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Simbologia Mitologia e Musica
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Massimo Venuti
Simbologia, mitologia e musica
Copyright © 2012 Società Editrice Dante Alighieri S.R.L.
www.societaeditricedantealighieri.it
I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi.
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Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico, commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo di riproduzione vanno inoltrate a:
Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO) - Corso di Porta Romana, n. 108 - 20122 Milano
e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org
Prima edizione ebook, formato PDF: luglio 2012
ISBN: 978-88-534-4049-5
Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo volume scrivere al seguente indirizzo: [email protected]
Società Editrice Dante Alighieri s.r.l. - via Monte Santo 10/A - 00195 Roma
In relazione ai passi antologici ed alle riproduzioni appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in questa opera, l’Editore – avendo provveduto al deposito della stessa presso l’Ufficio della Proprietà Letteraria in ossequio a quanto disposto dalla Legge sul Diritto d’Autore – rimane a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire, nonché per eventuali errori o/e omissioni.
Massimo Venuti, Professore ordinario di Semiotica della musica e di Estetica della musica presso il Conservatorio di Milano e l’Istituto Pontificio Ambrosiano di Musica Sacra, ha pubblicato diversi libri tra i quali, in àmbito filosofico, La retorica del Logos presentato alla Buchmesse di Francoforte e in varie città italiane, e Il Vangelo e la storia (prefazione di V. Mathieu, Accademico dei Lincei). In àmbito musicologico, tra gli altri, Musikgeist e mondo moderno, Il teatro di Dallapiccola, Stravinsky, Simbolismo e retorica nelle "Szenen aus Goethes Faust" di Robert Schumann. Ha tenuto corsi presso l’Università di San Pietroburgo ed è stato chiamato a elaborare “La carta intellettuale” (1994) presso il Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra, nonché il “Projecting culture: the language of music”, 38th University Congress, Roma 2005. È critico musicale da venticinque anni.
LA MUSICA DELLE SFERE
Il concetto di musica delle sfere, o musica mundana, è tra i più
suggestivi e persino citati nella storia dell'estetica musicale,
eppure, la raffigurazione che ne abbiamo - l'orbita circolare dei
pianeti cui corrisponde un suono -, non è proporzionale alla
quantità di implicazioni che la visione ha suggerito nel corso dei
secoli. C'è da dire che le descrizioni furono sempre vaghe. La
principale, di gran lunga più minuziosa, è quella che ci fornisce
Platone nella descrizione del mito di Er: in essa, gli uomini che
intraprendono l'ardito cammino, andarono «... a mettersi in via
nell'ottavo giorno, per arrivare quattro giorni dopo in un luogo
donde vedevano una luce dritta, come una colonna che,
discendendo dall'alto, si distendeva tra il cielo e la terra (...) e nel
mezzo di questa luce, videro tese dal cielo l'estremità delle sue
catene; perché questa luce era il legame del cielo, fatto a
somiglianza del lavoro che compiono i canapi che si avvolgono
intorno alle triremi, e tiene avvinta tutta la sfera girante; e
dall'estremità di queste catene pendeva il fuso di Ananke, per
mezzo del quale girano tutte le sfere» (Platone, Repubblica 615).
Tra la Terra e il cielo (la sfera girante), c'è il fuso. Il fuso intero
ruotava su se stesso d'un moto uniforme; ma nella rotazione
dell'insieme «i sette cerchi interni giravano lentamente in senso
contrario al tutto. Di tutti il più rapido era l'ottavo; seguivano per
rapidità il settimo (...). Il fuso stesso girava sulle ginocchia di
Ananke; sull'alto di ciascun cerchio c'era una Sirena che girava
con esso e faceva sentire la voce e il tono che le erano propri, e
tutte queste otto voci riunite formavano un'unica armonia. E
Cloto, con la destra sul fuso, faceva girare ad intervalli determinati
il cerchio esterno; Atropo, con la sinistra, allo stesso modo i cerchi
interni; e Lachesi, a volta a volta gli uni e gli altri, ora con la destra
e ora con la sinistra» (ibidem 617 d-e).
Cioè il passato, il presente e l'avvenire.
