libro dei Morti di Pinedjiem I, sommo sacerdote del dio Amon a Tebe (1065-1045 a.C.), ritrovato nel sarcofago reale di Deir el-Bahari. Terzo periodo intermedio, XXI dinastia. Il Cairo, Museo Egizio.

A questo punto è stato del massimo interesse spostare l'attenzione dall'Europa occidentale e dal

Mediterraneo fino alla regione caucasica, alla lontana Armenia (Fig. 44a), dove sul monte Ararat il racconto biblico ha fissato l'approdo dell'arca e la rinascita della vita dopo il Diluvio. Montagna a due cime vulcaniche, come già la montagna sacra di Çatal Hüjük, è la Montagna sacra dell'Armenia storica55 (Fig. 44b, 45): una provincia estrema del Mondo Antico, dove il cristianesimo, di credo monofisita al pari delle province orientali come la Siria, l'Egitto e la Cappadocia, è stato proclamato religione di stato nel 309 o 311, comunque avanti la Pace della Chiesa che nel 313 Costantino ha concesso a Roma e all'Occidente, quindi in piena autonomia sia dalla Chiesa cattolica di Roma e sia dalla Chiesa ortodossa di Bisanzio.

"Armenia storica" dove, dalle imponenti testimonianze della civiltà megalitica, le pietre "di culto" si sono sviluppate senza soluzione di continuità nei singolari vishap (Fig. 46a, b) –monoliti a forma di pesce, i quali attestano che il pesce è Simbolo di Vita molti millenni avanti la soluzione del suo nome greco ΙΧΘΥΣ in acrostico del nome di Cristo– e quindi fino ai Katckars cristiani, le innumeri "pietre crociate" infisse nel terreno e scolpite nel basalto rosso, e altresì

53 Cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Dal "Libro dei Morti" al Book of Kells, in Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del VI Convegno internazionale di studi a cura di A. C. QUINTAVALLE, (Parma 24-28 settembre 2003), Parma 2006, pp. 69-84, con bibliografia. 54 Cfr. N. GIOVÈ, Forme della produzione scritta nell'Alto Medioevo, in S. CAROCCI (a cura di), Storia dell'Europa e del Mediterraneo, sez. IV, vol. VIII, cit., p. 300. 55 Da ultimo M. Nuzzolo, Armenia. Origini di un baluardo cristiano, in "Archeologia Viva", a. XXVII, n. 128, marzo-aprile 2008, con principale bibliografia. Per l’aggiornamento dell'iconografia della Montagna Sacra quale montagna a “ due cime”, vedi la proposta di E. ANATI, HAR KARKOM.20 anni di ricerche archeologiche, in Studi Camuni, XX, 1999, fig. 148c, p.141, avanzata dopo quarant’anni di ricerche sul campo, di individuare la biblica “Montagna di Dio” (di contro al “bizantino” monte di Mosé situato nella parte sud della penisola sinaitica presso il monastero da santa Caterina) nella montagna “a due cime” di Har Karkom, che le nuove prove archeologiche documentano Montagna Sacra dall’età paleolitica, pp. 37, 176, fig. 193; tesi ripresa da J. RIES. Le origini. Le RELIGIONI, Milano 1993, pp. 156, fig.214. Per la forma “duplice” della Dea Madre, in figura di montagna e/o di idolo antropomorfo, cfr. anche J.E. CIRLOT, Dizionario dei simboli, Milano 1996, p. 319.

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Fig. 44 a) Carta dell'Armenia storica (da M. NUZZOLO); b) veduta paesaggistica, dove all’orizzonte appare il Monte Ararat nella sua struttura “a due coni” vulcanici uniti da una sella.

Fig. 45 ARMENIA. Origini di un baluardo cristiano, "Archeologia Viva", a. XXVII, n. 128, marzo-aprile 2008.

direttamente sulle pareti della montagna quali ierofanie/teofanie emananti dal suo stesso

corpo56 (Fig. 47). Come oggi possiamo ancora riscontrare al meglio nella valle di Gheghard, in cui "la società

autonoma di uomini fratelli in solitudine" che nella scelta monastica fuggì il tempo e l'organizzazione politica della città per votarsi alla lettura silenziosa, alla memorizzazione e alla scrittura dei Sacri testi, ha lasciato il maggiore monumentum della sua scelta di vita nel ritiro delle "grotte" aperte nel corpo della montagna quale "spazio sacro" per eccellenza; che, come ha scritto Armen Manoukian, è lo specifico di Gheghard, in quanto essenzialmente ripetizione della cosmogonia, ricerca della primigenia matrice tellurica dentro la montagna, per cui l'eccezionalità monumentale di Gheghard fluisce dall'originario eterno rapporto tra l'uomo e la terra nel corpo mitico della Grande Dea Madre57.

