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Sociologia Economica Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2008-2009) prof. Domenico Carbone L’inflazione Il termine inflazione, dal latino inflatio-onis, gonfiore, indica una crescita nell'utilizzo di un determinato oggetto o comportamento, precedentemente di uso sporadico. L'aumento del livello generale dei prezzi determina una perdita di potere d'acquisto della moneta: con la stessa quantità di denaro si può cioè acquistare una minore quantità di beni e servizi. A titolo esemplificativo, 1 Lira italiana del 1861 (la Lira coniata al momento della proclamazione del Regno d'Italia) equivale ad oltre 6.000 lire del 1999 e ad oltre 3 Euro del 2006. L'uso più comune è quello utilizzato in economia, dove indica un incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi nel tempo.

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Sociologia Economica

Università di Torino (sede di Biella) cdl Servizio Sociale (a.a.2008-2009) prof. Domenico Carbone

L’inflazione

Il termine inflazione, dal latino inflatio-onis, gonfiore, indica una crescita nell'utilizzo di un determinato oggetto o comportamento, precedentemente di uso sporadico.

L'aumento del livello generale dei prezzi determina una perdita di potere d'acquisto della moneta: con la stessa quantità di denaro si può cioè acquistare una minore quantità di beni e servizi. A titolo esemplificativo, 1 Lira italiana del 1861 (la Lira coniata al momento della proclamazione del Regno d'Italia) equivale ad oltre 6.000 lire del 1999 e ad oltre 3 Euro del 2006.

L'uso più comune è quello utilizzato in economia, dove indica un incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi nel tempo.

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Le cause dell’inflazione

Vi sono diverse possibili cause dell'inflazione.

1) L'aumento dell'offerta di moneta superiore alla domanda. In questa situazione è stimolata la domanda di beni e servizi e gli investimenti, con conseguente aumento graduale del loro costo

2) l'aumento dei prezzi dei beni importati, soprattutto per quanto riguarda le materie prime

3) l'aumento del costo dei fattori produttivi e dei beni intermedi

Nell'ambito dell'aumento del costo dei fattori produttivi, un ruolo significativo è svolto dall'aumento del costo del lavoro. Il costo del lavoro aumenta sotto la spinta della domanda, ma anche in seguito alle rivendicazioni salariali, ai meccanismi automatici o semiautomatici di adeguamento di salari e stipendi a precedenti aumenti dei prezzi e al rinnovo dei contratti di lavoro.

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L’interpretazione della crisi: economia e sociologia economica

Inflazione, rallentamento dello crescita economica e disoccupazione (stagflazione) sono gli elementi che contraddistinguono la crisi dello stato sociale keynesiano durante gli anni ‘70.

Tale situazione ha messo in atto comportamenti nuovi da parte dei principali soggetti chiamati ad intervenire nei processi di regolazione dell’economia: governi, sindacati, rappresentanti delle imprese.

Due filoni di studio hanno cercato di interpretare queste nuove dinamiche istituzionali:

- L’ipotesi monetarista di derivazione neoclassica

- La political economy di derivazione socio-economica

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L’ipotesi monetarista

Secondo l’approccio di derivazione economica-neoclassica, la causa dell’inflazione è esogena rispetto al funzionamento dell’economia

Secondo questo approccio i problemi derivano dalla debole capacità dei governi a resistere alle pressioni politiche per una espansione della spesa sociale.

L’impegno che lo Stato ha assunto per mantenere elevati livelli occupazionali ha creato, secondo questa ipotesi, delle aspettative presso i lavoratori di crescita costante delle loro quote di reddito

A tali aspettative sono seguite delle azioni di pressione politica effettuata dai sindacati sui governi che hanno innescato delle spirali inflazionistiche.

Caratteristica centrale di questo approccio è quella di considerare questi aspetti “sociali” esterni al funzionamento stesso dell’economia.

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La political economy secondo l’approccio neoutilitario

Nell’approccio della political economy, i comportamenti di pressione politica sono considerati, invece, strutturali ed endogeni al funzionamento stesso dell’economia.

Tale approccio può essere suddiviso in due teorie separate: l’approccio neoutilitario (teoria delle scelte pubbliche) e l’approccio della sociologia economica.

Nella teoria delle scelte pubbliche l’origine dei problemi inflazionistici, nel modello di regolazione keynesiano, va individuato nei momenti che precedono una scadenza elettorale. È in queste occasioni che si avvia un ciclo politico-elettorale , vale a dire una espansione economica politicamente indotta.

