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Andrea Ledda Classe 5^H ESAME DI STATO Liceo scientifico statale Arturo Tosi Società dello spettacolo e totalitarismo Problema La società moderna presenta delle somiglianze con le società che più di mezzo secolo fa hanno vissuto sotto un regime totalitario? Tesi La società moderna, definibile come società dello spettacolo, è omologata e spersonalizzata come lo erano quelle società sottoposte ad un regime totalitario. Ciò che oggi opera e si impone sulle menti degli uomini non è più un’ideologia di un partito ma quella del capitalismo, con il solo cieco fine di indirizzare gli uomini al consumo e trarne il miglior guadagno. Si può affermare che il capitalismo abbia concretamente preso il posto dei regimi dittatoriali sviluppatisi in Europa nel corso della prima metà del XX secolo, superandoli sotto alcuni aspetti. Diverse età Diverso tipo storico di società Stessa società

Società dello spettacolo

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Andrea LeddaClasse 5^H

ESAME DI STATO

Liceo scientifico statale Arturo Tosi

Società dello spettacolo e totalitarismo

Problema

La società moderna presenta delle somiglianze con le società che più di mezzo secolo fa hanno vissuto sotto un regime totalitario?

Tesi

La società moderna, definibile come società dello spettacolo, è omologata e spersonalizzata come lo erano quelle società sottoposte ad un regime totalitario. Ciò che oggi opera e si impone sulle menti degli uomini non è più un’ideologia di un partito ma quella del capitalismo, con il solo cieco fine di indirizzare gli uomini al consumo e trarne il miglior guadagno. Si può affermare che il capitalismo abbia concretamente preso il posto dei regimi dittatoriali sviluppatisi in Europa nel corso della prima metà del XX secolo, superandoli sotto alcuni aspetti.

Diverse età

Diverso tipo storico di società

Stessa società

Page 2: Società dello spettacolo

Indice

1.0 Introduzione

2.0 Hannah Arendt

3.0 La società moderna come “Società dello spettacolo”

3.1 Alienazione

3.1.1 Ludwig Feuerbach

3.1.2 Karl Marx

3.1.3 Guy Debord

3.2 Pier Paolo Pasolini

3.3 Mario Vargas Llosa

4.0 Luigi Pirandello

5.0 Italo Svevo

6.0 The Truman Show

7.0 Seneca

Page 3: Società dello spettacolo

7.1 Recede in te ipse

7.2 Vindica te tibi

8.0 The Romantic poetry

9.0 Barbara Kruger

10.0 David LaChapelle

11.0 The Velvet Underground & Nico

12.0 Bibliografia e sitografia

12.1 Bibliografia

12.2 Sitografia

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1.0

Introduzione

Al fine di comprendere quali siano le caratteristiche della società attuale, in modo da poterla confrontare con il modello di sistema totalitario tratteggiato

dalla filosofa Hannah Arendt, è fondamentale riferirsi al concetto di società dello spettacolo, un concetto trattato ormai da ogni sociologo moderno

nell’analizzare le problematiche sociali di questi tempi. L’argomento è complesso e molto ampio. Mi limiterò a trarne gli spunti essenziali all’argomentazione.

2.0

Hannah Arendt

Nelle Origini del totalitarismo (1951) Hannah Arendt fu in grado di comprendere la novità che i regimi totalitari presentavano rispetto alle forme politiche del

passato. La “totalità”, secondo la filosofa, non coincideva con il potere assoluto del sovrano o con l’unità dello Stato, bensì con il controllo coercitivo della società di massa, rigidamente inquadrata e disciplinata.

