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autori s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A.Verri Lecce, dicembre 2013 - anno I Spagine n°0 - Autori 08 Dopo “Maledetti Poeti” l’incontro d’autunno promosso a Vignacastrisi dall’Officina d’Arte di Via San Francesco di Vito Antonio Conte con Giovanni Santese Dialogo principiato, abbandonato e mai ripreso con Antonio Verri...

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Giovanni Santese, "Dialogo" con Antonio L. Verri

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autori

spagine Periodico

culturaledell’AssociazioneFondo Verri

Un omaggioalla scritturainfinitadi F.S. Dòdaroe A.Verri

Lecce, dicembre 2013 - anno I Spagine n°0 - Autori 08

Dopo “Maledetti Poeti” l’incontro d’autunno promosso a Vignacastrisi dall’Officina d’Arte di Via San Francesco

di Vito Antonio Conte con Giovanni Santese

Dialogo principiato, abbandonatoe mai ripreso con Antonio Verri...

spagine

dell’ispirazione, del tumulto, dell’abbriviopoetico potente quanto serve ad arare di solchiimmortali tanta arsura spianata

perché vedi Antonioin quei momenti, in quei momenti là dico, è

bello (o utile, dico) avere un alter ego, che par-li per noi, che come un menestrello riunisca inuno spartito parole vuote apparentemente sen-za senso, ma che assumono leggendole unamusicalità strabiliante, un alter ego insom-ma… con panni d’arlecchino, la faccia impia-stricciata di neve e di farina, al lieve andaresbandando la figura, mima, sorride, fa boc-cacce… oh grandioso figlio del nulla, ma… èstefan, è stiffan l’inventore, il solitario impo-store, lo svagato cercatore di lucchi, l’eternopellegrino suasore, il sognatore cocente, babe-lico, fumoso… ma è proprio galateo questomago che viene, questo diavolicchio che cre-sce come il timo… tira una parola dietro l’al-tra, simula uno squilibrio, continua il gioco…è tanto preso, però, che il tutto spesse volte glisfugge di mano: ecco, allora è qualcosa di di-vino, piroettante, aristocratico (per usare isuoi suoni), allora nient’altro che parole, neo-logismi, accettazione propria, doppie, elisioni,d’una musicalità strana, umorale, faticante…(da parte, la mar: istigazione a movimenti len-ti, riflessivi, a godere del tempo, istigazione altabulare, all’intrico di fatterelli, numeri, follet-ti, cuoricini… istigazioni, istigazione alla ca-bala…) oh no, guatarazzi no, scalcioni putte-nosi, minnàculi spersi, sguanci, ronze, parse,pizzi, gustose pasticche, quaresimali, mustoc-ciomini, non v’è più alto mondo di questo vi-gneto, cellule serrate, rami a stella familiare…

Sabato ultimo del novembre giàandato, a Vignacastrisi, s’èsvolto il reading “Maledetti

Poeti”, voluto dall’Officina

d’Arte di via S. Francesco

(alias Agostino Casciaro… incollaborazione con il Consorzio Autori delMediterraneo, l’Associazione Culturale Para-bola A Sud e l’Assessorato alla Cultura del Co-mune di Ortelle).

Più che un omaggio o un ricordo, una testi-monianza d’amore al poeta (di Caprarica pernascita, ma del mondo per vocazione) AntonioLeonardo Verri (nel ventennale della sua mor-te). Un coro di voci s’è levato a riprova del fat-to che Antonio è sempre vivo.

Una tra le tante manifestazioni che que-st’anno han parlato di Antonio e con Antonio.Mi accorgo che ne scrivo come se fosse (e nonfosse stato) mio amico, dandogli del tu, chia-mandolo per nome. Invece, non l’ho mai cono-sciuto. Forse. L’ho incontrato (questo è certo)dopo…

Gli ho anche rubato (ma Antonio lo sa…)un verso (che ho usato a mo’ di esergo per unmio libro), ma ben altro gli devo… E allora,per ringraziarlo, tra tutto quel che ho sentito lasera furibonda di pioggia e di vento e di paroledel trenta novembre scorso, rubo a Giovanni

Santese (ma Giò lo sa…) un suo vecchio“scritto” (liberamente tratto e ispirato da “IlFabbricante Di Armonia – Antonio Galateo” diAntonio Verri) che, all’epoca, firmò (Giovanniintendo) P.E. (ossia Pessimo Elemento, dal no-me del suo blog, ormai chiuso da tempo, mache – come i buoni versi – ancora gira e girerànel tempo…).

