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Solve et Coagula «18. Se vuoi turbare, devi turbarti. Se vuoi che ti si ami, ama. Non si riceve in azioni e ascendenza che in similarità. Una cosa attira o crea il suo stesso corrispettivo.» l principio del "solve et coagula" va applicato ad ogni aspetto dell'esistere, l'esempio dell'evoluzione di pensiero ne è conferma. Un pensiero nasce, si forma... muore e dallo stesso ne nasce un nuovo che nel suo "dna" conserva le informazioni del precedente ma si assicura una forma dissimile poiché correlata dagli aspetti che ne hanno determinata la fine stessa. Il mistero profondo della Vita è racchiuso dietro queste due parole sacre: “Solve et Coagula”. Tali operazioni sono l’effetto diretto dell’impiego di una forza particolare che agisce sulla materia. E’ per questo che, raggiunto il Fuoco Sacro, anch’esso Uno e Trino, poiché costituito dall’allineamento delle tre fiamme (Philòs, Eros, Agape) in un'unica “fiamma”, si conquista il potere sulla materia e sui metalli, potendo trasformare i vizi plumbei in virtù auree. Sin dai tempi più remoti, i filosofi cercarono di comprendere i meccanismi soggiacenti all'ordine divino. Molto tempo prima della fisica moderna, l'alchimia poneva in rilievo la sua più importante operazione, il "Solve et Coagula". Con il termine Solve o Solutio, si manifestava la rottura degli elementi, mentre l’espressione Coagula si riferiva alla loro riunione. Per il ricercatore dello Spirito, "solve" esprime la dissolvenza delle posizioni forzate, degli stati negativi del corpo e della mente, il dover dissolvere e far svanire cariche energetiche negative, mentre "Coagula", si riferisce alla coagulazione degli elementi, dispersi in un tutto integrato, che rappresenta la nuova sintesi. Cosi il reale significato di queste tre parole ("Solve et Coagula") e la formula che gli antichi alchimisti usavano per indicare quella trasformazione e rigenerazione spirituale, a cui ogni ricercatore dello Spirito, è votato. Essa può anche essere descritta, come quel processo, dove qualcosa è decomposto dai suoi elementi e che produce quell’energia, che costringe l’uomo ad una ricostituzione, ad una forma più pura.

Solve Et Coagula

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Solve et Coagula

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Solve et Coagula

«18. Se vuoi turbare, devi turbarti. Se vuoi che ti si ami, ama. Non si riceve in azioni e ascendenza che in similarità. Una cosa attira o crea il suo stesso corrispettivo.»

l principio del "solve et coagula" va applicato ad ogni aspetto dell'esistere, l'esempio dell'evoluzione di pensiero ne è conferma.

Un pensiero nasce, si forma... muore e dallo stesso ne nasce un nuovo che nel suo "dna" conserva le informazioni del precedente ma si assicura una forma dissimile poiché correlata

dagli aspetti che ne hanno determinata la fine stessa.

Il mistero profondo della Vita è racchiuso dietro queste due parole sacre:

“Solve et Coagula”.

Tali operazioni sono l’effetto diretto dell’impiego di una forza particolare che agisce sulla materia.

E’ per questo che, raggiunto il Fuoco Sacro, anch’esso Uno e Trino, poiché costituito dall’allineamento delle tre fiamme (Philòs, Eros, Agape) in un'unica “fiamma”, si conquista il

potere sulla materia e sui metalli, potendo trasformare i vizi plumbei in virtù auree.

Sin dai tempi più remoti, i filosofi cercarono di comprendere i meccanismi soggiacenti all'ordine divino. Molto tempo prima della fisica moderna, l'alchimia poneva in rilievo la sua più

importante operazione, il "Solve et Coagula". Con il termine Solve o Solutio, si manifestava la rottura degli elementi, mentre l’espressione Coagula si riferiva alla loro riunione. Per il

ricercatore dello Spirito, "solve" esprime la dissolvenza delle posizioni forzate, degli stati negativi del corpo e della mente, il dover dissolvere e far svanire cariche energetiche negative,

mentre "Coagula", si riferisce alla coagulazione degli elementi, dispersi in un tutto integrato, che rappresenta la nuova sintesi.