L’essere umano in questa società diventava così individuo-massa, spersonalizzato, svuotato di capacità critica, che quindi tendeva ad adattarsi

passivamente alle opinione della maggioranza. L’opinione pubblica era a sua volta regolata da un’intensa attività propagandistica nelle mani del partito, che imponeva un’ideologia ufficiale, che doveva permeare la vita quotidiana,

rendendo gli individui subalterni ai suoi precetti. Nella società totalitaria il partito era unico ed assumeva la funzione di governo e di controllo della

società, attraverso la propaganda e la violenza; alla base del totalitarismo infatti, secondo Arendt, vi era una “volontà di potenza” costruttiva e razionalistica, per cui l’ideologia politica su cui si fondava si proponeva di

trasformare persino la natura umana e di sradicare quanto risultava incompatibile con determinati assunti. Infine, detentore del potere supremo era

un capo carismatico, le cui decisioni non erano sottoposte ad alcuna autorità e per questo era esente da un controllo giuridico.

3.0

La società moderna come “società dello spettacolo”

Il termine “Società dello spettacolo” fu introdotto per la prima volta intorno al 1960 dal filosofo, scrittore e cinematografo francese Guy Debord, che nel

libro La società dello spettacolo volle cogliere il significato profondo di questo processo che egli considera ultima fase del capitalismo industriale. Come sostiene Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura nel 2010 e scrittore del

libro La civiltà dello spettacolo, Debord considera “spettacolo” ciò che Marx in

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Manoscritti economici e filosofici, definì “alienazione” sociale, traendone in particolare il concetto di “reificazione” dell’individuo.

3.1

Alienazione

3.1.1 Ludwig Feuerbach

Analizzando il fenomeno religioso Feuerbach afferma che l’alienazione è l’esperienza in cui l’uomo è fatto estraneo rispetto a sé stesso e giunge a

considerare come estraneo a sé ciò che invece è suo e appartiene alla sua più profonda essenza. Si tratta di un processo attraverso cui l’uomo costruisce un mondo fittizio entro cui immagina realizzati i propri sogni, sottraendosi in

questo modo dalle responsabilità e dalle problematiche presenti nel mondo che lo circonda. Secondo Feuerbach soltanto smascherando l’alienazione sarà possibile

comprendere che conoscere Dio significa in realtà conoscere la propria essenza più profonda, riconquistare la piena umanità.

3.1.2 Karl Marx

Marx accetta di Feuerbach la struttura formale del meccanismo dell’alienazione, intesa soprattutto come condizione patologica di scissione, di dipendenza e di autoestraniazione. Tuttavia a differenza di Feuerbach, per il quale

l’alienazione è ancora un fatto prevalentemente coscienziale e derivante da un’errata interpretazione di sé, in Marx essa diviene un fatto reale, di natura

socio-economica, in quanto si identifica con la condizione storica del salariato nell’ambito della società capitalistica. La causa del meccanismo globale dell’alienazione risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione, in

virtù della quale il possessore della fabbrica (= capitalista) può utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui (= salariati) per accrescere la

propria ricchezza, secondo una dinamica che Marx descrive nei termini di “sfruttamento” e “logica del profitto”. In questa logica è l’importanza attribuita alla merce, prodotto dell’industria capitalista, la causa

fondamentale di tale fenomeno. Nella società moderna, secondo Marx, la merce diviene l’interesse centrale della vita di ogni consumatore, ed è proprio la

stessa acquisizione dei prodotti che produce il fenomeno della “reificazione” o “cosificazione” dell’individuo: l’individuo concentra tutta la sua esistenza sulla consumazione degli oggetti che spesso sono inutili alla sua stessa

esistenza, ma che il capitalismo eleva a cosa necessaria. L’alienazione distrugge nell’uomo la sua coscienza sociale e individuale. In particolare

l’alienazione dell’operaio viene descritta da Marx sotto quattro aspetti fondamentali, strettamente connessi fra di loro:

a)il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività;

b)il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività;

c)il lavoratore è alienato rispetto al suo stesso Wesen, ossia alla sua essenza;

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d)il lavoratore è alienato rispetto al prossimo.

