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«Alla fine ciò che sta accadendo costituisce una vera opportuni- tà, anzi una doppia, importante occasione: da una parte ci per- mette infatti di non consumare altre suolo, dall'altra, visto che si parla quasi sempre di aree in- serite nelle città, spesso addirit- tura nel cuore dei centri storici, ci spinge a creare nuovi paesag- gi urbani, con situazioni in cui si può magari conservare qualco- sa che fa da anche da “memoria” ed altre in cui invece bisogna purtroppo togliere tut- to». E' molto chiaro il pensiero di Silvia Viviani, architetto fio- rentino, presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica, uno dei maggiori esperti italiani nel campo appunto dell'urbanisti- ca e del recupero delle aree ca- dute in disuso: pur nella negati- vità economica che sta alla base dell'abbandono di queste gran- di strutture, secondo lei diventa fondamentale la sfida di creare nuovi “pezzi” di città, «una sfida accompagnata da grandi re- sponsabilità». Quindi le aree dismesse per colpa di questa ed altre crisi possono essere viste non come un problema, ma come una ri- sorsa? «Esattamente. E' vero che il nuovo suolo è una risorsa pre- ziosa, ma non dimentichiamoci che lo è anche un'area dismes- sa, visto che ci permette appun- to di recuperare l'ambiente e di creare un altro paesaggio. In- somma, una riqualificazione che rappresenta solo la metà di ciò che possiamo fare: l'altra è l'intervento diretto sulla città». Come deve essere articolato un eventuale intervento? «Un progetto di riqualificazio- ne deve essere affrontato con un approccio unitario che pren- da in considerazione tre aspetti fondamentali: ambientale, ur- banistico e paesaggistico. Visto poi che le dimensioni di cui si parla, con queste aree che una volta erano chiamate archeolo- gia industriale, ma che hanno la caratteristica di essere sempre molto grandi, non possiamo mettere in moto tutto e subito. Voglio dire che sono operazioni costose e complesse che poi so- no le cose di cui avrebbero biso- gno zone come Perignano e del- la Valbisenzio, estensioni enor- mi su cui bisogna lavorare un po' alla volta». C'è un modo abbastanza standard per procedere? «Ogni situazione è natural- mente un caso a sé. Ma in linea generale si tratta spesso di pro- cedere con bonifiche seguite dalla realizzazioni delle struttu- re vere e proprie, considerando che spesso dobbiamo interveni- re, come dicevo prima, nel cuo- re stesso delle città. Inoltre, dob- biamo creare queste cose senza incidere ulteriormente sul terri- torio: oggi abbiamo la tecnolo- gia, ad esempio, per non creare ulteriore inquinamento». In Toscana quali sono le si- tuazioni di abbandono indu- striale più particolari che le vengono in mente? «Penso appunto alla valle del Bisenzio, in parte all'Empolese anche se lì ci sono comunque ancora delle attività, a Lastra a Signa, a Prato, a Lucca, ma an- che all'ex Sitoco che si affaccia sulla laguna di Orbetello». Evidentemente non si tratta solo di un problema estetico, ma anche di degrado, soprat- tutto per l’utilizzo abusivo di persone di tutti i generi. «E' proprio così. Si possono creare situazioni di grande peri- colosità che vanno al di là dei problemi estetici. Ecco perché dobbiamo intervenire, ad esem- pio cogliendo l'occasione an- che per lanciare concorsi di ar- chitettura». Altri esempi clamorosi nella nostra regione, magari che non riguardano il manifattu- riero in senso stretto? «Mi viene da pensare subito a Chianciano Terme. Era un cen- tro turistico con tanti alberghi che adesso sono vuoti perché poco frequentati. Si cammina in città e il silenzio è sconcertan- te, non si sente neanche qualcu- no che parla. Ecco, lì come in al- tre città si dovrebbe intervenire per creare spazi destinati a nuo- ve attività, ma anche aree pub- bliche e con finalità sociale». (s.b.) L’INTERVISTA Non alzo