Cosi il reale significato di queste tre parole ("Solve et Coagula") e la formula che gli antichi alchimisti usavano per indicare quella trasformazione e rigenerazione spirituale, a cui ogni

ricercatore dello Spirito, è votato. Essa può anche essere descritta, come quel processo, dove qualcosa è decomposto dai suoi elementi e che produce quell’energia, che costringe l’uomo ad

una ricostituzione, ad una forma più pura.

CANTICO DEI CANTICI

Noto anche come Cantico di Salomone, il Cantico dei Cantici si

distingue, rispetto agli altri testi raccolti nella Bibbia, per

la peculiarità del suo contenuto, e per il fatto di non contenere

alcuna particolare accezione religiosa (almeno secondo un'ottica

ebraico-cristiana). I teologi ufficiali di Santa Romana Chiesa si

sono spesso affannati a spiegare che la vicenda amorosa che vi è

narrata, compresi gli scorci di esplicitezza sessuale, non

sarebbe riferita ad amanti umani e terreni, ma sarebbe invece una

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similitudine dell'amore che Dio ha per il popolo ebraico, il Suo

popolo prediletto; ed alcuni di loro, incuranti del ridicolo, si

sono spinti a sostenere che il Cantico anticipa l'amore di Cristo

verso la sua Chiesa ...

L'imbarazzo clericale per questo poema compreso nelle Sacre

Scritture è stato tale da indurre a numerose false traduzioni,

finalizzate a trasformare i due protagonisti, che nell'originale

ebraico sono senza ombra di dubbio maschili, in una specie di

Giulietta e Romeo d'après le déluge. E la falsificazione si è

spinta fino a mistificare il tema portante del poema, cioè la

esaltazione di un solo, grande amore omosessuale, contrapposto

all'eterosessuale matrimonio poligamico dominante all'epoca [1],

trasformandolo nell'apoteosi dell'unione fra il marito e la sua sposa.

Anche il Concilio di Jamnia (o di Yabneh) si occupò di questo

argomento. Verso l'anno 90 dC., a Jamnia si tenne una particolare

sessione dell'accademia rabbinica fondata da Yohanan ben Zakkai,

per discutere della "canonicità" di determinati libri, in modo

particolare dell'"Ecclesiaste" e del "Cantico", che per il loro

contenuto controverso erano problematici. La decisione del

Concilio fu che anche questi libri erano "Libri Sacri", e di

conseguenza dovevano essere inclusi nel Canone [2], mentre altri

testi (il Libro dei Maccabei, di Ben Sira, di Baruch, ed alcune

opere di Geremia e numerosi altri scritti, molti dei quali ci

sono comunque pervenuti, mentre moltissimi altri sono andati

perduti per sempre) finirono per arricchire l'inesauribile

riserva dei cosidetti "Apocrifi".

Il testo del Cantico è databile al 920 aC., e narra una delle

tante relazioni fra giovani uomini assai comuni nelle culture

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dell'epoca. Legami diffusi anche per ragioni di stabilità

politica: il Re, il governante, il soldato, necessitavano di un

amico fedele, estraneo al loro ambiente, sul quale poter contare

in caso di necessità, e dal quale trarre sostegno fisico,

psicologico ed affettivo. Storie d'amore che erano cantate,

raccontate, commentate ed interpretate quotidianamente in tutto

il Medio Oriente. Ne sono esempio le vicende del Re Gilgamesh

e del suo fedele Enkidu ("Homo selvaticus", cioè proveniente

dalla campagna), di Gionata (figlio di Re) e del pastorello

Davide. Nel Cantico la storia d'amore vede come protagonisti

Asher, figlio del Re Salomone, ed il pastore Caleh, suo cugino.

La prima manipolazione del testo originale del Cantico è

attribuibile agli scribi masoretici, rabbini incaricati di

preservare i tradizionali testi sacri dalla contaminazione

di culture estranee, e spesso impegnati anche nell'opera "di

interpretazione" delle Scritture attraverso l'apposizione di note

e di postille esplicative, in pratica, gli "antenati" dei monaci

amanuensi cristiani, che proseguirono poi l'opera di adattamento-

falsificazione delle narrazioni bibbliche.

Oggi, grazie al fortuito ritrovamento dei Rotoli del Mar Morto,

è possibile ripristinare una più fedele traduzione del Cantico.