56 L. AZARIAN, L’arte dei khatchkar/The art of khatchkars, in KHATCHKAR, Documenti di Architettura armena/ Documents of Armenian Architecture, 2, Milano 1977; A. MANOUKIAN, Morfologia, struttura e significato architettonico dei khatchkar/ Morphology, structure, and architectonic significance of khatchkars, in Ibidem, p.10; per la distinzione fra le "ierofanie" in cui la divinità si manifesta attraverso la mediazione del cosmo, e le "teofanie" in cui la divinità si manifesta direttamente, come la manifestazione di Dio a Mosè sulla montagna sacra del Sinai, cfr. J. RIES. Le origini. Le RELIGIONI, cit., in particolare, cap. 29, Breve discorso sul metodo, pp.115-156, con bibliografia; per il profondo nesso simbolico-semantico che nel pensiero mitico lega la Montagna e l'Acqua di Vita, da ultimo cfr. S. CASARTELLI NOVELLI, Il simbolo dell'Acqua di Vita, in L'Acqua nei secoli altomedievali, LV Settimana di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 2008, pp. 931-984, con bibliografia. 57 Cfr. A. Manoukian, G(h)eghard ed altro/ G(h)eghard and other comments, in G(H)EGARD, Documenti di Architettura armena/ Documents of Armenian Architecture, 6, Milano 1978, pp.10-13; per una storia generale dell'arte armena P. DONABEDIAN, J. M. THIERRY, Les arts arméniens, , "L'art et les grandes civilisations", éd. Mazenod, Paris 1987; per il profondo nesso simbolico-semantico che nel pensiero mitico lega <<ab origine>> la Montagna e l'Acqua di Vita, da ultimo S. CASARTELLI NOVELLI, Il simbolo dell'Acqua di Vita, in L'Acqua nei secoli altomedievali, LV Settimana di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 2008, pp. 931-984, con bibliografia.

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Fig. 46 a) Particolare dei megaliti di Khoshoun-Dash; b) “Vishap”, ierofania megalitica in forma di pesce rinvenuta sul monte Aragadaz. (da L. AZARIAN).

Fig 47 Vedute del "Deserto monastico" di Gheghard .

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Grandioso "monumentum" monastico cui, richiamo in sintesi, si accompagna l'altro grandioso

monumentum del monachesimo armeno: la produzione del Libro sacro, che ha avuto inizio ai primi del V secolo con la creazione dell'alfabeto armeno ad opera del monaco Mesrop Mashtots, al fine di tradurre nella lingua nazionale del popolo armeno non solo i testi biblici, ma i Padri della Chiesa, i testi liturgici, i trattati ermeneutici, storiografici, apologetici e agiografici, con una attività cui è riconosciuto di avere salvato molti scritti altrimenti perduti58.

Fig. 48 La "Tentazione di Gesù" del Vangelo di Gagik de Kars, XI sec. Gerusalemme, Patriarcato Armeno n. 2556, f. 244.

Produzione della quale ciò che maggiormente interessa la nostra analisi sono i Libri dei

Vangeli, in cui si registra la presenza co-testuale sia delle "vignette" figuranti gli episodi principi della vita del Cristo, in particolare la Natività, con nello sfondo rigorosamente la figura del Monte Ararat a due erti coni vulcanici (Fig. 48), e sia dell'ambiguazione della scrittura in immagine, isomorficamente quindi ai manoscritti altomedioevali prodotti negli scriptoria occidentali.