bandiera bianca ma... il tricolore Prato, la resistenza di un imprenditore: «Qui intorno a me solo cinesi». E così mette sul tetto il vessillo Prato: Fabio Giusti con la bandiera italiana sulla sua azienda (Batavia) I conti li ha fatti poche settimane fa Il Sole 24 Ore ed i risultati sono a dir poco sconcertanti. La traccia più evidente della crisi, o come l'ha chiamata la Confindustria della “guerra” all'economia manifatturiera iniziata nel 2008, sono proprio i simboli della produzione: capannoni chiusi con le scritte che si alternano tra "vendesi" e "affittasi”, altri che scelgono di comunicare la “cessata attività”, molti che hanno sprangato definitivamente le porte. Ed anche se non è semplice quantificare questa carneficina, una stima realistica parla di qualcosa come 100mila tra strutture industriali e artigianali, immobili ad uso industriale, terreni, laboratori e locali adibiti a magazzini. Insomma, un patrimonio che rischia di passare in archivio come archeologia industriale e che per un terzo fa riferimento ad aste giudiziarie o interventi bancari per leasing non pagati. Il conto della crisi: 100mila immobili chiusi di Maria Lardara PRATO Ci sono imprenditori che alzano bandiera bianca perché chiudo- no e non ce la fanno più ad anda- re avanti, ci sono invece quelli sul tetto del loro capannone al- zano un’altra bandiera: quella dell’Italia. Piccoli segni distintivi perché, in fondo, in mezzo a tan- te insegne con ideogrammi, gli italiani potrebbero aver bisogno di farsi riconoscere. Sventola un tricolore in via del Molinuzzo, nel cuore del Macrolotto indu- striale di Prato, un’area che ha cambiato profondamente pelle nell’ultimo decennio per l’avan- zata massiccia di confezioni e pronto moda con occhi a man- dorla. Sul tetto del capannone della Trafi srl, tintoria che dà la- voro a 30 dipendenti e strizza l’occhio alle ultime tendenze moda con i trattamenti “multicolor”, il vessillo si mette in bella vista alle prime folate di vento che soffia dai monti della Calvana. Un modo per marcare il territorio e presidiare l’ultimo avamposto pratese della zona? No davvero, a sentir parlare l’im- prenditore Fabio Giusti che an- zi, su quel tratto di strada, è in buona compagnia di italiani: i vi- cini di casa della Trafi sono altre due italiani, Roberto Morganti Spa (materie prime tessili) e Bu- clad Srl (accessori moda). Guar- dandosi intorno, spuntano dap- pertutto insegne con gli ideo- grammi: tra i più recenti, il car- tello del centro culturale “Marco Polo”, scuola di italiano che i bambini cinesi frequentano mentre i genitori sono impegna- ti a lavorare. «Semmai si distin- gue per il lavoro che facciamo, non certo piantando una ban- diera - puntualizza Giusti -. Nes- suna rivendicazione, semplice- mente la bandiera è un modo per sottolineare le nostre radici di cui andare fieri: dato poi che ci vengono a trovare gli studenti delle scuole di moda di diverse nazionalità, mi pareva carino ac- coglierli con la bandiera italia- na. C’è anche dell’altro: il tricolo- re rappresenta anche una dedi- ca al nostro lavoro, alla tecnica che utilizziamo in tintoria». In ef- fetti, si tratta di una bandiera di lana perché una volta la lana ri- cavata dalla stracciatura delle bandiere veniva considerata la parte più nobile degli stracci. E Giusti quell’oggetto ce l’ha a cuore, tanto che il suo pensiero è di sostituire la bandiera, che si è sciupata per la pioggia, con una nuova, sempre col marchio di fabbrica della sua tintoria. «Sto pensando a un tricolore da realizzare con una tecnica di ef- fetto maltinto che gioca sulle sfu- mature di colore». PARLA L’URBANISTA Spazi da riempire o ce li troveremo rovinati dal degrado Viviani, presidente dell’Inu, e la sfida delle aree dismesse «I capannoni vuoti da recuperare per cambiare le città» L’urbanista Silvia Vannini IL DATO CHOC DOMENICA 2 MARZO 2014 IL TIRRENO Toscana 9