3.1.3 Guy Debord

Tuttavia è ormai evidente che, nella società moderna, come afferma Debord, il capitale non opprime più l’operaio solamente all’interno della fabbrica o

ufficio, ma segue i lavoratori anche nella sfera privata trasformandoli in consumatori, ampliandosi nella vita sociale e individuale delle persone: l’alienazione è divenuta un dato strutturale e globalizzante. La morte del

capitalismo auspicata da Marx, che sarebbe dovuta avvenire una volta che l’offerta avrebbe superato la domanda, non è avvenuta. La merce, che ha

continuato e continua tuttora a moltiplicarsi incessantemente, ha assunto la forma dell’immagine, una trasformazione tale per cui il consumatore non diviene più un consumatore di merce ma di illusioni, di immagini.

“Lo spettacolo è il capitale ad una tal grado di accumulazione da divenire

immagine” Guy Debord

Proprio per il carattere così dinamico e duttile del capitalismo, Debord è

costretto, circa venti anni dopo, nel 1988, a scrivere i Commentari alla società dello spettacolo, nei quali approfondisce il concetto di società dello

spettacolo e ne traccia un processo dialettico. Egli afferma che vi sono diversi gradi che caratterizzano la società dello spettacolo, ossia:

- lo “spettacolo concentrato”, tipico delle società a regime dittatoriale, in

cui, a causa del minore sviluppo dell’economia, le merci erano sostituite dall’ideologia e dall’identificazione con il capo supremo;

- lo “spettacolo diffuso”, legato alla società del libero consumo, in antitesi rispetto al primo. Tuttavia tale contrapposizione è in realtà fittizia, essendo entrambi basati sul dominio gerarchico di una classe. Tra i due

sistemi quello vincente si è rivelato essere quello dello spettacolo diffuso, perché esso è inglobato in ogni aspetto nei principi democratici di libertà e

pari diritti.

Il capitalismo permette la libera scelta tra un numero indefinito di merci. La merce secondo Debord promette il soddisfacimento dei bisogni. Si attua così

un’evidente concorrenza tra le merci e il consumatore diviene spettatore e poi inevitabilmente produttore di tale spettacolo. Debord di fronte a un’analisi

sociale di questo tipo introdusse un nuovo modello di spettacolo:

- lo “spettacolo integrato”, sintesi dei due precedenti, affermatosi in scala mondiale nel mondo attuale, che presenta le caratteristiche sopra presentate.

L’individuo gode di ogni libertà, proprio come nello spettacolo diffuso, ma allo stesso tempo la sua libertà è dettata dai principi del capitalismo, il

quale si propone dittatore come in un regime totalitario, entro i quali egli è inconsapevolmente imprigionato, e quindi proponendoli a sé stesso come i più alti principi a cui tendere. Lo spettacolo risulta essere mischiato ad ogni

realtà, al punto da identificarsi con essa in ogni suo aspetto.

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Riassumendo e citando un commento di Mario Vargas Llosa, la tesi principale di Debord è che “l’alienazione ha annientato la vita sociale, trasformandola in una rappresentazione in cui tutto ciò che è spontaneo, autentico e genuino - la

verità dell’essenza umana - è stato sostituito da elementi artificiali e falsi. In questo modo, le cose - le merci - sono diventate vere e proprie signore della

vita”.

3.2

Pier Paolo Pasolini

Il passaggio da una dimensione economica all’analisi delle sue conseguenze è

trattata con assoluta lucidità da Pier Paolo Pasolini, il quale afferma che la mancata morte del capitalismo ha permesso che il consumismo raggiungesse una

sregolatezza senza pari, al punto da trasformare la merce in immagine riducendo l’attività sociale in edonismo di massa, caratteristico della società dello spettacolo. È qui che si manifestano allora le caratteristiche della così

definita società dello spettacolo: il genocidio culturale, secondo cui ogni cultura viene livellata, portata a somigliare sempre di più al modello culturale

globalmente proposto dal capitalismo; l’assoggettamento delle masse, che avviene in parallelo ad una forzata omologazione conformatrice di ogni autenticità e concretezza, necessari, per mettere in pratica il genocidio culturale sopra

citato e in un momento successivo elevare nuovi ideali, quelli del consumo, a supremi cardini sociali e culturali.