L'Io narrante è il soldato Asher, figlio di Salomone e forse

della Regina di Saba (una delle innumerevoli mogli del saggio Re

di Giuda); poiché la madre è nera, anche Asher è scuro di pelle,

mentre suo cugino Caleh è bianco, secondo un contrasto spesso

messo in risalto, e positivamente, nel poema.

I due ragazzi s'incontrano mentre Caleh assolve i suoi doveri

militari svolgendo un turno di guardia della durata di tre mesi

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presso l'harem reale, e qui i due s'innamorano perdutamente l'uno

dell'altro. E il Cantico è un lungo inno che Asher rivolge

alla bellezza fisica e spirituale dell'amato Caleh.

Chi volesse leggere il Cantico per intero, lo trova qui.

Questa è la prima parte.

Cantico che dei Cantici è il migliore

è questo carme che Asher ha composto, [7]

figlio tra i tanti di Re Salomone.

2 Che mi baci coi baci della bocca!

Sono quei seni tuoi meglio del vino

3 ed un profumo dolce tu diffondi.

Tanto odoroso sei, ragazzo mio,

che ti fanno le giovani la festa.

4 Portami via con te, da qui scappiamo.

Se mi si convocasse davanti al Sire,

ti esalterei facendo le tue lodi.

L'amore tuo è assai meglio del vino.

Degno d'amore sei, seppur l'inghiotti. [8]

5 Nero io sono ed anche assai leggiadro, [9]

come sono nere le tende di Kedar, [10]

Casa dei Figli di Gerusalemme,

e i padiglioni del sovrano.

6 Non mi temere visto che sono scuro.

È il sole che mi ha offeso troppo a lungo.

I figli di mia madre, un po' vogliosi,

mi hanno fatto lavorare nelle vigne

mentre la terra mia l'ho trascurata. [11]

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7 Dimmi, amor mio che amo così tanto,

parla, dove pasturi le tue bestie?

Dove riposi, stanco, al pomeriggio?

Non mi mandare alla ricerca cieca,

tra le greggi di quelli che hai vicini. [12]

8 Tu, che più bello sei d'ogni fanciulla,

segui il sentiero delle pecorelle

e recati alla casa dei pastori. [13]

9 Tu mi ricordi, amore mio, i cavalli

che il Faraone d'Egitto ha messo ai carri. [14]

10 La tua barba al tatto pare una tortora

mentre hai solcato il collo da una briglia.

11 Io ti farò catene d'oro puro

che legherò con fibule d'argento.

12 Ora che il Re è occupato con la corte, [15]

sono entrato a provare i tuoi profumi.

13 Il mio amore è una capsula di mirra,

quando la notte lui mi giace in petto.

14 Un fiore di cipresso è l'amor mio

che viene dal giardino degli En Ghedi. [16]

15 Come sei bello, amor, bello e adorato!

Te lo ripeto: sai, sei proprio bello.

Sono i tuoi occhi simili a colombe.

16 Come sei bello, amore mio adorato!

Ecco che il nostro letto è verdeggiante,

17 le tavole sono fatte con i cedri

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e per parete c'è qualche cipresso.

L’ASINO

presso i Caldei era messaggero di morte,la divinità che vi si presiedeva si manifestava inginocchiata su un asino; i Greci lo collegavano a Saturno, in relazione con la materia, la terra,

l'isolamento, la fine delle cose; godeva di venerazione perché considerato coraggioso e lo attribuivano anche al dio Marte e a Dioniso.

Dunque, proviamo a capire meglio. L'asino potrebbe essere -simbolicamente parlando- la metafora impiegata per indicare la materia grezza, ciò che deve subire un graduale processo

di trasformazione affinché si possa 'levigare', ovvero portare ad un livello di conoscenza (coscienza) Superiore. In poche parole, l'asino è l'allegoria di un rivestimento per qualcosa che attende di essere portato in superficie, che giace nascosto come i minerali nelle viscere della

terra, come la sapienza celata, come il nostro Fuoco interiore. Ricordiamo la favola 'Pelle d'Asino', penso, no? La meravigliosa Fanciulla (principessa) è nascosta sotto le spoglie di un disprezzabile asino...Allo stesso modo la nostra Pietra Filosofale, è celata nella materia prima grezza, vile, chiamata con i nomi più degradanti che abbiamo visto parlando del linguaggio

dell'Alchimia.