Una rapida ispezione a questi due passi, letti nella loro interezza,
ci mostra una visione ben più complessa del semplice movimento
di astri secondo cerchi concentrici, da un polo all'altro
dell'emisfero. È questa la semplicistica immagine, descritta in
realtà da Filolao (Filolao DK 44 A 8, DK 44 B 6, in Diels
Hermann, Die Fragmente der Vorsokratiker, von Walther Kranz,
Berlin 1951) che campeggia quasi invariabilmente
nell'immaginario e nella iconografia, per esempio nella pur altro
splendida incisione de «La musica delle sfere» della Pratica
musicae di F. Gafurius (1496). Pubblicata in origine come
frontespizio della Pratica, la xilografia fu poi ristampata nel 1518,
con un commento, in F. Gafurius, De Harmonia musicorum
instrumentorum IV, xii, fol. 94 (cfr. A. Warburg, Die Erneureung
der heidnischen Antike, pp. 412 sgg., pp. 429 sgg; E. Windt,
Misteri pagani del Rinascimento, Adelphi, Milano 1986, pp. 323-
327).
I cerchi, qui, sono sette, da quello più vicino alla Terra a quello più
lontano: Luna (fatta corrispondere al modo ipodorico e alla nota
Re), Mercurio (ipofrigio, nota Mi), Venere (ipolidio, nota Fa), Sole
(dorico, nota Sol), Marte (frigio, nota La), Giove (lidio, nota Si),
Saturno (misolidio, nota Do). In più l'aggiunta del Cielo delle
stelle fisse, l'ipermisolidio (la teorica nota Re, dunque l'ottava),
che rappresenta l'armonia delle sfere, l'inudibile armonia che
Gaffurio apprese dal De Musica IV, xvi sg. di Boezio, sull'autorità
di Tolomeo.
L'immagine è elegante, razionale, e piacevolmente simmetrica.
Ma la fonte primaria, platonica, parla di una situazione molto più
mobile e complessa: si parla di una luce dritta che va dal cielo alla
Terra, di catene che legano il cielo, e che lo fanno ruotare intorno
al fuso intorno al quale girano anche i pianeti, gli dèi e le note
musicali dell'armonia universale. I pianeti-note non girano
pertanto intorno alla Terra, supposta come un disco piatto, ma
intorno al fuso, il quale impiantato nella Terra va a svasare verso
l'alto intorno a un punto nero, immaginario, dell'universo: l'asse
del fuso, inoltre, è mobile, non fisso. Cosa significa tutto questo?
Era noto che sia il movimento degli astri, sia quello del Sole
avessero differenti eclittiche, che è il loro moto apparente visto
dalla Terra. Poiché, tuttavia, la Terra si comporta come una
trottola, ossia possiede anche un movimento oscillatorio verticale,
il fuso - cioè l'asse ideale tra la Terra e il cielo attorno al quale
ruotano i pianeti, e dunque le note musicali - non è fisso, ma
ondulatorio, e descrive a sua volta un piccolo movimento rotatorio
nello spazio: da tale movimento, come è noto, deriva l'alternanza
delle stagioni. Il prolungamento di tale albero, l'axis mundi,
descrive un punto immaginario nell'universo attorno al quale
ruota il tutto. Attraverso quel punto immaginario - che sembra
sfondare l'universo - si identificherà nelle varie tradizioni la Porta
che di volta in volta servirà a raggiungere l'iperuranio (Platone), o
il Walhalla (tradizione eddica), o, nella traduzione cristiana,
l'Eden di cui Pietro ha le chiavi, simbolo pontificio mutuato dalla
tradizione arcaica. La Porta infatti è l'apertura alla Rivelazione,
Cristo è la Porta della Salvezza (Gv. 10,1-10), accesso alla realtà
superiore (Mc. 13,29; Ap. 3,20). Dio apre le porte per manifestarsi
in Gn. 28,17; Sal. 78,23, e in molti altri luoghi. La Porta è anche
Giano, l'initiator per eccellenza, come dice S. Agostino nel De
Civitate Dei 4,11; 7,3.
