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Traccia di commento delle slide. I principali testi di riferimento sono i due studi del CNN n. 3-2012/M e n. 718-2013/C est. M. Krogh ed il Manuale della Mediazione civile e commerciale - il Contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010 a cura di Maria Luisa Cenni, Ernesto Fabiani, Mauro Leo Lunedì 29 settembre 2014 presso il consiglio notarile di Genova Ore 9-18 Organizzatore: Federnotai Liguria con la collaborazione del Cnd di Genova e Chiavari Interventi di saluto: Pres. Cnd di Genova e Chiavari not. Luigi Castello Pres. Federnotai Liguria not. Rosaria Bono Not. Giuseppe Mammi, Cassa e Fondazione Not. Franco Amadeo, Cnn

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Accordo accertativo usucapione Notai mediazione

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Traccia di commento delle slide.

I principali testi di riferimento sono i due studi del CNN n. 3-2012/M e n. 718-2013/C est. M. Krogh ed il Manuale della Mediazione civile e commerciale - il Contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010 a cura di Maria Luisa Cenni, Ernesto Fabiani, Mauro Leo

Lunedì 29 settembre 2014presso il consiglio notarile di GenovaOre 9-18Organizzatore: Federnotai Liguria con la collaborazione del Cnd di Genova e Chiavari

Interventi di saluto:Pres. Cnd di Genova e Chiavari not. Luigi CastelloPres. Federnotai Liguria not. Rosaria BonoNot. Giuseppe Mammi, Cassa e FondazioneNot. Franco Amadeo, Cnn

Pres. Federnotai not. Lauretta Casadei

Relazioni scientifiche:

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Le aste notarili e la RAN, not. Roberto Braccio

La composizione delle crisi da sovraindebitamento dei privati, not. Armando Salati

La trascrizione dell'accordo conciliativo accertativo dell'usucapione, not. Marco Krogh

Il mandato post mortem x la disposizione dei dati digitali, not. Ugo Bechini

La risoluzione della donazione e la rinuncia all'azione di restituzione, not. Giovanni Porcile e Rosaria Bono Disposizioni per i trattamenti sanitari: designazione ads e testamento biologico, not. Emanuela Lo Buono

Questa prima slide sembra, in apparenza, contraddire e capovolgere il titolo del convegno, per quanto riguarda l’argomento oggetto della mia relazione. Tutti ricordiamo, dai tempi scolastici, la formula sopra riportata “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contiene trenta anni le possette parte sancti Benedecti“ (Capua marzo 1960) che sanciva la nascita della lingua italiana e dove ritroviamo il possesso, i notai in funzione di testimoni qualificati, la ricognizione della proprietà, l’accertamento del giudice.

Non può non notarsi che l’argomento centrale della relazione è occupato dall’usucapione ossia da un istituto che è nato con la società civile uno strumento per dar rilevanza giuridica ad una signoria di fatto su un bene. Probabilmente in passato il possesso aveva una rilevanza giuridica maggiore rispetto ad oggi. In un ordinamento evoluto si tende a dar più rilevanza ala realtà documentale rispetto alle situazioni di fatto, eppure anche nel nostro ordinamento l’usucapione occupa un posto di rilievo, completa e rende efficiente il sistema della pubblicità immobiliare quanto meno consentendo di superare le problematiche legate alla cd. probatio diabolica legate al principio della continuità delle trascrizioni.

La vera novità che il Legislatore ha inteso introdurre nell’ordinamento è data dallo strumento che le parti possono utilizzare per accertare l’usucapione e dalla sua collocazione all’interno del sistema di pubblicità immobiliare. E’ questo è il punto di partenza per verificare se sia possibile dare “vecchie risposte” alle “nuove domande” nascenti dalla nuova figura o più precisamente se le soluzioni cui sono giunti dottrina e

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giurisprudenza in tema di usucapione accertata giudizialmente siano adeguate e coerenti anche con le problematiche e gli interrogativi nascenti dagli accordi accertativi del’usucapione.

Natura della sentenza ed alienabilità del bene usucapito in assenza di un accertamento giudiziario:

La sentenza è di mero accertamento, con natura dichiarativa e non costitutiva (Cassazione, sentenza del 19 marzo 2008, n. 12609; Cassazione, sentenza del 5 febbraio 2007, n. 2485).

Cass. civile, sez. II del 1996 numero 9884 (12/11/1996): Oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto; con la conseguenza che detto contratto non può avere ad oggetto il trasferimento del possesso di un immobile in sé e per sé (non collegato, cioè, alla cessione della proprietà dello stesso) e da esso, ove comunque posto in essere dalle parti, non possono derivare gli effetti della accessione del possesso di cui all'art. 1146, secondo comma cod.civ., in quanto il possesso "unibile" ai sensi di detta norma è esclusivamente quello del precedente titolare del diritto trasferito; l'acquisto della proprietà di un immobile per effetto dell'usucapione, affinché possa esser fatto valere e formare oggetto di un contratto di vendita, deve essere dapprima accertato e dichiarato nei modi di legge.

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“Sao Ko kelle…” I quattro placiti cassinesi, ossia quattro testimonianze giurate, registrate tra il 960 e il 963, sull'appartenenza di certe terre ai monasteri benedettini di Capua, Sessa Aurunca e Teano sono i primi documenti di volgare italiano scritti in un linguaggio che vuol essere ufficiale e dotto. Riguardava una lite sui confini di proprietà tra il monastero di Montecassino e un piccolo feudatario locale, Rodelgrimo d'Aquino. Con questo documento tre testimoni, dinanzi al giudice Arechisi, deposero a favore dei Benedettini, indicando con un dito i confini del luogo che era stato illecitamente occupato da un contadino dopo la distruzione dell'abbazia nell'885 da parte dei saraceni. La formula del placito capuano fu inserita nella stessa sentenza, scritta in latino, e ripetuta per quattro volte.

Questa formula corrisponde ad altre formule simili ma scritte in latino e ritrovate a Lucca 822 e a San Vincenzo al Volturno 936, 954, 976.

Dal momento che i testimoni erano tutti chierici o notai si presume che sarebbero stati in grado di pronunciare la formula in latino e se questo non è stato, evidentemente costoro avevano ritenuto opportuno far conoscere il contenuto a tutti quelli che erano presenti al giudizio. (cit. Wikipedia)

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Politica del diritto: si introducono nuov soggetti e nuovi strumenti all’interno della contrattazione immobiliare. La sicurezza nella circolazione degli immobili è un valore tutelato costituzionalmente, gli effetti prodotti dai singoli contratti non riguardano i soli contraenti che vi partecipano ma sono in grado di produrre esternalità positive o negative in base alla qualità ed all’attendibilità dei dati in essi contenuti.

Oggi più che in passato lo strumento contrattuale soddisfa non solo interessi privatistici ma anche interessi pubblicistici e della collettività. Basti pensare alla recente produzione normativa in tema di conformità catastale, in tema di impianti, in tema di certificazione energetica, in tema di verifiche antievasione ed antiriciclaggio oltre ai controlli in materia urbanistica. Tutte norme che pongono obblighi e divieti spesso puniti con la sanzione della nullità che sottolinea l’interesse pubblico tutelato dalle rispettive norme che trova la sua massima tutela nel momento della contrattazione immobiliare.

Il perfezionamento di un atto con cui si dispone di una proprietà immobiliare (in senso lato e, quindi, comprendendo una tipologia di atti che spazia tra quelli a titolo oneroso a quelli a titolo gratuito, da quelli di trasferimento a quelli dichiarativi) rappresenta un momento qualificante a presidio di una pluralità d’interessi ed indebolire in qualche modo lo strumento destinato alla circolazione immobiliare si traduce in un indebolimento del sistema ed in una minor tutela dei corrispondenti valori. Pertanto, l’introduzione di nuovi soggetti e di nuovi strumenti all’interno del settore non può che suscitare forti perplessità nella misura in cui non si assicurano le medesime sicurezze e certezze che il sistema “tradizionale” assicura.

Le criticità del nuovo sistema furono immediatamente intercettate dal Notariato sin dal primo esame delle bozze delle norme sulla medio-conciliazione ed il primo studio del CNN rilevò l’inadeguatezza delle nuove norme per risolvere i conflitti che potevano nascere in materia di accertamento dell’usucapione. Risultava evidente che il nuovo strumento potesse in qualche modo essere utilizzato in chiave elusiva per aggirare i rigorosi controlli che presiedono alla circolazione degli immobili (si pensi ai controlli urbanistici, ai controlli in funzione antievasione ed antiriciclaggio, etc.).

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Ricadute di natura sistematica: Accanto alle considerazioni che riguardano le scelte di politica del diritto del nostro Legislatore l’accordo conciliativo accertativo dell’usucapione rimette in discussione istituti giuridici di vecchia tradizione civilistica, capisaldi del diritto privato, aspetti del diritto ampiamente dibattuti ma sui quali esiste giurisprudenza oramai consolidata. Mi riferisco all’usucapione, alla trascrizione, all’autonomia privata.

L’usucapione, come è noto, non è un atto e non è un fatto ma è l’effetto che la legge fa scaturire da determinati atti e fatti. E’ un titolo di acquisto della proprietà che si pone al di fuori dell’autonomia negoziale (fatte salve le recenti considerazioni sul negozio configurativo) in quanto si perfeziona a prescindere dalla volontà delle parti di negoziare il trasferimento della proprietà. La volontà dell’usucapito non gioca alcun ruolo all’interno del processo di perfezionamento dell’usucapione, i soli comportamenti dell’usucapito che potrebbero avere rilevanza all’interno della fattispecie riguardano il momento iniziale dello spossessamento e l’eventuale presenza o assenza di atti interruttivi. D’altronde l’usucapiente può anche non essere a conoscenza di chi sia l’usucapito, né gli sono richiesti oneri di conoscenza o di buona fede sul nominativo dell’usucapito.

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Dal sito http://www.antonellapedone.com/articoli/l-usucapione-presupposti-e-opponibilita-a-terzi: est. Antonella Pedone:

Il possesso

È bene precisare cosa si intende per "possesso".

L'articolo 1140 del Codice civile definisce il possesso come " il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa".

Da tale definizione si ricavano due elementi che caratterizzano il possesso:

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elemento oggettivo, consistente nella disponibilità della cosa, anche solo potenziale;

elemento soggettivo, consistente nell'intenzione di tenere la cosa come propria mediante l'esercizio di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (cosiddetto "animus possidendi").

L'elemento soggettivo è fondamentale per distinguere la semplice detenzione (che non porta all'usucapione) dal possesso (che invece può portare all'usucapione).

Nella detenzione si ha la disponbilità dell'oggetto senza l'intenzione di renderlo proprio. Ciò avviene ad esempio quando si riceve un bene in prestito. Pur avendo la disponibilità del bene, questo non potrà essere usucapito perchè manca l'intenzione di fare "proprio" il bene.

Il processo di usucapione, quindi, non avrà inizio, a meno che non intervenga un fatto oggettivo con il quale si manifesti la volontà di trasformare la detenzione in possesso vero e proprio. Ciò avviene, ad esempio, quando colui che ha preso in prestito il bene comunichi in modo inequivoco la volontà di appropriarsi di esso, negandone la restituzione.

Da tale momento inizieranno a decorrere i termini per l'usucapione.

Occorre precisare quanto segue:

Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa. Ad esempio non può usucapire la proprietà di un bene chi ha l'usufrutto del bene stesso.

In tal caso l'usucapione della proprietà è possibile solo se il titolo del possesso muti per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta dal possessore contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.

I requisiti del possesso

Ai sensi del Codice civile il possesso deve essere:

inequivoco: deve cioè consistere in modo certo nell'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

pacifico e pubblico: ossia non acquistato in modo violento o clandestino. Se il possesso è stato conseguito con violenza o in modo clandestino, il tempo utile per l'usucapione comincia a decorrere solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità.

continuato e non interrotto: è interrotto quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.

Il possesso può essere sia di buona che di mala fede. La distinzione (tra possesso in buona fede e possesso in mala fede) influisce solo sull'individuazione del tempo necessario per il compimento dell'usucapione.

Il decorso dei termini di legge

I tempi necessari affinchè si realizzi l'usucapione sono:

1. per i beni immobili: 20 anni

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2. per i beni immobili acquistati in buona fede da chi non ne è proprietario, ma in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto: 10 anni dalla data della trascrizione

3. per le universalità di beni mobili: 20 anni

4. per i beni mobili acquistati senza titolo idoneo e posseduti in buona fede: 10 anni

5. per i beni mobili acquistati senza titolo idoneo e posseduti in mala fede: 20 anni

6. per i beni mobili iscritti in pubblici registri acquistati in buona fede da chi non ne è proprietario, ma in forza di un titolo idoneo e che sia stato debitamente trascritto: 3 anni dalla data della trascrizione

7. per i beni mobili iscritti in pubblici registri, quando manca almeno una delle condizioni ora citate: 10 anni

Nel calcolare il tempo necessario per l'usucapione, occorre tenere presenti le seguenti regole.

Il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio (articolo 1142 del Codice civile).

Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore abbia un titolo a fondamento del suo possesso; in questo caso si presume che egli abbia posseduto dalla data del titolo (articolo 1143 del Codice civile).

In caso di successione mortis causa, il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione. Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti (articolo 1146 del Codice civile).

Interruzione dei termini

Il decorso del termine per usucapire può essere interrotto:

dal compimento di determinati atti da parte del titolare del bene.