L'Asino è l'animale, insieme al bue, presente nel Presepe. Fulcanelli spiega che «considerati dal punto di vista della pratica alchemica, il toro e il bue erano consacrati al sole», mentre,

aggiunge Canseliet, «l’asino è il simbolo del soggetto bruto e fortemente sgraziato».(come la 'nostra materia prima). Gesù non entra forse in Gerusalemme su un puledro d'asino? (il figlio

della scienza custodita: rivelazione).

CAPITOLO

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Il mio modo di destreggiare in questi fatti nella mia adolescenza era alquanto casuale. Uno dei miei primi libri di magia letti, che ebbe un impatto su di me, è stato: "Il libro del comando" di

Cornelio Agrippa. Trovavo affascinante tutte quelle pratiche a me sconosciute, e credevo anche impossibili molte cose esposte dal filosofo/mago. E quindi per me era come leggere un libro di

favole "possibili". Ma una delle pagine che mi affascinò di più parlava di spiritismo. In quel momento la mia mente si riempì di idee. Che poi ritrovai in altre culture, ma la mia testa

sfornava: golem e tulpa a volontà. Credendo di poter governare gli spiriti come cani o animali domestici. Probabilmente era la mia voglia di avere un amico, qualcuno da amare e che mi

amasse in un modo speciale, qualcuno che mi capiva al volo, magari con le stesse mie fantasie e la passione macabra dell'occulto. Non avevo ricevuto molte attenzioni a quell'età. Ma per me non era un problema questa mancanza, non capivo ancora quanti problemi mi avrebbe portato col tempo. Cercavo rifugio in un mondo di simboli a casaccio, personaggi che credevo possibili, amori infiniti e creature fantastiche, grandi guru e piccole sette. Ma non era la tipica visione del

mondo del ragazzino di 10-14 anni, era un mondo creato da i compendi di Magia, trattati filosofici sull'inquisizione, riti pagani antichi e santeria, Necronomicon e affini. Enochiano e il

mondo Cristiano occulto. Libri di King e musica satanica. Vedevo il satanismo come una liberazione, a volte la luce del Lucifero cristiano abbaglia, proprio perché proibito. Ma la mente

di un ragazzo, come quella di un adulto è affascinata solo da ciò che è opposto alla matrice originale. I cattivi avevano sempre un posto nel mio cuore, adoravo Hannibal Lecter dopo aver letto il romanzo di Thomas Harris, invidiavo la sua infinita intelligenza, adoravo Agatha Christie

e l'acume dei suoi assassini, adoravo i poeti maledetti e le loro vite. E poi arrivò Wilde... così simile a me, e così sottile. Era la persona che volevo diventare e che sono diventato. Cominciai

a scrivere così delle storie, piene di simboli e arcani linguaggi da decifrare. Accumulavo conoscenza che mi dava potere sugli altri. Questo influenzò molto anche il mio modo d'amare. Subivo questo fascino intellettuale di certi individui che sapevano di vissuto e di conoscenza. Trovavo la maggior parte delle donne prive di significato, solo un guscio vuoto e nulla più. Le

vedevo nella loro veste vera, quella inneggiata dai poeti: un oggetto da venerare, un niente da curare. Odiavo le loro presunzioni, le loro precedenze nelle cose, le loro finte debolezze che spesso usavano come rasoio verso i più deboli. E i loro modi strani di scherzare e di cercare

solo un approccio formale intendendo in realtà tutt'altro. E quindi, dopo un paio di prove, rifiutai il gioco. Non valeva la candela. Il mio amore era tutta un'altra storia. Era quello di

Romeo e Giulietta, idilliaco fino allo sfinimento. Un legame di passione e rispetto reciproco, un sogno, un quadro, un dipinto. Notavo che mi innamoravo di tutto ciò che appariva agli occhi degli altri come qualcosa di irraggiungibile. Non credevo a tutte quelle menate sulle qualità

femminili e le loro predisposizioni. Ci vedevo il marcio, ci vedevo una sorta di superiorità sulla mente malata del maschio, un modo per inneggiare la loro supremazia con il sesso e il bisogno.