Spazi da riempire C’ERA UNA VOLTA PERIGNANO ... · due franchising importanti co-me Chateaux d’Ax e Poltrone e Sofà ha portato lungo la via Li-vornese altre aziende che ne sfruttano

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Page 1: Spazi da riempire C’ERA UNA VOLTA PERIGNANO ... · due franchising importanti co-me Chateaux d’Ax e Poltrone e Sofà ha portato lungo la via Li-vornese altre aziende che ne sfruttano

di Stefano Bartoli◗ INVIATO A PERIGNANO

Qualche anno fa era una gitaobbligata, quasi di routine.Pranzo domenicale in casa,cambio di vestiti e via: «Andia-mo a vedere i mobili!». In fon-do si arrivava velocemente aPerignano e poco importava sepoi ci volevano ore per muo-versi e trovare un parcheggiolungo quella strada affollatissi-ma dove ti trovavi in mezzo adautomobili provenienti damezza Toscana, tutte schieratedavanti a lunghe distese di ve-trine e insegne scintillanti. Eancora meno importava se allafine tornavi a casa senza averecomprato neanche un comodi-no: il pomeriggio in un modo onell’altro era trascorso in unoslalom nel serpentone di follatra cucine e camere tutte in filae spesso anche troppo simili,sedendosi sui divani o sdraian-dosi sui letti col cellophaned’ordinanza. Ma l’economia gi-rava e qualcuno il mobile allafine se la comprava. Adessonon più.

In questi giorni siamo torna-ti a Perignano, la città del mobi-le. O meglio, la ex città delmobile, perchè il colpod’occhio è desolante.Un posto dove adessotutto luccica un po’meno perchè tanteinsegne si sonospente, mentre ipochi mobilificirimasti hannodovuto ridimen-sionarsi. Il risul-tato? Tanti ca-pannoni vuoti,vetrine in cui sivede solo il car-tello “Affittasi”,spazi enormi cheinsieme supera-no i 100mila metriquadrati.

Perignano e queiquattro-cinque chilo-metri della via LivorneseEst, cuore del “distretto delmobile”, sono la fotografia,anche aerea (vedi grafica a fian-co), di cosa sta accadendo nel-la Toscana e nell’Italia colpitedalla crisi del manifatturiero:sempre più aree fantasma,spesso a due passi o in mezzoalle città, inutili colate di ce-mento pronte a riempirsi di de-grado. Un rischio che qui han-no ben presente: se da una par-te contano sul rilancio del set-tore puntando sul target me-dio-alto in contrasto a quello“low-cost”, dall’altra - comesottolineano l’ex sindaco di La-ri ed ora candidato sindaco delnuovo Comune di CascianaTerme-Lari Mirko Terreni el’ex assessore alla attività pro-duttive Simona Cestari - pen-sando a come recuperare learee abbandonate. L’ultima de-libera approvata dal comunedi Lari comprende, guarda ca-so, un bando per progetti di re-cupero dei capannoni dismes-si.Tour a scacchiera. Simona Ce-stari ci fa da Cicerone in questoviaggio tra chi è riuscito a resi-stere e chi invece si è dovutorassegnare. Un viaggio in cui ilbaricentro-simbolo è un edifi-cio enorme e vuoto, con un so-lo sopravvissuto: una sala per

scommesse e slot-machine.Via un bar (il più vicino adessoè almeno a 10 minuti di auto),via il mobilificio Mobil 4 che siè trasferito e che era un po’ ilfiore all’occhiello della struttu-ra, una vetrina rotta. Per il re-sto solo il vuoto, deprimente.Poche centinaia di metri prima

un’altra struttura di tre piani,dove all’interno sono ancoravisibili scrivanie abbandonatee lampadari a cui sono state or-mai tolte quasi tutte le lampa-dine, pubblicizza con un cartel-lo “disperato” affitti anche par-ziali a prezzi da saldo: 3 euro almq per il primo e secondo pia-no, quasi il doppio per il soloterreno. E disperata sembra an-che l’offerta di un’agenzia diSanta Croce sull’Arno che a Pe-rignano offre sul web un ca-pannone di 200 metri a 100 eu-ro al mese, cifra bassissima,ma che non sembra sollecitarealcun appetito. «Fino al2000-2001 si riusciva ad affitta-re - ci spiegano dall’agenzia -adesso, con la crisi, gli annuncirimangono lì per mesi. Chiaroche 100 euro è un prezzo indi-cativo, ma il problema è che leaziende che ci provano poi ma-gari non riescono neanche apagare l’affitto».