In proposito l'articolo 1165 del Codice civile richiama le norme sull'interruzione della prescrizione, in quanto compatibili con l'usucapione. L'usucapione, in particolare, è interrotta dall'atto con il quale il proprietario agisce in giudizio contro il possessore per recuperare il possesso della cosa e dal riconoscimento da parte del possessore del diritto altrui. La diffida stragiudiziale del proprietario non è idonea ad interrompere il termine dell'usucapione. Dall'atto interruttivo il termine inizia a decorrere ex novo:

dalla perdita del possesso per oltre un anno (articolo 1167 del Codice civile);

dal riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore. In proposito, ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell'usucapione, ai sensi degli articoli 1165 e 2944 del Codice civile, non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare (Cassazione, 23 giugno

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2006 n. 14654). In base a tale principio, deve ritenersi, ad esempio, che la dichiarazione di successione e conseguente voltura da parte del coerede-possessore a favore anche degli altri coeredi non implica "riconoscimento" del diritto altrui ai fini interruttivi dell'usucapione, in quanto tali operazioni non rappresentano un titolo idoneo all'attribuzione del diritto di proprietà, ma rilevano solo ai fini fiscali (Cassazione, sentenza del 12 giugno 1987, n. 5135).

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Per quanto riguarda i Registri Immobiliari, è altrettanto noto che non sono delle mere “Banche dati” dove è riversata qualunque notizia e qualunque atto riguardante gli immobili. Le norme che regolano la pubblicità immobiliare selezionano in modo tassative quali informazioni possono e devono essere riversate nel sistema e quale forma devono rivestire queste informazioni per avere accesso al sistema. Il rigore delle norme che disciplinano il sistema della pubblicità immobiliare è giustificato dalle presunzioni, a volte relative ed a volte assolute, che la legge collega alla pubblicità di un determinato atto. E’ evidente che la tenuta del sistema si regge sulla qualità dei dati e delle informazioni immesse nel sistema. L’affidabilità di un’informazione contenuta in un atto e le presunzioni che la legge fa scaturire da quell’informazione non possono prescindere dall’affidabilità del soggetto che forma il relativo atto e dalle garanzie offerte dallo strumento giuridico che il Legislatore consente di utilizzare. Oggi il nostro sistema di pubblicità immobiliare è assolutamente affidabile e rende sicura la circolazione immobiliare e questa sicurezza ed affidabilità sono conseguenza della scelta del Legislatore di consentire l’accesso alla pubblicità immobiliare esclusivamente ai dati ed informazioni contenute in atti pubblici, scritture private autenticate e sentenze. Atti che sono formati da soggetti qualificati in funzione delle esternalità positive che il sistema deve produrre a vantaggio non solo dei soggetti interessati allo specifico atto ma in funzione di interessi pubblici e della collettività.

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Infine, l’autonomia privata. L’art. 1322 del codice civile consente alle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli d tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Dunque, le parti possono disporre liberamente dei propri beni, nei limiti imposti dalla legge e realizzando interessi meritevoli di tutela. E’ impresa ardua tentare di definire l’interesse meritevole di tutela o offrire definizione soddisfacenti sul concetto di causa negoziale. Un caposaldo fermo che non può essere messo in discussione è che comunque un negozio giuridico deve avere una causa ed è nota la diffidenza che persiste soprattutto in giurisprudenza sulla possibilità di ammettere atti di gratuiti diversi dalla donazione e dagli altri contratti tipici. Diffidenza assoluta quando poi la problematica del negozio gratuito si aggancia alla circolazione dei beni immobili.

Ne è possibile immaginare che la necessità della causa negoziale o dell’impossibilità di atti gratuiti diversi dalla donazione si risolva attraverso l’utilizzo del negozio di accertamento.

Possiamo ritenere superate le incertezze relative alla possibilità o meno di un negozio di accertamento. E’ pacifico che anche l’accertamento può produrre effetti negoziali, un quid novi nell’ordinamento che si riassume nel cd. effetto preclusivo (Falzea) ovvero nell’eliminazione di elementi di incertezza che possono essere di ostacolo ad un efficiente esercizio dei propri diritti.

Si ritiene che (M.. Giorgianni) la mancanza assoluta della situazione preesistente, o la certezza di essa, fa venir meno l’elemento causale e perciò consente l’invalidazione del negozio di accertamento. In giurisprudenza cfr. Cass. 23 marzo 1996 n. 2611, nella quale si afferma che il negozio di accertamento presuppone l’esistenza di un valido ed efficace rapporto giuridico tra le parti, in mancanza del quale il negozio medesimo, difettando di causa, è nullo. Nello stesso senso Cass. 6 dicembre 1983 n. 7274, in Foro it., 1985, I, c. 238; L. Dambrosio, Il negozio di accertamento ...cit., pag. 44 e segg. il quale nel riportare gli indirizzi della Suprema corte sul punto, afferma che “la giurisprudenza costruisce la causa del negozio dichiarativo, attraverso la “somma” di due elementi: a) l’incertezza; b) l’esistenza del rapporto originario.”

Questi elementi quindi possono considerarsi i primi due capisaldi del negozio di accertamento dai quali non possiamo prescindere quando analizziamo la nuova fattispecie dell’accordo accertativo dell’usucapione.

Terzo caposaldo, che è un po’ il corollario dei primi due, discende dalla giurisprudenza costante della cassazione sul tema, laddove afferma: «il negozio di accertamento di un diritto reale, la cui funzione è quella di rendere definitiva la situazione giuridica derivante dal rapporto preesistente eliminando gli elementi di incertezza, non ha alcun effetto traslativo, e, pertanto, per la regolamentazione della relativa situazione giuridica controversa, deve farsi capo, in ogni caso, alla fonte precettiva originaria, che ne costituisce il fondamento» (ex multis: Cass. 20 febbraio 1992 n. 2088, Cass; 19 marzo 1999 n. 2526; Cass 24 agosto 1990 n. 8660).

Orbene, se, come detto in precedenza, l’usucapione non è né un fatto né un atto ma è un effetto che la legge fa scaturire dalla esistenza di determinati atti e fatti appare evidente che il negozio di accertamento non potrà avere tout court ad oggetto l’usucapione ma esclusivamente l’esistenza dei presupposti che fanno da sfondo all’usucapione ovvero l’esistenza di alcuni di essi ovvero l’inesistenza di altri presupposti che possono impedire la nascita della fattispecie legale. D’altronde, se non fosse così, dovremmo concludere che l’usucapione non sia un effetto legale ma che in qualche modo sia riconducibile alla volontà

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negoziale delle parti che possono attribuire ad un soggetto la proprietà di un bene (o altro diritto reale) a prescindere dall’esistenza di un valido titolo di proprietà.

Non sembra che sia possibile aggirare queste considerazioni di ordine sistematico ricorrendo alla transazione e quindi individuare la causa dell’accordo accertativo dell’usucapione nella causa transattiva, così come ritenuto da una parte di giurisprudenza di merito che si è formata sotto la prima stesura della nuova norma. La conciliazione, va ricordato, non è un contratto con causa autonoma ma è il risultato di un procedimento che deve comunque concretizzarsi in un negozio tipico o atipico, secondo le normali regole che disciplinano l’autonomia privata. In quest’ottica, quindi, in primo luogo, all’accordo in oggetto potrebbe mancare il requisito delle reciproche concessioni richiesto dall’art. 1965 c.c. e quindi essere carente di un elemento essenziale che caratterizza la transazione; in secondo luogo laddove le parti, per prevenire o per porre fine ad una lite, intendono trasferire la proprietà di un bene da un soggetto ad un altro ci troveremmo al di fuori del negozio di accertamento; in terzo luogo, perché se le parti intendono porre in essere un accertamento transattivo questo non potrà avere ad oggetto l’usucapione in quanto l’usucapione, come più volte detto, è un effetto legale sottratto all’autonomia privata e come tale indisponibile (art. 1966 c.c. ) restando nella disponibilità delle parti esclusivamente l’accertamento dell’esistenza dei presupposti positivi e negativi che sono a monte dell’usucapione. E’ di tutta evidenza che le parti non possono modificare i presupposti richiesti dal Legislatore per perfezionare l’usucapione, non possono, in buona sostanza ritenere che siano sufficienti 15 anno e non 20 ovvero che sia superflua la buona fede dell’usucapente, laddove richiesta ovvero che sia possibile far valere l’usucapione abbreviata anche in assenza di un titolo astrattamente idoneo. L’autonomia privata può, tutt’al più dichiarare l’esistenza di un presupposto ovvero non opporre eccezioni alla dichiarazione assertiva di una controparte ma non può creare un nuovo titolo di acquisto originario in concorrenza con quello previsto dalla legge.

Giurisprudenza di merito formatasi dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 28/ 2012 e prima dell’aggiunta del n. 12 bis all’art. 2643 c.c. - Può essere utile riportare lo stato dell’arte della giurisprudenza di merito che si è formata nel breve periodo che va dall’entrata in vigore del d.lgs. 28 del 2012 che ha introdotto la media

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conciliazione e l’entrata in vigore del n. 12 bis all’interno dell’art. 2643 c.c. La giurisprudenza traeva origine dai rifiuti del Conservatori di trascrivere gli accordi raggiunti in sede di media conciliazione riguardanti l’accertamento dell’usucapione. Ad un orientamento nettamente contrario che fondava le sue ragioni sulla tassatività degli atti affermando che il verbale di conciliazione accertativo dell’usucapione, ancorché omologato dal Tribunale, non perdeva la sua qualifica negoziale e, in caso di accertamento pattizio dell’usucapione, non si risolveva in uno degli accordi elencati nell’art. 2643 cod. civ., non realizzando alcun effetto modificativo, estintivo o costitutivo, ma era da considerare mero negozio di accertamento non equiparabile, quanto agli effetti, alla sentenza di accertamento dell’usucapione trascrivibile ai sensi dell’art. 2651 cod. civ. ( Ordinanza Tribunale Roma datata 22 luglio 2011 cron. 6563, ruolo generale 6188/2011, in Notariato, con nota di commento critica di C. Troisi, G. Satto, IPSOA, 2/2012, pag. 136 e segg. Cfr. anche il Tribunale di Terni con ordinanza dep. in cancelleria il 7 agosto 2012, cron. 1334, ha omologato un verbale di conciliazione contenente l’accertamento dell’usucapione, previa integrazione della documentazione al fine di verificare l’esistenza di soggetti terzi giuridicamente interessati alla situazione sostanziale dedotta in lite).

Su posizioni diverse si collocavano le pronunce del Tribunale di Palermo (sez. Bagheria, ordinanza del 30 dicembre 2011) e del Tribunale di Como (sez. Cantù, ordinanza del 2 febbraio 2012) le quali pur riconoscendo la non trascrivibilità di un accordo conciliativo avente ad oggetto l’accertamento dell’usucapione riqualificavano l’accordo accertativo posto in essere in sede di conciliazione in termini di transazione in senso lato e, quindi, non quale mero negozio di accertamento (dichiarativo dell’intervenuta usucapione), ma quale negozio di disposizione posto in essere dalle parti nell’esplicazione della loro autonomia privata (ex art. 1322 c.c). Transazione in senso lato configurabile, di volta in volta, nelle forme più varie scelte dalle parti per risolvere la lite (rinunzia al diritto di proprietà, rinunzia alla domanda di usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro, etc.). Secondo questo orientamento, quindi, l’accordo conciliativo in materia di usucapione sarebbe stato trascrivibile non per il suo contenuto accertativo ma per il suo contenuto dispositivo-transattivo che dava giustificazione causale all’accordo conciliativo.

Le due ultime ordinanze non convincevano in quanto pur partendo da una premessa corretta (la necessità di individuare una giustificazione causale che reggesse l’atto negoziale) non ne traevano le conseguenze necessitate, giungendo ad una riqualificazione della causa del negozio posto in essere dalle parti da accertativo a transattivo o “transattivo in senso lato” in assenza di una verifica in concreto dell’esistenza degli elementi a supporto della causa stessa.

D’altronde l’espressione “causa transattiva in senso lato”, usata per giustificare un trasferimento di proprietà in assenza di corrispettivo equivale ad una “causa onerosa in senso lato” in assenza di corrispettivo.

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Con l’introduzione del n. 12 bis all’interno dell’art. 2643 cod. civ. i rilievi di natura formale riguardanti la trascrivibilità di un accordo accertativo di usucapione sono superati dalla lettera della legge che espressamente li prevede (gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato). Restano invariati tutte le criticità di sistema.

Il Legislatore nella sua smania di semplificare e liberalizzare trascurando le criticità di carattere sistematico legate a questo tipo di accordo elimina l’ostacolo di natura formale che riguardava l’accesso di questi atti nel sistema della pubblicità immobiliare lasciando, tuttavia, all’interprete il compito di definire il contenuto di questi accordi ed i suoi limiti.

La collocazione del n. 12 bis dell’art. 2643 cod.civ, tuttavia è particolarmente significativa ai fini degli effetti che la pubblicità immobiliare può sortire tra le parti e nei confronti dei terzi.

Procedendo con ordine, i problemi che il Legislatore ha lasciato aperti all’interprete e che interessano il notaio riguardano i soggetti che devono partecipare all’accordo, il contenuto dell’accordo, gli effetti che l’accordo produce tra le parti e rispetto ai terzi ed infine il ruolo del notaio nella procedura che termina con l’accordo conciliativo e, di conseguenza, in cosa si sostanza l’autentica notarile prevista che consente all’accordo di accedere alla pubblicità immobiliare.