Ma non è finita. Per avere un'idea del complesso dobbiamo
aggiungere quella che noi chiamiamo Precessione degli Equinozi,
che pur essendo stata scientificamente dimostrata da Keplero, era
stata già scoperta da Ipparco nel 127 a.C. Le grandi età arcaiche
erano determinate da quel lentissimo spostamento per il quale gli
astri, e il sistema musicale ad essi collegato, sorgono e tramontano
in un punto sempre diverso in una successione regolare. L'eclittica
incontra pertanto l'equatore in un punto che si sposta lungo la
fascia dei segni zodiacali, le costellazioni, compiendo un giro
completo intorno all'orizzonte terrestre ogni 26.400 anni.
«La rotazione dell'asse polare non deve essere disgiunta dai
cerchi massimi che si spostano assieme ad essa nel cielo:
l'armatura viene immaginata come un tutt'uno con l'asse (...).
L'idea astratta, e oggi così naturale, di un semplice asse terrestre,
non era affatto così logica per gli antichi, che pensavano sempre
alla rotazione intorno alla terra di tutta quanta la macchina del
cielo: una linea ne implicava sempre molte altre in una struttura.
Bisogna perciò, a quanto pare, accettare l'idea che ciò che tiene
assieme il mondo sia un implesso» (G. de Santillana-H.von
Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1984, pp. 280-
281).
SIMBOLO E MITO
Le catene di cui parla Repubblica che tengono il cielo e la sfera
girante, sono in realtà i punti equinoziali dell'alba e tramonto del
Sole e, in verticale, il punto più a nord raggiunto dal Sole
nell'eclittica, cioè il solstizio d'estate, e quello più a sud, quello
invernale. È noto che in quello estivo il Sole viene «colpito a
morte» e torna a scendere (Macrobio, Saturnalia I, 17, 63; Ovidio,
Metamorfosi 2, 83). La festa di S. Giovanni decollato cade
appunto il 24 giugno. Giovanni, come il Sole, è decapitato, come
aveva prefigurato lui stesso: «Voi stessi mi siete testimoni che ho
detto: non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui
(...). Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io
invece diminuire» (Gv 3, 25-30).
(Un interessante studio sulla festività del solstizio estivo è in A.
Cattabiani, Calendario, le feste, i miti, le leggende e i riti
dell'anno, ed. Mondadori, Milano 2003, pp. 227-244).
Ambedue le coppie di punti sono mobili e snodi delle fasciature
che reggono il cosmo. I pianeti-note, pertanto, facendo parte di un
implesso che potremmo definire una sfera armillare, si
comportano ben altro che fasce di suono orizzontale: più corretto
vederle in un moto a spirale secondo orbite ellittiche che
s'intersecano obliquamente, ma anche verticalmente tra loro,
esattamente come negli ingranaggi di un mulino. Ciò non toglie la
possibilità che, nel momento della maggiore vicinanza tra i
pianeti, si possano calcolare i rapporti di distanza tra essi e farne
un fondamento numerologico sia della creazione del cosmo, sia
della scala musicale greca (Timeo VIII 34-36).
La mitica immagine del mulino, negli effetti, era una vera
macchina del tempo musicale che scandiva i moti apparenti degli
astri, sia nel loro lentissimo spostamento orizzontale
(Precessione) sia in quello verticale (l'eclittica): lo vediamo nei
poemi scaldici islandesi: «Si dice, canta SnaebjØn, che al largo,
oltre quel capo laggiù le Nove Fanciulle del Mulino dell'Isola
rimestano con veemenza la macina degli scogli crudele alle schiere
- loro che nelle passate età macinarono la farina di Amleto...» (I.
Gollancz, Hamlet in Iceland, Northern Library, London 1898, vol.
III, p. 49. Cfr il poema finnico Kalewala, poi messo in musica da
J. Sibelius)
Lo vediamo nei poemi eddici norvegesi, quando il re Frǿdi cerca
le due Fanciulle che facciano funzionare il Mulino magico del
tempo, e in Odissea, quando Ulisse approda a Itaca. È notte. Egli
prega Zeus che gli mandi un segno, e il segno gli viene dato
attraverso il Mulino del tempo, che macina la vita e la morte, e che
sta per scandire una nuova era. Odisseo ne gioisce: «Parole parlò
dalla casa una donna alla macina (...) vi badavano attivamente
dodici donne in tutto a fare farina d'orzo e di grano, midollo degli
uomini. Dormivano le altre, avendo già macinato la loro parte di
grano; una soltanto non aveva finito: la più debole era. I
pretendenti oggi per l'ultima volta, d'Odisseo nella casa godano
l'allegro banchetto» (Odissea XX, 103-119).