E per l'ennesima volta rifiutai l'amore ... e ne feci una sorta di reliquia nel mio cuore. Avevo compreso gli archetipali materni della morte prima ancora di sapere cosa fossero. In fine sono cose che chi studia esoterismo dovrà scontrarsi. Privo di veri amici, privo di vero amore, privo

di vero affetto familiare, crescevo solo e facevo della mia mente un ricettacolo per germi e larve. Chiuso sempre di più caddi in una sorta di depressione che esplose con un fragore

all'età di 13 anni. Mia madre naturalmente non aveva notato nulla. Cominciai a non mangiare più, due cucchiai e basta, comincia a non bere. Cadevo spesso per la debolezza e davo spesso colpa alle scarpe strette e consumate. Intorno a me solo vuoto. Ritornò in me l'idea di morire, di uccidermi, di farmi del male. Con questa voglia cominciavo a sperimentare ciò che leggevo

di più marcio nei libri. Oramai mi sentivo grande e preparato, quindi superiore e capace di poter giostrare tutti gli argomenti appresi. E iniziai con le sedute spiritiche... e cominciai

allegramente ad invocare il diavolo. Non uno qualunque... proprio il diavolo. E molto spesso capitavano cose molto strane. Gli specchi si incrinavano, le fontane e i cassetti si aprivano da soli. Le presenze che avevo soffocato cominciavano ad infastidirmi di nuovo. Ed io che volevo solo finire i miei giorni nel modo peggiore possibile, non me ne preoccupavo. Cominciai a fare tutto quello che mi passava per la testa... credevo che vivere come gli altri poteva salvarmi in

qualche modo dalla mia mente sveglia... e quindi...vedevo gli altri fumare, lo feci anche io.

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Cominciarono ad accettarmi. Mi sentivo un po' meglio. Capii il meccanismo, bastava imitarli. E così imitai una vita normale di un adolescente disturbato, fumavo, bevevo, uscivo di notte, tornavo tardi, andavo a ballare nei locali più improbabili, non lo avevo mai fatto, e anche se

non mi confaceva, lo facevo lo stesso, solo per sentirmi come gli altri. Ma quando poi tornavo a casa... iniziava il tormento. Io sono sempre stato una persona fortunata sotto questo aspetto, dopo tutto quella "specie di studio esoterico" fatto da piccolino riuscii a far crescere nella mia mente questa piccola vocina che mi dettava le leggi fondamentali. Così mi sedevo sul letto e tutta la "sapienza secolare" veniva espulsa. Mi chiedevo che senso avesse tutto quello che

facevo, mi ripetevo che dovevo cambiare che dovevo usare le mie capacità per altro. Migliorare. Usare la sapienza millenaria per una crescita spirituale molto alta...ma

puntualmente le attività futili mi attaccavano come un idra... più le tagliavo la testa e più teste spuntavano; ed arrivò proprio in quel momento, a 14 anni, Crowley e il Magick. Cominciai a

leggerlo, capivo poco... avevo un'idea confusa di tutto quello che voleva dire. Mi mancavano altre basi,e ricercavo qui e la, tra libri nuovi e vecchi e qualcuno o qualcosa che sapesse... qualche cosa che mi desse un segno di ricerca, di spunto, di inizio. Leggevo e rileggevo dei

passaggi ma non capivo, per quante cose sapessi non trovavo nessun corrispettivo nella mia mente. Sembravano racconti di un pazzo. Lo tenni sotto al cuscino per più di 3 anni, e poi

compresi all'improvviso la mia vocazione...L'esoterismo fa questi brutti scherzi, sembrano tutti argomenti slegati l'un l'altro, ma in realtà sono bombe a mano lanciate nella mente. Gli

argomenti vanno legati insieme con la stessa sicurezza di una persona che ha la certezza: che se preme il tasto della luce essa si accende, in quello stesso modo un simbolo deve fare il suo lavoro... e a 17 anni scelsi l'esoterismo come la mia vera strada da percorrere, notavo che mi faceva sentire bene, e che la mia mente era più vigile e superiore agli altri, anche a persone

più grandi di me. Li vedevo come ciechi su di una banchina, che spingendosi l'un l'altro cadevano nell'acqua. Io volevo essere sveglio, volevo governare in qualche modo le mie scelte.