I riferimenti che possono essere d’aiuto nella ricostruzione della fattispecie sono: la giurisprudenza di merito che si è formata anteriormente all’entrata in vigore del n.12 bis, la collocazione del n. 12 bis all’interno dell’art. 2643 c.c. ed il tenore letterale della nuova disposizione.

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Dal sito http://www.antonellapedone.com/articoli/l-usucapione-presupposti-e-opponibilita-a-terzi: est. Antonella Pedone:

Il possesso

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È bene precisare cosa si intende per "possesso".

L'articolo 1140 del Codice civile definisce il possesso come " il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa".

Da tale definizione si ricavano due elementi che caratterizzano il possesso:

elemento oggettivo, consistente nella disponibilità della cosa, anche solo potenziale;

elemento soggettivo, consistente nell'intenzione di tenere la cosa come propria mediante l'esercizio di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (cosiddetto "animus possidendi").

L'elemento soggettivo è fondamentale per distinguere la semplice detenzione (che non porta all'usucapione) dal possesso (che invece può portare all'usucapione).

Nella detenzione si ha la disponbilità dell'oggetto senza l'intenzione di renderlo proprio. Ciò avviene ad esempio quando si riceve un bene in prestito. Pur avendo la disponibilità del bene, questo non potrà essere usucapito perchè manca l'intenzione di fare "proprio" il bene.

Il processo di usucapione, quindi, non avrà inizio, a meno che non intervenga un fatto oggettivo con il quale si manifesti la volontà di trasformare la detenzione in possesso vero e proprio. Ciò avviene, ad esempio, quando colui che ha preso in prestito il bene comunichi in modo inequivoco la volontà di appropriarsi di esso, negandone la restituzione.

Da tale momento inizieranno a decorrere i termini per l'usucapione.

Occorre precisare quanto segue:

Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa. Ad esempio non può usucapire la proprietà di un bene chi ha l'usufrutto del bene stesso.

In tal caso l'usucapione della proprietà è possibile solo se il titolo del possesso muti per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta dal possessore contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato.

I requisiti del possesso

Ai sensi del Codice civile il possesso deve essere:

inequivoco: deve cioè consistere in modo certo nell'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

pacifico e pubblico: ossia non acquistato in modo violento o clandestino. Se il possesso è stato conseguito con violenza o in modo clandestino, il tempo utile per l'usucapione comincia a decorrere solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità.

continuato e non interrotto: è interrotto quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.

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Il possesso può essere sia di buona che di mala fede. La distinzione (tra possesso in buona fede e possesso in mala fede) influisce solo sull'individuazione del tempo necessario per il compimento dell'usucapione.

Il decorso dei termini di legge

I tempi necessari affinchè si realizzi l'usucapione sono:

1. per i beni immobili: 20 anni

2. per i beni immobili acquistati in buona fede da chi non ne è proprietario, ma in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto: 10 anni dalla data della trascrizione

3. per le universalità di beni mobili: 20 anni

4. per i beni mobili acquistati senza titolo idoneo e posseduti in buona fede: 10 anni

5. per i beni mobili acquistati senza titolo idoneo e posseduti in mala fede: 20 anni

6. per i beni mobili iscritti in pubblici registri acquistati in buona fede da chi non ne è proprietario, ma in forza di un titolo idoneo e che sia stato debitamente trascritto: 3 anni dalla data della trascrizione

7. per i beni mobili iscritti in pubblici registri, quando manca almeno una delle condizioni ora citate: 10 anni

Nel calcolare il tempo necessario per l'usucapione, occorre tenere presenti le seguenti regole.

Il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio (articolo 1142 del Codice civile).

Il possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore abbia un titolo a fondamento del suo possesso; in questo caso si presume che egli abbia posseduto dalla data del titolo (articolo 1143 del Codice civile).

In caso di successione mortis causa, il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione. Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti (articolo 1146 del Codice civile).

Interruzione dei termini

Il decorso del termine per usucapire può essere interrotto:

dal compimento di determinati atti da parte del titolare del bene.

In proposito l'articolo 1165 del Codice civile richiama le norme sull'interruzione della prescrizione, in quanto compatibili con l'usucapione. L'usucapione, in particolare, è interrotta dall'atto con il quale il proprietario agisce in giudizio contro il possessore per recuperare il possesso della cosa e dal riconoscimento da parte del possessore del diritto altrui. La diffida stragiudiziale del proprietario non è idonea ad interrompere il termine dell'usucapione. Dall'atto interruttivo il termine inizia a decorrere ex novo:

dalla perdita del possesso per oltre un anno (articolo 1167 del Codice civile);

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dal riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore. In proposito, ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell'usucapione, ai sensi degli articoli 1165 e 2944 del Codice civile, non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare (Cassazione, 23 giugno 2006 n. 14654). In base a tale principio, deve ritenersi, ad esempio, che la dichiarazione di successione e conseguente voltura da parte del coerede-possessore a favore anche degli altri coeredi non implica "riconoscimento" del diritto altrui ai fini interruttivi dell'usucapione, in quanto tali operazioni non rappresentano un titolo idoneo all'attribuzione del diritto di proprietà, ma rilevano solo ai fini fiscali (Cassazione, sentenza del 12 giugno 1987, n. 5135).

*****

Il punto di partenza è costituito proprio dalla collocazione della nuova disposizione tra le norme che disciplinano gli acquisti a titolo derivativo e pongono delle presunzioni tra le parti e rispetto ai terzi puntualmente disciplinate dall’art. 2644 c.c. Ciò rappresenta un vulnus nel sistema nella misura in cui c’è un trattamento diversificato, quanto alla pubblicità immobiliare ed ai suoi effetti tra l’accordo accertativo dell’usucapione e la sentenza accertativa dell’usucapione.

La sentenza è trascritta come titolo di acquisto originario e prescinde del tutto dalle trascrizioni nei confronti dei precedenti proprietari. La sua importanza, nell’economia delle regole sulla continuità delle trascrizioni, è fondamentale perché consente di vincere la cd. probatio diabolica a tutti ben nota.

L’accordo accertativo, al contrario, per spiegare tutti i suoi effetti deve rispettare il principio della continuità delle trascrizioni espresso nell’art. 2650 c.c. che dispone: 1. Nei casi in cui, per le disposizioni precedenti, un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell’acquirente non producono effetto, se non è stato trascritto l’atto anteriore di acquisto. 2. Quando l’atto

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anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispetti, salvo il disposto dell’art. 2644.

L’art. 2644, ricordiamo tutti, disciplina l’ipotesi di conflitto tra più acquirenti dal medesimo soggetto e dispone che prevale colui che per primo ha trascritto il suo atto. Ipotesi che può portare ad un accavallamento di situazioni in casi estremi. Si pensi ad un accordo accertativo che si perfeziona il giorno 1 a favore di Tizio (usucapente) e contro Caio (usucapito) trascritta il giorno 4, una vendita del medesimo bene da Caio a Mevio il giorno 2, trascritta il giorno 3. In base all’art. 2644 prevarrà Mevio; tuttavia Tizio potrà vedersi riconoscere il suo diritto e prevalere su Mevio attraverso una sentenza accertativa dell’usucapione da trascrivere ai sensi dell’art. 2651 c.c.

La determinazione e selezione dei soggetti che devono partecipare all’accordo è condizionata dalla collazione del cit. n. 12 bis all’interno dell’art. 2643 c.c. nel senso che se si vuol perfezionare un accordo che deve spiegare tutti i suoi effetti tra le parti e nei confronti dei terzi dovranno partecipare al relativo atto tutti coloro che in base ad una serie continua di titoli regolarmente trascritti risultano proprietari anteriormente al perfezionamento dell’usucapione. La mancata partecipazione di taluno di questi soggetti perfezionerà un accordo la cui trascrizione avrà un effetto meramente prenotativo in attesa che si ricostituisca la continuità delle trascrizioni richiesta dall’art. 2650 c.c.

La trascrizione dell’accordo, in quest’ottica, si differenzia nettamente dalla trascrizione prevista dal Legislatore per la sentenza accertativi dell’usucapione. Nel primo caso gli effetti della pubblicità immobiliare sono quelli propri degli acquisti a titolo derivativo, nel secondo caso, invece, gli effetti della pubblicità immobiliare sono quelli propri degli acquisti a titolo originario.

Il Legislatore in questo modo ha creato una figura ibrida che tenta di contemperare gli opposti interessi delle parti e dei terzi in una fattispecie in cui il titolo di proprietà sebbene sia legale sia accertato da una sentenza all’esito di un procedimento giudiziario con le garanzie di terzietà ed imparzialità proprie del procedimento stesso, ma attraverso un negozio giuridico potenzialmente a rischio di elusione e frode dei diritti dei terzi.

Per la verità non può dirsi che la dottrina sia giunta a soluzioni univoche in ordine alla qualificazione dell’acquisto a titolo di usucapione ed invero è discusso se l’acquisto a titolo di usucapione sia da considerare originario, derivativo ovvero sia un tertium genus con peculiarità proprie da collocarlo su un piano intermedio tra le due categorie. Si è osservato, che l’acquisto a titolo di usucapione può qualificarsi originario per spiegare l’acquisto della proprietà e derivativo per spiegare la persistenza dei diritti limitati .

In realtà, non c’è traccia nella disciplina positiva, di norme che consentano di affermare la natura derivativa del diritto acquistato dall’usucapente e, di conseguenza, una relazione necessitata tra la proprietà dell’usucapente e quella dell’usucapito. Il diritto dell’usucapente nasce ex novo per la concorrenza dei presupposti qualificanti la fattispecie: possesso, decorso del termine e, per l’usucapione decennale, la buona fede ed il titolo astrattamente idoneo. Nessuno di questi presupposti può essere posto in relazione con il diritto del soggetto usucapito: tutti hanno una loro autonomia.

Tuttavia, va riconosciuto il merito, a detta teoria, di aver evidenziato la peculiarità dell’acquisto a titolo di usucapione che, avendo quale effetto principale il riconoscimento giuridico di una nuova signoria da parte di un soggetto su un bene, può entrare in conflitto non solo con l’analoga pretesa del soggetto usucapito, ma anche con eventuali pretese minori di soggetti terzi i cui diritti si esercitano sul bene oggetto di usucapione (). Come è stato correttamente osservato, l’acquisto a titolo di usucapione mette in crisi la

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corrente distinzione tra acquisti a titolo derivativo ed acquisti a titolo originario, quali categorie esclusive, messe a disposizione dall’ordinamento, per distinguere i casi in cui il diritto del nuovo titolare resta definito attraverso la sua relazione con il diritto del precedente titolare, dai casi in cui ciò non appare possibile.

Peraltro, se volessimo collegare la posizione giuridica dell’usucapiente con quella dell’usucapito e, quindi, ragionare in termini di acquisto a titolo derivativo si avrebbero effetti contrastanti con i principi sistematici che giustificano l’usucapione quale acquisto del diritto di proprietà (e degli altri diritti reali) ad integrazione e correzione delle regole in tema di pubblicità immobiliare in funzione di una corretta e sicura circolazione dei beni immobili.

Ciò per più di una ragione:

1. in primo luogo, perché una delle finalità storiche e pacificamente riconosciute dell’usucapione è proprio quella di vincere la cd. probatio diabolica e, quindi, l’onere di dover dimostrare la continuità dei titoli di proprietà all’infinito;

2. in secondo luogo, perché il principio della continuità delle trascrizioni, sancito dall’art. 2650 cod. civ.. non si applica agli acquisti per usucapione per i quali la trascrizione della sentenza di accertamento, ai sensi dell’art. 2651 c.c., ha valore di mera pubblicità notizia;

3. in terzo luogo, perché l’usucapiente acquista la proprietà dell’immobile in forza del possesso (ed eventualmente con il concorso degli altri presupposti richiesti dalla legge) senza alcuna derivazione dalla posizione giuridica dell’usucapito, il cui diritto si estingue, non per trasferimento da un soggetto ad un altro, ma come conseguenza logico-giuridica dell’acquisto da parte dell’usucapiente.

Se ciò è vero non si comprende in un ipotetico accordo conciliativo quale ruolo possa avere la volontà adesiva del presunto usucapito nei confronti dell’asserita usucapione dell’usucapiente. Invero, tutti i presupposti richiesti dagli artt. 1158 e segg dai quali scaturisce, quale effetto legale, l’usucapione sono del tutto estranei alla sfera giuridica e cognitiva del presunto usucapito il quale non potrebbe riconoscere, con valenza probatoria significativa, ad esempio, che altro soggetto ha esercitato il possesso su un determinato bene, la durata del possesso, ovvero l’eventuale buona fede del possessore. Un’eventuale dichiarazione dell’usucapito eventualmente avrebbe qualche significato di maggior peso probatorio se diretto a riconoscere un eventuale atto di interversione del titolo a giustificazione del possesso vantato dall’altra parte ovvero a riconoscere che da parte di esso dichiarante non sono stati compiuti atti interruttivi. E’ di tutta evidenza che tali circostanze, se non accompagnate da ulteriori elementi probatori non sono in grado di provare, con valenza assoluta, che si è perfezionato l’usucapione. A ciò si aggiunga che in un eventuale accordo conciliativo sarà una parte a scegliersi la controparte nei cui confronti accertare l’usucapione, in assenza di qualunque controllo giudiziale. Come ben sottolineato dal Tribunale di Roma nella motivazione del decreto di rigetto del ricorso avverso la trascrizione con riserva dell’accordo conciliativo accertativo dell’usucapione, sarebbe alto il rischio di un utilizzo di tale istituto “non per la composizione di una lite effettiva ma per dissimulare operazioni negoziali a danno di terzi, con seri pregiudizi alla circolazione dei beni. Si pensi al caso in cui il convenuto non sia l’effettivo proprietario del bene per cui è controversia”.