Il porto di Itaca, il delizioso antro delle Ninfe dove le api
costruiscono i favi e le Naiadi tessono manti del cupo colore del
mare, sembra un piacevolissimo luogo di soggiorno, ma l'antro ha
due porte: una è vòlta a Borea, la porta dalla quale scendono gli
uomini, l'altra invece è a Noto, ed è destinata agli dèi, perché non
la varcano gli uomini, ma solo il cammino degli immortali
(Odissea XIII, 102-119): si capisce che siamo ancora di fronte
all'antro-cosmo musicale. Il fuso è sempre uno, ma indica due
porte: una al solstizio d'estate, per mezzo del quale gli uomini
scendono alla Terra, l'altra più in basso, al solstizio invernale,
accesso per accedere agli stadi superiori, ma che può essere
percorsa solo dagli dèi. Il cosmo musicale è infatti un luogo
iniziatico (cfr Porfirio, De abstinentia 2, 46) dove ci sono due vie,
una delle quali - a destra - conduce al cielo, e l'altra - a sinistra -
all'Ade (Platone, Repubblica X 614c-615e; Dike prende la destra
per raggiungere la Verità nel Poema di Parmenide, v.22).
IL MITO E WAGNER
Se la vòlta celeste è un'apparente semicupola, e l'asse mobile che
la regge rappresenta il passaggio verso il cielo e allo stesso tempo
è il perno del sistema musicale rotante, non è un caso che Ulisse
(Odissea XXIII) si faccia costruire la camera da letto, e la casa
intera, intorno a un tronco d'ulivo, simbolo dell'axis mundi
attorno al quale viene fondato il cosmo. Cosa che avverrà anche in
altre tradizioni, come in quella sciamanica, che costruisce
l'abitazione intorno a un tronco, e in ogni caso ha un foro sulla
sommità perpendicolare al centro, o quella eddica che sarà ripresa
nell'epopea nibelungica: Wagner, probabilmente senza
conoscerne le profonde ragioni, riprende un modello intatto di
simbologia mitologica universale quando, nel I Atto della
Walküre, fa incontrare Siegmund e Sieglinde, la coppia incestuosa
che incrocia cielo e terra, all'interno di un'abitazione costruita
intorno a un robusto tronco di frassino, che sta nel centro; la
medesima disposizione della camera di Ulisse.
È una sala in legname. A destra, sullo sfondo, il focolare e dietro
la dispensa. Da quel medesimo tronco di frassino - l'axis mundi -
il padre degli dèi Wotan aveva ricavato la sua regale lancia sulla
quale aveva inciso le leggi runiche che regolavano la vita del
mondo e dell'universo.
Wagner, in questo senso, è stato unico. Infatti il tema della lancia
verrà ripreso in tutta la sua potenza simbolica in Parsifal. Parsifal,
santificato attraverso varie prove iniziatiche e attraverso il
sacrificio, userà quella stessa lancia per guarire le ferite di
Amfortas, dopo che il malvagio Klingsor l'aveva usata malamente
per evirarsi. Ma qui occorre un chiarimento: l'evirazione di
Klingsor, un retaggio del mito della castrazione di Urano da parte
di Crono-Saturno (ovvero Urano, il cielo delle stelle fisse, lascia il
potere al successore Saturno, il più lontano dei pianeti, cfr Esiodo,
Teogonia 154-210; si tratta della scoperta dell'obliquità
dell'eclittica, nell'ambito di un mondo dove realmente abitano dèi,
musica e pianeti, cfr Platone Fedone 111b, Timeo 37c; mondo di
eccelsa bellezza, cfr Filone, De aeternitas mundi III,10, il più
sacro dei templi, Cicerone De natura deorum II,37,95).