Come possiamo riscontrare, esemplarmente, nei Vangeli in cui la scrittura è formata di lettere alfabetiche colorate e rialzate dalla puntinatura (Fig. 49a) e la pagina iniziale è formata dalla croce di nastri intrecciati e perlati cui convergono quattro volatili (Fig. 49b), o nella prima pagina di Homiliario in cui nel cerchio centrale gli intrecci volgono nel tipo del nastro geometrico a sviluppo continuo (Fig. 50a), e ancora nell' intrinseca ambiguazione delle lettere 58 Cfr. C. MUTAFIAN (a cura di), Roma-Armenia, Roma 1999; N. JEANSON, G. DÉDÉYAN ET ALII, L’Arménie mémoire de la Bible, in Le Monde de la Bible, dossier n.136, (juillet.-août 2001), pp.12-48; e in particolare il contributo di J-P. MAHE, Aux sources d’une histoire nationale, pp.49-53, dove a p. 49 leggiamo: “Converti au christianisme par une decision royal, et devenus une nation vouée à l’Écriture, les Arméniens ont intégré leur histoire dans la lignée des traditions bibliques. Il ont échangé la mémoire mytologique de leurs ancêtres contre les annals véridiques de la foi. Dès lors, leur histoire prenait même valeur et même légitimité que celle du peuple élu, et la traduction de la Bible rendait possible l’historiographie arménienne en la dotant d’un contenant et d’un contenu: la mémoire authentique du passé dans une forme littéraire appropriée”.

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Fig. 49 a) Pagina d’inizio del Vangelo di Luca, XI sec. Gerusalemme, Patriarcato Armeno n. 2555, f. 92; b) Pagina d'inizio di Evangeliario del X-XI sec., Ms. 5547, f. 7v (da AA.VV., La miniature armenienne, Erevan 2006, fig. 27, p. 91).

alfabetiche con le immagini di pesci, fiori e uccelli, quale è testimoniata fino al XIV secolo nelle pagine incipitali dei Vangeli e altresì del Genesi (Figg. 50b, 51a, b) 59.

Il percorso d'analisi ad ampio raggio compiuto, sia pure velocemente, sulle tracce e i resti dei

monumenti/testi artistici fioriti nella tarda Antichità dalle terre atlantiche all'Europa continentale, dall'area mediterranea all'Alto Egitto e quindi fino alla regione caucasica, mostra indubitabilmente che il "feu"/focus principe della "svolta" epocale da cui è nata la civiltà dell'Europa occidentale e del Millennio medievale fonda eminentamnte nel macrofenomeno del monachesimo, quale ha investito l'intero orbis christianus antiquus fino e oltre gli estremi confini occidentali e orientali dell'orbis romanus; macrofenomeno che Debray ha lucidamente definito fondato su un processo di ritorno all'indietro, letteralmente di recul della forma del "vivere in società degli uomini", con la quale il monaco "uomo solo" e i suoi "fratelli in solitudine" hanno svoltato "in rottura" dalla civiltà classica, fuggendo il "tempo politico" della città per il "tempo escatologico" del Deserto60.

59 Per i manoscritti in oggetto, principalmente: S. DER NERSESSIAN, L’Art Arménien, Paris 1989, la Tentazione di Gesù del Vangelo di Gagik di Kars, dell’XI secolo, p.102, la Natività del Vangelo del Patriarcato Armeno di Gerusalemme, del XIV secolo, p. 220; per la Natività della Bibbia di Avag cfr. E. KORKMAZIAN, I. DRAMPIAN, G. HACOPIAN, Armenian miniatures. The Materadaran Collection, tr. dal russo di A. Mikoyan, Leningrad 1984, scheda e fig. n. 14; e C. MUTAFIAN (a cura di), Roma-Armenia, Roma 1999, p.175, con bibliografia; E. KORKHMAZIAN, I. DRAMPIAN, G. HAKOPIAN, Armenian Miniatures of the 13th and 14th Centuries from the Matenadaran Collection, Old Manuscript Library and Researc Centre of Yerevan, Leningrad 1984, schede nn. 28-31, fig. 29; L. A. DOVRNOVO, La miniatura armena, Milano1961, tav. LXXVII. 60 R. DEBRAY. Le feu sacré. Fonction du religieux, da p. 53 leggiamo in particolare: Les ordres monastiques ont leur curia generalis à Rome, mais le monachisme chrétien est né d'un geste de recul, de rupture avec l'officialité triomphante de Théodose, à qui richesse et pouvoir firent vite oublier le renoncement des origines. Il s'agissait de rétablir, contre le temps politique de la Ville, le temps éschatologique du Désert.Les moines se méfient de l'Eglise et l'Eglse se mefie des moines.. Le veilleur qui attend l'aurore en sandales est l'ombre inversée du hiérarque crossé et mitré – son remords et son expiationson.