Su quest’ultimo punto, è bene chiarire che se è vero che al giudice in sede di cognizione non spettano poteri dispositivi ed il procedimento di accertamento è rimesso alla disponibilità delle parti è altrettanto vero che al giudice spetterà, insindacabilmente, all’esito dell’istruttoria valutare se l’attore è riuscito a provare l’assunto (l’avvenuta usucapione) e quindi emettere la sentenza dichiarativa. Sarà compito del giudice di merito accertare la continuità, la pacificità e pubblicità del possesso inequivocabilmente

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esercitato uti dominus per un periodo ultra ventennale. Peraltro la domanda di usucapione, in caso di bene usucapito in comproprietà tra più soggetti, obbliga la parte ad una integrazione del contradditorio nei confronti di tutti i comproprietari del bene in danno dei quali l’usucapione si sarebbe verificata, essendo dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile .

Sono questi i motivi per i quali il passaggio per il giudizio di accertamento è obbligato sia per chi ritenga che la sentenza di accertamento sia costitutiva, sia per chi ritenga che la sentenza emessa sia di mero accertamento perfezionandosi l’usucapione ipso iure; in un accordo conciliativo mancherebbe il soggetto terzo in grado di decidere se i presupposti di legge si siano verificati o meno e se tutti i soggetti interessati abbiano partecipato o meno all’accordo.

Si afferma che in alcuni Tribunali si sono affermate prassi virtuose dirette a fornire indicazioni, in modo astratto e generale, su quali siano gli elementi che la parte interessata deve produrre per dimostrare che ha usucapito un determinato bene. Ad esempio il Tribunale di Varese, per citarne uno tra i tanti, dà queste indicazioni a coloro che intendono intraprendere il giudizio per l’accertamento dell’usucapione:

«Con riguardo alle problematiche relative ai giudizi di usucapione dei beni immobili tra i giudici addetti al settore é emerso il seguente orientamento condiviso.

Una prima questione riguarda l'individuazione del legittimato passivo, e quindi del soggetto nei confronti del quale deve essere svolta la domanda e notificato l'atto di citazione (nei procedimenti ordinari) ovvero del soggetto al quale va notificato il ricorso previsto dall'articolo 3 comma 1 della Legge 10/5/1976 numero 346.

Nel giudizio ordinario di usucapione legittimato passivo é il proprietario (o il possessore) del bene (Cass. 26/4/2000 numero 5335; Cass. 4907/1990 e Cass. 2299/1976) e l'individuazione di tale soggetto segue le regole generali.

Nel procedimento di usucapione speciale, il comma 3 della norma appena citata indica espressamente, quali destinatari della notifica dell'istanza (rectius: del ricorso) -...coloro che nei registri immobiliari figurano come titolari di diritti reali sull'immobile...- e -coloro che, nel ventennio anteriore alla presentazione...- dell'istanza, -...abbiano trascritto contro l'istante o i suoi danti causa domanda giudiziale non perenta diretta a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento...-.

In tale ipotesi, quindi, il ricorrente, dovrà allegare al ricorso:

- la visura ipocatastale riferita al soggetto che risulta, in Catasto, proprietario del bene con decorrenza dalla data dell'acquisto (ove indicato nel certificato catastale) ovvero dall'impianto dei Registri Immobiliari;

- la visura ipocatastale dalla quale risultino le eventuali domande giudiziali dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento sul bene, proposte, nel ventennio anteriore alla presentazione dell'istanza, nei confronti del ricorrente.

Entrambe le visure possono essere sostituite da una relazione notarile.

Una volta individuato il soggetto legittimato passivamente, potrebbe sorgere la necessità di avviare la procedura di cui all'articolo 48 del Codice Civile.

Per le notificazioni non può ipotizzarsi alcuna deroga alle norme dettate dagli articoli 137 e seguenti del Codice di Procedura Civile, con la precisazione che la notificazione per pubblici proclami prevista

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dall'articolo 150 del Codice di rito, presuppone -il rilevante numero dei destinatari" ovvero "la difficoltà di identificarli tutti-.

Resta ovviamente salva ogni diversa autonoma valutazione che il singolo giudice riterrà di dover effettuare in relazione alla singola e specifica fattispecie sottoposta al suo esame.»

Le suddette prassi sono “virtuose” nella misura in cui facilitano l’istruttoria e sebbene non abbiano valenza normativa rappresentano un’anticipazione dell’iter logico che compirà il giudice nel decidere se accogliere o meno la domanda attorea. In quest’ottica, risulta evidente che l’accertamento non si limita ad una mera verifica della legittimazione passiva del soggetto convenuto, ma investe aspetti che attengono alla posizione giuridica dell’usucapiente ed alla sua relazione con il bene oggetto di possesso; opportunamente, quindi, l’elencazione proposta dal Tribunale di Varese si chiude con l’inciso: «Resta ovviamente salva ogni diversa autonoma valutazione che il singolo giudice riterrà di dover effettuare in relazione alla singola e specifica fattispecie sottoposta al suo esame», a sottolineare l’assenza di automatismi in una materia di particolare importanza a garanzia dei principi che regolano la circolazione degli immobili.

Sono questi i motivi che rendono sostanzialmente e qualitativamente diversi un accordo conciliativo avente ad oggetto l’usucapione ed un sentenza di accertamento dell’usucapione:

l’accordo conciliativo non può che contenere due dichiarazioni che non si incontrano tra loro, quella di colui che asserisce di aver usucapito e quella del soggetto convenuto che può riconoscere e rendere una dichiarazione esclusivamente su ciò che rientra nella sua sfera cognitiva (si pensi al riconoscimento che è intervenuto un atto di interversione del titolo di detenzione in possesso, ovvero il riconoscimento di non aver ricevuto atti interruttivi del possesso) e, quindi, su elementi da valutare, in un quadro più complesso di elementi, ai fini dell’accertamento dell’usucapione;

la sentenza di accertamento, al contrario, riconosce l’avvenuta usucapione, all’esito di un’istruttoria compiuta da un soggetto terzo ed in contraddittorio con i soggetti contro interessati diretta a verificare il possesso, lo stato soggettivo dell’usucapiente, la decorrenza del tempo, l’assenza di atti interruttivi, l’eventuale buona fede, l’eventuale esistenza di un titolo astrattamente idoneo, etc.

Va sottolineato che un eventuale riconoscimento del soggetto usucapito di non aver posseduto il bene di cui si invoca l’usucapione, sarebbe del tutto ininfluente ai fini del’accertamento dell’usucapione, in quanto se il riconoscimento riguarda la proprietà, come è noto, il relativo diritto è imprescrittibile, mentre se riguarda un diritto reale limitato la perdita del diritto per prescrizione non determinerebbe l’acquisto per usucapione del bene ma esclusivamente la riespansione del diritto di proprietà per estinzione dello jus in re aliena.

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Usucapio libertatis e retroattività dell’usucapione: Qualche riflessione merita la problematica nascente dalla cd. usuicapio libertatis e dalla retroattività degli effetti dell’usucapione al momento in cui è iniziato il possesso.

Un’applicazione acritica all’accordo conciliativo dei risultati raggiunti dalla dottrina e dalla giurisprudenza su questi temi potrebbe portare a risultati inaccettabili in funzione della tutela di interessi terzi.

Al di fuori di qualunque controllo giurisdizionale l’autonomia negoziale potrebbe essere funzionale alla realizzazione di scopi fraudolenti mascherati. La scelta del Legislatore di collocare la nuova norma all’interno dell’art. 2643 c.c. deve rappre4sentarte un principio guida per un corretto bilanciamento degli interessi tra soggetto usucapito, soggetto usucapiente e terzi controinteressati.

Per quanto riguarda gli effetti derivanti dalle sentenze accertative dell’usucapione in generale, il dibattito si è incentrato prevalentemente sull’estensibilità o meno, della disposizione contenuta nell’art. 1153 c.c., comma 2°, in tema di acquisto di beni mobili, anche ai beni immobili (art. 1153, 2° comma: La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente). Una parte della dottrina e la giurisprudenza ritengono che il silenzio del Legislatore, in ordine all’usucapio libertatis, vada interpretato come volontà implicita, ma inequivoca, di escludere dal nostro ordinamento gli effetti che deriverebbero dal suddetto istituto. Altra parte della dottrina, al contrario, ritiene che sia possibile un’applicazione analogica dell’art. 1153, comma 2° c.c. anche ai beni immobili.

Convincente appare la posizione di quella parte della dottrina che, al di là di considerazioni di tipo dogmatico sulla ammissibilità o meno dell’usucapio libertatis nel nostro ordinamento, riconduce la questione all’interno degli effetti che, in modo diretto, sono prodotti dal perfezionamento degli acquisti a titolo di usucapione: la trasformazione di una situazione di fatto su un determinato bene in situazione giuridica tutelata, secondo il noto ditterio “tantum praescriptum, quantum possessum. Cosicché l’indagine relativa alla persistenza o meno di diritti reali minori, in caso di usucapione della proprietà di un bene

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immobile, andrebbe condotta verificando la qualità del possesso esercitato nel tempo necessario alla formazione dell’usucapione stessa.

Seguendo questa impostazione, dovrà, pertanto, ritenersi inammissibile la persistenza di diritti reali minori su un bene usucapito qualora il possesso sia stato esercitato in modo incompatibile con la persistenza dei diritti stessi; al contrario, dovrà ritenersi ammissibile la persistenza dei diritti reali minori nel caso in cui il possesso sia stato esercitato nel pieno riconoscimento dei diritti stessi.

E’ evidente che in caso di usucapione decennale, l’indagine relativa al contenuto del diritto sarà condizionata dal contenuto del titolo di acquisto che costituisce uno dei presupposti essenziali per il perfezionamento della fattispecie legale.

Dubbi, anche seguendo questa impostazione, permangono rispetto a quei diritti il cui esercizio del possesso non è né compatibile né incompatibile con la persistenza dei diritti stessi; il riferimento è principalmente alle servitù negative ed ai diritti di garanzia .

Per le servitù negative sembra preferibile optare per una soluzione negativa del problema, tenuto conto che un ostacolo di sistema ad accettarne l’estinzione in forza del mero possesso ad usucapionem del bene, è ravvisabile negli artt. 1073, comma 2° e 1061 c.c. dai quali è ricavabile un principio generale di forza tale da impedire l’estinzione della servitù stessa per il solo fatto del possesso continuato del fondo.

Per i diritti di garanzia appaiono convincenti e condivisibili le argomentazioni di quella parte autorevole della dottrina che afferma, nel caso in esame, l’estinzione di tali diritti per i seguenti principali motivi: E’ espressamente previsto, in tema di enfiteusi (art. 2815 c.c.) che l’estinzione del diritto per prescrizione (quindi per inerzia del suo titolare) estingue anche l’ipoteca. Detta norma sembra affermare un principio implicitamente ripetuto per le ipoteche iscritte sull’usufrutto e sul diritto di superficie negli artt. 2814 e 2816 c.c. Dal sistema, dunque, è desumibile il principio generale che pone l’onere a carico del creditore ipotecario di surrogarsi al datore d’ipoteca in caso di sua inerzia nel compimento degli atti interruttivi. Peraltro, a differenza dei cd. diritti di godimento, il mero possessore può essere avvertito dell’esistenza del vincolo ipotecario esclusivamente medianti atti posti in essere dal creditore in quanto l’ipoteca non si estrinseca in alcun potere di fatto sulla cosa.

Le norme sulla pubblicità immobiliare sembrano confermano la correttezza di questa soluzione. Invero, come già accennato, al possessore non potrebbe essere addebitato un onere di conoscenza dell’esistenza delle formalità ipotecarie, in quanto il possesso utile ai fini dell’usucapione prescinde del tutto dalla conoscenza in capo all’usucapiente di chi sia il legittimo proprietario del bene. Ciò risulta confermato dal fatto che è pacifico in giurisprudenza che il principio della continuità delle trascrizioni, ai fini della soluzione di eventuali conflitti tra più aventi causa del medesimo titolare, non si applica agli acquisti a titolo originario.

In ordine alla posizione della giurisprudenza sui temi in oggetto, va evidenziato che la Suprema Corte, in più di una sentenza, ha negato l’ammissibilità dell’usucapio libertatis nel nostro ordinamento. Tuttavia, si sta formando un orientamento diretto a riconoscere un effetto retroattivo all’acquisto a titolo di usucapione decorrente dall’inizio del possesso .

Il riconoscimento di un effetto retroattivo all’usucapione ridimensionerebbe notevolmente le problematiche che riguardano l’usucapio libertatis in quanto, se è vero che non sussiste una perfetta coincidenza tra i risultati prodotti dall’applicazione dell’uno o dell’altro istituto, è altrettanto vero che la

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casistica verrebbe notevolmente assottigliata, dovendosi limitare l’indagine, in caso di ammissibilità dell’effetto retroattivo, ai diritti reali minori costituiti in epoca precedente all’inizio del possesso.

Peraltro, ritenere che gli effetti dell’acquisto a titolo di usucapione retroagiscano al momento iniziale del possesso, eliminerebbe il difficile giudizio relativo alla compatibilità o incompatibilità del diritto usucapito con presunte pretese vantate dai terzi risolvendosi la retroattività in un completo annientamento dei diritti reali minori sorti medio tempore ad opera del soggetto usucapito.