Malamente, perché Klingsor, attraverso la castrazione,
interrompe volontariamente il proprio rapporto con gli dèi pur di
fabbricare da solo il proprio potere: è un fabbro, come il malvagio
Alberich, infatti la forgiatura dei metalli è il mestiere fondato da
Caino (Gen. 4, 22). Se Klingsor può vedere da lontano l'avvicinarsi
di Parsifal è perché usa la propria negromanzia, come fa la strega
che attraverso lo specchio vede Biancaneve da lontano. Tali mezzi
artificiosi e peccaminosi sono resi musicalmente da note
cromatiche e alterazioni d'ogni tipo. Wagner usa qui la musica
ficta, che indica l'artificio dell'uomo dannato, rispetto ai modi
naturali che garantiscono l'amicizia con gli dèi.
Le basiliche cristiane e bizantine saranno costruite in modo che
l'abside dorata o azzurra, popolata da stelle, angeli, musicanti, o
santi, sia simbolo della volta del cielo, e la lucerna (la foratura
aperta, simbolo dell'axis mundi posta sulla sommità della cupola)
sia disposta perpendicolarmente all'altare, di modo che solo
attraverso il sacrificio di Cristo l'uomo può salire e accedere, oltre
la volta stellata, alla Porta dei cieli.
MUSICA, SIMBOLO, PARADISO
È appunto con il cristianesimo che l'implesso cosmico viene
ripreso più esplicitamente in termini musicali. In S. Agostino esso
viene descritto come armonia, ossia concordissima differentia (S.
Agostino, De vera religione XXX 55), oppure nel suo aspetto più
pratico e per così dire omiletico (Confessionum X, 33). Ma è il
razionalissimo e non certo ortodosso Boezio - De institutione
musica, cap. V - a coniare un termine di suprema sintesi ed
eleganza: musica mundana.
Il termine non è subito accettato universalmente. Cassiodoro,
seguendo S. Agostino, divide la musica in Scienza armonica,
ritmica e metrica (M. A. Cassiodoro, Institutiones, cap. V "De
Musica") ed è ripreso pedissequamente dal conforme Isidoro di
Siviglia (Sententiae de Musica cap. IV).
La divisione di Boezio sarà invece evidenziata da un altrettanto
poco ortodosso Aureliano Reomensis (lo si vede nell'ironica
Praefatio), nella cui Musica Disciplina sottopone finalmente le
tres partes, harmonica rhythmica metrica, ai tria sint genera
mundana, humana, instrumentis (Aureliani Reomenisis, Musica
Disciplina, Caput III, «Quod Musicae tria sine genera»).
Chi, invece, mostra non solo di avere le idee molto chiare, ma che
anche riassunse e sviluppò in modo arditissimo l'armonia
prestabilita-musica mundana, attraverso le sue due autentiche
collocazioni (l'albero-fuso e il mulino cosmico), fu una delle più
grandi menti che la Storia ci abbia consegnato: Dante.
Nella Commedia egli colloca la musica humana e
instrumentalis nell'imperfetto mondo del Purgatorio, sia per la
loro tentazione edonistica (Casella, Purg. II, 106-133), sia per
l'inferiore uso degli strumenti, che indicherebbe la pigrizia
dell'intelletto ad assurgere alla musica superiore, infatti Belacqua,
il costruttore di liuti, è collocato nel girone dei pigri o dei
negligenti (Purg. IV, 115-135).
Quella mundana, invece, è nel Paradiso.
Per raggiungerla, tuttavia, egli deve arrivarci al Paradiso, e lo fa
avvalendosi della giusta via, quella del fuso di Ananke, ovvero,
cristianamente, l'Albero della vita, che ha le radici in terra, il fusto
proiettato verso il Cielo, e che attraverso la Porta (il buco nero
dell'universo attorno al quale gira il tutto) sostiene i rami e i frutti
nel Paradiso. Il fuso-albero simbolico, anticamente, veniva
periodicamente abbattuto, quando le ere cambiavano in
coincidenza con il passaggio da uno zodiaco all'altro: dopo Cristo,
però, Dio ha santificato l'albero, perché è Lui, ora, il padrone del
tempo: oggi, dice Dante, nessuno può più schiantare l'albero,
perché il tempo non avrà più diverse ere, ma solo quella voluta da
Dio, il vero inizio, la vera fine del mondo.
«chiunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto
offende Dio, che solo all'uso suo la creò santa» (Purg. XXXIII, 58-
60; cfr v. 61 sgg.).
Dopo la sua purificazione, e l'immersione nel Lete e nell'Eunoé,
«io ritornai dalla santissim'onda/ rifatto siccome piante novelle/
rinnovellate di novella fronda, puro e disposto a salire alle stelle»
(Purg. XXXIII, 142-145).
Nel Paradiso, il grande canto dedicato alla luce, ai colori, alla
rotazione e all'armonia mundana è il decimo. Qui c'è l'esaltante
ritratto di Boezio (Par. X, 124-129), e l'elogio di San Tommaso nei
confronti dell'eretico averroista Sigieri di Brabante: cantando in
coro le lodi a Dio, Tommaso e Sigieri risolvono nell'armonia le
dissonanze che li avevano divisi nella vita terrena. Le antinomie
dell'inferiore dialettica logica si compongono nella superiore
concordia discordantium canonum. I cerchi si muovono in
armonia intellettuale che è anche musicale, dove nota, e rota
suggeriscono la circolarità della perfezione.
«Così vid'io la gloriosa rota/ muoversi e render voce a voce in
tempra/ ed in dolcezza ch'esser non più nota/ se non colà dove
gioir s'insempra» (Par. X, 142-145).
C'è chi ha messo in relazione la circolazione dei cerchi con gli
ingranaggi dei primi orologi, le cui prime attestazioni risalgono al
1336, cfr L. Spitzer, L'armonia del mondo, ed. Il Mulino, Bologna
1963, p. 260, e addirittura al 1306, anno in cui Dante li avrebbe
conosciuti, cfr M. Croese, La Commedia come partitura
bachiana, ed. ETS, Pisa 2001, p.93n).
Quello che a noi per lo più interessa in questo luogo è la seconda
tradizione essenziale dell'armonia prestabilita che Dante
rivivifica: quella del mulino.
Il riferimento all'obliquità dell'eclittica e alla Precessione è
chiarissima: «come da indi si dirama/ l'obliquo cerchio che i
pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama. E se la strada
lor non fosse torta, molta virtù nel ciel sarebbe invano/ e quasi
ogni potenza quaggiù morta: e se dal dritto più o men lontano/
fosse il partire, assai sarebbe manco/ e giù e su dell'ordine
mondano» (Par. X, 13-21).
Ciò prepara la strada al grande attacco del canto XII: «È tosto
come l'ultima parola/ la benedetta fiamma per dir tolse/ a rotar
cominciò la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse/ prima
ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto
colse» (Par. XII, 1-6).
Certamente, i grandi cerchi sono concentrici, ma all'interno del
cerchio della musica mundana, dove la santa mola fabbrica, sotto
l'amore di Dio, la musica e il tempo, le ruote che s'intersecano
sono una perpendicolare l'altra, come le ruote di una macina.
L'eventuale orologio non è piatto come i nostri, ma è un cubo
simile alle sfere armillari del tempo. Ergo, la musica mundana
non è polifonica nel senso delle molte voci parallele e
armoniosamente discordi, ossia bidimensionale, ma
tridimensionale e prospettica, per così dire timbrica: l'interno del
cerchio non è lineare, ma è spaziale, ut totus ordo impleatur.
Dante fa qualcosa di fondamentale nella storia dell'armonia
prestabilita: innesta le due prospettive pagane, l'axis mundi e il
mulino musicale che il Medioevo aveva dato per scontate o
sottaciute, e le inserisce a pieno titolo nella prospettiva cristiana,
pur mantenendone integri gli assunti originari.