L’edonismo di massa di cui parla Pasolini è stato possibile grazie ad una rivoluzione fondamentale, quella dell’informazione, a sua volta resa possibile dal progresso scientifico-tecnologico. Il nuovo sistema informativo agisce per

mezzo della televisione, simbolo dell’influenza dei media, di internet e in parte minore del cinema, imponendo dei modelli di perfezione a cui l’individuo

tende, omologandosi e conformandosi, divenendo così massa. In questo modo il capitalismo ha spianato la capacità critica della maggior parte della popolazione, riducendola inoltre, proprio attraverso l’omologazione, ad un unico

socialmente ignorante individuo (il quale presenta le stesse identiche caratteristiche dell’individuo-massa descritto da Hannah Arendt nella sua teoria

sui totalitarismi), al quale può imporre od ordinare qualsiasi cosa senza che questo possa essere in grado di difendersi, privo di ogni capacità mentale, di una cultura, di una coscienza individuale e sociale.

3.3

Mario Vargas Llosa

Mario Vargas Llosa, premio nobel per la letteratura 2010, nel suo libro La civiltà dello spettacolo, concentra la sua attenzione sull’aspetto culturale che

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caratterizza la società dello spettacolo, facendo inevitabilmente propri concetti già espressi da Debord molti anni addietro.

Alla domanda che cosa significhi società dello spettacolo, Llosa afferma che si

tratta di “quella società di un mondo nel quale il primo posto nella scala dei valori vigente è occupato dall’intrattenimento e in cui divertirsi, sfuggire

alla noia, è passione universale”. Trasformare un istinto naturale dell’uomo in supremo valore sociale ha come conseguenze: la banalizzazione della cultura e la generalizzazione della frivolezza, che vanno ad investire ogni ambito della

cultura sociale, permettendo così al capitalismo di applicare l’edonismo di massa tipico della società dello spettacolo, il quale a sua volta è mezzo di

assoggettamento delle masse e di omologazione conformatrice delle menti umane.

L’individuo, come già espresso ragionando sul pensiero di Debord, concentra la sua attenzione non più sulla merce, ma sull’immagine. Se nei primi decenni

dell’età capitalistica si realizzo una degradazione dell’essere in avere, nell’ultima fase è avvenuto un ulteriore slittamento generalizzato dell’avere

nell’apparire: ogni avere effettivo deve trovare immediatamente la sua funzione ultima, che è quella dell’apparire, quindi l’apparire è funzione dell’avere. Apparire, nella società dello spettacolo, significa voler (inconsapevolmente)

proporre un’immagine di sé che si adatti al modello di uomo prodotto dal capitalismo, un’immagine che è una maschera, che nasconde la vera natura e

personalità, diversa da individuo ad individuo.

4.0

Luigi Pirandello

Il tema della maschera è di fondamentale importanza nella visione Pirandelliana dell’esistenza. L’uomo, secondo Pirandello, tende a dare a sé stesso e agli

altri delle maschere, in virtù di quella che è la visione del mondo del singolo e del contesto sociale. Sotto la maschera non c’è il vero individuo, c’è un

fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione. Questa congerie di stati incoerenti genera la frantumazione dell’io: cadono la certezza di una realtà oggettiva e di un soggetto forte, punto di riferimento sicuro di

ogni rapporto con la realtà. Pirandello identifica diverse tendenze spersonalizzanti nella società di primo Novecento: l’instaurarsi del capitale

monopolistico, che annulla l’iniziativa individuale e nega la persona dissolvendola in grandi apparati produttivi anonimi; l’espandersi della grande industria e dell’uso delle macchine, che meccanizzano l’esistenza dell’uomo; la

creazione di sterminati apparati burocratici, che sortiscono effetti analoghi alla meccanizzazione; il formarsi di grandi metropoli, in cui l’uomo si

smarrisce ed è ridotto ad un semplice ruolo standardizzato. L’individuo descritto da Pirandello soffre quindi per due motivi: per la presa di coscienza dell’inconsistenza della propria natura individuale e per le forme che egli è

costretto ad assumere nel contesto sociale. Egli individua le maschere/forme come delle trappole, dal momento che l’individuo è costretto ad assumerle e in

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esse si trova rinchiuso, e in particolare identifica la famiglia e il lavoro come trappole della forma per eccellenza.