In mezzo al vuoto. Proseguia-mo il viaggio che si trasformain una serie di tappe tra negozianche lussuosi e ingressi dovedomina solo la polvere: non cisono più Casa Sicura, Colombi-ni, Princi, Arredoduemila, ilbar Angolo Blu, lo studio Gori,mentre, come si diceva, Mobil4 si è spostato a Perignano e

Guerrini ha cambiato timonie-re, ma riducendo l’esposizio-ne. E in questo quadro si crea-no anche situazioni singolari,come quella della Casa del Mo-bile, l’unica oasi “abitata” traun paio di complessi dove do-mina la desolazione, come lostrano edificio di PerignanoExpo, dove per adesso restano

tracce di negozi che vendeva-no calzature, biancheria e abbi-gliamento. «Sì, la situazione èdifficile, ma non ci arrendia-mo», commenta Emiliano Gali-berti, che è uno dei dipenden-ti, ma anche il presidente delTuscany Design Center, l’asso-ciazione che si propone di ri-lanciare Perignano come capi-

tale dell’arredamento.Magari l’Ikea... In sostanza, co-me spiega ancora Galiberti, c’èla necessità di mettersi al passocon i tempi, facendo anche unesempio curioso: l’arrivo didue franchising importanti co-me Chateaux d’Ax e Poltrone eSofà ha portato lungo la via Li-vornese altre aziende che nesfruttano la capacità di attra-zione. Tendenza che spiega an-che il commento di AntonellaStefanelli, una delle titolaridell’omonimo mobilificio cheè a Perignano dal 1954 e cheadesso si trova sulle spalle dai7mila agli 8mila mq di capan-noni inutilizzati: «Magari l’Ikeafosse venuta qui invece che aPisa - commenta -, avrebbe at-tirato tanti giovani che non co-noscono Perignano, senza far-ci neanche concorrenza per-ché i nostri target sono comple-tamente diversi».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

«Alla fine ciò che sta accadendocostituisce una vera opportuni-tà, anzi una doppia, importanteoccasione: da una parte ci per-mette infatti di non consumarealtre suolo, dall'altra, visto chesi parla quasi sempre di aree in-serite nelle città, spesso addirit-tura nel cuore dei centri storici,ci spinge a creare nuovi paesag-gi urbani, con situazioni in cui sipuò magari conservare qualco-sa che fa da anche da“memoria” ed altre in cui invecebisogna purtroppo togliere tut-to». E' molto chiaro il pensierodi Silvia Viviani, architetto fio-rentino, presidente dell'Istitutonazionale di urbanistica, unodei maggiori esperti italiani nelcampo appunto dell'urbanisti-ca e del recupero delle aree ca-dute in disuso: pur nella negati-vità economica che sta alla basedell'abbandono di queste gran-di strutture, secondo lei diventafondamentale la sfida di crearenuovi “pezzi” di città, «una sfidaaccompagnata da grandi re-sponsabilità».

Quindi le aree dismesse percolpa di questa ed altre crisipossono essere viste non comeun problema, ma come una ri-sorsa?

«Esattamente. E' vero che ilnuovo suolo è una risorsa pre-ziosa, ma non dimentichiamociche lo è anche un'area dismes-sa, visto che ci permette appun-to di recuperare l'ambiente e dicreare un altro paesaggio. In-somma, una riqualificazioneche rappresenta solo la metà diciò che possiamo fare: l'altra èl'intervento diretto sulla città».

Come deve essere articolatoun eventuale intervento?

