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S O G G E T T I E P R O T O T I P I D E L L A SCULTLJRA L I G N E A I N E U R O P A X I I - X V SECOLO
[ N I K O D U Z I O N E
Lo studio di un materiale settoriale come quello della scultura a tutto tondo in legno rispetto all'immaginario, sia esso scolpito o dipinto, che ne rappresenta i l naturale completamento costituisce sempre una operazione di «astrazione1 dal contesto di un particolare «oggetto» che occorre motivare, o in ogni caso ricondurre ai l i m i t i di frammento significativo di un più vasto programma. Se nelle pagine precedenti sono stati privilegiati i nessi di natura culturale e storica che costituiscono i l quadro nel quale deve essere posta la produzione lignea, la presente sezione divide i l materiale in scultura lignea a tutto tondo della regione europea cercandone una distinzione basata sulla tradizionale periodizzazione di un'epoca che dagli esordi del X I I secolo, nel cuore cioè dell'esperienza medioevale, trova successivamente, nel X I I I e nel X I V secolo, le sua fasi di maturazione e di trasformazione fino alle soglie della Rinascenza.
La maturità e " l 'Autunno del Medio Evo», per usare una espressione felice di Huizinga, sembrano allora essere i l imi t i estremi di una stagione d'oro della scultura in legno «. lie polla avere, in ale une aree peritene he rispetto allo sviluppo «centrale» dell'espressione plastica, una continuità e un fortuna indiscutibili , ma che si pongono come ••minori" o «popolari», per usare una espressione cara a Hegel, rispetto a altri materiali, in particolar modo i l bronzo e i l marmo, recuperati al pieno della loro eco «classica».
La suddivisione del materiale in discussione segue allora la continuità cronologica individuando un «primo tempo» della scultura in legno a tut to tondo nel X I I secolo, in una significativa emancipazione della policromia dal rivestimento metallico che caratterizza l'epoca carolingia e ottoniana, ancora impregnata dal gusto barbarico per i l feticcio. Successivamente è i l secolo X I I I , come maturità del pensiero medioevale, emancipato dalla pesantezza dell'eredità, classico e ricco ormai di una storia alle spalle, e come esplosione delle diversità «nazionali» che trovano nel X I V secolo i l loro radicamento in una visione «latina» e in una visione «nordica» della rappresentazione. E i l percorso si chiude nel X V secolo, quando una nuova internazionalità sembra miscelare nelle corti europee un immaginario in cui la dimensione laica sembra
progressivamente prendere un ruolo determinante. Rispetto alla pittura o alla scultura un immaginario di
pinto o scolpito in stretta relazione diretta con l'edificio architettonico, la produzione a tut to tondo del X I I secolo in Europa conosce un l imitato ventaglio di soggetti e una significativa ripetitività dell'iconografia.
I temi più frequentati saranno quelli del Cristo croce-fìsso, della Vergine in trono, del complesso statuario della Crocifissione e della Deposizione corredate dalle statue dei piangenti.
E proprio i l numero l imitato dei soggetti realizzati a tutto tondo a spingere in tal senso a una suddivisione del materiale in discussione: i l percorso sarà allora quello che dal Crocifìsso monumentale, centro fisico e psicologico dell'attenzione del fedele, si sposterà alle dimensioni più ridotte del gruppo della Vergine e del Bambino e a quello «teatrale» della Crocifissione; la ricognizione si conclude con un breve accenno a altri soggetti (l 'Annunciazione, le statue dei santi) che hanno una fortuna cronologica successiva. Risulta abbastanza diffìcile tracciare una geografìa accertata dei diversi centri di produzione della scultura l i gnea delle origini in quanto lo scambio delle informazioni , lo spostamento degli artigiani e la natura particolare dei luoghi in cui le opere venivano collocate, rendono più unitario di quanto non possa suggerire una distinzione geopolitica dell'Europa moderna. Evidentemente con questo non si vuole affermare un linguaggio «comune» del romanico per tutta l'Europa: influenze e tradizioni carolingie e ottoniane, capaci oltretutto di interpretare originalmente una tradizione bizantina, in quanto imperiale, l'emergere ancora di un sostrato provinciale di origine barbarica, nell 'Alvernia come alla periferia della Europa cristiana, nei paesi scandinavi, la presenza ancora dell'esperienza «greca» conosciuta direttamente nella penisola italiana o indirettamente, attraverso i l f i l tro del mondo arabo, in quella spagnola, rendono complessa una distinzione per sua natura statica e incapace di riconoscere influenze e scambi nel contesto europeo e nelle sue aderenze verso l'esterno.
D'altra parte, a una rapida osservazione delle fonti e dei pr imi documenti riferibili al X V I secolo, emergono alcuni «nodi» di produzione, e soprattutto si evidenziano
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alcuni «prototipi» che avranno nel corso del secolo, ma anche in quelli successivi, una particolare fortuna. Questa «singolarità» può essere motivata dalla perdita di un consistente numero di documenti lignei causa la fragilità e lo stesso uso liturgico a cui erano destinati; rimangono comunque i centri dell'Alvernia e della Spagna i luoghi dove la produzione di sculture lignee a tutto tondo conoscono la storia più ampia dal punto di vista quantitativo, soprattutto più consecutiva, leggibile cioè attraverso l ' individuazione di un prototipo, o di più protot ipi , e delle successive varianti.