Facendo riferimento nuovamente alla società attuale: vivere continuamente di apparenza e finzione, in cui il punto di riferimento è un modello e non come si

è in natura, produce un generale senso di inettitudine per tutti coloro che con questo modello non riescono a coincidere, una profonda incertezza e sfiducia in

sé stessi.

5.0

Italo Svevo

La figura dell’inetto fu inaugurata per la prima volta da Italo Svevo con la figura di Alfonso Nitti nel romanzo Una Vita, e poi successivamente riproposta attraverso altre incarnazioni nei due romanzi successivi Senilità e La coscienza di Zeno. L’inettitudine è una debolezza, un’insicurezza psicologica. L’inetto allora è colui che non riesce a svolgere gli obiettivi che si prefigge, ed esempio emblematico è quello di Zeno Cosini, incapace a smettere di fumare.

L’inettitudine, per come essa è presentata da Svevo, è una malattia che rende i

suoi personaggi (ma anche gli individui in generale) incapaci a vivere e a reagire di fronte agli eventi che li determinano. Le cause di ciò secondo Svevo

possono essere due: il tipo storico di società, nel caso dell’inetto sveviano si tratta di una società già spersonalizzata dalla meccanizzazione della produzione e da processi di sviluppo che emarginano in generale l’uomo; l’incapacità di

coincidere con un identità, una personalità particolare che permetta all’individuo di autodeterminarsi.

Seppur l’ultima fase del pensiero di Svevo non sia perfettamente coerente con l’argomentazione seguita, onde evitare fraintendimenti è necessario specificare che Svevo, verso gli ultimi anni della sua analisi sociale, attribuisce

all’inettitudine un “controvalore attivo” (Mario Lunetta). Il processo della malattia è molto è molto più interessante, per la sua dinamicità e vivacità. Si

attua dunque un capovolgimento di prospettiva secondo cui l’inettitudine è carattere positivo perché permette all’individuo di adattarsi ai cambiamenti e di non cristallizzarsi in un ruolo all’interno della società, in termini

pirandelliani, di non assumere una forma.

Diversamente dalla condizione in cui si trovava Zeno Cosini in La coscienza di Zeno, la società odierna, grazie a quel progresso scientifico-tecnologico di cui

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abbiamo già discorso, offre i mezzi adatti perché l’individuo possa rendersi simile al modello di cui stiamo trattando, ma li offre ed elogia perché rendono l’individuo ancora più fragile in quanto ancora più lontano dalla sua vera

identità (tra tali mezzi nella società attuale dominano i social network, tra cui i più famosi sono Facebook, Twitter, Tumblr e molti altri). La società dello

spettacolo, come già detto, coltiva la fragilità di questo individuo, gli serve sciocco, pavido, insicuro e fragile; lo accudisce con amore paterno nella forma del Truman Show.

“Il “Truman Show” è lo spettacolo della sua reclusa esistenza; e l’incoscienza di Truman è la sua reale coscienza”. (Pietro De Michelis, blogger)

6.0

The Truman Show

È possibile operare una precisa distinzione di ruoli:

Truman è l’inetto, la cui apparente forza è conferita dal lavoro, dal fatto di

avere una moglie, delle relazioni sociali. L’inettitudine emerge nell’atteggiamento infantile, che è anche un atteggiamento di sottomissione, passività e annullamento mentale, dal momento che Truman è privo di desideri, e

aspirazioni. Truman è inetto perché non ha mai vissuta veramente la sua vita, con le sue complessità e i suoi ostacoli che permettono la maturazione

dell’individuo. Ecco allora come l’acuto occhio sociale di John Weir, il regista del film, mette in luce l’inconsistenza dell’uomo prodotto del capitalismo.