Questo orientamento giurisprudenziale non sembra essere esente da critica, soprattutto perché, come osservato da autorevole dottrina, ove si ritenga indifendibile per il nostro diritto la teorica dell’usucapio libertatis, il principio della parità di trattamento dovrebbe condurre ad un’esegesi contraria anche alla retroattività. L’operatore del diritto, tuttavia, con la dovuta prudenza che ciascuna fattispecie concreta può presentare, non può trascurare questo indirizzo (che, è bene sottolineare, non può considerarsi allo stato indirizzo consolidato) affermato dalla Suprema Corte nell’ottica, condivisibile, di dare maggior certezza alle vicende circolatorie dei beni immobili e di superare concretamente gli effetti indesiderati della cd. probatio diabolica negli accertamenti della proprietà immobiliare.

Per quanto riguarda l’accordo accertativi di usucapione è evidente che la collocazione del n. 12 bis all’intero dell’art. 2643 c.c. non consente di pervenire alle medesime conclusioni innanzi accennate in quanto i conflitti tra aventi causa del medesimo soggetto ed, in questo caso, tra usucapiente e terzi è risolto sulla base dell’art. 2644 c.c. e, quindi, in base alla priorità delle trascrizioni, Anche sotto questo punto di vista chi intende giovarsi dei più incisivi effetti rispetto ai terzi, riconosciuti dalla giurisprudenza in caso di usucapione, dovrà dotarsi di una sentenza accertativa da trascrivere ai sensi dell’art. 2651 c.c. ovvero dovrà far partecipare all’accordo accertativo anche il terzo che si ritiene soccombente rispetto all’accertata usucapione.

In buona sostanza, gli argomenti a sostegno dell’usucapio libertatis e della retroattività dell’usucapione entrano in crisi nel momento in cui devono fare i conti con la collocazione della trascrizione dell’accordo accertativi nell’art. 2643 c.c. e con il suo assoggettamento alle regole della pubblicità dichiarativa e della soluzione dei conflitti tra più controinteressati dettata dall’art. 2644 c.c.

Anche per quanto riguarda gli effetti del pignoramento o della sentenza dichiarativa di fallimento dell’usucapito va fatto un distinguo sia riguardo alla posizione dell’usucapiente, sia riguardo alla posizione dei terzi creditori. In caso di sentenza accertativa dell’usucapione continueranno a valere gli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi secondo cui la procedura esecutiva intrapresa dai creditori dell’intestatario del bene non ha effetto interruttivo del termine per maturare l’usucapione perché il rinvio dell'articolo 1165 cod. civ. alle norme sulla prescrizione in generale e, in particolare, a quelle relative alle cause di sospensione ed interruzione, incontra il limite della compatibilità di queste con la natura stessa dell'usucapione, con la conseguenza che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali, siccome diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente (Così espressamente Corte di Appello Firenze, sez. 1°, 4 aprile 2008, 552; in senso conforme Cass., 18 ottobre 2004, n. 20397; Cass., 7 settembre 2004, n. 18004; Cass., 19 giugno 2003, n. 9845; Cass., 23 novembre 2001, n. 14917, in Riv. giur. edil. 2002, I, 586, Cass. 2° sez. civ. 6 dicembre 2000 n. 15503 e Trib Palmi, sez. Cinquefrondi, 5 dicembre 2006, in Persona e danno, Rivista telematica a cura di Paolo Cendon, sez.. Giustizia civile, Generalità, varie, 4 luglio 2007, con commento di Giancarlo Giusti). In caso di possibile conflitto tra curatela fallimentare e soggetto usucapiente, si è affermato da parte della Suprema Corte (Cass, 26 novembre 1999 n. 13184, in Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali, maggio-giugno

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2000, CEDAM – Padova, pag. 1125 e segg ) che può essere usucapito un bene del fallito sulla base del presupposto che l’acquisto a titolo di usucapione è acquisto a titolo originario, onde il conflitto fra acquirente a titolo derivativo ed usucapiente, si risolve sempre a favore di quest’ultimo indipendentemente dalla trascrizione della sentenza di usucapione. In buona sostanza, la Suprema Corte ha affermato che il vincolo di indisponibilità derivante dal fallimento – con equiparazione del fallimento al pignoramento – non può essere riferito a “fatti” acquisitivi di diritti reali tipici che si assumono già compiuti e produttivi di interessi in capo al fallito, restando del tutto indifferente l’eventuale trascrizione della sentenza di usucapione prima del fallimento, “non essendo configurabile alcun onere di pubblicità a carico dell’usucapiente, in quanto l’art. 2651 c.c. dispone al riguardo una forma di trascrizione (della sentenza, e non anche della domanda) priva di effetti sostanziali e limitata a rendere più efficiente il sistema pubblicitario”.

E’ evidente che l’accordo accertativo dell’usucapione entrando nella logica degli acquisti a titolo derivativo e, quindi, delle regole disposte dall’art. 2644 c.c. non potrà essere opposto né al creditore pignoratizio che abbia trascritto anteriormente alla trascrizione dell’accordo accertativo, né l’accordo accertativo potrà essere opposto alla curatela fallimentare in quanto nella logica del nuovo sistema anche l’accoprdo accertativo di usucapione è soggetto alle regole degli acquisti a titolo derivativo per la soluzione dei conflitti tra più soggetti.

Chi intende avvalersi, pertanto, dei vantaggi derivanti dall’acquisto a titolo originario di un determinato bene dovrà dotarsi di una sentenza in quanto l’accordo accertativo di usucapione si reggerebbe sulla base di un atto di disposizione compiuto da un soggetto (usucapito), in un caso pignorato ed in un altro caso fallito, a danno dei propri creditori. La sentenza di accertamento, diversamente, troverebbe il suo presupposto in una istruttoria effettuata da un soggetto terzo diretta a verificare l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il perfezionamento della relativa fattispecie.

In ordine alle modalità redazionali dell’autentica notarile dell’accordo accertativo dell’usucapione, ai fini della trascrizione nei Registri immobiliari, è possibile ipotizzare tre diverse tipologie di atti, fermo restando che il ruolo del notaio, qualunque sia le modalità di autentica che saranno effettuate non potrà in nessun

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caso essere quello di un mero certificatore, ma dovrà in ogni caso effettuare quei controlli di legittimità e di informazione delle parti trattandosi comunque di una prestazione professionale che il notaio dovrà eseguire usando i canoni di diligenza richiesti dall’art. 1176 c.c.

Giova ricordare che con la modifica apportata dall’art. 12, I comma, lett. a), della Legge 246/05 si è espressamente riportato nell'area del controllo di legalità di competenza funzionale del notaio autenticante, anche il negozio che assume la forma di scrittura privata da sottoporre ad autentica delle sottoscrizioni. Ciò sia nel caso in cui il contenuto della scrittura privata sia opera delle parti, sia nell'ipotesi di redazione del documento ad opera dl notaio.

Pertanto, il notaio, laddove non abbia egli stesso preparato l’accordo, avrà il dovere non solo di verificare la presenza di tutti i requisiti di legge ma anche di informare le parti sugli effetti che discendono dall’accordo concluso e sull’eventuale presenza di formalità pregiudizievoli, tenuto conto che, come si è detto, non opereranno nella fattispecie in esame i principi in tema di retroattività dell’usucapione dell’usucapio libertatis.

Si riportano le indicazioni date dal CNN nella “Lettera ai Notai dal Consiglio del Notariato sulle regole operative in materia di mediazione (Articolo pubblicato il 13 Ottobre 2011 in Mediazione e Notariato”):

Se si volesse immaginare una sorta di "decalogo" per il notaio chiamato ad autenticare (o a rogare) accordi di conciliazione, raggiunti nell’ambito del procedimento di cui al D. Lgs. n. 28/2010, e partendo dal presupposto fondamentale, più volte ripetuto, che a tali “accordi" deve riconoscersi natura di "contratto", può dirsi che il notaio deve:

1) verificare che l’accordo sia intervenuto su diritti “disponibili" o comunque su diritti che possono formare oggetto di regolamento "negoziale privato" o comunque non in violazione di norme imperative (in questa ottica deve ad esempio escludersi che con un accordo amichevole di conciliazione possano raggiungersi accordi relativi a diritti patrimoniali attinenti al “regime primario” della famiglia - obblighi di contribuzione - o relativi ai figli o agli obblighi nascenti dal matrimonio, oppure possano assumersi validi obblighi a donare, oppure possano raggiungersi accordi in violazione al divieto dei patti successori,). In questo ambito particolare problema é quello dell'ammissibilità di un accordo conciliativo avente ad oggetto l'accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento per intervenuta usucapione, e la sua trascrivibilità. Su questo ultimo aspetto si richiama la prima recentissima decisione del Tribunale di Roma del 22 luglio 2011;

2) verificare il rispetto delle “forme” previste dalla legge (es. necessita di atto pubblico con i testimoni come per le donazioni, patti di famiglia ecc);

3) verificare la capacità delle parti e la loro legittimazione a disporre dei beni oggetto di accordo (capacita di agire, regime patrimoniale coniugale ecc..);

4) verificare il rispetto delle norme in materia di rappresentanza volontaria, legale od organica delle parti;

5) verificare la necessità di applicare normative speciali dettate per la particolare condizione dei soggetti intervenuti (stranieri che non conoscono la lingua italiana, non vedenti, muti, non udenti ecc..);

6) verificare che siano state rispettate tutte le normative dettate per il bene che forma oggetto dell’accordo ed in considerazione degli effetti prodotti dall’accordo stesso. Ad esempio qualora con 1’accordo si trasferisca o si costituisca un diritto reale su un bene immobile dovranno essere rispettate tutte le relative normative speciali (urbanistiche, catastali, fiscali);

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7) aver sempre chiara la distinzione netta fra la mera “certificazione" del mediatore e "l’autenticazione" del pubblico ufficiale necessaria ai fini della pubblicità dell’accordo e la, conseguente, caratteristica strutturale che per poter accedere ai pubblici registri l’accordo deve essere sottoposto al controllo di legalità tipico de1l’attivita notarile e le sottoscrizioni delle parti devono essere autenticate dal pubblico ufficiale. Come in ogni atto notarile le firme delle parti (di tutte le parti) devono essere autenticate in calce all’accordo, a margine dei fogli intermedi e degli allegati. Pare evidente in questa ottica l'inidoneità dello strumento documentale del mero “deposito" dell’accordo agli atti del notaio (ai sensi dell’art. 1, n. 1 lettera b del r.d.l. n. 1666/ 1937 e 61 della Legge Notarile), in quanto con quel mezzo non si raggiunge la necessaria "autenticità" delle sottoscrizioni delle parti, salvo che il deposito avvenga ad opera di tutte le parti dell’accordo ed il contenuto del1’accordo stesso sia riprodotto nel verbale notarile di deposito sottoscritto da tutte 1e parti; in tale ultima ipotesi, infatti, i1 verbale assume la natura di vero e proprio atto pubblico di ripetizione;

8) astenersi dall’autenticare accordi amichevoli in violazione di norme imperative, dell’ordine pubblico, che non abbiano ad oggetto "diritti disponibi1i", che abbiano ad oggetto fattispecie che non possono essere oggetto di deregolamentazione con “atto negoziale di autonomia privata" o comunque accordi invalidi. In ogni caso in cui l’accordo possa essere raggiunto con lo strumento contrattuale, ma sia carente di requisiti richiesti per la sua validità, il notaio redigerà autonomo atto di convalida o riproduttivo de1l’accordo annullabile o nullo, completo di tutti i requisiti richiesti dalla legge;

9) osservare le norme in materia di conservazione degli atti a raccolta, precisandosi al riguardo che le norme del D. Lgs. che prevedono il deposito del verbale, ed allegato accordo, presso la segreteria dell'organismo di mediazione non derogano alla normativa prevista per gli atti notarili, da considerarsi comunque speciale;

10) assumere la responsabilità per i successivi adempimenti fiscali e di pubblicità nei pubblici registri, come di consueto. (est.: Maria Luisa Cenni - Valentina Rubertelli)

Ruolo dell’avvocato nella procedura a seguito delle modifiche introdotte dal la legge 98/2013

Art. 12 d.lgs 28/2010 Efficacia esecutiva ed esecuzione

1. Il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del Presidente del tribunale, e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico nel cui circondario ha sede l'organismo. Nelle controversie transfrontaliere di cui all'articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal Presidente del tribunale nel cui circondario l'accordo deve avere esecuzione. (abrogato)

Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte con decreto del Presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative

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e dell’ordine pubblico

Prime conclusioni e contenuto : Dallo studio CNN 718-2013/C est. M.Krogh: Alla luce delle considerazioni sin qui svolte possiamo affermare che prima dell’innovazione normativa introdotta dal n. 12 bis dell’art. 2643 cod. civ. l’usucapione era una modalità di acquisto a titolo originario il cui ingresso, nel sistema della pubblicità immobiliare, richiedeva una pronuncia giudiziaria la cui trascrizione, regolata dall’art. 2651 cod. civ., aveva valore di pubblicità notizia; con l’introduzione del cit. n. 12 bis nel sistema della pubblicità immobiliare l’usucapione si pone al centro di una pluralità di fattispecie che realizzano effetti diversi, le une dalle altre, tra le parti e rispetto ai terzi e, così, in via esemplificativa:

1. l’usucapione potrà essere oggetto di una pronuncia giudiziaria e la sua trascrizione produrrà gli effetti previsti dall’art. 2651 cod. civ.