MITO SIMBOLO ARTE
Tale grandiosa visione armonica e di bellezza rotante, che a
cercare di immaginare fa venire i brividi, viene ripresa via
negationis da una delle raffigurazioni più deliranti della storia. La
faccia interna dello scomparto laterale di destra del Trittico delle
delizie, dipinto intorno al 1504 da Hieronymus Bosch, s'intitola
"Inferno musicale". Come la macina crea bellezza e l'implesso del
cosmo, quella stessa macina, priva dell'ordo divini, tritura e
smembra, così che la sua musica ne diventa il disordine stritolante
della disarmonia: l'arpa, il liuto e l'organo a manovella si
trasformano in strumenti di tortura. L'Albero della Vita diventa
qui l'uomo-albero, al centro del dipinto, che s'appoggia
vacuamente su ondeggianti barche sulla putride nera. L'uomo si
sostituisce a Dio, come l'Ulisse dantesco, vuole raggiungerlo con le
proprie forze e, sostituendosi all'Albero, diventa un mostro
piegato e spezzato (in un mezzo uovo rotto, simbolo di eresia). Le
figure del dipinto sono disposte in ellissi che le chiudono e che
s'intersecano ora obliquamente, ora verticalmente, come gli
ingranaggi di una mola infernale. E infatti eccolo lì, in alto,
memore dantesco e arcaico, il piccolo mulino le cui pale sono
ormai getti di fuoco rovente, il deus discordiae.
Quasi contemporaneamente, il giovane Tiziano dipingeva un
Concerto che darà inizio a una lunga serie di "Concerti" molto
diffusi nel Cinquecento, nei quali raramente qualcuno suona. È
una tela importante per capire la ricezione della musica mundana
nel figuralismo musicale cinquecentesco, per la quale la critica
artistica tradizionale pare relativamente impreparata (L. Borgese-
R. Cevese, L'arte classica e italiana,vol. III, ii, ed. Garzanti,
Milano 1973, p.329).
Innanzitutto, Tiziano era un profondo umanista. Si era formato,
attraverso Bellini e Giorgione, alla scuola che aveva fondato
Vittorino da Feltre (1379-1446), di matrice neoplatonica. Là aveva
studiato il Libro de Natura de Amore M. Equicola, i Dialoghi di
Amore di Leone Ebreo, le opere di M. Ficino, che aveva tradotto i
Dialoghi di Platone nel 1477 e le Enneadi di Plotino nel 1492. Era
amico di Pietro Bembo, che in quell'anno pubblicava i platonici
Asolani, e di Ariosto, che persino lo cita nell'Orlando furioso. Ma
soprattutto, gli era perfettamente noto uno dei pilastri di quella
scuola, il De institutione musica di Boezio.
Il quadro di Tiziano del 1506 ne è un'allegoria. Come in quasi tutti
i Concerti veneziani del tempo, (le quattro versioni di Venere e
gentiluomo, il Concerto di Tintoretto, la Vita tripartita di
Veronese e via dicendo), chi suona l'organo non guarda mai la
tastiera. La figura centrale, che pare un sacerdote, rappresenta la
musica mundana. Non guarda la tastiera perché è lui stesso
l'allegoria dell'armonia: non gli serve suonare, in quanto
attraverso la tastiera dà ordine e proporzione al mondo, in realtà
emette suoni senza suoni. Non ha nulla di febbricitante o di
sofferente, al contrario, è sereno e ha un leggero sorriso: significa
che darà risposta al frate, qui gerarchicamente inferiore, che lo
guarda in modo interrogativo e chiede la sua attenzione
toccandogli la spalla. Ha già il manico di un liuto in mano, perché
è la musica humana, qui, che chiede ispirazione all'armonia
prestabilita, all'Amor, per collocare in musica sensibile
l'intuizione: in un certo senso è il compositore in procinto di
mettersi al lavoro, dopo il dialogo spirituale.
Tale dialogo silenzioso tra i due è il vero concerto (cfr M. Venuti,
"Un concerto di Tiziano", in Studi Cattolici, anno XLVII, ottobre
2003, n. 512) che si sta svolgendo, e il sorriso della figura centrale
significa che la richiesta avrà accoglimento. Ora, pare che tutto
questo non interessi la figura di sinistra, che però è assolutamente
essenziale per la composizione allegorica.
E si capisce: il paggio rappresenta la musica instrumentalis. Egli
è ben vestito per il teatro, e guarda in faccia il pubblico
cercandone l'applauso, o in ogni caso l'approvazione, e non pare
interessato alla composizione in quanto tale, allo spiritus che può
animarla: il suo compito è solo di eseguire, di mostrare il meglio, e
più che guardarvi vi scruta, cercando di cogliere i vostri umori, e
capire se lo spettacolo avrà successo.