Christoph è il regista che si nasconde dietro alla complessa organizzazione che

sta alle spalle della società fittizia da lui stesso ideata. Egli può identificarsi con l’intera macchina del capitalismo, perciò con ‘industria del

consumo che si attua nella società.

La società è una società dello spettacolo. La cittadella fittizia è popolata da attori.

John Weir ha voluto utilizzare come set una città realmente esistente in Autralia, così da sottolineare che la realtà presentata nel film non è poi così

lontana o ideale da quella già oggi presente.

Diversamente dal Truman-personaggio del film, il Truman-uomo della realtà spesso

non giunge alla consapevolezza della sua situazione di rinchiuso e rimane intrappolato fin dalla nascita, morendo senza aver vissuto.

Page 11: Società dello spettacolo

7.0

Seneca

Seneca, nell’opera Ad Lucilium, si impegna attivamente nella ricerca di un modello pratico da proporre agli uomini perché questi perseguissero la via di una vita felice. Seppur l’opera sia rivolta alle classi alte di Roma, in essa

Seneca esprime tutta la sua volontà pragmatica di una trasformazione della società, identificando i difetti di essa e proponendo delle soluzione non ideali

ma realmente applicabili. Per questo motivo gli insegnamenti di Seneca possono ancora essere ritenuti attuali. Egli (che non si propone come modello ma come exemplum) pratica e perciò insegna, ciò che serve a migliorare la vita dei

singoli e della società, quindi quei princìpi che mettono ordine nel disordine dell’animo individuale, e di conseguenza anche nella vita associata degli

uomini. Infatti Seneca, partendo da un recupero della moralità del singolo, punta ad una più estesa moralità sociale. Primo momento di tale trasformazione risiede in una spinta verticale in cui l’uomo si deve riappropriare di sé stesso

(Vindica te tibi), un passo necessario anche per l’uomo moderno. Tale riappropriazione è contrastata però dall’azione livellatrice della massa che ci

circonda (Recede in te ipse).

7.1

Vindica te tibi

Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut

subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris

attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat,

qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterît; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas

complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum

nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere

patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere. Interrogabis fortasse quid ego

faciam qui tibi ista praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat impensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quid perdam et quare et quemadmodum dicam; causas paupertatis meae reddam.

Sed evenit mihi quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo succurrit. Quid ergo est? non puto pauperem cui quantulumcumque

superest sat est; tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam ut visum est maioribus nostris, 'sera parsimonia in fundo est'; non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet. Vale.

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7.2

Recede in te ipse

[6] Subducendus populo est tener animus et parum tenax recti: facile transitur

ad plures. Socrati et Catoni et Laelio excutere morem suum dissimilis multitudo potuisset: adeo nemo nostrum, qui cum maxime concinnamus ingenium, ferre impetum vitiorum tam magno comitatu venientium potest.

[7] Unum exemplum luxuriae aut avaritiae multum mali facit: convictor delicatus paulatim enervat et mollit, vicinus dives cupiditatem irritat, malignus comes

quamvis candido et simplici rubiginem suam affricuit: quid tu accidere his moribus credis in quos publice factus est impetus? [8] Necesse est aut imiteris aut oderis. Utrumque autem devitandum est: neve

similis malis fias, quia multi sunt, neve inimicus multis, quia dissimiles sunt. Recede in te ipse quantum potes; cum his versare qui te meliorem facturi sunt,

illos admitte quos tu potes facere meliores. Mutuo ista fiunt, et homines dum docent discunt. [9] Non est quod te gloria publicandi ingenii producat in medium, ut recitare

istis velis aut disputare; quod facere te vellem, si haberes isti populo idoneam mercem: nemo est qui intellegere te possit. Aliquis fortasse, unus aut alter

incidet, et hic ipse formandus tibi erit instituendusque ad intellectum tui. ´Cui ergo ista didici?´ Non est quod timeas ne operam perdideris, si tibi didicisti.