Il tentativo dei rappresentanti di governo di essere rieletti apre la strada a concessioni politiche che si concretizzano nell’aumento della spesa pubblica e/o nella riduzione delle tasse durante il periodo pre-elettoraleL’effetto inflattivo delle scelte politiche, infatti, è sempre posticipato e si manifesta, quindi, solo nel periodo post-elettorale.

Questo meccanismo produce effetti di lungo corso. Nel momento in cui gli effetti inflattivi si manifestano, infatti, cresce anche la pressione dei sindacati per l’adeguamento salariale e, di conseguenza, si avvia una vera e propria spirale inflattiva

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La political economy secondo l’approccio della sociologia economica

L’approccio della political economy della sociologia economica parte dal tentativo di spiegare perché i governi cercano di aumentare il loro consenso attraverso la spesa pubblica.

Secondo Goldlthorpe l’espansione della spesa pubblica ed i conseguenti rischi inflattivi sono il risultato di un conflitto distributivo alimentato dalle pressioni provenienti dalle classi subalterne. Tali pressioni si sono acuite nel corso del tempo per due motivi:

Da una parte si sono progressivamente delegittimate le disuguaglianze sociali. Se nella prima fase di affermazione della società moderna le classi subalterne hanno “accettato” la condizione di inferiorità e di subalternità, nella fase di maturazione del capitalismo tale accettazione avviene sempre meno. In questa fase, infatti, crescono sempre di più le richieste di miglioramento delle condizioni generali di vita (reddito, servizi, assistenza, etc.)

Dall’altra parte il sistema di protezione sociale, che si è diffuso dopo la seconda guerra mondiale, ha diminuito la dipendenza delle classi subalterne dal mercato accrescendone, quindi, il potere contrattuale. Questo si è tradotto in un aumento progressivo della forza contrattuale dei sindacati nei confronti delle imprese.

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Verso una prospettiva comparata dei sistemi di regolazione

L’approccio della political economy della sociologia economica è diverso rispetto agli altri descritti in precedenza perché sostiene che il ruolo centrale della domanda (proveniente dalla società) nella spiegazione del comportamento dei governi (offerta)

In altre parole, le scelte politiche non sono intrpretabili soltanto come scelta razionale dell’elitépolitica (teoria delle scelte pubbliche) o come errori tecnici degli uomini di governo (teoria monetarista). Esse derivano dalla capacità della domanda (l’insieme degli interessi dei gruppi organizzati nella società) di stimolare delle risposte per il soddisfacimento dei propri bisogni

Tale approccio apre all’analisi comparata poiché presuppone che la capacità di pressione della domanda proveniente dalla società nei confronti dei governi sia variabile in base a fattori di natura culturale e in base alle caratteristiche del sistema di rappresentanza degli interessi (sindacati, partiti, associazioni, etc.)

In questa prospettiva i processi inflazionistici non sono un effetto strutturale della regolazione keynesiana, ma l’effetto di un malfunzionamento delle risposte politiche alle caratteristiche specifiche della domanda.La spirale inflazioistica si avvierebbe, ad esempio, solo nei casi in cui la rappresentanza politica frammentata non è in grado di tenere sottocontrollo il conflitto distributivo tra i diversi gruppi.

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La political economy comparata

Partendo dalla teorie contenute nell’approccio di political economy della sociologia economica, durante gli anni ’70 si sono sviluppati diversi studi comparati che avevano l’obiettivo di confrontare le performance economiche dei diversi paesi in riferimento alle diverse scelte politiche attuate e alle caratteristiche dei sistemi di rappresentanza degli interessi.

La domanda alla base di questi studi è: perché durante gli anni ’70 paesi come Italia, USA e Gran Bretagna registrano un grado molto elevato di conflittualità sociale, disoccupazione e inflazione, mentre altri paesi come quelli scandinavi, l’Austria e la Germania riescono a tenere sottocontrollo questi problemi?