Questo aspetto del problema, cioè quello della continuità nel tempo pur limitato del X I I secolo di una produzione omogenea di sculture, spinge, contrariamente a quanto precedentemente affermato, per i l soggetto del Cristo Crocifìsso a privilegiare una distinzione di natura geografica rispetto a una esposizione «indifferenziata» dei t ipi e dei luoghi del Romanico. Per quanto riguarda i l soggetto della «Vergine in maestà», dare rilievo all 'Alver-nia e alla Spagna rispetto a altri centri di produzione, come l'Italia e i l sistema Reno-Mosa, non vuol dire proclamarne l'eccellenza o ancor più la priorità, quanto organizzare i l materiale a partire da ciò che è a noi pervenuto.
Una distinzione per «aree geografiche» deve allora essere corretta in una distinzione per «prototipi» e in base alla loro fortuna: questo non esclude pertanto la ricerca di una connessione fra i diversi centri d i produzione che, proprio in un'epoca come quella romanica, sembra essere carattere a tut t i gl i effetti vincente e vincolante una analisi corretta del fenomeno.
I L CRISTO CROCIFISSO
« Cristo uno e medesimo, perfetto nella sua D i v i n i tà e nella sua Umanità, vero D i o e vero uomo, composto di un'anima razionale e di un corpo. Egli, uno e medesimo, è della stessa sostanza del Padre secondo la Divinità ed è della nostra stessa sostanza secondo l'umanità.
Nato dal Padre prima di ogni tempo rispetto alla D i v i nità, per noi e per la nostra salvezza nacque da Maria Vergine e Madre di D i o rispetto all'umanità. N o i crediamo un solo e medesimo Cristo, figlio del Signore, unigenito, in due nature, senza confusione o cambiamento, senza divisione o separazione». Lo stralcio della dichiarazione finale del Concilio di Cal-cedonia del 451, i l più importante per numero di partecipanti fra i Concilii della prima epoca della Chiesa, mette fine, sia pure con un'«ellenizzazione» della dottrina cristiana, a conflitto monofìsita che aveva traumaticamente contrapposto Oriente ed Occidente. La definizione della
doppia natura e della perfezione raggiunta in entrambe, fatta eccezione per i l peccato originale, pone la figura del Cristo come centrale nella dottrina e nella pratica.
Uno dei punti cardine dell'iconografia cristiana, accanto a quelli delia divinità giudice e del Pantocratore, è costituito dalla sua morte sulla croce; la sua centralità nel programma memorativo e divulgativo della ( Chiesa supera le continue evoluzioni delle regole e degli stili, fra espansione e restrizione del culto delle immagini o dei soggetti localmente venerati in una tensione antifeticistica che percorre una fetta consistente del contesto di cui ci stiamo occupando.
E noto, e già precedentemente ricordato, il duplice intervento censorio di Bernardo di Clairvaux e del suo avversario Abelardo sulla disciplina degli arredi presenti nei luoghi di culto dei monasteri, sostanzialmente r idott i alla croce dipinta o scolpita.
Iconograficamente i l tema si sviluppò nell'epoca successiva a Costantino, legato oltretutto al leggendario rinvenimento della reliquia ad opera della Madre Elena, ma la croce veniva rappresentata senza la figura del Cristo. Solo a partire dal V I secolo troviamo l'immagine della crocifissione come a noi è più nota, restando comunque rara nel periodo bizantino fino a quello carolingio, pr ivi legiando in ogni caso la denominazione oggettistica r i spetto a quella monumentale.
La figura della croce e i l suo uso come strumento di pena conosce, fin dall'esordio della predicazione nel mondo romano della nuova religione, una sua contraddittoria fortuna: i l duplice valore di «trono» e di «forca» è presente nelle stesse parole di Cristo riportate in Giovanni 12,32 in cui l'espressione «elevato dalla terra» indica a un tempo la pena della crocifissione e la sua ascensione al cielo nel giorno della resurrezione. I l tema del martirio, apparentemente segnale della sconfìtta terrena, si trasforma in vittoria sulla morte.
E situazione altrettanto conflittuale, scandalosa, è registrata da Paolo nella prima lettera ai Corinzi, in cui si insiste sul «rovesciamento di senso» che l'incarnazione e i l sacrifìcio della divinità portano confondendo traumaticamente la «sapienza del mondo». «E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifìsso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di D i o e sapienza di Dio». (Corinzi, I , 21-24).
I l procedimento logico del ribaltamento semantico fra stoltezza e sapienza accentua la contrapposizione fra «vecchio» e «nuovo» attribuendo a un oggetto, o meglio a figure culturalmente negative come lo strumento di supplizio o la stessa condanna capitale, un valore radicalmente opposto, di gloria.
N e l già ricordato contraddittorio fra i l pagano Cecilio e il cristiano Ottavio riportato nell 'omonima opera di M i nucio Felice, i l tema della croce conosce accenti diversi che occorre brevemente ricordare: nelle parole di Cecilio
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