2. potrà essere oggetto di un accordo accertativo e la sua pubblicità, ex n. 12 bis dell’art. 2643 cod. civ. avrà gli effetti di cui all’art. 2644 cod. civ. laddove sia rispettato il principio della continuità delle trascrizioni;

3. potrà essere oggetto di un accordo accertativo e la sua pubblicità, ex n. 12 bis dell’art. 2643 cod. civ., avrà meri effetti prenotativi, ai sensi dell’art. 2650 cod. civ., laddove il soggetto usucapito che ha sottoscritto l’accordo non risulti legittimato in base ad un titolo debitamente trascritto nei registri immobiliari;

4. l’usucapione potrà essere oggetto di un atto negoziale di mero accertamento, anche al di fuori di una procedura conciliativa, con effetti meramente preclusivi che potrà essere trascritto ai sensi dell’art. 2645 cod. civ. che ha arricchito il suo contenuto in ragione dell’introduzione del n. 12 bis dell’art. 2643 cod. civ.;

5. il riconoscimento dell’usucapione potrà essere oggetto di un accordo transattivo soggetto a trascrizione ai sensi del n. 13 dell’art. 2643 cod. civ. ed i cui effetti saranno regolamentati dagli artt. 2644 e 2650 cod. civ.

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Pur in presenza di una pluralità di fattispecie, alcune delle quali poste in essere dall’autonomia privata, va sottolineato che l’usucapione mantiene la sua caratteristica fondamentale di effetto legale e non negoziale di acquisto della proprietà; l’accordo conciliativo, quindi, non avrà ad oggetto il trasferimento di diritti ma avrà ad oggetto l’accertamento tra le parti dei presupposti su cui si fonda l’usucapione con effetti preclusivi tra le parti stesse e loro aventi causa. Rispetto ai terzi, invece, l’opponibilità dell’accordo stesso seguirà le regole degli acquisti a titolo derivativo disciplinati dagli artt. 2644e 2650 cod. civ.

Di conseguenza un terzo potrà comunque far valere i propri diritti nei confronti del suo legittimo dante causa disconoscendo l’accordo, sottoscritto in suo danno, tra le parti partecipanti all’accordo stesso; si pensi, ad esempio, ad un creditore ipotecario dell’usucapito, ovvero a chi abbia acquistato un diritto reale di godimento dall’usucapito. In buona sostanza l’accordo conciliativo non è opponibile a terzi che vantino pretese nei confronti del soggetto usucapito ovvero sui beni oggetto di accertamento, in forza di un titolo trascritto o iscritto anteriormente all’accordo conciliativo secondo il meccanismo dell’art. 2644 c.c. che regola i conflitti d’interessi tra più aventi causa dal medesimo soggetto. La soluzione del conflitto d’interessi regolata dall’art. 2644 c.c. impone che sia rispettato il principio della continuità delle trascrizioni imposto dall’art. 2650 cod. civ. e, quindi, che il titolo di ciascun avente causa (ivi compreso colui che assume di aver usucapito) trovi corrispondenza e giustificazione in un titolo trascritto a favore del dante causa.

In assenza di un titolo di proprietà (ovvero di altro diritto reale, a seconda delle ipotesi) trascritto a favore del dante causa le trascrizioni successive e, quindi, anche la trascrizione dell’accordo accertativo dell’usucapione, avranno effetto, secondo il disposto del 2° comma dell’art. 2650 c.c., solo allorquando l’atto anteriore di acquisto sarà trascritto. Trascritto il titolo di proprietà, le successive trascrizioni o iscrizioni produrranno effetto secondo il loro ordine rispettivo, nel rispetto dei principi di cui all’art. 2644 c.c.

La soluzione del conflitto d’interessi tra presunto usucapiente e terzi, secondo il meccanismo degli artt. 2644 c.c. e 2650 c.c. , come più volte ripetuto, costituisce la differenza sostanziale tra gli effetti della pubblicità della sentenza di usucapione e gli effetti della pubblicità dell’accordo conciliativo de quo.

Non sembrano applicabili, invero, all’accordo accertativo dell’usucapione quei principi consolidati in giurisprudenza relativi alla soluzione del conflitto d’interesse tra usucapiente e terzi che presuppongono un accertamento giudiziario dell’usucapione in ragione della diversità delle norme sulla continuità delle trascrizioni rispetto alle norme che regolano la pubblicità degli acquisti a titolo originario. Invero, in giurisprudenza si afferma che in caso di conflitto tra avente causa del precedente proprietario e usucapiente non prevarrà chi ha trascritto per primo il suo titolo di acquisto, ma prevarrà colui che ha acquistato a titolo originario anche in caso di mancata trascrizione della sentenza di accertamento in ragione del valore di mera pubblicità notizia assegnato alla pubblicità di cui all’art. 2651 cod. civ. (1); nel caso di accordo accertativi dell’usucapione, al contrario, prevarrà il terzo che ha acquistato dall’usucapito se la sua trascrizione precede la trascrizione dell’accordo accertativi. Così pure, sotto altro aspetto, di possibile conflitto tra curatela fallimentare e soggetto usucapiente, si è affermato da parte della Suprema Corte (2) che può essere usucapito un bene del fallito sulla base del presupposto che l’acquisto a titolo di usucapione è acquisto a titolo originario, onde il conflitto fra acquirente a titolo derivativo ed usucapiente, si risolve sempre a favore di quest’ultimo indipendentemente dalla trascrizione della sentenza di usucapione; anche questo principio valido per l’usucapione accertata giudizialmente non troverà applicazione nel caso di accordo accertativi dell’usucapione che, come più volte detto è regolato dal principio della continuità delle trascrizione che risolve i conflitti di interesse in base all’art. 2644 cod. civ. e, quindi, sulla base della priorità della trascrizione del titolo

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Mentre la sentenza di usucapione accerta un diritto acquistato dall’usucapiente prescindendo dalla posizione soggettiva dell’usucapito e, quindi da eventuali diritti dal medesimo costituiti (trasferimenti di proprietà, costituzione di diritti reali di garanzia, costituzione di diritti reali di godimento) ed al possessore-usucapiente non potrà essere addebitato un onere (recte: una presunzione) di conoscenza dell’esistenza delle formalità ipotecarie o di precedenti trascrizioni pregiudizievoli, in quanto il possesso utile ai fini dell’usucapione prescinde del tutto dalla conoscenza in capo all’usucapiente di chi sia il legittimo proprietario del bene, nell’accordo accertativo dell’usucapione l’usucapiente avrà un onere di conoscenza di quanto reso pubblico nei registri immobiliari sotto il duplice profilo che, da un lato, saranno a lui opponibili le iscrizioni e trascrizioni pubblicate anteriormente all’accordo conciliativo contro il legittimo dante causa e, da altro lato, che la trascrizione dell’accordo accertativo per produrre i suoi effetti deve essere effettuata nei confronti di chi appare proprietario del bene usucapito in base ad una serie di titoli debitamente trascritti (artt. 2644 e 2650 cod. civ.), in difetto, la trascrizione dell’accordo accertativo produrrà i suoi effetto allorquando colui che ha riconosciuto i fatti costitutivi dell’usucapione si sarà dotato di un legittimo titolo e lo trascriva.

Peraltro, l’assenza della trascrizione del titolo di acquisto in capo all’usucapito può ascriversi ad una negligenza del dante causa che, ad esempio, non ha curato la trascrizione del suo acquisto mortis causa, ovvero ad un difetto di forma del titolo che, ad esempio, non riveste la forma autentica o pubblica necessaria per la trascrizione, ovvero all’assenza di un titolo di acquisto a favore del presunto usucapito; in quest’ultima ipotesi, è fuor di dubbio, che un eventuale accertamento dell’usucapione non avrebbe alcuna giustificazione causale atteso che la dichiarazione accertativa sarebbe effettuata da un soggetto privo di poteri dispositivi sul bene su cui si intende accertare l’usucapione stessa. Su questo punto, la giurisprudenza della Suprema Corte, giova ripetere è costante nell’affermare che “il negozio di accertamento di un diritto reale, la cui funzione è quella di rendere definitiva la situazione giuridica derivante dal rapporto preesistente eliminando gli elementi di incertezza, non ha alcun effetto traslativo, e, pertanto, per la regolamentazione della relativa situazione giuridica controversa, deve farsi capo, in ogni caso, alla fonte precettiva originaria, che ne costituisce il fondamento”.

Per quanto attiene agli aspetti relativi al ruolo del notaio nella procedura di mediazione e conciliazione valgono le indicazioni sin qui svolte e le conclusioni generali cui sono giunti gli studi del Consiglio Nazionale del Notariato raccolti nel “MANUALE DELLA MEDIAZIONE CIVILE COMMERCIALE, Il contributo del Notariato alla luce del d.lgs 28/2010, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012” (3), considerazioni specifiche meritano i temi riguardanti:

1. l’obbligo di dotazione ed allegazione dell’attestato di prestazione energetica di cui al comma 3° dell’art. 6 del D.lgs n. 192/2005 che, nella nuova stesura introdotta dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 145, recita: “«3. Nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari soggetti a registrazione è inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici; copia dell’attestato di prestazione energetica deve essere altresì allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole unità immobiliari (.omissis…)”

2. il rispetto della normativa urbanistica contenuta nel D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 del 2001 (artt. 30 e 46) ”;

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3. gli obblighi in tema di conformità soggettiva ed oggettiva di cui all’art. 19 comma 14 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 (conv. in l. 30 luglio 2010 n. 122).

Sul primo punto, non sembra che possano esserci fondati dubbi sul fatto che la fattispecie non rientri nel perimetro degli atti per i quali vi è l’obbligo di dotazione ed allegazione in quanto il comma 3 dell’art. 6 del D.lgs n. 192/2005 circoscrive il suddetto obbligo ai soli atti di compravendita ed agli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso. Gli effetti meramente accertativi che il suddetto accordo produce non rientrano né nello schema negoziale della vendita né nella categoria degli atti di trasferimento a titolo oneroso. A diversa conclusione dovrà giungersi laddove l’accordo non sarà meramente accertativo ma presenterà una causa transattiva idonea a produrre effetti traslativi ed a far rientrare l’accordo stesso nel paradigma degli trasferimenti a titolo oneroso facendo sorgere i conseguenti obblighi di dotazione ed allegazione di cui al cit. comma 3 dell’art. 6.

A conclusioni diverse deve invece giungersi per quanto riguarda gli obblighi ed i divieti derivanti dalle norme urbanistiche di cui al D.P.R. 380/2001.

Una lettura che si fermasse al dato meramente letterale degli artt. 30 e 46 del cit. D.P.R. 380/2001 potrebbe far dubitare che gli accordi accertativi dell’usucapione siano soggetti al rispetto delle suddette disposizioni nel presupposto che i suddetti accordi non avrebbero ad oggetto il “trasferimento di un diritto reale” ma “accertano l’usucapione”, valorizzando, quindi, esclusivamente l’effetto legale scaturente dalla fattispecie e marginalizzando invece il ruolo dell’autonomia privata all’interno di questa nuova fattispecie.

Questa interpretazione va disattesa in quanto frutto di una lettura parziale ed asistematica delle norme ed incoerente con i principi cui l’autonomia privata deve uniformarsi nella circolazione dei beni immobili a tutela di interessi pubblici.

Invero, l’intento del Legislatore che emerge dalle norme in materia urbanistica è quello di assoggettare ai relativi obblighi ed alla sanzione civilistica della nullità tutti gli atti negoziali o comunque frutto della libera determinazione dell’autonomia privata, con le sole eccezioni previste dalle norme stesse, costituite, per quanto riguarda gli edifici ”dagli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù” e, per quanto riguarda i terreni, “dalle divisioni ereditarie, dalle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed dai testamenti, nonché dagli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù”.

Il rapporto regola-eccezione espresso dal Legislatore all’interno delle norme che disciplinano la circolazione degli edifici e dei terreni è in grado di ricomprendere al suo interno qualunque vicenda negoziale che riguarda i suddetti beni cosicché compito dell’interprete sarà quello di verificare se un determinato atto frutto dell’autonomia privata sia da ricomprendere nella regola o nell’eccezione.

E’ di tutta evidenza che l’accordo in oggetto, come si è detto nel corso del presente studio, per una scelta di politica legislativa, sebbene abbia ad oggetto l’usucapione che è un modo di acquisto a titolo originario ed è effetto legale scaturente dalla ricorrenza di determinati presupposti di legge, si inserisce quanto agli effetti derivanti dalla pubblicità immobiliare nella logica circolatoria degli acquisti a titolo derivativo, proprio perché frutto di un atto rimesso alla libera determinazione delle parti e non frutto di un accertamento giudiziario.

I presidi normativi e le sanzioni civilistiche in materia urbanistica si pongono come limiti all’autonomia privata in tema di circolazione degli immobili cosicché ciò che l’interprete deve considerare è l’effetto finale conseguito dalle parti con il negozio posto in essere non essendo conferenti gli argomenti che valorizzano

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esclusivamente l’aspetto legato alla natura giuridica dell’usucapione svalutando il dato negoziale presente nell’accordo.

L’accordo previsto dal cit. n. 12 bis dell’art. 2643 cod civ. si regge sulla volontà delle parti che in qualche modo possono condizionare anche gli effetti e le conseguenze dell’accordo stesso. Sottrarre i suddetti atti agli obblighi ed ai divieti sanciti dalle rigorose norme in materia urbanistica consentirebbe all’autonomia privata di porre in essere condotte elusive degli obblighi stessi all’interno di vicende circolatorie dei beni immobili ed in assenza di un valido motivo che giustifichi la collocazione dell’accordo stesso tra le eccezioni di sistema.