La risposta è che questi paesi si differenziano tra loro per quanto riguarda due dimensioni:

- Il sistema di organizzazione degli interessi

- Il processo di decisione politica

Le caratteristiche assunte da queste due dimensioni danno vita a due modelli di regolazione sociale differenti: il modello pluralista ed il modello neocorporativo

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Il modello Pluralista

Il modello di regolazione politica dell’economia di tipo pluralista è caratterizzato:

Per quanto riguarda la dimensione dell’organizzazione degli interessi da un numero elevato di associazioni volontarie di piccole dimensioni che esprimono una rappresentanza degli interessi specifica e settoriale. Il sistema di rappresentanza degli interessi è, quindi, poco centralizzato e con scarse capacità di coordinamento

Per quanto riguarda il processo di decisione politica su un’elevata concorrenza tra le organizzazioni degli interessi che influenzano le decisioni politiche con attività di lobbying(politica della pressione) sui settori e gli ambiti di proprio interesse. I soggetti politici sono, a loro volta, in concorrenza tra di loro per accaparrarsi il sostegno da parte dei gruppi di interesse organizzati

Offerta e domanda politica sono quindi frammentate e scarsamente coordinate

Questo modello rappresenta la forma di regolazione prevalente nei paesi anglosassoni e soprattutto negli USA

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Il modello Neocorporativo

Il modello di regolazione politica dell’economia di tipo neocorporativo è caratterizzato:

Per quanto riguarda la dimensione dell’organizzazione degli interessi da ristretto numero di grandi associazioni che raccolgono gli appartenenti ad ampi settori economico-produttivi (es. l’industria o l’agricoltura). Si tratta in pratica di un modello caratterizzato da monopolio/oligopolio del sistema di rappresentanza in cui le organizzazioni sono più centralizzate e coordinate al proprio interno e all’esterno con le altre associazioni.

Per quanto riguarda il processo di decisione politica questo modello si basa sulla concertazione: le rappresentanze sindacali delle imprese ed il governo interagiscono nella definizione e spesso nella implementazione delle politiche economiche, sociali e del lavoro

Offerta e domanda politica sono quindi poco frammentate e fortemente coordinate

Questo modello rappresenta la forma di regolazione prevalente, seppur con molte differenze, nei paesi Europei

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Il successo del modello neocorporativo negli anni ‘70

Le evidenze empiriche emerse dagli studi di political economy durante gli anni ’70 mostrano una maggiore capacità del modello neocorporativo nel tenere sottocontrollo la “stagflazione” :

Questo vuol dire che all’interno di questa logica regolativa si riesce a controllare meglio gli effetti imprevisti della piena occupazione favorita dalla politiche economiche keynesiane.

Ciò avviene in ultima istanza, perché le organizzazioni dei lavoratori riescono, più che in altri contesti, a tenere sottocontrollo la crescita salariale. Tale situazione è favorita da:

- Una elevata centralizzazione del potere di rappresentanza che vuol dire autonomia decisionale dei rappresentanti rispetto ai rappresentati

In queste condizioni i sindacati possono operare meglio secondo un programma di lungo corso in cui sacrificando nell’immediato i benefici economici della crescita salariale, riescono ad ottenere un maggiore impegno redistributivo dello Stato attraverso le politiche pubbliche. E’ per questo motivo che la concertazione in questi paesi si focalizza intorno ad un “pacchetto” di interventi (sociali, lavorativi, sanitari etc.) e non soltanto sulle questioni salariali

- Scarsa concorrenza tra le organizzazioni di rappresentanza degli interessi

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Il vantaggio per i sindacati

Se la logica di regolazione neocorporativa funziona, nel lungo periodo, anche il sindacato ne ottiene dei vantaggi. Scongiurando la crisi economica, infatti, i sindacati riescono a preservare la propria stabilità organizzativa ed il proprio potere di rappresentanza non è minacciato da una eventuale situazione di disoccupazione

Ovviamente, però, la possibilità per i sindacati di seguire tale logica dipende anzitutto dalle dimensioni delle organizzazioni di rappresentanza. Sindacati piccoli hanno meno possibilità di incidere sulla regolazione complessiva del mercato del lavoro e quindi i loro obiettivi saranno più a breve termine e legati alla difesa degli interessi specifici degli associati.

Infine va sottolineato che l’azione sindacale è influenzata anche dall’ideologia, dalla storia e dai valori che caratterizzano le diverse organizzazioni di rappresentanza. Sindacati che, ad esempio, si ispirano ai principi di rappresentanza degli interessi di tutti i lavoratori e non solo degli iscritti, saranno più inclini a valutare gli effetti della concertazione in una logica di lungo periodo e i benefici che ne possono derivare per l’intera classe dei lavoratori.