E cominciai a ricercare negli archetipi le verità che mi servivano... la mia mente accumulava simboli all'impazzata. Tutto era sparito, c'era solo la mia crescita... a tal punto che a 18 anni

spaccati scelsi di cambiare scuola. Abbandonai la triste Ragioneria, che conteneva troppi ricordi brutti e scelte sbagliate e me ne andai al liceo Artistico. La mia mente era concentrata

solo ad esprimersi, nulla mi disturbava, tranne i miei amori cocenti e le persone che divenivano sempre più seguaci che amici. Pendevano dalle mie labbra. E dopo tutto

quell'isolamento, quasi mi faceva piacere. Non capivo ancora la fossa che mi stavo scavando... non avendo cura di ciò che mi circondava facevo nella vita delle scelte sbagliatissime. A volte anche consapevolmente, pensando che "... poi le aggiusto". Ma non fu così. Compresi che "il poi..." porta solo guai. Dopo la terza volta che viene detto dalla mente si cambia una grossa fetta di destino. Solitamente ad una cadenza quasi matematica. Sembrava che le privazioni

fossero più importanti delle scelte a cazzo. Ed io non l'accettavo... mi imposi di andare contro ogni schema e smontarli tutti. E così feci.. distrussi tutti gli schemi, e notai che comunque

portavano e mantenevano una logica. E capii anche un'altra verità fondamentale... che forse spiegherò in qualche altro posto non qui. Ma essa è nascosta ovunque così bene da non essere

accettata, come all'epoca di Galileo con la sfericità della terra. Trovai la logica matematica nascosta ovunque... la stupidata che l'algebra non esiste nella vita reale è un emerita

minchiata. Siamo tutti ioni positivi e negativi... e addizionare e sottrarre è il nostro scopo... e leggevo che chi lo faceva veniva bandito da ogni religione. Ogni credo aborra l'esistenza di

questa possibilità, nonostante anche la scienza sta arrivando ad appurare la mia teoria. Cominciai a studiare i Templari, le tecniche orientali e l'esoterismo dei pochi, chiamato anche

"la sottile linea rossa"... la linea che nella cabala viene chiamata Abisso. Divenne quasi un ossessione per me e la mia mente piena di nozioni. Volevo solo accumulare, accumulare,

accumulare ... non capivo ancora la tecnica di apprendimento esoterico. Le cose funzionano e modificano il proprio essere quando sono conformi alle nostre azioni. Molte delle mie azioni

erano conformi e quindi su quei lati crescevo esponenzialmente, ma molte altre non combaciavano con i miei principi, e quindi rimanevano solo nozioni inutili, e si accumulava un grande quantitativo di energia. E credevo che tutto stesse andando per il meglio, che stavo

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crescendo; perchè questa è l'illusione della vita: quando pensi che tutto stia andando bene è solo perchè cammini sul sentiero esatto. Ma purtroppo non è così. Neanche un solo frutto nasce senza sforzo dell'uomo e della natura. Sentirsi appagati ed essere realmente appagati si nota

solo da una cosa... quando si è veramente appagati ci si sente pieni, e ti salgono le lacrime agli occhi. Senti la vita scorrere di nuovo come un fiume lungo la spina dorsale, senti che quella cosa potresti farla per sempre, che ciò che in realtà non fa ridere ti smorza un vero sorriso. Senti la mancanza di quella sensazione di benessere vero, fisico, spirituale, psicologico che

resteresti in quello stato per sempre. Quella è la vera crescita, l'anima che sente senza l'interazione del corpo. Come se fosse una speranza infinita di uscita dagli schemi ed essere preponderantemente naturale. Ti da una forza che nessun altro potrebbe darti, come una carica di esplosivo che ti rende possibile sfondare una montagna, una vera capacità della

mente che si può osare. Come se ti desse sempre una possibilità e ti da anche la volontà e la capacità di scelta continua, senza mezzi termini. Ti senti capace di tutto. Ma come volevo capirlo io a quei tempi? Ero, si, un animale notturno, ma ero comunque ancora animale. Io desideravo essere altro, mi sentivo diverso, i miei pensieri erano diversi, le mie abitudini

diverse... allora cosa avrei dovuto fare? Ritornare all'isolamento? No! E quello lo posso capire solo adesso. Dopo che ho "allungato" solo una parte dei rami del mio albero spirituale e

sbagliato a posizionare sulla mia colonna portante la luce che mi illumina il cammino. Feci un grave danno... che sto ancora pagando. Posizionai me e la mia vita in primis! Ecco che tutte le

cose andarono allo sfacelo. -.-'