Ecco...

Dialogo principiato,abbandonato e mai ripresocon Antonio Verri

perché vedi Antonioad uno scrittore capita di trovarsi di fronte

una campagna arida, di parole, estesa fin doveposano gli occhi, polverosa e sbrindellataquanto basta (e se non capita è perché non si èscrittori), matta e spessa ad assorbire i raggi

di Vito Antonio Conte con Giovanni Santese

Di fronte... una campagna

; e sotto questo vigneto, vi dico, è luce, è luceche pressa sul gran vuoto, che arrotondal’idiozia dei caseggiati – questi che sono cri-stalli, questi che sono sorde caccole di luce,cadute in terra, diventate costoni pali treni,muntagne staziose, burri, corpi di luce melam-pina, croste graalitiche, varicellose, foolmonie sarsi ferrosi, cloache… sono diventati

perché vedi Antoniose la paura di dare mortal respiro aguzza

l’ingegno e rende impavidi quel lunghissimosecondo d’agonia celeste, innocuo il dolore,arioso il corpo e leggero, come parole posatesulle nuvole e con le nuvole lasciate andare, oancora se dato mortal respiro io continuo aparlarti fusse ca fusse ca nu pocu me sta fissu?

perché vedi Antonioio direi poco umilmente – datemi un fonema

e vi racconterò il mondo – mentre tu da comearrotoli la lengua di pesce, sembri dire, miostiffan, l’ordito d’o mundo è intrigante, l’òrritodelle cose di voialtri è sconvolgente, perciò imiei scoppi di vuoto, perciò le finezze malianti,le rughe color croco, lo stupore profondo, sme-morante, le cische caddenti, i frisi festonnati…perciò perciò s’arrischia la lengua, quandospunta s’arrotonda – fummi, corsieri, busti,corpetti – è di un biancore a pois, gelide chiaz-ze, tepori rosati, petaccio però: che sia petaz-zo, sfiziomio, che lascimpiedi la tremolantecassarmonica, che tutto scoperchi, tutto spro-fondi in una nuova scia sotterra, che porti consé la mia metà faccia, qualche foca che ho pertroppo fuoco, per veluscio, per vinetto… che

Lecce, dicembre 2013 - anno I Spagine n°0 - Autori 08

prti via tutto ’nsomma, che porti di me quel chevi ho detto, che scivoli senza arresto senza fon-do

perché vedi Antoniose dall’evoluzione della specie l’uomo so-

miglia sempre meno a se stesso… allora io tan-to fervore non lo capisco, questa ostinazione avoler salvare i poeti dalle fiamme dell’infernopiù inferno della terra, questo voler liberare ipoeti dal loro impegno di buffoni di corte, dallamalasorte, con quell’ondeggiare tra la vita e lamorte, ma poi… a noi che ce ne frega, noi sap-piamo com’è iniziato tutto… e come andrà a fi-nire tutto questo… perché noi vediamo al-l’orizzonte che corre, già corre la tila corre… enoè noè galleggia, non s’accorge ma perdeconsonanti, gemend, tondeggia… e la tila in-tanto corre e corre… la luce stupirà… stupirà isuoi occhi… e i miei così vergini di luce… checorra dunque… che corra questa scia, che girisul giro della terra… che scinda, che scanni sevuole, porti erva di taglio e, nelle isazze, gli sfi-nimenti di un dio vendicativo, che ama le fòffu-le e i miraggi, corbelle frottole appannaggi…cantate cantastorie cantate, mimate cavalierimimate le imprese dell’orzo bollito, suonatesuoni suonatori suonate suoni non trasportabi-li in codici tipografici

perché vedi Antonioo animale favoloso, o mio sperso, gnorreo,

ciciarroso, o dolloso, o dolloso mio vecchio so-gno che consumo in una città di boati o beoni,in un tempo che non tollera più buffonerie…ma pitto, farro, sbarro… cazzo… buffoneriesaranno. Eccome.

arida, di parole