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Il ruolo del governo e delle organizzazioni imprenditoriali

Nei processi di concertazione che caratterizzano il modello neocorporativo i sindacati si trovano ad agire in interazione con altri due soggetti collettivi: il governo e le organizzazioni che rappresentano gli interessi delle imprese.Anche per questi soggetti, le modalità di intervento nei processi concertativi dipendono da fattori, ideologici, storici e valoriali

Nel caso dei governi ad esempio, coalizioni o partiti di sinistra sono, generalmente, più sensibili al confronto ed al consenso con i sindacati. In generale, comunque, è nelle situazioni in cui i governi sono pro-labour che i sindacati acquisiscono una maggiore fiducia sugli effetti complessivi della regolazione e sono quindi più inclini ad accettare, nel breve, la moderazione salariale.

La partecipazione ed il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori è correlato alla forza e alla “combattività” sindacale e alla maggiore o minore propensione “interventista” dei governi. Data la loro posizione di vantaggio nel mercato, la loro scelta se e come intervenire dipende, infatti, da una parte dalla eventuale “minaccia portata” dai rappresentanti dei lavoratori e, dall’altra, dal rischio di una eccessiva ingerenza istituzionale nei mercati

Ovviamente la capacità organizzativa e di coordinamento degli imprenditori dipenderà, anche, dalle caratteristiche del sistema produttivo specifico di ciascun paese

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La varietà dei modelli: neocorporativismo forte

Il neocorporativismo non è un modello di regolazione universale. Esso, infatti, non si sviluppa in tutti i paesi ad economia di mercato e dove ciò avviene si evidenziano, comunque, delle importanti differenze istituzionali tra i paesi

In letteratura, normalmente si distingue tra:

- Neocorporativismo con organizzazioni dei lavoratori forti (Paesi Scandinavi e Austria) è caratterizzato da un elevato grado di monopolio nella rappresentanza sia dei lavoratori sia delle imprese e dalla presenza di partiti di sinistra (socialisti/socialdemocratici) che detengo il governo per un lungo periodo.

In tale contesto i sindacati limitano la conflittualità salariale ottenendo in cambio l’impegno dei governi al sostegno dell’occupazione e all’estensione di un welfare state universalistico

Tale modello ha dimostrato una elevata capacità di tenere sottocontrollo la stagflazione durante gli anni ’70 ed ‘80

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La varietà dei modelli: neocorporativismo debole

- Neocorporativismo con organizzazioni dei lavoratori deboli (Olanda, Belgio, Svizzera) è caratterizzato da sindacati più deboli e frammentati e contraddistinti da una ideologia di matrice, spesso, religiosa (Olanda e Belgio) e quindi non necessariamente legata al movimento socialista. Nonostante tale frammentazione i sindacati sono stati in grado di sviluppare un elevato grado di coordinamento tra di loro e con le organizzazioni delle imprese

La minor forza dei sindacati, però, rende meno percorribile lo scambio politico centralizzato. L’effetto più evidente di questo modello di regolazione è rappresentato dal carattere del sistema di protezione sociale che è contraddistinto da un modello redistributivo di tipo “meritocratico-corporativo”

A metà strada tra questo modello ed il neocorporativismo forte si colloca la Germania che è caratterizzata da sindacati forti ma che hanno mostrato una scarsa capacità di coordinamento e di centralizzazione favorendo, quindi, una concertazione settoriale e non universale

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La varietà dei modelli: neocorporativismo instabile

- Il neocorporativismo instabile (Italia e Gran Bretagna) è caratterizzato da sindacati che si sono raffororzati soprattutto nel corso degli anni ’70, ma caratterizzati da un ridotta capacità di coordinamento (soprattutto in GB) e da un basso grado di centralizzazione per la presenza di diverse confederazioni (soprattutto in Italia)

A contraddistinguere questo modello è anche la presenza costante di governi scarsamente orientati in senso “pro-labour”

Il ricorso alla concertazione in questo modello non è costante, ma avviene in coincidenza di particolari momenti di crisi istituzionale e/o economica e quindi gli effetti della regolazione sono sporadici e frammentati

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I fattori costitutivi del neocorporativismo

Alla base dello sviluppo di un modello di regolazione neocorporativista possono essere individuati alcuni fattori:

1) La presenza di sindacati forti. Senza questo fattore, infatti, non è possibile mettere in discussione gli equilibri di mercato e quindi le organizzazioni delle imprese saranno orientate a spostare il conflitto sul un piano più decentrato (settoriale, aziendale), mentre i governi non saranno chiamati ad intervenire sulla regolazione dei rapporti di lavoro perché questi non rappresentano una minaccia estesa

2) Capacità di coordinamento dei sindacati in assenza della quale risultano fortemente limitate le possibilità di istituzionalizzazione stabile del neocorporativismo

3) Presenza nei governi di partiti di sinistra generalmente più propensi a facilitare la concertazione

4) Presenza di un efficace sistema amministrativo in grado di garantire i benefici sociali derivanti dalla concertazione e dagli interventi pubblici

5) Scarso radicamento culturale del liberalismo o di culture (spesso religiose) che si oppongono alla regolazione “centrata” tra Stato e rappresentanti degli interessi della società civile

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Gli anni ’80 e ‘90 e l’indebolimento del modello neocorporativo

Se fino agli anni ’70 il modello neocorporativo veniva indicato come il modello di regolazione più efficace nella gestione dell’equilibrio tra mercato, politica e società, a partire dagli anni ’80 una serie di cambiamenti hanno determinato un indebolimento di questa efficacia. Essi riguardano:

1) La frammentazione degli interessi delle classi lavoratrici e l’indebolimento dei sindacati come conseguenza dei processi di terziarizzazione della produzione e della frammentazione delle figure professionali

2) Conseguente minore vulnerabilità nel conflitto distributivo degli imprenditori e dei governi

3) Spinta delle organizzazione di rappresentanza delle imprese verso una contrattazione decentrata sostenuta dalle esigenze di flessibilità produttiva

4) Emergere di vincoli macro-economici (globalizzazione, Fondo Monetario, U.E.) che limitano le possibilità di manovra dei governi

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Il modello di regolazione fondato sul “decreto”

Oltre al modello pluralista e a quello neocorporativo un’altra forma di regolazione politica dell’economia è rappresentata dal cosiddetto “decreto”

Si tratta di un modello di regolazione caratterizzato da una elevata autonomia dei governi rispetto alle pressioni provenienti dalle organizzazione di rappresentanza degli interessi. Queste ultime sono piuttosto deboli e l’assetto delle istituzioni pubbliche non ne facilita una integrazione strutturale nei processi di decisione politica

Da un punto di vista istituzionale questo modello si basa, inoltre, su un ruolo rilevante del sistema burocratico molto efficiente che, di fatto, consolida il margine di azione “dirigistico” dei governi

La regolazione dell’economia avviene prevalentemente attraverso il coordinamento tra governo e le rappresentanze delle imprese

Le forze politiche di sinistra sono deboli e quasi sempre escluse dai governi.

I paesi ad economia di mercato rappresentati in questo modello sono: Francia e Giappone

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Gli effetti della regolazione fondata sul “decreto”

I risultati della regolazione fondata sul decreto sono:

- Scarsa incidenza dei fenomeni inflattivi

- Basso livello di disoccupazione

- Elevati tassi di crescita economica

- Basso livello della spesa pubblica per servizi di welfare

Rispetto al modello neocorporativo l’intervento pubblico è indirizzato prevalentemente verso le politiche economiche e meno su quelle redistributive

Rispetto al modello pluralista questo modello mostra una maggiore capacità di controllo dell’inflazione come effetto di un governo molto più interventista

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La varietà dei sistemi di regolazione

I risultati mostrati dal decreto mettono in evidenza che il neocorporativismo non è una esigenza funzionale del capitalismo contemporaneo. I presupposti sociali per il suo consolidamento non sono presenti in tutti i paesi in egual misura ed i risultati attesi della regolazione possono essere raggiunti anche in altre forme e con equilibri istituzionali differenti

Ciò avviene perché all’interno di ciascun paese si struttura un sistema di regolazione dell’economica specifico

Con il termine sistema di regolazione dell’economica si deve intendere la combinazione tra le diverse forme di integrazione dell’economia nella società (reciprocità, redistribuzione, scambio di mercato)

Questo termine rappresenta un concetto analitico fondamentale per l’analisi socio-economica contemporanea perché, da una parte, garantisce la comparazione tra contesti regolativi differenti e, dall’altra, è uno strumento di analisi flessibile che può essere applicato a diverse dimensioni dell’analisi