Se Seneca, nel tentativo di migliorare la società romana del tempo, aveva sottolineato l’importanza di una valorizzazione dell’io, senza la quale sarebbe stato possibile un mutamento dell’intera società; al contrario i poeti

romantici, come Wordsworth e Coleridge, hanno tentato di dare una loro risposta nel contesto storico della seconda rivoluzione industriale, contesto che essi

ritenevano degradante per la condizione dell’uomo, soprattutto all’interno delle città e delle fabbriche. La risposta del Romanticismo inglese fu diversa da quella che a suoi tempi diede Seneca.

8.0

The Romantic poetry

Romantic poets felt overwhelmed by the course of history and, unable to find a solution for the entire British society, limited themselves to escape from reality, which was raw and obscene, to recover themselves through introspection,

meditation and a new and close relationship with nature. All the Romantic poets turned to nature and devoted themselves to recording its beauty as a counterpart

to the sordid ugliness of the industrial towns. Poetry had the important role of conveying a new sense of intimate communion between man and nature, expecially in Wordsworth.

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Generally speaking, it was an attitude of surrender to face the possibility of social improvement, an attitude that manifested itself in a marked individualism. Individualism led in turn to a constant intrusion of the poet

himself into his work. As never before in literature, the poet spoke of himself, of his passions and rebellions. They turned into social rebels and rejected the

traditional moral codes and religious values. In some poets this spirit of revolt resulted in a sort of totanism, and in others it led to the exaltation of the irrational and the supernatural.

9.0

Barbara Kruger

Il lavoro di barbara Kruger consiste nella rielaborazione del linguaggio dei media e gli stereotipi della cultura popolare attraverso una denuncia che

diviene esplicita e comprensibile anche per chi è privo di capacità critica. A differenza degli altri artisti più propriamente “pop”, per lei non si tratta di

mutare un linguaggio da un altro campo, ma di rendere questo parte integrante della sua opera artistica, abbattendo le divisioni tra cultura alta e bassa, arte e attività commerciale. Le sue immagini sono piacevoli e attraenti anche

per i meno colti in arte e proprio questo è il punto forte della sua arte. L’immagine piacevole è però subito rotta dal suo occhio critico che si staglia

sull’immagine nella forma di una scritta appariscente, tendenzialmente rosso vivace, che distrugge completamente l’intento mediatico, ex-intento reale dell’immagine. L’immagine di base è tratta dalla Kruger dal reale mondo dei

media, sulle quali poi lei aggiunge frasi estremamente sintetiche, quasi fossero degli slogan. Alcuni dei suoi slogan risultano tanto potenti ed efficaci da

diventare famosi come tormentoni pubblicitari (spesso fuorvianti rispetto al reale significato inteso dalla Kruger). È il caso di “I shop therefore I am”, (Compro quindi sono), che consiste in una rilettura in chiave consumistica del

famosissimo “Cogito ergo sum”. La sua arte è particolarmente critica anche verso i principi di conformismo e omologazione imposti prima dai regimi totalitari, e

successivamente dal capitalismo moderno come strumento di controllo delle masse.

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Ben Hale - “Consumerism”

Ben Hale - “Purchaising Power”

Andy Warhol - “Consumerism”

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10.0

David LaChapelle

David LaChapelle è un fotografo e regista statunitense. È attivo nei campi della moda, della pubblicità ed in senso lato alla fotografia d'arte. Fu Andy Warhol ad offrire a LaChapelle il suo primo incarico professionale fotografico per la rivista Interview magazine. Inoltre lavora per copertine e servizi fotografici di riviste, fra cui Vanity Fair, GQ, Vogue, The Face, Arena Homme e Rolling Stone.

Nel Diluvio di LaChapelle vi è una moltitudine in balia di un enorme disastro naturale e vi sono simboli dell’establishment internazionale, i quali ci permettono di collocare l’ immagine nel mondo contemporaneo. Tra questi marchi riconosciamo il Caesar’s Palace noto casinò di Las Vegas, il marchio Gucci e le due note catene commerciai Burger King e Caffè Starbucks.