«Un progetto di riqualificazio-ne deve essere affrontato conun approccio unitario che pren-da in considerazione tre aspettifondamentali: ambientale, ur-banistico e paesaggistico. Vistopoi che le dimensioni di cui siparla, con queste aree che unavolta erano chiamate archeolo-

gia industriale, ma che hanno lacaratteristica di essere sempremolto grandi, non possiamomettere in moto tutto e subito.Voglio dire che sono operazionicostose e complesse che poi so-no le cose di cui avrebbero biso-gno zone come Perignano e del-la Valbisenzio, estensioni enor-mi su cui bisogna lavorare unpo' alla volta».

C'è un modo abbastanzastandard per procedere?

«Ogni situazione è natural-mente un caso a sé. Ma in lineagenerale si tratta spesso di pro-cedere con bonifiche seguitedalla realizzazioni delle struttu-re vere e proprie, considerandoche spesso dobbiamo interveni-re, come dicevo prima, nel cuo-re stesso delle città. Inoltre, dob-biamo creare queste cose senzaincidere ulteriormente sul terri-torio: oggi abbiamo la tecnolo-gia, ad esempio, per non creareulteriore inquinamento».

In Toscana quali sono le si-tuazioni di abbandono indu-striale più particolari che levengono in mente?

«Penso appunto alla valle delBisenzio, in parte all'Empoleseanche se lì ci sono comunqueancora delle attività, a Lastra aSigna, a Prato, a Lucca, ma an-che all'ex Sitoco che si affacciasulla laguna di Orbetello».

Evidentemente non si trattasolo di un problema estetico,ma anche di degrado, soprat-tutto per l’utilizzo abusivo dipersone di tutti i generi.

«E' proprio così. Si possonocreare situazioni di grande peri-colosità che vanno al di là deiproblemi estetici. Ecco perchédobbiamo intervenire, ad esem-pio cogliendo l'occasione an-che per lanciare concorsi di ar-chitettura».

Altri esempi clamorosi nellanostra regione, magari chenon riguardano il manifattu-riero in senso stretto?

«Mi viene da pensare subito aChianciano Terme. Era un cen-tro turistico con tanti alberghiche adesso sono vuoti perchépoco frequentati. Si camminain città e il silenzio è sconcertan-te, non si sente neanche qualcu-no che parla. Ecco, lì come in al-tre città si dovrebbe intervenireper creare spazi destinati a nuo-ve attività, ma anche aree pub-bliche e con finalità sociale». (s.b.)

L’INTERVISTA

LA CNA e la crisi di perignano

Non alzo bandiera bianca ma... il tricolorePrato, la resistenza di un imprenditore: «Qui intorno a me solo cinesi». E così mette sul tetto il vessillo

Prato: Fabio Giusti con la bandiera italiana sulla sua azienda (Batavia)

I conti li ha fatti poche settimanefa Il Sole 24 Ore ed i risultati sonoa dir poco sconcertanti. La tracciapiù evidente della crisi, o comel'ha chiamata la Confindustriadella “guerra” all'economiamanifatturiera iniziata nel 2008,sono proprio i simboli dellaproduzione: capannoni chiusi conle scritte che si alternano tra"vendesi" e "affittasi”, altri chescelgono di comunicare la“cessata attività”, molti chehanno sprangato definitivamente

le porte. Ed anche se non èsemplice quantificare questacarneficina, una stima realisticaparla di qualcosa come 100milatra strutture industriali eartigianali, immobili ad usoindustriale, terreni, laboratori elocali adibiti a magazzini.Insomma, un patrimonio cherischia di passare in archiviocome archeologia industriale eche per un terzo fa riferimento adaste giudiziarie o interventibancari per leasing non pagati.

Il conto della crisi: 100mila immobili chiusi

«Come si vede dalle tante iniziativemesse in campo un po’ da tutti,dalle istituzioni ai cittadini fino agliimprenditori, non c’èrassegnazione, bensì una reazionealle difficoltà. Penso al tavolo per ilmobile, all’innovazione, ai consorziper l’export, al bando di idee delComune per sfruttare gli spazi cheadesso sono stati lasciati vuoti».