Pertanto, il differente trattamento della sentenza di accertamento dell’usucapione rispetto agli accordi di cui al cit. n. 12 bis dell’art. 2643 c.c. è giustificata dalla diversa modalità di accertamento dell’usucapione. Diversità che il Legislatore ha colto collocando l’accordo accertativo all’interno dell’art. 2643 c.c. e quindi nella logica sistematica degli acquisti a titolo derivativo e la sentenza di accertamento dell’usucapione tra i provvedimenti di cui all’art. 2651 cod. civ. soggetti alle regole della cd. pubblicità notizia.

Le relative dichiarazioni, richieste dalla normativa urbanistica all’interno dell’atto dovranno essere rese non dal cd. “usucapito”, al quale per definizione è stato sottratto il possesso, per un tempo significativo, del bene stesso ma dovranno essere rese, come conseguenza logica, dal soggetto usucapiente ossia da colui che afferma e rivendica la disponibilità ed il possesso del bene quale proprietario (o titolare di altro diritto reale). Questa soluzione appare coerente anche con gli effetti retroattivi derivanti dall’usucapione (4).

Le medesime considerazioni e conclusioni valgono per quanto riguarda la dichiarazione di conformità catastale oggettiva richiesta per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, dall’art. 19 del d.l. 78/2010 (conv. In l. 122/2010). Anche in questo caso la parte che dovrà rendere le relative dichiarazioni non potrà essere l’”intestatario catastale”, né l’usucapito, ma l’usucapiente per gli stessi motivi appena esposti relativamente alle dichiarazioni da rendere in materia urbanistica.

Queste considerazioni sul soggetto obbligato a rendere la dichiarazione di conformità giustifica anche la diversa soluzione a cui si deve pervenire relativamente all’obbligo di verifica dell’allineamento catastale con le risultanze dei registri immobiliari. Detta verifica sarebbe priva di ogni giustificazione, nell’economia dell’art. 19 del cit. d.l. 78/2010 proprio perché il cd. soggetto usucapito ha perso proprietà e possesso del bene immobile e l’accordo serve proprio per sancire la perdita della proprietà e del possesso del bene stesso con efficacia retroattiva con decorrenza dall’inizio del possesso da parte dell’usucapiente stesso.

Peraltro, la natura dell’accordo accertativo e le sue finalità giustificano la possibilità che all’accordo stesso intervengano soggetti che per qualche motivo siano disallineati rispetto alle risultanze del catasto. Sotto quest’aspetto sono condivisibili le conclusioni cui è giunta la circolare del CNN del 28 giugno 2010 sul tema che qui si riportano: “In altri casi, il mancato aggiornamento delle banche dati può derivare da ragioni di carattere sistematico come avviene per le ipotesi di acquisti per i quali è irrilevante la pubblicità immobiliare e che prescindono dalla precedente titolarità (es. acquisto per usucapione non accertato giudizialmente, fattispecie della quale molto si discute; o, ancora, il caso del titolo di provenienza del disponente irreperibile o di ardua reperibilità perché risalente nel tempo). Poiché per tali vicende, caratterizzate dal fatto che la titolarità del diritto e la legittimazione a disporre si collegano ad un acquisto a titolo originario o, comunque, ad un titolo di provenienza irreperibile o di difficile reperibilità, la pubblicità immobiliare – intesa come meccanismo destinato a risolvere i conflitti tra più aventi causa da un medesimo autore - non giocherà alcun ruolo e quindi la finalità dell’aggiornamento soggettivo non potrà essere realizzata nei termini previsti dalla norma rispetto al disponente” (5).

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Può aggiungersi che laddove fosse richiesto l’allineamento tra risultanze del catasto e dei registri immobiliari risulterebbero esclusi dall’ambito di applicazione della norma tutti gli accordi tra soggetti nei cui confronti manca un allineamento tra le banche dati del catasto e dei registri immobiliari, soluzione che in un corretto bilanciamento degli interessi che emergono dalle norme in esame (quella sulla conformità soggettiva e quella in tema di mediazione contenuta nel novello n. 12 bis) appare non corretta, tenuto conto che obiettivo principale della disposizione che ha disciplinato la pubblicità dell’accordo accertativo dell’usucapione è quello di prevenire e risolvere controversie, con intenti deflattivi del contenzioso, e tale scopo sarebbe frustrato se l’ambito di applicazione della nuova norma fosse condizionato da accertamenti sulle risultanze dei pubblici registri o del catasto che potrebbero, essi stessi, essere materia di contestazione ed oggetto della controversia che si intende prevenire o risolvere.

D’altronde, gli effetti cd. prenotativi o “provvisori” di cui all’art. 2650 c.c. non si potrebbero ottenere laddove non fosse consentita questa deroga che appare del tutto coerente con quello che può essere il contenuto normale dei suddetti accordi in ragione delle loro finalità.

Peraltro, derivando l’efficacia cd. “prenotativa” di cui all’art. 2650 c.c. dal principio della continuità delle trascrizioni e non da una libera scelta delle parti non sarebbe coerente con i principi sin qui esposti condizionare la ricevibilità dell’accordo de quo ad un obbligo a carico del notaio di previa individuazione degli intestatari catastali e verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

Riassumendo pertanto le conclusioni ai quesiti sopra posti sulle tematiche concernenti la normativa in tema di prestazione energetica, urbanistica e di conformità catastale può affermarsi che, per le ragioni esposte, mentre per il suddetto accordo non trovano spazio applicativo le disposizioni riguardanti gli obblighi di dotazione e di allegazione dell’attestato di prestazione energetica e le norme che impongono la verifica dell’allineamento tra banca dati catastale e registri immobiliari (cd. conformità catastale soggettiva), dovranno al contrario essere applicate e rispettate tutte le disposizioni riguardanti la materia urbanistica-edilizia e quelle riguardanti la cd. conformità catastale oggettiva.

(1) Cfr. ex multis : Cass., 2° sez. civ. 3 febbraio 2005 n. 2161 e sentenze in essa citate e cass, 2° sez. civ. 3 febbraio 2005 n. 2162, entrambe in Rivista del Notariato 2006, parte II, cpag. 208 e segg. con nota di S. Metallo, Conflitti giuridici e trascrizione: la pubblicità dichiarativa e non costitutiva;. la sentenza della cass. 2161/2005 è riportata anche in Giurisprudenza Italiana, Diritto civile, 2005, pag. 2275 e segg. con nota di R. Peratoner, Usucapione e trascrizione ed in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2006, pag. 349 e segg. con nota di E. Varano, Conflitto tra acquirente per usucapione e avente causa dell’usucapito nel sistema della trascrizione immobiliare. Sul valore della sentenza di accertamento dell’usucapione, cfr. G.Baralis, Negozi di accertativi in materia immobiliare, ..cit.

(2) Cass., 2° sez. civ. 3 febbraio 2005 n. 2161,. Sul punto anche Cass. 26 novembre 1999 n. 13184, in Il Diritto Fallimentare e delle società commerciali, 2000, pag. 1125, che afferma il principio secondo il quale può essere proposta nei confronti della curatela la domanda di acquisto a titolo originario di un bene immobile del fallito, in virtù di usucapione, che si verifica anche durante il fallimento, né occorre che la domanda stessa sia stata trascritta anteriormente all’apertura della procedura concorsuale.

(3) Cass, 26 novembre 1999 n. 13184, in Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali, maggio-giugno 2000, CEDAM – Padova, pag. 1125 e segg . la Suprema Corte ha affermato che il vincolo di indisponibilità derivante dal fallimento – con equiparazione del fallimento al pignoramento – non può essere riferito a “fatti” acquisitivi di diritti reali tipici che si assumono già compiuti e produttivi di interessi in capo al fallito, restando del tutto indifferente l’eventuale trascrizione della sentenza di usucapione prima del fallimento,

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“non essendo configurabile alcun onere di pubblicità a carico dell’usucapiente, in quanto l’art. 2651 c.c. dispone al riguardo una forma di trascrizione (della sentenza, e non anche della domanda) priva di effetti sostanziali e limitata a rendere più efficiente il sistema pubblicitario”.

( 4) V Rubertelli, “Autentica notarile e pubblicità” in MANUALE DELLA MEDIAZIONE CIVILE COMMERCIALE, cit. pag 336 e segg Il notaio in veste di pubblico ufficiale autenticante dovrà:

1. preliminarmente valutare il contenuto sostanziale dell’accordo;

2. quindi, a seconda del risultato della valutazione contenutistica conformare l’accordo a tutte le norme di ordine formale, documentale e redazionale.

Il notaio dovrà svolgere la consueta funzione di adeguamento, ferma restando la conservazione della volontà in concreto manifestata dalle parti in funzione della risoluzione della controversia.

Laddove l’accordo redatto dalle parti presenti cause di invalidità che non ne determinino nullità radicale ed insanabile, il notaio riceverà un negozio ripetitivo nel quale potranno essere inserite tute le dichiarazioni, allegazioni e rispettati gli altri requisiti formali e sostanziali necessari al fine di eliminare i vizi presenti.

Il notaio dovrà rifiutare il proprio ministero, invece, quando l’accordo sarà affetto da vizi insanabili che lo rendono in contrasto con norme imperative.

In conclusione, se l’accordo di conciliazione non necessita di alcuna integrazione, adeguamento o allegazione il notaio potrà procedere all’autenticazione delle sottoscrizioni in calce all’accordo. Da un punto di vista pratico la sottoscrizione ai fini dell’autentica verrà apposta dalle parti su una copia o su un doppio originale dell’accordo, allegato al verbale, rilasciato dalla segreteria dell’Organismo di Mediazione. L’intero plico (composto da verbale, accordo allegato ed autentica in calce) costituisce l’originale da conservare nella raccolta del notaio, da sottoporre alle formalità di registrazione e trascrizione

Per la giurisprudenza Cass, 2° sez. civ. 28 giugno 2000 n. 8792, in Corriere Giuridico n. 4/2001, con commento di V. Severi, pag. 520 e segg. e Cass. civ. 15 maggio 1925, in Giur. It., 1925, I, 1, 839; per la dottrina: S. Ruperto, Usucapione (dir. vig.), … cit., pag.1042 e segg., G. Cian, Usucapione e comunione legale dei beni, … cit., pag. 270 e segg; A. Cicu, L’”usucapio libertatis” nel progetto del nuovo codice, ..cit. pag. 365 e segg., F.S. Gentile, Il Possesso, … cit., pag. 317. R. Sacco – R. Caterina, Il Possesso, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni , Guffré, 2000, pag. 515 e segg. secondo cui un argomento a favore della retroattività è quello teleologico. Istituti quali la prescrizione e l’usucapione hanno il merito di evitare di ridiscutere se prima del periodo prescrizionale la situazione di diritto fosse quella allegata dall’attore, o quella allegata dal convenuto. Sul punto anche P. Vitucci, Acquisto per usucapione e legittimazione a disporre, in Giust. Civ. , gennaio 2004, Giuffré, pag. 3 e segg.; M.Krogh, Usucapio libertatis e retroattività degli effetti dell’usucapione, studio n.859-2008/C, approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 4 marzo 2009, paragrafo 6.

(5) Circolare del Consiglio Nazionale del Notariato del 28 giugno 2010 “La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. Manovra Economica). Prime note.” Estensori: M.Leo, A.Lomonaco, A.Ruotolo

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Come prima modalità di redazione possiamo ipotizzare un accordo già perfezionato innanzi all’Organismo di Media - Conciliazione che venga portato in un secondo momento dal notaio per autenticare le sottoscrizioni. In questo caso, possiamo ulteriormente ipotizzare:

1. che l’accordo sia già completo in tutti suoi elementi;

2. che l’accordo manchi di alcuni elementi secondari che le parti comunque intendono precisare;

3. che l’accordo sia carente di alcuni elementi essenziali per la validità dell’accordo stesso.

Va innanzitutto precisato che secondo l’opinione diffusa in dottrina (Cfr. Manuale della Mediazione Civile e Commerciale – Il Contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010, ed. ESI, pag. 304 e segg) permarrebbe lo schema del negozio ripetitivo pur nella mancanza assoluta d’identità, quando il negozio ripetitivo produca tra le stesse parti gli stessi effetti sostanziali del negozio ripetuto. Siamo fuori dal negozio ripetitivo nel caso in cui, pur in presenza di un valido accordo negoziale, le parti modificare titolo o oggetto del precedente accordo (art. 1231 c.c.) ovvero se l’accordo aveva effetti obbligatori ed il nuovo negozio effetti reali.

Nel primo caso il notaio, dopo aver effettuato i controlli di legalità ed aver adempiuto agli obblighi di informazione delle parti, potrà ripetere il contenuto dell’accordo già completo e, quindi avremo un negozio ripetitivo che presenta quale unico elemento di novità la forma. In questo caso il notaio potrà allegare il processo verbale di mediazione (al quale è allegato a sua volta l’accordo ovvero ove è riportato in calce l’accordo) ovvero potrà riportare nelle premesse dell’atto i riferimenti del processo verbale di mediazione.

Relativamente ai soggetti che dovranno partecipare al negozio ripetitivo si ritiene che occorra la medesima identità delle parti e non dei soggetti (Cfr. Manuale della Mediazione Civile e Commerciale – Il Contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010, ed. ESI, pag. 303 e segg) .

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Da un punto di vista fiscale, trattandosi di mero atto ripetitivo concluso per dare all’accordo perfezionato la forma necessaria ai fini della trascrizione, così come richiesto dall’art. 11 del d.lgs. 28/2010, nulla varia ai fini delle esenzioni ed agevolazioni.