La corsa al consumismo, la caduta dei valori universali e l’attaccamento spasmodico ai beni materiali sono l’oggetto dell’incisiva critica sociale di La Chapelle. Un barlume di speranza è simboleggiato dalla colomba che compare sulle macerie del Caesar Palace; ecco un chiaro elemento di iconografia religiosa. In questa opera troviamo un manichino: la metafora di un’ umanità clonata, figlia dell’epoca che ha sfidato le barriere della  bio-tecnologia. La salvezza, a questo punto, sembra poter giungere solo attraverso le relazioni umane, le alleanze tra popoli, la solidarietà.

Nelle opere di LaChapelle troviamo spesso dei riferimenti pittorici: nel Diluvio è evidente il richiamo a La zattera della Medusa di Théodore Géricault, sulla sinistra.

“David LaChapelle’s iconography is firmly anchored in the heart of the turbulent visual culture of recent decades and offers a mosaic of passion, humour, exaggeration and critical reflection. His perspective is often paradoxical and the drastic address is captivating and invites the viewer to laugh, enjoy, critique, reflect and debate.”

Curators of the Fotografiska Museet in Stockholm: Patrik Steorn, Min-Jung Jonsson

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11.0

The Velvet Underground

Music as anti-capitalist statement.Their poetry was not to please the academic intelligentsia but portray much

darker and fathomless agony of the generation. Even though they were great poets of the metropolis, Velvets never used that for a pleasing effect.  “Their poetry is a continuous reference to the degradation of modern life, to the alienation of the city, to the existential desperation of chronic loneliness, to the moral and physical violence shared by an entire population of modern “losers”.

La musica come dichiarazione anti-capitalista.

La poesia dei The Velvet Underground ritrae la più oscura e insondabile agonia

della generazione moderna. Anche se erano grandi poeti della metropoli, Velvets non hanno mai utilizzato tale poesia per ottener un effetto piacevole. “La loro poesia è un continuo riferimento al degrado della vita moderna, per

l'alienazione della città, per la disperazione esistenziale di solitudine cronica, la violenza morale e fisica condivisa da un'intera popolazione di

moderni" perdenti ".

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Conclusione

TOTALITARISMO CAPITALISMO

capo carismatico, la cui funzione coincide con il partito e lo stato stesso

industria del consumo, la quale agendo esclusivamente all’interno della società coincide con essa

controllo coercitivo e forzato dell’opinione pubblica, attraverso una propaganda manipolatrice delle menti che propone modelli a cui aspirare

controllo dell’opinione pubblica, attraverso l’imposizione di modelli a cui aspirare per mezzo dell’immagine offerta dai media

individuo-massa spersonalizzato, svuotato di capacità critica, tendente a conformarsi all’opinione della massa, e in questo senso portato ad omologarsi

individuo-massa spersonalizzato, svuotato di capacità critica, tendente a conformarsi all’opinione della massa, e in questo senso portato ad omologarsi

imposizione di un’ideologia ufficiale, quella del partito, che permea la vita quotidiana rendendo gli individui subalterni ai suoi precetti

imposizione di principi universali, del piacere, della frivolezza, del divertimento, che permeano la vita quotidiana rendendola subalterna a tali principi

“Lo spettacolo è la dittatura dell’illusione nella società moderna”

Guy Debord

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12.0

Bibliografia e sitografia

12.1 Bibliografia

Guy DebordLa società dello spettacoloCommentari alla società dello spettacolo

Mario Vargas LlosaLa civiltà dello spettacolo

Alessandro Baricco I barbari

Mario Lunetta Prefazione alla coscienza di Zeno di Italo Svevo

Valerio CastronovoUn mondo al plurale (volume 3a)

12.2 Sitografia

www.pasolini.net (Pier Paolo Pasolini)

www.studieriflessioni.blogspot.it (Pietro De Michelis)

www.guyernestdebord.wordpress.com (Guy Debord)

www.storiaestorici.it (Andrea Pesce)