Andrea Zavanella, presidente dellaCna, la Confederazionedell’artigianato di Pisa, commentacosì l’inchiesta del Tirreno che hapreso in considerazione Perignanocome esempio di cittadina concapannoni e spazi commercialiletteralmente svuotati dalla crisi. Elo fa spiegando che nel vocabolariocinese la parola crisi è fatta di due

radici: una significa difficoltà,l'altra opportunità. «Che icapannoni poi ora siano vuoti certocrea difficoltà - maparadossalmente questodeprezzamento crea le condizioniaffinché essi possano essere piùappetibili o meglio più accessibiliper nuove attività, per altreesperienze e start up». (s.b.)

C’ERA UNA VOLTA PERIGNANO » IL REPORTAGE

La città del mobileuna vetrina vuotache non luccica piùDamètacultdellegitedomenicalia luogofantasmaDecinedicapannonisfitti.Mac’èchiprova il rilancio

di Maria Lardara◗ PRATO

Ci sono imprenditori che alzanobandiera bianca perché chiudo-no e non ce la fanno più ad anda-re avanti, ci sono invece quellisul tetto del loro capannone al-zano un’altra bandiera: quelladell’Italia. Piccoli segni distintiviperché, in fondo, in mezzo a tan-te insegne con ideogrammi, gliitaliani potrebbero aver bisognodi farsi riconoscere. Sventola untricolore in via del Molinuzzo,nel cuore del Macrolotto indu-striale di Prato, un’area che hacambiato profondamente pelle

nell’ultimo decennio per l’avan-zata massiccia di confezioni epronto moda con occhi a man-dorla. Sul tetto del capannonedella Trafi srl, tintoria che dà la-voro a 30 dipendenti e strizzal’occhio alle ultime tendenzemoda con i trattamenti“multicolor”, il vessillo si mettein bella vista alle prime folate divento che soffia dai monti dellaCalvana. Un modo per marcareil territorio e presidiare l’ultimoavamposto pratese della zona?No davvero, a sentir parlare l’im-prenditore Fabio Giusti che an-zi, su quel tratto di strada, è inbuona compagnia di italiani: i vi-

cini di casa della Trafi sono altredue italiani, Roberto MorgantiSpa (materie prime tessili) e Bu-clad Srl (accessori moda). Guar-dandosi intorno, spuntano dap-pertutto insegne con gli ideo-grammi: tra i più recenti, il car-tello del centro culturale “MarcoPolo”, scuola di italiano che ibambini cinesi frequentanomentre i genitori sono impegna-ti a lavorare. «Semmai si distin-gue per il lavoro che facciamo,non certo piantando una ban-diera - puntualizza Giusti -. Nes-suna rivendicazione, semplice-mente la bandiera è un modoper sottolineare le nostre radici

di cui andare fieri: dato poi checi vengono a trovare gli studentidelle scuole di moda di diversenazionalità, mi pareva carino ac-coglierli con la bandiera italia-na. C’è anche dell’altro: il tricolo-re rappresenta anche una dedi-ca al nostro lavoro, alla tecnicache utilizziamo in tintoria». In ef-fetti, si tratta di una bandiera dilana perché una volta la lana ri-cavata dalla stracciatura dellebandiere veniva considerata laparte più nobile degli stracci. EGiusti quell’oggetto ce l’ha acuore, tanto che il suo pensieroè di sostituire la bandiera, che siè sciupata per la pioggia, conuna nuova, sempre col marchiodi fabbrica della sua tintoria.«Sto pensando a un tricolore darealizzare con una tecnica di ef-fetto maltinto che gioca sulle sfu-mature di colore».

PARLA L’URBANISTA

Spazi da riempireo ce li troveremorovinati dal degradoViviani, presidente dell’Inu, e la sfida delle aree dismesse«I capannoni vuoti da recuperare per cambiare le città»

L’urbanista Silvia Vannini

IL DATO CHOC

Viaggio in una delle

tante aree industriali

desertificate«Ma non ci arrendiamo. Ripartiamo dal bando per le aree»

DOMENICA 2 MARZO 2014 IL TIRRENO Toscana 9