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Fig. 50 a) Pagina d’inizio dell’Homiliario cd. di Mouch, del 1204. Erévan, Maténadaran, n. 7729 ; b) Pagina d'inizio del Vangelo di Luca dei Vangeli scritti e probabilmente miniati da Grigor Vellum, XIV secolo. Erévan, Maténadaran, Ms n. 6305, f. 128.

Fig. 51 a) Pagina d'inizio del Vangelo di Grigor, della fine XIV-inizi XV secolo, con personaggi e motivi floreali (da L. A. DOVRNOVO, La miniatura armena, Milano1961, tav. LXXVII); b) Pagina d’inizio del Genesi della Bibbia di Esayi Ntchetsi, del 1318. Erévan, Maténadaran, Ms n. 206, f. 4r.

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Un "ritorno" all'indietro, da intendersi non quale processo di lenta "decadenza" dell'Antichità classica, pronta, al di là dell' "urgano barbarico", a risorgere dalle sue stesse ceneri, ma quale "la svolta" epocale che ha liberato il ritorno ad un 'Antichità' molto più 'antica' della civiltà classica, alle "sorgenti" primarie del mito e del sacro e al primato del linguaggio simbolico multidimensionale; in cui proprio la cultura dei "barbari" mostra di aver giocato, per eccellenza dall'interno del macrofenomeno monastico –monumentum e medium primario il Libro–, il ruolo determinante nella nascita dell'Europa e del Millennio medievale61.

Chiudendo la sua analisi a tutto campo sulla progressiva liberazione dell’umanità attraverso il suo comportamento materiale nello spazio e nel tempo, Leroi-Gourhan poneva in ultimo al suo lettore un invito a riflettere sul destino futuro dell’uomo, Homo sapiens, che sembra squisitamente "tecnico" senza esserlo affatto, e che, a mo' di conclusione, desidero a mia volta condividere con i miei giovani ascoltatori:

Se si ritiene che la strada fin qui percorsa dall’umanità è in tutto favorevole al suo avvenire, la perdita del pensiero simbolico multidimensionale va considerata alla stessa stregua del miglioramento della corsa degli equidi quando le loro tre dita si sono ridotte a uno solo. Se viceversa si ritiene che l’uomo si realizzerebbe in pieno in un equilibrio in cui potesse mantenere il contatto con la realtà in tutto il suo complesso, ci si può domandare se l’optimum non sia stato rapidamente superato dal momento in cui l’utilitarismo tecnico ha trovato in una scrittura completamente avviata il mezzo per svilupparsi all’infinito62.

Silvana Casartelli Novelli

61 Cfr. J. RIES, Dal mitogramma al mito. La prima grande esperienza del sacro, e Il mito cosmogonico, fondamento di tutti i miti, in IDEM (a cura di), Il MITO. Il suo linguaggio e il suo messaggio attraverso le civiltà, Milano 2005, pp.43-47,51-56; F. CARDINI, Europa anno Mille. Le radici dell'Occidente, Milano 1995. 62 A. LEROI-GOURHAN, Il gesto e la parola, I, cit. p.248. Per le nuove frontiere aperte dai sempre più incalzanti, quanto inquietanti, sviluppi tecnologici della scrittura e in generale della comunicazione, a lato dell’ormai “storico” volume di M. MCLUHAN, The Gutemberg Galaxy. The Making of Typographic man, Toronto 1962, Ia ed it. La Galassia Gutemberg. Nascita dell’uomo tipografico, Roma 1976, VII ed. it. a cura e Introduzione di G. GAMALERI, Roma 2001, vedi ad esempio da ultimo, nei Saggi dell’Editrice Il Mulino, J. B. THOMSON, The Media and Modernity. A Social Theory of the Media, Cambridge 1995, ed. it. Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Saggi n. 479, Bologna 1998; S. MOORES, Interpreting Audiens. The Etnography of Media Consumption, London 1993, ed. it. Il consumo dei media. Un appoccio etnografico, Saggi n. 481, Bologna 1998.