Laddove l’accordo di conciliazione sia carente di alcune parti accessorie ovvero le parti intendono integrare l’accordo con ulteriori clausole il notaio provvederà a ricevere un nuovo accordo che negli aspetti essenziali sarà meramente ripetitivo del primo accordo ed avrà la sua giustificazione nella necessità di dotare l’accordo della forma richiesta dalla legge ai fini della pubblicità immobiliare, per la parte integrativa avrà un contenuto nuovo ma che per la sua accessorietà non darà luogo ad un nuovo negozio giuridico. L’accertamento troverà la sua giustificazione causale nell’accordo raggiunto in sede di media – conciliazione e ciò rileverà, soprattutto, ai fini fiscali collocandosi il negozio ripetitivo all’interno del procedimento di cui al d.lgs. 28/2010 come modalità di autentica notarile che non ha effetti novativi rispetto all’accordo conciliativo. Sarà opportuno evidenziare nell’atto la circostanza che il negozio ripetitivo costituisce mera modalità di autentica all’interno della procedura di mediazione, priva di effetti novativi, tenuto conto che alcune Agenzie dell’Entrate sono orientate, in questo caso, a non riconoscere le esenzioni e le agevolazioni fiscali di cui all’art. 17 del d.lgs. stesso.

Nell’ipotesi in cui, invece, l’accordo accertativi sia carente di elementi o clausole richieste a pena di nullità (assoluta, parziale, relativa), l’atto che il notaio dovrà ricevere non potrà qualificarsi come mero atto ripetitivo, ma sarà un nuovo atto svincolato dalla procedura di media-conciliazione. Le parti dovranno porre in essere un nuovo negozio di accertamento in quanto l’accordo sottoscritto è nullo. In questo caso non potranno invocarsi le esenzioni fiscali di cui al cit. art. 17 in quanto il negozio posto in essere non può farsi rientrare nella procedura di mediazione che avendo dato luogo ad un atto nullo non vincola in alcun modo le parti.

Un’ulteriore variante, rispetto alle ipotesi sopra evidenziate riguarda l’atto notarile ricevuto in esecuzione di un obbligo a contrarre assunto dalle parti in sede di conciliazione. In questo caso l’atto che il notaio riceverà non potrà qualificarsi come negozio ripetitivo ma sarà un atto di adempimento di obbligo assunto all’esito della procedura di media-conciliazione. Spetteranno in questo caso le relative esenzioni ed agevolazioni fiscali non potendosi negare che il relativo atto costituendo assolvimento di obbligo assunto in sede di mediazione rientri nella relativa procedura.

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Come alternativa al negozio ripetitivo in tutte le sue varianti ivi compresa quella del negozio che si sostituisce all’accordo conciliativo nullo, è ipotizzabile un verbale di deposito dell’accordo di conciliazione con riconoscimento delle relative sottoscrizioni. In questo caso, alle varianti già sopra accennate si aggiunge un ulteriore problema di natura formale relativo all’equivalenza dell’autentica delle sottoscrizioni al riconoscimento delle firme apposte in un momento precedente ed al di fuori del controllo notarile.

Sul punto sussistono notevoli dubbi nascenti dal rigore formale che assiste il sistema della pubblicità immobiliare il quale non consente di pubblicizzare qualunque atto ma esclusivamente quegli atti tassativamente selezionati e che rivestono quella precisa forma richiesta dall’art. 2657 c.c. che dispone: Titolo per la trascrizione – La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico, o di scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. E’ evidente che la scrittura privata accertata non giudizialmente ma volontariamente innanzi al notaio ha un diverso valore e si pone al di fuori delle tipologie formali elencate nel cit art. 2657 c.c.

Sul dibattito esistente in dottrina e giurisprudenza, riporto le riflessinioni di Valentina Rubertelli così come esposte in lista sigillo e che condivido: “La giurisprudenza di legittimità (Cass., 14 dicembre 1984, n. 6576 in Giur.It. 1985, p. 1061) e autorevole dottrina (CASU, “La legge notarile commentata”, Utet, pp. 408-409), escludono che, mediante il deposito nella raccolta degli atti di un notaio, le parti di una scrittura privata possano rendere quest’ultima “autentica”, quindi idonea alla pubblicità: esse argomentano principalmente dal fatto che il “riconoscimento della scrittura privata” è un fatto processuale, tant’è che lo stesso art. 2702 c.c. ne parla presupponendo che esso venga effettuato in un contesto “giudiziale” da “colui contro il quale la scrittura è prodotta”. Il riconoscimento, in altri termini, non integra un atto con valore confessorio, bensì un mero fatto giuridico, ponendosi in contrasto con la regola basilare secondo cui il notaio possa ricevere atti aventi natura non negoziale nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge (si pensi al riconoscimento del figlio naturale). D’altronde, nel caso di specie, quand’anche si violassero le regole “notarili”, non si otterrebbero neanche gli effetti desiderati dalle parti, cioè la trascrivibilità della scrittura “depositata”: invero, ai sensi dell’art. 2657 c.c. la scrittura privata la cui sottoscrizione non sia stata giudizialmente accertata in seguito alla procedura prevista dal codice di procedura civile, deve considerarsi

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soltanto “riconosciuta”, quindi, non trascrivibile (In tal senso vedi anche App. Brescia 28 gennaio 1985). Si conclude quindi nel senso innanzi proposto; per acquisire un “titolo” che consenta di mettere in moto il meccanismo della pubblicità non c’è che un mezzo: la ripetizione per atto pubblico della scrittura privata. Del resto, come si evince anche da altre disposizioni del codice civile (art. 1543, 2° co.) il titolo della trascrizione non deve essere necessariamente quello produttivo degli effetti negoziali, ma necessario e sufficiente è che sia un negozio ad esso “identico” stipulato dalle medesime parti (Cfr GRANELLI, Riproduzione (e rinnovazione) del negozio giuridico, in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, p. 1080). Del resto, come efficacemente sostenne Carnelutti, un negozio non può avere più di una volontà, né più di una causa; può, invece, avere più di una forma (Riconoscono ampia autonomia ed efficacia sostanziale al negozio ripetitivo: GRANELLI, cit, pp. 1066 e ss; Bianca, Il Contratto, Milano, 2000, p. 296; Di Gravio, voce “Dichiarazione riproduttiva” in Dig- Disc. Priv. – Sezione civ. V, Torino, 1989, pp. 361 ss.).” Aggiungo per la negativa: Cass. 21 maggio 1956 n. 1749;; Ferri-Zanelli, Trascrizione, Commentario Scialoja-Branca, 3^ ed., Zanichelli, 1995, p. 376, nota 1; Mazzoni, in Giur. it., 1985, I, 1, 1061; Ettorre-Silvestri, La pubblicità immobiliare, 2^ ed., Giuffrè, 1996, p. 151-152 ed infine Trib. Forlì 3 settembre 1985 est. M. Krogh.

In alternativa alle modalità di autentica sopra descritte come terza strada ipotizzabile abbiamo la partecipazione diretta del notaio alla procedura di mediazione e, quindi, l’autentica delle sottoscrizione contestualmente alla chiusura del procedimento. E’ questa di gran lunga la modalità preferibile perché consente la stesura di un accordo con la partecipazione congiunta del mediatore degli avvocati e del notaio, ciascuno per la propria competenza, ruolo e funzioni. Si evita in questo modo di relegare il notaio ad un’attività di closing di un qualcosa già fatto da altri, si consente al notaio di effettuare quei controlli di legittimità e di informazione delle parti a lui demandate. L’accordo accertativo dell’usucapione è atto che si distingue nettamente dal processo verbale di mediazione (al quale può essere allegato o riportato in calce) e la figura professionale più indicata per la sua redazione è il notaio per il tradizionale ruolo che svolge all’interno della contrattazione immobiliare.

E’ preferibile mantenere diversità documentale tra l’accordo negoziale ed il verbale avendo effetti e modalità di formazione ben distinti. L’accordo negoziale contiene l’atto di autonomia privata e non

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proviene dal mediatore il quale non dovrà e non potrà autenticare le sottoscrizione, diversamente il verbale darà atto del buon esito (o della mancata conciliazione) ed è atto del mediatore, ha valore procedimentale e recherà le sottoscrizioni delle parti autenticate dal mediatore soggetti (Cfr. Manuale della Mediazione Civile e Commerciale – Il Contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010, ed. ESI, pag. 321 e segg) o la menzione, da parte del Mediatore, dell’impossibilità di sottoscrivere.

Nel caso in cui il notaio svolga le funzioni di Mediatore, potrà autenticare le sottoscrizioni dell’accordo conciliativo solo dopo aver dismesso il ruolo di Mediatore ed aver riassunto il ruolo di Notaio.

Nell’autenticazione dell’accordo andranno rispettati tutti i formalismi previsti dalla legge notarile (muti, soggetto privo dell’udito, analfabeti, stranieri, etc.).

Qualche breve ed incompleta nota di carattere fiscale:

Si è già detto che l’art. 17 del d.lgs. 28/2012 prevede al comma 2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura ed al comma 3. Il verbale di accordo e' esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente.

Per i cd. negozi ripetitivi, si è accennato il rischio di mancato riconoscimento dell’esenzione da parte dell’Agenzia delle Entrate laddove non ritenga che l’atto notarile rientri nella procedura di mediazione.

Sul significato del termine “relativi al procedimento di mediazione” si riportano le conclusioni, sul punto dello studio del CNN (est. Valeria Mastroiacovo) n. 190-2012/T: “Per meglio comprendere il termine “relativi” utilizzato dal legislatore appare utile fare riferimento all’interpretazione che la dottrina ha dato di un’espressione analoga rinvenibile nell’art. 19 della legge n. 74 del 1987 recante l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e di ogni altra tassa” per tutti “gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento” di separazione o divorzio. Al riguardo si è osservato che il trattamento fiscale di favore non è riservato al solo provvedimento, ma anche a tutti gli atti e documenti che contribuiscono alla sua formazione, “non potendosi leggere l’espressione «relativi al procedimento» come «contenuti nel

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procedimento»” (13). Pertanto anche al di fuori dell’ambito processuale sembra ragionevole intendere la relazione tra atto, provvedimento o documento e procedimento di mediazione in senso “funzionale e originario”: funzionale in quanto si tratta di atti e provvedimenti posti in essere in dipendenza o al fine dell’attività procedimentale, originario in quanto (come vedremo più diffusamente nel proseguo) la relatività non può estendersi al punto di considerare ricompresi documenti già formati, seppur necessari al fine del buon esito del procedimento. 2. 2. (segue) esenzione dall’imposta di bollo - Nell’ambito della disciplina del bollo, ai fini dell’applicazione dell’imposta, si distingue tra atti, documenti e registri indicati nella parte prima della Tariffa, allegato A, al d. p. r. n. 642/1972 che scontano l’assoggettamento al tributo “fin dall’origine” e quelli indicati nella parte seconda della medesima Tariffa per i quali la tassazione avviene “in caso d’uso”. Si ricorda che, a norma dell’art. 2, comma 2, del citato d. p. r. , “si ha caso d’uso quando gli atti, i documenti e i registri sono presentati all’ufficio del registro per la registrazione”. Ciò premesso, con riferimento all’esenzione prevista all’art. 17 per l’imposta di bollo occorre chiarire due aspetti: quali siano gli atti e i provvedimenti “relativi al procedimento” per i quali la norma trova applicazione e in che limiti i documenti “relativi al procedimento” possano considerarsi esenti dal bollo in modo assoluto.”

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Per quanto riguarda le aliquote trattandosi di atti di accertamento l’aliquota corretta dovrebbe essere l'1%, invero, l’eccezionale tassazione secondo le regole dell’art. 1 della tariffa (atti di trasferimento) prevista dalla nota II bis all’art. 8 del DPR 131/86 (TU Imposta di registro) si applica ai provvedimenti che accertano l'usucapione, ma nel nostro caso siamo all'interno della negoziazione privata. Se riteniamo, comunque, applicabile l'aliquota dei trasferimenti ovviamente e per coerenza dovrà applicarsi tutta la normativa di cui all'art. 1 della tariffa. Importo minimo, prezzo valore, agevolazione 1° casa ed imposte ipotecarie e catastali nella misura di 50 euro. Ovviamente l’imposta di bollo è comunque esente essendo la previsione del 2° comma dell’art. 17 inclusiva di tutti gli atti, documenti e provvedimenti rientranti nella procedura (procure incluse).

Infine, va ricordato che il legislatore ha voluto anche prevedere con l’articolo 20 del citato decreto un credito d’imposta a favore di ciascuna delle parti che ha corrisposto l’indennità agli organismi di conciliazione. Il meccanismo messo a punto non consente un automatismo e si presenta in modo articolato. Infatti, viene riconosciuto un credito d’imposta fino alla concorrenza di € 500, nel caso la mediazione abbia successo, la metà se vi è stato un insuccesso. E’ evidente l’intento del legislatore di evitare che ci siano abusi e possa accedersi alla mediazione solo per lucrare il credito. Inoltre, l’ammontare viene determinato annualmente dal Ministero della giustizia con apposito decreto sulla base delle risorse disponibili e comunicato agli interessati (dal sito ADR Notariato http://www.adrnotariato.it/procedimento.php).

L’art. 20 del d.lgs. 28/2010 più precisamente prevede che il Ministero della giustizia comunica all'interessato l'importo del credito d'imposta spettante entro 30 giorni dal termine indicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all'Agenzia delle entrate l'elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.

4. Il credito d'imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed e' utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d'impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d'imposta non da' luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, ne' del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive e non

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rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

Notaio Marco Krogh - 29 settembre 2014